Tommaso Ciani (1), allievo carabiniere a piedi
volontario, ammesso reiteratamente a rafferma, dall’aprile
1940 venne mobilitato con il 9° Battaglione sul fronte
jugoslavo partecipando alle operazioni di guerra che ebbero
inizio l’anno successivo.
Dopo l’inevitabile sbandamento delle truppe italiane seguito
all’annuncio dell’armistizio l’8 Settembre, Ciani fu tra i
primi che a Spalato, nelle convulse giornate che seguirono,
decise, con altri 160 carabinieri, di unirsi ai partigiani
jugoslavi dando corpo ad un reparto che, già dal 14 settembre,
con il nome di
Battaglione Garibaldi, sarà
subito impiegato contro i tedeschi. Parteciperà così alle
operazioni di guerra che faticosamente porteranno la
formazione italiana, inquadrata nell’Esercito Popolare di
Liberazione Jugoslavo, alla progressiva liberazione del paese
dall’occupazione nazifascista.
Il 3 aprile 1944, gli italiani si trovano a fronteggiare il
nemico che, “con forze ingenti” come annota nel diario storico
il tenente Ilare Mongilardi, “
dilaga con numerose colonne
nella vallata di Magaljdol, cosicchè il nostro battaglione
si trova da solo, ora, a contenere l’avanzata verso Mrkonjic
Grad” (2). La giornata si concluderà per il contingente
italiano con un bilancio di un morto due feriti e 10 dispersi
(3), fra i quali deve annoverarsi anche Tommaso Ciani che,
ferito in combattimento alla mano destra e catturato dai
tedeschi, dopo qualche settimana di ricovero nell’ospedale
tedesco di Zenica verrà trasferito nel penitenziario di quella
località (4). I ricordi dei reduci passati per la vecchia
prigione austroungarica rendono eloquente testimonianza delle
sofferenze patite:
Il penitenziario più terribile della Bosnia […]
è orribile per le sue celle, camere di punizione, gabbie
di ferro, etc (5)
[…] molto “attraente” se ripenso a quelle 12 forche
già attrezzate di corde con nodo scorsoio nell’ampio
cortile della prigione (6)
La prigione consisteva in grandi cameroni, mura robuste e
gabbie di ferro collegate tra loro col solo passaggio di
un paio di metri lungo i muri. La metà dei prigionieri in
poche settimane venne seppellita in fosse comuni intorno
al carcere. Oltre agli stenti, la causa di tanti morti in
quel carcere – come anche nel resto della III Brigata alla
quale appartenevamo – era dovuta al tifo petecchiale.
(7)
I prigionieri, sottoposti alle continue pressioni per aderire
alla causa del nazifascismo, erano destinati, in caso di
rifiuto, ad essere trasferiti a bordo di carri bestiame divisi
in gruppo alla volta di Belgrado per poi raggiungere poi la
Germania, come ricorda Lancisi:
Questa la sorte dei primi due gruppi, di cui
facevo parte anch’io. Il terzo ed ultimo gruppo invece
ebbe una sorte migliore: i partigiani jugoslavi fecero
saltare i binari della ferrovia con un colpo di mano. Fu
praticamente messa fuori combattimento tutta la scorta
armata e liberati i prigionieri. Molti torneranno in
montagna con i partigiani jugoslavi e con la Divisione
partigiana italiana «Italia» che rientrò in patria da
Trieste alla fine della guerra. (8)
Tommaso Ciani fu appunto tra coloro che, liberati dai
partigiani il 14 ottobre 1944, non esitarono a schierarsi
nuovamente con il contingente italiano pur potendo sfruttare
l’opportunità del rimpatrio attraverso Dubrovnik, dove era
stato allestito un centro di raccolta di militari e
prigionieri italiani attrezzato dal Regio Stato Maggiore per
organizzarne il ritorno a casa, essendo la Jugoslavia
meridionale ormai liberata dalla presenza delle truppe
germaniche.
Lasciato il campo di concentramento tedesco, Ciani è tra
quanti antepongono al desiderato ritorno in patria la scelta
dell’impegno per la liberazione definitiva del paese dal
dominio nazifascista. Raggiunge così le posizioni dei
battaglioni dei connazionali nella capitale serba per non far
mancare il suo sostegno a combattimenti che si protrarranno
per dieci giorni casa per casa prima della definitiva
sconfitta dell’esercito tedesco. Può così partecipare alla
battaglia di Belgrado e continuare, nella appena costituita
Brigata
Italia, ottenuta dalla fusione dei
battaglioni
Garibaldi, Mameli, Matteotti e F.lli Bandiera, la
risalita verso Zagabria affrontando i rigori di un nuovo
inverno, ben resocontato nel diario storico dal sottotenente
Marras:
18 dicembre 1944. Spajinske Njive. Continua
sempre tenacemente la pressione sul nemico che pur subendo
colpi mortali dal fuoco d’artiglieri oppone resistenza. E’
da notare l’alto spirito di sacrificio e senso del dovere
dei nostri militari, che pur essendo equipaggiati solo in
parte per mancanza di pastrani, indumenti calzature ecc.,
sopportano in linea temperature rigidissime, oltre tutti
gli altri disagi cui può essere sottoposto un combattente.
(9)
Liberata finalmente Zagabria, la Brigata Italia viene
progressivamente smobilitata nel mese di luglio e Ciani potrà
ripresentarsi alla legione territoriale di Roma e rientrare
nei ranghi dell’Arma per servire il paese in tempo di pace.
Proseguirà la carriera fino al grado di Tenente dei
Carabinieri, insignito della medaglia d’argento «
per la sua
attività militare assieme ai partigiani nelle
montagne Iugoslave». (10)
Note
(1) Nato a Capitignano (AQ) il 10 febbraio 1916.
(2) Salvatore Loi, La brigata d’assalto Italia,
Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1985,
Diario del tenente I. Mongilardi, p.56.
(3) Ibidem.
(4) ASCh, Ruolo matricolare, Distretto dell’Aquila, m.27704.
(5) Rolando Bertoni, Ricordi di guerra in Jugoslavia
1941-1943, appendice al volume La mia Odissea:
http://www.memoteca.it/upload/dl/E-Book/bertoni.pdf
(6) Antonio Nicoli, Flash-back di un “Internato Militare
Italiano”, «Lo specchio della città», ottobre 2005.
(7) Giuseppe Lancisi, La prigione di Zenica: https://toscano27.wordpress.com/la-divisione-garibaldi-jugoslavia-1943-1945/la-prigione-di-zenica-giuseppe-lancisi/
(8) Ibidem.
(9) Salvatore Loi, La brigata d’assalto Italia,
Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1985,
Diario del tenente G. Marras, p.179.