INTERVENTO DI FABIO SEBASTIANI
(giornalista di "Liberazione", Roma)
Sulle iniziative internazionali di
solidarietà
di classe
In questo intervento, in particolare vi parlero' di una iniziativa
che
sta
nascendo proprio in questi mesi, e che in qualche misura è stata
già
introdotta da Lino Anelli [altro relatore
al convegno, ndCNJ] quando ha
parlato della "rete di solidarieta'" nata proprio a partire da un
soggetto
socialmente determinato, diciamo cosi', sia sul fronte jugoslavo che
sul
fronte italiano.
Questa rete solidale e' potuta crescere in maniera quasi esponenziale
almeno nel primo periodo grazie proprio alla rete dei luoghi di lavoro,
a quel coordinamento dei delegati che ha dato un apporto
importantissimo.
E proprio con questo meccanismo di riconoscimento della comune
condizione, cioe' di appartenere al mondo del lavoro: questo e' stato
un po' il traino fondamentale di questo processo. Del resto, per chi
ama
ragionare un po' coi simboli: durante o subito dopo il bombardamento
della Zastava di Kragujevac, in Italia c'e' stato il bombardamento
dei
diritti, e quindi forse non e' un caso che l'imperialismo lavori in
questa
maniera cosi' generalizzata attaccando, avendo in mente comunque
di
distruggere, un determinato soggetto sociale. Che questo poi avvenga
attraverso un bombardamento o attraverso l'attacco all'articolo 18,
forse
alla fine non e' poi cosi' importante.
Noi, sulla scorta di questa prima esperienza - parlo
dell'associazione
"Non bombe ma solo Caramelle", ma voglio qui intendere tutto il
circuito
che si e' creato intorno a questa esperienza di solidarieta' - abbiamo
elaborato un nuovo progetto di intervento che sta vedendo la luce
proprio
in queste settimane.
Poi daro' altri particolari su questo progetto, pero' voglio partire
da un
presupposto importante per capire bene di che si tratta.
Si tratta di un progetto di solidarieta', un progetto mirato non solo
sulla
Jugoslavia, ma che cerca di tirar fuori interventi un po' in tutte
le zone
di guerra - perche' purtroppo nei prossimi anni ci troveremo a parlare
soltanto di guerra - e che mette in discussione i modelli di
solidarieta'
proposti fino ad oggi, e vuole sviluppare un altro tipo di approccio.
Un
approccio che nascendo dal mondo del lavoro, come dire, crea una rete,
e quindi proprio per questa definizione, cioe' proprio perche' il
modello
e' quello della rete, e' un modello di solidarieta' che viene gestito
direttamente
da chi fa la solidarieta' stessa. Quindi una solidarieta' che non
delega,
innanzitutto, e che coinvolge direttamente i soggetti interessati,
che crea
relazioni innanzitutto personali ma anche politiche, e che quindi
risponde
-
qui faccio una piccola forzatura per intenderci - risponde a quel
modello
di
nuova organizzazione che sta portando avanti il movimento no global;
e che
e' molto simile a questa idea di qualcosa che ti gestisci direttamente
e che
non deleghi a nessuno. E lo fai, attraverso i reciproci confini
nazionali,
in
nome di un riconoscimento comune, cioe' della lotta contro lo
sfruttamento
e per l'autodeterminazione della tua vita e quella del soggetto sociale
a cui
appartieni.
Sulla critica ai progetti - diciamo cosi' - di "solidarieta'
istituzionale"
fin
qui portati avanti in questi anni non voglio spendermi piu' di tanto:
sono
usciti tantissimi libri interessanti. Tra gli altri, quello da cui
ho preso degli
elementi e' di Giulio Marcon (ICS), che mette fortemente in discussione
questi modelli di solidarieta' internazionale proprio a partire dal
fatto che in
realta' essi altro non sono che quinte colonne dell'imperialismo, o
meglio i
modi di presentare quell'imperialismo democratico che tanta parte della
cosiddetta sinistra e' andata elaborando in questi anni.
La lezione che viene dal Vietnam in poi, ad esempio, e' che le guerre
si
vincono e si perdono anche nella propria societa'.
La guerra quindi e' una operazione che puo' avere dei costi sociali
e politici
molto alti, e pertanto il consenso della propria opinione pubblica
interna
e' indispensabile. Il ricorso allo schermo ideologico dei diritti
umani,
e
quindi della cosiddetta solidarieta' che addirittura e' contemporanea
all'operazione di guerra, diventa un punto centrale della nuova
politica
estera dei paesi occidentali. Anche questa chiaramente condotta fuori
da
ogni legalita'. Per cui, appunto, noi in questi anni abbiamo
assistito ad
operazioni militari che andavano avanti insieme alle operazioni di
solidarieta',
e ad un certo punto non si capiva piu' quale era il limite tra le due
azioni.
Per esempio: la stessa operazione Arcobaleno che cosa diventa se non
appunto questo? (A parte la speculazione che e' stata fatta sui costi,
per cui
alla fine se uno tira una linea si accorge che la stessa operazione
fatta
sotto le insegne della missione Arcobaleno costa dieci volte di piu'
che se
fatta da un organismo di solidarieta' che non partecipa a quella
operazione)
[E a parte il fatto che il conto corrente della Missione Arcobaleno
era
gestito direttamente dallo Stato Maggiore dell'E.I. ... ndCNJ].
Se noi entriamo nella logica che, in fin dei conti, il limite tra
guerra
e pace
non esiste con questa idea di guerra preventiva, con questa idea di
guerra
portata avanti a tamburo battente dall'imperialismo, la stessa
operazione
Arcobaleno come tante altre operazioni del genere diventano tutte
operazioni parallele che in realta' portano avanti la stessa logica,
ovvero
annientare completamente l'identita' sociale e politica di un popolo
(e del
resto stamattina ne abbiamo avuto un esempio concreto) [qui
Sebastiani
si
riferisce agli arresti di Cosenza del 15/11/2002 - ndCNJ],
annientare
la sua
capacita' di consolidare una propria risposta. E sappiamo per esempio,
per chi conosce i popoli balcanici, quanto li' sia difficile riuscire
a portare
la solidarieta', perche' li' non c'e' la cultura di accettare qualcosa
che
viene dall'esterno, e quindi e' stato proprio difficile stabilire una
comunicazione sul terreno della solidarieta'. Invece uno dei punti
fondamentali di questo nuovo modo di gestire le guerre, con questo
velo dei cosiddetti diritti delle guerre giuste, delle guerre
umanitarie,
e'
proprio questo, cioe' di un programma assolutamente unilaterale che
annienta l'identita' dell'altro, e che in nome dei diritti giusti
dell'occidente
cerca di riorganizzare tutto su una scala internazionale imperialista.
Non mi dilungo molto su questo aspetto: voglio dire che come
organismi
di solidarieta' internazionale abbiamo oggi di fronte una sfida vera
nel
ripensare la solidarieta', in un momento in cui il movimento dei
movimenti sta raggiungendo risultati politici importanti, e quindi
in
un momento in cui dobbiamo consolidare relazioni politiche e sociali
di tipo nuovo. E anche la solidarieta' deve in qualche misura accettare
questa sfida, farla propria e trovare nuovi modelli di relazione.
Chiaramente noi siamo per una solidarieta' non delegata, autogestita,
e
abbiamo provato a ragionare su un modello e su una iniziativa specifica
su cui vi diro' brevemente.
Questa iniziativa e' "Non bombe ma solo Caramelle": prende il nome
da
una frase che una bimba di Kragujevac scrisse su un suo disegno che
ci invio' nella prima fase degli aiuti.
E' stata per noi una frase illuminante, perche' ci ha fatto capire
una cosa
fondamentale, e cioe' che il mondo dell'infanzia probabilmente puo'
avere questa funzione di rinnovamento e di spinta dal punto di vista
dell'espressione, quindi dal punto di vista culturale, a cercare nuove
strade e a battere nuove possibilita' di legame tra i popoli.
Il progetto "Non bombe ma solo Caramelle" contiene secondo noi una
filosofia della solidarieta' completamente nuova, per quello che ci
abbiamo voluto leggere. Sostanzialmente si tratta di intervenire
nelle
scuole, in alcune scuole elementari (abbiamo ricevuto per il momento
una trentina di prenotazioni) [di cui almeno 4 in prov. di Trieste
- ndCNJ]
invitando i bambini a elaborare una loro forma di espressivita' sul
problema della pace e della guerra.
Non si tratta del solito sermone educativo che si fa nelle scuole
elementari per educare i bambini alla pace, che poi lascia il tempo
che trova. E' proprio un percorso nuovo che si tenta di fare nelle
scuole,
per portare innanzitutto i bambini a un livello di espressivita'
genuina,
se non altro perche' i bambini piu' di altri sentono la necessita'
di buttar
fuori il grado di violenza che siamo capaci di inoculare loro. Quindi
raccogliere un po' la loro espressivita', questo bisogno di curarsi
dalle
immagini di guerra attraverso - noi proponiamo ad esempio - il campo
musicale, e quindi raccogliere questi elaborati e fare un festival
nazionale,
per poi arrivare a un CD, e fare in modo che questo CD serva a
sostenere
i progetti di solidarieta' internazionale.
Badate bene che in questi progetti di solidarieta' internazionale,
nel
modello ideale che troverete nelle linee del progetto, dovranno essere
gli
stessi bambini a elaborare l'obiettivo - cioe' noi non andiamo li'
ad imporre
il progetto di solidarieta', ma pensiamo che in qualche misura, se
coadiuvati
nella giusta dimensione, i bambini possano elaborare loro, scegliere
loro,
un'area del mondo, una situazione dove poter intervenire. Noi non
facciamo
altro che fornirgli gli strumenti.
Ebbene, su questo progetto abbiamo gia' raccolto l'adesione di
alcuni
comuni importanti come Roma e Venezia, sono in corso trattative con
altri, Piacenza, piccoli comuni del Piemonte, siamo stati a Napoli
all'ultima
assemblea del coordinamento delle autonomie locali contro la guerra
dove
abbiamo presentato il nostro progetto. Soprattutto abbiamo ricevuto
l'adesione
di una parte del sindacato, e cioe' di quel sindacato che si occupa
di bambini,
ossia il sindacato scuola [CGIL - ndCNJ] che ha messo a
disposizione
le sue
strutture, ha messo a disposizione alcuni suoi militanti per
coadiuvarci
in
questo progetto. Questo non significa che non usiamo altre sedi, come
questa, per poter continuare a parlarne, per poter fare in modo di
trovare
anche altre adesioni.
Ecco perche' e' importante che abbiano aderito Comuni e che abbia
aderito
una struttura sindacale.
Per il sindacato e' ovvio: c'e' una specie di rimorso proprio
inconscio,
che
non riesce a venir fuori in una maniera adeguata. Evidentemente la
scelta di
stare a fianco dei bombardamenti, come ha fatto parte del sindacato,
pesa
ancora sulla coscienza. C'e' un tentativo quindi di venir fuori da
quella scelta,
da quel grave lutto, e quindi di tornare un po' dalla parte giusta.
Gia' questa
presa di posizione sull'Iraq, su questa possibile guerra sull'Iraq
un po' ci
conforta, ma evidentemente dentro il sindacato la scelta di stare dalla
parte
dei bombardamenti ha sicuramente prodotto grandi ferite in Italia.
E' interessante invece l'adesione dei Comuni, perche' ci rafforza nel
tipo di
modello che noi abbiamo voluto dare a questa iniziativa. Cioe' una
solidarieta'
gestita dal basso, gestita dai soggetti sociali, senza quell'idea di
fare
l'elemosina, la carita', di lavarsi la coscienza attraverso un obolo,
attraverso
una partecipazione finanziaria. Invece c'e' questa idea del
coinvolgimento.
I Comuni hanno aderito senza ostacoli, spensieratamente, perche' hanno
capito quale tipo di modello c'era dietro questa proposta.
Innanzitutto l'interesse a diffondere presso la propria comunita'
un'idea
giusta della pace: da qui il coinvolgimento delle scuole elementari,
ma
soprattutto la possibilita' di gestire un modello che in fin dei conti
e'
controllabile in ogni momento, perche' ognuno puo' aprire qualsiasi
progetto che gli interessa e quindi entrare a far parte della nostra
rete
di solidarieta'. L'importante e' che ci siano alcune caratteristiche,
le
caratteristiche che ho detto prima.
Ecco, io praticamente credo di aver detto tutto; volevo soltanto
aggiungere
che, necessariamente per questa prima edizione di "Non bombe ma solo
Caramelle" che si concludera' nel giugno 2003, questo progetto va
avanti
in maniera quasi artigianale, perche' purtroppo con i tempi di lavoro
che
abbiamo non siamo riusciti a stare dentro i cosiddetti tempi
burocratici.
Pero' noi contiamo per l'anno prossimo di andare avanti in maniera
piu'
spedita, piu' veloce. Per esempio, voi noterete che nel progetto sono
previste
scadenze regionali di queste manifestazioni musicali: queste scadenze
purtroppo quest'anno non ci saranno, pero' il prossimo anno contiamo
di metterle in cantiere.
Il coinvolgimento dei bambini ci consentira' di rafforzare il
messaggio
di
pace.
Io capisco di trovare qui orecchie non proprio sensibili a questo
argomento,
ma insomma noi oggi ci ritroviamo guardandoci un po' in faccia l'un
con
l'altro a dover moltiplicare le iniziative di lotta alla guerra.
Mi spiego meglio: forse non e' piu' possibile utilizzare gli schemi
che
abbiamo utilizzato fino ad oggi, perche' lottavamo contro un modello
di
aggressione e di guerra che oggi non c'e' piu', e che oggi e'
completamente
diverso. Oggi facciamo i conti con un clima di guerra permanente anche
nei periodi cosiddetti di pace, e allora a questo bisogna contrapporre
una
cultura di pace ad una cultura di guerra. Prima lo diceva il
rappresentante
del Partito Socialista Operaio di Croazia
[altro
relatore al convegno - ndCNJ]:
la gente cambia da un giorno all'altro. Lui ha usato questa metafora
della
notte che e' molto bella: ti svegli la mattina dopo e il tuo amico,
il tuo
collega di lavoro la pensa in modo diverso da ieri. E lui sta in
Croazia.
Immaginate un po' noi con tutti i mezzi di informazione cui siamo
sottoposti,
il tipo di bombardamento che c'e' sulle coscienze, il tipo di lavorio
continuo
che l'imperialismo e' pronto a fare pur di indirizzare i suoi
interessi.
Allora io dico che questo ci deve portare a una presa di coscienza
piu'
profonda, perche' in questo clima di guerra permanente dobbiamo fare
un salto di qualita' dal punto di vista della lotta.
[fine]