Battaglioni di “Straccioni” che si resero utilissimi nella riattivazione di tanti manufatti precedentemente fatti saltare o danneggiati in azioni difensive; nella sistemazione degli aeroporti di fortuna di Berane, Negobudja, Brezna ed altri, integrando con il loro lavoro di manovalanza, anche sotto il fuoco nemico, quello dei reparti del genio; nei duri e penosi trasferimenti dei barellati, macinando chilometri e chilometri su sentieri impervi o fuori sentiero, anche scalzi sulla neve, dormendo all’aperto nelle tappe, se la capanna la stalla era zeppa di malati ai quali spettava la sistemazione migliore. (1)L’indicazione del 9 settembre 1943 come data iniziale di appartenenza alla Divisione Garibaldi, contenuta nel foglio matricolare, (2) è evidentemente un riferimento convenzionale della modulistica militare, essendosi la formazione partigiana di fatto costituita a Pljevlja agli inizi di dicembre, ma sta, in ogni caso, ad attestare la presenza di Augusto Di Sano dai primi momenti di operatività della Divisione coincidenti con l’inizio di una nuova fase dell’offensiva tedesca. Si tratta dell’operazione Kugelblitz annunciatasi proprio con la caduta di Pljevlja, sede del comando della divisione, in mano tedesca il 4 dicembre. Ingente fu il numero di morti e feriti, mentre coloro che riuscirono a fuggire all’accerchiamento dovettero affrontare giorni di marcia nella neve, senza cibo né indumenti e calzature adeguati, andando incontro a “gravi e numerosi casi di congelamento”. (3) Fame, neve e gelo saranno infatti destinati a protrarsi per quasi tutto l’inverno. Così il generale Oxilia, ben presente nei ricordi di Di Sano, comunicava le condizioni in cui erano chiamati ad operare i garibaldini nel disperato tentativo di ottenere soccorsi dagli alleati che, peraltro, spesso ostacolarono anche i tentativi fatti dagli italiani: (4)
Per rendersi conto dei disagi che il soldato deve sopportare giova ricordare: che pochi di essi hanno il maglione, pochissimi la camicia, parecchi sono senza giacca e non pochi senza pastrano [...] E ciò nelle condizioni climatiche invernali della zona più innevata e soggetta a bufere di tutto il Montenegro. (5)Di Sano ricordava il ricorso alle opanghe o pedule, calze di lana grezza, come calzature di ripiego, ovviamente del tutto insufficienti alla protezione dei rigori di un inverno trascorso tra continui spostamenti e nottate all’addiaccio, più duri da sopportare con l’approssimarsi del Natale, come resoconta nel suo Diario il capitano medico Lodi:
Natale! Credo ben pochi, nella ricorrenza così grata, si trovino nelle nostre misere condizioni. Ammalati in tragiche situazioni. Senza vitto e senza possibilità di assistenza. Ambiente ostile, freddo, che vede i nostri stenti senza alcuna pietà. Troveremo da mangiare? (6)Alle difficoltà climatiche andò ad aggiungersi una letale epidemia di tifo petecchiale, malattia che poteva contare sull’azione dei pidocchi per un’ulteriore diffusione, difficilmente contrastabile nella carenza di farmaci, materiale sanitario e personale medico.
I lavoratori disarmati seguono le formazioni armate... soldati ridotti a sole ossa, con gli abiti a brandelli, deliranti per il tifo, che raggiungono a gruppi di 10-15, distaccati di giorni... I partigiani rimangono impressionati ed il tenente colonnello Kosoric ha parole dure per chi ha permesso il movimento in quelle condizioni verso una zona completamente priva di viveri. (8)L’alta mortalità riscontrata soprattutto nei battaglioni dei lavoratori portò dapprima al loro ridimensionamento e, il 30 giugno 1944, al definitivo scioglimento.