(a cura di Riccardo Lolli)
Solo di recente e con decenni di ritardo si inizia a ricordare che tra i principali protagonisti della lotta per la liberazione nazionale vi sono stati anche migliaia di soldati di leva provenienti da ogni parte del paese, protagonisti misconosciuti di episodi di coraggio e dignità morale travolti nel turbinio degli eventi bellici.
Vittorio Mondazzi fu uno di quegli eroi dimenticati che non temette di sacrificare la propria vita animato dalla ferma convinzione della indifferibilità della lotta per la solidarietà internazionale in una fase decisiva per la liberazione dal giogo nazifascista.
Il giovane decoratore di Pratola Peligna, paese della provincia aquilana, dopo una prima esperienza bellica maturata in un anno di leva prestato in Cirenaica[1], nel corso del quale venne addestrato nell’uso dell’artiglieria pesante, fu richiamato nel 1943 per essere impiegato sul fronte greco-albanese. Sbarcato a Rodi nell’agosto, partecipò alle convulse giornate seguite all’8 settembre sull’isola greca. Al termine dei combattimenti, il 12 settembre, iniziò il disarmo dei soldati italiani reclusi in centri di raccolta trasformati da subito in veri e propri campi di concentramento, mentre le richieste di adesione al rinato fascismo ed al suo fedele alleato divenivano «più pressanti e minacciose utilizzando a questo scopo la deportazione, le restrizioni alimentari, le minacce e le percosse specie verso coloro che propagandavano idee contrarie»[2]. Dagli atti della Commissione delle Nazioni Unite risulta che i prigionieri italiani erano sistematicamente maltrattati e torturati al punto che il responsabile dell’intero settore dell’Egeo Orientale, il generale Otto Wagener verrà condannato quale criminale di guerra dal Tribunale Militare Alleato a 18 anni di carcere. L’opposizione dei militari italiani ai tedeschi sull’isola era diffusa ma frammentata e legata alle iniziative dei singoli e anche Mondazzi, come suo cognato in Alsazia, fu tra coloro che non cedettero alle minacce ed alle pressioni materiali e psicologiche, disposto anche ad affrontare la prigionia ed i lavori forzati, senza essere però rassegnato ad un simile destino.
Gradatamente cominciò il trasferimento dall’isola degli oltre 37.000 i militari "disarmati" sulla penisola greca con trasporti aerei e navali, a volte con esiti drammatici come nel caso dei naufragi delle imbarcazioni Donizetti ed Orion, dove fra gli altri trovò la morte un compaesano di Mondazzi, il fante Giovanni Di Cioccio.
Al 31 dicembre 1943 la cifra degli internati sull’isola si attestava ancora a 26.500 unità, per poi scendere a 1.500 uomini il 15 febbraio dell’anno successivo.[3]
Le scarne notizie del foglio matricolare, nella loro freddezza burocratica, non consentono di fornire notizie più dettagliate sui luoghi di detenzione di Mondazzi una volta lasciato uno dei campi dell’isola che avevano ospitato, fra gli altri, anche Alessandro Natta, e su come, trasferito in Croazia, verosimilmente a piedi come altri suoi connazionali[4], egli riuscisse ad evadere dalla prigionia. Si trattò di una decisione estremamente coraggiosa poichè già dal 20 settembre per ordine del Führer i soldati italiani non erano più considerati prigionieri di guerra ma classificati con il termine di ‘internati militari italiani’ e, conseguentemente, non più tutelati dagli accordi internazionali di Ginevra, quindi senza possibilità di fruire degli interventi della Croce Rossa e, soprattutto, senza poter godere del “diritto di fuga” che consentiva ai fuggiaschi di poter essere ricatturati incolumi e non giustiziati sul posto come di frequente accadeva agli evasi italiani dai campi.
Mondazzi, senza confluire nel centro di raccolta di militari e prigionieri italiani attrezzato dal Regio Stato Maggiore a Ragusa per organizzarne il rimpatrio, si unì dal 1 gennaio 1945 all’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, potendo così partecipare alla fase finale delle operazioni nei Balcani. All'inizio di maggio, infatti, mentre l'avanzata dell'esercito popolare diveniva inarrestabile, lo Stato indipendente di Croazia era ormai in rovina; lo stesso Ante Pavelić, era fuggito da Zagabria per raggiungere l'Austria dove riuscì a far perdere le sue tracce.
Non è possibile stabilire in
quale delle 50 formazioni di italiani della forza di
compagnie, Battaglioni, Brigate e Divisioni che
affiancavano l’EPLJ abbia combattuto Mondazzi, al quale è
stata formalmente riconosciuta la “qualifica partigiana di
gregario”.[5]
Gli italiani per il loro numero, superarono la metà degli
effettivi totali di tutte le formazioni volontarie
composte da non jugoslavi e ventimila di loro persero la
vita in terra jugoslava; fra questi Mondazzi che, per le
ferite riportate in uno scontro, probabilmente nel
tentativo di liberare a bordo di un automezzo alcuni suoi
connazionali, fu tra gli ultimi a sacrificarsi per la
liberazione della Jugoslavia[6]: il 6 maggio finiva i suoi
giorni nell’ospedale di Lipik nella Slavonia ormai
liberata. Appena tre giorni dopo i partigiani della 1ª
Divisione proletaria entravano a Zagabria accolti
festosamente dalla popolazione.
Partigiani della 1ª Divisione proletaria entrano a Zagabria l'8 maggio 1945
La decisione di quanti, come Mondazzi, dopo aver pagato con la prigionia il rifiuto all’adesione alle forze nazifasciste, hanno scelto di aggregarsi alle formazioni jugoslave impegnate nella lotta armata per Liberazione dei Balcani, aiuta a definire i contorni del movimento resistenziale nella sua dimensione europea che, superando gli angusti confini nazionali, ha visto uomini e donne di etnie, credi religiosi, convinzioni politiche diverse, battersi da un capo all’altro del continente per una prospettiva di lotta e di liberazione capace di parlare un linguaggio di democrazia e di pace a tutti i popoli oppressi dal nazifascismo.
[1] Imbarcato a Siracusa il 14 marzo 1936 con il 2° Reggimento Artiglieria Coloniale verrà collocato in congedo illimitato il 4 aprile 1937.
[2] AUSSME, relazioni, b.2129, fs. A/2/5 e B/1/27 in P.Iuso, La resistenza dei militari italiani nelle isole dell’Egeo, Roma, Rivista Militare, 1994, p.286,
[3] G.Schreiber. I militari italiani internati nei campi di concentramento del terzo Reich 1943-1945, pagg.340 e seguenti, Roma 1992.
[4] Si veda in merito la testimonianza resa dal Dottor. Vittorio Vitali a Maria Teresa Giusti in E.Aga Rossi e M.T.Giusti, Una guerra a parte, Bologna, Il Mulino, 2011, p.595.
[5] Foglio matricolare n.2048. ASAq, Distretto Militare, Ruolo matricolare, classe 1913.