Da: "Kappa Vu S.a.s." <info @
kappavu.it>
Oggetto: Invito al Convegno storico "I
campi di concentramento fascisti" - 29 gennaio
2014. Con preghiera di diffusione
Data: 17 gennaio 2014 15:00:24 CET
La Kappa Vu edizioni vi invita al
Convegno storico "I campi di concentramento fascisti"
che si terrà Mercoledì 29
gennaio presso la Sala Ajace, Piazza della Libertà,
Udine.
L' iniziativa si inserisce nell'ambito delle
celebrazioni del Comune di Udine per la Giornata della
Memoria 2014.
Programma del convegno (la locandina in allegato)
Durante la seconda guerra mondiale, almeno centomila
civili jugoslavi vennero internati dal regime fascista
in campi di concentramento, nelle varie regioni italiane
e nelle isole della Dalmazia occupate con l’aggressione
alla Jugoslavia del 1941. Migliaia di persone - donne,
uomini, vecchi, bambini - vi morirono di fame e di
malattie.
Si tratta di una tragedia di cui si è parlato poco
nel nostro paese, ma che è importante conoscere
non solo per capire meglio la storia del confine
orientale d’Italia, ma anche per riflettere sulla
disumanità di tutte le strutture concentrazionarie,
sull’oggi e sulle origini del razzismo crescente nella
nostra società.
09.15 Saluti istituzionali e presentazione del
convegno.
09.35 Piero Purini: I campi di concentramento nei
progetti di bonifica nazionale e repressione delle
minoranze.
10.00 Carlo Spartaco Capogreco (università della
Calabria): La memoria e la storiografia dei campi
fascisti. Riflessioni e spunti di ricerca.
10.40 Boris Gombač: La problematica dei campi
attraverso l’analisi della mostra di scritti e di disegni
di bambini sopravissuti.
- pausa -
11.25 Dragutin
Drago V. Ivanović:
La repressione italiana in Montenegro ed il calvario
degli antifascisti da Bar-Antivari fino a Colfiorito.
11.50 Sandi Volk: Dalle catene alla libertà: la
formazione della Rabska brigada nel campo di
concentramento di Rab/Arbe
12.15 Andrea Martocchia: Dall’internamento alla
Resistenza. La partecipazione degli ex internati jugoslavi
nella Resistenza italiana.
12.40 Eventuali domande o interventi del pubblico.
- pausa -
14.30 Claudia Cernigoi: Le deportazioni dalla
Venezia Giulia da parte dell’Ispettorato speciale di P.S.
di Trieste (1942-43).
14.50 Genni Fabrizio (associazione Tenda per la
Pace e i Diritti): I campi di concentramento, oggi.
15.10 Ferruccio Tassin: Il campo di concentramento
di Visco. La memoria sul confine.
15.30 Ivan Cignola: I luoghi della memoria.
15.50 Alessandra Piani: Oblio e memoria. Il campo
di concentramento di Gonars (1941-1943) nelle
testimonianze orali della popolazione locale.
16.10 Dorino Minigutti: Documentare la memoria
oltre la storia.
- Coordina Alessandra Kersevan -
Iniziativa realizzata in collaborazione con l'Assessorato
alla Cultura del Comune di Udine.
Con il patrocinio di:
ANPI di Udine
Fondazione Ferramonti di Tarsia
Istituto Friulano per la Storia del Movimento di
Liberazione
Sottolineiamo l'importanza di una partecipazione
numerosa.
Un cordiale saluto,
la Kappa Vu
Dai lager alla Diaz, ai Cie:
storia italiana da rileggere
Il
Messaggero Veneto - 30 gennaio 2014
UDINE. «Meno Auschwitz e più Ventotene». Lo
studioso Carlo Spartaco Capogreco lancia una
provocazione durante i lavori del convegno I
campi di concentramento fascisti ospitato
ieri in sala Ajace e coordinato da Alessandra
Kersevan, editore della Kappa Vu, in
collaborazione con il Comune di Udine, l’Anpi, la
Fondazione Ferramonti di Tarsi e l’Istituto
friulano per la storia del movimento di
Liberazione. «Dopo 20 anni la storiografia sui
campi italiani è a buon punto, ma andare ad
Auschwitz non preserva di per sé dal riproporsi di
certe tragedie. È un luogo non “della”, ma “per”
la memoria. E la memoria deve riconoscere anche le
pesanti colpe degli italiani». Perché il mito
degli “italiani, brava gente” «è stato costruito
in maniera scientifica, a tavolino – assicura
Capogreco –. È un mito che passa dall’assoluzione
di tutte le colpe, compreso il ruolo chiave del
governo italiano nella creazione di campi di
internamento e concentramento. Paradossalmente nel
senso dell’assoluzione ha remato pure il popolo
ebraico, non perché quelle colpe non ci siano, ma
perché si voleva voltare pagina: guardare e andare
avanti».
Ma oggi, a oltre 70 anni da quella tragedia, è ora
di fare i conti con il passato. «La storiografia
sui campi è arrivata a un punto di snodo
fondamentale – continua Capogreco, docente
dell’università della Calabria e autore del testo
I campi del Duce
–. Gli studi sull’argomento sono cominciati
all’inizio degli anni Ottanta e nel 2003, dopo
circa 20 anni, l’argomento è entrato nella
storiografia ufficiale. Pagine e pagine di scritti
sull’internamento civile hanno fatto breccia, ma
c’è ancora bisogno di ricercatori e case editrici
pronte a pubblicare queste storie. Perché quei
campi erano istituiti e gestiti direttamente dal
ministero dell’Interno, inizialmente reprimevano
il dissenso coloniale e, dal 1940, erano internati
anche gli antifascisti». E poi un avvertimento:
«Il fascismo del futuro non vestirà piú la camicia
nera – chiosa Capogreco –, ecco perché dobbiamo
dare ai giovani gli strumenti per capire: la
ribellione e il sopruso devono essere bloccati
subito, sul nascere». Ad aprire i lavori, dopo i
saluti dell’assessore alla Cultura Federico
Pirone, è stato Piero Purini. Suo il compito di
dare una lettura contemporanea della storia:
«Parliamo di campi fascisti, ma dobbiamo
sottolineare le colpe dello Stato: anche oggi ci
sono i Centri di identificazione ed espulsione, i
cosiddetti Cie, e c’è la caserma Diaz, c’è la
caserma Bolzaneto. Pagine della storia recente che
non possiamo dimenticare».
Michela Zanutto
30 gennaio 2014
Drago Ivanović e i partigiani jugoslavi nella
Resistenza italiana
Novi
Matajur
- 5 febbraio 2015
La vicenda de “i campi del duce” (come il titolo
del libro di Spartaco Capogreco) in cui vennero
internati più di 100 mila jugoslavi è ancora poco
conosciuta. Pochi gli storici che se ne sono
occupati, scarsa l'attenzione dei media rispetto
ad altri episodi della guerra mondiale. Ma ancor
meno indagata è la sorte dei prigionieri “slavi”
successiva all'8 settembre 1943. A raccontare
questa parte poco studiata della storia italiana è
una recente pubblicazione di Andrea Martocchia,
presentata il 29 gennaio a Udine al convegno su “I
campi di concentramento fascisti”.
Con “I partigiani jugoslavi nella Resistenza
italiana” (edizioni Odradek, 2011) l'autore
ricostruisce dettagliatamente il ruolo, a suo dire
determinante, che ebbero gli ex-internati
deportati dai Balcani nello sviluppo della
Resistenza nel centro-sud della penisola. La
maggior parte dei 150 campi di internamento (la
stima di Martocchia) in cui vennero rinchiusi si
trovava infatti nel centro-sud Italia. Dopo
l'armistizio, ha ricostruito Martocchia, “la
maggior parte degli ex-prigionieri jugoslavi si
unì alla Resistenza italiana sebbene sembra siano
spariti dalla Storia”. Pagando nella lotta di
liberazione un pesante tributo di sangue: “secondo
i dati che abbiamo raccolto – le parole
dell'autore - almeno 1800 jugoslavi persero la
vita o risultano dispersi negli scontri con i
nazi-fascisti.” Alle formazioni partigiane
italiane - ha spiegato Martocchia – gli ex
prigionieri jugoslavi fornirono un importante
supporto sia dal punto di vista militare (alcuni
degli ex-internati avevano già preso parte alla
Resistenza jugoslava) sia dal punto di vista
politico: in molti avevano infatti aderito prima
della deportazione alla lega della Gioventù
comunista jugoslava.
Formazioni e combattenti jugoslavi, ha spiegato
Martocchia, furono attivi soprattutto in Toscana,
in Puglia (una zona strategica anche per i
contatti con la Resistenza nella penisola
balcanica) e sulla dorsale appenninica tra Marche,
Umbria e Lazio. Quest'ultima era considerata
(anche dallo stesso Mussolini) una zona altamente
strategica. Il fenomeno del “ribellismo” riuscì
infatti a “tagliare” i collegamenti fra la pianura
padana e Roma. Emblematica, anche per il ruolo
degli ex-internati Jugoslavi, la costituzione
della Zona libera di Cascia definita da Martocchia
come “il primo territorio liberato dalla
Resistenza Italiana”. Raggiunse, il 16 marzo del
1944, i mille km² di estensione, ma la cittadina
di Norcia (a nord della zona libera) risulta
liberata già dal febbraio dello stesso anno. In
questa zona ebbero un ruolo fondamentale i due
battaglioni formati dagli jugoslavi e denominati
Tito I e Tito II.
Poco più a Nord, circa mille jugoslavi (perlopiù
Montenegrini) erano stati rinchiusi nel campo di
Colfiorito (PG), in molti dopo l'armistizio si
unirono alla Resistenza. Fra questi anche Dragutin
Velišin Ivanović detto Drago (classe 1923) che è
stato protagonista di uno degli interventi più
applauditi del convegno di Udine. Ha raccontato
come dopo la cattura (nel maggio del 1942 per via
della sua adesione alla Resistenza) sia stato
internato in Albania. Da lì è stato deportato
prima in Montenegro, poi in Puglia e infine a
Colfiorito da cui, insieme ad altri connazionali,
è riuscito a fuggire il 22 settembre 1943.
Ivanović ha testimoniato come sin dai tempi
trascorsi in prigionia fosse stato protagonista di
diverse forme di lotta organizzata insieme agli
altri internati. Dopo la fuga si è unito, già
nell'ottobre del 1943, alla Resistenza italiana
che operava sugli Appennini fra Marche, Umbria e
Abruzzo. La testimonianza storica di Ivanović si
mescola poi, nel racconto, alle memorie personali:
commovente il ricordo della sua “mamma italiana”,
una contadina abruzzese da cui si è sentito
adottato. La donna aveva un figlio che combatteva
con i nazi-fascisti. In un'occasione, a guerra
ancora in corso, il figlio della donna ha fatto
ritorno a casa; allora ha incontrato anche
Ivanović che – ha raccontato – non se la sentì di
salutarlo. La donna però ruppe l'imbarazzo
abbracciando entrambi, felice di avere entrambi i
“figli” riuniti a casa.
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