Saremo
grati
per tutte le segnalazioni, che aggiungeremo volentieri
Alcuni profili di partigiani di diversi paesi si possono
leggere
alle pagine del nostro PROGRAMMA
e delle nostre ADESIONI
L'"AFFICHE ROUGE"
Il
21 febbraio 1944, 23 membri della resistenza comunista –
FTP-MOI (Francs Tireurs et Partisans – Main d’œuvre Immigré)
furono giustiziati sul Mont Valérien. Il processo a
questo gruppo (noto come gruppo Manouchian dal nome del leader
della sezione parigina, il poeta e attivista armeno Missak
Manouchian), durato un solo giorno, fu oggetto di una vasta
campagna sulla stampa collaborazionista. La ragione di questo
violento attacco da parte dei giornali del potere è
semplice : dei 23 membri, 20 erano stranieri e fra
questi c’erano 11 ebrei. L’obiettivo era di usare il gruppo
Manouchian per dipingere la Resistenza come un affare
comunista e ebraico. La campagna raggiunse il suo
apice con la pubblicazione e l’invio in tutta la Francia, nei
giorni successivi l’esecuzione, dell’Affiche Rouge : il
manifesto chiedeva « Liberatori ? » e sotto le
foto di treni deragliati e corpi crivellati rispondeva
« Liberazione con le armi del crimine ». Più importante, soprattutto
dal punto di vista dei nazisti, le dieci foto di altrettanti
attivisti, ciascuna accompagnata dall’elenco dei
« crimini » : Manouchian,
armeno, capo del gruppo, 56 attacchi , 150 morti, 800
feriti. La vicenda ha dato origine a
varie polemiche sul ruolo del PCF in questa
vicenda : perché nel 1944 il partito comunista francese
lasciò a Parigi solo questo gruppo
« internazionale » (FTP-MOI), provvedendo a spostare
altrove la resistenza francese (FTP) ? Fu una
scelta intenzionale o dettata dalle circostanze, nella misura
in cui il FTP-MOI era più attivo e organizzato, dunque più
adatto a restare in prima linea?
I membri italiani del
gruppo erano :
Rino
Della Negra,
comunista di 21 anni Spartaco
Fontanot,
comunista di 22 anni Cesare
Luccarini, comunista di 23 anni Antonio
Salvadori, comunista di 24 anni Amedeo
UsseglioPulatera, comunista di 33
anni
Per approfondire : . Henri
Noguères : Histoire
de la Résistance en France, de 1940 à 1945,
Paris, R.
Laffont, 1967-1981, 5 vol., t. 4, pp. 373-375 . Jacques
Ravine : La
Résistance organisée des Juifs en France, 1940-1944,
préf. de Vladimir Pozner,Paris, Julliard, 1973,
316p. . Philippe
Garnier Raymond : L'Affiche
rouge, Paris, Arthème Fayard, 1975 .
Manouchian Mélinée : Manouchian . F.
Johannès : Exposition Histoire de l'Affiche Rouge . Stéphane
Courtois-Denis Peschanski-Adam Rayski Le sang de l'étranger,
Fayard,1989 Discografia : . CD de Léo
Ferré - texte d'Aragon Documentari : . CD-ROM La Seconde Guerre Mondiale,
Arte éditions, Marc FERRO, « Histoire
parallèle » Film : .
L'affiche rouge, 1976
Ulteriori informazioni e contatti presso il
Circolo dei Garibaldini
20, Rue des Vinaigriers
75010 Parigi
(X arrondissement, vicino al Canal St Martin;
Metro Jacques Bonsergent)
Andrea Bencich è nato a
Muggia nel 1910, e descrive nella sua autobiografia (uscita
nel 1988) "DA MUGGIA A ROVIGO":
La gente di Muggia era orientata a
sinistra anche prima della prima guerra mondiale e vi erano
assai diffuse le lotte operaie, di tipo socialista,
sindacali e politiche, alle quali prendeva parte anche mio
padre... mia madre proveniva dal piccolo paese di Slope, sull'altipiano
carsico
ai confini della zona morenica dei Brkini, paesino che ha
dato molti partigiani e molte vittime, durante la seconda
guerra mondiale, nella lotta contro il nazifascismo, tra le
quali anche mio cugino Pocekaj. Di lì a pochi anni la mia
famiglia si trasferì da Muggia a Tublje, un centro agricolo
sul pianoro carsico interamente sloveno etnicamente, la cui
popolazione era composta da ventisei famiglie tutte dedite
all'agricoltura... Pure i tubeljci erano di orientamento di
sinistra...
Andrea Bencich non si
trasferì in Italia, ma dopo sei anni trascorsi nel carcere di
Stremska Mitrovica (dove fu rinchiuso per attività rivoluzionaria e dove
"frequentò l'università dei rivoluzionari", un suo insegnante
era quel Moša Piade
condannato a trenta
anni) fu "liberato" nel 1939 ed espulso in Italia. A questo
proposito Bencich scrive:
Ma il tempo trascorreva inesorabile e
si avvicinava sempre di più la data dell'undici giugno del
1939, giorno in cui finiva la mia detenzione iugoslava. E
arrivò anche quel giorno. Alle ore 11 mi chiamarono nella
direzione e il direttore del carcere, scherzando, mi disse
di sedermi e di bere un caffè poiché loro volevano essere
esatti: poiché fui arrestato alle ore 11.30, sei anni prima,
mi avrebbero lasciato alla medesima ora. Così fu. Ma fuori
del carcere mi aspettavano dei gendarmi jugoslavi che
avevano il compito di condurmi sino a Lubiana. Mi misero le
catene ai polsi, senza stringerle troppo stavolta, e mi
condussero a Lubiana dove mi consegnarono alla questura. Fui
preso in consegna da due alti funzionari della polizia che
mi interrogarono circa la vita del carcere e circa il mio
avvenire. Mi proposero di non espellermi in Italia a
condizione che io rinunciassi ad essere comunista. Rifiutai.
Poi , un poliziotto mi condusse a Rakek, stazione alla
frontiera con l'Italia. Così, dopo sei anni di carcere e
dieci anni da quando ero entrato in Jugoslavia, facevo la
medesima strada nel senso inverso e in condizioni ben
diverse. Non posso dire che ero allegro ma neppure abbattuto
più di tanto poiché era in me la ferma determinazione di
mantenere la promessa che feci ai compagni di Sremska
Mitrovica e al compagno Kersovani, (Otokar Kersovani, nativo di
Pola, giornalista molto colto, parlava quattro lingue e nel
1942, i fascisti croati lo sgozzarono come un agnello ndr) il giorno
dell'addio, cioè che sarei stato comunista in qualsiasi
circostanza che mi potesse accadere... A Rakek fui
introdotto nell'ufficio del commissario jugoslavo di
frontiera, un uomo sulla quarantina, dai modi civili, che
parlava uno sloveno perfetto. Mi offrì anche lui il caffè, e
mi promise di non espellermi in Italia, dicendo che a lui
ripugnava farlo, ma a condizione (la stessa di Lubiana) che
io rinunciassi con una dichiarazione scritta a considerarmi
comunista. Risposi,
senza jattanza ma fermamente, che io mai avrei fatto una
cosa del genere e che lui, anche se gli dispiaceva, facesse
pure il suo dovere. Il commissario per tutta risposta mi
disse: "Vorrei avere fra i miei gente come lei". Al che io
risposi: "Non potete averla poiché non avete i nostri
ideali". Mi strinse la mano e mi fece condurre oltre
frontiera... Al commissariato italiano mi tolsero le catene
jugoslave e mi misero quelle italiane; poi, sotto scorta di
due carabinieri, mi condussero a Trieste in treno...
Quindi da un carcere
jugoslavo ad uno italiano, dopo l'otto settembre Andrea
Bencich partecipò alla Resistenza nella città di Bologna, alla
fine della guerra andarono a fargli visita a Bologna due
dirigenti del partito comunista jugoslavo per fargli una
proposta:
...Quando vennero da me a Bologna i
compagni Srecko Vilhar, professore di Capodistria, che aveva
fatto vari anni di carcere a Sremska Mitrovica assieme a me
e Anton Ukmar, pure lui da Capodistria e che fu uno dei
comandanti partigiani a Genova (Ukmar che ho conosciuto
personalmente è stato anche uno degli istruttori degli
etiopi durante la loro Resistenza nei confronti dell'Italia
fascista, ed è di origini carsoline. Ndr), durante
la guerra contro i nazisti. Loro due mi fecero la proposta
ufficiale di andare in Jugoslavia. Non avevo problemi a
rispondere: ammiravo la Jugoslavia e Tito per quel che
avevano fatto durante la guerra partigiana; mi ero formato
in gran parte politicamente a Sremska Mitrovica, ma in pari
tempo mi ero legato strettamente ai compagni e alla gente di
Bologna; sono cittadino italiano anche se il mio cognome è
sloveno; eppoi, la cosa più importante: non sono entrato nel
partito in cerca di carriera comunque concepita, ma per gli
alti ideali del socialismo in cui credevo e credo sempre,
malgrado gli errori e anche qualche degenerazione... per cui
risposi ai due compagni che apprezzavo altamente la loro
proposta, che essa mi onorava, ma che non accettavo poiché
non volevo che si potesse dire: in Jugoslavia, che Bencich è
venuto qua a pappa fatta; e in Italia, che Bencich ha
disertato, persino lui, la nostra lotta. I due compagni
hanno compreso e apprezzato la mia decisione...
Bencich poi ne passò di cotte
e di crude, dopo la risoluzione del Cominform sospettato di
titoismo, e messo ai margini. Scrive Bencich:
A Chioggia, intanto, si tenne una
riunione di partito... mi accusarono apertamente di titismo.
Fu dimenticato, di colpo, tutto ciò che avevo fatto per
loro: la "Socialpesca", la cooperativa delle merlettaie, il
rafforzamento organizzativo e politico del partito, il
legame con le masse... ero appena sposato e vivevo, non mi
vergogno di dirlo, alla giornata e ai limiti della povertà.
Avevo la polizia di Scelba alle mie calcagna e ben
difficilmente avrei potuto trovare un lavoro, non dico
decente, ma neppure uno qualsiasi, conosciuto come ero per
un comunista irriducibile. Andai a Rovigo... Zanelli mi
ricevette con la cordialità di sempre e da vero romagnolo.
"Non aver paura! Vieni a lavorare a Rovigo in Federazione.
Io garantisco per te".
Altro che "sicuramente in
Italia stava meglio"!!! Chiudo con alcune righe della
prefazione di Elios Andreini: "Bencich nasce cittadino austriaco e vive
intensamente i drammi di due popoli,
lo jugoslavo e l'italiano. Passa attraverso tre monarchie e
due fascismi, in lui si riconoscono i segni profondi della
Terza Internazionale comunista, da cui trae gli slanci
generosi ed ideali. Assiste a grandi dispute e a dolorose
divisioni. In carcere a Sremska Mitrovica, trova la sua
università. Come maestri ha uomini di grande valore, il fior
fiore della intellighenzia dei popoli jugoslavi, destinati a
divenire i leader della Resistenza del nuovo Stato... Nel
dopoguerra se non avesse scelto di restare italiano, avrebbe
avuto una vita parallela in terra jugoslava ove i trascorsi
politici potevano giocare un ruolo decisivo nella formazione
dei gruppi dirigenti. Avrebbe certamente portato un buon
contributo con il suo equilibrio, la sua passione, la sua
intelligenza. Ma nel politico di professione che "non sapeva
comandare" e considera il periodo più intenso e bello della
sua vita quello del carcere in Serbia, nel compagno Bencich,
con incarichi probabili nella Lega dei comunisti jugoslavi,
sarebbe esplosa la nostalgia per le strade, le colline, le
pause e le donne di Bologna. A 78 anni Bencich, in pensione, (riceveva
anche una pensione dalla Jugoslavia per meriti rivoluzionari.
Ndr) alle otto apre la
Federazione Comunista, legge, scrive, insegna russo ad un
docente di latino e greco, distribuisce la stampa di
partito, mantiene relazioni umane e politiche, si
cimenta negli scacchi. Il tutto avviene nella stanza più buia,
più appartata, Più scomoda di via Celio, scelta quasi per
vocazione e per nostalgia per spazi angusti della sua
università, Sremska Mitrovica. Qui è nata anche la sua autobiografia."
Dimenticavo. Andrea Bencich
ha dedicato il suo lavoro "a quanti, in silenzio e senza
riconoscimenti d'alcun genere, hanno sacrificato la loro
esistenza per l'affermazione di una società libera e
democratica".
fabio
fontanof (dalla lista resistenza_partigiana @yahoogroups.com )
BRUNO BRUNETTI
di Firenze - combattente partigiano italiano in Albania
Ci ha lasciato nel 2003
WLADIMIRO CAIMMI
Da: "Fosco Giannini" Data: 28 ottobre 2009 8:07:14
GMT+01:00 Caro
compagno/a, ti invio questo mio articolo apparso oggi su
“Liberazione”. E’ il ricordo di uno straordinario compagno che
ci ha lasciati pochi giorni fa, un partigiano, un comunista,
un grande scrittore. Ero molto legato a lui e ci terrei tanto
a farlo conoscere... se potete, se non vi costa fatica, fate
conoscere Caimmi al più alto numero possibile di compagni e
lavoratori, specie ai giovani. Caimmi se
lo meritava. Un grande
abbraccio, Fosco
ADDIO
AD UN RIVOLUZIONARIO *
Si è spento ad Ancona Wilfredo Caimmi, partigiano, medaglia
d’argento al valor militare nella lotta di Liberazione,
comunista, scrittore
* da “Liberazione” di mercoledì 28 ottobre ’09
di Fosco Giannini
Lo scorso 16 ottobre il
compagno Wilfredo Caimmi ci ha lasciati. E’ stato un
rivoluzionario e questa parola – difficile da usare – è
quella che più di ogni altra, pienamente, lo ritrae, non
solo per la sua fulgida storia personale, ma anche – e forse
solo chi l’ha conosciuto può capire – per il modo che aveva
di rifiutare seccamente l’attuale ed egemone mercificazione
capitalistica della nostra vita ( non viveva certo di
stenti, tuttavia guai, con lui, a buttare via un pezzo di
pane, a fargli notare che la sua giacca era lisa, che le sue
scarpe erano quasi a bocca aperta). Nato ad Ancona nel 1925,
Wilfredo, da liceale, parte a piedi dalla sua città per
andare a combattere i fascisti e i tedeschi, nelle lontane
colline di Arcevia. E’ stato uno dei più amati e carismatici
partigiani della Resistenza nelle Marche ( quando Alessandro
Vaia – il leggendario comandante Alberti, capo della lotta
partigiana per il Centro Italia – venne ad Ancona,
negli anni ’80, chiese innanzitutto notizie del comandante
Rolando, nome di battaglia di Caimmi ) e nel contempo uno
dei più duri e temuti – dai nazifascisti - combattenti per
la libertà, un partigiano che univa alle insolite capacità
di direzione politica una vera e propria maestria nell’arte
militare, che gli valse – assieme al coraggio - la medaglia
d’argento al valor militare nella lotta di Liberazione, cosa
che pochi sapevano, che lui non sbandierava, che occorreva
tirargli fuori con le pinze. Caimmi era un comunista, un
leninista, come teneva definirsi; aveva militato nel Pci,
aveva lottato contro la svolta della “Bolognina” ed è stato
uno dei fondatori - tra i più illustri - del Prc di
Ancona e in Rifondazione è stato iscritto sino alla fine,
schierandosi fiduciosamente per l’unità dei comunisti. Ma Caimmi è stato anche una
vera e propria rivelazione artistica: improvvisamente, nel
1990, già anziano, (rielaborando antichi appunti e ricordi)
inizia a scrivere, scolpendo una dopo l’altra
autentiche gemme letterarie, amatissime soprattutto dai
giovani ( romanzi e racconti come Ottavo Kilometro; Al
tempo della guerra; La notte senza topi; Con la
pazienza degli alberi millenari;Harlem). A differenza di
tanta memorialistica sulla Resistenza (preziosa, ma
spesso priva di ambizioni e di afflato letterario) l’opera
di Caimmi è letteratura forte, evocatrice e i personaggi dei
suoi romanzi – come quelli di ogni scrittore di razza –
emergono dalle pagine con una loro particolare densità di
carne e spirito. E Caimmi non scrive solo racconti della
Resistenza: un vero e proprio capolavoro è La notte
senza topi, ove si racconta la dura vita degli operai del
Cantiere Navale di Ancona negli anni del secondo dopoguerra,
operai comunisti licenziati che diventano – per sopravvivere
– contrabbandieri di sigarette e con i soldi guadagnati,
“convincendo” i funzionari, ricomprano il loro lavoro e il
loro prezioso status sociale e politico di arsenalotti
(costruttori di navi) e militanti comunisti in lotta in un
punto alto della produzione. “ Wilfredo, l’uomo indurito
dagli eventi e dalla lotta – afferma il compagno Alfonso
Napolitano, artista, regista teatrale e anconetano anch’egli
– ci ha riservato, negli ultimi anni della sua vita, una
sorpresa che ci porta alla mente l’Ernesto Che Guevara della
durezza e della tenerezza: ci ha anche consegnato – per
darle a qualche editore - delle meravigliose, tenere e
delicate favole per bambini”. Nel 1990 accade un fatto
che porta Caimmi alla ribalta nazionale: da un sottoscala
della sua abitazione esce acqua; l’idraulico chiamato dal
condominio a riparare il guasto sfonda una parete,
trovandosi di fronte ad un vero e proprio arsenale militare
: erano le armi – fucili, pistole, decine di mauser tolte ai
tedeschi, mitragliatrici – che il comandante Rolando, dopo
la Resistenza, non aveva consegnato e che aveva invece
accuratamente custodito, oleato e tenuto in funzione per 45
anni, forse nell’illusione – all’inizio - che il Vento
del Nord e la rivoluzione potessero proseguire e certamente
nel tentativo – passati i decenni – che la memoria della
lotta non svaporasse. La giustizia borghese,
tuttavia, non può conoscere, né accettare il sogno: Caimmi,
a 65 anni suonati, finisce nelle prigioni anconetane e vi
rimane chiuso – con la sua salute incerta - per
oltre sette mesi. Anche l’Anpilocale non scherza: il
comandante Rolando, la medaglia d’argento per la lotta di
Liberazione, è espulso “ per detenzione d’armi”. Poi, tutto si razionalizza:
Caimmi – ma dopo la galera – viene da tutti, compresa l’Anpi
(che lo riammette nelle sue fila), riabilitato; il suo nome
torna di cristallo e il vasto arsenale incidentalmente
scoperto vieneorganizzato ed esposto – per tramandare lo
spirito della lotta di Liberazione – nel museo della
Resistenza di Falconara, vicina ad Ancona. La lotta partigiana aveva
segnato Caimmi nelle sue più profonde fibre, l’aveva
plasmato per sempre; la grandezza di quei valori e il sogno
della rivoluzione non erano mai più usciti dalla mente e dal
corpo diWilfredo, che era secco, duro ed essenziale come i
suoi pensieri. Severo e di pochissime parole, il vecchio
Rolando sedeva – durante le riunioni al nostro
Circolo, il “ Gramsci” di Ancona - nell’angolo più
oscuro e lontano e negli ultimi anni, quando la discussione
prendeva una piega che a lui non piaceva ( quella
“vendoliana” del superamento del partito comunista )
improvvisamente - senza che nessuno se ne accorgesse, come
un partigiano nella notte - scivolava via, in silenzio. E la
sua assenza diveniva di fatto la critica più dura. Il potere della giustizia
l’ha condotto ( per fustigare un sogno) in quella prigionia
nella quale nemmeno i fascisti erano riusciti a chiuderlo e
quello della Sinistra l’ha mortificato duramente. Chi l’ha conosciuto
lo sa : Caimmi non ha avuto mai paura di tutto ciò e ha
proseguito a testa alta la sua vita, dignitoso,
sincero e solo con i suoi cani lupo. Poi, tutti, hanno
dovuto ravvedersi. Ciò che oggi
chiediamo al nostro giornale, al nostro partito, al suo
segretario è di non dimenticarsi di Wilfredo Caimmi, di
venire ad Ancona a conoscerlo, a mettere a valore la sua
storia di combattente, la sua opera letteraria. Come – anche
in virtù della sua inconsueta e silenziosa modestia -
egli ha ampiamente meritato.
--- *---
Caimmi fu combattente, nella
zona di Arcevia (Marche), fianco a fianco con gli jugoslavi
sfuggiti, dopo l'8 Settembre, dai campi di
concentramento in cui gli italiani avevano rinchiuso i
prigionieri politici delle zone occupate - a Renicci (AR),
Colfiorito (PG), Servigliano (Fermo), Sforzacosta (MC),
Fabriano (AN), e in decine di altri campi. Perciò, per questa sua esperienza
diretta del carattere internazionale e internazionalista
della Resistenza, provammo a coinvolgere Caimmi nel nostro convegno PARTIGIANI! del
2005, purtroppo senza riuscirci, a causa della sua età
già avanzata. Non siamo riusciti nemmeno ad intervistarlo
più recentemente per il nostro
lavoro, attualmente in corso, sul contributo degli
jugoslavi alla Resistenza in Appennino : all'ANPI di
Ancona a fine maggio 2009 ci dissero che non ci poteva
incontrare per motivi di salute. Anche per questi mancati
incontri, il nostro rincrescimento per la sua scomparsa è
particolarmente forte. (il webmaster del sito
PARTIGIANI!)
TERZILIO CARDINALI
Comandante dei partigiani italiani in Albania
Morto in combattimento
Il 9 novembre 2011, ad ottantotto anni, è venuto a
mancare il cavaliere Filippo Cultrera. Ragioniere, nato a
Siracusa, si era trasferito a Viterbo in quanto impiegato
alle Poste. Nel
1943 è chiamato in guerra sul fronte jugoslavo come caporale
del Genio alpini; l’8 settembre lo coglie in Montenegro con
la Divisione Taurinense. Fatto prigioniero dai partigiani
jugoslavi, Cultrera deciderà di passare alla Resistenza
entrando a far parte, appunto, della Divisione Taurinense -
Garibaldi, con cui salirà sino all’estremo nord della
Jugoslavia. In Croazia il suo reparto sarà passato in
rassegna dal maresciallo Tito in persona, per tributare
l’eroico sacrificio dei partigiani italiani nella
Liberazione dei Balcani. Tornerà in Italia nell’agosto 1946.
Cultrera sarà insignito di due croci al merito di guerra,
mentre Tito gli assegnerà la Spomen medalju
(medaglia in ricordo) della Repubblica federativa socialista
jugoslava, in nome dell’amicizia fra i popoli della
coalizione antifascista. Filippo, finché le
condizioni di salute gliel’hanno permesso, ha fatto parte
del Direttivo per il Comitato provinciale Anpi, di cui è
stato Vicepresidente, e ha presenziato assiduamente alle
iniziative pubbliche, in particolare alle celebrazioni del
25 Aprile. Sino all’ultimo ha voluto rinnovare l’iscrizione.Se ne va, quindi, un
Partigiano e uno delle, ultime, figure storiche dalla nostra
Associazione.
(da una comunicazione di
Silvio Antonini, Segretario e PortabandieraAnpi Cp Viterbo)
GIOVANNI
CUCCU
sardo combattente nella brigata "Sercer" tra Slovenia e
Croazia
Nativo di Luco dei Marsi (AQ), partigiano combattente, croce di
guerra al valor militare con la seguente motivazione: “prendeva
parte alla lotta partigiana in territorio straniero con
spirito patriottico ed entusiasmo. Addetto al rifornimento
viveri durante un importante ciclo operativo, s’impegnava con
zelo, spirito d’iniziativa ed alto senso di responsabilità,
affrontando serenamente ogni rischio pur di assolvere
pienamente i suoi compiti. Jugoslavia 25 maggio - 20
luglio 1944”. Nella Divisione Italia dal 9.9.43 all’
28.x.44 col grado di intendente di brigata = maresciallo; dal
29.x.44 all’8.5.45 col grado di intendente di
raggruppamento = sottotenente. Già decorato con encomio solenne
l’11.4.41. (ASAq, Ruolo matricolare n.19528. A cura di Riccardo
Lolli)
DRAŠKO DINIĆ
Partigiano dal 1941, membro della Nova Komunisticka Partija
Jugoslavije
IN MEMORIAM
Dragomir Draško Dinić
(8.7.1907 - 16.3.2005)
Drugovi
komunisti, razvlašćeni proleterijate, juče je, 18.03.2005.
godine, iz redova NKPJ otišao još jedan od boraca - komunista
koji su jurišali na nebo, a u ime humanijeg i
dostojanstvenijeg života radničke klase, kojoj su pripadali
svim svojim bićem.
Sa neizmernim pijetetom i uspomenom punom poštovanja i ljubavi
prema velikom čoveku, revolucionaru i borcu u prisustvu
mnogobrojne porodice, članova NKPJ i prijatelja, uz počasni
plotun ispraćen je DRAGOMIR- DRAŠKO DINIĆ na večni počinak.
Ovaj istaknuti i nepokolebljivi revolucionar, sa partijskim
stažom dužim od sedam i po decenija, koračajući pod crvenom
zastavom borio se za integralnu slobodu, za socijalnu pravdu,
za pobedu komunističkih ideala.
Draško Dinić je rođen 8. jula 1907. godine u selu Donje
Konjuvce, u Leskovačkom okrugu u porodici Nikolaja Dinića,
jednog od prvaka Socijal-demokratske partije Dimitrija
Tucovića na jugu Srbije. Nikolaj Dinić je potom bio učesnik
NOB-a od 1941. godine i narodni poslanik. Rođena sestra Draška
Dinića bila je Narodni heroj Đuka Dinić, koju su Gestapo i
specijalna Nedićeva policija usmrtili u Banjičkom logoru.
Uprkos višemesečnom stravičnom mučenju u logoru ona zločincima
nije rekla svoje pravo ime ni imena svojih partijskih
saradnika. U NOB-u je pod nerazjašnjenim okolnostima poginuo i
njen suprug Filip Kljajić komesar Prve proleterske brigade.
Cela porodica Dinić, njeni rođaci i bliski ljudi bili su
učesnici revolucije.
Draško Dinić je kao dvadesetogodišnjak 1927. godine postao
član SKOJ-a, potom i jedan od njegovih istaknutih
rukovodilaca, a 1929. godine primljen je u Komunističku
partiju Jugoslavije. Od tada je faktički postao profesionalni
revolucionar. Obavljao je niz visokih partijskih dužnosti,
pored ostalog rukovodio je i partijskom tehnikom, kao i
ilegalnim komunikacijama Komunističke partije sa Kominternom,
sa partijskim organizacijama u zemlji, sa slanjem dobrovoljca
u Španiju tokom građanskog rata u toj zemlji.
Bio je član Komisije koja je primala u redove Partije i SKOJ-a
nove kadrove, pa je, između ostalog, sudelovao u donošenju
odluke o prijemu u Partiju i nekih potonjih najistaknutijih
članova Politbiroa. Nažalost, mnogi od njih su kasnije
izneverili komunistički pokret, prešli u reformizam i čak
direktno u buržoaske partije. Draško je ostao nepokolobljiv
marksista-lenjinista, prolazeći zbog takvog opredeljenja kroz
mnogobrojna teška iskušenja koja su se povremeno pretvarala u
golgotu.
Godine 1941. Draško je rukovodio grupom partijskih ilegalaca
koja je iz zatvorske bolnice Gestapoa diverzantskom akcijom
oslobodila uhapšenog Aleksandra Rankovića. Rukovodio je i
mnogim drugim diverzantskim akcijama u Beogradu i Srbiji.
Kada je pao u ruke Gestapoa i Specijalne kvislinške policije
oni nisu znali njegov identitet pa su ga kao običnog ilegalca
internirali u koncentracioni logor u Norveškoj. U logoru je
osnovao ilegalnu partijsku organizaciju.
Posle oslobođenja Draško je bio kadrovik, odnosno po funkciji
druga ličnost u Ministrstvu unutrašnjih poslova sve do 1952.g.
kada je smenjen i uhapšen, jer se suprotstavio masovnom
hapšenju i slanju komunista na Goli otok.
Draško Dinić je diplomirani pravnik. Bio je veoma obrazovan i
ideološki kompetentan i dosledan. A za ideološku komunističku
doslednost se skupo plaćalo i pre i posle II svetskog rata,
kao i posle kontrarevolucije od 1990, a naročito od 2000.
godine. Mnogobrojne teškoće i iskušenja nisu ni za milimetar
pokoloebali Draška Dinića u njegovoj revolucionarnoj
aktivnosti i komunističkom opredeljenju. On je u junu 1990.
godine bio jedan od osnivača Nove komunističke partije
Jugoslavije koja nastavlja slavne revolucionarne tradicije KPJ
iz 1919. godine, tradicije NOB-a i Svetskog komunističkog
pokreta.
Draško je bio član CK NKPJ i, uprkos godinama koje su brojale
gotovo jedan vek, spadao je u izuzetno aktivne i
disciplinovane članove Partije. Sve do pre nekoliko meseci,
dok ga, kako je govorio nisu izdale noge gotovo svakodnevno je
posećivao partijske prostorije i učestvovao na svim partijskim
manifestacijama.
Draško je bio naš učitelj, uzor i ponos, naš primer i živa
enciklopedija komunističkog pokreta u Jugoslaviji i svetu. I
stoga je uživao veliki ugled i imao veliki autoritet, mada je
uvek bio skroman, tih, ali energičan u svakom domenu.
Draško je bio internacionalista i radovao se svakom uspehu
progresivnih snaga u bilo kom kutku planete, a tugovao zbog
poraza, revizionističkih zastranjivanja i drugih neuspeha
komunista. Bio je u principu veliki optimista i sanjar, uveren
u neizbežan istorijski trijumf komunističkih ideala i umro je
u snu, ali mi njegovi sledbenici čvrsto verujemo u neizbežnost
pobede društva zasnovanog na socijalnoj pravdi. A socijalne
pravde nema bez socijalizma i komunizma.
Draško Dinić je bio izuzetno čestit i pošten čovek, uporan i
nepokolebljiv, čovekoljubiv, drag i dalekovid kao i ideologija
kojoj je pripadao.
Ime i delo Dragomira-Draška Dinića ostaće trajno urezani u
anale Komunističkog pokreta u Jugoslaviji, služeći mu kao
svetao primer, uzor i inspiracija u revolucionarnoj borbi.
Neka je večna slava i hvala velikom revolucionaru
Drašku Diniću!
le " colonel Gilles " dans la Résistance,
polonais, juif, communiste. Sa vie, c'est la lutte.
Né en 1911 à Zamosc en Pologne, il appartient ù une
famille aisée de culture yiddish. Très jeune, il
participe, dans les rangs du Parti communiste polonais,
à la lutte contre !e gouvernement autoritaire de Pilsudski.
En 1932, il doit s'exiler et
choisit la France. De 1936 ù 1939, il combat aux côtés
des républicains espagnols dans les rangs tics Brigades
internationales et il sait que la bataille contre le fascisme
sera longue.
A son retour il s'engage dans
l'armée française. Fait prisonnier en 1940, il est
envoyé en prison outre-Rhin, s'en évade et rejoint la
lutte clandestine en France.
En 1942, il organise
l'ensemble des "groupes de sabotage el de destruction "
(GSD), créés par les syndicats dans les entreprises
travaillant pour l'occupant.
En mai 1943, après une vague
d 'arrestation il devient le chef des FTP de !a région
parisienne, sous le pseudonyme de colonel Gilles ".
Cette fonction militaire lui permet d'instaurer une tactique
de guérilla urbaine que mettent en oeuvre les Ftp-moi et
qui porte ù l'occupant nazi des coups sévères et
spectaculaires.
Il est arrêté !e 16 novembre
1943, à Evry Petit-Bourg, en Seine-et-Oise, lors d'un
rendez-vous avec Missak Manouchian dirigeant militaire
régional des Ftp-moi. Sauvagement torturé, il ne parlera pus,
jusqu'à taire son nom. Il est fusillé au Mont Valérien,
le 11 avril I94-1, avec vingt-huit autres résistants.
Source:
"rifondazione_paris", Sab 2 Apr 2005 20:11:16 Europe/Rome http://it.groups.yahoo.com/group/info_prc_paris/
Inauguration de la place Joseph EPSTEIN (Colonel Gilles dans la
résistance)
Lundi 11 avril à 11h15 A l'angle de la rue des Mûriers
et rue des Partants, Paris 20ème Allocution de
Michel CHARZAT, Maire du 20ème
Léon LANDINI, Président de
l'Amicale Carmagnole Liberté
Pierre MANSAT,au nom des élus
communsites de Paris
Žozef Epštajn – Trg u srcu Pariza dobio ime
slavnog partizanskog komandanta
Pun tekst govora Leona Landinija održanog na svečanom otvaranju
trga Žozef Epštajn
u prisustvu najviših predstavnika Opštine Pariza, boračkih
organizacija Francuske i velikog broja Parižana. (prevod: Olga Darić)
Crveni plakat Vodio je u boj heroje poput Manuhiana,
partizane doseljeničkog odreda (M.O.I.) čije su slike zajedno
sa slikama diverzantskih
akcija nacisti po hapšenju, uoči mučkog streljanja, objavili
na svom gnusnom "crvenom plakatatu", oblepivši njime čitav
Pariz i Francusku. Taj "crveni plakat" sa u nizu poređanim
slikama "zlikovaca" danas važi za simbol Francuskog pokreta
(F.T.P.). Komandovao je borcima za oblast Il d'Frans, junacima
poput Anrija Rol-Tangija i Eduara Valerana, steljlanog na
Mont-Valeranu 23. novembra 1943.
Albert Uzulias, načelnik
Glavnog štaba F.T.P-a imao je običaj da kaže: "Žozef Epštajn, to je
najbolji komandant francuskog oružanog pokreta!"
Pa ipak je pao u zaborav! Da! zaboravljen među
zaboravljenima, zaboravljen čak i od pojedinih najbliskijih
saboraca. Šezdeset i jedna godina od njegovog streljanja je
protekla i evo tek danas, ovim svečanim javnim činom, konačno
počinjemo da skidamo veo zaborava. Zapostavljen od mnogih
istoričara, nepoznat velikoj većini stanovnika Francuske. Stranac, Jevrejin, Komunista!
To su verovatno razlozi zbog kojih je zaboravljen njegov
odsudan doprinos partizanskim akcijama u Parizu i području Il
d'Frans-a. Diplomirani pravnik, komunista i čovek koji nadasve
ceni mir, Epštajn nije bio predodređeni vojnik a proslavio se
kao nadahnuti strateg. Tom izvanrednom organizatoru, najpreča
je bila briga za živote boraca. Smatrao je da previše njih
gine u akcijama protiv okupatora, pa je nastojao da što bolje
osmisli odstupnicu i podršku borcima koji su izvodili napad.
Zahvaljujući taktici koju je lično razrađivao, mnogi od nas
ovde prisutnih saboraca, pa i ja lično, bili smo pošteđeni
sigurne smrti. Veliki je broj nas koji mu dugujemo život pa
smo stoga dali sve od sebe da se konačno, obznani ono što
zaborav nagriza već više od 60 godina. Ima tome 25 godina kako
su članovi boračke organizacije iz Bataljona Karmanjol et
Liberte sebi stavili u zadatak odavanje priznanja svom drugu.
Dvadeset pet godina smo obijali pragove nadležnih službi kako
bi zasluge Komandanta Žila bile priznate i kako bi njegovo ime
bilo i formalno slavom ovenčano. Cilj smo eto ostvarili,
danas, zahvaljujući Opštini grada Pariza koja je izašla u
susret našim molbama. Zahvalni smo ovde prisutnom G.dinu
Predsedniku opštine grada Pariza, B. Delanoeu, G.đi O.
Kristien, njegovom pomoćniku, kao i svima koji su nas podržali
u nastojanjima da Žozef Epštajn dobije svoj Trg u Parizu. Pola
Epštajn, majka ovde prisutnog Žorža, preminula je prošle
godine, uskraćena za utešno saznanje da je čoveku kome je
život posvetila, i formalno slavom ovenčan. Ovaj svečani čin u
povodu koga smo se ovde okupili, mada bremenit strasnim
uspomenama, nije žalostan. Žalosni su zaborav, nedoslednost, i
nadasve, žalosno je izdajničko držanje, a mi ovde danas
ispunjavamo reč!
Ipak treba reći i to da je
danas, previše onih koji u sebi potiskuju uspomenu na tragičnu
mladost. Previše je danas porodica koje u srcima još nose
neprežaljenu tugu. Puke reči nisu dovoljne da iskažu bol za
izgubljenim prijateljima, drugovima, braćom. Mi, koji smo
preživeli epopeju oslobodilačke borbe, u nedrima nosimo
uspomenu na pale borce žrtve naci-fašizma. Naša je želja da
slavom budu ovenčani svi koji su pali za našu slobodu i koji
su trajno žrtvovali svoju mladost. Bitka koju danas bijemo
jeste bitka za Istinu. Nedopustivo je da sa nama iščezne
Istorija, ona se mora odbraniti od slojeva prašine vremena
koje prolazi i banalnosti koje ono nanosi, od beskrupuloznih i
upornih pokušaja njenog prekrajanja. Mi, stari borci
pripadnici F.T.P.-M.O.I -a, negovaćemo uspomenu na dane borbe,
aktivnom borbom u vremenu sadašnjem, kome više nisu primerene
uobičajene prigodne svečanosti pukog oživljavanja uspomena. To
s toga što nas za prošlost pre vežu ideali za koje se i danas
borimo, nego uspomene, ma koliko one bile upečatljive. Dužni
smo pamtiti istrajavajući u borbi za bolje sutra.
Neka se zato sa ovog mesta gromko čuje naša reč: "Uspomene nisu samo za
negovanje prošlosti, one su pre svega za izgradnju svetle
budućnosti". Ne! daleko od toga da nam je
stalo do rata i uspomena na njega. Svaki je rat nedostojan
čoveka. Nedopustivo je, međutim, poistovećivanje naših
slobodarskih ideala i borbe za njih, sa fašističkom. A takva
je tendencija danas itekako prisutna. Pokret otpora je od osnovnog
značaja za Francusku, kao i za čovečanstvo uopšte uzev. Da
nije bilo njega, ne bi bilo ni Francuske!
Iako ophrvani godinama, mi,
stari borci istrajavamo u borbi da bismo ostali dostojni
drugova koji više nisu sa nama. Oni su ginuli čvrsto verujući
da se žrtvuju za bollje sutra, za uzvišene ideale bratstva i
jedinstva.
Da! Za svet u kome neće
vladati ratovi, deportacije, rasizam, torture, fašizam. Za
svet u kome je ljudsko dostojanstvo svetinja. Svet u kome
vlada mir.
Ili, kako reče Pol Eliar: "Tek kada više ne bude
ratova, smatraćemo da njihova žrtva nije bila uzaludna".
Da: Miriam Pellegrini Ferri <gamadilavoce @
aliceposta.it>
Data: 14 agosto 2012 21.18.08 GMT+02.00
Oggetto: [vocedelgamadi] Lutto assai doloroso
Il Partigiano, il comunista, il combattente contro tutte
le ingiustizie in ogni parte del mondo: Spartaco Ferri
non é più con noi.
Aveva la tessera del partito comunista nel 1943, quando aveva
solo 19 anni. Diffondeva l' Unità (un solo fogio clandestino)
cosa che avrebbe potuto costargli la vita.e imparò a sparare al nemico dal
suo comandante che era un valido jugoslavo, quando partì
per essere partigiano nelle montagne umbre
Aveva creduto e sperato nel Partito comunista di Gramsci. Ma
quando nel 1968 i burocrati del partito chiamavano
la polizia contro gli studenti in lotta, anzichè ascoltarli,
capirli e indirizzarli alle teorie scientifiche della classe,
Spartaco non esitò a lasciare il Partito. Lavorò per l'
amicizia con la Cina di Mao, con l' Albania di Hoxha, con la
Jugoslavia di Tito, con la Corea di Kim Il Sung, con Cuba.
Accolse con grande entusiamo la proposta della sua
compagna di vita e di lotta, Miriam, madre dei suoi figli, che
ideò di fondare il G.A.MA.DI. per la diffusione della cultura
scientifica della nostra classe.
Nel suo lavoro di Perito industriale specialista in cemento
precompresso, é stato premiato con medaglia dal ministero dei
Lavori Pubblici per aver collaborato alla costruzione del
Ponte in Tor di Quinto in Roma. Il tentativo più volte fallito
di costruire l' autocamionale della CISA, che unisce il
parmense a La Spezia, é stato realizzata con la direzione di
Spartaco e a tutt'oggi (dopo più di trent' anni) é
funzionante.Spartaco é stato un uomo nel senso più pieno del
termine per la sua intelligenza per la sua onestà, per la sua
lealtà e per l' impegno politico e sociale per il quale é
stato sempre protagonista. Insieme alla sua compagna,
Egli ha scritto una delle pagine d' amore più belle e più
intense vissute nel corso della loro unione durata oltre
sessant' anni.
Addio Spartaco!!! Non ti dimenticheremo e continueremo a
lottare!!!
---
Da: Coord. Naz. per la Jugoslavia
<jugocoord @ tiscali.it>
Oggetto: [CNJ] Spartaco Ferri
Data: 16 agosto 2012 00.05.05 GMT+02.00
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus si unisce
al cordoglio per la scomparsa di Spartaco Ferri, cristallina
figura di partigiano comunista e di internazionalista
appassionato. Spartaco mosse i primi passi
della lotta armata antifascista nelle file della Brigata
Gramsci dell'Umbria, sotto il comando di combattenti
jugoslavi sfuggiti ai campi di concentramento sulla nostra
penisola. Dopo la Liberazione si formò soprattutto sui
testi di Engels, maturando una convinta adesione al
materialismo storico e dialettico e ponendosi fermamente in
contrasto contro le derive opportunistiche e anti-scientifiche
di gran parte del movimento comunista italiano. Nei decenni
successivi fu tra l'altro impegnato in iniziative
internazionaliste e di amicizia "con la Cina di Mao, con
l'Albania di Hoxha, con la Jugoslavia di Tito, con la Corea
di Kim Il Sung, con Cuba", come ricorda la sua compagna
di vita, la partigiana Miriam Pellegrini, alla quale va il
nostro più affettuoso abbraccio in questo momento.
Con Miriam, nel 1998 Spartaco è stato tra i fondatori del
GAMADI (Gruppo Atei Materialisti Dialettici) (1),
organizzazione con cui CNJ-onlus da anni collabora ad esempio
attraverso la redazione di un foglio comune sulle questioni
jugoslave (2), nonché nell'organizzazione di iniziative (3) e
nella gestione della sede romana. Come CNJ-onlus siamo fieri
di avere avuto Spartaco tra i componenti del nostro Collegio
dei Garanti.
Porteremo avanti gli ideali internazionalisti e di giustizia
sociale di Spartaco, facendo tesoro dell'esempio e
dell'insegnamento che ci ha trasmesso.
Mi sono addolorata profondamente dalla notizia della scomparsa
del valoroso partigiano e antifascista,compagno Spartaco. In
questi giorni di lutto ti sono molto vicina e acetta le mie
condoglianze le piu sentite e sincere.Io so bene come ti senti
in questi giorni della perdita del tuo caro compagno di vita e
della nobile lotta antifascista e rivoluzionaria. Io ho la
convinzione che tu andrai avanti,sempre energica nelle tue
attivita sociali e pubblicistiche. Tu avrai il calore dei tuoi
figli e il sostegno dei tuoi parenti,di tutti i compagni di
lotta di Spartaco e i tuoi amici e collaboratori.
Con un senso di dolore nel cuore ci rendiamo conto che molti
dei nostri amici partigiani non sono piu tra noi,ma la memoria
di questi arditi combattenti rimara sempre viva,perche hanno
lottato per tutta la vita,prima contro i nazifascisti e poi
contro le forze reazionarie che hanno sfruttato senza pieta le
masse lavoratrici e ci hanno portato in questa situazione
attuale di crisi,di poverta,senza lavoro,interi popoli nel
mondo e anche nei paesi piu sviluppati. Noi siamo fieri di
tutti i partigiani e compagni di ogni nazionalita.
Che il ricordo di compagno Spartaco possa vivere per sempre
nei cuori di chi lo ha conosciuto e amato. Gloria alla memoria
di tutti i partigiani.
Ti abbraccio affettuosamente
Nexhmije Hoxha
---
Questioni della Scienza A cura di A. Martocchia
(pubblicato su La Voce del G.A.MA.DI. di ottobre 2012)
SPARTACO E LA SCIENZA
Il primo ricordo che ho di Spartaco Ferri credo risalga al
1999. Ero assieme ad un altro compagno quando incontrammo
Spartaco e la sua compagna Miriam Pellegrini presso il
cancello del parco della Cacciarella appena ristrutturato, in
via Casal Bruciato a Roma. Conoscevo allora solo Miriam,
indirettamente per averla ascoltata ed apprezzata in
trasmissioni radiofoniche su Radio Città Aperta. Dopo essere
stati presentati, i due si informarono meglio su di me, sulla
mia formazione ed attività lavorativa, e subito Spartaco mi
sorprese: "La tua formazione scientifica è molto preziosa. Ce
n'è bisogno, perchè in giro regna sovrana una confusione
terribile. Il pensiero comunista si basa sulla scienza, ogni
questione politica andrebbe affrontata scientificamente,
altrimenti tutto viene distorto e capovolto. Alla base della
nostra teoria e pratica politica c'è il Materialismo
Dialettico di Engels, che è esso stesso teoria scientifica.
Chi prescinde da questo, anche se si dichiara comunista o
marxista, viene imbrigliato nelle credenze e nelle chiacchiere
della religione, cioè nell'irrazionalità in tutte le sue
forme, ed è perciò destinato al fallimento."
Era la prima volta che sentivo parole simili, pronunziate con
tale esattezza e determinazione, e devo dire che ne rimasi - e
ne sono tuttora - folgorato. Avevo finalmente incontrato dei
compagni con grande esperienza alle spalle, che non solo erano
in grado di insegnarmi qualcosa - e per di più con la
credibilità di chi era stato partigiano, combattente per la
liberazione dal nazifascismo, e poi impegnato in tante
battaglie non solo contro i residui del fascismo ma anche
contro l'opportunismo e le deviazioni delle sinistra
borghese... Non solo potevano insegnarmi qualcosa, ma avevano
anche salda in mano la "chiave" dell'unitarietà tra conoscenza
e passione scientifico-culturale e conoscenza e passione
politico-ideologica. Tutte cose - Engels, la Dialettica della
Natura, il socialismo scientifico - che conoscevo solo
librescamente, per averle lette, e che adesso invece, grazie
alle parole di Spartaco, si incarnavano nell'impegno concreto,
nella attività politica reale, nella frequentazione vera con
questi compagni preziosi.
Spartaco aveva maturato le sue convinzioni sin dagli anni
Quaranta, nel fuoco della lotta partigiana e nei primissimi
anni di vita politica del PCI nell'Italia appena liberata. Mi
spiegò che in quell'epoca - credo fosse tra il 1944 e il 1947
- il Partito organizzava seri corsi di formazione, che
includevano lo studio del Materialismo Dialettico, e quindi
l'approfondimento della figura e dell'opera di Friedrich
Engels. Contenuti che ben presto furono abbandonati dal
Partito, troppo impegnato a conciliare l'aspirazione comunista
con l'egemonia culturale del Vaticano attraverso scelte
compromissorie e snaturanti. Nell'arco di pochi anni divenne
chiaro che nel Partito si era preferito cedere l'attività
culturale ed il lavoro ideologico ad intellettuali che non
solo erano di estrazione borghese, ma che conservavano quella
impostazione idealistica, subalterna al cattolicesimo, che
continua a piagare la vita intellettuale della nostra nazione.
Spartaco era fatto di tutt'altra pasta. Da giovanissimo aveva
recepito la natura più profonda e corretta del pensiero
materialista storico e dialettico, non aveva mai ceduto a
compromessi su quel versante, ed era in grado di tramandare
quelle convinzioni, quel sapere, intatto a giovani "ignoranti"
come me. È una lezione di quelle che non saranno mai
dimenticate.
MIQEREM FUGA
Già Segretario Generale dei Veterani (Partigiani) d'Albania
ANGELO GALAFATI
Lettera
dal
carcere di Regina coeli di Angelo Galafati, pontarolo,
originario di Civitella d'Agliano (Vt), Combattente partigiano
a Roma nel Movimento comunista d'Italia Bandiera rossa,
trucidato alle Ardeatine. La registrazione è stata effettuata
all’Archivio di Stato di Viterbo, il 7 settembre 2009, per
l’inaugurazione della mostra Noi adesso rivoltiamo il mondo, Angelo Galafati e
il Movimento comunista d’Italia Bandiera rossa.
Legge: Laura Antonini, musica: Luciano Orologi.
Dalla scheda Anfim:
GALAFATI ANGELO di Giuseppe e Pettinelli Maria. Nato a
Civitella d´Agliano il 31 agosto 1887, pontarolo. Combattente
della I Guerra Mondiale di cui fu decorato di Medaglia
d´Argento al Valor Militare. Fu sempre d´idee liberali e
democratiche. Sin dal 1923 dovette sopportare, per le sue idee
socialiste, le angherie del regime fascista, al punto che
nella piazza del paese nativo fu oltraggiato e malmenato.
Nonostante la sorveglianza e la mancanza di lavoro, non aderì
al partito fascista. Si adattò ai lavori più umili per sfamare
i suoi sette figli, lavorando giorno e notte. Dopo il 25
luglio 1943 aderì al Movimento Comunista d´Italia Bandiera
Rossa, dove operò unitamente ad altri compagni, unendo gli
antifascisti locali. Su denuncia di una spia, fu arrestato
nella propria abitazione, a Roma, in via Fortebraccio n. 15,
agli inizi di marzo 1944. Con lui furono arrestati quattro
prigionieri russi, un belga ed un francese che aveva nascosto.
Fu detenuto a Regina Coeli, cella 256. Trucidato alle fosse
Ardeatine il 24 marzo 1944.
OVIDIO GARDINI
combattente sotto il comando di Giuseppe Maras nella Divisione
"Italia"
Ci ha lasciato pochi anni fa
Forlì,
settembre
1994:
<<
Caro Ivan, (...) Ti
ringrazio per le attestazioni di stima e per i tuoi personali
ricordi, coi quali hai voluto sottolineare ed esaltare il
clima, i rapporti fra genti e persone e la vita in genere che
caratterizzavano la Jugoslavia degli anni ’70 e primi ’80,
quando era ancora il solco della Resistenza e dei suoi valori
quello su cui si incamminavano la gioventù e la società
jugoslavi. Ma mi
rincuora il constatare che, al di là delle inevitabili
amarezze per le mostruosità dell'oggi, persista in te la
speranza e la fiducia in un futuro che riscoprendo i valori
resistenziali ed umani universali ed eterni riporti pace,
fratellanza ed unità fra tutti i Popoli Slavi del Sud. In
questo senso anche tu oggi, generosamente impegnato verso tali
obiettivi, sei come noi allora, un autentico "resistente" e
ciò consola e ridà forza e coraggio a noi vecchi partigiani, a
voltedisorientati e sbigottiti di fronte agli eventi odierni,
allorché ci sentiamo traditi dalla storia e dagli uomini,
traditi della nostra generosità così mal ripagata (...) magari
traditi dall'età e dai suoi acciacchi e debolezze, anche se
mai traditi dal cuore e dalla coscienza... >>
E presentando l'articolo "La
storia cancellata", inviato a "Camicia rossa" e "Patria
indipendente" (chiedendosi già allora se sarebbe stato
pubblicato), nel dicembre 1998:
<< Come vedi
(...) "La storia cancellata" è una denuncia, con alcune
notizie dati e considerazioni mie personali, che trae lo
spunto dalla rimozione a Spalato [Croazia] della lapide
dedicata al battaglione "Garibaldi", rimozione avvenuta il 1.
ottobre 1998 [in
vista dell'arrivo del Papa Wojtyla]...
A te, che nonostante tutte le difficoltà materiali e
spirituali quotidianamente affrontate nel tuo impegno per le
grandi ragioni ideali, prosegui fermamente sulla tua strada e
ti ricordi sovente anche di un vecchio partigiano della
Resistenza italiana in Jugoslavia come me, invio più
volentieri che ad altri questo mio scritto perché so meglio di
altri ne capirai ispirazione e significato. >>
La lapide era stata
collocata nel novembre del 1963 per ricordare che
l'esercito italiano non rappresentava tutti gli italiani -
come ha raccontato V. Knezovic, presidente dell' ACGL (ANPI
slavo) - e che alcuni di essi hanno voluto combattere accanto
al popolo jugoslavo contro il fascismo. La lapide si trovava
sull'edificio nella Piazza Garibaldi, ora divenuta "piazza di
re Tomislav"... L' edificio, con la Croazia diventata
"indipendente", è diventato sede dell'Arcivescovado... E lì si
è riposato il papa Wojtyla.
<< In Croazia girano liberamente di nuovo gli ustascia
(i fascisti croati) e vengono celebrate messe in suffraggio e
memoria del duce croato Ante Pavelic, che, può darsi, visto il
corso recente delle beatificazioni cattoliche [Aloizije Stepinac], venga
beatificato come eroe nazionale anche lui... >>
Da "La storia cancellata", intervento al Consiglio Nazionale
A.N.P.I., Rimini 29/30, 10.1998:
<< Via la lapide dei
partigiani. INSULTO ALLA "GARIBALDI"
(...) Penso valga la pena
chiedersi se nella "rimozione" della Lapide del Battaglione
"Garibaldi" debba vedersi una specie di omaggio, di
ringraziamento dovuto e di solidarietà storica a Papa
Giovanni Paolo II e al Vaticano per il loro riconoscimenti
anticipati e "partigiani", e per la loro ripetuta presenza
non solo religiosamente "beatificatrice", ma di sostegno e
avallo politico al Governo di Tudjman e all’attuale
Repubblica di Croazia. Infatti, non è forse noto che fra il
Vaticano (oggi retto da Papa Wojtyla) e Garibaldi e i
garibaldini non è corso mai buon sangue, come ci ricordano
le vicende storiche del secolo scorso legate alle lotte per
l’unità d’Italia e anche quelle politiche di questo
secolo...? E (corsi e ricorsi della storia), come
dimenticare a tal proposito l’ atteggiamento del Vaticano,
nel 1873/76, proprio nelle regioni jugoslave, quando
osteggiò direttamente e internazionalmente le lotte per
l’indipendenza e la liberazione dell’Erzegovina e della
Bosnia dal domino turco (mussulmano) condotta dai Serbi
(cristiano ortodossi), a fianco dei quali parteciparono
combattenti volontari garibaldini italiani ?... >>
di Ovidio Gardini segnaliamo il
libro-testimonianza Canta canta burdel
Trascrizione dalla audio cassetta allegata: “Odmor” - Dalla Resistenza
italiana all’estero, canti ed echi, a ricordare una storia.
Testimonianza musicale a cura di Ovidio Gardini
[in grassetto corsivo blu i brani musicali]
LATO 1 <<
Dalla Resistenza italiana all’estero canti ed echi, a
ricordare una storia, la Divisione garibaldina d’assalto
“Italia” in Jugoslavia, 1943 – 1945.
La protesta, 1942 –
1943
In Jugoslavia, "Radio Scarpa" ce l’aveva portato dalla
Grecia, ove già nell’inverno 1940-41, l’aveva cantato la
Divisione Julia, dai greci inchiodata e purtroppo quasi
annientata, sul confine greco – albanese. E noi l’avevamo
fatto nostro e così lo cantavamo: [1'07'']
Sul monte di Perati Era stato, quello di
Albania e Grecia, il primo di una serie di rovesci militari
e umane tragedie dei militari italiani, seguito poi da
quelli in Africa Orientale e Settentrionale, e poi in
Russia. Contrariamente agli ordini che li vietavano perché
considerati disfattisti – e faceva infatti a loro di
contrappunto, paradossale, patetico e beffardo, propalato e
gracchiato dalle trasmissioni della radio del governo
fascista: “Vincere e vinceremmo in cielo, in terra, in mare”
–, oltre al “Ponte di Perati” cantavamo pure il vecchio
canto militare: [4'25''] Ta
pum, ta pum La nostalgia, 1942 –
1943
La esprimemmo tramite note canzoni di musica leggera,
cantando tra le altre: [6'02''] Tornerai
[7'54''] (musicale) E
poiché qualcuno di noi, nonostante gli ordini contrari,
familiarizzava e cantava con la gente del posto, si è
imparato anche: Tamo daleko /
Laggiù lontano
Inizio della Resistenza, Settembre 1943, Dalmazia
Andando in montagna, verso i partigiani jugoslavi, quella
stellata notte del 9 settembre 1943, incontro a quale
destino andava, chi come noi era stato, fino al giorno
prima, aggressore e occupatore armato di quel popolo?
Un’ombra e un dubbio assillanti, presto dissipati
dall’accoglienza comprensiva e poi fraterna dei partigiani
jugoslavi. Tant’è che non molti giorni dopo, guidando in
montagna altri militari italiani fuggiti ai tedeschi o
sbandati e raccolti sulla costa, cantavamo insieme: [10'57''] La strada nel bosco Il 13 settembre 1943, nasce
a Spalato in Dalmazia il battaglione “Garibaldi” che canterà
il proprio inno “Garibaldini”. Lo ascoltiamo, nella parte
iniziale, dalla viva voce dei partigiani del coro della
Divisione “Italia” in una esecuzione del 12 giugno 1945,
registrata a Radio Zagabria, prima del rimpatrio:
registrazione recuperata 20 anni dopo e purtroppo
deteriorata dal tempo e dai limiti tecnici di allora, cui
fanno seguito in un collegamento ideale, le voci della
generazione dei nipoti – i 250 studenti dell’Istituto
magistrale di Forlimpopoli, in un’esecuzione del 22 aprile
del 1989, nell’Aula Magna dell’Istituto, registrata con un
comunissimo registratore portatile nel corso di un
incontro-testimonianza sulla Resistenza italiana all’estero:
[13'50''] Garibaldini
"Bravissimi, molto bene (applausi) Pensate, nella
Introduzione del
mio libro ho scritto che quella testimonianza la considero
una lettera aperta ai compagni partigiani che hanno fatto
con noi la Resistenza in Jugoslavia e che sono sparsi oggi
in tutta Italia – perché eravamo di tutte le regioni
italiane, dalla Sicilia alle Alpi. Ma ho scritto anche che è
una lettera aperta per i nostri figli e i nostri nipoti. Il
fatto di sentirvela cantare mi conferma ancora di più in
questo, e quindi vi ringrazio, perché vedo che questa
lettera aperta è giunta a destinazione. Grazie." (applausi)
Il 15 ottobre 1943, dalla compagnia italiana sorta in
Dalmazia, nasce a Livno in Bosnia il Battaglione Matteotti,
il cui inno diventerà il canto "Noi traditi": [17'36''] Noi traditi
Da quei primi giorni – Dalmazia 1943 – combattendo al fianco
dei partigiani jugoslavi, impariamo, da loro cantata con
nostro stupore in lingua italiana: [20'35'']
Bandiera rossa
Ma impariamo, e facciamo nostri, anche loro canti partigiani
e popolari, come "Marijane". Il canto "Marijane" si rivolge
al Monte Marijan che è sopra a Spalato, e dice: "Oh Marijan,
perché non sventoli la bandiera? Perché non sventoli la
bandiera, amato tricolore, nella quale si legge il nome del
compagno Tito, e dall'altra parte 'avanti
partigiani'?" [21'22''] Marijane
Altro canto è "Dalmatinska", l'inno della Prima Brigata
Dalmata nelle cui file combatterono la nostra compagnia
italiana e che in sintesi dice: "Di Dalmazia nostra prima
Brigata d'assalto, proletario il comandante, proletario il
commissario, proletari tutti i combattenti, valorosi
partigiani di Tito, così fraternamente parlano fra loro:
'Salve comandante! Salve commissario! Salve compagni!"
[23'19''] Dalmatinska "Zdravo drugovi!
Zdravo (...) Kako je, druze? Dobro, a ti? Zdravo italijani!
Pokret, pokret! Pokret drugovi, ajmo!..."
Bosnia. La fame e la lotta
Condivise coi compagni partigiani jugoslavi, fra cui tante
donne della Resistenza, fame e lotta le cantammo con questa
fantasia di canti partigiani e popolari: [24'38''] Oj Glamočko ravno polje /
U Bosni se podignula raja / Lijepa Julijana
(Razgranala grana jorgovana)
Questi tre canti, come il precedente "Tamo daleko" e i
successivi "Blagi vjetar" e "Omladinka Mara", allora da noi
cantati soltanto in serbocroato, vengono qui eseguiti anche
in odierna versione cantata italiana per una comprensione
godibile pure musicalmente: [27'27''] Oj di
Glamoč dolce piano / Nella Bosnia si levò la raja
(Nella Bosnia è sorto il paradiso) / La bella
Julijana
Noi, che arrivavamo stanchi ed affamati, la bella Julijana
ci accoglieva dicendo: “Jedi brate moj!” (Mangia fratello
mio). Mentre ci porgeva quel poco che aveva, una fetta di
polenta e una ciotola di “kišelo mlijeko” (latte acido) –
per noi la vita! Poi andò partigiana, come altre 100.000
donne jugoslave, e cadde come altre 20.000 di loro.
>> [31'00''] LATO 2
<<
Nel clima della
guerra, momenti di vitale accomunante gioia, e anche
d'amore, 1943 – 1945
Dai partigiani e dalle genti jugoslave, a sostenerci
nella durissima lotta, la mano fraterna, l'affetto e
l'amore. Con loro, il canto e il ballo più popolare in
Jugoslavia – [31'36''] (musicale)
– il kolo in versione
ballata... e cantata, che dice: "Allarga il giro, girotondo
del Kozara, allargalo di più ché meglio si danza! Oj
fanciulla, cara anima mia / Širi
kolo oj siri kolo kozaračka lolo! Širi
veče oj siri veče bolje se okreče! Oj djevojko, drago dušo
moja..."
Una vecchia canzone popolare d'amore: [34'00'']
Blagi vjetar poljem piri / Dolce brezza il campo
sfiora
Un canto d'amore partigiano: [37'15'']
Bolna lezi omladinka Mara ... / Giace Mara giovane
malata ...
Il nostro itinerario: La lunga strada per la libertà e la
fratellanza, 1943 – 1945
Partendo dalla già
ricordata e cantata Dalmazia, esso si snoda attraverso le
più volte, in tutti i sensi, percorse Bosnia ed Erzegovina,
anch’esse già menzionate col loro canto – [41'14''] (musicale) Marš na Drini
/ Marcia sulla Drina – toccando il
Montenegro e il Sangiaccato.
Il Durmitor è una montagna: "Durmitor oh alta montagna, oh
lago, mia terra natale" [42'59''] Durmitor
Durmitore visoka planino E proseguendo poi
per Šumadija e Serbia e Belgrado...
La Morava è un fiume: "Oj Morava, il mio villaggio è in
pianura, tu sei in pianura, perché vuoi straripare? Cade la
pioggia e la Morava arriva [43'56'']
Oj Moravo, moje selo ravno
E ancora continuando attraverso Srem, Slavonia, e Croazia,
fino a Zagabria, combattendo e marciando per venti mesi e
circa 11.000 km, a piedi.
L’internazionalismo
resistenziale, 1943 – 1945
Si espresse
in tanti movimenti di Resistenza, che unirono nella comune
lotta contro il nazifascismo, paesi e genti di etnie,
lingue, cultura, credo socio-politico e religioso, diversi.
Nel mondo, in Europa e la Resistenza italiana all’estero ne
è emblematica testimonianza, e appunto in Jugoslavia, ove
noi combattemmo.
Tale internazionalismo noi lo vivemmo nella lotta ma anche –
e lo confermano quelli già cantati in questa testimonianza –
nei canti. Ricordando e
ricollegandoci idealmente alla voce di Radio Londra in
guerra, a quella tipica sigla musicale che allora ne
precedeva la trasmissione – le quattro note iniziali della
Quinta di Beethoven, leggibili anche in alfabeto Morse come
lettera “V", uguale a Victory – dalla missione britannica
presso il Comando supremo del maresciallo Tito, abbiamo,
nell’inverno 1943 – 44, imparato e cantato: [48'12''] It's a long way to
Tipperary "Bravissimi!" (applausi)
"È lunga la strada per Tipperary, è lunga la strada per
andarvi, per la più bella ragazza che io conosca. Addio
Piccadilly, addio piazza di Leicester: è lunga la strada per
Tipperary, ma il mio cuore è proprio là"
E, con nella mente l'eco della voce di Radio Mosca di quei
giorni, annunciata allora da una toccante sigla musicale –
le note iniziali di un canto popolare russo [49'25''] Shiroka Strana Moya Rodnaya
"Oh vasta terra mia natale"... dai tovariši
dell'Armata Rossa incontrati a Mladenovac, Serbia, ai
primi d'ottobre 1944, abbiamo imparato e poi cantato
"Komandir Čapajev": "Il comandante, l'eroe Čapajev, sta
sempre innanzi. Egli comanda i suoi uomini con
entusiasmo e fermezza. Tutta la gioventù al vederlo
gioisce. Tutti accorrono alle sue parole." [50'07''] Komandir Čapajev "Bravi!" (applausi) "Io mi
compiaccio di questo internazionalismo, della vostra,
diciamo, partecipazione, perché oggi, voi sapete, noi stiamo
parlando di Europa e parleremmo d’Europa sempre più, ma non
soltanto dell’Europa dell’Ovest, ma anche quella dell’Est.
L’Europa e il mondo sono, saranno i nostri destini. Ecco,
per questo, noi siamo in sintonia anche oggi."
A Belgrado e avanti, fino a
Zagabria, 1944 – 1945
A Belgrado, liberata
anche da noi, abbiamo formato, coi superstiti dei
battaglioni “Garibaldi” e “Matteotti”, con altri partigiani
italiani, già combattenti in reparti jugoslavi, e con 2500
italiani liberati dalla prigionia tedesca, il 28 ottobre
1944 la Brigata – poi Divisione – Garibaldina d’Assalto
“Italia”, il 29 ottobre il Battaglione – poi Brigata –
“Mameli”, il 19 novembre il Battaglione – poi Brigata – “Fratelli Bandiera”, e più
avanti, nello Srem, a Šarengrad, abbiamo costituito nel
marzo 1945 la Compagnia – poi Battaglione – in armi
d’accompagnamento “Šarengrad”. Ecco l’inno del Mameli che
ascoltiamo nella parte iniziale dalle vive voci dei
partigiani del coro della Divisione “Italia”, registrazione
a Radio Zagabria del 12 giugno 1945, cui fanno seguito le
voci della generazione dei figli, quelli del gruppo di
filarmonici, in una esecuzione attuale: [53'07''] Inno del Battaglione
Mameli Questo che
segue è l' [54'49''] Inno dei
fratelli Bandiera
E conclude l'inno della Brigata – poi Divisione – "Italia",
anch'esso nella parte iniziale con le voci dei partigiani
del coro della Divisione “Italia”, cui seguono le voci della
generazione dei nipoti, dell'Istituto Magistrale di
Forlimpopoli: [56'46''] Inno
della Brigata Italia (Applausi) "Mi dispiace che i ruolini – che sono
dove si registrano tutti i combattenti – della nostra
formazione, cioè della Brigata–Divisione "Italia", siano già
stati chiusi nel 1946 perché sennò vi iscrivevo tutti voi
nella Brigata Italia! (applausi)
Ad essi, ai nipoti, il partigiano cantastorie, nel nome dei
compagni caduti nella Resistenza, lascia il canto e la
testimonianza. Perché continuino a cantare gli ideali della
Resistenza: Libertà, Pace, Giustizia Sociale e
Fratellanza fra uomini e popoli! [60'23'']
musicale (fisarmonica suona il kolo)
Antifascista europeo, ci ha lasciato il 9/7/2014, a 97
anni compiuti.
Nel ’38 fuggì dalla sua Patria invasa dai nazisti e
giovanissimo andò a combattere in Spagna, fu internato dai
francesi, fuggì dal campo di concentramento e partecipò
alla Resistenza francese. La madre, deportata ad Auschwitz
, morì durante il viaggio, il fratello nel campo di Gross
Rosen, il padre in un campo di internamento nella Francia
di Petain.
Nel ’44 riuscì ad arruolarsi nelle truppe USA partecipando
alla conquista della Germania. A 70 anni andò come
volontario in Nicaragua per partecipare come carpentiere
alla ricostruzione di quel paese. Negli ultimi anni venne
diverse volte in Italia (Venezia, Trieste, Cagliari) per
partecipare ad iniziative antifasciste. (fonte)
Comandante della Divisione Italia, già Brigata Garibaldi, nella
Lotta di Liberazione jugoslava;
poi Medaglia d'oro al Valor Militare. Decorato anche da Tito, che conosceva personalmente
Nato a Selve (Dalmazia) nel 1922,
deceduto a Roma il 12 maggio 2002, Medaglia
d’Oro al Valor Militare.
Il
pomeriggio del 14 maggio del 2002, dalla Basilica di
S. Lorenzo fuori le mura, a Roma, mentre impazzava, al
solito, il traffico cittadino, si è visto uscire un
feretro, sistemato su un vecchio affusto di cannone
tirato a lucido. Sulla bara, una bandiera tricolore.
Intorno: una compagnia di bersaglieri in armi, un
gruppo di militari interforze, un drappello di
carabinieri in alta uniforme e in congedo; la
scenografia solenne, insomma, che com’è tradizione,
accompagna i funerali dei decorati di Medaglia d’oro
al valor militare. Fuori della consuetudine, però -
oltre alla piccola folla di parenti e amici, di ex
partigiani con il fazzoletto tricolore al collo (c’era
anche un vecchio signore con camicia rossa e
decorazioni, che reggeva un labaro dei garibaldini) –
era il tricolore che ricopriva la bara. Non solo era
sbiadito, ma al suo centro, nel bianco non più bianco,
campeggiava una stella rossa e la scritta "Divisione
Italia".
Con quella bandiera, dall’8
settembre 1943, l’allora sottotenente dei bersaglieri Giuseppe
Maras, divenuto col tempo per i suoi uomini, "Pino il
generale", aveva, combattendo contro i tedeschi, attraversato
in lungo e in largo la Jugoslavia. Ventidue mesi di
combattimenti durissimi, come ricorda la motivazione della
Medaglia d’oro conferita a Maras il 7 settembre 1968, sino a
quando i "talianski" della Divisione Italia, insieme
all’Armata Rossa e all’Esercito popolare jugoslavo, non
avevano liberato Belgrado. Quel giorno gli uomini di Giuseppe
Maras (alla Divisione Italia si era arrivati per gradi: prima
la costituzione, subito dopo l’armistizio, quando molti
comandi si erano sfaldati, del battaglione "Garibaldi",
composto anche dai giovanissimi carabinieri della "Bergamo"
oltre che da fanti, granatieri, artiglieri e marinai; poi la
costituzione del battaglione "Matteotti"; quindi la fusione
nella brigata "Italia" che sarebbe diventata Divisione), in
mezzo alle macerie e alle cannonate, raggiunsero il palazzetto
dell’ambasciata italiana abbandonato dai diplomatici e
issarono, sul terrazzo, la bandiera tricolore. Forse proprio
la bandiera che Giuseppe Maras aveva custodito per tutta la
vita e che ha accompagnato il suo funerale.
Fonte: http://www.anpi.it/patria/04-0502/19-22-Muraca_Terradura.pdf
Su Giuseppe Mezzenzana si veda veda il libro IN MARCIA
VERSO LA LIBERTÀ. Il contributo di un giovane partigiano
italiano in Jugoslavia 1943-1945
a cura di Roberto Mezzenzana, Legnano 2016 < roberto.mezzenzana
@ gmail.com >. Edizione
autoprodotta in numero di copie limitato
Nato il 24 Aprile 1923. Albanese kosovaro, Veterano della II Guerra
Mondiale, durante l'occupazione nazifascista della
Jugoslavia ha combattuto nella Resistenza come partigiano,
prima in Albania, poi in Serbia e infine in Bosnia. Egli e
la sua famiglia vivevano a Osek Hila, villaggio a 5 Km da
Djakovica, abitato da 1600 albanesi e poche decine di
serbi. Dopo l'aggressione della
Nato e la conseguente occupazione del Kosovo nel giugno
'99, che ha dato via libera alle forze terroriste dell'UCK
nella provincia serba, come altre migliaia di famiglie di
albanesi kosovari, gli Ibraj sono dovuti scappare in
Serbia per non essere uccisi dai secessionisti.
Nato a
Pistoia nel 1914, caduto a Brijestovo (Montenegro) il 10
novembre 1943, medico veterinario, Medaglia d'oro al valor
militare alla memoria.
Si era laureato in medicina a Torino nel 1939 e tre anni
dopo era stato chiamato alle armi. Mobilitato in Dalmazia
con un reggimento di artiglieria alpina della
"Taurinense", dopo l'8 settembre 1943 si unì ai partigiani
che diedero vita alla Divisione "Garibaldi", partecipando
con i suoi artiglieri a numerose azioni contro i tedeschi.
Cadde durante un attacco ad un presidio nemico. La
motivazione della massima ricompensa militare alla memoria
di Villy Pasquali dice: "(...) Visto cadere un
mitragliere lo sostituiva all'arma, continuando il fuoco
contro un pezzo anticarro tedesco; fatto segno al tiro
concentrato di armi automatiche nemiche non desisteva
dalla azione, restando sul posto anche quando l'arma,
più volte colpita, era resa inservibile. Sempre presente
ove più aspro appariva il compito, durante una
successiva azione, mentre con i suoi uomini formava una
insormontabile barriera al nemico incalzante, stroncato
dal fuoco nemico, immolava la sua giovinezza sul campo
di battaglia". Nel dopoguerra a Villy Pasquali è
stata intitolata la sezione di Pistoia dell'associazione
Nazionale Alpini ed anche, a Pinerolo, la Scuola del Corpo
di veterinaria, lasciata dal 1996 in abbandono. (fonte)
A Pistoia << nel giardino di via Antonini,
sull’ angolo opposto dello stesso isolato in cui è situato
il monumento ad Aldo Moro troviamo un giardino ben curato
con al centro una suggestiva scultura di Jorio
Vivarelli, un basamento sovrastato da una grande penna
alpina mozzata, che ricorda il sacrificio dell' alpino
tenente veterinario, Villy Pasquali, caduto in Jugoslavia
combattendo nella leggendaria “Divisione partigiana
Garibaldi”, medaglia d'oro al valor militare, l’unica
assegnata ad un cittadino del comune di Pistoia per il
periodo della Resistenza. La bella scultura venne posta il
20 settembre 1998 per opportuna e benemerita iniziativa
del gruppo pistoiese dell’Associazione Nazionale Alpini.
>> (fonte)
Nata a Chiampore di Muggia
(Trieste) il 23 gennaio 1911, morta a Trieste il 28 giugno 1943, esercente, prima
Caduta della Resistenza italiana. Amabile all'anagrafe, Alma
per gli amici, Maria nella clandestinità, la Vivoda iniziò assai presto
l'attività antifascista, anche perché "La Tappa" – la trattoria di Muggia di
proprietà del padre – era diventata punto di riferimento per gli antifascisti
della zona. Quando le autorità fasciste, negli anni della più dura
repressione, imposero la chiusura dell'esercizio, Alma e il marito Luciano
Santalesa (anch'egli militante comunista), si dedicarono completamente alla
lotta per la libertà. Affidato ad un collegio di Udine il figlio Sergio, Alma e
Luciano scelsero la clandestinità. Maria divenne una delle dirigenti più
attive dell'organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i
collegamenti tra l'antifascismo triestino e le formazioni partigiane
dell'Istria. Quando il marito fu arrestato e fu ricoverato, per le sue precarie
condizioni di salute, sotto sorveglianza in un sanatorio, Maria ne organizzò l'evasione. Era la
primavera del '43 e Luciano
Santalesa, aiutato dalla moglie, riuscì a raggiungere I
partigiani istriani;
combattendo con loro sarebbe caduto qualche mese dopo, pochi giorni prima che anche la moglie
morisse dopo uno scontro a fuoco.
Alma, nonostante
avesse frequentato soltanto le elementari, era una donna di vivida intelligenza. Attenta ai
problemi dell'emancipazione femminile e dell'internazionalismo, aveva
promosso la diffusione della stampa clandestina ed era arrivata a
curare di persona la redazione del foglio "La nuova donna". Anche per questo
Alma era braccata dalla polizia fascista, cheaveva posto sulla sua testa una
taglia di 10.000 lire dell'epoca. Il 28 giugno del '43, la
giovane donna, durante una missione alla Rotonda del Boschetto (Trieste),
fu riconosciuta da un carabiniere che, fingendosi amico, aveva
frequentato "La Tappa" di Muggia. Nello scontro a fuoco che ne seguì,
Alma fu ferita alla tempia. Trasportata all'ospedale, vi spirò dopo poche
ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, che era stata catturata
insieme a lei e che era stata ferita più leggermente. All'indomani
della morte di Alma Vivoda, il nome della prima donna italiana caduta
nella Resistenza fu assunto da un battaglione autonomo della 14a
Brigata Garibaldi "Trieste" (Divisione Garibaldi "Natisone"), composto
da partigiani italiani, sloveni, russi, da marinai romagnoli e da
diverse compagne di lotta di "Maria". Dopo la Liberazione, ad Alma
Vivoda sono stati intitolati il Circolo di cultura popolare di Santa
Barbara (Muggia) ed una strada di Chiampore. Nel 1971, nel luogo
dove Alma fu colpita, è stato eretto un monumento a suo ricordo. (fonte:
http://www.anpi.it/uomini/vivoda_alma.htm
)
CARLA VOLTOLINA
(...) Carla Voltolina, morta a Roma il
6 dicembre 2005, è stata
una donna che ha fatto onore al suo Paese. E non perché – o
non solo perché –
il suo secondo nome, da lei usato solo dopo la scomparsa del marito, era Carla
Pertini. Quando, nel 1944 a Milano, il
dirigente socialista reduce da carcere, esilio, nuovo arresto, condanna a
morte ed evasione, lui ha 48 anni e lei 23, ma la ragazza Carla ha
già sulle spalle una discreta esperienza di lotta. E' nata a Torino, dove vive
con i genitori (il padre è ufficiale), una classica famiglia borghese:
studia, ed eccelle nello sport, in particolare nel nuoto. Una vita
tranquilla, alla quale gli eventi, e un carattere che la spinge a
scelte precise, anche se rischiose, daranno una svolta netta. Dopo il
25 luglio 1943, alla caduta del regime fascista, Carla prende
contatto con il movimento socialista, e dopo l'8 settembre, mentre
l'Italia cade sotto l'occupazione nazista, viene mandata a Roma, dove il
comando delle formazioni partigiane socialiste sta organizzando i
lanci di armi e munizioni da parte degli alleati. Passano i mesi, e
nel marzo del '44 Carla Voltolina va in missione nell'Appennino
marchigiano, a Visso, che nell'inverno è stata una delle prime
"repubbliche partigiane". Ora, all'inizio della primavera, i tedeschi, che
considerano quel tratto dell'Appennino di vitale importanza per i loro
rifornimenti al fronte meridionale, e operano periodicamente
interventi militari, accompagnati dalle SS che, con arresti e sbrigative
esecuzioni, cercano di spezzare i collegamenti della Resistenza. In
questa zona, ovviamente pericolosa, Carla deve prendere contatto con
il comando della Brigata "Spartaco". La Brigata è una "Garibaldi",
quindi comunista, ma l'Office Special Services (l'Oss, che poi diverrà
la Cia, e sarà tutta un'altra cosa) non fa tante distinzioni, e
preferirebbe unificare i lanci, che sono sempre rischiosi, per chi li
effettua e per chi li riceve. Il santuario di Macereto, in un
pianoro isolato tra i monti, rappresenta una buona pista, anche se i
tedeschi la conoscono e vi hanno già fatto un'incursione uccidendo tre
paracadutisti alleati. I partigiani si spostano di continuo sui
monti circostanti, e Carla, fra un incontro e l'altro, fa base a
Visso, all'albergo Montebove, dove si ferma alcuni giorni:
probabilmente troppi, perché, va detto, Carla è una ragazza che si fa notare,
molto: bellissima, alta, con una sfolgorante corona di capelli
ramati, di "clandestino" non ha nulla. E i tedeschi tengono d'occhio
Visso e i suoi dintorni, con agenti travestiti da prigionieri
alleati evasi, e qualche spia. "Meglio che torni a Roma, o vieni
su in montagna", le fa sapere il comando partigiano. Ma le SS
arrivano prima, e la portano via. Per fortuna non ha armi, né carte
compromettenti: si finge malata, e con l'aiuto di un medico riesce a
fuggire. Da Roma, dove è di nuovo attiva, è trasferita al Nord, a
Milano, e qui incontra per la prima volta Sandro Pertini. Ancora la
Resistenza, e finalmente la Liberazione. Il 6 giugno 1946 Carla e Pertini si
sposano. Comincia una
nuova fase.(...)
Primavera 2009: è in uscita il CD "Neve diventeremo"
del gruppo SETTEGRANI,
contenente la canzone dedicata a Radovan Ilario "Rado" Zuccon,
partigiano
istriano prigioniero a Buchenwald, deceduto nel 1995.
Un DVD
di accompagnamento contiene anche il videoclip girato a
Buchenwald ed altri materiali di utile documentazione.
=== * ===
P A R T I G I
A N I ! Una iniziativa internazionale
ed internazionalista nel 60.esimo anniversario della
Liberazione dal nazifascismo