Il numero complessivo dei campi d'internamento
distribuiti lungo l'intero territorio
nazionale (...) raggiunse la cifra di 200 nel
solo Regno d'Italia. (D. Conti: L'occupazione
italiana dei Balcani p.54)
È
difficile stabilire con precisione quanti
civili jugoslavi furono coinvolti
nell'internamento fascista. (...) Considerando
le fonti più attendibili (in primo luogo
quelle della Croce Rossa Internazionale) e
facendo riferimento all'insieme dei campi
dell'Autorità militare, a quelli dell'Autorità
civile e all' internamento libero, si può
tuttavia valutare in circa 100000 (per la gran
parte sloveni, croati e montenegrini) il
numero dei civili "ex jugoslavi" internati
dall'Italia.
In riferimento
alla sola "Provincia di Lubiana", si può
ritenere che, sino al settembre 1943, siano
stati internati circa 25000 civili tra sloveni
e croati. (C.S.
Capogreco: I
campi del duce pp.77-78, e fonti
ivi citate.)
The number of prisoners in
the camps in Autumn 1942 amounted to 89488.
According to incomplete evidence some 149638
Yugoslav citizens had passed through the
camps. (...) We have relatively exact
evidence only for Slovenia: 67230 persons,
of which 50559 men, 9691 women, 2698 old men
and 4282 children. As the population of the
part of Slovenia under Italian occupation
numbers about 360000, it means that about
18% of the population were prisoners. (from
Chapter 6 of the book: REPORT
ON ITALIAN CRIMES AGAINST YUGOSLAVIA
AND ITS PEOPLES)
LUOGHI DI DETENZIONE, INTERNAMENTO E
CONFINO NELL'ITALIA FASCISTA
IN CUI E' CONFERMATO O
PROBABILE CI FOSSERO DETENUTI JUGOSLAVI
A. LUOGHI DI PRIGIONIA
Elenco stilato a partire dai documenti
analizzati nel corso della ricerca di Alessandra
Kersevan sul campo di concentramento di Gonars e
successivamente integrato con ulteriori
informazioni.
Subito dopo il nome di ciascun campo riportiamo
le fonti specifiche più significative.
LEGENDA
[AM]
= campi di concentramento ad
amministrazione militare
[AC] = campi di concentramento ad
amministrazione civile
[am] = campi di lavoro ad amministrazione
militare
[cc] = carceri
P.G. = campo per prigionieri di guerra
P.M. = numero di indirizzamento della
Posta Militare
Il
numero accanto al nome di alcuni campi si
riferisce a quello assegnato ai campi
militari per prigionieri di guerra (P.G.)
[cfr. all. 1 al fg. 1/46635 del 07/09/'42
dello Stato Maggiore, in Archivio Ufficio
Storico Stato Maggiore dell'Esercito-AUSSME,
Ufficio Prigionieri di Guerra, circ. 279]
In grassetto i campi più
grandi e/o per i quali si dispone di una
maggiore mole di informazioni.
- Agnone (Campobasso), ex
Convento di S. Bernardino, [AC] N.18
- Alatri
(Frosinone), "Le Fraschette" [AC]
N.14
- Alba Adriatica: cfr.
Tortoreto Stazione
- Alberobello (Bari), loc.
Masseria Gigante [AC] N.42
- vi sono
internati una novantina di jugoslavi a
partire dal 1/8/1942; a inizio
settembre 1943 sono rilasciati in
molti, alcuni ritenuti "non idonei"
sono invece trasferiti nel centro di
lavoro di Castel di Guido (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce
pp.235-236)
- Francesco
Terzulli: Alberobello
1942-1946. Internati slavi ed ex
fascisti a Masseria Gigante,
in: “Riflessioni. Umanesimo della
pietra”, luglio 1991, pp. 7-21
- Alessandria – Forte di
Gavi P.G. N.5
- Anghiari (Arezzo), "La Motina"
in frazione Renicci
[CONTR.] [AM] N. 97 [AC] N.54
- Antivari / Bar
(Montenegro)
- Apiro (Macerata)
[AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- Appignano (Macerata)
[AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- Arbe
/ Rab (ex provincia di Fiume,
oggi Croazia) [AM] [AC] N.60
- 2023: celebrazione
dell'80° anniversario della
Liberazione del campo di
concentramento fascista
- 2021-22:
[IT] CROWDFUNDING
PER UN PROGETTO DI ANDREA GIUSEPPINI E
ERIC GOBETTI che comprende: ricerca
storica-archivistica, creazione di un
sito web, databasedegli internati,
viaggio della memoria
[SLO] Kliknite
tukaj za opis projekta v slovenščini
[SH] Kliknite
ovdje za prijevod na hrvatski
- Petizione
per l'intitolazione di una via alle
“VITTIME DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO
DI ARBE” (2017 – anche su
JUGOINFO)
-
- Herman
Janež: Koncentracijsko
taborišče Kampor na otoku Rabu
(1942-1943), in: Dolenjski list,
Let.54, št.38-št. 45 (18. sep.
2003-6. nov. 2003), str. 23
- Anton
Vratuša: Dalle catene alla libertà,
KappaVu 2011
- Giancarlo
Grazia: Nel campo fascista di Arbe
morirono centinaia di sloveni e
croati (su Patria
indipendente del 28 novembre 2010)
- Franz
Potocnik: Il campo di sterminio
fascista: l'isola di Rab,
a cura dell'A.N.P.I., Torino 1979
- una sintesi storica dal
sito
dell'ANPI
di Roma
- Valerio
Gardoni:
Nebbie
della memoria (dal sito
popolis.it)
- Teresa
Grande:
Dopo
55
anni una lapide ricorda i crimini
fascisti nel campo di Arbe.
L'iniziativa della Fondazione
Ferramonti (dal sito deportati.it)
- T. Ferenc:
Rab-Arbe-Arbissima.
Confinamenti-rastrellamenti-internamenti
nella provincia di Lubiana
1941-1943 (2000)
- VIDEO
di M. Potok con G. Scotti (2011)
- Nei
campi di concentramento fascisti di
Rab – Arbe e Gonars. Intervista a
Marija Poje e a Herman Janež, a
cura di Boris Mario Gombač (da DEP
- Deportate, esuli, profughe.
Rivista online - n.7 / 2007)
- Ariano Irpino
(Avellino) [AC] N.37
- Arona (Novara)
- Bagno a Ripoli
(Firenze), "Villa La Selva" [AC] N.3
- Bastardo
(Perugia)
- è il
"campo di lavoro n.115" come Morgnano,
secondo Giuseppe Guerrini (in L'Umbria
dalla guerra alla Resistenza,
Atti del Convegno Dal
conflitto alla libertà:
Perugia, 30 novembre-1 dicembre 1995,
Foligno : Editoriale umbra, 1998; n.64
p.291)
- Belforte (Macerata)
[AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Boiano (Campobasso),
ex tabacchificio Saim [AC] N.19
- ospita
soprattutto zingari jugoslavi, fino
alla chiusura il 15
luglio 1941 (C.S.
Capogreco: I campi del duce p.206;
G. Giannini: I
campi di internamento in Molise.
Una breve analisi, su inStoria
n.22 - Ottobre 2009 (LIII)
- Borgomanero (Novara)
- Buccari / Bakar (ex
provincia di Fiume, oggi Croazia)
- fonte: Chapter 6 of
the book: REPORT
ON ITALIAN CRIMES AGAINST
YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLES
- Busseto (Parma) N.55
(per uff. e sottuff. ex eserc. jugo)
- Cairo Montenotte
(Savona), loc. Vesima [AM] P.G.
N.95 [AC] N.57
- Caldarola (Macerata) [AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Camerino (Macerata)
[AC]
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Campagna (Salerno) [AC]
N.38
- Capodistria / Koper (ex
provincia italiana, oggi Slovenia):
carcere
- Casacalenda
(Campobasso), ex
Convitto Fondazione Caradonio-Di Blasio
[AC] N.26
- Casoli
(Chieti) [AC] N.21
- "campocasoli.org:
un archivio digitale per lo studio
dei fascicoli personali di internati
civili stranieri nell’Italia
fascista", di Giuseppe
Lorentini, su Diacronie. Studi di
Storia Contemporanea, n.35, 3|2018
- Casoli
avrà un "Centro di
documentazione sull'internamento
fascista" (CeDiF)
- »Koncentracijsko
taborišče Casoli - Prepoznavanje
internirancev, iskanje svojcev«
(Svoboda Beseda, julij 2018.)
- il sito
curato da Giuseppe Lorentini in
collaborazione con il Comune di
Casoli, contenente foto degli
internati "ex jugoslavi", documenti,
fascicoli personali, lettere,
testimonianze: https://www.campocasoli.org/
- »Potomci
internirancev, pridite po svoja
pisma« (Primorski Dnevnik,
23.1.2018.)
- Casoli (CH) 27 gennaio 2018: Convegno
di studi "Memoria e internamento
civile nell’Italia fascista"
- Un servizio alla TV slovena
dedicato alla apposizione di una targa
al campo di Casoli (27.1.2018): V
CASOLIJU V ITALIJANSKIH ABRUCIH
ODKRILI SPOMINSKO TABLO SLOVENSKIM
INTERNIRANCEM
- detenuti
rilasciati dopo l'8 Settembre (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce
p.208); cit.
anche in C.
Di Sante: I campi di concentramento
in Abruzzo...
- Castagnevizza /
Kastanjevica (Gorizia) [AM]
- Castel di Guido
(Roma) [AC] N.13 (centro di lavoro)
- a inizio
settembre 1943 vi sono trasferiti
alcuni internati da Alberobello (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce p.236)
- Castelfranco Emilia
(Bologna)
- Castell’Arquato
(Piacenza)
- Castelraimondo
(Macerata) N.93
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Castel San Pietro
(Bologna), Ospedale militare (in
funz. dal 17/9/42) N.205
- Castiglion
Fiorentino (Arezzo) [G. Visintin]
- Castiglione della Valle
(Perugia) [G. Visintin], Castello
Sereni
- Ceprano (Frosinone)
- Chiesanuova
(Padova), attuale Caserma "Romagnoli" [AM]
[AC] N.49
- i
numerosi jugoslavi internati furono
trasferiti in Croazia dai tedeschi
dopo l'8 Settembre
(C.S.
Capogreco:
I
campi del duce p.252)
- D.
Gobbo: L'occupazione
fascista della Jugoslavia e i
campi di concentramento per
civili jugoslavi in Veneto.
Chiesanuova e Monigo, 1942-1943
- video:
"Un campo di
concentramento a Chiesanuova
(1942-1943)", a cura di
Franco Biasia, regia di Antonio
Bonadonna (2011, 27'); con le
testimonianze di S. Cecchinato, V.
Marangon, U. Usardi, L. Bertocco, A.
Vratuša, T. Martini
- iniziativa
tenuta a Padova, nell'ex Tribunale,
il 23 gennaio 2011: video1
- video2
- Ugo
Usardi: Brantele de sora a
Cesanova de Padova, 1937/1953
(libro
fotografico-dialettale)
- Chieti
- forse da
indentificare con altri nella
provincia
- Cighino di Tolmino /
Čiginj (Slovenia, ex provincia di Gorizia)
[AM]
- fu
essenzialmente un campo di transito
per i civili rastrellati a Lubiana nel
febbraio 1942, poi trasferiti a Gonars
(C.S.
Capogreco:
I
campi del duce p.253)
- Città S. Angelo
(Pescara) [AC] N.23
- i reclusi
scappano dopo l'8 Settembre (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce
p.210); cit.
anche in C.
Di Sante: I campi di concentramento
in Abruzzo...
- Cittaducale (Rieti)
- D.D.V.
Ivanovic: Civilni Internirci
Crnogorci iz logora Kolfiorito...
- ibidem,
spec.
pp.228 ss., per i dati su morte e
sepoltura dell'internato Milovan Lekić
- Civitella del Tronto
(Teramo)
- Civitella in Val di Chiana
(Arezzo), "Villa Oliveto" [AC] N.4
- Nell’aprile del 1941
vi furono internati una cinquantina
di marinai jugoslavi poi rilasciati: http://www.storiaememorie.it/villaoliveto/
- Colfiorito
presso Foligno (Perugia), "Casermette"
[AM] N.64 P.M.3300 [AC] N.15/50
-
20-21
gennaio 2024: Inaugurazione
del Memoriale del campo di
concentramento di Colfiorito –
Centro Studi dell'Internamento e
della Deportazione "Olga Lucchi"
- 23 settembre
2023: iniziativa
nell'80.mo Anniversario della grande
fuga dalle "Casermette"
- 22 settembre
2020: iniziativa
nel 77.mo Anniversario della grande
fuga dalle "Casermette"
- 2020: Foligno, bloccata
la apposizione della lapide agli
antifascisti reclusi nelle
Casermette di Colfiorito
- 22 Settembre
2019: iniziativa
nel 76.mo
Anniversario della grande fuga dalle
"Casermette"
- 22
Settembre 2018: iniziativa
nel 75.mo Anniversario della
grande fuga dalle "Casermette"
- 2017: il sito delle
"Casermette" ed il Comune di Foligno
sono stati inclusi nella campagna
"Rete della memoria e
dell'amicizia per l'Appennino
centrale"
- COMUNICATO-APPELLO
al Comune di Foligno e NOTA
STORIOGRAFICA (Jugocoord,
febbraio 2017)
- D.R. Nardelli, G.
Kaczmarek: Montenegrini
internati a Campello e Colfiorito
(1942-1943)... / Crnogorci
internirani u Kampelu i
Kolfjoritu (1942-1943)
- Dragutin
Drago
V. Ivanovic: Muzej
logora Kolfiorito di Folinjo...,
- D.R.
Nardelli,
A. Tacconi: Deportazione
ed internamento in Umbria...
- Dragutin
Drago
V. Ivanovic: Memorie
di un internato montenegrino...
- Dragutin
Drago
V. Ivanovic: Civilni
Internirci
Crnogorci iz logora
Kolfiorito... (contiene
un
elenco di 1070 internati compilato
nel 2003)
- Olga
Lucchi (a cura di): Dall'internamento
alla
libertà. Il campo di
concentramento di Colfiorito,
Atti del convegno di studi, Foligno,
palazzo Trinci, 4 novembre 2003.
ISUC / Editoriale Umbra, Foligno
2004, ISBN 88-88802-23-1
- Maria
Pia Burani: Nessuno
lo chiamava il campo...
- Caterina Forti: Il campo
di Colfiorito tra confino e
internamento politico (1939-1943),
Tesi di laurea in Storia
contemporanea, Università di Camerino
A.A. 1997-1998. Pubbl. in: Valentina
Conti e Andrea Mulas, Nuovi
contributi per la storia della
resistenza marchigiana,
Università degli studi di Camerino /
Affinità elettive, Ancona 2002
- Corropoli (Teramo),
"Badia" [AC] N.25
- importante
luogo di detenzione "politica" degli
jugoslavi; con un'azione partigiana il
19/9/1943 ne sono liberati una
trentina (C.S.
Capogreco: I campi del duce p.212
e C.
Di
Sante: I campi di concentramento
in Abruzzo...
- Cortemaggiore
(Piacenza) N. 26
- "Il 9
settembre 1943 evasero i prigionieri
(russi, jugoslavi, greci e inglesi)
del campo di Cortemaggiore e si
diressero in montagna, risalendo le
valli dell'Arda e dello Stirone. [...]
Altri fuggitivi si nascosero nelle
campagne di Cortemaggiore. In questa
opera di aiuto e di avviamento
prigionieri si prodigarono, ancor
prima dell'8 settembre [tra gli altri]
lo slavo Cedomir Ristich detto il
“Tesoriere”. [...] Formarono così, per
sopravvivere e sottrarsi alla cattura,
piccole bande ai confini delle
province di Parma e Piacenza... In
seguito molti si dispersero in altre
zone e rimase in località Settesorelle
la Banda autonoma "Giovanni lo slavo",
com. Giovanni Grcavaz [Grbavac?],
composta prevalentemente di
jugoslavi..." (Rif. Storia
delle formazioni partigiane
piacentine, a cura
dell'A.N.P.I. - Comitato provinciale
di Piacenza)
- Crocetta Castelfrentano
(Chieti) campo di lavoro
- Elba (isola, Livorno) ??
- luogo di morte di
alcuni dei caduti ricordati
al Sacrario di Prima Porta (Roma)
- Ellera di Corciano
(Perugia) (dipendente da
Tavernelle-Pietrafitta [am] [AC] N.55)
- al 16
luglio 1943 ospitava 51 sloveni
impegnati nei lavori della ferrovia
(D.
D.V. Ivanović: Memorie
di un internato montenegrino...,
p.25)
- Paola
Monacchia:
L'internamento
in Umbria...
- Sulle
tracce di una storia dimenticata:
ricerca
storica curata dagli studenti del
Liceo Alessi sul campo di lavoro di
Santa Sabina
- Esanatoglia (Macerata)
[AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Fabriano (Ancona),
"Collegio Gentile" [AC] N.6
- "In
tale alloggiamento, con molti
italiani, c'erano una trentina di
jugoslavi, tutti provenienti da
Spalato..." (G.
Mari: La Resistenza in
provincia di Pesaro e la
partecipazione degli Jugoslavi,
Pesaro 1964)
- gli
jugoslavi detenuti fanno propaganda
comunista e tentano di evadere (C.S.
Capogreco: I
campi del duce...
p.187); già dopo il 25 Luglio la
maggior parte degli internati sono
prosciolti o si allontanano (C.S.
Capogreco: I
campi del duce...
p.188)
- Farfa in Sabina (Rieti),
"Badia" [AC] N.15
- Fara Novarese
(Novara), Castelli Cusiani * [ACS,
Ariani Internati]
- Ferramonti di Tarsia
(Cosenza) [AC] N.46
- Ferriere (Piacenza)
[G. Visintin]
- Fertilia (Sassari)
[AC][am] N.51 (forse da identificare con
Pertozgiu?)
- spec. per
dalmati già internati a Melada, tutti
poi trasferiti a Renicci (C.S.
Capogreco: I
campi del duce... p.255)
- Fiastra (Macerata)
[AC] (è
forse lo stesso elencato come
"Urbisaglia - Abbadia di Fiastra" ?)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Firenze: carcere maschile
delle Murate
- Firenze: reclusorio
femminile di Santa Verdiana
- Vittorio
Meoni: La libertà è come l'aria,
Ed. Effigi 2012
- Fiume
/ Rijeka [oggi Croazia] N. 83 (forse
da indentificare con Kraljevica?)
- Fiuminata (Macerata)
[AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Forlì: carcere
- Fossalon (presso
Grado, Gorizia): Eraclea / Casa Concordia
(campo di lavoro Bonifica della Vittoria)
[AC] N.58
- Fossano (Cuneo) [cc]
- Livio
Berardo (a cura di):
Le loro prigioni.
Antifascisti nel carcere di
Fossano, ANPPIA 1994
- Garessio
(Cuneo), Albergo "Miramonti" P.G. N.43
- un gruppo
di 250 ufficiali ex jugoslavi vi
arriva il 6 ottobre 1942 proveniente
dal campo di
concentramento di Sulmona.
Fonte: Amedeo Renzo, Gli ufficiali
slavi prigionieri al 'Miramonti' di
Garessio, in: Il presente e la
storia (Rivista dell'Istituto Storico
della Resistenza e della Società
Contemporanea in provincia di Cuneo),
n.60 (dicembre 2001)
- Tra gli
internati è Spasoje Radovanović,
proveniente dai campi di Rijeka e
Sulmona; il suo diario è pubblicato in Amedeo Renzo, Gli
ufficiali slavi... (cit.)
- citato da
Claretta Coda in: SERBO-SLAVI
IN CANAVESE (1941-1945)
- German (Albania)
- fonte:
D.D.V.
Ivanović: Apeninske
Nemirne Zore
- Gioia del Colle (Bari)
[AC] N.43
- C.S.
Capogreco:
I
campi del duce...
- Gonars
(Udine) [AM] N.89 [AC] N.52
- https://pg89gonars.jimdofree.com/
[il sito http://gonarsmemorial.eu/
attualmente non è funzionante]
- Il
dottor Mario Cordaro e gli artisti
sloveni e croati nel campo di
concentramento di Gonars. Mostra
a Udine dal 28/9 al 28/10 2018 (depliant;
articolo
apparso su Patria indipendente)
- Davide
Toffolo, L'INVERNO
D'ITALIA. Una storia a
fumetti su Gonars
- Leggi la Scheda
del
volume (PDF)
- Guardane
il video
su YouTube
- Iniziativa
a
Marano Lagunare (UD),
29-30/1/2011
- Presentazione del
progetto: GONARS, THE ITALIAN
LOST MEMORY
- A.
Kersevan: Un campo di
concentramento fascista. Gonars
1942-1943, KappaVu
Edizioni, Udine 2003. Vedi le recensioni
- DVD:
GONARS
1942-1943. IL SIMBOLO DELLA
MEMORIA ITALIANA PERDUTA
- A. Kersevan: I
campi di concentramento in
Friuli (dal sito marxismo.net)
- I campi di
concentramento per internati
jugoslavi nell’Italia fascista. I
campi di Gonars e Visco.
Atti del convegno, Palmanova
29.11.2003
- Nadja
Pahor-Verri: Oltre il filo. Storia del
campo di internamento di Gonars
1941-1943, ed. Comune di
Gonars, Udine 1996
- "In questo
campo furono rinchiusi molti artisti e
intellettuali di rilievo [...] Fra gli
internati di Gonars figuravano molti
adepti della resistenza slovena e
croata [...] Sotto diversi nomi di
copertura [...] vennero ospitate
figure di primo piano dell'Osvobodilna
Fronta e del Partito
Comunista Sloveno [...] Nell'estate
del 1942 l'Osvobodilna
Fronta
predispose un ardimentoso piano di
fuga finalizzato a mettere in salvo
gli antifascisti più a rischio. Dopo
diverse settimane di scavo venne
realizzato un tunnel lungo 60 metri
che, partendo dalla baracca n.22,
sfociava in un campo di granturco,
alcuni metri oltre la recinzione.
Nella notte tra il 30 e il 31 agosto
riuscivano così a evadere Boris
Kraigher [futuro presidente del
Consiglio Esecutivo federale della
Jugoslavia], Ivan Bratko, Marks Perc,
Franc Ravbar, Janez Učakar, Franc
Pangerc, Bojan Štih e Viktor Ilovar. [...]
Nella notte del 13 settembre [1943]
[...] la massa degli internati (circa
4000 persone) dilagò disordinatamente
fuori dal campo", tuttavia quasi un
migliaio erano ancora prigionieri dei
tedeschi alla fine di ottobre, per
essere rilasciati solo successivamente
(C.S.
Capogreco: I
campi del duce... p.256)
- Nei
campi di concentramento fascisti di
Rab – Arbe e Gonars. Intervista a
Marija Poje e a Herman Janež, a
cura di Boris Mario Gombač (da DEP
- Deportate, esuli, profughe.
Rivista online - n.7 / 2007)
- Gravina-Altamura (BA) P.G.
N.65
- Gris di Bicinicco (Udine),
attuale cava (alias "Campo A")
- "Il campo di Gris
(alias Campo A) fu inizialmente
destinato alla prigionia di militari
ed ex militari dell’esercito
jugoslavo, poi, dopo averli trasferiti
in altri luoghi di detenzione,
nell’autunno del 1942 anch’esso si
trasformò in un reclusorio per la
popolazione civile, massimamente per i
sopravissuti dell’altro infame campo
insediato nell’isola di Arbe.
Anch’esso fu, dunque, un luogo
di sofferenze e di morte, almeno sino
al fatidico otto settembre, quando,
con la fuga dei militari di guardia, i
più si diedero alla macchia..." (fonte)
- Grumello
al Piano (Bergamo) P.G. N.62 P.M.3200 (in
loc. Lallio, anche "Grumellina")
- vai
alla nostra pagina dedicata
- M. Gelfi, G.
Marcandelli, A. Scanzi, F. Sonzogni, The
Tower of Silence. Storie di un
campo di prigionia – Bergamo
1941/45 (Bergamo: Sestante edizioni, 2010) e la
Mostra
collegata
Il
Campo del Silenzio
- vi erano
stati prigionieri i due
rifugiati in Val Serina
- Grupignano presso Cividale
(Udine)
- Isernia, ex Convento delle
Benedettine [AC] N.26
- il 12/9/1943 durante
i bombardamenti alleati gli
internati si adoperano nei soccorsi,
e alcuni muoiono (C.S.
Capogreco: I
campi del duce... p.214)
- dal 9 gennaio
1942, gli ebrei stranieri vengono
trasferiti a Ferramonti di Tarsia
(Cosenza) ed al loro posto arrivano
"ex-jugoslavi" (cfr. G. Giannini: I
campi di internamento in Molise.
Una breve analisi, su inStoria
n.22 - Ottobre 2009 - LIII)
- Isola di Argo (??)
- Isola del Gran Sasso
(Teramo) [AC] N.27
- Istonio Marina,
oggi Vasto (Chieti) [AC] N.28
- un
centinaio di jugoslavi vi sono
internati a fine luglio 1943 (C.S.
Capogreco: I
campi del duce...
p.216); cit.
anche in C.
Di
Sante: I campi di concentramento
in Abruzzo...
- Kavaja (talvolta Kravaja – Albania)
- Klos (Albania)
- L'Aquila,
Collemaggio [cc]
- Labico [Roma]
* [AUSSME, Uff.Prig. di G., Diari
storici, marzo 1943, All. n. 64]
- Lama dei Peligni (Chieti)
[AC] N.29
- Lanciano (Chieti) [AC]
N.30
- Laterina (Arezzo)
N. 82
- Laurana - Lovran
(Croazia)
- Lipari (isola,
Messina) [AC] N.47
- è lo stesso
campo in cui fino al 1939 vennero
ospitati e addestrati i terroristi
ustascia croati; vi furono internate
molte centinaia di antifascisti
jugoslavi a partire dalla fine del
1941, ma nel 1943 se ne decise lo
sgombero preferendo distribuire i
prigionieri tra diversi campi (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce... p.246)
- Locana (Torino),
"Casermette" – P.G. N.127
- Loro Piceno
(Macerata) [AC] (necessita approfondimento su
consistenza num. jugoslavi)
- Lubiana/Ljubljana
(Slovenia)
- Magliano
dei Marsi (L'Aquila)
- nel '42-43 vi
erano stati ristretti elementi
allontanati dal Carnaro. Nell'agosto
1942 vi risultano internati: Jelka
Miulic, Giuseppe Kovac, Francesco
Katen, Giovanni Frankovic, Rodolfo
Turk, Giovanni Malnar, Giuseppe
Presle, Vladimir Frbesler, Olga
Miculcic, Elisabetta Micetic, Elvira
Cuculic (elenco di nominativi ai
fini della corresponsione della
diaria, in: ASAq, Prefettura, Atti
di Gabinetto II vers. b.340). Nella
b.6 si dice che Olga Mikulicic
(verosimilmente la medesima persona
trattandosi sempre di Magliano) in
Pavletic, era stata ivi inviata
dall'Ispettorato per i servizi di
guerra del Ministero degli interni
nel 1942 con il figlio di un anno.
Il parroco di Magliano produsse
istanza per il proscioglimento
dall'internamento per motivi di
salute. La stessa richiesta avanzò
anche per Elvira Cuculic. Giovanni
Francovic, operaio classe 1976 di
Drenova, era internato perchè
congiunto di ribelli (ASq, Questura,
cat.A8, b3). [a cura di Riccardo
Lolli]
- Mamula
(Montenegro), presso Bocche
di Cattaro: Forte Mamula [AM]
[AC] N.62
- Un’isola di
internamento: il campo fascista di
Forte Mamula (1942-1943), di
Federico Goddi, in “Annali del Museo
Storico Italiano della Guerra”, n.
27, 2019, pp. 63-93
- Subota 15.9.2018.
posjet bivših interniraca /
sabato 15/9/2018 visita degli ex
internati organizzata dalla
Associazione Partigiani OBNOR di Herzeg
Novi (traghettamento dal vicino porto di
Zelenika – fonte/izvor
; REPORT
; VIDEO)
- VIDEO: Logor
Mamula, 2017. godina | mr Olivera
Doklestić, obraćanje prisutnima /
visita degli ex-internati,
16.09.2017
- Montenegro, l’ex
campo di concentramento diventa
hotel di lusso (con discoteca) (CdS
17.1.2016)
- fonte: Chapter 6 of
the book: REPORT
ON ITALIAN CRIMES AGAINST
YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLES
- vi è ambientato il
film KAMPO MAMULA (Campo Mamula -
Avala Film, Jugoslavia, 1959)
regia Velimir Stojanovic,
interpreti: VUJOVICS, Peter;
TADIC, Ljuba; DJORDJEVIC-SONDA,
Dusan; BIJELIC, Severin; VUJISIC,
Pavle
Dopo la capitolazione d’Italia,
i prigionieri politici
sull’isola Campo Mamula, in
Montenegro, si trovano nelle
condizioni ancora peggiori.
L’occupatore tedesco li
costringe di disattivare le
mine, promettendo la libertà di
un prigioniero ogni dieci mine
disattivate...
- Manfredonia (Foggia), "Il
Macello" [AC] N.44
- ospitò anche
alcuni jugoslavi spec. ex carcerati a
Sebenico, la gran parte trasferiti a
Ferramonti nel giugno 1943; solo una
ventina scapparono dopo l'8 Settembre
(C.S.
Capogreco:
I
campi del duce...
p.239)
- Viviano
Iazzetti:
Il
campo di concentramento di
Manfredonia (1940 - 1943)
- Teresa
M.
Rauzino sul laboratorio didattico
realizzato con Viviano Iazzetti (con
fotografie del campo, 2003)
- Marsciano (Perugia) (dipendente
dal Cantiere Orlando di Spoleto P.G.
N.115)
- circa
150 jugoslavi lavoravano presso la
fornace di mattoni Briziarelli (D.D.V.
Ivanović: Memorie di un internato
montenegrino..., p.25)
- Maruggio (Taranto)
- intervista
a un anziano testimone raccolta da
Aldo Summa (com.priv. 2020)
- Melada / Molat (isola,
Dalmazia) presso Zara/Zadar [AM]
[AC] N.61
- Monigo (Treviso) [AM] [AC] N.53
- D.
Gobbo: L'occupazione
fascista della Jugoslavia e i
campi di concentramento per
civili jugoslavi in Veneto.
Chiesanuova e Monigo, 1942-1943
- i libri
dell'ISTRESCO:
- F.
Meneghetti: Di
là del muro. Il campo di
concentramento di Treviso
1942-43,
Treviso 2012
- F.
Scattolin, M. Trinca e A. Manesso: Deportati
a
Treviso. La repressione
antislava e il campo di
concentramento di Monigo
(1942-1943), Treviso
2005
- M.
Trinca: Monigo:
un campo di concentramento per
slavi a Treviso. Luglio 1942 –
settembre 1943, Treviso
2003
- Articolo apparso
su La Tribuna di Treviso
- destinato
ai rastrellati di Lubiana e ai
trasferiti da Arbe; durante i 13 mesi
di funzionamento 42 bambini nacquero e
54 bambini morirono nel campo. Vi era
attiva una cellula dell'OF e si
produceva un giornale clandestino.
Dopo l'8 Settembre alcuni elementi
dell'OF presero il controllo del campo
e guidarono gli internati verso il
Collio, dove la gran parte si unirono
alla Resistenza (C.S.
Capogreco: I
campi del duce
pp.258-259)
- Montopoli in Sabina
(Rieti) [?
verificare
ev. coincidenza con i campi indicati
come "Farfa in Sabina", "Passo Corese",
"Montelibretti"]
- Monte
Urano (Fermo) Conceria in contrada
Girola di Fermo * N. 70
- Montechiarugolo (Parma)
[AC] N.1
- una
cinquantina riescono a fuggire subito
dopo l'8 Settembre (C.S.
Capogreco: I campi del duce
p.180)
- Marco
Minardi: Tra chiuse mura.
Deportazione e campi di
concentramento nella provincia di
Parma 1940-1945, Comune di
Montechiarugolo, 1987
- Monteforte Irpino
(Avellino)
- Montelibretti (Roma) [A.
Parisella - forse da identificare con
Passo Corese (RI)?]
- Montelupone (Macerata)
- Montemale (Cuneo) *
P.G. N. 15 (fino al 7/9/1942)
- Montorio
al Vomano (Teramo) N.145
- Murter (isola presso Zara,
Croazia)
- Nereto (Teramo), due
distinti edifici [AC] N.31
- Notaresco (Teramo) [AC]
N.32
- ospita
spec. una sessantina di partigiani
dalmati a partire da giugno 1942; sono
progressivamente rilasciati a fine
1943 (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce
p.221)
- Novara
- Oleggio (Novara) [G.
Visintin]
- Olib (isola,
Dalmazia)
- Palazzolo dello
Stella presso Latisana (Udine) * N.
88
- Parma: carcere di San
Francesco [cc]
- Ben 864 sono
stati gli sloveni e i croati
antifascisti prigionieri dal '42
fino a febbraio '44, in base agli
studi effettuati da Andrea
Giuseppini e riassunti nell'articolo
apparso su La
Gazzetta di Parma
del 12/2/2017.
Detenuti in condizioni di vita
pessime, in quel luogo morirono
almeno dodici di loro; fecero un
giornale manoscritto intitolato Kibla,
in italiano Bugliolo
(vecchia latrina). Nell'articolo
si fa l'esempio di due dei
prigionieri, giovani
diciassettenni arrestati e
condannati, il primo per aver
disegnato una falce e martello, il
secondo per aver trasportato un
pacco con ciclostile e materiale
sovversivo. Un centinaio vennero
poi trasferiti da Parma in altre
prigioni, all' 8 settembre '43
erano ancora detenuti a Parma in
735; il 23 dicembre 1943 la prima
massiccia scarcerazione che vede
coinvolti 322 di loro, entro
febbraio '44 la scarcerazione di
tutti gli altri. Ma per
<<quattrocento di loro la
"liberazione" dal carcere di Parma
coincide con la deportazione in
Germania>> per lavoro
coatto. [Grazie a G. Caggiati e R.
Lesignoli]
- La deportazione
dal carcere di Parma (Andrea
Giuseppini e Francesca Rolandi
2018)
- Passo Corese (Rieti)
P.G. N.54 [G. Visintin - forse da
identificare con Montelibretti (Roma)?]
- Pertozgiu (Sardegna)
[pg.124 Galluccio, non citato in elenco]
- Perugia: carcere [cc]
- Petriolo (Macerata),
"Villa Savini - La Castelletta" [AC] N.7
- campo femminile, tutte
le internate abbandonano il campo dopo
l'8 Settembre (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce p.188)
- Pianosa (isola, Livorno)
- luogo di morte di
alcuni dei caduti sepolti
o ricordati al Sacrario di Prima
Porta (Roma)
- Piedimonte/Podgora (nel
Goriziano)
- Piobbico (Pesaro)
- Pisa: carcere [cc]
- luogo
di reclusione di alcuni partigiani
jugoslavi della Brigata "Boscaglia"
- Pissignano presso Campello
sul Clitunno (Perugia) P.G. N.77
- D.R. Nardelli, G.
Kaczmarek: Montenegrini
internati a Campello e Colfiorito
(1942-1943)...
- D.R.
Nardelli,
A. Tacconi: Deportazione
ed internamento in Umbria...
- D.D.V.
Ivanović:
Civilni Internirci Crnogorci iz
logora Kolfiorito...
- Pisticci (Matera), loc.
Colonia Agricola [AC] N.41
- importante
campo di lavoro, vi furono detenuti
anche moltissimi jugoslavi (tra cui il
poeta Josip Šuljić). Dopo la caduta
del Fascismo alcuni prigionieri
cominciarono ad essere rilasciati,
mentre gli altri -
spec. i circa 700 jugoslavi - scatenarono
clamorose
proteste. Il 13/9 un internato
(Željko?) si recò clandestinamente a
Taranto dai comandi alleati, che
presero il controllo del campo e ne
cambiarono la destinazione d'uso. (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce
pp.232ss.)
- N.
Kardoš: Il cammino vitale del
partigiano Kirija
- Plaški presso Karlovac
(Croazia)
- fonte: Chapter 6 of
the book: REPORT
ON ITALIAN CRIMES AGAINST
YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLES
- Poggio
Cancelli, frazione del comune di
Campotosto (L'Aquila)
- vi funzionava
dall’agosto 1942 un campo di lavoro
per prigionieri di guerra, tutti slavi
ed in prevalenza serbi, articolazione
del campo 145 di
Montorio al Vomano. Le baracche
del campo ospitavano inizialmente
circa trecento soldati ceduti al campo
per dietro richiesta della Società
Anonima Terni per essere adibiti a
lavori di sterro presso gli impianti
idroelettrici del Vomano. Il loro
impiego cessò dopo qualche mese ed i
prigionieri smistati in altre
destinazioni ed alcuni di loro
sarebbero andati ad ingrossare le fila
della resistenza in altre zone
d’Italia. E’ il caso di Pavao
Gračanin, ex sergente di
finanza, preso prigioniero a Trebinje
il 20 aprile 1941, giunto a Poggio
Cancelli dal
campo di Grumello Lallio.
Trasferito alla chiusura del campo a Morgnano e poi
a Bastardo,
dopo l'8 settembre si aggregò "al
gruppo partigiano Tosi" (Toso?)
nel reatino e dal 1954 assunse la
cittadinanza italiana. [fonte:
Riccardo Lolli] Cfr. l'articolo
scritto da Valeria Reali per il n.3,
anno XXII, de “La Barrozza”,
quadrimestrale della ProRuscio
(Associazione ProLoco di Monteleone
di Spoleto - PG).
- Pollenza (Macerata),
"Villa Lauri" [AC] N.8
- campo femminile, le
internate abbandonano il campo dopo
l'8 Settembre ma sono generalmente
ricatturate (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce p.189)
- Ponza (isola,
Latina/Littoria) [AC] N.16
- Porta Littoria / La
Thuile (Aosta) N. 101 (fino al
7/9/42)
- Porto Re /
Kraljevica presso Fiume/Rijeka (oggi
Croazia) [G. Visintin]
- Prato all’Isarco
(Bolzano) * [ACS A5G b. 117]
- Prevlaka
(Montenegro)
- Preza (Albania)
- fonte:
D.D.V.
Ivanović: Apeninske
Nemirne Zore
- Rezzanello presso Gazzola (Piacenza) N. 17
P.M.3300
- All.1
f.57768 del 7/1/1942 della S.M.R.E.
Uff. Servizi II (A. Scanzi,
com.priv.)
- prob. è
lo stesso talvolta citato come
"Reggianello"
- Romagnano Sesia
(Novara) * [ACS, Internati Ariani]
- Rovezzano
(Firenze): Castello di Montalbano [AC] N.5
- già dopo il
25 Luglio gli internati - tutti slavi
- sono in fermento e perciò vengono in
parte trasferiti nelle carceri
fiorentine, spec. alle Murate (vedi);
dopo l'8 Settembre quasi tutti evadono
indisturbati (C.S.
Capogreco: I campi del duce
p.186)
- Ruscio presso Monteleone di Spoleto
(Perugia), miniere di lignite * P.G. N. 117
P.M.3300
- dal sito
della ProLoco di Ruscio: A
Ruscio, presso la miniera di lignite
per un breve periodo, che coincide
con gli anni più tristi della nostra
storia, si alternarono, dapprima un
campo di lavoro per prigionieri di
guerra militari, il campo n. 117, e
successivamente, fino all' 8
settembre 1943, un campo per
internati civili, in gran parte di
cittadini del Regno di Jugoslavia.
- INIZIATIVE 2013 A RUSCIO:
- La MOSTRA:
La Storia incontra la Memoria - Il
campo di prigionia PG n. 117 , PM
3300
- 11 agosto 2013: Presentazione
del IX
Quaderno di Ruscio, "Il
campo di prigionia n.117", di
D.R. Nardelli, e della mostra
documentale "La storia incontra
la memoria" (VIDEO
dal TG3 Regione Umbria)
- 19 luglio 2013: Seminario
di Studio sul Lavoro obbligatorio in
Umbria (1942-1943). Il caso del
campo per prigionieri di guerra di
Ruscio, a Monteleone di Spoleto
(PG) - VIDEO
DEGLI INTERVENTI - ATTI
DEL CONVEGNO
- RASSEGNA
STAMPA
- ALBUM
FOTOGRAFICO
- Sonia
Angelini: Il
Campo di Concentramento della
miniera di Ruscio (dal sito
della ProLoco di Ruscio):
A partire dal 1 settembre [1942]
c’erano nel campo 100 prigionieri di
guerra di cui 49 serbi, 2
montenegrini, 43 italiani-albanesi e
6 croati. (...) Nei primi mesi del
1943 a causa delle gravi condizioni
di salute della maggior parte dei
deportati, la miniera fu trasformata
da campo per prigionieri di guerra a
campo per internati civili. Tutti i
prigionieri ammalati o invalidi
furono trasferiti al campo 62
(Colfiorito), mentre coloro che
erano in grado di lavorare vennero
“spediti” al campo 115 (Spoleto).
(...)
Nell’aprile del 1943, 87 internati
civili di Colfiorito vennero
distaccati a Ruscio e impiegati
nella miniera di lignite (...)
Arrivarono, dunque, da Colfiorito
gli internati civili di origine
montenegrina e il campo divenne una
sede distaccata del campo 115,
perdendo la sua autonomia
amministrativa. Di seguito
riportiamo la circolare relativa
alla sistemazione del campo 117 [I
+ II].
(... )
In seguito agli avvenimenti dell’8
settembre, il comandante del campo,
il capitano Arnaldo Mutti, decise di
sciogliere il campo di Ruscio,
riportando gli internati a
Colfiorito. Alcuni di loro fuggirono
dalla miniera e si unirono alla
Brigata Gramsci (...)
Angelo Perleonardi, figlio di
Mario Perleonardi che lavorò nella
miniera di Ruscio, ha conservato due
foto... della visita del
Nunzio Apostolico Francesco
Borgoncini Duca...
Nella
seconda foto si nota una
persona (prob.
un rappresentante dei prigionieri)
in divisa dell'esercito
monarchico jugoslavo, o dello Stato-fantoccio
serbo guidato da Nedić.
- Dino Renato
Nardelli: Neri di polvere
di lignite. Il campo per
prigionieri di guerra n. 117 di
Ruscio (1942-1943).
Perugia: ISUC, 2015
- S. Angelo in Pontano
(Macerata) [AC] (necessita approfondimento su
consistenza num. jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- S. Ginesio
(Macerata) [AC] (necessita approfondimento su
consistenza num. jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- S. Severino Marche
(Macerata) [AC] (necessita approfondimento su
consistenza num. jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Sagrado / Sdravščina
(Gorizia), * Poggio Terza Armata [AM] [AC]
N.59?
- San Gimignano (Siena):
carcere
- almeno 16
jugoslavi appaiono nell'elenco
nominativo dei prigionieri
politici liberati dal carcere grazie
ad una incursione partigiana il
10/6/1944
- Sarnano (Macerata)
[AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Sassoferrato (Ancona) ex
monastero S. Croce [AC] N.9
- tutti
abbandonano il campo il 15/9/1943 (C.S.
Capogreco: I campi del duce
p. 191)
- Scipione di Salsomaggiore
(Parma) [AC] N.2
- esclusivamente
per "slavi", 31 dei quali scappano il
9-10/9/1943 (C.S.
Capogreco: I campi del duce
p.180)
- Scoglio Calogero /
Ošljak (Croazia) [CONTR.]
- Seggiano (Grosseto), Ospedale degli Incurabili
(ricovero vecchi)
- Serravalle del
Chienti (Macerata) [AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- R.
Cruciani (a cura di): E
vennero..., Macerata
1993.
- Servigliano (Fermo)
N. 59
- C. Di
Sante: L'internamento civile
nell'ascolano e il campo di
concentramento di Servigliano,
ISML, Ascoli Piceno 1998
- Secondo N.
Kardoš: Il cammino vitale del
partigiano Kirija,
pag.200, cui rimandiamo anche per
altre fonti, fu
inizialmente riservato ai prigionieri
anglosassoni
- http://www.casadellamemoria.org/
- https://camp59survivors.com
- Sforzacosta (Macerata)
N. 56 (N.53 secondo N.
Kardoš: Il cammino vitale del
partigiano Kirija, pag.200, cui
rimandiamo anche per altre fonti;
inizialmente riservato ai prigionieri
anglosassoni)
- pagina
dedicata
sul sito
http://www.itineraridellamemoria.it/
- Elenco
degli
internati ad Abbadia di Fiastra,
successivamente trasferiti nel campo
di Sforzacosta (MC)
- Solofra (Avellino)
[AC] N.40
- vi furono
recluse solo donne - spec. straniere
di varia nazionalità - tra cui alcune
provenienti da Lubiana. "Furono
ospitate in media 25 internate
fisse, più internate di passaggio
provenienti o destinate ad altri
campi del Sud"
(fonte: IL
CAMPO DI INTERNAMENTO DEL PERIODO
BELLICO, di Antonietta Favato)
- Spoleto
(Perugia),
la Rocca [cc]
- Spoleto
(Perugia),
Morgnano / Cantiere Orlando P.G. N.115 (cfr.
anche Marsciano)
- Sulmona
(L'Aquila): carcere della Badia
- Sulmona
(L'Aquila) N.78 di Fonte
d’Amore, P.M. 3300
- Vi "erano reclusi oltre
trecento ex jugoslavi prigionieri di
guerra da non adibire a compiti
lavorativi, in maggioranza ufficiali
superiori, dapprima quasi
esclusivamente montenegrini, poi anche
serbi e croati..." (fonte: R.
Lolli, La presenza degli internati
slavi nell'Appennino aquilano
1942-1944 – PDF).
Nell'ottobre 1942 in
250 sono trasferiti a Garessio
(Cuneo). Dopo l'8 Settembre in quaranta
sono liberati da un ufficiale britannico
insieme agli altri prigionieri alleati
(fonte: Mason, W.W., Prisoners
of War, Wellington (New
Zealand), Historical Publications
Branch, 1954)
- Nel Diario
dell'internato Spasoje Radovanović
si parla delle condizioni di vita nel
campo e dell’uccisione di uno slavo (su
questo episodio cfr. anche Lolli, cit.).
- Immagini del campo sono visibili
nel video
"Campo di prigionia P.O.W.C. 78 -
Fonte D'Amore, Sulmona (AQ)"
(di L. De Sanctis, T. La Porta e A.
Amicone, 2012) che però non menziona la
presenza degli jugoslavi; si veda anche
il report
della visita dell'ambasciatore
australiano (dic. 2015). Johnson,
G., "Pictures
of Campo P.G. 78, Sulmona"
contiene foto d'epoca e attuali (2003)
di Fonte d'Amore con tutti i padiglioni
(una buona metà sono stati distrutti)
- Tavernelle-Pietrafitta
(Perugia) [am] [AC] N.55
- Teramo [forse da identificare con altri
in provincia di Teramo?]
- Tolentino (Macerata) [AC] (necessita
approfondimento su consistenza num.
jugoslavi)
- Tollo presso Lanciano
(Chieti) [AC] N.33
- Torino, P.G. N.112
-
citato
da Claretta Coda in: SERBO-SLAVI
IN CANAVESE (1941-1945) come
articolato in sei distaccamenti:
Gassino, Beinasco, Acciaierie
Cravetto a Settimo Torinese,
Torino-Ponte Stura, Venaria-La
Mandria e Castellamonte
- Torre de’ Passeri
(PE) [G. Visintin]
- Tortoreto Alto (Teramo)
[AC] N.34
- Tortoreto Stazione
(attuale Alba Adriatica – Teramo)
- Tossicia (Teramo)
[AC] N.35
- Trecate (Novara)
- Treia (Macerata),
"Villa Spada" o "Villa La Quiete" [AC] N.11
- Tremiti (isole, Foggia)
[AC] N.45
- furono "le uniche isole
di deportazione i cui internati non
vennero evacuati nell'estate 1943.
(...) Il 20 settembre '43, un
centinaio di deportati (in buona parte
slavi), impossessatisi di un grosso
natante, riuscì a fuggire alla volta
di Bari, nonostante il tentativo di
opposizione messo in atto dai
Carabinieri" (C.S.
Capogreco: I campi del duce
pag.240)
- Massimiliano Desiante:
"Sloveni alle Tremiti"
(novembre 2020)
- Tribussa di
Chiapovano / Trebuša [AM]
- Troia (Foggia)
- Urbisaglia (Macerata), "Abbadia di
Fiastra" N. 53 [AC] N.10
- Ustica (isola,
Palermo) [AC] N.48
- il
1/11/1942 ospitava almeno "750
montenegrini, 500 sloveni e 150
croati"; in seguito furono tutti
distribuiti in altri campi (C.S.
Capogreco:
I
campi del duce pag.247)
- Ventotene (isola,
Latina/Littoria) [AC] N.17
- Vestone/Bogliaco
(Brescia) N. 23
- Vi era
recluso Dimitrije
Paramendić
- È descritto
in "Poezija i Proza",
pubblicazione edita a Zurigo da
un'associazione di emigrati serbi
filomonarchici (n.19, sett. 1968 –
fonte: D. De Rose)
- Vetralla (Viterbo)
[costituzione il 12 luglio 1942, ACS A5G
b. 117]
- Vodice (entroterra di
Sebenico, Croazia)
- Volzana
di Tolmino / Volče (Slovenia) (confrontare
con Cighino
di Tolmino / Čiginj)
- Volterra (Pisa): carcere
- Vinchiaturo
(Campobasso), edificio di proprietà Di
Nonno in Via Libertà [AC] N.36
- Visco (Udine) [AC]
N.56
- Zdravščine / Poggio
Terzarmata (nel Goriziano)
- Zlarino/Zlarin
presso Zara/Zadar (oggi Croazia) [AC] N.63
- Zola Predosa
(Bologna) * (ACS Ariani internati (buste
26 e 160)
B. LUOGHI DI INTERNAMENTO LIBERO
- In provincia de L'Aquila (AQ) i
Comuni che ospitarono internati liberi
furono (fonte):
- Alfedena,
- L’Aquila,
- Ateleta,
- Avezzano,
- Barisciano,
- Campo di Giove,
- Capestrano,
- Capitignano,
- Carsoli,
- Castel di Sangro,
- Cerchio,
- Luco dei Marsi,
- Magliano dei Marsi,
- Montereale,
- Navelli,
- Ortona dei Marsi,
- Pescasseroli,
- Pereto,
- Pescina,
- Pescocostanzo,
- Pizzoli,
- Rocca di Mezzo,
- San Pio delle Camere,
- Scanno,
- Scurcola Marsicana,
- Villetta Barrea.
- In Irpinia (AV – Avellino), i
Comuni che ospitarono internati liberi
furono:
- Aiello del Sabato,
- Andretta Avella,
- Bagnoli Irpino,
- Bisaccia,
- Bonito,
- Calabritto,
- Calitri,
- Castelbaronia,
- Chiusano San Domenico,
- Forino,
- Frigento,
- Flumeri,
- Gesualdo,
- Greci,
- Grottaminarda,
- Lacedonia,
- Lauro,
- Marzano di Nola,
- Mercogliano,
- Mirabella,
- Montefusco,
- Montella,
- Montecalvo,
- Montemarano,
- Montemiletto,
- Nusco,
- Ospedaletto d’Alpinolo,
- Paternopoli,
- Quindici,
- S. Angelo dei Lombardi,
- San Martino Valle Caudina,
- Siringano di Puglia,
- Teora,
- Torella dei Lombardi.
Per uno studio
generale sui campi di concentramento
fascisti e spec. sull'internamento degli
jugoslavi si vedano:
The
United States Holocaust Memorial Museum:
ENCYCLOPEDIA OF CAMPS AND GHETTOS,
1933–1945. VOLUME
III: Camps and Ghettos under European
Regimes Aligned with Nazi Germany
(segnalato da Rosanna Rizzi)
LA DOPPIA DEPORTAZIONE
– da
Lavoroforzato.topografiaperlastoria.org :
Alla
data della capitolazione, l'8 settembre
1943, in Italia si trovano internati nei
campi di concentramento o detenuti nelle
carceri fasciste migliaia di cittadini
stranieri. Non conosciamo con precisione
il loro numero, ma sappiamo che la maggior
parte di loro proviene dai territori
occupati o annessi della Jugoslavia. In
numero minore erano i montenegrini, i
greci e gli albanesi...
G. Lorentini: I campi di
concentramento fascisti: tra
storiografia e definizioni, su Giornale
di Storia, N° 28/2018 (16 aprile 2019)
L’ARTICOLO
INTENDE AFFRONTARE LE QUESTIONI SORTE
INTORNO ALLE DEFINIZIONI GENERALI DELLA
CATEGORIA DI “CAMPO DI CONCENTRAMENTO”
(...) CI SI INTERROGHERÀ SU COME COLLOCARE
IL CASO ITALIANO DEI CAMPI DI
CONCENTRAMENTO INSTAURATI DURANTE IL
PERIODO BELLICO DAL GIUGNO 1940 AL
SETTEMBRE 1943. SI PRESENTERÀ BREVEMENTE
UNA RASSEGNA STORIOGRAFICA SULLO STATO
DELLA RICERCA IN ITALIA SUL FENOMENO
CONCENTRAZIONARIO FASCISTA
DELL’INTERNAMENTO CIVILE.
2017: avviata
la campagna "Rete
della memoria e dell'amicizia per
l'Appennino centrale" per
interventi di ripristino (recupero di beni
culturali e/o storici), nei luoghi flagellati
dallo sciame sismico del 2016-2017 e già teatro
della presenza degli antifascisti jugoslavi
ex-prigionieri nei campi di concentramento della
nostra penisola
Casoli (CH) 27 gennaio 2018: Convegno
di studi "Memoria e internamento civile
nell’Italia fascista"
N.M. Masoničić: Druga strana rata:
crnogorski internirci 1941-1945. Bar,
Udruženje boraca NOR-a i antifašista, 2015
"Giochi
spezzati. I bambini slavi nei campi di
concentramento italiani (1942-1943)" di
Michele Strazza, Leucotea-EBK 2015
Rappresentazione
teatrale: Gonars
1941-1943: io odio gli italiani
Convegno: "I
campi di concentramento fascisti" -
Udine, 29 gennaio 2014
http://www.campifascisti.it/
Sitographie des sites
liés à l’univers concentrationnaire
nazi et fasciste et à la résistance
en Italie
http://rememberingfascistcamps.blogspot.it/
"L'isola del miele -
regno della morte" di Giacomo Scotti,
Zanella 2012
MASS INTERNMENT OF CIVIL POPULATION
UNDER INHUMAN CONDITIONS (PDF,
5.8MB - from the site Diecifebbraio.info
- Chapter
6 of the book: REPORT
ON ITALIAN CRIMES AGAINST YUGOSLAVIA AND ITS
PEOPLES by The
State Commission for the Investigation of
War Crimes, Belgrade 1946)
Documentario:
OLTRE
IL FILO
l'inedita storia di un
gruppo di bambini sopravvissuti ad uno di
quei campi
Regia Dorino Minigutti
Direttore della fotografia Bruno Beltramini -
Musiche originali Aleksander Ipavec
Montaggio Sanjin Stanić - Suono e mixage
Francesco Morosini
co-produzione ZAVOD KINOATELJE - IMMAGINARIA -
FOCUS MEDIA - AGHEROSE
in collaborazione con
RAI -- sede regionale per il Friuli Venezia
Giulia
con il contributo di
Ministrstvo za kulturo Republike Slovenije
Sklad za avdiovizualne medije - Fondo
Audiovisivo FVG - Comune di Gonars - Grad
Rijeka
Davide Toffolo, L'INVERNO
D'ITALIA. Una storia a fumetti su
Gonars
Sulla persecuzione di Rom e Sinti:
A.
Giuseppini: "Stanka e Maria nei campi di
concentramento italiani" e "Quei lager
rimossi di casa nostra"
G.
Boursier: "La persecuzione degli zingari da
parte del Fascismo"
G. Boursier: La persecuzione degli zingari
nell'Italia fascista, in «Studi
Storici» n.37, ottobre-dicembre 1996
Mirella Karpati: "La politica fascista verso
gli zingari in Italia", in Lacio Drom
n.20, maggio-giugno 1984
Altri documenti:
ABRUZZO
Costantino
Di Sante: I campi di
concentramento in Abruzzo (1940-1944)
Riccardo Lolli: PRESENZA
DEGLI INTERNATI SLAVI NELL’APPENNINO
AQUILANO 1942-44 (Ricerca
effettuata per l'Istituto Abruzzese per lo
studio della Storia della Resistenza e
dell'Età Contemporanea)
CAMPANIA
Antonietta Favati: Le internate,
prefazione di Francesco Barra, Atripalda,
Mephite, 2002, pp. 117, € 7,50
(sull'internamento femminile in Irpinia - recensione)
EMILIA-ROMAGNA
Lidia
Maggioli, Antonio Mazzoni: Con Foglio di
via, storie di internamento in Alta
Valmarecchia 1940-1944, Cesena, Il
ponte vecchio, 2009
Marco Minardi: Tra chiuse mura. Deportazione e
campi di concentramento nella provincia di
Parma 1940-1945, Comune di
Montechiarugolo, 1987
MARCHE
Giuseppe Morgese e Daniele Duca: Una
regione e i suoi "campi" : tra
concentramento, internamento, liberazione,
deportazione e supplizio (1940 - 1944).
Prefazione a cura di Riccardo Di Segni.
Venezia : Ikona, 2014
Database Ebrei
italiani e stranieri internati
in Provincia di Pesaro 1940-1944,
a cura di Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni
...nel sito alla voce “Lista nominativa”,
numerosi sono gli jugoslavi... Tra gli
ebrei si trovano anche numerosi non ebrei
jugoslavi, a volte non ben distinti tra
loro.
Segnaliamo, tra gli altri, la
famiglia Alcalay da Belgrado e in
particolare Albert Alcalay, diventato poi
un noto pittore...
Lidia Maggioli, Antonio Mazzoni: Con
Foglio di via, storie di internamento in
Alta Valmarecchia 1940-1944, Cesena,
Il ponte vecchio, 2009
Costantino Di Sante: L'internamento
civile e i campi di concentramento nelle
Marche, in: Paolo Giovannini (a
cura di), L'8
settembre nelle Marche. Premesse e
conseguenze, Ancona, Il lavoro
editoriale, 2004 - pp.187-228
Katia Ancona:
Prigionieri del Duce nelle Marche
(Ifg Urbino, 2008)
L'internamento
in
provincia di Macerata (da
http://www.itineraridellamemoria.it/ )
TOSCANA
"VILLA
OLIVETO". CENTRO DI DOCUMENTAZIONE SUI CAMPI
DI CONCENTRAMENTO ITALIANI: http://www.storiaememorie.it/villaoliveto/
Valeria Galimi: L'internamento in Toscana,
in: E. Collotti (a cura di), Razza e
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PUGLIA
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fascista in Puglia, in «Bollettino
della Fondazione Ferramonti» n.2-3,
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UMBRIA
Dino
Renato Nardelli, Luca Pregolini:
Impiegati in lavori manuali. Lo
sfruttamento dei prigionieri di
guerra e degli internati civili
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Foligno, ISUC / Editoriale Umbra,
2014
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in L'Umbria
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Perugia, 30 novembre-1 dicembre 1995, a cura
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Foligno : Editoriale umbra, [1998] ISBN -
88-85659-54-3
GENERALE
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Una voce inascoltata dai campi fascisti
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(collana Fuori rotta Memoir), 2024
C.S. Capogreco: Giornata
della Memoria (difficile): i campi del
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24 gennaio 2019
D. Gobbo: L’OCCUPAZIONE
FASCISTA DELLA JUGOSLAVIA E I CAMPI DI
CONCENTRAMENTO PER CIVILI JUGOSLAVI IN
VENETO (2012)
N. Kardoš: Il cammino
vitale del partigiano Kirija (2009)
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nei campi di concentramento italiani
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B.M. Gombač, D. Mattiussi, D. (a cura di): La
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tenuto a Teramo nel 1998, Franco Angeli,
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Resistenza e dell’età contemporanea di
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C.S. Capogreco: L’oblio delle deportazioni
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di popolazione e deportazioni in Europa
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S. Carolini (a cura di): «Pericolosi
nelle contingenze belliche». Gli internati
dal 1940 al 1943, Anppia, Roma 1987
REMEMBERING
FASCIST CAMPS
Slovenian Museum of Contemporary
History's Exibition: Zadnji
pricevalci / The
last witnesses - remembering fascist
camps (2012)
virtual
tour 1 - 2
Apis Institute
Slovenia
Foto
dai
campi di prigionia italiani (dal sito de
La Nuova Alabarda)
Ebrei
jugoslavi internati in Italia durante il
periodo bellico (3222
nominativi - da http://www.annapizzuti.it/ )
La lotta dei
partigiani jugoslavi ex-detenuti nei
campi in Italia: i monumenti
Il dramma nel dramma. Un filo spinato,
tra il palco e la platea. Quasi fosse un muro,
crea due mondi all’interno di un’unica e
raccolta sala. Ieri e oggi. Ciò che era e ciò
che non è. Chi vuole far ricordare e chi
ricorda. All’ingresso del Teatro Binario 7 di
Monza c’è però un altro mondo, per il quale
non c’è spazio nell’atmosfera creatasi tra gli
attori e gli spettatori. È il mondo di chi
nega l’esistenza di questo scomodo passato
italiano. Mesto, si aggira il fantasma di ciò
che è stato dimenticato, rifiutato, nascosto e
cancellato. Uno spettacolo che mette in scena
un dramma reale. Il dramma della fame, del
furto dei ricordi, della disperazione,
dell’odiata Italia. “Un paese bagnato da tre
mari, popolato da una sola lingua, da gente
civile, che saluta alzando il braccio destro”.
Due soli personaggi, una scenografia
essenziale, un ritmo sincopato. Musiche
martellanti anticipano la rappresentazione.
Chiara di Marco è Zofia per questa sera,
accompagnata nel suo percorso di sopravvivenza
da Paolo Miloro, nelle vesti di Vlado, il
padre, il comunista, lo studente,
l’intellettuale, il bracciante agricolo fatto
prigioniero per aver cantato in lingua
slovena, nella lingua della sua terra, in un
locale pubblico.Due uomini con la paura della
morte “perché non parlano la stessa
lingua degli italiani”. Sono gli unici due
personaggi che animano il palco, accompagnati
da una bandiera issata, un albero secco e
poc’altro. È questo il campo di concentramento
di Gonars, l’Auschwitz italiana di cui non
sappiamo nulla, realizzato dal regime fascista
nell’ottobre del 1941, in previsione
dell’arrivo di prigionieri di guerra russi ma
destinato all’imprigionamento di civili di
quella terra conquistata, occupata, smembrata
e rastrellata chiamata “Provincia Italiana di
Lubiana”. Uno spettacolo che mette in scena
quella che è stata definita dal regime
mussoliniano “bonifica etnica”. Uno spettacolo
in cui due sconosciuti s’incontrano,
condividendo l’esperienza degli internati nei
campi di concentramento italiani. Parole che
si alternano ad urla e a spari, che ci
avvisano che la gente piano piano giunge alla
fine, per incomprensibile e irrazionali
motivazioni. Non è vita la fame, la prigionia,
l’ingiustizia. “Due maccheroni e due fagioli,
in un po’ di acqua sporca” in un “campo di
concentramento che non è campo di
ingrassamento” secondo le parole del generale
Gambara: non è vita. Una non-vita che crea
umanità, dove Zofia nella sua intima
disperazione trova la forza di abbracciare un
albero, per rendergli il freddo meno
insopportabile, dove Vlado insegna alla
compagna le tabelline, perché “fuori di qua,
non avrà nessun privilegio per quello che ha
patito”.Vlado viaggia, aiutando Zofia a vedere
le montagne, il campanile e la bellezza oltre
la freddezza di quel filo spinato e di quella
morte incarnata in un secco albero. La regia e
la drammaturgia di Valentina Paiano riescono a
comunicare al pubblico in modo pressoché reale
la concretezza di questo pezzo d’Italia
dimenticato. Una rappresentazione con
circostanze sceneggiate ma ricca di riscontri
documentati, conferma Alessandra Kersevan,
storica che avuto il coraggio di dedicare i
suoi studi a questa parentesi della storia
d’Italia scomoda agli stessi italiani. A
Gonars, 6500 internati e 500 morti circa.
Gonars in scena per tutti gli altri campi di
concentramento presenti in Italia e nei
territori annessi, che non conoscono una fine
nemmeno con il periodo badogliano. Cighino,
Visco, Fossolan, Poggio Terzarmata,
Piedimonte, Colfiorito, Pietrafitta, Ruscio,
Monigo, Chiesanuova, Renicco, Cairo,
Montenotte, Fertilia. Arbe, Buccari, Portorè,
Fiume, Melada, Zlarino, Scoglio Calogero,
Morter, Zaravecchia, Vodizza, Divulje,
Prevlaka. E tanti altri, di cui spesso non si
sa nulla. Nel dopoguerra è calata la censura,
spiega amareggiata la Kersevan.Una censura
dettata principalmente da due ragioni, tra
loro concatenate. L’Italia, infatti, fu
l’unica nazione che da alleata alla Germania
si schierò con gli anglo-americani. E da qui
la lotta partigiana, la Resistenza, la
negazione di un passato mussoliniano acclamato
a gran voce, a suo tempo, a piazza Venezia,
con una cancellazione totale di
responsabilità. Responsabilità che andavano a
cadere anche sull’esercito, che nel primo
dopoguerra si accingeva ad entrare a far parte
delle organizzazioni internazionali del blocco
occidentale: una realtà scomoda dunque, una
realtà da cancellare. E nessuno conosce:
questa è la motivazione che ha spinto
Valentina Paiano verso l’ideazione di questo
sceneggiato. Per ricordare, nella speranza “di
un’Italia bagnata da tre mari, in cui ci si
saluta con una stretta di mano, fatta da tante
e molte lingue, con persone intelligenti,
forti e civili, dove la gente non lascia
morire di fame altra gente”, dove non ci
saranno più nessuna Zofia e nessun Vlado,
oltre che nella memoria di tutti noi.
Camilla Mantegazza (Monza, 2 febbraio 2014)
Presentazione del
progetto
GONARS THE
ITALIAN LOST MEMORY
Il progetto presentato dal Comune di Gonars, ed
affidato nella sua realizzazione alla Kappa Vu
di Alessandra Kersevan (già autrice di una
importante ricerca storica sul campo “Un campo
di concentramento fascista. Gonars 1942-1943”),
intende proseguire sulla strada del recupero
della memoria storica individuando nei giovani
il target di riferimento principale della
propria attività e nelle tecnologie multimediali
(web, cd-rom, dvd ecc.) lo strumento più idoneo
a trasmettere questi contenuti.
Gli obiettivi del progetto sono:
1. Preservare la memoria storica riguardante i
tragici avvenimenti della deportazione di massa
di donne, bambini, anziani e uomini dalla allora
“provincia di Lubiana” e dagli altri territori
jugoslavi annessi dall’Italia dopo il 1941;
2. Trasmettere la conoscenza degli avvenimenti
accaduti a Gonars nel 1942-43 alle presenti e
future generazioni, non solo in Friuli Venezia
Giulia, ma anche in Italia, Slovenia e Croazia e
in altri paesi;
3. Contribuire a creare e a consolidare una
presa di coscienza collettiva nazionale in
merito alla storia del fascismo in Italia e dei
campi di concentramento;
4. Contribuire alla creazione e promozione di
una cultura di pace e collaborazione tra i
popoli, alla conoscenza tra le genti affinchè
queste tragedie non accadano più.
Il progetto consiste in due parti:
1) [il sito http://gonarsmemorial.eu/
attualmente non è funzionante / era:
www.gonarsmemorial.org / vedere invece: https://pg89gonars.jimdofree.com/
]
2) un video-documentario
in DVD con la storia del Campo di
concentramento di Gonars.
Realizzazione del sito web/portale
La realizzazione del sito sarà lo strumento
principale attraverso il quale informare e
sensibilizzare le persone in Italia e negli
altri paesi europei e non solo, riguardo ai fati
accaduti a Gonars. Il sito web, infatti,
presenterà una selezione, adatta al grande
pubblico e di immediata comprensione e impatto,
dei contenuti presentati sul cd-rom e avrà una
funzione principalmente divulgativa. Il sito
web/portale ospiterà anche la rete virtuale dei
comuni italiani, sloveni e croati. La sua
struttura sarà tale da permettere
l’aggiornamento e l’adattamento continuo e
costante nel tempo dei contenuti. Sarà costruito
in due lingue italiano e inglese con alcuni
inserti e link in lingua slovena e in lingua
croata. Il sito sarà ancorato ai principali
motori di ricerca del web, sarà collegato ad
altri siti dal contenuto analogo in Europa e si
provvederà anche a inserirlo nell’ambito dei
circuiti di turismo tematico nello specifico in
quelli relativi al turismo culturale e in quelli
relativi ai percorsi storici.
Realizzazione DVD
Il dvd si configura come uno strumento agile e
di sicuro interesse, in particolar modo per le
persone giovani ma non solo. Il pregio di tale
strumento è quello di poter coniugare
contenuti scritti come lettere e documenti con
l’immagine delle persone, testimoni diretti o
indiretti dei fatti accaduti e la possibilità di
ricreare virtualmente il campo di concentramento
per internati civili di Gonars. E’ uno strumento
di facile utilizzo anche per la didattica. Avrà
una durata di ca. 1 h e ciò permette di svolgere
un’interessante lezione di storia con i seguenti
contenuti:
- contestualizzazione degli avvenimenti, le
premesse storiche: il nazismo e il fascismo;
l’occupazione della Jugoslavia; l’annessione
della provincia di Lubiana da parte delle
autorità italiane e la politica repressiva
contro il movimento partigiano;
- deportazione di massa; i campi di
concentramento per internati civili in Italia
- il campo di concentramento per internati
civili di Gonars;
- testimonianze.
Un campo di
concentramento fascista. Gonars 1942-1943.
Recensioni
Da: Mauro Daltin
Data: Monday 21 November, 2005
Recensione:
Pagine dal
campo fascista di Gonars
di Giulia
Calligaro - Il Sole 24 Ore
Il giorno della memoria per non dimenticare
tragici fatti che hanno coinvolto anche
l'Italia.
Ce lo ricorda Alessandra Kersevan, ricercatrice
all'Università di Trieste, nel suo libro "Un
campo di concentramento fascista" (ediz. Comune
di Gonars/Kappavu), un'opera che vuole
contribuire a diffondere la conoscenza del
sistema dei campi di concentramento fascisti e
in particolare la tremenda vicenda che si svolse
a Gonars, in provincia di Udine nel 1942-43,
dove venne impiantato un campo in cui furono
rinchiusi migliaia di sloveni e croati. Fu il
più grande campo di concentramento per internati
civili jugoslavi al di qua del vecchio confine
gestito dal Regio esercito. Dalla primavera del
1942 al settembre del '43 vi furono internate 6
mila persone, uomini, donne, vecchi e bambini.
Morirono in 500 per la fame, il freddo, le
malattie.
Gli internati provenivano per il 90% dal Gorski
Kotar, la regione montuosa a nord-est di Fiume,
che subì un vero e proprio martirio da parte
dell'esercito italiano. La ricerca è stata
condotta nell'Archivio di Stato di Udine ed è
continuata poi in vari altri archivi italiani,
fra cui l'Archivio Centrale dello Stato, quello
dello Stato Maggiore dell'Esercito e l'Archivio
di Stato di Lubiana.
L'autrice si è avvalsa inoltre di testimonianze
orali e memorie scritte di ex prigionieri, ex
soldati del contingente di guardia e gente di
Gonars.
Il campo di Gonars fu il campo fascista in cui
si ebbero le peggiori condizioni di vita. Il
progetto era quello di ripopolare la regione con
gli italiani. Ma il caso Gonars rimase
invisibile nell'Italia del dopoguerra, in parte
anche per l'effetto assolutorio di Auschwitz nei
confronti degli altri campi. Eppure i documenti
parlano chiaro e grave: nella notte tra il 22 e
il 23 febbraio 1942, Roatta, Robotti e Grazioli,
i militari responsabili del rastrellamento,
fanno circondare Lubiana con reticolati di filo
spinato: la città diventa così un immenso campo
di concentramento. Robotti spega al Duce il suo
metodo: "Gli uomini sono nulla". E comunica la
sua intenzione di "arrestare in blocco gli
studenti di Lubiana". I rastrellamenti sono
operati dai granatieri di Sardegna. Il genrale
Orlando, comandante della divisione, prevede lo
sgombero delle persone "prescindendo dalla loro
colpevolezza". Alla fine di giugno Orlando
comunica che con l'arresto di "5.858 persone si
è tolto dalla circolazione un quarto della
popolazione civile di Lubiana". Il campo di
Gonars, allestito per gli arrestati sloveni, in
poche settimane è pieno. In estate viene
approntato in fretta e furia il campo di tende
sull'isola di Rab. Il vescovo di Krk, monsignor
Srebnic, il 5 agosto 1943 in una lettera la Papa
parlerà di più di "1.200 internati morti". Alla
fine del 1942 il sottosegretario all'Interno
Buffarini dà notizia al Duce che "50 mila
elementi sloveni sono stati internati in
Italia". Nell'autunno 1942 la diocesi di Lubiana
fa arrivare alla Santa Sede un documento dal
tono molto preoccupato, che chiedeva interventi
per evitare che i campi "diventino accampamenti
di morte e di sterminio". Il Vaticano la inoltra
al ministero dell'Interno fascista. Risponde –
sempre seguendo le testimonianze raccolte dalla
Kersevan – proprio il generale Roatta,
minimizzando la situazione, contestando i dati e
rimproverando il Vaticano, poiché "i comandi
militari non hanno bisogno di suggerimenti per
quanto riguarda i doveri di umanità". Il
segretario dell'arcivescovo di Zagabria nel '43
denuncia alla Croce Rossa italiana che a "Gonars
si trovano oltre 4 mila croati, in maggioranza
donne e bambine che soffrono molto e muoiono in
gran numero". Il 27 marzo 1943 il prefetto di
Udine impone all'Autorità ecclesiastica di
bloccare i pacchi per evitare che "aiuti siano
prodigati a una razza siffatta che non ha mai
nutrito, né nutre, sentimenti favorevoli
all'Italia".
http://www.romacivica.net/anpiroma/deportazione/deportazionecampi1a.htm
Il campo di
concentramento di Arbe/Rab
Il campo di Arbe, una delle isole che costellano
il lato orientale dell'Adriatico (oggi
territorio della Repubblica di Croazia), fu
aperto nel luglio del 1942 ed ospitò
complessivamente circa 15.000 internati tra
sloveni, croati, anche ebrei. In poco più di un
anno di funzionamento (il campo cessò di
esistere 1'11 settembre del 1943), il regime di
vita particolarmente duro causò la morte di
circa 1.500 internati.
La storia del campo
Il 7 luglio 1942 il comandante della II Armata,
Roatta, informa il comando del’XI Corpo
d'Armata: il comando superiore aveva predisposto
a Rab un campo con 6.000 persone sotto le
tende... oltre a questo campo, ne sarebbe stato
preparato un altro per 10.000 persone. Viene
così edificato il primo campo di concentramento,
definito n.1. Successivamente entrano in
funzione i campi II, III, IV. Il Campo III fu
destinato a donne e bambini, esso era situato ai
limiti di una puzzolente palude. Gli altri erano
collocati a ridosso di latrine che traboccavano
in caso di forti temporali, allagando i campi.
A fine luglio 1942 avviene il primo trasporto di
internati. La guardia armata dei campi
dell'isola di Rab, viene inizialmente affidata a
militari del V Corpo d'Armata, successivamente
sostituiti da una guarnigione di 2.000 soldati e
ufficiali, più 200 carabinieri. Gli stessi
detenuti sopravvissuti hanno riferito che la
maggioranza dei soldati e di giovani ufficiali
manifestavano una certa apatia, non accanendosi
sui prigionieri.
Nella primavera del 1943, si presentano i primi
segni di sfacelo della guarnigione, si palesano
volontà di avvicinamento verso i detenuti,
malgrado la ferrea disciplina imposta dal
comandante del campo, il tenente colonnello
Vincenzo CIAULI, fanatico fascista, sadico, uso
ad adoperare solo la frusta. Odiato anche dai
soldati italiani.
In una relazione delle forze armate italiane sui
trasporti militari, ritrovata nel campo dopo la
liberazione, sono elencati tutti i singoli
arrivi con il numero dei deportati. In totale
essi risultano 9.537 persone (4.958 uomini, 1296
donne,1.039 bambini), più 1.027 ebrei (930
donne, 287 bambini); per un totale di 10.564.
(sono esclusi quelli in transito verso altri
campi, compresi quelli sul suolo italiano). I
deportati sono stipati in piccole, vecchie tende
militari, scarsamente o per nulla impermeabili,
su paglia già usata, con una leggera coperta: il
tutto pieno di pidocchi e cimici.
Molti sono stati rastrellati mentre lavoravano
nei campi in estate, sono semi nudi e nulla
viene dato loro per coprirsi. Condizioni
bestiali, in particolare per l'autunno e
l'inverno: pioggia, neve, con la gelida bora
imperversante. Le migliaia di detenuti
dispongono di soli tre rubinetti per l'acqua,
erogata tre ore al mattino e tre ore al
pomeriggio. Nei casi di punizione l'acqua viene
tolta.
Per la fame, il freddo, gli insetti, le
malattie, la mortalità diventa elevatissima, in
particolare per i bambini, le donne (alcune sono
partorienti), vecchi (un internato ha 92 anni).
Le possibilità di sopravvivenza concerne
solamente i più robusti fisicamente e
spiritualmente più resistenti.
E' ignoto il numero dei deportati morti nel
campo di concentramento di Rab (sarebbero almeno
1500).
Si possono solo citare brani di una lettera, in
data 15 dicembre 1942, dell'Alto Commissario,
Grazioli:
"... mi
riferiscono che in questi giorni stanno
ritornando degli internati dai campi di
concentramento, specialmente da
Rab. Il I medico provinciale... ha costatato
che tutti senza eccezioni, mostrano sintomi del
più grave deperimento e di
esaurimento, e
cioè: dimagramento patologico, completa
scomparsa del tessuto grasso nella cavità degli
occhi, pressione bassa, grave atrofia muscolare, gambe
gonfie con accumulo di acqua, peggioramento
della vista (retinite), incapacità di trattenere
il cibo, vomito, diarree o grave stipsi, disturbi
funzionali, auto intossicazione con febbre."
Il comandante di allora dell’ XI corpo d'armata,
il criminale di guerra Gastone Gambara, risponde
scrivendo, tra l’altro di suo pugno: "è comprensibile e
giusto che il campo di concentramento non sia
un campo di ingrassamento. Una persona
ammalata è una persona che ci lascia in pace".
"Nelle
vicinanze del campo esisteva un ambulatorio,
così viene descritto. La casa aveva alcune
camere e una cantina. Doveva servire per gli
ammalati più gravi, tuttavia succedeva
raramente che anche là venisse inviato qualche
simile ammalato. Essendo il numero dei letti
insignificanti, gli ammalati giacevano nei
corridoi e persino in cantina, addirittura per
terra. In cantina finivano di solito malati
gravi che erano già sul punto di morte".
A pochi mesi dalla liberazione, alcuni alberghi
di Rab vennero trasformati in ospedale. I medici
sono ritenuti "buoni
ed umani... ma non potevano fare niente con
una amministrazione incapace e corrotta".
Nell'inizio dell'estate del 1943, si estende la
convinzione di una prossima, generale disfatta
del nazifascismo. Alcuni miglioramenti furono
introdotti nei campi e negli ospedali di Rab...
Con il 25 luglio 1943, e la fine della
ventennale dittatura fascista, le prospettive
nel campo non cambiano. Gli internati reagirono
"spontaneamente e sorprendentemente: cantando",
prima canti popolari poi quelli partigiani;
carabinieri e militari non reagirono.
Intanto si intensifica, fra chi è rimasto vivo,
l'attività politica e la formazione di nuclei
partigiani clandestini per la liberazione dei
campi.
L'8 settembre 1943, di sera, "scoppiò
improvvisamente un'ondata di entusiasmo nelle
truppe di occupazione". Guardie e
carabinieri rimasero al loro posto; ciò
malgrado, il 10 settembre venne organizzata dai
gruppi clandestini un’assemblea dei detenuti, fu
eletta una nuova amministrazione del campo,
ammainata la bandiera italiana. I militari
italiani sono disarmati e portati nel porto di
Rab, arrestati il Ciauli ed una spia già nota.
Si forma la brigata partigiana "Rab"; i giorni
15 e 16 settembre sbarco sul continente. Ciauli
viene processato e condannato alla fucilazione.
/(dai siti Pinerolo Cultura e
rossaprimavera.org)/
Fonte: http://it.groups.yahoo.com/group/tera_de_confin/message/11674
http://www.unive.it/media/allegato/dep/Ricerche/4-I_bambini_sloveni_nei_campi_di_concentramento_italiani.rtf
Ripubblicato in: Stradalta
(rivista dell'Associazione Storica Gonarese),
anno I n.1, aprile 2008 (Ed. KappaVu)
I
bambini sloveni nei campi di
concentramento italiani (1942-1943)
di Metka Gombač
Il tema dei bambini vittime della guerra non è
stato ancora esplorato
a fondo. Benché nella retorica quotidiana i
giovani assumano il valore
di simbolo del futuro, ben poco in verità, si è
indagato sulla loro
condizione e sulla loro sorte in una guerra
senza quartiere, come la
seconda guerra mondiale. Il diario di Anna Frank
ha forse consentito a
molti di intuire di che cosa nazismo e
fascismo sono stati capaci
contro i bambini, ma, come si può evincere dalla
storia qui
raccontata, quello di Anna fu soltanto un
tassello di una tragedia
molto più vasta.
La seconda guerra mondiale portò violenze e
traumi ai bambini nel
nordest d' Italia (dove furono eretti
campi di concentramento) e
nelle regioni contigue della Slovenia e della
Croazia (serbatoio di
rastrellati ed internati). Da quando la
Jugoslavia entrò nell´orbita
dell'imperialismo italiano, tedesco ed
ungherese, per i suoi abitanti
non ci fu più pace. Dopo l'aggressione alla
Slovenia (avvenuta il 6
aprile 1941) le forze dell'Asse decisero di
dividersi il territorio
conteso: il Reich tedesco optò per le regioni
del nord (lo Stayer e la
Carniola superiore), l'Ungheria per le regioni a
ridosso del fiume
Mura e l'Italia per le regioni che dalla Sava
scendevano verso sud,
verso la provincia di Fiume e verso la Croazia.
Le forze d'occupazione
italiane tentarono di assimilare su un
territorio di 4.450 chilometri
quadrati ben 336.279 sloveni che, con il decreto
reale 291 del 3
maggio 1941, istitutivo della Provincia di
Lubiana (fuori da ogni
legge di guerra), divennero sudditi del Regno
d'Italia. Mussolini
nominò a capo di questa Provincia due
funzionari, Emilio Grazioli come
Alto Commissario per le questioni civili e il
generale Mario Robotti,
comandante dell XI armata, per le questioni
militari. Anche se i
rapporti ufficiali delle autorità che da Lubiana
andavano a Roma
notificavano un' occupazione relativamente
tranquilla, l'OF, il fronte
di liberazione sloveno (una coalizione formata
da comunisti, da
cristiano sociali e da frange dissidenti
liberali), che dal 27 aprile
1941 dirigeva da Lubiana tutto il movimento di
liberazione, accertava
che già nei primi giorni d'occupazione ben 400
intellettuali sloveni e
fuoriusciti dalla Venezia Giulia erano stati
rinchiusi senza alcun
fondato motivo. Era vero dunque, come riferivano
i rapporti dell'OVRA,
che sotto una pace apparente covava il
malcontento e che gli sloveni
mal sopportavano l'occupazione italiana. Anche a
parere di Natlacen,
Pucelj e Gosar, i dirigenti politici dei partiti
sloveni che avevano
scelto di collaborare, l'occupazione da parte
delle forze tedesche
sarebbe riuscita più gradita dell'occupazione
italiana. Stereotipi di
superiorità verso i latini, stereotipi diffusi
in Austria già dal
tempo di Radetzky, suggerivano ai lubianesi una
preferenza esplicita
per il Reich. Il malcontento cresceva anche a
cusa dei frequenti posti
di blocco, dell'introduzione della lingua
italiana
nell'amministrazione e nella scuola pubblica e
dell'impatto negativo
dell'esercito con la realtà locale. Inoltre le
manifestazioni di
esplicito razzismo non potevano non incrinare le
relazioni tra le
forze d'occupazione e la realtà locale.
Dichiarazioni come quella del
prefetto Temistocle Testa che gli sloveni erano
«un popolo che ogni
giorno di più sta dimostrando di essere quello
che sempre è stato,
cioè una razza inferiore che deve essere
trattata come tale e non da
pari a pari», sono un significativo esempio[1].
Dopo l'attacco all'Unione sovietica, l'OF, il
movimento di liberazione
sloveno, proclamò la guerra armata contro tutti
gli invasori,
organizzando a Lubiana, ma anche in altri luoghi
della Slovenia, una
rete di strutture illegali tra le quali la
Difesa popolare, il
Servizio di informazioni, il Servizio per il
finanziamento della
lotta, il Centro di raccolta viveri e armi e il
Soccorso nazionale
sloveno (sulla falsariga del Soccorso rosso). Lo
stesso schema venne
ripetuto nelle città di Vrhnika, Logatec, Novo
Mesto, Kocevje,
Crnomelj e altre ancora, dove esistevano già
alcuni gruppi di
partigiani armati pronti ad agire. Per
mobilitare la popolazione si
istituirono sistemi di comunicazione illegali
(radio e quotidiani) che
dovevano creare un' atmosfera utile al
boicottaggio generale di tutte
le forze d'occupazione[2].
Uno dei primi ordini per colpire le
comunicazioni ferroviarie e
stradali fu dato il 19 ottobre 1941. I
gruppi armati partigiani
attaccarono con successo nelle zone boschive
vicino a Vrhnika il ponte
di Verd e per qualche tempo tutti i collegamenti
ferroviari e stradali
da Lubiana all'Italia furono interrotti. Questa
azione soprese i
comandi dell'esercito d'occupazione che reagì
con una controffensiva
organizzata dal generale Robotti il quale si
avvalse della sua
competenza nella lotta antipartigiana. Ma questo
continuo passare al
settaccio regioni intere creò tra la popolazione
residente un grande
disagio e un grande malcontento, da cui trasse
vantaggio la resistenza
slovena che andò ingrossando le file del proprio
movimento.
Anche se i reparti armati partigiani dovettero
temporaneamente
ritirarsi in zone più sicure (un triangolo tra
Lubiana il confine con
la Croazia e la Provincia di Fiume), un mese più
tardi il comando
italiano constatò che le azioni partigiane si
stavano ripetendo e che
molte postazioni periferiche non potevano più
essere mantenute. Gli
attacchi alla cittadina di Loz (19 ottobre
1941), al ponte di Preserje
(4 dicembre 1942) e nuovamente al viadotto di
Verd (2 febbraio 1942),
sulla linea ferroviaria Lubiana - Trieste,
crearono difficoltà
insormontabili ai vertici dell' esercito. Fu
allora che il generale
Mario Robotti pensò dapprima di
regolare i conti con il suo
concorrente per gli affari civili Grazioli e poi
di mettere a ferro e
a fuoco tutta la regione a sud della capitale
slovena. Nel gennaio del
1942 egli sottolineò che tutta la provincia di
Lubiana, e in
particolare la sua capitale, andavano
considerate zona di operazioni.
Consapevole del fatto che la direzione della
resistenza slovena aveva
sede a Lubiana, Robotti decise di porre la
citta' sotto controllo
cingendola con cerchi concentrici di filo
spinato intervallati da
posti di blocco superabili soltanto con
lasciapassare italiani. Sin
da 23 febbraio 1942 la divisione di fanteria
«Granatieri di Sardegna»,
coadiuvata dai carabinieri, dalla polizia e
dalla guardia alla
frontiera, dette il via alla cosidedtta azione
di disarmo della
popolazione cittadina, ossia ad accurate
perquisizioni delle persone e
delle loro abitazioni. Ogni giorno fu sottoposto
a tale provvedimento
uno dei quattordici settori della città e tutti
gli uomini tra i venti
e i trent' anni di età vennero trasferiti nella
caserma Vittorio
Emanuele III di Tabor per essere identificati da
delatori sloveni che
vestivano uniformi italiane. Questo grande
rastrellamento si protrasse
a Lubiana per ben 19 giorni, fino al 14 marzo
1942, e i dati riportati
nei rapporti parlano della cattura o
dell'arresto di ben 20.037
persone. Anche se questa imponente serie di
rastrellamenti urbani non
riuscì a intaccare la struttura dirigente della
resistenza slovena,
molti resistenti dovettero subire un destino
segnato da baracche e da
filo spinato. Sui treni che partivano verso i
campi di concentramento
di Gonars, Visco e Renicci presero posto
moltissimi attivisti e
attiviste del fronte di liberazione, ma anche
tanti e tante
intellettuali ed ex ufficiali dell' esercito
jugoslavo. Più tardi
l'azione repressiva si intensificò con
l'attività del Tribunale
militare di guerra (TMG) che iniziò la sua
attività nella primavera
del 1942 con la condanna a morte di 28
partecipanti alla distruzione
del viadotto di Preserje. Il TMG continuò ad
operare fino all'
armistizio dell' 8 settembre 1943[3].
Dopo l'ordine di Mussolini a Gorizia del 31
luglio 1942, secondo cui
bisognava «ammazzare tutti i maschi slavi», il
II Corpo d' Armata
pubblicò, in forma riservata, un documento volto
stroncare il
movimento di resistenza sloveno, e cioè la
Circolare 3 C, contenente
le direttive per la repressione sia del
movimento armato che dei
civili in Slovenia. La circolare fu firmata dal
generale Mario Roatta,
militare di professione, nato a Modena nel 1887
e comandante dal
gennaio del 1942 della II armata, quella che
controllava la Dalmazia,
la costa croata e le zone montane della
Provincia di Lubiana. Nel 1944
Roatta fu condannato dagli alleati all'
ergastolo in contumacia[4].
Fu in base ai suoi ordini che l'esercito
italiano effettuò una serie
di massicci rastrellamenti contro la popolazione
civile, che si
protrassero dall'estate 1942 fino all'autunno
dello stesso anno. Ben
70.000 soldati italiani dislocati sul fronte
balcanico passarono al
settaccio un terreno di 3.000 chilometri
quadrati a sud di Lubiana,
dove vennero rasi al suolo centinaia di paesi,
effettuati massacri
indiscriminati di ostaggi e da dove vennero
mandati in internamento
nei cosiddetti «campi del Duce» circa 30.000
persone, in gran parte
donne, vecchi e bambini. Due di questi campi di
concentramento per
civili furono istituiti a ridosso del fronte
SLO-DA verso i
partigiani, uno sull´isola di Rab - Arbe e
l´altro sull´isola di Olib,
altri ancora furono eretti a ridosso del vecchio
confine
italo-austriaco in Friuli e nel Veneto nelle
località tristemente note
di Gonars, di Visco, di Monigo presso Treviso e
di Renicci presso
Padova[5].
A soffrire di più in questi campi furono
senz´altro i bambini. Sembra
che fino ad ora, né la storiografia, né le
testimonianze orali siano
riuscite a tracciare una quadro esauriente del
vissuto dei bambini,
l´anello piu' debole nella catena di coloro che
nel corso del
conflitto subirono violenza. Il bambino rimane
ancora sempre
fatalmente legato al mondo degli adulti,
soprattutto nelle condizioni
estreme portate dalla Guerra e
dall´internamento. In riferimento ai
bambini che hanno subito la violenza di un campo
di concentramento, si
parla generalmente di «infanzia violata», di una
sindrome, dunque,
indelebilmente impressa nella loro memoria. Come
ebbe a dire nel corso
di un´intervista Herman Janez, uno dei bambini
sopravissuti sia al
campo di Rab che a quello di Gonars: «dal 1952
sono ritornato a Rab
per ben 52 volte per ricordare i miei parenti e
tutti quelli che sono
morti lì, ma anche per ritrovare un pezzo di me
stesso. La mia
infanzia è rimasta per sempre lì»[6].
Nell´aggressione italiana alla Slovenia, anche i
bambini, al pari
delle generazioni adulte, pagarono il loro
prezzo in termini di
violenza e terrore. Conobbero fatalmente anche i
rastrellamenti, gli
incendi, la morte, lo stigma razziale e
nazionale, la
snazionalizzazione forzata e la deportazione nei
campi di
concentramento dove andarono incontro
all´eliminazione fisica nella
forma più brutale. Quando la guerra nella
provincia di Lubiana divenne
totale, gli adolescenti, assieme ai loro
genitori, si ritrovarono in
una condizione di disorientamento e smarrirono
la propria gioventù.
Qualcuno li aveva spinti in un mondo che non era
il loro mondo e
questo qualcuno aveva progettato per loro la
deportazione nei campi e
l´incontro quotidiano con la morte.
Indagando le motivazioni di questo terrore
generalizzato, ho
incontrato presso l´Archivio di Stato sloveno
una serie di scritti e
di disegni infantili, che parlano proprio delle
condizioni di vita dei
bambini sopravissuti ai campi del Duce.
L'impulso a redigere questi
scritti fu dato a questi giovani diseredati
dalle autorità scolastiche
partigiane nei territori liberi già negli anni
1944-45, per
salvaguardare in questo modo la memoria e la
personalità di queste
piccole vittime della guerra. In una
dichiarazione scritta da Drago
Kalicic di dieci anni si può leggere:
Io sono senza padre. È stato fucilato dagli
Italiani. Un giorno sono
entrati nel mio paese. Ci hanno fatto uscire
dalla casa. Tutti
piangevamo disperati ma mia mamma era quella che
forse piangeva di
più. Hanno preso e rinchiuso mio padre. Con lui
hanno portato via
tanti altri uomini. Poi ci hanno fatti andare in
fila verso il paese
di Zamost dove hanno fucilato dodici uomini. Tra
questi c´era anche
mio padre. Quando lo abbiamo saputo abbiamo
pianto tanto. Poi hanno
bruciato la nostra casa e ci hanno portati verso
l´internamento[7].
I deportati, e soprattutto i bambini, conobbero
una nuova drammatica
realtà, quella di dover sopravvivere nei campi
di concentramento,
praticamente senza cibo, con poca, pochissima
acqua e in condizioni
igeniche e sanitarie inumane. A causa di queste
condizioni morirono
nel breve, ma anche nel lungo periodo,
numerosissimi adulti persero la
vita e anche tanti bambini. La prima vittima del
campo di Rab - Arbe
fu proprio un bambino, Malnar Vilijem, nato a
Zurge presso Cabar il 22
maggio 1942. Così scrisse nella cronica del
monastero francescano di
Sant' Eufemia di Rab, il frate Odoriko Badurina:
«Ieri, 5 agosto 1942,
abbiamo sepellito nel locale cimitero un piccolo
angelo di due mesi,
Vilijem Malnar, la prima vittima tra questi
internati»[8].
La condizione degli internati variava da campo a
campo. Se per il
campo di concentramento per civili di Gonars in
Friuli, gestito dal
Ministero degli Interni, si può affermare che
rispondesse a requisiti
minimi di vivibilità (pacchi, posta, biancheria
personale ecc.), la
situazione nei campi di internamento parallelo,
come li definì Carlo
Spartaco Capogreco, era completamente diversa.
Qui, gli internati,
donne, vecchi e bambini, erano costretti ad una
disperata lotta per la
sopravvivenza, nascosti al mondo ed anche agli
occhi indiscreti della
Croce Rossa internazionale. L'esercito italiano,
che gestiva questi
campi (Rab, Olib), aveva già alle spalle una
certa esperienza nella
realizzazione di campi di concentramento; basti
pensare a quelli
eretti in Libia dal generale Graziani in cui
trovarono la morte
migliaia di internati. Il campo di
concentramento di Rab - Arbe
rispondeva proprio al modello dei campi creati
da Graziani in Africa e
non fu per caso che a Rab - Arbe e negli altri
campi gestiti
dall´esercito morirono di fame, di sete, di
freddo e di stenti
migliaia di civili[9].
Il sistema concentrazionario realizzato
dall´esercito italiano nei
territori occupati della Slovenia, per il numero
dei deportati e delle
vittime e per i metodi di gestione realizzati a
Rab - Arbe, ricordava
più i peggiori campi di concentramento africani,
che non le forme di
internamento degli oppositori del regime. La
stessa presenza di
vecchi, donne e bambini nei campi è illuminante
a proposito. Tutti i
campi realizzati dall´esercito nel corso della
seconda guerra mondiale
furono definiti ufficialmente «campi di
concentramento». Carlo
Spartaco Capogreco ha definito giustamente
illegale o meglio «fuori
legge» l´internamento dei civili sloveni
praticato dal regime fascista
dopo l´invasione della Jugoslavia. Invasione,
che peraltro avvenne al
di fuori di ogni legge di guerra con il
bombardamento improvviso di
Belgrado e, in seguito, con l´annessione della
Slovenia all´Italia già
nel corso della guerra. Occorre anche
distinguere, e in questo ci
aiuta molto l'analisi di Tone Ferenc, tra la
violenza espressa in
queste zone dall'esercito italiano nel 1941,
violenza mirata ad
obiettivi politici e militari ben definiti, e
quanto avvenne a partire
dal 1942, quando fu decisa e attuata una vera e
propria strategia del
terrore verso la popolazione civile. Le nuove
direttive proposte da
Roatta e dagli alti comandi, in un quadro
ideologico marcatamente
razzista, prevedevano l´utilizzo contro i civili
degli stessi metodi
applicati dai nazisti sul fronte orientale:
dall´incendio dei
villaggi, alla fucilazione degli ostaggi, alla
deportazione in massa
in campi di concentramento per creare il vuoto
attorno alle forze
partigiane. In questo quadro non dovrebbe
sorprendere che il tasso di
mortalità registrato nel campo di
concentramento di Rab - Arbe, a
causa della fame, del freddo e delle spaventose
condizioni igenico -
sanitarie, sia stato per lunghi periodi
superiore a quello dei
peggiori campi di concentramneto nazisti, se si
escludono quelli di
sterminio. La differenza consiste solo
nell´assenza di camere a gas e
di crematori, sostituiti però da condizioni di
vita insopportabili, di
cui, ovviamente, furono i bambini le vittime
principali. Si tratta in
ogni caso di morti che non possono essere
attribuite a fattori casuali
e non previsti, come potrebbero esserlo le
espidemie in conseguenza
del sovraffollamento. L´alto numero dei decessi
è il risultato di
decisioni prese a tavolino, nel momento in cui
si programmava, ad
esempio, un vitto del tutto insufficiente. Ciò
avveniva, sia per non
sottrarre risorse all´esercito, sia per rendere
i prigionieri più
deboli e quindi più controllabili con il minor
impiego di truppe. Non
si condanna a morte, quindi, ma si lascia
morire, e questo non solo
nell´inferno di Rab - Arbe. A morire per primi
furono i bambini, sia
quelli giunti con le tradotte, che quelli nati
nei campi.
L´internamento e la morte dei neonati venivano
considerati dai vertici
dell´esercito un collateral damage, da non
prendersi seriamente. Le
rubriche ufficiali del campo di Rab - Arbe
distinguono i decessi
unicamente secondo il genere. Se non fosse per i
documenti d´archivio
e per le testimonianze dei soppravvissutti, non
saremmo mai riusciti a
sapere che le vittime più numerose del campo di
Rab - Arbe furono
proprio i bambini. Questi arrivavano al campo
con i genitori o, se
orfani, con parenti o conoscenti. Così Herman
Janez, che nel 1942
aveva 7 anni, ricorda l´arrivo a Rab - Arbe:
Dalle nostre montagne ci hanno trasportato fino
a Bakar, un'
insenatura a sud di Fiume, dove abbiamo dormito
all' addiaccio. Mio
nonno stette tutta la notte a ripetere che ci
avrebbero buttati in
mare. Il giorno seguente partimmo senza sapere
dove ci portassero.
Giungemmo a Rab, dove ci divisero per sesso e
per età. Praticamente ci
avevano diviso definitivamente. Io che ero senza
madre dovetti
lasciare mio padre e mio nonno per andare nella
parte del campo
riservato alle donne e ai bambini. La paura di
restare solo mi fece
urlare e piansi così fino al giorno successivo,
quando mi trasferirono
in un campo intermedio. Mio padre non l´ ho più
avuto vicino e
soltanto a Gonars mi riferirono, alcuni mesi più
tardi, che era morto.
Dormivamo in tende vecchie e logore che
facevano passare l´acqua e
dove si entrava a carponi. La latrina era molto
lontana e di notte
facevamo fatica a raggiungerla. Nel caldo
torrido dell´estate non si
poteva trovare alcuna ombra. Pativamo la sete,
la fame e l´attacco di
una moltitudine indicibile di pidocchi. Il
ruscello che scendeva dal
campo maschile e attraversava il nostro campo
era pieno di pidocchi e
non ci si poteva lavare. Quando arrivava la
cisterna dell´acqua le
guardie si scostavano e noi ci buttavamo come
pazzi su quel fievole
rivolo d´ acqua. Quando pioveva il campo
diventava una distesa di
fango impercorribile. La sporcizia ci faceva
impazzire[10].
Quando nella notte dal 28 al 29 settembre 1942
un nubifragio travolse
il campo femminile e l'acqua di mare salì fino
alle tende, molti
bambini morirono scomparendo nei flutti. Le
autorità del campo non
fecero niente per salvare gli internati, ma dopo
un po' incominciarono
i trasferimenti nel campo superiore chiamato
Bonifica e le tende
vennero sostituite da baracche. Poiché la
mortalità aumentava di
giorno in giorno, le autorità militari, verso la
fine del 1942,
decisero di trasferire i bambini e le donne più
provati in altri campi
di concentramento, come quelli di Gonars e di
Visco[11].
Una sopravissuta, Marija Poje, che oggi ha 84
anni e vive a Podpreska
vicino a Draga, nelle vicinanze di Loski potok,
e che trascorse 5 mesi
infernali al campo di Rab - Arbe con il suo
bambino, ricorda così il
trasferimento a Gonars:
In una mattina fredda e piovosa di dicembre ci
hanno fatti salire su
una nave stracolma che avrebbe dovuto
trasportarci non si sapeva dove.
Quel giorno fuori dal porto si vedevano le onde
alte e burrascose. La
stiva era stipata da tantissima gente, però
qualcuno ebbe pena di me e
del mio bambino e ci fece sedere nella stiva
riparati dalla pioggia e
dall'acqua di mare. Giungemmo a Fiume la mattina
seguente,
infreddoliti e affamati. Ci diedero una tazza di
caffè e un pezzo di
pane, prima di farci salire sul treno che ci
trasportò fino a
Palmanova. Poi con dei camion venimmo
trasportati al campo di
concentramento di Gonars dove ci misero nelle
baracche. Per noi era
una meraviglia sentire la pioggia
e rimanere asciutti, perché a
Rab, se pioveva, anche stando nelle tende
eravamo tutti bagnati. Ci
portarono poi in infermeria per disinfestare i
nostri vestiti dai
pidocchi e farci fare la doccia. Chiesi a
qualcuno che stava lì dove
dovevo posare il mio bambino prima di entrare
nel reparto docce e mi
dissero di posarlo su un mucchio di stracci per
quel po' di tempo. Ma
appena entrata nello stanzone qualcosa mi fece
uscire per vedere se il
mio bambino fosse sempre lì. Mi si strinse il
cuore, quando vidi che
non c' era più. L'inserviente alla fornace a
vapore dove passavano i
vestiti per disinfestarli dai pidocchi
aveva preso il mucchio dove
avevo posato il bambino gettandolo nella stufa.
Per fortuna non
l'aveva ancora attivata e un gemito si sentì
proprio in quella
direzione. Corsi verso quella stufa a vapore
come una matta
riprendendomi il mio bambino. Mia suocera mi
aiutò molto, asciugando i
pannolini bagnati sulla schiena. Ma alla fine
questo bambino non
sopravvisse e non sopravvisse neppure mia
suocera e neanche il bambino
che dovevo ancora partorire[12].
Nel campo di Gonars, dove dal 1942 erano passati
molti internati della
provincia di Lubiana, l´arrivo di centinaia di
questi poveretti
provenienti dal campo di Rab - Arbe (i
miserabili di Rab) provocò un
profondo sconvolgimento tra gli internati del
campo. La vista di
quegli scheletri ambulanti provocò in molti un
intenso sentimento di
compassione e diede impulso a gesti di
solidarietà. Molti cercavano
di aiutare i superstiti di Rab dando loro il
cibo che arrivava
dall´esterno con i pacchi, o capi di vestiario
vecchi, oppure
semplicemente fornendo loro notizie fresche. I
volti di quei bambini
ammutoliti, che restavano fermi negli angoli per
giorni interi senza
muoversi, restarono impressi non solo nei
disegni del pittore Stane
Kumar, ma anche nella memoria di tanti
internati, bambini compresi.
Ricorda nel suo scritto Milan Cimpric di 9 anni:
A Gonars si pativa una tale fame che faccio
meglio a non pensarci.
Mangiavamo anche le bucce che i cuochi buttavano
nella fossa delle
immondizie. Una volta siamo caduti tutti quanti
in questa fossa e io
ero sotto. Gli altri sono cascati sopra di me.
Avevo male alle ossa.
Ho trovato poche bucce. E' stato così triste a
Gonars[13].
Queste memorie infantili scritte in pieno tempo
di guerra sono
toccanti anche per il loro linguaggio semplice,
senza abbellimenti, ma
con l´aggiunta di disegni e schizzi che
vorrebbero rappresentare quei
piccoli episodi di felicità o di paura che si
erano fissati nella
memoria dei bambini durante la permanenza nel
campo di Gonars.
La vita degli adulti nei campi era assorbita dai
tentativi di
arrangiarsi e sopravvivere. Ma era difficile non
vedere che la
sofferenza dei bambini aumentava di giorno in
giorno. I bambini più
provati erano soprattutto quelli senza genitori,
benché si trovasse
sempre qualcuno che prendeva il loro posto.
Stane Kumar, noto pittore
sloveno anch´egli internato, aveva pensato di
alleviare il proprio
dolore facendo degli schizzi ai bambini affamati
sia nel campo di Rab
- Arbe che in quello di Gonars. Nelle sue
memorie parla della
terribile fame che rendeva i bambini apatici e
anemici:
Ho visto la fame della prima guerra mondiale, ma
quella non era fame
vera. Quella veramente reale era la fame nei
campi dove ad ogni passo
ritrovavi due paia di occhi che ti chiedevano di
sfamarli, di dar loro
qualcosa da mangiare. I bambini diventavano
ottusi e stavano seduti
negli angoli delle baracche senza parlare.
Morivano in tanti di fame e
tu non potevi far niente[14].
Che i bambini fossero l´anello più debole della
catena dei diseredati
finiti nei campi di concentramento italiani, lo
conferma l´«amnesia»
della direzione dei campi stessi, che dimenticò
di annotare, tra i
25.000 internati sloveni, il numero dei bambini
che fecero il loro
ingresso nel campo, il numero di quelli che vi
nacquero e che vi
persero la vita. Alcuni dati sporadici della
fine di agosto del 1942
parlano, per il campo di Arbe, di 1000 bambini
sotto i 16 anni, mentre
per il campo di Monigo presso Treviso i dati a
nostra disposizione per
il 1943 parlano di 979 bambini su 3.188
internati. Anche se sulle
deportazioni e sull´occupazione italiana della
provincia di Lubiana,
esiste oggi in Slovenia una vasta
documentazione, molti dati sui campi
sono tuttora irreperibili, sia per la fretta con
la quale le forze
d´occupazione lasciarono la Slovenia, sia perché
le autorità, nella
loro ignominia, non badavano troppo alle cifre
dei vivi o dei morti,
degli arrivi e delle partenze, delle nascite e
dei decessi nei campi.
Per una riflessione su queste reclusioni forzate
ci restano le
testimonianze dei sopravvissuti e i componimenti
dei bambini ai corsi
scolastici organizzati nei territori liberi
partigiani:
Erano corsi - ricorda Herman Janez - che
venivano organizzati proprio
in questa stagione 60 anni fa. E' giugno. Le
giornate sono lunghe e
calde. Siamo gli alunni delle scuole partigiane
di Podpreska, di
Draga, di Trava, di Osilnica sul fiume Kolpa. Le
lezioni vengono
tenute quando non ci sono rastrellamenti in
corso. Soprattutto a
Podpreska e a Draga. Maestre pronte al
sacrificio ma umili e gentili
vedono davanti a sè nelle classi improvvisate i
volti di questi alunni
già provati seriamente dalla tragedia dei campi,
segnati per tutta la
vita. Noi siamo i bambini della guerra. Le
lezioni ormai si svolgono
tutto l'anno dal gennaio 1944 in poi. Si
svolgono nelle case
risparmiate dalla guerra, nelle camere dei
contadini locali dove
troneggiano stufe di terracotta enormi che mai
si spengono. Qui siamo
a 1000 metri d'altezza e le patate appena
crescono. Gli occhi dei
bambini sono grandi. Sono vestiti malamente e in
generale sono tutti
scalzi. Qualcuno li accompagna a scuola e
qualcuno viene a riprenderli.
Sono tanti, ma la maestra Nada Vrecek del
paese di Trava, numero
civico 96, è la maestra con il maggior numero di
alunni. Tra loro ben
74 sono senza padre. O è morto a Rab o è stato
fucilato come ostaggio.
Soltanto uno è stato fucilato dai partigiani. La
maestra Nada è in
continuo movimento, ora per ora, giorno per
giorno, perchè le lezioni
si tengono in case diverse. Gli alunni sono
stati assenti da scuola
per due anni e allora si capisce che c' è ancora
tanto da fare. Una
volta forse scoppierà la pace e allora voglio,
diceva Nada, che siate
alla pari con queli che non hanno perso 2 anni
di scuola. Queste
scuole improvvisate non hanno né lavagne né
banchi e i bambini sono
senza libri e senza quaderni. Rifanno la materia
a memoria. Se qualche
gruppo partigiano attraversa il paese, si
rimedia una o due matite,
che vengono attentamente tagliate in 3 pezzi,
per essere poi divisi
tra gli alunni. Questi scolari, questi «miei
poveri bambini», diceva
sempre Nada, un giorno diverranno adulti. Si
dovrano promuovere in una
società che non ricorderà i patimenti patiti. Un
giorno sarete tutti
uguali e Dio vi benedica per questo, ma
attenzione, nessuno vi darà
dei privilegi per quello che avete patito.
Quelli che sopravviveranno
dovranno lottare per il pane quotidiano. La
maestra Nada Vrecek ha
insegnato per 54 anni. Oggi è nel suo
novantaseiesimo anno di età.
Ancora oggi è solita ripetere che «gli anni
passati tra questi bambini
sono gli anni piu' sentiti della mia vita e non
vorrei mai dimenticare
nessuno tra loro». Ma noi eravamo pieni di
paura. Eravamo ancora
abbastanza magri e non potevamo stare mai fermi.
C'era ancora la
guerra, molte case erano ancora allo sfascio,
gli ex internati erano
ancora privi di tutto. Si temevano soprattutto i
collaborazionisti,
che si facevano vedere soltanto quando non
c´erano partigiani in
circolazione. Si sapeva che la loro comparsa era
accompagnata dalla
morte. Si facevano chiamare «quelli della mano
nera» ed erano
veramente pericolosi. Per non mettere in
difficoltà la nostra maestra,
alla loro comparsa cantavamo canzoni di chiesa e
al saluto
provocatorio di «morte al fascismo» rispondevamo
«buon giorno
signori». Parlavamo molto tra noi. Soprattutto
alla sera si parlava
dei patimenti subiti, dei nostri genitori
scomparsi, della fame e
della sete. Noi bambini internati avevamo sempre
molto da raccontare.
A volte queste storie venivano soffocate da un
pianto sfrenato al
quale seguiva il pianto di tutti noi. Rivivevamo
così la nostra
tristezza, la nostra paura e il ricordo dei
nostri cari. Vivevamo
assieme la nostra grande miseria umana, che
qualcuno pensò sarebbe
bene esternare e farci passare così il trauma
subito[15].
Negli scritti e nei disegni dei bambini
internati conservati presso
l´Archivio di Stato di Lubiana si può
intravvedere questo trauma della
fame e dell´inedia a cui si univa l´inclemenza
della natura. I maestri
che proponevano i temi e che poi di volta in
volta annotavano i voti
sui fogli, erano essi stessi dei sopravvissuti
ai campi e qualcuno di
loro aveva perduto in quell´inferno il proprio
bambino o uno dei suoi
cari. Erano dunque le persone più adatte per
accogliere il dolore dei
bambini passati nei campi e comprendere i loro
traumi[16].
Essi sapevano che quelle tende, di volta in
volta fradice e
surriscaldate, non sarebbero mai scomparse dalla
memoria dei bambini e
che le esperienze narrate nello scritto di Ivan
Stimec di 10 anni non
si sarebbero mai cancellate:
Siamo stati deportati a Rab. Abbiamo vissuto in
tende vicine al mare.
Dormivamo sulla terra nuda. Una notte mentre
dormivamo, il vento
incominciò a soffiare ed incominciò a piovere.
L'alta marea era
cresciuta e l'acqua ci arrivò fino alle
ginocchia. Abbiamo pianto e
chiamato aiuto. Volevamo scappare, ma le guardie
non ci lasciarono
uscire dal recinto. Il mare continuò a crescere
e molti bambini
morirono annegati, mentre i nostri vestiti
furono trascinati via dall´
acqua. La mattina dopo la burrasca si calmò e
uscì il sole asciugando
e scaldando i nostri corpi, scossi dal freddo e
dalla paura[17].
La serie dagli scritti infantili continua con i
ricordi delle delle
cose belle e calde legati al tempo
antecedente la distruzione dei
paesi. I bambini rivedono le mucche lasciate
sole a casa, o il viaggio
verso l'isola di Rab - Arbe, o le cose di casa,
il fuoco nel cammino o
la casa stessa. Come scrisse Vera Cimpric di 9
anni:
Sono stata internata per 9 mesi. Pensavo spesso
alla mia casa perduta.
Ma quello che mi faceva piu' male era il
pensiero del nostro bestiame.
Quelle che preferivo erano le mucche, perchè ci
davano tanto latte. Si
chiamavano Ruska e Breza. Quando dovevo
pascolarle, pensavo che era
difficile pascolare sempre le mucche. Ma durante
l´internamento dove
non avevamo né da mangiare né da lavorare,
pensavo a quanto fosse
bello essere sazi e pascolare. Dio, fa´ che
possiamo avere ancora del
bestiame[18].
In tutti questi scritti la morte è onnipresente:
si ricorda un coro
che canta sulla fossa di una sorella morta o una
scatola di cartone
contenente il corpo di un amico ridotto ad uno
scheletro. Come scrisse
Mrle Slavka di 9 anni:
Tutti ci chiamano internati perché siamo stati
internati. Siamo stati
a Treviso. Avevamo tanta fame. A Treviso e'
morto mio fratello. Avevo
ancora un fratello. Quando è ritornato
dall´internamento è morto
all´ospedale di Susak. Quando lo abbiamo saputo
abbiamo pianto molto[19].
Accostando le storie dei bambini ai dati
d'archivio si può intravedere
una realtà agghiacciante. Come riferiva il
generale Giuseppe Gianni,
da luglio a novembre 1942, a Rab - Arbe morirono
ben 104 bambini.
Davanti a questi fatti le autorità italiane
d´occupazione presero due
decisioni: la prima ordinava l'evacuazione di
donne e bambini da Rab -
Arbe verso il campo di Gonars, la seconda
ordinava ad una squadra di
fotografi di documentare le condizioni di vita
nel campo. Da Rab -
Arbe a Gonars furono trasferiti tra il 21
novembre e il 5 dicembre
1942 ben 1.163 donne, 1.367 bambini e 61 uomini
adulti[20].
L' 8 settembre 1943 il regio esercito italiano
si dissolse. Dalla
Slovenia e dalla Jugoslavia lunghe colonne di
militari disarmati
presero la via dell'Italia e anche i campi di
concentramento aprirono
le loro porte. Come ricorda Marica Malnar di 10
anni:
Siamo stati internati a Treviso, avevamo fame e
in inverno pativamo il
freddo. Parlavamo sempre di come era bello a
casa. Volevamo andare a
casa. Un giorno i soldati entrarono nella nostra
camerata e ci dissero
che saremmo tornati a casa. Lo stesso giorno
siamo partiti verso casa.
Questo è stato per noi un giorno felice[21].
Nelle colonne che partivano dai campi, i bambini
orfani venivano
accompagnati da parenti o gente comune, che
davano loro una mano, un
pezzo di pane o di rapa. Attraversando passo
dopo passo il Friuli,
qualcuno rivolgeva loro la parola e offriva un
piatto di polenta. Al
momento del ritorno a casa videro tanti edifici
bruciati, le stalle
distrutte e i fienili sfondati. Gli ex
internati, malridotti e
affamati, dovettero organizzarsi da soli. Un
grande senso di
solidarietà permise a questa gente di
sopravvivere, ma alla fine
dovettero rivolgersi ai comandi partigiani, che
erano però impegnati a
fronteggiare una pesante offensiva tedesca.
Soltanto più tardi i
reduci dei campi ebbero un aiuto concreto dalle
organizzazioni civili
della resistenza che si erano organizzate nelle
zone libere. Si
provvide prima di tutto ai bambini orfani e a
quelli che erano rimasti
senza casa, senza parenti o senza altre
possibilità. A molti di questi
bambini l'organizzazione delle donne
antifasciste (AFZ) e
l'organizzazione della gioventù socialista
permisero di raggiungere
regioni non devastate dalla guerra e in cui si
era istituito un
servizio scolastico[22].
L'organizzazione del Fronte di Liberazione
Sloveno aveva pensato di
organizzare il servizio scolastico già dal 17
maggio 1942 attraverso
l'emanazione di un decreto che prevedeva
l'organizzazione della scuola
nei territori liberati. Accanto alla lotta
armata il movimento di
liberazione cercava di organizzare anche la vita
civile: scuole,
ospedali, un istituto di credito e uno
giuridico. Nelle zone libere
della Kocevska, lontano dalle vie di
comunicazione, si era pensato di
far funzionare uno Stato partigiano in
alternativa a quello di
occupazione. La scuola partigiana si sviluppò in
tre fasi. Nel 1942
l'organizzazione della vita scolastica fu un
progetto limitato, nato
dall'iniziativa di alcuni maestri dei reparti
partigiani che avevano
pensato di istituire dei corsi scolastici per
bambini delle scuole
elementari locali. Più tardi, dopo la
capitolazione dell'esercito
italiano e dopo la formazione di vasti territori
liberi,
l'organizzazione scolastica partigiana divenne
oggetto di una
normativa da parte del Fronte di Liberazione che
a partire dall'
autunno del 1944 organizzò la scuola in settori
distrettuali e
circoscrizionali. La popolazione locale
collaborò al buon
funzionamento della scuola. Si pensò inoltre di
istituire corsi
supplettivi per chi era privo di istruzione e di
articolare meglio il
lavoro dei maestri che si svolgeva in condizioni
tanto difficili. Per
dare un senso a tutti questi sforzi, si pensò
anche di organizzare un
concorso in componimenti che avrebbero dovuto
compattare il tessuto
sociale di quanti avevano provato tutte le paure
e i traumi della
guerra. La sezione scolastiva dell' OF promulgò
allora un bando nel
quale si invitavano gli alunni delle scuole
partigiane a scrivere la
propria storia sui patimenti vissuti nei tre
anni di guerra. I temi
del concorso dal titolo «I bambini ci parlano» e
«I bambini nei campi
di concentramento» volevano far ripercorrere a
questa generazione
perduta la via delle sofferenze patite per
ricucire il trauma e
rielaborare l'esperienza[23].
È così che si sono conservati questi scritti e
questi disegni. Sono
documenti che parlano delle violenze subite dal
punto di vista dei
bambini coinvolti in questa tragedia. Anche se
le disposizioni del
bando recitavano «che bisognava esimersi dal
patetico», gli scritti e
i disegni conservano una non comune forza
espressiva. La commissione
che valutò gli scritti premiò tutti gli autori
in blocco senza
prendere in considerazione gli errori di
ortografia o di sintassi.
Bogomir Gerlanc, che aveva raccolto gli scritti
migliori, li definì
«dei piccoli monumenti dedicati ai patimenti e
alle sofferenze
subiti»[24].
In questo senso vorrei riproporre alcune
riflessioni del maestro
Bogomir Gerlanc, che tanto ha fatto per far
uscire le piccole vittime
dal trauma dei campi e ad inserirle nella vita
quotidiana:
- siano questi scritti un documento del loro
passato e delle
sofferenze patite
- siano d'aiuto alla pedagogia ed alla
sociologia nello scoprire
l'animo della gioventù in condizioni estreme di
sopravvivenza
- siano un documento d'accusa della bestialità
umana
- siano una pagina incancellabile della
sofferenza nel tempo che corre
inesorabile[25].
Nel campo della salvaguardia degli adolescenti
in tempo di guerra, la
resistenza slovena aveva dato prova di una
grande capacità
organizzativa già dal 1941 in poi. Si era
pensato già allora di
organizzare un sistema di copertura illegale per
i membri più giovani
delle famiglie impegnate nella resistenza.
I figli di coloro che si
erano dedicati completamente alla lotta di
liberazione venivano
affidati a famiglie che si occuparono di loro
per tutta la durata
della guerra. Chi finiva in carcere o in campo
di concentramento, o
veniva incluso nelle formazioni armate
partigiane poteva contare su un
vasto reticolo di famiglie che avevano il
compito di badare ai loro
figli. Per questa generazione di 200 - 300
bambini si adoperò già
allora il nome di «ilegalcki», cioè di bambini
nati e vissuti nell'
illegalità. Come supporto logistico venne
affiancata a questa rete di
famiglie l'organizzazione del Soccorso nazionale
sloveno, erede del
Soccorso rosso, organizzato dai comunisti tra le
due guerre.
Soprattutto nelle grandi città il Soccorso
nazionale sloveno formò nel
1942 delle sezioni che dovevano andare in aiuto
a tutti i giovani in
pericolo, pensare a procurare loro documenti
falsi, aiutarli in caso
di malattia, vestirli, sfamarli, nasconderli,
ecc.. Dall'estate del
1942 fino alla fine della guerra, ad organizzare
questa rete furono
Ana Ziherl e Ada Krivic. A guerra finita Ana
Ziherl scrisse le memorie
dell'avventurosa vicenda della resistenza
slovena e consegnò inoltre
all'Archivio di Stato tutta la documentazione
del movimento. Per
organizzare questa attività la Ziherl si
serviva di quattro aiutanti,
che coprivano uno dei quattro settori di questa
organizzazione
illegale, il cosiddetto settore bambini. Il
gruppo poteva usufrire di
una serie di magazzini illegali, dove venivano
conservati i mezzi
necessari per far fronte a questo impegno. Il
settore bambini
provvedeva anche ai bisogni quotidiani delle
donne e dei loro figli
rinchiusi nelle carceri ed arrivò a dar vita a
delle dimostrazioni per
proteggere le famiglie rinchiuse o destinate ai
campi di
concentramento. La prima dimostrazione si svolse
nella primavera del
1943 davanti alla sede dell'Alto Commissario
Grazioli e la seconda
nell'estate dello stesso anno davanti alla sede
arcivescovile. Dopo le
grandi retate del 1942, Lubiana restò
praticamente senza uomini abili
per la lotta clandestina. Allora furono le donne
a prendere il loro
posto ricoprendo tutti i ruoli di maggiore
responsabilità nella
resistenza slovena[26].
Come si è detto, la recrudescenza della guerra
fece sì che Lubiana
fosse circondata da un filo spinato lungo 34
chilometri con posti di
blocco, bunker e fortezze, con postazioni di
mitragliatrici pesanti.
L'organizzazione del Soccorso nazionale, alla
quale si rivolgeva un
numero sempre maggiore persone, decise che per
superare questa crisi
si sarebbe dovuto aumentare il numero delle
famiglie incaricate della
protezione e che alcuni dei bambini avrebbero
dovuto prendere la via
dei territori liberati. Secondo le testimonianze
e gli studi condotti
sulla base di documentazione archivistica si può
dedurre che per
aiutare i bambini nell'illegalità fosse stata
messa in piedi una rete
di 300 famiglie lubianesi che non fu mai
scoperta né dalle forze
fasciste né dai nazisti né dai
collaborazionisti. A formare questa
organizzazione erano persone di estrazione
sociale diversa, persone
sole o famiglie intere, anziani, medici,
contadini, artigiani nubili e
sposati. Dagli studi risulta che tra tutti
questi bambini vissuti
nell' illegalità per più di quattro anni a
morire sia stata soltanto
una bambina. Ma la morte di una persona non può
rendere l'idea delle
conseguenze patite da tutti questi bambini sui
quali hanno pesato le
assenze dei genitori, la paura delle retate
diurne e notturne, il
vivere constantemente nell'illegalità per due,
tre o quattro anni.
Questa generazione, provata dalla guerra forse
in un modo diverso, ha
dovuto affrontare i propri traumi
ripercorrendo nella memoria la
tragedia di una gioventù violata[27].
Una storia tipica di questo periodo è la storia
di Tatjana Dovc. Sua
madre, che fu sindacalista e membro del partito
comunista, partorì la
bambina nell'agosto del 1941 nel reparto di
maternità dell'ospedale di
Lubiana. Con l'aiuto del Soccorso nazionale
sloveno riuscì ad
eclissarsi, mentre la bambina fu «rubata» da una
attivista e fatta
uscire dall'ospedale dentro una comune sporta
per la spesa. La mamma,
Angela Ocepek Dovc, ricercata dalle forze
dell'ordine, cambiò in
quattro mesi ben 15 nascondigli riuscendo a
salvarsi e a salvare la
bambina. Più tardi si divisero e la bambina
cambiò residenza ancora 20
volte[28].
Come appare chiaramente dal materiale consultato
e presentato in
questo studio, sul tema dei bambini sloveni in
tempo di guerra le
fonti d'archivio primarie e secondarie sono
ricche e numerose. Questi
documenti si trovano soprattutto nella Sezione
II dell'Archivio di
Stato della Republica di Slovenia. La Sezione II
trae le sue origini
dall'archivio dell'Istituto per la storia del
movimento operaio (oggi
Istituto di storia contemporanea) che
venne fondato nel 1959 come
un'istituzione complessa, formata da un reparto
di ricercatori e da un
reparto che copriva i fondi d'archivio
riguardanti la resistenza
slovena. Questo archivio venne completato più
tardi con fondi
originali provenienti del funzionamento in loco
delle istituzioni
delle forze d'occupazione della Slovenia, sia di
quelle italiane che
di quelle tedesche (440 m.c.) e dall'archivio
delle forze
collaborazioniste. Esiste inoltre una
sezione del primo dopoguerra
(1945-47), costituita soprattutto dalla
documentazione inerente alle
questioni di definizione dei confini (la
questione di Trieste) fino
alla conferenza della pace di Parigi e da una
vasta documentazione
sull' Adriatisches Kuestenland. Ai fondi
d´archivio si accompagna un
vasto repertorio di memorie e testimonianze,
archivi personali di
politici in vista, una vasta collezione di carte
geografiche e di
cartelli e bandi pubblici.
L'archivio legato alla resistenza slovena veniva
a costituirsi man
mano che l'amministrazione partigiana cresceva e
si sviluppava. Nelle
zone libere funzionò dall'inizio del 1944 in poi
un Istituto di
ricerca, diretto da Fran Zwitter, che dispose
che tutti gli organi di
ogni grado e di ogni livello conservassero e
archiviassero la
documentazione pubblica, civile e militare,
interna ed estera. Il
governo partigiano sloveno (SNOS) promulgò nel
gennaio del 1945 una
legge di tutela per gli archivi, le biblioteche,
i monumenti artistici
e naturali (Gazzetta ufficiale NOS). La Sezione
II dell'Archivio di
Stato della Republica di Slovenia è il diretto
continuatore di questo
lavoro e con i suoi 1.300 metri consecutivi di
materiale archivistico
costituisce uno dei più importanti e ricchi
archivi sulla resistenza
e sulle guerre di liberazione in Europa e nel
mondo. Il materiale in
questione può essere molto interessante sia per
i ricercatori di
lingua italiana che per quelli di lingua
tedesca, perché conserva i
materiali originali di queste due
amministrazioni sul territorio sloveno.
Note archivistiche utili ai ricercatori
La Sezione II dell'Archivio di Stato della
Repubblica di Slovenia
propone agli interessati questo elenco di fondi
e di collezioni (tutte
disponibili al sito metka.gombac @ gov.si
che
raccolgono documenti sulla condizione dei
bambini sloveni durante la
guerra:
1. AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1 (Collezione
prigioni e campi di concentramneto delle
forze d' occupazione,
scatola 1.)
2. AS 1872, Zbirka dopolnilnega gradiva o
delavskem gibanju in NOB,
1918 - 1945. (Collezione del
materiale integrativo sul movimento
operaio e la resistenza 1918 - 1945)
3. AS 1840, Zbirka gradiva o zrtvah
italijanskih okpacijskih oblasti
(Collezione del materiale concernente le vittime
dell' occupazione
italiana)
4. AS 1953 Zbirka Slovenke v narodnoosvobodilnem
boju. (Collezione
donne slovene nella resistenza 1941 - 45)
5. AS 1775, Poveljstvo XI armadnega zbora.
(Comando dell XI Corpo
d'Armata)
6. AS 1788, Visoki komisar za Ljubljansko
pokrajino (Alto Commissario
per la Provincia di Lubiana)
7. AS 1796, Kraljeva kvestura Ljubljana 1941 -
43. (Regia Questura di
Lubiana).
8. AS 1781, Poveljstvo grupe kraljevih
karabinjerjev Ljubljana.
(Comando del gruppo Carabinieri reali di
Lubiana)
9. AS 1752, Slovenski rdeci kriz v Ljubljani.
(Organizzazione della
croce rossa slovena di
Lubiana)
10.AS 1822, Stab za repatrijacijo vojnih
ujetnikov in intzernirancev
Ljubljana (Commando per il rimpatrio dei
prigionieri e degli internati
Lubiana)
11. AS 1627, Pooblascenec drzavnega
komisarja za utrjevanje nemstva
na spodnjem Stajerskem (Plenipotenziario del
commissario statale per
il rafforzamento della lingua e cultura
tedesca nello Stayer del sud)
12. AS 1800, Glavni odbor Antifasisticne fronte
zena. (Comitato
direttivo dell' Associazione donne
antifasciste slovene)
13. AS 1670, Izvrsni odbor OF. (Comitato
direttivo del Fronte di
Liberazione)
14. AS1828, Komisija za ugotavljanje
zlocinov okupatorjev in njihovih
pomagacev pri predsedstvu SNOS. (Commissione per
l' accertamento e la
verifica dei delitti degli occupatori e
dei collaborazionisti)
15. AS 1790, Okrajno glavarstvo Crnomelj.
(Amministrazione
distrettuale di Crnomelj)
16. AS 1602, Dezelni svetnik okrozja Celje
1941-43. (Consigliere
delegato della circoscrizione di Celje 1941-43).
17. AS 1791, Vojasko vojno sodisce II armade,
sekcija Ljubljana
1941-43. (Tribunale militare di guerra della II
Armata, Sezione di
Lubiana)
_____
[1] Teodoro Sala, Fascisti e nazisti nell'Europa
sudorientale. Il caso
croato (1941-43), in Enzo Collotti - Teodoro
Sala, Le potenze
dell'asse e la Jugoslavia. Saggi e documenti
1941-1943, Milano,
Feltrinelli, 1974, p. 69.
[2] Tone Ferenc, "Gospod visoki komisar
pravi...". Sosvet za
ljubljansko pokrajino. Ljubljana, 2001, p.
6 ss.
[3] Metod Mikuz, Pregled zgodovine NOB. 1.
knjiga, pp. 215-230,
Ljubljana, 1960.
[4] Boris M. Gombac, Dario Mattiussi (a cura
di), La deportazione dei
civili sloveni e croati nei campi di
concentramneto italiani: 1942-43.
I campi del confine orientale, Gorizia, Centro
Gasparini, 2004, pp.
115-123.
[5] Herman Janez, Koncentracijsko taborisce
Kampor - Rab, Ljubljana,
1996, pp. 2-10.
[6] Boris M. Gombac, Intervista a Herman Janez,
sopravissuto ai campi
di concentramento di Rab-Arbe e Gonars, in Boris
M. Gombac - Dario
Mattiussi (a cura di), La deportazione dei
civili sloveni e croati,
cit., pp. 41-48.
[7] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1.
[8] Bozidar Jezernik, Italijanska
koncentracijska taborisca za
Slovence med drugo svetovno vojno. Ljubljana,
1997, pp. 288 - 289.
[9] Dario Mattiussi, Una tragedia dietro al
cortile di casa. La
deportazione nei campi di concentramneto
italiani del confine
orientale (1942-43), in Metka e Boris M. Gombac
- Dario Mattiussi,
Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze
di bambini dai campi di
concentramento del confine orientale, Gorizia,
Centro Gasparini, 2004,
p. 47.
[10] Boris M. Gombac, Intervista a Herman
Janez, cit. , pp. 43-45.
[11] Tone Ferenc, Rab - Arbe - Arbissima,
Ljubljana, 2000, pp. 20-21.
[12] Intervista a Marija Poje di Podpreska,
Slovenia.
[13] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1.
[14] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1, Gerlanc
Bogomil, Nas otrok v internaciji.
[15] Herman Janez, Testimonianza pubblicata in
«Delo», Sobotna
priloga, Ljubliana, 2.7.2005, p. 31.
[16] Kumar Stane, Risal sem otroke v
koncentracijskem taboriscu,
Otrostvo v senci vojnih dni, Ljubljana, 1980,
pp. 144-148.
[17] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1.
[18] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1.
[19] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1.
[20] Tone Ferenc, Rab-Arbe-Arbissima,
cit., p. 30.
[21] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1.
[22] Tone Ferenc, Rab-Arbe-Arbissima, cit., pp.
33-34.
[23] Slavica Pavlic, Narodnoosvobodilna vojska
in organizacija
solstva. Otrostvo v senci vojnih dni, Ljubljana,
1980, pp. 90-115;
Joze Princic, Odnos ljudske oblasti slovenskega
naroda do otroka v
obdobju NOB (1944-1945), Otrostvo v senci vojnih
dni, Ljubljana,1980.
[24] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1, Bogomil
Gerlanc, Nas otrok v internaciji, Ljubljana
,1980.
[25] AS 1769, Zbirka okupatorjevi zapori in
taborisca, sk. 1.
[26] Ada Krivic, Skrb za ogrozene druzine otrok
v Ljubljani, Otrostvo
v senci vojnih dni. Ljubljana, 1980, pp. 26-37.
[27] Ada Krivic, Skrb za ogrozene druzine otrok
v Ljubljani. Otrostvo
v senci vojnih dni, Ljubljana, 1980, pp. 20-39;
AS 1871, Zbirka
dopolnilnega gradiva o delavskem gibanju in o
NOB, 1918-1945.
[28] AS 1871, Zbirka dopolnilnega gradiva
delavskega gibanja in NOB
1918-1945, MO OF Ljubljana.
Fonte: http://it.groups.yahoo.com/group/tera_de_confin/message/9614
Il dramma della deportazione nel 1942 - 1943:
secondo volume della serie dedicata alla storia
della Marca in collaborazione con Istresco
Il lager degli
slavi alle porte di Treviso
Domani con la «Tribuna» il libro sul campo di
concentramento di Monigo
ANTONIO FRIGO
Quale prezzo di verità si è pagato, per decine
di anni, alla
pacificazione post bellica? Dopo il libro sugli
ebrei denunciati e
deportati dalla Marca, la tribuna manda in
edicola un altro volume
dell'Istresco sugli slavi deportati nella Marca.
C'era un campo di
concentramento, a Treviso. E chi volesse fare
spallucce, farà bene a
consultarne le cifre. Morirono 187 slavi, il
quel campo istituito per
favorire l'italianizzazione di un'area, quella
giuliano-istriano-dalmata, sulla cui storia
(quella del confine
orientale) la stessa legge del 2004 che
istituisce il Giorno del Ricordo
spende la definizione «vicenda complessa». Una
«vicenda» fatta di
orrori, di vendette tremende e lontane dalla
civiltà (e vicinissime,
appunto, alle perverse leggi della guerra: leggi
foibe), di cacciate -
quando non di peggio - reciproche. Se dopo l'8
settembre 1943 e dopo l'1
maggio 1945 i titini scatenarono la loro ferocia
sugli italiani (i
soldati, ma anche i residenti), sapere di 30
mila deportati in campi di
tutta Italia (Arbe, Colfiorito, Gonars, Visco,
Chiesanuova (Pd), Monigo,
Renicci-Anghiari e Cairo Montenotte i
principali), può aiutare a capire
qualcosa di più. A giustificare no, a capire sì.
E' un tributo alla
conoscenza, non all'ideologia, quello che il
volume «Deportati a
Treviso», di Amerigo Manesso, Francesco
Scattolin e Maico Trinca,
pubblicato dall'Istituto per la storia della
Resistenza e della società
contemporanea della Marca trevigiana (Istresco)
e in edicola con il
nostro giornale, si propone di dare. Un tributo
che non ripara ai
silenzi, lunghissimi, degli anni successivi allo
smantellamento di
quella caserma di Monigo adattata a «campo di
concentramento»: gli
anziani che potevano ricordare qualcosa (e ce ne
sono ancora) di quella
macchia sulla coscienza civica trevigiana, sono
rimasti pochissimi. Ma
il lavoro certosino degli studiosi ha messo
insieme foto, carteggi,
documenti, disegni, che non lasciano dubbio
alcuno. Il campo, costruito
(baracche, cucine, servizi, circondati da una
recinzione alta quattro
metri) nella zona dell'attuale caserma Cadorin,
sul lato opposto della
Feltrina rispetto al campo di rugby, entrò in
funzione i primi giorni di
luglio del 1942: arrivarono sloveni della
provincia di Lubiana e croati
rastrellati nelle operazioni militari degli
italiani nelle zone di
confine tra Slovenia e Croazia. Il primo gruppo
di 599 sloveni arrivò il
2 luglio e c'erano dentro anche studenti e
insegnanti di liceo
rastrellati a Novo Mesto dopo un'insurrezione
che aveva portato alla
loro espulsione dalla scuola (s'erano subito
organizzati, con i
professori, le lezioni alternative). I ragazzi e
professori che avevano
partecipato alla rivolta erano stati una
cinquantina, ma di quella
scuola ne arrivarono a Monigo quaranta in più.
Chi erano? Probabilmente
erano collaborazionisti (con l'esercito
italiano) portati qui per
proteggerli dalle vendette dei partigiani
sloveni e, forse, qui svolsero
la funzione di "spiare" gli altri. Questo
paradigma può essere riportato
all'intera storia del campo di Monigo, che
tecnicamente era "di
smistamento". Qui venivano selezionati i
"comunisti titini pericolosi"
da spedire in campi più duri (il già citato Arbe
ne è un esempio:
uscirne vivi era quasi impossibile, mentre
altri, su cui i
collaborazionisti facevano rapporto di
innocuità, venivano tenuti qui,
spediti in campi non punitivi (ma cui si viveva
sempre al limite e negli
ultimi tempi fame e freddo fecero comunque tante
vittime), o addirittura
rimandati a casa. Per capire quanta gente viveva
in quelle sette
baracche in muratura, basti pensare che alla
fine del 1942 una
segnalazione alla Prefettura di Treviso parlava
di 1540 uomini e 62
donne appena arrivate dalla caserma dei Belgi di
Lubiana. Regime di
internamento e organizzazione (compresi i
capo-squadra) erano quelli di
un... normale campo di concentramento. Ma a
Monigo non c'era lavoro
obbligatorio né facoltativo: gli internati, tra
i quali c'erano anche
insegnanti, artisti, musicisti, intellettuali,
passavano le giornate
nell'ozio. A + 35º come a - 15. In uno dei
resoconti dell'epoca si
legge: «Molte donne sono ricoverate negli
ospedali di Treviso. Bambini e
genitori stanno morendo. Il pericolo più grosso
incombe sui genitori».
Il primo trattamento alimentare e igienico,
abbastanza buono anche se
mai soddisfacente, lasciò presto il posto a
condizioni igieniche
proibitive e a pasti sempre più inconsistenti.
Colpa anche della
sovrappopolazione del campo, che era arrivato a
contenere anche 3500
persone, di cui 700 bambini (dati del Vaticano
risalenti al novembre
1942), mentre lo Stato Maggiore parlava di...
appena 1136. E il giornale
clandestino "Novice izza zice", nel marzo del
'43 parla di 1058 uomini,
1085 donne, 513 bambini, 466 bambine e 42
neonati. Si dormiva in due per
letto (a castello: due per ogni piazza) e le
intossicazioni intestinali
facevano vittime. Un'ultima parte del libro,
dopo un saggio sulla
politica antislava al confine orientale e il
documentatisssimo trattato
sul campo di Monigo, è dedicato alla
corrispondenza (già pubblicata come
Lettera d'amore dal campo di concentramento di
Monigo) tra Devana
Lavrencic Cannata e Tone, uno dei ragazzi del
liceo di Novo Mesto
detenuti a Treviso. Dai reduci di quel gruppo
potrebbe emergere la
verità sulla convivenza tra i veri detenuti e i
"protetti"
collaborazionisti. Ma questa è un'altra storia.
Anzi, un altro libro.
(9/2/2006)
Fonte: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5167/1/51/
Stanka e Maria
nei campi di concentramento italiani
25.01.2006
In occasione della giornata della memoria, un
documentario radiofonico riporta alla luce la
storia dei campi di concentramento italiani in
funzione durante l'occupazione della Jugoslavia,
e la vicenda della persecuzione del popolo rom.
"Le storie di Stanka e Maria" è prodotto da
Radioparole
Di Andrea Giuseppini*
Nella provincia di Udine vive da oltre sessanta
anni una comunità rom di origine slovena. La
maggior delle famiglie che la compone abita in
case di proprietà o in confortevoli roulotte
sistemate in terreni da loro acquistati. Alcuni
dei loro membri svolgono dei mestieri che
richiamano i lavori tradizionali di rom, come ad
esempio la raccolta del ferro o la cura del
verde. Ma tra loro si trovano anche operai,
delle cosiddette badanti e qualche mediatrice
culturale che opera soprattutto nelle scuole.
Insomma, una comunità piuttosto lontana dagli
stereotipi con cui di solito noi pensiamo ai
rom.
In queste famiglie vive ancora qualche anziano
testimone diretto delle vicende di questa
comunità. E' il caso, ad esempio, di Stanka.
Stanka è nata nel 1930 nella provincia di
Lubiana. La sua è una famiglia numerosa - otto
sono i fratelli - che vive spostandosi alla
ricerca continua di piccoli lavori.
Nella primavera del 1941 la Germania e l'Italia
invadono e conquistano la Jugoslavia, e il
territorio di Lubiana viene di fatto annesso
all'Italia fascista. Inizia così da un lato la
resistenza jugoslava contro le truppe di
occupazione e dall'altro una feroce e spietata
repressione contro i civili sloveni accusati di
collaborare con i partigiani.
Palese è anche l'intento dei fascisti di
continuare e ampliare l'opera di
snazionalizzazione slava già iniziata prima
della guerra nei territori di confine e
nell'Istria italiana. In questo quadro si
inserisce, ad esempio, l'episodio del
rastrellamento di Lubiana. Nella notte tra il 22
e il 23 febbraio 1942, i militari italiani
circondano completamente la città con reticolati
di filo spinato e arrestano 6.000 persone, un
quarto della popolazione civile.
Contemporaneamente vengono costruiti i primi
campi di concentramento in cui deportare le
persone arrestate.
E' questo il contesto che fa da sfondo alla
storia di Stanka e di altre famiglie rom
slovene.
Stanka viene arrestata assieme alla madre e a
tutti i fratelli nel 1942. Dopo qualche mese
passato nelle carceri di Lubiana viene deportata
nel campo di concentramento fascista dell'isola
di Rab/Arbe in Dalmazia. Costruito in fretta
nell'estate del 1942, il campo di concentramento
di Rab non aveva baracche ma solo tende. Ben
presto, per il sovraffollamento dovuto alle
continue deportazioni, la scarsità di cibo e la
mancanza di igiene, le condizioni dei
prigionieri diventano drammatiche. Stanka
racconta che le madri nascondevano i corpi dei
bambini morti sotto la paglia per non perdere il
diritto alla loro scarsa porzione di cibo.
Dopo qualche mese, anche su pressione della
Croce Rossa e di alcuni esponenti della chiesa
cattolica slovena, il regime fascista decide di
spostare un certo numero di internati dal Campo
di Rab a quello costruito a Gonars in provincia
di Udine.
Stanka ricorda di essere arrivata a Gonars di
notte. All'interno del campo c'erano solo donne,
vecchi e bambini sloveni. Con loro altre
famiglie rom. Ma le condizioni non migliorano
molto. Racconta Stanka: "Mia mamma corse dietro
un gatto perché voleva prendere il gatto, per
mazarlo, per mangiarlo. Ma non l'ha preso. E'
scappato il gatto, iera più furbo".
Anche a Gonars i deportati muoiono. Alessandra
Kersevan, autrice di una recente e documentata
monografia sul campo di concentramento fascista,
mette in rilievo nell'elenco dei deceduti il
nome di due bambine rom morte per grave atrofia.
Ricorda sempre Stanka: "Poi se morta un'altra
bambina piccola. O dio... de fame. Poi forse
anche se un po' ammalata dentro, sai come
succede... una bambinetta piccola, sua mama se
chiamava Resa... se morta de fam, de fam, fredo,
fam, tuto un insieme".
A Gonars morirono 500 sloveni e croati.
Dopo l'8 settembre del 1943 i fascisti
abbandonano il campo di Gonars e i prigionieri
si allontanano dal quel luogo.
Poco lontano da Gonars, la famiglia di Stanka e
gli altri rom sloveni deportati si uniscono a
una piccola comunità sinta italiana proveniente
da Trieste, di cui fa parte Maria, l'altra
protagonista del documentario sonoro. Tutti
stanno scappando e cercando rifugio da una nuova
minaccia. Dopo l'armistizio, infatti, i tedeschi
occupano militarmente il Friuli Venezia Giulia.
Maria ricorda: "Venivano i tedeschi e noi si
aveva molta paura. Entravano dentro il
carrozzone e tiravano giù tutto, buttavano via
il mangiare, le pentole e spaccavano coi piedi.
E certe volte volevano anche picchiare. Io non
so perché ce l'avevano con noi e gli ebrei. Non
lo so perché, non lo so veramente perché". Maria
racconta anche l'episodio di una giovane rom
slovena violentata da sette nazisti.
Di questo gruppo di rom e sinti diversi furono
deportati nei campi di sterminio in Germania.
Alcuni non faranno mai ritorno, altri, tra cui
la madre di Stanka e un fratello di Maria,
riusciranno a sopravvivere.
Dopo la liberazione dal campo di sterminio di
Ravensbruck, la madre di Stanka, torna a Lubiana
alla ricerca della propria famiglia. Qui,
fortunosamente, scopre che i suoi figli sono
ancora in Friuli assieme agli altri rom.
Da allora Stanka e le altre famiglie risiedono
in Friuli.
Il documentario sonoro che abbiamo realizzato in
occasione del Giorno della memoria – prodotto da
Radioparole e Opera Nomadi con il contributo
dell'Assessorato alla cultura della Regione
Friuli Venezia Giulia – raccoglie anche le
testimonianze dello scrittore sloveno triestino
Boris Pahor, deportato a Natzweiler, e della
partigiana friulana Rosa Cantoni deportata a
Ravensbruck.
*Radioparole. Il
documentario radiofonico di Andrea Giuseppini
"Le storie di Stanka e Maria" può essere
ascoltato sul sito Radioparole.it
---
Quei
lager rimossi di casa nostra
di
Andrea Giuseppini
su
Il Manifesto del 28/01/2006
Un
documentario sonoro sulla deportazione dei
rom e sinti nei campi di concentramento
fascisti nel Friuli Venezia Giulia durante
la seconda guerra mondiale
Da
alcuni anni, il 27 gennaio - giorno in cui
nel 1945 l'Armata rossa entrò nel campo di
sterminio di Auschwitz liberando i
prigionieri superstiti - in molti paesi
del mondo si ricorda la Shoah. Il Giorno
della memoria ha assunto nel tempo un
valore universale di denuncia dei crimini
compiuti e di ricordo delle vittime.
Grazie al lavoro di alcuni storici, negli
ultimi decenni si è cominciato a parlare
anche dei campi di concentramento fascisti
per internati militari e civili sloveni e
croati. Gonars, Arbe, Visco, Monigo,
Chiesanuova, Renicci, Ellera, Colfiorito,
Pietrafitta, Tavernelle, Cairo Montenotte
sono i luoghi, spesso sconosciuti, della
deportazione fascista seguita
all'aggressione della Jugoslavia e
all'annessione della cosiddetta provincia
di Ljubljana. Una deportazione che ha
riguardato un numero molto alto di
persone. Uno studio jugoslavo del 1982 ha
fornito la cifra di 109.437 internati nei
campi fascisti. Dalle pieghe di questa
storia emergono ancora oggi delle
singolari e sofferte vicende umane, come
quella di Stanka, un'anziana donna rom
slovena.
La storia di Stanka
Nella provincia di Udine vive da oltre
sessant'anni una comunità rom di origine
slovena. La maggior parte delle famiglie
che la compone abita in case di proprietà
o in confortevoli roulotte sistemate in
terreni da loro acquistati. Alcuni dei
loro membri svolgono dei mestieri che
richiamano i lavori tradizionali dei rom,
come ad esempio la raccolta del ferro o la
manutenzione del verde. Ma tra loro si
trovano anche operai, delle cosiddette
badanti e qualche mediatrice culturale che
opera soprattutto nelle scuole. Insomma,
una comunità piuttosto lontana dagli
stereotipi con cui di solito noi pensiamo
ai rom.
In queste famiglie vive ancora qualche
anziano testimone diretto delle vicende di
questa comunità. E' il caso di Stanka.
Stanka è nata nel 1930 nella provincia di
Ljubljana. Sua madre è una romni, il padre
invece è un gàgio (cioè non rom). In
quegli anni, i genitori e gli otto figli
vivono spostandosi in Slovenia alla
ricerca continua di piccoli lavori. Finché
un giorno, ricorda Stanka, «è scoppiata la
guerra. Le scuole sono state tutte
occupate prima dai tedeschi e poi dai
fascisti italiani, e allora non si andava
più a scuola».
Nella primavera del 1941 la Germania e
l'Italia invadono la Jugoslavia, e il
territorio di Ljubljana viene di fatto
annesso all'Italia fascista. Inizia così
da un lato la resistenza jugoslava contro
le truppe di occupazione e dall'altro una
feroce e spietata repressione contro i
civili sloveni accusati di collaborare con
i partigiani.
Palese è anche l'intento dei fascisti di
continuare e ampliare l'opera di
de-slavizzazione già iniziata prima della
guerra nei territori di confine e
nell'Istria italiana, deportando la
popolazione locale per sostituirla con
gente proveniente dall'Italia. In questo
quadro si inserisce, ad esempio,
l'episodio del rastrellamento di
Ljubljana. Nella notte tra il 22 e il 23
febbraio 1942 i militari italiani
circondano completamente la città con
reticolati di filo spinato e arrestano
6.000 persone, un quarto della popolazione
civile. Contemporaneamente vengono
costruiti i primi campi di concentramento
in cui deportare le persone arrestate.
La storia di Stanka e della sua famiglia
segue passo passo le vicende della Storia:
«Ci hanno preso vicino a Ljubljana...
italiani, italiani. Ci hanno fatto spia
che nostro papà partigiano. Ci hanno presi
e ci hanno portano in carcere a Ljubljana.
Lì eravamo poco, due, tre giorni. Poi ci
hanno portato in questa isola... Rab, in
Dalmazia sarebbe. Lì eravamo per quattro
mesi. Però tanta di quella fame. Non
ierano baracche. Nelle tende e dentro
buttata paglia e lì si dormiva come le
bestie. Ma ieramo in tanti, tanti, forse
in cinquemila, forse anche di più. Lì i
bambini morivano di fame. I piccoli
neonati li nascondevano sotto la paglia
perché prendevano il rancio su di loro, il
mangiare che portavano. Allora
nascondevano i bambini morti per prendere
il mangiare che dopo mangiavano quegli
altri».
Il campo di concentramento fascista di
Rab/Arbe viene costruito nell'estate del
1942 con il preciso intento di deportarvi
civili sloveni e croati. Ben presto, per
il sovraffollamento, la scarsità di cibo e
la mancanza di igiene, le condizioni dei
prigionieri diventano drammatiche. Lo
storico sloveno Tone Ferenc nel libro
Rab-Arbe-Arbissima, pubblica un elenco di
1.435 nomi di persone morte nel campo.
Dopo qualche mese, anche su pressione
della Croce rossa e di alcuni esponenti
della chiesa cattolica slovena, il regime
fascista decide di spostare un certo
numero di internati dal campo di Rab a
quello di Gonars, in provincia di Udine.
Stanka ricorda di essere arrivata a Gonars
di notte.
Stanka conta sulle dita: «Mitzi, Srecko,
io, Nico, Mattia, Toni, Franci e Kristan.
In otto ieramo a Gonars, più la mamma.
Però noi abbiamo avuto una fortuna, che
non siamo morti neanche uno in campo a
Gonars. Ierano per morire i miei
fratellini, però, ringraziando dio,
neanche uno. Tanti dicono non iera un
campo di concentramento, era un campo
profughi. Invece no, non è vero. No. Era
vero campo di concentramento. Lì morivano
tanti».
All'interno del campo c'erano solo donne,
vecchi e bambini sloveni e croati. Con
loro altre famiglie rom. Ma le condizioni
non sono certo migliori di quelle di Rab.
Racconta Stanka: «Mia mamma corse dietro
un gatto perché voleva prendere il gatto,
per mazarlo, per mangiarlo. Ma non l'ha
preso. E' scappato il gatto, iera più
furbo».
Anche a Gonars i deportati muoiono.
Alessandra Kersevan, autrice di una
recente e documentata monografia sul campo
di concentramento fascista (costruito
nell'autunno del 1941 e rimasto in
funzione fino al settembre del 1943),
riporta il nome di due bambine romni che
prima compaiono nell'elenco dei nati nel
campo, ma qualche mese dopo i loro
nominativi vengono trascritti nell'elenco
dei deceduti. Ricorda Stanka: «Poi è morta
un'altra bambina piccola. O dio, de fame.
Poi forse anche è un po' ammalata dentro,
sai come succede. Una bambinetta piccola.
Sua mama se chiamava Resa... se morta de
fam, de fam, fredo, fam, tuto un insieme.
Morivano ogni giorno, e sai cosa facevano.
Li mettevano nelle casse e li portavano in
cimitero e poi quelli che accompagnavano -
ma però accompagnati coi militari,
militari di qua e di là, un reggimento...
quando arrivavano in cimitero, quelli che
compagnavano prendevano fuori de cassa i
poveri morti e li buttavano dentro senza,
e le casse le portavano via per mettere
altri dentro dopo. So che un funerale di
una sinta era maggio. Sai perché mi
ricordo maggio, perché erano quei fiori di
maggio fuori. Quei bianchi fiori che hanno
un bel profumo. Quei fiori bianchi come
grappoli d'uva. Ecco, quelli lì li ha
portati mamma dentro, che li ha raccolti e
se li è portati dentro nel campo».
A Gonars morirono 500 sloveni e croati.
Dopo l'8 settembre del 1943 i fascisti
abbandonano il campo e i prigionieri
riescono a fuggire. Ma la madre di Stanka
non intraprende il viaggio di ritorno: «La
mamma ha trovato un quattro cinque
famiglie di zingari italiani qua, che
erano vicino a Palmanova. E lì siamo
fermato a parlare e le hanno detto ma stai
qui, stai qui, stai con noi».
La storia di Maria
Maria, una sinta italiana, è nata invece a
Trieste nel 1929: «La mia famiglia
facevano i suonatori ambulanti. Suonavano
molto bene. Musiche gitane, ungheresi. Poi
i miei fratelli avevano le giostre, ma non
andavano lontano, lavoravano sempre qui a
Trieste. Allora a tempo di guerra avevamo
le carovane, le famose carovane di legno
coi cavalli. Siamo partiti via di Trieste
e siamo andati in furlania».
Quando nel 1943 i tedeschi occupano il
Friuli Venezia Giulia, Maria e la sua
famiglia si spostano nella campagna
friulana ritenendola più sicura della
grande città. Invece anche lì, ricorda
Maria, «venivano i tedeschi e noi si aveva
molta paura. Entravano dentro il
carrozzone e tiravano giù tutto. Buttavano
via il mangiare, le pentole e spaccavano
coi piedi. E certe volte volevano anche
picchiare. Io non so perché ce l'avevano
con noi e gli ebrei. Non lo so perché, non
lo so veramente perché. Dicevano che ci
vogliono uccidere, così dicevano... alles
kaputt, alles kaputt. Solo quello loro
avevano nella bocca. Zigeuner nichts
gutes... zingari niente brave persone».
Nel documentario, Maria racconta anche
l'episodio di una giovane rom slovena
violentata da sette nazisti. Poi, un
giorno, «siamo venuti fino a Palmanova. A
Palmanova, sono venuti i tedeschi con le
Ss e uno italiano, proprio del paese lì, e
hanno preso mio fratello più piccolo che
aveva 17 anni».
Del gruppo di rom sloveni e di sinti
italiani di cui facevano parte Stanka e
Maria, furono in molti ad essere arrestati
e deportati. Ricorda Stanka: «Hanno preso
mio fratello dopo un cinque mesi. Prima
della mamma lui. Sono venuti le Ss e hanno
preso mio fratello, hanno preso sto povero
Carlo, sto Bepi, sto Tulala, Orlando e
Richetto. E li hanno portati prima a
Palmanova, poi da Palmanova a Udine e da
Udine in Germania. E son tornati tre, e
tre son rimasti lì, son morti lì».
Maria: «Dopo tredici mesi di campo di
concentramento, questo mio fratello è
venuto a casa. Sembrava un cadavere tirato
fuori dalla terra. Pelle e ossa, non di
più. Pelle e ossa. E allora è andato
avanti ancora un po' e poi è morto...
così... è brutto ricordare... è bello
ricordare lo stesso, ma è anche brutto».
Per Maria, Stanka e gli altri rom che
vivono in Friuli durante l'occupazione
nazista, le paure e le sofferenze non
hanno fine. Qualche mese dopo la
deportazione dei giovani ragazzi, infatti,
anche la madre di Stanka e altre donne
vengono arrestate. Continua Stanka: «E lì
hanno preso la mamma. Dopo hanno preso
questa Vilma, la mamma del povero Carlo e
una donna che aspettava un bambino. Dopo
quella l'hanno mandata a casa e invece
queste in Germania».
Epilogo
Per i rom, però, anche la vita nell'Italia
del dopoguerra è amara. Stanka: «Mia mamma
è tornata a casa, però non l'hanno mandata
qui subito, l'hanno mandata a Ljubljana.
Lei è andata al tribunale ha detto che ha
tutti i bambini a Udine, che deve venire a
prenderli. E le hanno fatto un
lasciapassare, l'hanno fatta venire a
Udine. Però non è tornata più. Siamo
rimasti sempre a Udine, sempre in
provincia di Udine. E tutt'ora. Guarda
quanti anni sono in Italia, ero bambina...
ancora devo avere la cittadinanza. Miei
figli sono tutti cittadini italiani. Sono
nati tutti qui in giro Udine».
Maria: «Dopo la guerra ci siamo di nuovo
rifatti un pochino. Prese di nuovo le
giostre. Ci siamo inseriti perché si va a
lavorare. Sono stata a lavorare anch'io,
proprio qui giù nelle fabbriche. Poi
avevamo le baracche, qui a Trieste in via
Valmaura. Poi conoscendoci la gente dice:
`Ma guarda te, non abbiamo mai pensato che
siete persone così...'. Però non c'hanno
fiducia... non danno pace, non danno pace.
Qui, al campo dove vivo, sono i
carabinieri notte e giorno, polizia notte
e giorno. Non danno pace».
I crimini
del fascismo contro i popoli jugoslavi
Nelle
ultime settimane abbiamo visto
riprendere corpo la campagna contro la
Resistenza, rilanciata dalla proposta
del sindaco di Trieste, Illy, di abolire
la festa del 25 aprile. Un ruolo
particolare in questa propaganda viene
assegnato alla rievocazione dei presunti
massacri di massa compiuti dai
partigiani sloveni contro gli italiani
durante e dopo la Resistenza stessa. In
questa campagna indecente, che si
alimenta non solo di falsificazioni
storiche spudorate, ma anche di un vero
e proprio razzismo antislavo, viene
completamente messa in ombra la
responsabilità dello Stato italiano
nella persecuzione dei popoli aggrediti
nel 1941 con l’invasione della
Jugoslavia.
Ringraziamo
quindi caldamente l’autrice di questo
articolo, che contribuisce a rimettere
in luce questo aspetto sempre nascosto e
minimizzato della "storia patria". Su
questi temi torneremo ancora nei
prossimi numeri della rivista.
la redazione di
marxismo.net
Durante la recente visita di Ciampi in
Friuli-Venezia Giulia un emissario del
Presidente ha avuto l’incarico di portare
una corona al monumento ai morti nel campo
di concentramento di Gonars. È stata la
prima volta, probabilmente per insistenza
dell’ANPI regionale, che un alto esponente
dello Stato italiano ha ricordato
l’esistenza dei campi di concentramento
fascisti (il monumento di Gonars era stato
costruito nell’83 per volontà della
Repubblica Jugoslava). È un gesto fra
l’altro che avviene in controtendenza
rispetto a una campagna revisionista e
antislava sempre più ossessionante.
Comunque, qualsiasi sia stata la motivazione
di Ciampi, per la gran parte della gente,
non solo nel resto d’Italia, ma anche in
Friuli, quel gesto è stato occasione di
scoprire qualcosa di terribile del nostro
passato.
La tragedia dei campi di concentramento
fascisti è stata infatti in tutti questi
anni nascosta o minimizzata, così come i
crimini dell’esercito italiano nei paesi
aggrediti, per alimentare invece il mito
dell’"italiano buono e amato" anche se
aggressore e vittima a sua volta degli
aggrediti infoibatori. È un mito
continuamente alimentato che oggi serve a
puntellare una politica neoirredentista nei
confronti dei paesi dell’ex Jugoslavia, che
si basa su un rinascente razzismo antislavo,
che si va diffondendo anche a sinistra
(sintomatico e sconvolgente a questo
proposito l’Espresso del 16/3/2000, che ha
in copertina il titolo "Sicurezza: slavi
maledetti", e poi nelle pagine centrali il
reportage "Fortezza Italia", sulla
situazione dell’Istria, dove i croati
vengono definiti da un intervistato - con
molta condiscendenza da parte
dell’intervistatore - "i "drusi", i maiali,
i comunisti titini").
Quando si va ad analizzare invece sui
documenti ciò che ha fatto l’esercito
fascista italiano nei paesi aggrediti, il
quadro che ne esce è quello di un
comportamento criminale. Qualche tempo fa
inoltre sono stati trovati da chi scrive,
durante una ricerca nell’Archivio di Stato
di Udine, dei documenti della Commissione
Censura della Provincia di Udine, da cui la
situazione degli internati di Gonars e di
Visco, i due campi di concentramente del
Friuli, risulta semplicemente sconvolgente.
Una breve premessa storica permetterà a
tutti di inquadrare i fatti e comprendere
appieno i documenti.
1941:
l’invasione della Jugoslavia
Il 6 aprile 1941 Hitler e Mussolini invadono
la Yugoslavia. C’è una immediata reazione e
l’inizio della resistenza jugoslava.
La Slovenia viene smembrata fra Italia (il
territorio che diventa provincia di Lubiana)
e Germania. Per quanto riguarda la Croazia
il 18 maggio Aimone di Savoia, diventa re di
Croazia, con il collaborazionista Ante
Pavelic come primo ministro.
In Slovenia già dall’ottobre del 1941 il
tribunale speciale pronuncia le prime
condanne a morte, il mese dopo entra in
funzione il tribunale di guerra. La lotta
contro i partigiani, che diventano una
realtà in continua espansione, si sviluppa
nel quadro di una strategia
politico-operativa rivolta alla
colonizzazione di quei territori. Con
l’intervento diretto dei comandi militari
italiani la politica della violenza si
esercita nelle più svariate forme: iniziano
le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di
paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di
ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a
scopo intimidatorio e punitivo,
saccheggiamento dei beni, setacciamento
sistematico delle città, rastrellamenti...
prende corpo il progetto di deportazione
totale della popolazione, con il
trasferimento forzato degli abitanti della
Slovenia, progetto che i comandi discutono
con Mussolini in un incontro a Gorizia il 31
luglio 1942 e che non si realizza solo per
l’impossibilità di domare la ribellione e il
movimento partigiano. Nel clima di
repressione instauratosi con l’occupazione
militare nel territorio jugoslavo, per il
regime fascista nasce inevitabilmente
l’esigenza di creare delle strutture per il
concentramento di un gran numero di civili,
deportati da quelle regioni.
I campi di concentramento e deportazione
italiani furono almeno 31, di cui 26 in
Italia, e vi morirono oltre 7.000 persone.
Vi furono internati soprattutto sloveni e
croati (ma anche "zingari" ed ebrei),
famiglie intere, vecchi, donne, bambini.
Il campo di
concentramento di Gonars
Il campo di concentramento di Gonars, in
provincia di Udine, quindi vicinissimo alle
zone slovene e alle zone in cui era già
iniziata la guerra di liberazione, fu uno
dei luoghi in cui si svolse la grande
tragedia di questi deportati. Venne
istituito già nel dicembre del 1941,
costituito da tre settori, circondato da
filo spinato, controllato dai carabinieri e
da circa 600 soldati con 36 ufficiali. Ai
lati nord e sud del vasto spazio recintato
da due torri alte sei metri, armate con
mitragliatrici puntate verso il campo, con
riflettori che di notte illuminavano a
intervalli di pochi minuti il campo e il
circondario. Tutto intorno una "cintura"
larga due metri, in cui le sentinelle
avevano l’ordine di sparare senza preavviso
a tutti quelli che la oltrepassavano.
All’arrivo i nuovi internati venivano
denudati, "disinfestati", rapati a zero. Ma
nonostante la pulizia quotidiana delle
baracche tenuta dagli stessi internati, i
parassiti si moltiplicavano. Essi si
diffondevano in prevalenza addosso agli
internati che, a causa dell’indebolimento
fisico, giacevano sempre a letto e si
lasciavano andare all’apatia.
Il 25 febbraio 1943 ci sono a Gonars 5.343
internati di cui 1.643 bambini. Ci sono
intere famiglie provenienti da Lubiana o dai
campi di Arbe (Rab) o di Monigo (Treviso);
due terzi croati e un terzo sloveni.
Baracche strette e lunghe, da 80 a 130
prigionieri per baracca; baracche
praticamente senza riscaldamento o con stufe
mal funzionanti, ma molti (specialmente
uomini adulti) dormivano in tenda; igiene
impossibile per mancanza di tutto; pidocchi,
scabbia erpete e altre malattie contagiose;
per quanto riguarda le donne incinte, l’80%
dei nati erano morti. Mangiare del tutto
insufficiente, minestrone mezzogiorno e
sera, praticamente acqua, + 200g di pane.
"La gente è affamata. Ma forse è meglio dire
che muore di fame", scriveva il salesiano
padre Tomec, come risulta da una sua lettera
in data 6 febbraio 1943. "Queste famiglie
non hanno nessuno che possa mandargli i
pacchi, perché le loro case sono state
bruciate e i parenti sparpagliati. (...) Una
grande maggioranza di internati è venuta da
Arbe (Rab) e sono giunti già esausti, simili
a scheletri. (...) Dal 15 dicembre 1942 al
15 gennaio 1943 ne sono morti 161. In media
muoiono 5 persone al giorno. (...) Il
maggiore medico Betti mi ha detto che in due
mesi il 60% di questa gente morirà, se prima
non vengono liberati. (...) Una scena triste
viene offerta dalla baracca nella quale ci
sono soltanto bambini orfani che hanno perso
i genitori ad Arbe o a Gonars". "Dio ci
guardi da qualche epidemia nel campo. Le
persone cadrebbero una dopo l’altra come
mosche." Così scriveva ancora padre Tomec. E
di una epidemia, si ha proprio notizia dai
documenti della censura che si trovano
nell’Archivio di Stato di Udine (fascicolo
Prefettura). Infatti se in febbraio i
problemi erano soprattutto la fame e il
freddo, si ebbe anche un’epidemia di tifo
petecchiale, non sappiamo con quali esiti.
Di un’altra, nel giugno del ‘43, si sa anche
per il campo di internamento di Visco (a 3
chilometri da Palmanova, a 10 dall’altro
campo, quello di Gonars). C’erano in questo
campo 4000 persone, che in maggio, come
risulta sempre da questi documenti della
Censura, erano stati picchiati dai
carabinieri con "botte da orbi" perché
"quando hanno saputo che abbiamo perso la
Tunisia, si sono messi tutti a gridare "Viva
la Russia"".
Mentre sul campo di concentramento di Gonars
ci sono stati degli studi che, seppur
conosciuti solo localmente, hanno messo in
luce questa tragedia, del campo di
concentramento di Visco si sa poco e niente,
ma la grande tragedia che vi si svolse
emerge dai documenti che affiorano oggi
dall’Archivio di Stato di Udine. Nel
monumento ossario del cimitero di Gonars
sono sepolti 453 corpi.
I prigionieri vengono liberati nel settembre
del ‘43.
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