Tra il 22 e 23 febbraio
1942 il XI corpo d'armata del regio esercito
italiano cinse la città di Lubiana
con una doppia cinta di filo spinato lunga
18 Km.
Lungo la recinzione furono sistemati
206 torri di guardia e bunker,
con circa 1.300 militari e 400 poliziotti
che controllavano tutti quelli che entravano
o uscivano dalla città.
La popolazione di Lubiana fu
interessata da ben 4 rastrellamenti. In
quello effettuato tra il 24 giugno e l'1
luglio 1942
furono arrestati e avviati al campo di
concentramento fascista di Gonars 771
studenti.
Lubiana,
la città circondata
dalla memoria
di
Gemma Bigi
dal sito
ANPI, 2013
Pensando ai luoghi di memoria e alle
targhe commemorative vengono in mente
cigli di strade oggetto di
commemorazioni ufficiali, musei,
l'architettura monumentale nelle piazze:
insomma spazi quasi sacri, momenti
celebrativi e di approfondimento
organizzati da sezioni Anpi, istituti
storici, insegnanti o istituzioni.
Non viene in mente tuttavia, nella
nostra geografia della Resistenza, un
luogo che sia soprattutto spazio di
vita, di quotidianità, oltre che di
ricordo. Un posto che faccia della
storia una compagna conosciuta delle
nostre giornate.
Per trovare un luogo simile dobbiamo
andare in Slovenia, precisamente a
Lubiana, percorrere a piedi o in
bicicletta i circa trenta chilometri di
pista ciclabile che, ad anello, ne
circondano il centro storico; fermarci a
leggere i pannelli e i cippi che
raccontano della seconda guerra
mondiale; sfogliare le pagine
dell'occupazione fascista della
cittadina.
Quell'anello verde è il POT, acronimo di “sentiero del
ricordo e della solidarietà” in
lingua locale, ed è il più grande
monumento antifascista d'Europa,
contrassegnato dalla stella rossa dei
partigiani sloveni.
Il Pot sorge, o meglio, ricalca il
tracciato del filo spinato che fece di
Lubiana negli anni del conflitto un
campo di concentramento, un ghetto, per
i suoi abitanti.
Era il 6 aprile 1941 quando il Regno di
Jugoslavia - nato dalla dissoluzione
dell'impero asburgico e di quello
ottomano dopo la prima guerra mondiale -
venne invaso dalla Germania, dall'Italia
e dall'Ungheria nella cosiddetta 'guerra
d'aprile'. Con la spartizione del
territorio balcanico, l'Italia si
annesse parte della Slovenia istituendo
la “Provincia di Lubiana”.
La popolazione rispose ingaggiando
un'immediata guerriglia contro
l'occupante. Già il 27 aprile infatti i
comunisti e i socialisti cattolici
diedero vita al Fronte di liberazione
nazionale e Lubiana ne divenne il centro
nevralgico.
Nelle città e nelle montagne della
provincia si formarono gruppi di
partigiani sloveni armati - talvolta
ingrossati da disertori del Regio
esercito - sostenuti e alimentati dai
civili.
La reazione del governo fascista fu
immediata quanto violenta: rappresaglie,
eccidi, deportazioni, italianizzazione
forzata. Si sviluppò così una guerra
aspra e senza quartiere fra invasori e
invasi, guerra non solo militare ma
anche culturale come dimostra, ad
esempio, l'intitolazione di bande
partigiane a poeti sloveni messi
all'indice dal nazionalismo italiano
d'esportazione.
Fu così che la mattina del 23 febbraio
1942 la popolazione di Lubiana si
svegliò imprigionata nella sua stessa
città. Nella notte infatti le forze di
occupazione fasciste avevano innalzato
un muro di filo spinato, che ne
circondava il perimetro e che presto fu
dotato di torrette di controllo e posti
di blocco. Ogni collegamento con la
campagna fu da quel momento rigidamente
vigilato, così come i rifornimenti di
viveri necessari alla sopravvivenza
quotidiana dei cittadini. Per cercare di
colpire la resistenza tutti i maschi
adulti furono catturati, sottoposti a
controllo e internati soprattutto nel
campo di concentramento di Gonars. In
alcune zone della provincia le autorità
italiane puntarono alla deportazione di
intere popolazioni pur di togliere il
terreno da sotto i piedi ai partigiani,
inasprendo così l'odio dei civili sempre
più disposti a sostenere i loro figli e
fratelli contro gli invasori.
Dopo l'8 settembre 1943, con la firma
dell'armistizio, Lubiana fu occupata
dalle forze armate tedesche, le quali
mantennero l'isolamento della città e
incrementarono le violenze contro una
popolazione già molto provata, come
testimoniano i dati contenuti nel numero
10 dei “Quaderni della Resistenza” del
Comitato Regionale Anpi del Friuli
Venezia-Giulia. In 29 mesi di
occupazione italiana della Provincia di
Lubiana vennero infatti fucilati, come
ostaggi o nel corso di operazioni di
rastrellamento, oltre 5.000 civili, ai
quali si devono sommare 200 vittime di
azioni di violenza quotidiana, 900
partigiani fucilati in prigionia e oltre
7.000 persone - soprattutto anziani,
donne e bambini - morti nei campi di
concentramento di Arbe e Gonars.
Il bilancio finale è drammatico: circa
13.000 persone uccise su un totale di
340.000 abitanti residenti nella
provincia al momento dell'occupazione.
Liberati il 9 maggio del '45, i
cittadini di Lubiana festeggiarono con
un corteo che camminò oltre il
reticolato che per quattro anni li aveva
ingabbiati. Pochi mesi dopo venne
rimosso il filo spinato e vennero
abbattute le fortificazioni, mentre la
città crebbe estendendo i propri confini
oltre l'anello della guerra.
Dal 1957 una marcia podistica annuale
lungo il Pot commemora la resistenza, le
scolaresche vengono portate su quel
sentiero per conoscere la loro storia e
gli abitanti di Lubiana si immergono nel
suo verde per fare jogging, camminare o
pedalare, accompagnati dalla stella
partigiana, che ricorda come quei metri
di terra simbolo oggi di tempo libero
furono il segno tangibile di una
prigione a cielo aperto.
Noi italiani siamo abituati alle nostre
lapidi e ai nostri monumenti della
seconda guerra mondiale, ma non siamo
abituati a sentire parlare dell'Italia
come solitamente parliamo della
Germania.
Compiere dunque viaggi sui luoghi dei
nostri crimini di guerra rappresenta,
oltre a un dovere, un'ottima occasione
per rendersi conto delle responsabilità
non solo del regime fascista ma di tutto
un mondo - dall'esercito agli impiegati
statali – fatto di persone che a vari
livelli collaborarono attivamente
all'occupazione, sottomissione e
vessazione di popolazioni e culture; un
mondo forse abitato da ignavi più che da
criminali ma comunque povero di 'brava
gente'.
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Ljubljana:
Grad sjećanja
Misleći na mjesta historijskog
sjećanja i na komemorativne natpise,
podsjećamo se uglova ulica i službenih
komemoracija, muzeja, monumentalne
arhitekture trgova – tih gotovo svetih
prostora - svečanih trenutaka te
produbljivanja historijske istine, koje
organizira ANPI (Talijanska nacionalna
organizacija partizanskih boraca, prim
prev), povijesnih instituta,
učenja i uputstava.
Ipak ne pada nam napamet, u našoj
geografiji Pokreta otpora, mjesto koje
je životni prostor, mjesto
svakodnevnice, osim što je mjesto
sjećanja. Mjesto koje bi moralo od
historije napraviti svakidašnju
pratilicu naših dana.
Kako bismo pronašli jedno slično
mjesto moramo otići u Sloveniju,
točnije rečeno u Ljubljanu, proći
pješke ili bicikolom oko trideset
kilometara biciklističke staze, koja u
obliku prstena zaokružuje historijski
centar grada i moramo pročitati natpise
i ploče, koje podsjećaju na Drugi
svjetski rat, i na taj način prelistati
stranice fašističke okupacije tog
grada.
Taj zeleni pojas je POT, akronim za „put sjećanja
i solidarnosti“ na domaćem
jeziku, a to je najveći
antifašistički trenutak Evrope,
obilježen crvenom zvijezdom slovenskih
partizana.
Pot obilježava ili bolje rečeno prati,
mjesta bodljikave žice, koja je od
Ljubljane u godinama ratnog sukoba,
napravila koncentracioni logor, geto za
njezine stanovnike.
Dana 6. Aprila 1941 Jugoslavensko
kraljevstvo – rođeno iz raspada
Habsburškog imperija, kao i onog
Otomanskog, nakon Prvog svjetskog rata –
bilo je napadnuto od Njemačke, Italije
i Mađarske u tako zvanom „aprilskom
ratu“.Sa podjelom balkanskog teritorija
Italija je sebi anektirala Sloveniju i
ustanovila „Ljubljansku provinciju“.
Stanovništvo je smjesta odgovorilo
započinjanjem borbe protiv
okupatora.Već su 27 aprila komunisti i
socijalisti katoličke orijentacije
sastavili Front nacionalnog oslobođenja
te je Ljubljana postala neuralgični
centar.
U gradu i u obližnjim planinama
formirali su se naoružani slovenski
odredi – ponekiput uvečani dezerterima
talijanske kraljevske vojske – a
partizane je podržavalo i hranilo
civilno stanovništvo. Reakcija
fašističke vlade bila je brza koliko i
nasilna: odmazde, ubijstva, deportacije,
prisilna talijanizacija. Tako se razvio
vrlo oštar ratni sukob, bez borbene
linije između okupatora i okupiranih, a
to nije bio samo vojni, već i kulturni
sukob, kako to pokazuju nazivi
partizanskih grupa, nazvanih po
slovenskim pjesnicima, koje je
talijanski izvozni nacionalizam stavio
na indeks zabranjene literature.
Tako se ujutro 23 februara 1942
stanovništvo Ljubljane probudilo
zarobljeno u vlastitom gradu. Noću su
fašističke okupacione snage podigle
zid od bodljikave žice, kojem su uskoro
dodani tornjevi za izviđanje i rampe za
kontrolu ulaska. Od tada je strogo
kontroliran svaki kontakt sa okolnim
selima, kao što su se kontrolirale i
namirnice, neophodne za preživljavanje
gradskog stanovništva.
Nastojeći pogoditi Pokret otpora,
pohapšeni su svi odrasli muškarci,
stavljeni pod strogu kontrolu i
internirani u koncentracioni logor
Gonars. U nekim krajevima Ljubljanske
provincije talijanske vlasti su
deportirale čitavo stanovništvo, kako
bi izvukli zemlju pood nogama partizana
i na taj način su još više pojačali
mržnju civilnog stnovništva, koje je
nsve više podržavalo svoje sinove i
braću u borbi protiv okupatora.
Nakon 8 septembra 1943, potpisivanjem
primirja, Ljubljanu su okupirali
njemačke oružane snage, koje su
zadržale izolaciju grada i još su
povećale nasilje prema stanovništvu,
koje je već bilo jako iscrpljeno, kako
to svjedoči broj 10 Quaderni della
Resistenza (Sveske Pokreta otpora)
ANPIjevog regionalnog komiteta za
Furlaniju i Julijsku krajinu. Za
vrijemne 29 mjeseci talijanske
fašističke okupacije Ljubljanske
provincije streljano je , kao taoci ili
u operacijama čišćenja terena, više
od 5.000 civila, a tome treba pribrojati
još 200 žrtava svakodnevnog nasilja te
900 partizana, koji su streljani po
zarobljavanju, sve zajedno više od
7.000 ljudi – među kojima je bilo
najviše starih ljudi, žena i djece –
što su pomrli u koncentracionim
logorima na Rabu i u Gonarsu.
Krajnja bilanca je dramatična: oko
13.000 ubijenih na broj od 340.000
stanovnikia, koji su boravili na tom
području u času okupacije.
Građani Ljubljane oslobođeni 8 maja 1945
proslavili su pobjedu izlaskom iz žice,
koja ih je držala u kavezu četiri
godine. Malo nakon toga je bodljikava
žica uklonjena, srušene su utvrde, a
grad je narasto i prerastao granice,
koje je imao za vrijeme okupacije.
Od 1957 pješačenje po stazi nazvanoj
„POT“ podsjećalo se na Pokret otpora, a
na tu stazu dovode i škole, kako bi se
đaci upoznali sa historijom Ljubljane, a
mnogi ulaze u zelenilo, da bi se bavili
joggingom, vozili bicikle ili
pješačili, dok ih prati partizanska
crvena zvijezda, koja podsjeća da su ti
metri zemlje, danas simbol slobodnog
vremena i dokolice, nekad bili opipljivi
znak zatvora pod vedrim nebom.
Pdakle otići na mjesta naših ratnih
zločina predstavlja, osim dužnosti,
izvrsnu priliku, da shvatimo odgovornost
ne samo fašističkog režima, već
cijelog jednog svijeta – od vojske do
državnih činovnika – koji je
pripomogao -na različitim razinama
aktivno kolaborirajući s okupacijom -
da se podčini i da se unišavaju
izvjesna stanovništva i izvjesne
kulture. Taj je svijet tada možda bio
nastanjem više mlitavnim ljenštinama
nego pravim kriminalcima, ali u svakom
slučaju, bio je to svijet, u kojem je
ispravnih ljudi bilo malo.
(prijevod: J. Tkalec)
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Nota di CNJ-onlus: In realtà il
termine "pot" non è un acronimo, bensì in
lingua slovena significa semplicemente
"cammino, via, percorso, sentiero". In
effetti il sentiero è stato chiamato "Pot
spominov in tovarištva" cioè
"Sentiero della memoria e della solidarietà"
(benché in effetti "tovarištvo" sia più
correttamente traducibile come "l'essere
compagni"), in sigla PST,
o anche "Pot ob žici"
cioè "Sentiero lungo il filo", intendendosi
il filo spinato in cui fu rinchiusa l'intera
città da parte delle truppe di occupazione
italiane. (Su consulenza di S. Volk)
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