Ricordo di
Giuseppe Maras
Cari amici ed
amiche, cari compagni e compagne!
Dopo aver esordito, mio padre avrebbe forse guardato intorno
con compiacimento, riconoscendo i volti di coloro con cui
aveva condiviso tanta parte -e così importante- della sua
vita.
Sicuramente avrebbe detto ironicamente che ogni anno c’è
qualcuno in più che non si presenta all’appuntamento, assente
giustificato, ma che non importa... la storia viene tramandata
a prescindere dalla presenza fisica di chi la scrisse.
E’ la prima volta che mi capita di parlare in pubblico di mio
padre, la prima e probabilmente l’ultima volta che ne faccio
una sorta di commemorazione, e non sono nemmeno molto sicuro
che ciò che dirò sarà una commemorazione.
Negli ultimi anni di vita ho trovato con mio padre un rapporto
diverso da ciò che era stato in precedenza. Ho recuperato una
dimensione più filiale della relazione. Sono riuscito a fargli
persino qualche coccola. Mi piacerebbe oggi condividere con
voi qualche ricordo... vedere il nostro, anzi il vostro Pino
da una angolazione inconsueta. Dico Vostro perché ho
intenzione di lasciarvi per intero la dimensione eroica,
storica, pubblica, del personaggio. Per me è Papà, il mio
papà, e tanto mi basta.
Non è certamente facile essere figli di un Eroe. Ma è facile
essere figli di un Giusto.
L’attività di raccolta ed organizzazione dei cimeli storici e
l’associazionismo partigiano sono stati praticamente l’unico
hobby di mio padre, che io ricordi. Fin da quando ero bambino
lo ho visto passare i pochi momenti liberi a studiare rubriche
ingiallite e cartine. Diceva sempre che si preparava il lavoro
per quando sarebbe andato in pensione. In realtà quando è
stato finalmente libero dal lavoro di ufficio si è dedicato
molto anche alla manutenzione della casa... chi di voi che ha
frequentato Casa Maras non lo ha mai trovato intento a
lucidare un tavolo o a verniciare una finestra?
Comunque, ha portato a termine la missione che si era data.
Non è passato molto tempo fra il completamento dell’enorme
lavoro di archiviazione e ricostruzione storica, e la sua
scomparsa. Sicuramente sentiva l’esigenza di terminare il
lavoro prima che le forze e la lucidità gli venissero a
mancare. Oggi tutto il suo lascito: documenti originali,
materiale, ricostruzioni storiche, è nel Museo Garibaldino di
Porta San Pancrazio.
La vita di mio padre ha avuto un punto di frattura, una svolta
decisiva, con la morte di Lina, l’amata moglie, mia madre. La
prima volta in vita mia che lo ho visto piangere. Da quel
momento è iniziata un’altra storia, di cui non ho voglia di
parlare, scandita da un rapido susseguirsi di infarti e
malanni. Voglio però dire che è proprio in quegli ultimi due
anni che ho scoperto aspetti della personalità, del carattere
di mio padre che fino ad allora non erano emersi. Una
tenerezza rimasta nascosta sotto la scorza del Comandante.
Fin da quando ero bambino dicevo... sono cresciuto sentendo i
racconti epici delle gesta dei Partigiani, della Divisione
Italia. Racconti spesso ripetuti, fin nei minimi particolari,
a visitatori diversi. Ma sempre ascoltati da me con avido
interesse. Così oggi posso raccontare la storia di “Guardia
Rosa”, o del “gatto del prete”, o la fuga dal villaggio nella
notte fra le linee dei nazisti, con i bambini morti soffocati
involontariamente dalle madri che coprivano loro la bocca per
timore che piangessero e si facessero scoprire.
O, ancora, la storia dell’uovo sodo diviso in sette, tirando a
sorte le briciole (dividerlo in otto sarebbe stato al limite
meno difficile). E le marce in Bosnia. Le battaglie. Storie di
fatiche, di coraggio, di fame, di determinazione, di barbarie,
di riscatto e onore. Sopratutto, lo voglio dire, storie di
meravigliosa solidarietà fra Uomini, con la U maiuscola.
Consentitemi di non soffermarmi a valutare, a dare un giudizio
sui fatti e sulle storie che udii. Non troverei sicuramente le
parole adeguate, e tanti di voi, che hanno vissuto quella
epopea, possono farlo più degnamente di me.
Vi voglio raccontare la storia di “Guardia Rosa”.
Molte foto fatte nel corso degli anni, con diversi ospiti,
mostrano papà sotto un quadro, che ritrae un partigiano
dall’aspetto piuttosto campagnolo. In basso, vicino alla firma
dell’autore, il titolo: <<compagno “Guardia Rosa”,
paesano da Padova (intorno)>>
Il quadro fu dato a mio padre dall’autore, affinché lo facesse
avere ai familiari dell’uomo ritratto, un partigiano suo
grande amico, morto in battaglia. Ma dell’uomo nessuno sa
nulla, tutti i compagni lo ricordano con il suo soprannome
“Guardia Rossa” (ma per uno Slavo “Rossa” o “Rosa” suona
simile...). Mio padre ha cercato a lungo, inutilmente, di
risalire all’identità del personaggio. Un contadino, da un
paese vicino Padova, ... ma dove? Quel quadro rappresentò
sempre per papà una sconfitta, fu un suo cruccio quello di non
aver potuto riportare “Guardia Rossa” ai suoi cari.
Un giorno io ed i miei fratelli, vedendolo continuamente alla
scrivania alle prese con grandi libroni (i famosi ruolini dei
reparti) decidemmo di modernizzare l’attività, e gli regalammo
un computer, uno dei primi personal computer che cominciavano
ad essere prodotti. Era uno strumento rudimentale, non
consentiva di produrre stampe, per esempio. “L’informatica
entra fra i Partigiani” scrisse lui con tono trionfante in un
articolo scritto per una rivista. Ma tornò ben presto ai
quadernoni scritti con calligrafia minuta ed ordinata.
La guerra aveva insegnato a Pino la rinuncia ad ogni
tornaconto personale, e l’intransigenza verso se stessi prima
che verso gli altri. Subito dopo la fine della guerra un
qualche Ministero lo aveva incaricato di pagare i soldi
arretrati ai suoi soldati. Gli avevano dato un sacco con i
soldi... si proprio un sacco come quello della befana.
Raccontava che, finita la distribuzione, era rimasto parecchio
denaro. Così aveva girato per vari uffici ... “scusate, avrei
questo denaro che mi è avanzato...” ma tutti gli dicevano “non
possiamo riprenderlo, ormai è stato stanziato e la contabilità
non si può modificare...” Fin quando trovò qualcuno che gli
disse “bravo, signor Maras!!! lasci pure qui che ci penso
io...” A questo punto del racconto una smorfia gli increspava
le labbra, un po’ il disgusto verso il furbo di turno, un po’
forse la mesta constatazione che lui furbo non era e mai lo
sarebbe stato, in quel modo. Avrebbe continuato tutta la vita
a sudarsi il pane onestamente. Felice di sapere che non
avrebbe mai dovuto abbassare gli occhi davanti a nessuno. Era
questa la sua stella polare. Non avrebbe mai, mai voluto
deludere coloro –ed erano tanti- che lo consideravano un
esempio, che avevano creduto in lui.
La storia era iniziata all’indomani dell’8 Settembre 1943. Si
trovava già in Yugoslavia, però stava combattendo dalla parte
sbagliata. Raccontava spesso dello sbandamento dei suoi
commilitoni quel giorno, della fuga di molti ufficiali e
comandanti. I Partigiani avevano detto ai soldati italiani
“non vi odiamo, non vi facciamo prigionieri; se volete
combattere con noi siete i benvenuti e sarete nostri pari; se
volete cercare di tornare a casa vi indicheremo la strada, ma
dovrete lasciare a noi tutto l’equipaggiamento, le armi, i
cappotti”. Lui non volle cedere il cappotto, e scelse di
restare. Ma del “prima”, del periodo antecedente l’8
Settembre, non ha parlato mai. Non ne so nulla. Non una
fotografia, non un ricordo.
Il periodo delle celebrazioni post-belliche è anche esso ricco
di aneddoti. Amava partecipare ai viaggi rievocativi, amava
incontrare i compagni yugoslavi di un tempo, tornare nei
villaggi e sui sentieri che aveva calcato alla testa della sua
Divisione. Raramente si sottraeva ad un invito per parlare,
per rievocare. Il tempo era passato, la tecnologia galoppava.
Gli regalammo un computer vero, per potersi creare un archivio
di discorsi ed articoli, in modo da avere la possibilità di
scrivere facilmente... Macché, continuò ad usare la vecchia
macchina da scrivere, fogli bianchi e carta-carbone, pestando
i tasti con due sole dita ... ma velocissimo!
Di tutti questi incontri rimane fra l’altro una imponente
documentazione fotografica. Naturalmente in quasi tutte le
foto compare anche Lina... chi ha partecipato lo ricorderà
bene... Dopo vani tentativi iniziali di sottrarsi a questa
affettuosa ma attenta e costante presenza, l’eroico
combattente rinunciò a questa battaglia, e Lina divenne una
Partigiana adottiva.
Non ha avuto una vita facile, Pino. Trovarsi a 22 anni alla
testa di 5000 uomini a combattere per la libertà ti lascia il
segno. Un passaggio dalla fanciullezza alla consapevole
maturità. Però diceva sempre di non volersi lamentare. Si
considerava un uomo fortunato, in qualche modo. Solo che la
fortuna lo aveva assistito in maniera ... poco tradizionale.
Era inciampato nell’unica mina tedesca difettosa, che non era
esplosa. Un’altra volta si era trovato in un campo, ed aveva
visto gli abitanti del villaggio venire verso di lui urlando e
sbracciandosi. Capì che gli dicevano di stare fermo. Era nel
mezzo di un campo minato. Un’altra volta ancora gli era
esplosa vicino una mina, mentre marciavano in fila. Il
compagno due posizioni avanti a lui aveva avuto una gamba
tranciata; quello davanti a lui era morto sventrato; a lui una
scheggia aveva fatto volare via il cappello... Due anni di
guerra partigiana, e neanche un graffietto... no, non c’era
proprio da lamentarsi!
Ed una volta, vinto dalla stanchezza, dal freddo e dalla fame,
si era seduto appoggiato ad un albero, chiedendo agli altri di
andare avanti ed aspettando la fine... Ma qualcuno era tornato
dopo pochi minuti a prenderlo: erano arrivati ad un villaggio,
dove potevano rifocillarsi e riposare!
La guerra è finita, la vita ha continuato a scorrere
inesorabilmente, il diario del Comandante è arrivato
all’ultima pagina.
Sono ormai 3 anni che Pino ci ha lasciati, ma il suo ricordo è
vivo in coloro che lo hanno conosciuto ed amato: i suoi figli,
i suoi amici, i suoi Partigiani.
Vi ringrazio per avermi dato l’opportunità di ravvivare i miei
ricordi, per avermi consentito di tornare bambino per qualche
minuto, e di aver reso possibile la piccola magia di sentirmi
ancora per qualche attimo vicino a Lui.
Giuseppe Maras (in primo
piano) alle esequie di Tito, Belgrado 1980
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