Lavorando fra gli operai ho visto la loro vita e conosciuto il loro lavoro. Ho capito perché erano malcontenti e perché scioperavano. Nei giorni dell'attacco alla Jugoslavia [aprile 1941] finivo la settima classe del ginnasio; poi sono andato in battaglia contro l'occupatore, per la liberazione della patria. (...) Dal primo giorno sono stato un combattente partigiano. [Ivanović 2004a, p.21. Le memorie dell'infanzia e dell'adolescenza sono state pubblicate in Rani Dani – “Primi giorni” (Ivanović 2002) e Ljudi i vrijeme 1941-1942 – “Le persone e l’epoca 1941-1942” (Ivanović 1998).]L'incontro determinante per la scelta politica è quello con membri dello SKOJ – Savez Komunističke Omladine Jugoslavije, Lega della Gioventù Comunista di Jugoslavia – cui Drago aderisce ad appena 15 anni di età diventando segretario per il suo paese, poi per il suo distretto (1940). Perciò nell'aprile 1941 Drago è già pronto per assolvere ai compiti necessari all'insurrezione antifascista, che divampa il 13 Luglio con una partecipazione di massa.
Tutte le nostre famiglie sono state cacciate via [...] Tutto quello che avevamo è stato rubato, le case bruciate. Da Metohija siamo scappati solo con i vestiti che avevamo indosso. Nella nostra povera casa in Montenegro sono arrivati gli sfollati. Sotto il nostro tetto c'erano diciannove persone, fra loro quattro madri nutrici!... [Ivanović 2004a, p.21]Dopo avere perso la casa a Peć, incendiata dai nazionalisti pan-albanesi, nelle vicende della lotta antifascista Drago perde il padre – ucciso dagli italiani durante uno scontro l'8 novembre 1941, quando lui stesso è ferito e gli Alpini danno fuoco alla casa di famiglia a Podgorica – e due fratelli: Milan, ucciso dai collaborazionisti cetnizi il 21-22 marzo 1942, e un altro, ferroviere, perito da partigiano in Kosovo. Infine, Drago stesso è catturato insieme a tanti altri compagni il 28 aprile 1942 dai cetnizi.
A Bar solo l'aiuto dei compagni mi consentì di sopravvivere al tifo. Perciò giurai a me stesso che da allora in poi la mia vita non apparteneva più a me stesso, ma ai miei compagni.La vicenda resistenziale di Drago sfiora quella ben più nota di Saša Božović, la dottoressa partigiana il cui celebre diario di guerra è stato un best seller in Jugoslavia, che fu anch'ella reclusa in un lager in Albania e di cui Drago nel corso della lotta conosce personalmente il marito (cfr. Ivanović 2004c pp.69ss. e nostra intervista, Ljubljana 9/7/2009).
Non abbiamo notato né paura né odio nella popolazione... La popolazione ci accoglieva, aiutava, avvertiva dei possibili pericoli, dimostrandosi antifascista sin dai primi contatti... Dividevano con noi il proprio pane. Per la ricchezza dell’animo, la generosità e il coraggio, la loro povertà nemmeno si avvertiva. Così erano gli anziani come i giovani. Mi hanno sorpreso le lacrime delle donne, sia di quelle che hanno perso un loro caro che di quelle che non sapevano se fosse ancora vivo o se fosse finito in qualche lager tedesco. Vedendoci così, senzatetto, pensavano che anche i loro si trovavano nella stessa situazione, a vagabondare tra le intemperie in un paese straniero. Avvertivano che anche le nostre famiglie, le nostre madri e sorelle, aiutano i loro nella stessa maniera. [...] È stato quel cuore e quell’animo che ci hanno dato il coraggio di resistere, di sopportare... E questo non è stato soltanto per un giorno, in un luogo: è stato per nove mesi in tutti i luoghi d’Italia dove siamo passati... [I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, p.237]I mesi trascorsi nelle strette valli ai piedi dei Monti della Laga tra i paesani rappresentano per Dragutin Ivanović una nuova esperienza di straordinaria intensità umana, che sarà raccontata nel volume Apeninske nemirne zore – "Le albe inquiete dell'Appennino" (Ivanović 1999) – ben 55 anni dopo. Il libro viene completato da Drago non prima di avere minuziosamente raccolto, verificato e riordinato tutti gli elementi disponibili, anche a seguito di alcuni viaggi in Italia effettuati, con un grande carico di emozioni, dopo il pensionamento, negli anni Settanta e Ottanta (si vedano anche Ivanović 2000a e Ivanović 2000b). L'Italia che ricorda e descrive Drago in queste opere è stata nel frattempo, in effetti, spazzata via dalle trasformazioni sociali. Quei borghi sono rimasti a lungo pressoché disabitati a seguito dell'emigrazione ma, paradossalmente, la memoria e l'affetto a distanza di Drago hanno preservato come in una sfera di cristallo un piccolo universo di nomi, di luoghi e di abitudini che al di quà dell'Adriatico è andato in frantumi e nessuno sarebbe più in grado di ricomporre.
Ad un certo punto a Morrice, nella famiglia che generosamente nascondeva lui ed altri compagni jugoslavi, rientrò il figlio della signora Assunta e del signor Felice De Benedictis: Camillo.
Camillo era stato lontano per molti mesi, arruolato proprio in Jugoslavia nelle truppe di occupazione italiane. Per l’esattezza era stato nei pressi di Zara, da dove aveva scritto per lettera ai familiari esprimendo il suo turbamento per la crudezza di quella guerra. Un bel giorno in paese circolò la notizia che era ritornato. L’incontro con Drago fu inizialmente prudente: Camillo era in divisa, come uno dei militari italiani che avevano messo a ferro e fuoco la sua patria montenegrina; e viceversa Drago era proprio uno di quei “ribelli” che avevano reso la vita tanto amara a decine di migliaia di giovani italiani, sbattuti in terra straniera a portare il “nuovo ordine europeo”. Annunzia De Benedictis li prese sotto braccio entrambi e dinanzi ai paesani esclamò: “E che non sono una mamma fortunata? Adesso ho due figli – Camillo e Drago!”. [I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, p.122]
Il massacro di Pozza, Umito, Pito e dintorni coinvolse numerose persone di nazionalità diversa, di diversa età e compiti o coscienza antifascista, uomini e donne, addirittura una bimba di un anno. [...] La battaglia ebbe termine verso mezzogiorno, quando si contavano più di 30 morti, tra cui alcuni tedeschi che furono cremati sul posto. Altri militari saccheggiarono i viveri dalle case per poi appiccare il fuoco. [...]Dopo la strage di Pozza è forte il terrore e il disorientamento. Passano alcune settimane prima che gli jugoslavi presenti in zona ed altri antifascisti riescano a coordinare le loro attività, costituendo una formazione in località Rocca di Monte Calvo. In quel periodo a Drago sono assegnati soprattutto compiti di collegamento, prima con Carmine Pompetti, carabiniere disertore, poi con elementi del Partito Comunista come Pietro Perini del comitato provinciale di Ascoli Piceno.
Drago fu testimone indiretto di quegli avvenimenti. Quell’11 marzo si dirigeva nella direzione opposta, verso Pietralta, in base al piano di autodifesa che avevano elaborato con il suo gruppo.
Passai vicino al ruscello di Morrice, correndo per arrivare quanto prima a Pietralta. Siccome stavo correndo fui individuato dalla direzione di San Giovanni e Ferone, e cominciarono a spararmi con i fucili. Sentivo i proiettili accanto, perciò saltellavo sull’altipiano muovendomi come fossi sul campo di battaglia. [...] Arrivai dove inizia il cimitero di Morrice, il contadino con la famiglia era dall’altra parte. Si fermò un momento e gridò verso di me: Scappa, torna indietro, ci sono i tedeschi davanti a noi! [...] Non potevo andare né avanti né indietro! Si doveva decidere cosa fare. La neve era alta e soffice, perciò fuori dal sentiero non si poteva andare [...] Ad un certo momento si sono sentiti due spari dall’altra parte del torrente Castellano, che sono proseguiti cupamente con il rumore della lotta in corso, dalla direzione di Pozza e Umito. Era chiaro che si stava svolgendo lì lo scontro, e l’ho avvertito fino alle 11 quando il rumore si è interrotto bruscamente. [...] Calava la sera quando lasciai quel luogo, in cui avevo trascorso tutta la giornata. Camminavo sulle impronte del mattino, attraverso l’acqua, verso il cimitero... [I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, pp.126ss.]
Il nostro desiderio e il nostro bisogno era tornare in patria: abbiamo chiesto aiuto per arrivare a Bari. Il comandante non ce lo ha dato: era brutale ed insensato. Noi abbiamo protestato [...] ma lui ha detto: «Voi siete un popolo diviso e ritornerete quando finirà la guerra. Ora siete qui e potete muovervi soltanto all'interno della città e in un raggio di 10 chilometri intorno». A causa della nostra opposizione siamo stati arrestati. A sera ci hanno liberati, dopo l'intervento dei compagni del comitato provinciale del PCI. L'indomani mattina, prima dell'alba, ci siamo messi in cammino da Ascoli per Bari, a piedi... [Ivanović 2004a, p.23.]Giungono nel campo di addestramento di Gravina, gestito dall'Esercito Popolare di Liberazione (EPLJ) come innumerevoli altri campi, basi, porti e aereoporti, ospedali e sedi di rappresentanza, allestiti in terra di Puglia a seguito della nuova politica di Churchill, che aveva deciso di "scaricare" i traditori cetnizi (monarchici serbi) per appoggiarsi piuttosto, nei Balcani, alla efficace lotta dei partigiani di Tito.
Noi che abbiamo partecipato al movimento italiano della Resistenza, siamo rimasti colpiti particolarmente dalla posizione del PCI e dalle parole di sfiducia e di condanna di Togliatti. Nel cuore ci si annodava qualcosa di pesante, di incomprimibile. “Ercoli” sapeva che gli jugoslavi avevano combattuto con dignità nel movimento della Resistenza italiana, sapeva che sentivamo il PCI come nostro partito, che avevamo eseguito tutti i compiti nell’ambito delle direttive imposte. Ritenevamo, però, che questa condanna non fosse anche la posizione di tutti i comunisti italiani. Essa non poteva essere la posizione dei nostri compagni ed amici [...] Nel mese di maggio del 1949 sono stato trasferito alla Direzione politica generale della JNA [Armata Popolare Jugoslava] a Belgrado. Ho potuto così seguire più estesamente lo scontro tra la Jugoslavia e l’Unione Sovietica. Vari bollettini e altro materiale mi hanno consentito di osservare meglio le dimensioni mondiali della nostra lotta [...] Con particolare attenzione seguivo il comportamento del PC in Italia e degli amici italiani. In quei giorni non era difficile comprendere la grandezza dei veri amici. Tutti ci sono stati vicini, in qualunque parte del mondo si trovassero. La loro voce in favore della nostra verità è stata di grande aiuto, e desideravamo che fossero ancora di più. Eravamo convinti che nella nostra lotta fosse presente anche il loro interesse.Dopo il pensionamento volontario (1973) Drago Ivanović intraprende ricerche storiche accurate sugli eventi di cui lui stesso è stato protagonista, e scrive numerosi libri anche su altri aspetti del suo percorso di vita e sulle vicende del paese per il quale ha lottato e lavorato: la Jugoslavia.
Passò molto tempo finché, spontaneamente, senza consultarmi con i superiori, non decisi di scrivere agli amici in Italia, perché sapessero che ero sopravvissuto alla guerra, e chi dei nostri compagni – e loro amici – era rimasto vivo, e chi era morto. Volevo far sapere loro quale lotta conducevamo... [I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, p.240]
Noi che abbiamo costruito la nostra patria sappiamo cosa hanno significato la Fratellanza e l’Unità: questo non era solamente uno slogan ma una realtà che è durata in pace per 50 anni, una acquisizione che ci ha reso possibile la lotta unitaria per la liberazione. Anche se questa – Fratellanza e Unità – non fosse stata la parola d’ordine, non avremmo avuto nulla senza di ciò, perché è noto che “chi non vuole il fratello per fratello avrà lo straniero per padrone” – come dice il detto popolare, che è l’esperienza storica dei nostri popoli. Essa non perde il suo significato nemmeno per il futuro, e nella pratica ha un significato più ampio e si trasforma nella fratellanza e amicizia tra la gente, tra i popoli, particolarmente nei Balcani...Venerdì 12 dicembre 2014, quattro anni dopo la scomparsa della amata moglie Milka, Drago, malato da tempo, si è spento a Lubiana alla presenza dei tre figli Dragica, Milan e Seka.
Voi mi domandate perché io i miei libri li regalo a chi ha interesse, non li vendo... perché io pago dalle mie tasche per stamparli... Ma questa è la mia battaglia oggi: io non combatto solo contro i quisling della Guerra mondiale, io combatto anche contro questa controrivoluzione che è presente negli ultimi venti anni nei Balcani. Perché questa è una controrivoluzione e non è altro... [I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana, p.246]
Ljubljana, 23 November 2015Il fondo archivistico così raccolto sarà ulteriormente catalogato ed ordinato nel medio termine. Nel frattempo si riporta di seguito il catalogo provvisorio, compilato dalla stessa famiglia Ivanović:
Today the undersigned Andrea Martocchia, secretary of this Association (CNJ-onlus), receives from the relatives of Dragutin–Drago Ivanović and takes into custody the following items, which belonged to the deceased’s personal archive and library:
– description of the documents: see the attached “Popis dokumentacije Draga Ivanovića (130 pages)”
– description of Drago’s books: [a selection of Drago's books from his bibliography] (16 books)
Hereby he feels engaged and promises that all materials will be preserved under the responsability of CNJ-onlus, and precisely:
- in the first instance they will be kept by CNJ-onlus either in private locations or in the Association’s dedicated office as soon as the Association will dispose of a suitable one;
- the Association’s responsibles will guarantee accessibility of the documents to interested individuals for research scopes after justified request and to Drago’s descendants after appointment in any case; the Association will also take care of sending available copies (remainders) of Drago’s books to interested Institutions only after justified request;
- documents with a historical/archivistic value will be possibly transferred to some official Institution in the future, as soon as it will be choosen as eligible with the consent of all undersigned, to the aim of facilitating public access for mere research scopes;
- the Association and Andrea Martocchia will do their best to inform the interested public about the existance of this archive. THis will be done primarily on the Association’s web site and in some publications if feasible.
Any future requests may be addressed personally to the following contact persons: Andrea Martocchia (secretary, CNJ-onlus); Ivan Pavičevac (president, CNJ-onlus) [contacts].
Andrea Martocchia
For approvation, Drago’s daughter Dragica Ivanovič Čibič
Aggiornamento dicembre 2017: esattamente nel
terzo anniversario della morte di Drago Ivanović, il suo
fondo archivistico ha trovato appropriata collocazione nel
Centro di Documentazione "Giuseppe Torre" di
Jugocoord Onlus a Bologna. Per richieste di consultazione e
di copie di documenti, gli studiosi debbono presentare
richiesta motivata all'indirizzo: jugocoord@tiscali.it
. Di seguito alcune fotografie del fondo archivistico:
GRATITUDINE ETERNA AL POPOLO DI MORRICE
Il paese di Morrice nel periodo dal 3/10/1943 al 12/3/1944 ha accolto, nutrito e protetto un gruppo di 10 Montenegrini, ex internati nel campo di Colfiorito di Foligno.
Essi erano: Lazar “Lazo” Golubović; Branko Golubović; Spasoje Bojanović; Dušan Burzanović; Milutin Djurišić; Velimir “Veljo” Djurišić; Djuro Djurišić; Milovan “Mujo” Kovačević; Ilija Kažić; Dragutin “Drago” Ivanović.
TRAJNA ZAHVALNOST NARODU MORIĆA
Selo Moriće je u vremenu od 3.10.1943. do 12.3.1944. prihvatilo, hranilo i sačuvalo grupu od 10 Crnogoraca, bivših interniraca logora Kolfiorito di Folinjo.
To su: Golubović Lazar - Lazo; Golubović Branko; Bojanović Spasoje; Burzanović Dušan; Djurišić Milutin; Djurišić Velimir - Veljo; Djurišić Djuro; Kovačević Milovan - Mujo; Kažić Ilija; Ivanović Dragutin - Drago.
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia pose
su dettato del compianto Drago Ivanović
Con il patrocinio del Comune di Valle Castellana
Settembre 2023
Ultimo aggiornamento di
questa pagina: 8
settembre 2023
Scriveteci all'indirizzo partigiani7maggio
@ tiscali.it