LA
SEZIONE ANPI-VZPI DEL
CORO PARTIGIANO TRIESTINO INTITOLATA A QUATTRO CADUTI ANTIFASCISTI: BIDOVEC - MARUŠIČ - MILOŠ - VALENČIČ Trieste, 24 aprile 1988 Il territorio del Litorale, occupato dall'esercito italiano nel 1918 e annesso all'Italia con l'accordo di Rapallo del 1921 veniva comunemente identificato nel periodo tra le due ultime guerre con il nome di Venezia Giulia. Dopo il 1924 anche la città di Fiume apparteneva all'Italia. Si può stimare che dopo la grande guerra sul territorio identificato comunemente come Venezia Giulia vivevano almeno 550.000 sloveni e croati, dei quali oltre 300.000 sloveni, cioe' - secondo i dati di allora - quasi 1/3 del popolo sloveno. Con l'annessione della regione all'Italia crollava anche un sistema economico che aveva assicurato al territorio un costante sviluppo: i nuovi confini statali limitarono gli scambi economici, le relazioni con l'entroterra naturale venivano interrotte. Ne seguì un'inevitabile crisi economica e sociale che colpì, come sempre, le classi più deboli: i contadini e gli operai, costretti ad emigrare. Il periodo che precedette la prima guerra mondiale fu caratterizzato dall'emigrazione dalle campagne nelle città, quello successivo dall'emigrazione verso l'estero. Nel periodo tra le due guerre l'emigrazione degli sloveni e dei croati divenne un fenomeno di massa, provocato dalla nuova situazione socio-economica, ma influenzato in maniera determinante dalle pressioni di carattere nazionale e politico. Nei primi anni che seguirono la guerra, emigrarono - o meglio furono costretti ad emigrare - gli sloveni ed i croati che erano venuti nel Litorale per ragioni di servizio: impiegati, ferrovieri, maestri, in genere i dipendenti del pubblico impiego. Soprattutto gli intellettuali, ritenuti elementi pericolosi per il sistema, venivano sistematicamente discriminati dalle autorità italiane che facevano di tutto per costringerli ad andare oltre confine, in Jugoslavia. Molti preferirono andarsene anche per sfuggire all'incerto clima politico, le scarse prospettive economiche non potevano che favorire il fenomeno. Dopo il 1926 con l'accentuarsi delle pressioni del regime fascista l'emigrazione degli sloveni raggiunse il culmine. Furono obbligati ad andarsene tutti gli uomini politici, gli uomini di cultura, gli insegnanti, gli impiegati, i contadini che perdevano le proprie terre in quanto non erano in grado di restituire i prestiti che avevano contratto a tassi di usura per sfamare le proprie famiglie. Le ragazze contadine andavano a lavorare come domestiche, o meglio allora come «serve», presso le famiglie benestanti di tutta l'Italia; molte emigrarono in Egitto. Un'ondata particolare si ebbe nel 1935, quando molti giovani scapparono in Jugoslavia per sottrarsi alla guerra di Abissinia. Nel periodo tra le due guerre se ne andarono in Jugoslavia almeno 70.000 tra sloveni e croati, 30.000 emigrarono nell'America del Sud (20.000 nella sola Argentina), oltre 5.000 trovarono una sistemazione nei vari paesi europei. Si tratta di cifre impressionanti, che parlano da sole ed indicano chiaramente a quali pressioni veniva sottoposta la popolazione slava della Venezia Giulia. Nel frattempo era nato un notevole flusso immigratorio: dall'interno dell'Italia giungevano i funzionari statali, i poliziotti, i miliziani fascisti, i medici, gli insegnanti ecc. Tra la fine della guerra ed il 1931 immigrarono nella Venezia Giulia oltre 130.000 italiani. Le autorita italiane erano giunte nel Litorale completamente impreparate: non avevano previsto l'incontro con un'altra comunità nazionale ed avevano affrontato il problema con il ricorso alle misure di polizia, con l'intento di eliminare tutto ciò che avrebbe potuto in qualsiasi maniera minacciare i cosiddetti «interessi nazionali» dello stato italiano. I1 13 luglio 1920 i fascisti bruciarono la Casa di cultura Balkan a Trieste, sede di tutte le principali organizzazioni politiche, economiche e culturali, il segnale era chiaro: agli sloveni ed ai croati che vivevano in Italia non si doveva permettere alcuna forma di sviluppo nazionale. Due mesi dopo il criminale incendio del Balkan fu proclamato nella Venezia Giulia uno sciopero generale; gli operai chiedevano l'abolizione delle leggi speciali e volevano impedire la crescita del movimento fascista, che aveva già iniziato ad attaccare ed a distruggere le sedi operaie. L'insuccesso dello sciopero rafforzò il movimento nazionalista, i fascisti si posero alla testa di tutte le forze conservatrici. La violenza fascista si estese rapidamente ed assunse nel 1921 il carattere di una vera e propria offensiva che durò fino all'ascesa dei fascisti al potere nell'ottobre del 1922. Il movimento fascista - con l'appoggio finanziario della borghesia - si era rafforzato numericamente ed era in grado di sviluppare la violenza e di terrorizzare la popolazione. Le squadre di azione fascista, formate da 30 - 50 uomini armati iniziarono delle vere e proprie spedizioni punitive contro gli sloveni ed i croati, sia nelle città che nei paesi. Il terrore raggiunse il culmine durante la campagna elettorale nell'aprile e maggio del 1921. Secondo i dati degli storici italiani sino alla fine del 1921 vennero bruciati o distrutti nella Venezia Giulia 134 edifici, tra i quali 100 sedi delle associazioni culturali slovene, del partito comunista o del movimento operaio, oltre a 21 case operaie e tre cooperative. Tutte le autorità costituite, comprese il commissariato civile, l'esercito, la polizia ed i carabinieri appoggiavano i fascisti, che potevano cosi liberamente svolgere le proprie azioni criminose. La violenza e la sopraffazione fascista, ormai generalizzate in tutta la penisola, raggiunsero dei toni particolarmente aspri nella Venezia Giulia, dove due erano gli avversari da colpire: il movimento operaio e gli sloveni ed i croati. La crescita del fascismo fu favorita da vari fattori: soprattutto dalla mentalità antidemocratica e nazionalista della classe borghese, dall'incapacità operativa delle forze progressiste e del movimento operaio, della profonda crisi economica, dall'atteggiamento permissivo e di fatto fiancheggiatore delle autorità. Da una parte quindi la subordinata posizione economica degli sloveni e dei croati aveva costituito la premessa per lo sviluppo del comunismo, dall'altro il nazionalismo e lo sciovinismo avevano fatto da molla per il successo del fascismo. Da qui anche l'equiparazione del fascismo con l'italianità e del comunismo con lo slavismo. Gli scontri sociali tra il comunismo ed il fascismo riaccesero vecchi rancori nazionali tra gli sloveni e gli italiani. In questa situazione conflittuale il fascismo si identificava con la difesa degli interessi nazionali italiani; la lotta contro il movimento operaio era in realtà una lotta contro lo sviluppo della comunità slava. Il fascismo si erse così a difensore ufficiale dell'italianità di queste terre che l'Italia voleva da parte sua assimilare ed italianizzare. Questa «missione» venne di fatto mitizzata e rappresentò nello stesso tempo la linea politica statale. Il 28 ottobre del 1922 il fascismo assunse con la marcia su Roma anche formalmente il potere. Nella Venezia Giulia questa svolta non portò a dei mutamenti radicali in quanto il fascismo aveva di fatto già in precedenza assunto il controllo della situazione. Il governo fascista soppresse nel 1926 tutte le istituzioni democratiche e diede vita ad un regime totalitario. I rapporti del fascismo con la comunità slovena e croata rappresentano un capitolo a parte. La snazionalizzazione e la assimilazione divennero due punti fermi della politica del regime e si fondavano sulla concezione nazionalimperialistica che gli slavi erano una razza inferiore. Oltre alle leggi speciali, che colpivano in modo indiscriminato tutte le forze democratiche, si dimostrarono come fatali per l'esistenza delle comunità nazionali slovena e croata le decisioni ad hoc assunte dai segretari del partito fascista delle province di confine nella conferenza del 12 giugno 1927, ratificate poi dai prefetti competenti e dallo stesso Mussolini. I gerarchi fascisti constatarono «che gli insegnanti ed i preti sloveni, le loro associazioni culturali e tutto il resto rappresentavano qualcosa di anacronistico ed anomalo che non poteva essere tollerato in una regione annessa». Logica conseguenza di questa tesi fu la richiesta di una rapida italianizzazione di queste province; la soppressione definitiva di quello che era rimasto delle scuole, dei circoli della stampa slovena ecc. La lingua slovena doveva essere considerata come un semplice dialetto destinato a scomparire ed a trasformarsi, sotto l'influsso delle città, in «dialetto italiano». Il programma della totale fascistizzazione ed assimilazione degli sloveni stilato nel 1927 non fu altro che la conseguenza di un'azione condotta in tal senso già da otto anni e rappresentò il colpo di grazia per quel poco che era rimasto delle organizzazioni slave. La dittatura fascista, nata e fondata sulla violenza, provocò la reazione e l'opposizione di tutte le forze democratiche italiane e le più svariate forme di lotta. Nella comunità slovena l'opposizione al fascismo assunse un carattere plebiscitario e si estese a tutti gli strati sociali, sotto la guida prevalente di due organizzazioni clandestine: quella comunista e quella nazionalrivoluzionaria. Il movimento comunista della Venezia Giulia - che operava ormai da anni nella clandestinità ed includeva gli operai italiani, sloveni e croati - fu colpito duramente dalle leggi speciali fasciste e subì delle perdite maggiori rispetto a quelle sofferte dal movimento patriottico. I suoi dirigenti più in vista furono costretti ad emigrare o vennero confinati, il loro posto fu preso dalle giovani leve. Il numero degli attivisti e degli iscritti comunisti fluttuava continuamente sia per gli arresti che per l'emigrazione, ed e' quindi difficile stabilire l'entità esatta. Il partito, pur operando nella clandestinità, organizzò un movimento sindacale, dei comitati antifascisti, curò il cosiddetto «soccorso rosso» a favore delle vittime del regime. Il giornale «Delo» (II Lavoro), portavoce degli ideali comunisti tra gli sloveni, veniva diffuso clandestinamente sin dal 1926, nel 1927 e 1928 nella periferia di Gorizia, nel 1929 a Lubiana, tra il 1933 ed il 1935 a Rence ed a Volcja Draga, tra il 1937 ed il 1940 anche a Sgonico e Divaccia. Gli attivisti comunisti tendevano soprattutto a diffondere e consolidare gli ideali rivoluzionari ed antifascisti, mobilitando le masse. II Partito comunista italiano non aveva dedicato negli anni immediatamente susseguenti alla sua costituzione (1921-1926) una particolare attenzione al problema delle minoranze nazionali: riconosceva il principio generale dell'auto- determinazione a favore di tutti i popoli ed identificava la soluzione del problema nazionale con la vittoria della rivoluzione proletaria. Dopo il 1924 i comunisti sloveni constatarono che avrebbero potuto mantenere ed anche aumentare la loro influenza sulle masse facendo proprie le richieste delle minoranze nazionali, collegando la lotta per lo sviluppo sociale con quella per i diritti nazionali. Un gruppo di giovani comunisti indicò la soluzione del problema nazionale secondo i principi leninisti: bisognava riconoscere agli sloveni ed ai croati il diritto all'autodeterminazione, con il conseguente distacco dall'Italia e la costituzione di repubbliche operaie e contadine, riunite in una federazione di repubbliche balcaniche. Il principio fu accolto nel 1926 dal terzo congresso del Partito comunista italiano, che iniziò successivamente ad adoperarsi attivamente per la costituzione di un fronte unitario tra tutti gli strati sociali della popolazione slovena. Le associazioni culturali clandestine erano le migliori portatrici, il veicolo ideale, per la diffusione di questo spirito unitario, che aveva come punto fermo la lotta al fascismo. Sino al 1930 era rilevante anche l'attività clandestina dell'organizzazione nazional- rivoluzionaria «BORBA », formata dai giovani patrioti progressisti che sostenevano la necessità di una lotta armata contro il fascismo, alla violenza ed alla sopraffazione del regime bisognava rispondere con la forza. Il movimento BORBA crebbe nel 1927, dopo lo scioglimento di tutti i circoli culturali sloveni. II suo programma d'azione prevedeva delle azioni violente contro le organizzazioni fasciste, in modo da richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sul problema delle minoranze nazionali che vivevano in Italia e di intimorire così i portatori ed i fautori della politica snazionalizzatrice. Bisognava inoltre convincere le masse che una resistenza attiva ed armata era possibile, divulgare l'odio contro il fascismo; impedire l'attività dei rinnegati e dei traditori, collegare la lotta per l'esistenza nazionale con quella per la giustizia sociale. Queste azioni fecero guadagnare al movimento l'attenzione e la simpatia delle masse. Nella maggioranza dei casi il regime non riuscì ad individuare gli esecutori materiali degli episodi di lotta, pur arrestando un gran numero di persone. Nel 1929 la polizia arrestò in Istria un gruppo di nazionalrivoluzionari, il processo si svolse a Pola tra il 14 ed il 17 ottobre davanti al Tribunale speciale fascista e si concluse con la fucilazione di Vladimir Gortan. Nella parte slovena della Venezia Giulia l'organizzazione venne scoperta nella primavera del 1930 in seguito all'attentato dinamitardo contro la sede della redazione del quotidiano «Il Popolo di Trieste». Dall'1 al 5 settembre si svolse davanti al Tribunale speciale fascista il noto primo processo triestino: Ferdo Bidovec, Franjo Marušič, Zvonimir Miloš e Alojz Valenčič, quattro giovani eroi, vennero condannati a morte e fucilati a Basovizza. Le condanne a morte sortirono però l'effetto contrario a quello atteso dalle autorità fasciste. Dopo il 1930 il Partito comunista italiano iniziò a conformare la propria attività alle posizioni dei comunisti jugoslavi. I due partiti si consultarono nel gennaio del 1930 e si accordarono per un'azione unitaria; tra l'altro decisero che il giornale «Delo» doveva diventare la voce ufficiale dei due partiti per gli sloveni che vivevano in Italia ed in Jugoslavia. II «Delo» uscì tra il 1930-35 come organo ufficiale comune dei due partiti e dedicò una particolare attenzione alla problematica slovena. Nel 1934 il Partito comunista italiano, quello austriaco e quello jugoslavo votarono un documento comune in merito alla soluzione del problema nazionale sloveno, si dichiararono contrari alla divisione coatta del popolo sloveno e si impegnarono a sostenere il suo diritto alla autodeterminazione. Si era verificato così un importante passo qualitativo nei confronti della politica nazionale, per i comunisti sloveni dei tre paesi la dichiarazione segnò l'inizio di una nuova era che portò successivamente alla lotta di liberazione nazionale, con il fine di costituire una Slovenia unita ed indipendente. La dichiarazione dei tre partiti comunisti venne assunta in circostanze molto delicate ed ha un rilevante valore storico, significò anche la volontà della ricerca di un collegamento tra tutte le forze democratiche, al fine di arrivare alla costituzione di un fronte unitario antifascista. Come logica conseguenza della ricerca di una azione unitaria fu concordato nel 1936 un patto di collaborazione tra i comunisti ed i nazional- rivoluzionari TIGR. Le due parti si impegnarono a dar vita ad un fronte popolare sloveno e croato e di collegarlo con quello italiano. Il Partito comunista italiano siglò così per la prima volta un accordo con un movimento non operaio. L'unità operativa raggiunta tra il Partito comunista italiano ed il movimento nazional- rivoluzionario non era altro che il riflesso dell'atteggiamento assunto in tal senso dalle masse. L'antifascismo era tra gli sloveni ormai generalizzato; dopo lo scioglimento coatto delle associazioni economiche, sportive, assistenziali, creditizie, in genere di tutte le attività delle minoranze nazionali, l'attività delle stesse continuò nella clandestinità, si svolse nelle case, durante le escursioni e le gite, si trasferì nelle chiese ecc. Ogni casa slovena si trasformò in scuola, in ogni chiesa venivano diffuse la lingua slovena ed i canti popolari. Era necessario lottare uniti contro il nemico comune per mantenere l'identità nazionale e per sopravvivere come popolo; le tradizionali differenze ideologiche tra i cattolici ed i liberali si affievolirono, fino a scomparire del tutto, soprattutto nei paesi. Nacque così un unitario fronte nazionale antifascista, come movimento di massa molto attivo, il che traspare chiaramente anche dai verbali della polizia. Unitamente a quelle rosse apparvero anche le prime bandiere slovene, si moltiplicarono le scritte contro il regime, si distribuivano volantini, giornali; l'atteggiamento antifascista della popolazione diventava sempre più evidente. L'elevatissimo numero delle denunce spiccate dalla polizia rappresenta una prova evidente della crescente attività antifascista, che si accentuò con l'approssimarsi della guerra. Il sistema adottò contro gli sloveni dei metodi di repressione molto duri: dall'ammonimento, al domicilio coatto, al confino, alle condanne del Tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato. Tra il 1927 ed il 1943 si svolsero 131 procedimenti processuali contro 544 imputati sloveni e croati. Il rapporto tra le condanne emesse contro gli antifascisti italiani e quelli sloveni o croati era di uno contro dieci; delle 42 condanne a morte, ben 33 riguardavano imputati sloveni e croati. Dieci esecuzioni capitali vennero richieste dal Tribunale speciale nel periodo che precedette l'inizio della lotta di liberazione nazionale. Con l'avvicinarsi del nuovo conflitto mondiale l'attività antifascista si intensificò in tutti i settori. In tali circostanze si offriva ai comunisti sloveni un'occasione favorevole per l'organizzazione di un fronte antifascista. In particolare Pinko Tomažič percepì le condizioni, allora particolarmente favorevoli, e stese dopo il 1937 un nuovo programma che rivendicava la costituzione di una repubblica autonoma slovena di tipo sovietico, che doveva nascere dall'unione di tutte le forze progressiste slovene in un unico fronte antifascista, collegato con il movimento progressista italiano. Pinko Tomažič ed i suoi compagni riuscirono a far conoscere questo loro programma con l'attività clandestina dei circoli culturali, in modo particolare tra la gioventù triestina e goriziana. Negli anni 1939-40 si può già parlare dell'esistenza nella Venezia Giulia di un fronte antifascista sloveno, secondo le previsioni programmatiche del Tomažič. Si era ormai consolidata la collaborazione e l'unità operativa tra la gioventù comunista e quella nazional- liberale e cristianosociale; veniva anche mantenuto il collegamento operativo tra i nazionalrivoluzionari ed i comunisti. Nell'estate del 1940 il servizio segreto fascista (OVRA) riuscì a colpire in modo vitale il movimento unitario nella sua fase di sviluppo. Riuscì a scoprire nove depositi clandestini di armi e munizioni, una stazione ricetrasmittente, tre tipografle ed una montagna di pubblicazioni illegali. Vennero arrestate 300 persone; 240 vennero condannate al confino, al domicilio coatto o vennero ammonite in modo formale. I sessanta elementi più rappresentativi, considerati come i maggiori responsabili, vennero consegnati dalla polizia al Tribunale speciale fascista, che li divise in tre gruppi: 26 comunisti, 12 nazionalrivoluzionari, 22 intellettuali. Tutti insieme vennero sottoposti al cosiddetto secondo processo triestino, nel dicembre del 1941. Tutto il movimento aveva un fine comune anche se traeva la propria origine in matrici ideologiche diverse, il che emerse chiaramente dagli atti processuali. Il fine comune era rappresentato dalla liberazione di tutte le comunità nazionali iugoslave dalla dittatura fascista. Il processo si svolse tra il 2 ed il 14 dicembre del 1941, quando nel Litorale già divampava la lotta di liberazione nazionale. Le condanne del Tribunale speciale furono molto dure; il regime fascista voleva così intimorire la popolazione che si stava ormai ribellando apertamente. Il 15 dicembre del 1941 vennero fucilati nel poligono di Opicina il comunista Pinko Tomažič ed i nazionalrivoluzionari Viktor Bobek, Simon Kos, Ivan lvancic e Ivan Vadnal. Essi divennero con Vladimir Gortan ed i quattro eroi fucilati a Basovizza il simbolo della lotta antifascista per la liberazione degli sloveni del Litorale. La costituzione del fronte di liberazione nazionale sloveno nell'aprile del 1941 segnò l'inizio di una generale resistenza armata che iniziò nel Litorale contestualmente a quella delle altre regioni slovene; il fine era comune: scacciare l'occupatore, riunire tutti gli sloveni e trasformare la struttura sociale. Il fronte di liberazione nazionale non avrebbe potuto comunque svilupparsi tanto rapidamente nel Litorale se nel periodo precedente non vi fosse stato un forte movimento antifascista. La lotta armata non fu che la logica conseguenza della resistenza precedente e si concretizzò nel 1945 con la sconfttta del fascismo e la liberazione nazionale. Ricordando questi fatti storici dobbiamo anche cercare di cogliere il collegamento con il presente; la conoscenza del passato può e deve aiutarci a comprendere la situazione attuale. II consolidamento della nostra identità nazionale deve accompagnarsi ad una sempre maggiore collaborazione ed alla ricerca dell'appoggio delle forze democratiche e progressiste italiane. Gli ideali della resistenza e della lotta di liberazione nazionale vanno tramandati ai giovani, che devono farli propri. Solo così saremo certi che i sacrifici sostenuti dalle precedenti generazioni, dai compagni caduti, avranno un seguito ideale. Cerchiamo di prendere ad esempio coloro che hanno vissuto, lottato e sacrificato la propria vita per la libertà, per una società più equa, per un domani migliore, per la vittoria contro l'oscurantismo fascista. |
OB
POIMENOVANJU
SEKCIJE ANPI-VZPI TRZASKEGA PARTIZANSKEGA PEVSKEGA ZBORA PO STIRIH BAZOVISKIH JUNAKIH: BIDOVEC - MARUŠIČ - MILOŠ - VALENČIČ Trst, 24. april 1988 Primorsko ozemije, ki ga je novembra 1918 zasedla italijanska vojska in je bilo januarja 1921 z rapalsko pogodbo prikljuceno k Italiji, se je v razdobju med obema vojnama imenovalo Julijska krajina - Venezia Giulia. Od 1924 dalje je tudi Reka pripadala Italiji. Po nekaterih ocenah je po prvi svetovni vojni pripadlo Italiji okrog 550.000 Slovencev in Hrvatov, od tega nad 300.000 Slovencev, kar je v tistem obdobju pomenilo skoraj tretjino slovenskega naroda. S prikljucitvijo dezele k Italiji je bil porusen gospodarski sistem, na katerem je slonel stoletni razvoj in napredek. Nove drzavne meje so postavile meje tudi gospodarstvu. Z novo razmejitvijo so bile pretrgane zveze z zalednimi dezelami. Te spremembe so povzrocile gospodarsko krizo. Kriza v dezelnem gospodarstvu je povzrocila druzbeno krizo, ki se je kazala v obubozanju kmeta, brezposelnosti in izseljevanju. Izseljevanje Slovencev in Hrvatov je znacilno za vse obdobje med vojnama. Pred prvo vojno je bilo znacilno preseljevanje iz podezelja v bliznja mesta, po prvi vojni pa se je preusmerilo v tujino. Izseljevanje pa se zdalec ni bilo zgolj sociogospodarske narave, temvec je bilo v glavnem posledica narodnega in politicnega Pritiska. Kmalu po vojni so se izselili ljudje, ki so prisli na Primorsko po sluzbeni poti: uradniki, zeleznicarji, ucitelji. Izobrazence slovenske narodnosti je italijanska oblast nacrtno izganjala preko meje v Jugoslavijo, ces da so nevarni italijanskim interesom. Mnogi pa so se umaknili pred negotovo politicno in gospodarsko bodocnostjo. Izseljevanje Slovencev je doseglo visek med splosno gospodarsko krizo in ob istocasni zaostritvi fasisticnega totalitarnega rezima, to je po letu 1926. Tedaj so bili prisiljeni oditi politicni in kulturni delavci, ucitelji in uradniki, brezposelni delavci ter kmetje, ki jim je posestvo prislo na boben. Znacilno je bilo odhajanje kmeckih deklet v notranjost Italije ali v tujino, zlasti v Egipt. Poseben val spada v leto 1935, ko so bezali v Jugoslavijo mozje in fantje, da so se izognili mobilizaciji za vojno v Abisiniji. Pred drugo svetovno vojno je bilo samo v Jugoslaviji nastetih priblizno 70.000 Slovencev in Hrvatov iz Julijske krajine, okoli 30.000 jih je bilo v Juzni Ameriki (od tega 20.000 v Argentini), nad 5.000 pa v ostalih evropskih dezelah. Na vsak nacin gre za izredno visoke stevilke, ki ponovno dokazujejo vsestranski pritisk, ki ga je izvajal fasizem nad slovanskim prebivalstvom v Julijski krajini. Na drugi strani pa so se iz notranjosti Italije doseljevali predvsem funkcionarji, policisti, fasisticni milicniki, oficirji, ucitelji, zdravniki, uradniki itd. Leta 1931 je stevilo priseljenih Italijanov znasalo okrog 130.000. Italijanske oblasti so prisle v nase kraje nepripravljene na srecanje s prebivalstvom druge narodnosti. Niso poznale okoliscin. Nadalje so bile pod jasnim vplivom tradicionalne miselnosti italijanskega mescanstva. Ravnale so se po njihovem merilu. Tako so se najprej poostrili policijski ukrepi, da bi odstranili vse, kar bi utegnilo ogrozati t.i. »nacionalne interese» italijanske drzave. 13. julija 1920 so fasisti zazgali Narodni dom v Trstu, sedez osrednjih politicnih, kulturnih in gospodarskih organizacij. Dva meseca po pozigu, septembra 1920, je v Juljiski krajini izbruhnila najvecja splosna stavka. Na eni strani so delavci zahtevali odpravo izrednega okupacijskega rezima, na drugi strani so hoteli prepreciti vzpon fasisticnega gibanja, ki je po pozigu Narodnega doma napadal tudi delavske sedeze. Neuspeh stavke je okrepil nacionalisticne struje in dokoncno postavil fasiste na celo vseh konservativnih sil. Fasisticno nasilje se je nato v letu 1921 razvilo v pravo ofenzivo, ki je trajala do prihoda fasistov na oblast v oktobru 1922. Nadalje se je fasisticno gibanje stevilcno toliko okrepilo, da je lahko zacelo s splosnim terorjem. Mnozicna osnova fasisticnega gibanja so bili ljudje iz srednjega sloja, priseljenci iz Italije, demobilizirani castniki in podcastniki, politicno nezgrajena mladina. Financno so gibanje podpirali visoki mescanski krogi. Uradna pest so bile oborozene cete - squadre d'azione, ki so stele 30 do 50 moz. Najprej in najpogosteje so fasisti napadali v mestih (Trst, Trzic, Pulj). Iz mest pa so cete s tovornjaki odhajale na podezelje, v slovenske in hrvaske vasi, kjer so nastopale kot kazenske vojaske ekspedicije. Visek je fasisticni teror dosegel med volilno kampanjo aprila in maja 1921. Po podatkih italijanskih zgodovinarjev je bilo do konca leta 1921 v Julijski krajini pozganih ah razdejanih 134 zgradb, med temi kar 100 sedezev kulturnih drustev slovenske narodnjaske in komunisticne smeri, 21 delavskih domov in tri zadruge. Oblastveni organi, generalni civilni komisariat, vojaska poveljstva, policijski komisarji, karabinjerji so fasiste podpirali. Fasisticno nasilje je znacilno za vso Italijo. V Julijski krajini pa je bilo hujse, saj je bilo naperjeno proti dvojnemu nasprotniku: proti slovenskohrvaski narodni skupnosti in proti delavskemu gibanju. Porast fasisticnega gibanja je omogocilo vec dejavnikov: protidemokraticna in nacionalisticna usmerjenost italijanskega mescanstva, nesposobnost naprednih sil delavskega razreda, podpora oblasti fasizmu, globoka gospodarska kriza. Kakor je bila sociogospodarska podrejenost Slovencev in Hrvatov pogoj za razvoj komunizma, tako sta bila nacionalna zanesenost in pravi sovinizem vzvod za uspeh fasizma. Od tod izvira enacenje fasizma z italijanstvom, komunizma pa s slovenstvom. Razredni spopadi med fasizmom in komunizmom so spodbujali stare nacionalne spore med Slovenci in Italijani. V tem spopadu je fasizem v Julijski krajini videl obrambo italijanskih nacionalnih interesov, zato je boj proti delavskemu gibanju imel izraziti znacaj boja proti narodnemu razvoju slovanske skupnosti. Fasizem se je imel za nekaksnega uradnega predstavnika italijanstva v teh krajih, ki jih je hotela Italija poitalijanciti. To »poslanstvo« je postalo pravi mit in istocasno politika italijanske drzave. 28. oktobra 1922 je fasisticna stranka s t.i. »pohodom na Rim« prevzela oblast v drzavi. Prihod fasistov na oblast v Julijski krajini ni pomenil bistvene prelomnice, saj je fasizem ze pred tem obvladoval polozaj. Fasisticna vlada je do konca leta 1926 odpravila demokraticne oblike drzavne ureditve in uvedla totalitarni fasisticni rezim, ki ga je vzdrzevala z nasiljem. V okviru splosnih sprememb predstavlja ravnanje s slovensko-hrvasko narodno skupnostjo posebno poglavje v zgodovini fasizma. Pod fasisticno vladavino pa raznarodovalna politika ni vec dezelna posebnost, temvec sestavni del drzavne italijanske fasisticne politike o nasilni asimilaciji neitalijanskega prebivalstva. Temeljila je na nacionalisticno-imperialisticnem pojmovanju, da so Slovani manjvredni. Poleg izrednih zakonov, ki so prizadeli vso napredno italijansko javnost, so bili za obstanek slovenske in hrvaske skupnosti usodni sklepi tajnikov fasisticne stranke iz obmejnih pokrajin, sprejeti na konferenci v Trstu 12. junija 1927. Sklepe so uradno potrdili pokrajinski prefekti in sam Mussolini. Konferenca fasisticnih kolovodij je ugotovila, da so »slovanski ucitelji, slovanski duhovniki, slovanska drustva in drugo anahronizem in anomalija v dezeli, ki je bila anektirana«. Iz te ugotovitve je izvirala zahteva, da se obmejne pokrajine naglo vsestransko poitalijancijo, da se odpravijo se zadnji razredi sol, zadnja drustva, slovenski tisk itd. in da postane slovenski jezik le narecje, ki naj bi se pod vplivom italijanskih mest spremenil v »italijansko narecje«. Nacrt o totalni fasizaciji in raznaroditvi Slovencev iz leta 1927 je bil le krona osemletnega delovanja v tej smeri ali Miloštni strel ze prej krepko zatrtim slovanskim narodnim organizmom. Fasisticni totalitarni rezim, ki je nastal in se vzdrzeval z nasiljem, je vzbudil odpor naprednih sil v Italiji in jim vsilil posebne metode boja. Ce so posebne metode boja veljale za italijanske protifasiste, so tembolj veljale za slovensko- hrvasko narodnostno skupnost, saj jo je fasisticna diktatura prizadela z dvojno mero. Vsestranski pritisk in nacelno nasilje sta porodila radikalne oblike odpora in boja. Najbolj pomembno pa je dejstvo, da je fasizem vzbudil odpor vseh plasti slovenskega prebivalstva. Protifasisticni odpor primorskih Slovencev se je v glavnem razvijal preko dveh ilegalnih politicnih organizacij: komunisticne in narodno-revolucionarne. Komunisticno organizacijo v Julijski krajini so po uveljavitvi fasisticnih izrednih zakonov prizadele se tezje izgube kakor narodnjasko gibanje. Od nastopa fasizma je bila dejansko v polilegali ter glavna tarca nasilja. Po emigraciji in konfinaciji voditeljev so stopili na njihova mesta mlajsi komunisti. Organizacija je vkljucevala clane vec narodnosti: italijanske, slovenske in hrvaske. Njihovo stevilo je nenehoma nihalo zaradi aretacij in emigracije, zato ga ni mogoce zatrdno ugotoviti. Stranka je v ilegali organizirala sindikalno organizacijo, ustanavljala posebne protifasisticne odbore, vzdrzevala »rdeco pomoc« za zrtve fasizma. Glasilo komunisticnih idej med Slovenci je bilo Delo, ki so ga primorski komunisti po letu 1926 razmnozevali ilegalno: v letih 1927 in 1928 v predmestju Gorice, leta 1929 v Ljubljani, v letih 1933-35 pri Rencah in pri Volcji Dragi, v letih 1937-1940 pa pri Zgoniku in Divaci. Komunisticna dejavnost je bila poleg organizacijskega utrjevanja v glavnem usmerjena na razsirjanje revolucionarnih in protifasisticnih idej za mobilizacijo delovnih mnozic. Za komunisticno organizacijo v Julijski krajini je bilo bistveno razmerje do nacionalnega vprasanja slovensko-hrvaske narodnostne skupnosti in s tem v zvezi odnos do slovenskega narodnjaskega gibanja. V prvi dobi po ustanovitvi (1921-1926) se komunisticna stranka z vprasanjem narodnih manjsin ni posebei ukvarjala. Priznavala je splosno pravico in nacelo o pravici narodov do samoodlocbe. Resitev nacionalnega vprasanja je videla samo v zmagi proletarske revolucije. Po letu 1924 so slovenski komunisti ugotavijali, da je mogoce obdrzati in poglobiti vpliv na mnozice le, ce bo stranka zastopala zahteve narodne manjsine in ce bo boj za socialne pravice povezovala z bojem za narodne pravice. Hkrati je skupina mlajsih komunistov nakazala resitev narodnega vprasanja po leninisticnih nacelih: svobodna samoodlocba Slovencev in Hrvatov do odcepitve od Italije in ustanovitev delavsko-kmeckih republik, povezanih v federacijo balkanskih republik. To nacelo je sprejel tretji kongres Komunisticne stranke Italije januarja 1926, ko je med nosilce revolucije uvrstil tudi zatirane narodne manjsine. Odtlej se stranka temu nacelu ni vec odrekla. V tridesetih letih se je stranka zacela zavzemati za enotno fronto vseh plasti slovenskega prebivalstva. Izhodisce za enotnost je bil boj proti fasizmu. Do leta 1930 je bila obcutna dejavnost ilegalne narodnorevolucionarne organizacije BORBA, ki jo je ustanovila napredna narodnjaska mladina. Menila je, da se je treba s fasizmom spoprijeti s silo. Narodnorevolucionarna organizacija BORBA se je razvila po letu 1927, to je po razpustu vseh drustev. Koncni cilj organizacije je bila prikljucitev primorskih Slovencev in istrskih Hrvatov k Jugoslaviji. Njen akcijski program je bil: z nasilnimi dejanji proti fasisticnim raznarodovalnim ustanovam opozoriti svetovno javnost na vprasanje narodnostnih skupnosti v Italiji in tako ustrahovati nosilce raznarodovalne politike; med mnozicami siriti propagando, da je moznost odpora; siriti sovrastvo do fasizma; preprecevati sodelovanje narodnih odpadnikov. Boj za narodni obstanek je povezovala z bojem za socialno pravicnost. V skladu s tem programom organizacija ni izbirala sredstev. Konkretne akcije so zbujale pozornost in simpatije sirsih mnozic. Oblasti v vecini primerov izvajalcev niso odkrile, ceprav so zaprli veliko stevilo ljudi. Do prvih hujsih ukrepov je prislo v letu 1929, koje policija prijela skupino narodnih revolucionarjev v Istri. Od 14. do 17. oktobra 1929 je bil sodni proces v Pulju pred posebnim fasisticnim sodiscem, ki se je koncal z ustrelitvijo Vladimirja Gortana. Organizacijo v slovenskem delu Julijske krajine so odkrili spomladi 1930 po razstrelitvi uredniskih prostorov fasisticnega glasila "Il Popolo di Trieste". Od 1. do 5. septembra 1930 se je vrsil pred posebnim fasisticnim sodiscem prvi trzaski proces. Na tem procesu so bili stirje junaki-voditelji Ferdo Bidovec, Franjo Marušič, Zvonimir Miloš in Alojz Valenčič obsojeni na smrt in 6. septembra ustreljeni na gmajni pri Bazovici. Takrat je organizacija BORBA prenehala obstajati. Smrtne obsodbe pa so nasprotno rodile drugacne posledice, kot jih je pricakovala fasisticna oblast. Po letu 1930 je komunisticna stranka Italije usklajevala delovanje s stalisci jugoslovanskih komunistov. Na posvetovanju predstavnikov obeh strank januarja 1930 so bila dolocena enotna akcijska gesla. Tedaj je bilo sklenjeno, da postane casopis Delo glasilo obeh strank za Slovence v Italiji in Jugoslaviji. Delo je izhajalo v letih 1930-35 kot skupno glasilo ter je posvecalo posebno pozornost slovenskemu narodnemu vprasanju. Aprila 1934 pa so tri komunisticne stranke (Avstrije, Italije in Jugoslavije) sprejele skupno izjavo o resitvi slovenskega narodnega vprasanja. Izjavile so, da ne priznavajo nasilnega razkosanja slovenskega naroda, zato bodo podpirale pravico Slovencev do samoodlocbe. To je bil nov kvaliteten korak v narodni politiki. Za slovenske komuniste v vseh teh drzavah je izjava pomenila zacetek novega obdobja, ki je vodilo v oborozen narodnoosvobodilni boj pod geslom zdruzene in neodvisne Slovenije. Tristranska izjava je bila sprejeta v trenutku, ko je stopala v ospredje nova doba v razvoju delavskega gibanja: doba povezovanja vseh demokraticnih sil v svetu v ljudsko Fronto za boj proti fasizmu. Tako je bil v januarju 1936 sprejet pakt o akcijski enotnosti med komunisti in narodno-revolucionarno organizacijo TIGR. Obe strani sta se nadalje zavezali, da ustvarita slovensko in hrvasko ljudsko fronto in jo povezeta z italijansko ljudsko fronto. To je bil prvi sporazum, ki ga je italijanska partija sklenila z neko nedelavsko organizacijo. Bil pa je le logicna posledica dotedanjega razvoja. Aktivnost komunisticne in narodnorevolucionarne organizacije se je zrcalila v razpolozenju mnozic. Protifasizem med Slovenci v Julijski krajini je bil splosen pojav. Po razpustu vseh kulturnih, gospodarskih, sportnih, podpornih, mladinskih in drugih slovenskih drustev se je dejavnost nadaljevala v ilegali, na skrivaj po posameznih domovih, na izletih ali v cerkvah. Vsaka slovenska hisa je postala sola, vsaka cerkev oder za slovensko besedo in pesem. Slo je za zavestno potrebo po narodni samoohranitvi. Tradicionalne ideoloske razlike med katolisko in liberalno usmerjenimi so se v ilegali na podezelju skoraj izbrisale. To pomeni, da je nastajalo enotno narodno in protifasisticno gibanje. V Trstu in Gorici se je narodno delovanje razvijalo po tradiciji ukinjenih politicnih drustev, liberalne in krscanskosocialne smeri. Kakor se je protifasisticni znacaj mnozicnega gibanja kazal navzven, je razvidno iz italijanskih policijskih dokumentov. Pojavljale so se slovenske in delavske zastave, napisi proti fasizmu, letaki, ilegalni casopisi, javno izrazanje protifasisticnega razpolozenja ipd. Mnozica policijskih prijav zgovorno prica o dejanjih, ki so se mnozila z blizajoco se vojno. Represalije proti upornim Slovencem so bile ostre: od opomina, svarila, policijskega nadzorstva in konfinacije do obsodb pred posebnim (fasisticnim) sodiscem za zascito drzave. Med leti 1927 in 1943 je bilo po nekaterih izracunih 131 sodnih procesov proti 544 obtozencem slovenske in hrvaske narodnosti. Na enega obsojenega italijanskega protifasista je bilo obsojenih ali obtozenih kar deset Slovencev ali Hrvatov. Upostevati je treba, da navedeni podatki zajemajo dobo 1927-1943, kar pomeni ze leta 1941-43, ko je na Primorskem ze plamtel narodnoosvobodilni boj. Na ta nacin se razlaga podatek, da je bilo izmed 42 smrtnih obsodb kar 33 izrecenih proti Slovencem ali Hrvatom. Deset zivljenj je fasisticno sodisce zahtevalo se pred pricetkom oborozenega narodnoosvobodilnega boja. S priblizevanjem svetovnega spopada je aktivnost narascala na vseh podrocjih. V teh razgibanih okoliscinah so imeli slovenski komunisti dobro priloznost za ustvarjanje protifasisticne fronte. Tega se je zavedal zlasti Pinko Tomažič. Po letu 1937 se je lotil sestave novega programa. Program je vseboval zahtevo po neodvisni sovjetski slovenski republiki, po zdruzitvi vseh naprednih slovenskih sil v enotno protifasisticno fronto, nadalje povezave te fronte z italijanskim naprednim gibanjem. Te nacrte je s sodelavci uresniceval v okviru ilegalne kulturne dejavnosti, zlasti med trzasko in gorisko mladino. V letih 1939-1940 ze lahko govorimo o protifasisticni fronti med Slovenci v Julijski krajini, kakor jo je predvideval Tomažičev program. Obstajala je delovna zveza med komunisticno, narodnoliberalno in krscanskosocialno mladino, obstajala je zveza med narodnimi revolucionarji in komunisti. Sredi leta 1940 je fasisticna tajna policija OVRA usodno posegla v razvijajoce se gibanje. Nasla je devet skrivalisc orozja in razstreliva, radiooddajno postajo, tri tiskarske centre, goro ilegalne literature. Izmed 300 aretiranih je bilo 240 kaznovanih z opominom, policijskim nadzorstvom ali internacijo. 60 najbolj odgovornih pa je policija izrocila posebnemu sodiscu za zascito drzave. Razdelila jih je na tri skupine: 26 komunistov, 12 narodnih revolucionarjev, 22 izobrazencev. Vsem skupaj pa je sodisce sodilo na znanem drugem trzaskem procesu decembra 1941. Celotno gibanje je imelo enoten cilj, ceprav razvejano po raznih nazorih: vse to je razvidno iz dokumentov. Cilj je bil: resitev jugoslovanske narodne skupnosti izpod fasisticnega jarma. Cas procesa, 2. - 14. december 1941, je bil ze cas narodnoosvobodilnega boja tudi na Primorskem. Z ostrimi razsodbami je hotel fasisticni rezim ustrahovati uporno prebivalstvo. 15. decembra 1941 so bili na streliscu na Opcinah usmrceni: komunist Pinko Tomažič ter narodni revolucionarji Viktor Bobek, Simon Kos, Ivan Ivancic, Ivan Vadnal. Tako kot Vladimir Gortan in stirje junaki, ustreljeni v Bazovici, so postali simbol boja primorskih Slovencev za osvoboditev, simbol protifasisticnega boja. Ustanovitev Osvobodilne fronte slovenskega naroda v aprilu 1941 je pomenila zacetek vseslovenskega oborozenega narodnoosvobodilnega boja. Ta boj se je na Primorskem zacel hkrati kot v ostalih slovenskih pokrajinah. Temeljni cilji so bili isti: izgon okupatorjev, zdruzitev vseh Slovencev, socialna preobrazba slovenskega naroda. Osvobodilna fronta se na Primorskem v letu 1941 ne bi mogla tako hitro razviti, ce ne bi bilo tako mocnega protifasisticnega gibanja v obdobju med obema vojnama. Narodnoosvobodilno gibanje je bilo logicno nadaljevanje protifasisticnega gibanja. Osvobodilna fronta predstavlja sklepno obdobje protifasisticnega gibanja, ki je privedlo do osvoboditve v maju 1945 ter do poraza fasizma. Ko se spominjamo navedenih dogodkov, se seveda povezemo na sedanjost. Poznavanje nase zgodovine nam omogoca, da se istocasno soocamo s preteklimi in sedanjimi problemi slovenske narodnostne skupnosti v Italiji. Sedaj gre za resnicno enakopravnost in sozitje z vecinskim narodom. Soudelezba na spominskih svecanostih, manifestacijah, ki so vezane na obdobje protifasisticnega in narodnoosvobodilnega boja, nam omogoca primerjavo med preteklostjo in sedanjostjo. To pomeni tudi utrjevanje narodne pripadnosti in zavesti, vendar na podlagi sporazumevanja z demokraticnim delom vecinskega italijanskega naroda. Zavedati se moramo, da ne proslavljamo le obletnic, temvec nekaj globoko cutenega, ki je zasidrano v srcu naroda. Vso to dediscino si mora prisvojiti mladina in jo nato predati novemu rodu. Tako bo se enkrat dokazano, da vse dosedanje zrtve niso bile zaman. Stopamo po poti, ki so nam jo zacrtali padli tovarisi. Istocasno se zavedamo, da je pot, ki je pred nami tezka, vendar ima jasne cilje. Za vzor naj nam bodo zivljenje, delo in ideali tovarisev, ki so dali svoja zivljenja za boljsi jutri, za svobodo, za zmago nad mracnimi silami clovestva. |