Jugoinfo

 
BHL prepara la "rivoluzione colorata" anche in Italia?
 
1) Bernard-Henri Lévy [BHL] in "tournée'" in Italia "contro il populismo" (F. Santoianni, 22/01/2019)
2) “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di Bernard-Henri Lévy (D. Barontini, 29/1/2019)
3) Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso (J. Cook / Globalresearch.ca, 1/2/2019)
 
 
N.B. Sulle prodi gesta di BHL, teorico della superiorità morale dell'imperialismo occidentale, si vedano i numerosi post degli scorsi anni in JUGOINFO: dalla amicizia con il mercante di armi Jean-Luc Lagardére
fino alla torta presa in faccia a Belgrado due anni fa
 
 
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Bernard-Henri Lévy, l'alfiere dell’imperialismo francese in "tournée'" in Italia "contro il populismo"
 
Nella verosimile speranza che qualche imbecille gli “rinfacci” il suo “essere ebreo” - per potere così attestare l’”antisemitismo” che permeerebbe il “populismo” e ravvivare così la sua imminente tournée italiana - scalda i motori con ben tre articoli (vedi quiqui e qui) e un video pubblicati in tre giorni su La Stampa. Stiamo parlando di Bernard-Henri Lévy, salito agli onori delle cronache in Italia  quando, nell’ormai lontano 1977, spacciandosi per “rivoluzionario”, insieme ad altri tre “filosofi”, riuscì a dirottare sulle secche dell’antioperaio “Movimento degli indiani metropolitani” quello che restava del “68. Forse il primo tentativo di creare uno pseudo movimento “rivoluzionario” che, dopo il crollo del Muro di Berlino, sarà poi perfezionato e applicato, dai Think tank del Dipartimento di Stato, in tutto il mondo, fino ad arrivare al trionfo del “movimento dei diritti umani” e, quindi delle Primavere colorate.
 
Primavere colorate - e, quindi, guerre - delle quali Bernard-Henri Lévy si direbbe essere il principale promotore. Ma su questo già molto si è scritto. Meglio accennare, invece, sul progetto politico che sta dietro la sua scesa in campo per le elezioni europee e, soprattutto, sulla titubanza dei media italiani (ad eccezione del Gruppo editoriale de Benedetti) ad appoggiarlo. A spiegarlo è, sostanzialmente, il disfacimento della base del Partito Democratico dilaniata dalla tentazione di appoggiare, in funzione anti-Salvini, o  quella che si ritiene “l’anima di sinistra del Movimento Cinque Stelle” o gli euroinomani, capitanati da Carlo Calenda  (in questi giorni galvanizzati e dall’endorsement di Bernard-Henri Lévy).

In tal senso la scesa in campo dell’alfiere dell’imperialismo francese (forte del Trattato di Aquisgrana tra la Merkel e Macron) attiva una dinamica da seguire con attenzione.
 
Francesco Santoianni, 22/01/2019
 
 
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“In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di Bernard-Henri Lévy
di Dante Barontini, 29 gennaio 2019
 

Proprio quando senti in giro dire “ma a che serve più la filosofia?”, ecco che arriva un arrogante intellettuale imperialista – uno che addirittura può raccontare di aver partecipato ad assemblee del ‘68 – a dimostrare che in effetti serve. Ed anche a molto. Ovviamente, non era questa la sua intenzione…

Bernard-Henri Lévy è così abituato a dare spettacolo di sé che, alla fine, ha messo su uno spettacolo vero e proprio con cui si appresta a girare per il Vecchio Continente, intitolato proprio «Looking for Europe» (In cerca dell’Europa). Scopo dichiarato: “ rinnovare un’idea romantica dell’Europa, un’idea che porta speranza”. Si vede che la realtà. In questi ultimi decenni, ne ha fatto vedere e toccare una molto diversa, e quindi vai con la propaganda “romantica” per stendere cerone sulle lacerazioni dovute all’austerità…

Ma che c’entra la filosofia con uno spettacolo? Per un verso andrebbe chiesto a lui, che si inserisce nella tendenza a “spacciare pillole filosofiche” in piazze più o meno improbabili, dove si volgarizza alla meglio il pensiero teorico che ha per sua natura bisogno di scrittura e dialogo, invece della modalità broadcasting…

Per un altro verso, invece, Bernard-Henri Lévy va quasi ringraziato per aver infilato, in un profluvio di parole abusate, un concetto di filosofia politica che nessun pensatore liberaldemocratico aveva fin qui osato proporre: “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”.

I pensatori reazionari dell’Ancien Régime settecentesco, ovviamente, erano stati assai più drastici (“il popolo non deve essere sovrano”), ma a partire dal 1789, relativa presa della Bastiglia e successiva decapitazione dei monarchi, e con la ben più contrastata affermazione della democrazia liberal-borghese moderna il popolo è diventato lentamente l’unico legittimo titolare della sovranità entro un determinato spazio geografico; nazionale, sovranazionale o internazionale che fosse.

Dunque, stupisce a prima vista un’affermazione del genere in bocca a un liberal-liberista che ha fatto della forma della democrazia parlamentare l’architrave fondamentale del suo discorso in pubblico. Un pensiero violento, interventista, imperiale da punto di vista culturale e antropologico, che arroga alle – appunto! – democrazie occidentali il potere di decidere se un certo assetto politico-istituzionale di un certo paese rientra nei parametri della “democrazia” oppure in quelli della “dittatura”. E, nel secondo caso, di intervenire militarmente per imporre un assetto diverso, magari anche altrettanto anti-democratico…

Posizione interventista diventata “pensiero unico” a partire dal crollo del Muro, infiocchettata nella definizione di “ingerenza umanitaria” con il corollario ossimorico della “guerra umanitaria”. Bosnia, Iraq (due volte), Libia, ecc. Henri Lévy non ha mancato mai un appuntamento di guerra, elaborando ogni volta un’apposita narrazione giustificativa. Allegrotta e sgangherata sul piano concettuale, ma utilissima al giornalista medio che ha bisogno di frasi precotte da infilare come mantra nei suoi “pezzi”.

Solo questa affermazione sulla sovranità che non deve appartenere solo al popolo è in effetti una vera novità. Per lo meno, lo è il fatto che venga detto con questa nettezza, davvero “quasi filosofica”… da Bignami, insomma. Wolfgang Schaeuble, ex ministro tedesco più portato per l’economia, l’aveva detto in modo più indiretto: “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla” (con una certa enfasi su quell'”assolutamente”, che lascia spazio zero a qualsiasi ipotesi di “superamento dei trattati”).

Il giornalista di Le Temps, come spesso accade davanti a certi “mostriciattoli sacri” che non vanno contraddetti, non pone la domanda che sarebbe ovvia: ma se la sovranità – il potere politico di decidere – non deve appartenere solo al popolo, quali altri soggetti o istituti ne debbono essere titolari?

Non si tratta di una curiosità intellettuale, ma della questione fondamentale che distingue – appunto – le democrazie (comprese quelle popolari, presenti e passate, che Bernard-Henri invece odia) dalle dittaturedalle monarchie, e da altre forme ibride oligarchiche che non sono ancora classificate con chiarezza.

Bernard-Henri non ci dice dunque chi siano questi altri “condomini” della sovranità – e ci deve essere un motivo non nobile, diciamo – ma una cosa la dice proprio fuori dai denti: “smettiamo di sacralizzare la gente.. […] La democrazia ha bisogno della trascendenza”.

Ossia di un “ente” da rispettare quasi religiosamente perché sa “meglio del popolo” cosa è bene fare e cosa no (“ Se ripetiamo: il popoloil popoloil popolo… andiamo dritti a una crisi di civiltà”). E chi sarà mai questo fantozziano Megadirettore Galattico che deve sostituirsi alla sovranità del popolo? Ma l’Unione Europea, ovvio! L’unica struttura che contiene le competenzetecniche per esaudire la volontà dei “mercati”.

Non c’è molto altro da commentare, potere leggere l’intervista tramire il link.

C’è solo da ringraziarlo, ripetiamo, per la sua involontaria chiarificazione: chi tuona contro “i sovranismi” sta semplicemente dicendo che la democrazia deve finire, in Europa, perché ci sono poteri molto più potenti e “razionali” dei popoli. Che in fondo, si sa, sono “come un bambino…”.

Benvenuti nel piccolo mondo dell’intellettuale macroniano…

 
 
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ORIG.: A European “Liberal Elite” Still Luring Us Towards the Abyss (By Jonathan Cook / Global Research, February 01, 2019)
 
 
www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 04-02-19 - n. 700

Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso

Johnathan Cook | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/02/2019

Un gruppo di 30 rispettati intellettuali, scrittori e storici ha pubblicato un manifesto lamentando l'imminente collasso dell'Europa e dei suoi presunti valori illuministici di liberalismo e razionalismo. L'idea di Europa, avvertono, "sta cadendo a pezzi davanti ai nostri occhi", mentre la Gran Bretagna si prepara alla Brexit e i partiti "populisti e nazionalisti" sembrano pronti a incassare ampi successi nelle elezioni in tutto il continente.

Il breve manifesto è stato pubblicato nelle riviste europee dell'élite liberale, in giornali come The Guardian.

"Dobbiamo ora combattere per l'idea di Europa o perire sotto le ondate del populismo", si legge nel documento. Fallire significa che "il risentimento, l'odio e una pletora di infelici passioni ci circonderanno e sommergeranno".

A meno che non si possa cambiare la situazione, le elezioni in tutta l'Unione europea saranno "le più calamitose che abbiamo mai conosciuto: una vittoria per i sabotatori, la disgrazia per coloro che credono ancora nell'eredità di Erasmo, Dante, Goethe e Comenius; il disprezzo per l'intelligenza e la cultura; esplosioni di xenofobia e antisemitismo ovunque; il disastro".

Il manifesto è stato scritto da Bernard-Henri Levy, il filosofo francese devoto ad Alexis de Tocqueville, un teorico del liberalismo classico. Tra i firmatari figurano i romanzieri Ian McEwan, Milan Kundera e Salman Rushdie, lo storico Simon Shama e i premi Nobel come Svetlana Alexievitch, Herta Müller, Orhan Pamuk e Elfriede Jelinek.

Sebbene non nominati, i loro eroi politici europei sembrano essere l'Emmanuel Macron di Francia, attualmente impegnato nel tentativo di schiacciare le proteste popolari contro l'austerità dei Gilet gialli e la cancelliera tedesca Angela Merkel, a presidio delle barricate per l'élite liberale contro una rinascita dei nazionalisti in Germania.

Mettiamo da parte, in questa occasione, la strana ironia che molti dei firmatari del manifesto - non ultimo lo stesso Henri Levy - hanno una ben nota passione per Israele, uno stato che ha sempre respinto i principi universali apparentemente incarnati nell'ideologia liberale e che invece si schiera apertamente per un nazionalismo etnico simile a quello che ha squassato l'Europa nel secolo scorso.

Concentriamoci invece sulla loro affermazione secondo cui "il populismo e il nazionalismo" sono sul punto di uccidere la tradizione liberale democratica dell'Europa e gli stessi valori più cari a questo illustre gruppo. La loro speranza, plausibilmente, è che il loro manifesto serva come un campanello d'allarme prima che le cose prendano una svolta irreversibile in senso peggiorativo.

Il crollo del liberalismo

In un certo senso, la loro diagnosi è corretta: l'Europa e la tradizione liberale si stanno sgretolando. Ma non perché, come insinuano con forza, i politici europei assecondano gli istinti più bassi di una marmaglia insensata, vale a dire la gente comune verso la quale hanno così poca fede. Piuttosto perché il lungo esperimento nel liberalismo ha finalmente fatto il suo corso. Il liberalismo ha chiaramente fallito, e ha fallito catastroficamente.

Questi intellettuali si trovano, come ognuno di noi, su un precipizio dal quale stiamo per saltare o cadere. Ma l'abisso non si è aperto, come dicono loro, perché il liberalismo viene respinto. Piuttosto, l'abisso è l'inevitabile risultato della reiterazione del modello liberista come soluzione alla nostra attuale situazione, anche da parte di questa élite sempre più ristretta e contro ogni evidenza razionale. È la tenace trasformazione di un'ideologia profondamente viziata in religione. È l'idolatria verso un sistema di valori che ci distrugge.

Il liberalismo, come la maggior parte delle ideologie, ha aspetti positivi. Il suo rispetto per l'individuo e le sue libertà, il suo interesse nel coltivare la creatività umana e la promozione dei valori universali e dei diritti umani rispetto all'approccio tribale, con alcune conseguenze positive.

Ma l'ideologia liberale è stata molto efficace nel nascondere il suo lato oscuro o più precisamente, nel persuaderci che questo lato oscuro è la conseguenza della rinuncia del liberalismo piuttosto che un fattore inerente al progetto politico liberale.

La perdita dei tradizionali legami sociali - tribali, settari, geografici - ha lasciato le persone oggi più sole, più isolate di quanto fossero in qualsiasi precedente società umana. Possiamo sostenere a parole i valori universali, ma nelle nostre comunità atomizzate, ci sentiamo alla deriva, abbandonati e arrabbiati.

Sottrazione di risorse umanitarie

La professata preoccupazione liberale per il benessere degli altri e per i loro diritti ha, in realtà, fornito una copertura cinica per una serie di sottrazioni di risorse sempre più sfacciate. Lo sfoggio di credenziali umanitarie del liberalismo ha permesso alle nostre élite di lasciare una scia di massacri e macerie nel loro passaggio in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e presto, a quanto pare, in Venezuela. Abbiamo ucciso "con gentilezza" e poi rubato l'eredità delle nostre vittime.

L'inconfondibile creatività individuale ha forse favorito l'arte, seppur feticizzata, e anche i rapidi sviluppi meccanici e tecnologici. Ma ha anche incoraggiato la concorrenza sfrenata in ogni ambito della vita, sia utile all'umanità o meno, e comunque con un enorme spreco di risorse.

Nel peggiore dei casi, ha letteralmente scatenato una corsa agli armamenti, che - a causa di un mix della nostra libera creatività, della nostra mancanza di Dio e della logica economica del complesso militare-industriale - è culminata nello sviluppo di armi nucleari. Abbiamo escogitato i modi più completi ed efferati inimmaginabili per ucciderci a vicenda. Possiamo commettere un genocidio su scala globale.

Nel frattempo, la priorità assoluta dell'individuo ha sancito un'auto-concentrazione patologica, un egoismo che ha fornito terreno fertile non solo per il capitalismo, il materialismo e il consumismo, ma per fondere il tutto in un super-neoliberismo. Ciò ha permesso a una piccola élite di accumulare e sottrarre la maggior parte della ricchezza del pianeta e porla al di fuori della portata del resto dell'umanità.

Peggio ancora, la nostra creatività sfrenata, il nostro autocompiacimento e la nostra competitività ci hanno reso ciechi a tutte le cose più grandi e più piccole di noi stessi. Ci manca una connessione emotiva e spirituale con il nostro pianeta, con gli altri animali, con le generazioni future, con l'armonia caotica del nostro universo. Quello che non possiamo capire o controllare, lo ignoriamo o lo deridiamo.

E così l'impulso liberale ci ha portato sull'orlo di estinguere la nostra specie e forse tutta la vita sul nostro pianeta. La nostra spinta a esaurire i beni, ad accumulare risorse per il guadagno personale, a saccheggiare le ricchezze della natura senza rispettare le conseguenze è così travolgente, così folle che il pianeta dovrà trovare un modo per riequilibrarsi. E se continuiamo, quel nuovo equilibrio, che va sotto il nome di "cambiamenti climatici", richiederà di rinunciare al pianeta.

Nadir di una pericolosa arroganza

Si può plausibilmente asserire che è un po' che gli umani si trovano su questa sozza strada. La concorrenza, la creatività, l'egoismo, dopotutto, precedono il liberalismo. Ma il liberalismo ha rimosso le ultime restrizioni, ha schiacciato qualsiasi sentimento contrario come irrazionale, incivile, primitivo.

Il liberalismo non è la causa della nostra situazione. È il nadir di una pericolosa arroganza verso la quale noi, come specie, abbiamo indugiato per troppo tempo, dove il bene dell'individuo supera qualsiasi bene collettivo, definito nel senso più ampio possibile.

Il liberale ossequia il suo piccolo e parziale campo di conoscenze e competenze, eclissando le saggezze antiche e future, quelle radicate nei cicli naturali, nelle stagioni e nella meraviglia per l'ineffabile e sconosciuto. L'attenzione incessante ed esclusiva del liberale è sul "progresso", la crescita, l'accumulazione.

Per salvarci è necessario un cambiamento radicale. Non armeggiare, non riformare, ma una visione completamente nuova che rimuova l'individuo e la sua gratificazione personale dal centro della nostra organizzazione sociale.

Questo non è contemplato per le élite che pensano che la soluzione stia in una maggiore, e non minore, dose di liberalismo. Chiunque si allontani dalle loro prescrizioni, chiunque aspiri a essere più di un tecnocrate addetto a correggere i difetti minori dello status quo, viene presentato come una minaccia. Nonostante la modestia delle loro proposte, Jeremy Corbyn nel Regno Unito e Bernie Sanders negli Stati Uniti sono stati insultati da un'élite mediatica, politica e intellettuale pesantemente investita nel perseguire ciecamente il sentiero dell'autodistruzione.

Sostenitori dello status quo

Di conseguenza, ora abbiamo tre chiare tendenze politiche.

La prima è quella dei sostenitori dello status quo, quella degli scrittori europei del più recente - e ultimo? - manifesto sul liberalismo. In ogni passaggio del manifesto dimostrano quanto siano irrilevanti, quanto incapaci nel fornire risposte alla domanda su come dobbiamo andare avanti. Si rifiutano categoricamente di guardare all'interno del liberalismo per capire cosa è andato storto e di osservare l'esterno per comprendere come salvarci.

Irresponsabilmente, questi guardiani dello status quo raggruppano la seconda e la terza tendenza nella futile speranza di preservare la loro presa sul potere. Entrambe le altre due tendenze sono derise indiscriminatamente come "populismo", come politica dell'invidia, politica della folla. Queste due tendenze alternative e opposte sono considerate indistinguibili.

Ciò non salverà il liberalismo, ma aiuterà a promuovere il peggio delle due alternative.

Chi nelle élite ha capito che il liberalismo ha fatto il suo tempo, sfrutta la vecchia ideologia predatoria del capitalismo: mentre cercano di distogliere l'attenzione dalla loro avidità e dalla difesa dei loro privilegi, seminano discordia e insinuano minacce oscure.

Le critiche dell'élite liberale formulate dai nazionalisti etnici suonano convincenti perché poggiano sulle verità del fallimento del liberalismo. Ma sono ingannevoli, non offrono soluzioni a parte il loro avanzamento personale nel sistema esistente, fallito, destinato all'autodistruzione.

Il nuovo autoritarismo [la seconda tendenza] sta tornando ai vecchi e fidati modelli del nazionalismo xenofobo, offrendo gli altri come capro espiatorio per sostenere il proprio potere. Stanno abbandonando la sensibilità ostentata e coscienziosa del liberale per continuare il saccheggio sfrenato. Se la nave affonda, rimarranno al buffet finché le acque non raggiungeranno il soffitto della sala da pranzo.

Dove può risiedere la speranza

La terza tendenza è l'unico posto in cui risiede la speranza. Questa tendenza, dei "dissidenti", comprende che è necessario un nuovo pensiero radicale. Ma dato che questo gruppo è attivamente schiacciato dalla vecchia élite liberale e dai nuovi autoritarismi, ha poco spazio pubblico e politico per esplorare le sue idee, per sperimentare, per collaborare, come è urgentemente necessario.

I social media forniscono una piattaforma potenzialmente vitale per iniziare a criticare il vecchio sistema fallito, per sensibilizzare su ciò che è andato storto, per contemplare e condividere idee radicali e mobilitarsi. Ma i liberali e gli autoritari vivono la critica come una minaccia ai loro stessi privilegi. Sotto l'isteria delle "fake news", stanno rapidamente lavorando per spegnere anche questo piccolo spazio.

Abbiamo così poco tempo, ma la vecchia guardia vuole bloccare qualsiasi possibile via per la salvezza: anche se i mari sono pieni di plastica, se le popolazioni di insetti scompaiono in tutto il mondo e il pianeta si prepara a tossire un grumo di muco infetto.

Non dobbiamo essere ingannati da questi progressisti liberatori del manifesto: i filosofi, gli storici e gli scrittori - l'ala delle pubbliche relazioni - del nostro status quo suicida. Non ci hanno avvertito della bestia che giaceva in mezzo a noi. Non hanno visto il pericolo incombere e il loro narcisismo li acceca ancora.

Non dovremmo ascoltare i guardiani del vecchio, quelli che hanno trattenuto le nostre mani, che hanno indicato un sentiero che porta l'umanità sull'orlo della sua stessa estinzione. Dobbiamo evitarli, chiudere le orecchie al canto delle loro sirene.

Ci sono piccole voci che lottano per essere ascoltate al di sopra del ruggito delle elite liberali morenti e del barrito dei nuovi autoritarismi. Devono essere ascoltate, aiutate a condividere e collaborare per offrire visioni di un mondo diverso. Un mondo dove l'individuo non è sovrano. Dove impariamo modestia e umiltà e come fare ad amare nel nostro angolo infinitamente piccolo dell'universo.

* Jonathan Cook ha vinto il Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri comprendono Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel Experiments in Human Despair (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net. È un frequente collaboratore di Global Research.
 
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus aderisce ed invita ad aderire e partecipare al sit-in unitario che si terrà oggi a Roma in difesa del Venezuela democratico e sovrano. Proprio come 20 anni fa l'imperialismo a guida USA era determinato a rovesciare il governo delle sinistre in Jugoslavia per smembrare ciò che restava di quel paese, oggi le stesse tattiche fatte di sanzioni, destabilizzazione economica, omicidi politici e terrorismo, mercenariato e propaganda di guerra vengono usate contro il Venezuela. Uniamo le forze della solidarietà internazionalista!

(slovenščina / hrvatskosrpski / italiano)

 
I "bimbi delle foibe" ed altri sintomi di impazzimento
 
1) Fojbe: Šarec proti Tajaniju / Foibe: Marjan Šarec [primo ministro sloveno] accusa Tajani
 
2) I Italija Sedlara za utrku ima: Pogledali smo film bizarnog naziva "Rosso Istria" (D. Rubeša / Novi List)
 
3) Parma, convegno "Foibe e fascismo", ANPI: "Dalle destre rincorsa grottesta e comica a spararla più grossa". Rizzo (PC): «L’ANPI sbaglia a dissociarsi»
 
4) Bolzano, sindaco PD Caramaschi: "Tra Auschwitz e foibe, nessuna differenza"
 
5) Le dichiarazioni istituzionali
DA BASOVIZZA: Si stima abbiano perso la vita oltre 300mila persone / Salvini: “I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali” / Tajani: “Non possiamo permettere che una dittatura efferata, che una dittatura comunista come quella di Tito, ripeta in Venezuela quello che è accaduto qui... Chi nega ciò che è accaduto è complice” / Fico: “Quella delle foibe è stata una delle pagine più drammatiche della storia del nostro Paese" / Salvini: "Chi nega uccide due volte" / Grasso: “Nel 1947 nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia furono costretti all’esilio e gettati nelle foibe." Immediato il commento di Maurizio Gasparri: “Ma come si fa a scrivere ‘nel 1947’, gli eccidi e l’esilio cominciarono molto prima" / Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: "Subire ancora dei rigurgiti negazionisti da parte di alcune associazioni dell'ANPI... Il negazionismo può essere considerato lo stadio supremo del genocidio" / Giorgia Meloni: "Abbiamo vinto" / A celebrare la messa di suffragio a Basovizza l’arcivescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi / Schierati ... una rappresentanza delle X Mas... oltre quattrocento gli studenti / Tajani: "ai 97 Finanzieri che non avevano anche loro ammainato il Tricolore, buttati in una Foiba, e a Don Bonifacio, ucciso perchè non aveva ammainato la bandiera italiana"
DAL QUIRINALE: Mattarella: "una grande tragedia italiana" / "Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo" / "innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti ... chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla" / "solo dopo la caduta del muro di Berlino ... una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo" / "Ringrazio gli ambasciatori di Slovenia, di Croazia e del Montenegro per la loro presenza qui" / In precedenza il Presidente del Consiglio dei Ministri, coadiuvato dal Capo del Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Paola Paduano e dal Presidente della Federesuli, aveva consegnato le medaglie commemorative del "Giorno del Ricordo"
 
 
Si vedano anche:
 
Corriere della Sera, a confronto, 1944--2019
https://www.facebook.com/pg/diecifebbraio1947/posts/

Il giorno del cattivo ricordo (di Giorgio Cremaschi, 9.2.2019)
... Il 10 febbraio avrebbe potuto essere la data per ricordare che i costi delle guerre li pagano sempre gli innocenti e che le guerre sono un orrore da ripudiare sempre, come è scritto nella nostra Costituzione. Invece è divento il giorno con il quale Salvini e Casapound sostituiscono il 25 aprile. E questo per la malafede e l’opportunismo di tanti democratici, che volevano far bella mostra del loro anticomunismo e così hanno promosso una celebrazione revisionista falsa ed ignobile...
 
La tragedia delle foibe, quando il passato si piega alle esigenze del presente (di Matteo Zola, 10.2.2019)
... L’istituzione del Giorno del Ricordo, promossa dalle forze reazionarie e post-fasciste dell’allora governo Berlusconi, nasce con il duplice intento di trasformare i carnefici in vittime, glorificando l’italianità – fascista, all’epoca dei fatti – e reiterando il mito della barbarie slava; e di presentare il comunismo come ideologia criminale di cui, a 70 anni di distanza, la sinistra italiana sarebbe erede e quindi complice...
 
“Chi nega le foibe verrà denunciato” (di Daniele Camilli, 4 febbraio, 2019)
Viterbo - Il presidente provinciale del comitato 10 febbraio Maurizio Federici durante la presentazione della Giornata del ricordo
[Si noti in questo articolo che i 15 "infoibati" viterbesi sono piuttosto "fucilati o deceduti", uno ad esempio in un incidente in miniera: e non viene nemmeno lontanamente posto il quesito di che cosa ci stessero a fare tutti questi "cinque della guardia di finanza, 5 dell’arma dei carabinieri, 3 della polizia di stato, un impiegato della prefettura e un sergente dell’esercito" viterbesi (sic) in quelle terre in quegli anni]
 
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Fojbe: Šarec proti Tajaniju

Kritični odmevi v slovenski politiki
Spletno Uredništvo | Slovenija | 11. Feb. 2019
 
»V soboto sem govoril o želji po potvarjanju zgodovine v Sloveniji. Enako se dogaja na italijanski strani meje. Žal s strani vidnih politikov, celo funkcionarjev EU. Zgodovinski revizionizem brez primere. Fašizem je bil dejstvo in imel je za cilj uničenje slovenskega naroda,« je na twitterju pred nekaj minutami zapisal predsednik slovenske vlade Marjan Šarec. Nanašal se je očitno na včerajšnjo prireditev na fojbi pri Bazovici in na sporni govor predsednika evropskega parlamenta Antonia Tajanija.
 
 
Ostro so se odzvali tudi nekateri slovenski in evropski poslanci. Tanja Fajon (SD) je napovedala, da bo od Tajanija zahtevala pojasnila na naslednjem zasedanju EU parlamenta. »Predsednik EP je zadnji, ki si lahko privošči, da nastopa z jezikom revizionizma zgodovine,« je bila jasna Fajon. Dodala je, da v Italiji več ne zastopa interesov institucije, ki jo vodi.
 
--- italiano:
 
TRAD.: 
 
Foibe: Sarec contro Tajani
 
Echi critici nella politica slovena – Primorski Dnevnik (Trieste), 11. feb. 2019
Fonte: https://www.primorski.eu/se/fojbe-sarec-proti-tajaniju-LN197159

"Sabato ho parlato del desiderio di deviare la storia in Slovenia. Lo stesso sta accadendo sul versante italiano del confine. Sfortunatamente, da politici di spicco, anche funzionari dell'UE. Un revisionismo storico senza precedenti. Il fascismo era un dato di fatto e mirava alla distruzione della nazione slovena", ha scritto il primo ministro della Repubblica di Slovenia, Marjan Šarec, su Twitter pochi minuti fa. Si riferiva ovviamente agli eventi di ieri a Basovizza e al discusso discorso della presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.
Anche altri sloveni e membri del Parlamento europeo hanno reagito duramente. Tanja Fajon (SD) ha annunciato che chiederà chiarimenti a Tajani alla prossima sessione parlamentare dell'UE. "Il presidente del Parlamento europeo è l'ultimo che può permettersi di parlare con il linguaggio del revisionismo storico", ha chiarito Fajon. Ha aggiunto che egli in Italia non ha rappresentato gli interessi dell'istituzione che presiede. 
 
I Italija Sedlara za utrku ima: Pogledali smo film bizarnog naziva "Rosso Istria"
 
Autor: Dragan Rubeša
Objavljeno: 3. prosinac 2018.
 

U filmu nema ni riječi o rasnim zakonima, masakrima i nasilnoj talijanizaciji koju su provodili Mussolinijevi fašisti. Svu krivnju autor pripisuje Titovim partizanima kao simbolima najbestijalnijeg zla

Ovih dana Trstu se dogodila prva prava zimska bura. Da bismo se zaštitili od njenih refula, sakrili smo se u popularnu oštariju »Siora Rosa« na porciju vruće jote, listajući lokalni dnevnik. U njegovoj info rubrici zamijetili smo da se u kinu Fellini prikazuje komad bizarnog naziva »Rosso Istria« u režiji nama posve anonimnog sineaste Maximiliana Hernanda Bruna, čija imena ali i fizionomija prizivaju ljepuškastu vedetu meksičke sapunice.

 
 

Ne, nije to bio još jedan komad s notornim predikatom »cinema a luci rosse«. Iako u njemu ima dovoljno (političkog) hardcore porna. Da bi paradoks bio veći, dotična oštarija smještena je nasuprot institucije poznatije kao »Civico Museo della Civilta Istriana, Fiumana e Dalmata«. Umjesto deserta, odlučili smo ignorirati njegove muzejske artefakte i pogledati Brunov komad. I bolje da nismo. Jer pojedini kadrovi »Crvene Istre«, ali i autorov odbojni revizonizam, skoro su nas natjerali da povratimo na crvenu fotelju kina kompletni sastav netom konzumirane slasne jote.

Apsolutno zlo 

Da bi paradoks bio veći, Bruno je dodijelio jednu od uloga i slavnoj Geraldine Chaplin. No programeri ovogodišnjeg ZFF-a koji su ugostili tu glumicu, očito nisu znali za njen opsukrni projekt. Ili su se pravili da ne znaju. Ostaje nepoznanica što je tu etabliranu glumicu natjeralo da se ukaže u »Crvenoj Istri«, iako je riječ o cameo ulozi. Jer, njen boravak u toj istoj »crvenoj Istri« (ovo je sada politička a ne filmska i geološka sintagma) dogodio se dolaskom na brijunski set komedije belgijskog tandema Brossens & Woodworth »The Barefoot Emperor« (Bosonogi car) koju je financirao i HAVC. Možda je sve to bio dio njena istarsko-frijulanskog itinerara, koji je uz Brijune uključio i tršćanski Magazzino 18. Na potonjoj lokaciji snimljena je sekvenca Brunova komada u kojoj ona kao odrasla Giuliana Visantrin vodi svog unuka na mjesto koje priziva esulske užase njene ratne prošlosti. Zato nam se na prvi pogled učinilo da je »Rosso Istria« nekakav lokalni remake Argentova »Profondo rosso«. Ubrzo smo shvatili da je njegov horor još jeziviji i morbidniji. Doduše, engleski naziv filma je »Red Land«, jer većina Amera očito nije u stanju na geografskoj karti locirati Croatiu, a kamoli Istriu.

Na sreću, HAVC ne stoji iza »Crvene Istre« kao akter u sferi manjinskih koprodukcija, iako nas sa obzirom na utjecaj koji u njemu trenutno imaju braniteljske udruge, ne bi čudilo da ih je napalila ta porno storija o talijanskom Bleiburgu. No Visantrin je u filmu samo jedna od žrtava »zločina« koje su »krvožedni« istarski partizani počinili u Brunovoj Vižinadi kao simboli apsolutnog zla. U fokusu je lik Giulianine prijateljice iz djetinjstva Norme Cossetto (glumi je Selene Gendini). A naziv filma odnosi se na njen diplomski rad koji se bavio istarskom crvenicom, dok je biciklom istraživala istarske arhive i crkve u potrazi za materijalom. Iako ta boja ima posve drukčije krvave konotacije. Nakon što su je Titovi partizani silovali u nepodnošljivo dugoj sekvenci, njeno će tijelo biti bačeno u fojbu blizu Ville Surani. Puno godina kasnije, sveučilište u Padovi koje je pohađala, uručit će joj počasnu titulu. A talijanski predsjednik Ciampi ju je 2005. odlikovao ordenom za građanske zasluge.

Fašist i revizionist 

Iako ju je predsjednik Federacije esula Antonio Ballarin prilično neumjesno i bez relevantnih dokaza opisao kao »talijansku Annu Frank«, svedenu na ultimativnu mučenicu, talijanski antifašisti su je prikazali kao fanatičnu sljedbenicu fašističkog režima. Kao što je i Bruno u njihovim reakcijama žigosan kao »fašist i revizionist«, neka vrsta talijanskog Sedlara, što je itekako blizu istini. U filmu naime nema ni riječi o rasnim zakonima, masakrima i nasilnoj talijanizaciji koju su provodili Mussolinijevi fašisti. Svu krivnju autor pripisuje Titovim partizanima kao simbolima najbestijalnijeg zla. U čitavom filmu, režiser je odvojio tek 10 minuta za njemačku okupaciju Vižinade. U toj okupaciji nisu ispalili nijedan metak, ne računjaući na egzekuciju manje grupe. »Fascisti? Comunisti? Siamo tutti noi«, kazat će u jednoj sceni lik profesora kojeg u filmu glumi Franco Nero, uz Chaplin još jedan poznati glumac kojem sve ovo nije trebalo. Jer, tragična sudbina mlade Cossetto postala je prvorazredna tema političkih prepucavanja i skupljanja predizbornih bodova.

Zato na partizanska »zlodjela« inkarnirana u liku komandanta i krvnika Mate (glumi ga Slovenac Romeo Grebenšek) otpada barem 130 minuta tog predugog filma. Paradoks je tim veći da ga je producirao talijanski RAI, koji se s obzirom na trenutnu talijansku političku klimu, u kojoj konce vuče ministar Salvini, sve više približava HTV-u (film je očito zamišljen kao mini TV serija od tri epizode). Zato nije ni čudo da je na tršćanskoj svečanoj projekciji Brunova filma bio nazočan i gradonačelnik Dipiazza, inače pripadnik notorne Lege Nord. Iako je redatelj »Crvene Istre« trebao biti stanoviti Antonello Belluco, sin riječkih esula i autor revizionističkog filma »Il segreto d'Italia« u kojem on tematizira »masakr« koji su partizani počinili 1945. u Codevigu blizu Chioggie.

Dobra je vijest da su na nedavnom tršćanskom maršu Case Pound, njihovi antifašistički protivnici bili brojniji. Što je u »Ružnoj našoj« nezamislivo. Kao što su u nas nezamislivi antifašistički filmovi poput Gianikianova »I diari di Angela – Noi due cineasti« ili Trevesova doksa »1938 Diversi« prikazani na lanjskoj venecijanskoj Mostri (potonji govori o rasnim zakonima fašističkog režima u Italiji). Na marginama te iste Mostre prikazan je na Lidu i Brunov komad, koji s razlogom nije bio uvršten u službeni festivalski program, na čijoj »ekskluzivnoj« projekciji nije bio dopušten ulaz akreditiranim novinarima. »Poznata mi je tragedija esula i fojbi jer mi je baka, porijeklom iz Dalmacije, bila u nemilosti Titovih partizana kad je na jednom zidu u Goriziji napisala Viva l'Italia«, kazala je patetična Gendini. Ali bila je to »ekskluzivna projekcija« strogo rezervirana za producente i lokalne glavešine Lege Nord. Zato ostaje pitanje dana kad će Brunov komad osvanuti na platnima riječkog Euroherca ili trsatskog svetišta, poslovično naklonjenim Sedlarovom recentnom opusu.

Nema sumnje da će iste rastvoriti crveni tepih za »Crvenu Istru«.

 
=== 3 ===
 
N.B. La dichiarazione di Carla Nespolo su Facebook ha scatenato un rigurgito fognario di botta-e-risposta con fascisti e revanscisti, ma nessun chiarimento nel merito:
https://www.facebook.com/anpinaz/posts/10156252596057903?__tn__=C-R

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10 FEBBRAIO 2019

Foibe e fascismo, Anpi Parma: "Dalle destre rincorsa grottesta e comica a spararla più grossa"

Dopo una settimana di dure polemiche, che hanno visto protagonista anche il ministro dell'Interno Matteo Salvini, si è svolta a Parma la 14esima edizione della manifestazione Foibe e fascismo a cui ha preso parte, come da programma, anche l'Anpi locale. Nel suo intervento, il presidente Aldo Montermini ha ribadito di non dover giustificare la presenza dell'Anpi all'appuntamento e ha ringraziato per gli attestati di solidarietà pervenuti all'associazione. Montermini ha inoltre criticato il consigliere regionale della Lega, Fabio Rainieri, che ha chiesto alla Regione di revocare i fondi all'Api: "Contributi che noi non riceviamo" ha sottolineato. L'incontro è stato introdotto da Pier Paolo Novari. Montermini, a margine del convegno, ha detto che ci sarà un incontro con la presidente nazionale Carla Nespolo che aveva parlato di iniziativa non condivisibile. Nel pomeriggio a Parma si è svolta una fiaccolata legata alla Giornata del Ricordo.
(Fra.Na)
 
 
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RIZZO (PC): «SU FOIBE CONTINUE FALSIFICAZIONI. L’ANPI SBAGLIA A DISSOCIARSI».
8 febbraio 2019
 
«Sulla vicenda delle foibe ormai è impossibile esprimere in Italia un giudizio legato alla verità storica e alla contestualizzazione degli eventi. Chiunque affermi il vero, e cioè che quello che è avvenuto non puo’ definirsi genocidio, nè pulizia etnica, e soprattutto che le vittime non erano nell’ordine nè delle centinaia di migliaia nè dei milioni come arrivano ad affermare settori di destra, viene tacciato di negazionismo. Sbaglia l’ANPI a dissociarsi da serie iniziative di storici che mirano a contrastare con il rigore della ricerca questo mare di propaganda» Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista. «Sulle vicende del confine orientale è stata costruita una narrazione che ha stravolto la realtà, che non fa i conti con le responsabilità dell’Italia fascista, alimenta il mito del “buon italiano”, utile alla propaganda nazionalista anche per l’oggi. Una cosa sono episodi di giustizia sommaria e rappresaglie, per quanto brutali, pero assai comuni durante la guerra, e nella maggior parte in risposta ai crimini perpetrati dalla colonizzazione fascista. Altro è quello che la propaganda revisionista afferma oggi a reti unificate. La costruzione della memoria collettiva è demandata a sceneggiati privi di reale riscontro storico come quello che andrà in onda sulla Rai questa sera. Si parla di ricerca della “memoria condivisa” ma in realtà si nobilita la falsificazione. La sinistra che ha appoggiato questa tendenza, è corresponsabile tanto quanto la destra, anzi forse di più. Al contrario – conclude Rizzo – difendere la verità storica significa evitare che narrazioni tossiche influenzino il senso comune, costruendo il terreno per nuove campagne belliciste che si profilano all’orizzonte e che nulla hanno a che fare con l’interesse dei popoli, a partire da quello italiano».
 
 
=== 4 ===
 
Bolzano: Sindaco PD Caramaschi equipara "Foibe" e Auschwitz... a braccetto con Benussi, esule istriano ed ex candidato sindaco di CasaPound
 
Fonte: pagina FB "ControInformazione Alto Adige - Südtirol", 11.2.2019
 
 
La saga sulla giornata del ricordo si arricchisce di un nuova perla del sindaco di Bolzano Caramaschi. In questa foto è ritratto insieme a Ivan Benussi, ex candidato sindaco di CasaPound nonchè esponente della comunità degli esuli istriani in Alto Adige. Arrivare a paragonare le vendette che portarono all'infoibamento di alcune centinaia di persone, in gran parte fasciste e con evidenti responsabilità nei crimini compiuti contro la popolazione slava, con la macchina industriale di morte che era Auschwitz...
 
 
 
=== 5 ===
 
*** DA BASOVIZZA:
 
Si veda anche: SALVINI ALLA FOIBA DI BASOVIZZA (10.02.19, pagina FB di Matteo Salvini)

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Foibe, il giorno del ricordo: Salvini e Tajani a Basovizza. Il ministro: “Non esistono martiri di serie A e di serie B”
 
Istituita nel 2004, la commemorazione celebra le vittime delle foibe, l’esodo giuliano-dalmata e le drammatiche vicende del confine orientale negli anni a cavallo del secondo dopoguerra. Il presidente del Parlamento europeo: "Non possiamo permettere che una dittatura efferata ripeta in Venezuela quello che è accaduto qui". Roberto Fico: "Solo mantenendo vivo il ricordo contribuiremo a costruire un futuro in cui simili tragedie non si ripetano mai più"

di F. Q. | 10 Febbraio 2019
 
 
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9004 ]] 
 
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Salvini a Basovizza: "Bimbi morti nelle foibe e ad Auschwitz sono uguali" 
Il vice premier nel Giorno del Ricordo a Trieste: "Non esistono martiri di serie A e vittime di serie B". Presenti anche il presidente del Parlamento europeo Tajani, la presidente FdI Meloni, il vicepresidente della Camera Rosato, il presidente della Regione Fedriga, il sindaco Dipiazza 

10 FEBBRAIO 2019
 
 
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*** DAL QUIRINALE:
 
 
 
 

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’

 

Palazzo del Quirinale, 09/02/2019

  Benvenuti al Quirinale. Rivolgo un saluto al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Corte costituzionale e al Vice Presidente del Senato.

  Un ringraziamento a quanti sono intervenuti, contribuendo in maniera efficace a illustrare, a far rivivere e a comprendere il senso di questa giornata del Ricordo.

  Celebrare il Giorno del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana, vissuta allo snodo del passaggio tra la II guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda. Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano, in larga parte, la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave.

  Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo: quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti. 

  Un destino crudele per gli italiani dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia, attestato dalla presenza, contemporanea, nello stesso territorio, di due simboli dell’orrore: la Risiera di San Sabba e le Foibe.

  La zona al confine orientale dell’Italia, già martoriata dai durissimi combattimenti della Prima Guerra mondiale, assoggettata alla brutalità del fascismo contro le minoranze slave e alla feroce occupazione tedesca, divenne, su iniziativa dei comunisti jugoslavi, un nuovo teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani, lì da sempre residenti. Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni.

  Tanti innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti conclusero tragicamente la loro esistenza nei durissimi campi di detenzione, uccisi in esecuzioni sommarie o addirittura gettati, vivi o morti, nelle profondità delle foibe. Il catalogo degli orrori del ‘900 si arricchiva così del termine, spaventoso, di “infoibato”.

  La tragedia delle popolazioni italiane non si esaurì in quei barbari eccidi, concentratisi, con eccezionale virulenza, nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945.

  Alla fine del conflitto, l’Italia si presentava nella doppia veste di Paese sconfitto nella sciagurata guerra voluta dal fascismo e, insieme, di cobelligerante. Mentre il Nord Italia era governato dalla Repubblica di Salò, i territori a est di Trieste erano stati formalmente annessi al Reich tedesco e, successivamente, vennero direttamente occupati dai partigiani delle formazioni comuniste jugoslave.

  Ma le mire territoriali di queste si estendevano anche su Trieste e Gorizia. Un progetto di annessione rispetto al quale gli Alleati mostravano una certa condiscendenza e che, per fortuna, venne sventato dall’impegno dei governi italiani.

  Certo, non tutto andò secondo gli auspici e quanto richiesto e desiderato. Molti italiani rimasero oltre la cortina di ferro. L’aggressività del nuovo regime comunista li costrinse, con il terrore e la persecuzione, ad abbandonare le proprie case, le proprie aziende, le proprie terre. Chi resisteva, chi si opponeva, chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla. Essere italiano, difendere le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria religione, la propria lingua era motivo di sospetto e di persecuzione. Cominciò il drammatico esodo verso l’Italia: uno stillicidio, durato un decennio. Paesi e città si spopolavano dalla secolare presenza italiana, sparivano lingua, dialetti e cultura millenaria, venivano smantellate reti familiari, sociali ed economiche.

  Il braccio violento del regime comunista si abbatteva furiosamente cancellando storia, diversità, pluralismo, convivenza, sotto una cupa cappa di omologazione e di terrore.

  Ma quei circa duecentocinquantamila italiani profughi, che tutto avevano perduto, e che guardavano alla madrepatria con speranza e fiducia non sempre trovarono in Italia la comprensione e il sostegno dovuti. Ci furono - è vero - grandi atti di solidarietà. Ma la macchina dell’accoglienza e dell’assistenza si mise in moto con lentezza, specialmente durante i primi anni, provocando agli esuli disagi e privazioni. Molti di loro presero la via dell’emigrazione, verso continenti lontani. E alle difficoltà materiali in Patria si univano, spesso, quelle morali: certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, come nemici del popolo che rifiutavano l’avvento del regime comunista, come una massa indistinta di fascisti in fuga. Non era così, erano semplicemente italiani.

  La guerra fredda, con le sue durissime contrapposizioni ideologiche e militari, fece prevalere, in quegli anni, la real-politik. L’Occidente finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito, considerato come un contenimento della aggressività della Russia sovietica. Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani, cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria.

  Solo dopo la caduta del muro di Berlino – il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea - una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione.

  L’istituzione, nel 2004, del Giorno del ricordo, votato a larghissima maggioranza dal Parlamento, dopo un dibattito approfondito e di alto livello, ha suggellato questa ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare.

  Ricomposizione che è avvenuta anche a livello internazionale, con i Paesi amici di Slovenia e Croazia, nel comune ripudio di ogni ideologia totalitaria, nella condivisa necessità di rispettare sempre i diritti della persona e di rifiutare l’estremismo nazionalista. Oggi, in quei territori, da sempre punto di incontro di etnie, lingue, culture, con secolari reciproche influenze, non ci sono più cortine, né frontiere, né guerre. Oggi la città di Gorizia non è più divisa in due dai reticolati.

  Al loro posto c’è l’Europa, spazio comune di integrazione, di dialogo, di promozione dei diritti, che ha eliminato al suo interno muri e guerre. Oggi popoli amici e fratelli collaborano insieme nell’Unione Europea per la pace, il progresso, la difesa della democrazia, la prosperità.

  Ringrazio gli ambasciatori di Slovenia, di Croazia e del Montenegro per la loro presenza qui, che attesta la grande amicizia che lega oggi i nostri popoli in un comune destino. Ringrazio l’on. Furio Radìn, Vice Presidente del Parlamento Croato, in cui è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Croazia; e l’on. Felice Ziza, deputato all’Assemblea Nazionale Slovena, ove è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Slovenia.

  Desidero ricordare qui le parole di una dichiarazione congiunta tra il mio predecessore, il Presidente Giorgio Napolitano, che tanto ha fatto per ristabilire verità su quei tragici avvenimenti, e l’allora Presidente della Repubblica di Croazia Ivo Josipović del settembre 2011:

“Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell'Europa unita, mai più. Condanniamo ancora una volta le ideologie totalitarie che hanno soppresso crudelmente la libertà e conculcato il diritto dell'individuo di essere diverso, per nascita o per scelta”.

  L’ideale di Europa è nata tra le tragiche macerie della guerra, tra le stragi e le persecuzioni, tra i fili spinati dei campi della morte. Si è sviluppata in un continente diviso in blocchi contrapposti, nel costante pericolo di conflitti armati: per dire mai più guerra, mai più fanatismi nazionalistici, mai più volontà di dominio e di sopraffazione. L’ideale europeo, e la sua realizzazione nell’Unione, è stato - ed è tuttora - per tutto il mondo, un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace. Un modo di vivere e di concepire la democrazia che va incoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee, che vanno dalle guerre commerciali, spesso causa di altri conflitti, alle negazioni dei diritti universali, al pericoloso processo di riarmo nucleare, al terrorismo fondamentalista di matrice islamista, alle tentazioni di risolvere la complessità dei problemi attraverso scorciatoie autoritarie.

  Molti tra i presenti, figli e discendenti di quegli italiani dolenti, perseguitati e fuggiaschi, portano nell’animo le cicatrici delle vicende storica che colpì i loro padri e le loro madri. Ma quella ferita, oggi, è ferita di tutto il popolo italiano, che guarda a quelle vicende con la sofferenza, il dolore, la solidarietà e il rispetto dovuti alle vittime innocenti di una tragedia nazionale, per troppo tempo accantonata.

 
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Mattarella: «L'istituzione del Giorno del Ricordo, votato a larghissima maggioranza in Parlamento, ha suggellato ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare»
 
Si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la celebrazione del "Giorno del Ricordo".
Nel corso della cerimonia, aperta dalla proiezione di un video di Rai Storia, sono intervenuti: il Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, Antonio Ballarin, lo Storico Giuseppe Parlato, il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi e il Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Marco Bussetti. 
Il Prof. Giuseppe De Vergottini, esule di prima generazione, ha portato la sua testimonianza ed è stato successivamente intervistato da due ragazzi.
Due studenti hanno letto una pagina di "Addio alla Città di Pola" di Monsignor Antonio Santin e un brano tratto dal romanzo "Verde Acqua" di Marisa Madieri. Successivamente il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso.
Al termine il Capo dello Stato, coadiuvato dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, ha consegnato i premi alle scuole vincitrici del concorso nazionale "Fiume e l'Adriatico orientale. Identità, culture, autonomia e nuovi confini nel panorama europeo alla fine della Prima guerra mondiale".
Erano presenti alla cerimonia il Presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, il Presidente della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, il Vice Presidente del Senato della Repubblica, Ignazio La Russa, rappresentanti del Governo, del Parlamento, autorità civili ed esponenti delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
In precedenza il Presidente del Consiglio dei Ministri, coadiuvato dal Capo del Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Paola Paduano e dal Presidente della Federesuli, aveva consegnato le medaglie commemorative del "Giorno del Ricordo".

Roma, 09/02/2019
 
 
(english / italiano)
 
Skoplje-Caracas-Washington, la NATO dispone
 
1) Washington, la ragione della forza (di Manlio Dinucci, 05.02.2019)
2) Macedonia signs key NATO membership text as ratification process begins (RT, 6 Feb, 2019)
3) Il mosaico etnico macedone verso la Nato (S. Cantone / EuroNews, 08/02/2019)
4) Macedonia: il cambio del nome apre le porte della NATO (M. Siragusa, 11.2.2019)
 
 
=== 1 ===
 
 
Washington, la ragione della forza

L’escalation Usa, dall’incoronazione di Guaidò alla sospensione del Trattato Inf
 
di Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 05.02..2019
 

Due settimane fa Washington ha incoronato presidente del Venezuela Juan Guaidò, pur non avendo questi neppure partecipato alle elezioni presidenziali, e ha dichiarato illegittimo il presidente Maduro, regolarmente eletto, preannunciando la sua deportazione a Guantanamo. La scorsa settimana ha annunciato la sospensione Usa del Trattato Inf, attribuendone la responsabilità alla Russia, e ha in tal modo aperto una ancora più pericolosa fase della corsa agli armamenti nucleari. Questa settimana Washington compie un altro passo: domani 6 febbraio, la Nato sotto comando Usa si allarga ulteriormente, con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord quale 30° membro.

Non sappiamo quale altro passo farà Washington la settimana prossima, ma sappiamo qual è la direzione: una sempre più rapida successione di atti di forza con cui gli Usa e le altre potenze dell’Occidente cercano di mantenere il predominio unipolare in un mondo che sta divenendo multipolare. Tale strategia – espressione non di forza ma di debolezza, tuttavia non meno pericolosa – calpesta le più elementari norme di diritto internazionale. Caso emblematico è il varo di nuove sanzioni Usa contro il Venezuela, con il «congelamento» di beni per 7 miliardi di dollari appartenenti alla compagnia petrolifera di Stato, allo scopo dichiarato di impedire al Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo, di esportare petrolio.

Il Venezuela, oltre a essere uno dei sette paesi del mondo con riserve di coltan, è ricco anche di oro, con riserve stimate in oltre 15 mila tonnellate, usato dallo Stato per procurarsi valuta pregiata e acquistare farmaci, prodotti alimentari e altri generi di prima necessità. Per questo il Dipartimento del Tesoro Usa, di concerto con i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche Centrali di Unione europea e Giappone, ha condotto una operazione segreta di «esproprio internazionale» (documentata da Il Sole 24 Ore). Ha sequestrato 31 tonnellate di lingotti d’oro appartenenti allo Stato venezuelano: 14 tonnellate depositate presso la Banca d’Inghilterra, più altre 17 tonnellate trasferite a questa banca dalla tedesca Deutsche Bank che li aveva avuti in pegno a garanzia di un prestito, totalmente rimborsato dal Venezuela in valuta pregiata. Una vera e propria rapina, sullo stile di quella che nel 2011 ha portato al «congelamento» di 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici (ormai in gran parte spariti), con la differenza che quella contro l’oro venezuelano è stata condotta segretamente. Lo scopo è lo stesso: strangolare economicamente lo Stato-bersaglio per accelerarne il collasso, fomentando l’opposizione interna, e, se ciò non basta, attaccarlo militarmente dall’esterno.

Con lo stesso dispregio delle più elementari norme di condotta nei rapporti internazionali, gli Stati uniti e i loro alleati accusano la Russia di violare il Trattato Inf, senza portare alcuna prova, mentre ignorano le foto satellitari diffuse da Mosca le quali provano che gli Stati uniti avevano cominciato a preparare la produzione di missili nucleari proibiti dal Trattato, in un impianto della Raytheon, due anni prima che accusassero la Russia di violare il Trattato. Riguardo infine all’ulteriore allargamento della Nato, che sarà sancito domani, va ricordato che nel 1990, alla vigilia dello scioglimento del Patto di Varsavia, il Segretario di stato Usa James Baker assicurava il Presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov che «la Nato non si estenderà di un solo pollice ad Est». In vent’anni, dopo aver demolito con la guerra la Federazione Jugoslava, la Nato si è estesa da 16 a 30 paesi, espandendosi sempre più ad Est verso la Russia.

 
=== 2 ===
 
 
Macedonia signs key NATO membership text as ratification process begins 
 
RT, 6 Feb, 2019 – NATO Secretary-General Jens Stoltenberg and Macedonian Foreign Minister Nikola Dimitrov signed accession papers in Brussels on Wednesday. The move is seen as a big step for the small Balkan country toward becoming the 30th member of NATO and it also marks the end of a long dispute with Greece over Macedonia’s name. The country is expected to join the alliance under the name of North Macedonia, possibly later this year or in early 2020, AP said. US President Donald Trump and his NATO counterparts are due to hold a summit in London in December. The meeting, to mark NATO’s 70th anniversary, could formally welcome North Macedonia should the ratification process be completed.
 
 
=== 3 ===
 
 
 
Il mosaico etnico macedone verso la Nato
Sergio Cantone, 08/02/2019
 
La complessità multietnica della Macedonia del Nord alla prova dei primi passi verso la Nato. Il paese balcanico dovrà infatti ratificare il protocollo di adesione all'Alleanza atlantica. Voto delicato, considerando le sensibilità filo russe e filo serbe esistenti del paese.
Dice la ministra della difesa, Radmila Shekerinska:
"Non c'è un'Europa stabile, senza dei Balcani stabili e orientati verso la prosperità. Crediamo che diventare membri della Nato, mostrerà che i paesi balcanici fanno progressi. E che la regione dell'Europa sudorientale si sta pacificando e sta diventando più prospera".
L'esercito Macedone deve svolgere un delicato ruolo di integrazione delle componenti, nella storia a tratti antagoniste, di un paese dalla struttura multietnica variegata. Questa repubblica della ex Jugoslavia sfuggì per poco ai sanguinosi conflitti Balcanici degli anni '90, e questo, nonostante la sua complessità. È anche il risultato della cooperazione delle sue forze armate con la Nato, non appena divenne indipendente, ormai più che ventennale.
"La Macedonia è stata una partner della Nato per molti anni. E anche senza averne fatto parte abbiamo contribuito con oltre 4000 effettivi a diverse missioni guidate dalla Nato, queste unità rappresentano la metà del totale del nostro esercito. Anche i piccoli paesi possono dare il loro contributo" aggiunge la ministra. 
Soldati macedoni hanno ad esempio partecipato alla missione Nato in Afghanistan, spiega il maggiore dell'esercito macedone Vlatko Shteriovski, che precisa: 
"I membri dell'esercito della Macedonia del Nord, sono professionisti integri e responsabili, hanno dimostrato standard simili a quelli degli eserciti Nato e di altre forze armate". 
Ora si attendono le ratifiche di tutti gli altri membri della Nato.
 
 
=== 4 ===
 
 
MACEDONIA: IL CAMBIO DEL NOME APRE LE PORTE DELLA NATO
 
di Marco Siragusa, 10.2.2019
 

Ventotto anni dopo la dichiarazione di indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia, sembra finalmente giunta a conclusione la questione relativa al nome del paese. Il nome provvisorio di Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM), adottato nel 1993 a causa dell’opposizione della Grecia all’utilizzo del nome Macedonia, considerato esclusivo della propria regione settentrionale, cesserà a breve di esistere. I due paesi hanno difatti raggiunto un compromesso che mette d’accordo (quasi) tutti: il nome ufficiale sarà Repubblica di Macedonia del Nord. Il raggiungimento dell’intesa ha aperto per Skopje le porte della NATO con la firma, mercoledì 6 febbraio, del protocollo di adesione.

I recenti sviluppi

Il 17 giugno 2018 il governo macedone e quello greco firmarono un accordo storico che apriva le porte alla risoluzione della lunga controversia legata al nome dell’ex repubblica jugoslava. L’intesa, conosciuta come Accordo di Prespa dal nome della località dove è stata firmata, prevedeva l’utilizzo del nome Repubblica di Macedonia del Nord. Nonostante il mancato raggiungimento del quorum nel referendum svoltosi a settembre in Macedonia, lo scorso 11 gennaio il governo socialdemocratico di Zoran Zaev ha ottenuto il voto favorevole del parlamento per la riforma della Costituzione necessaria a recepire il cambio di nome.

Il 25 gennaio il parlamento greco ha a sua volta approvato quanto previsto dall’Accordo di Prespa con il sostegno di 153 deputati su 300. I voti necessari alla ratifica sono arrivati dal partito di governo SYRIZA guidato dal premier Alexis Tsipras e da alcuni membri dell’opposizione appartenenti, o appena espulsi, al partito nazionalista ANEL e a quello centrista To Potami. In occasione del lungo dibattito parlamentare, durato ben tre giorni, non sono mancate le proteste, come quella che domenica 20 gennaio ha visto migliaia di manifestanti radunarsi a Piazza Syntagma, dove si sono verificati duri scontri con la polizia, seguita quattro giorni dopo da numerose manifestazioni in tutto il paese e al valico di Evzones al confine con la Macedonia, il cui passaggio è stato bloccato per diverse ore. Nonostante le proteste, con questo voto la Grecia si è impegnata a ritirare il veto che impediva alla Macedonia di dare avvio al processo di adesione all’Unione europea e alla NATO.

L’adesione alla NATO e all’UE

Superato lo scoglio relativo alla ratifica dell’Accordo di Prespa, la Macedonia del Nord può dare il via definitivo ai processi di adesione all’UE e alla NATO. Per l’accoglimento di nuovi membri nell’Alleanza atlantica è previsto l’accordo unanime di tutti gli Stati membri. Il primo passo è stato compiuto il 6 febbraio a Bruxelles dal Segretario generale Jens Stoltenberg e dal ministro degli Esteri Nikola Dimitrov con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord. Per il definitivo riconoscimento del paese come trentesimo membro della NATO è necessaria la ratifica del protocollo da parte di tutti gli altri paesi. A conferma dell’impegno preso, la prima ad approvarlo è stata la Grecia che venerdì 8 febbraio ha dato il proprio via libera con 153 voti favorevoli. In attesa che anche gli altri membri compiano questo passo, Skopje può partecipare ai lavori dell’Alleanza come paese invitato. Per Stoltenberg la firma ha segnato “una giornata storica che porterà stabilità e prosperità all’intera regione”.

Più lungo e complicato il percorso che dovrebbe portare all’adesione all’UE. Al prossimo summit dei ministri che si svolgerà a giugno dovrebbero essere avviate le trattative sui capitoli negoziali, i cosiddetti criteri di Copenaghen, necessari ad armonizzare la legislazione nazionale a quella europea. Questa rappresenta la fase più lunga e complicata di tutto il processo. La Croazia, ad esempio, ha impiegato ben otto anni prima di aderire ufficialmente mentre la Serbia, dopo cinque anni, si trova ancora a metà del percorso.

I prossimi passi

Per l’esordio del nuovo nome sullo scenario interno ed internazionale, al governo macedone spettano adesso solo alcuni adempimenti formali. Il primo e più importante è legato all’attuazione degli emendamenti costituzionali per rendere ufficiale il cambio di nome. Dopo il definitivo inserimento in Costituzione, il governo è tenuto a modificare le targhe delle auto governative, i nomi delle proprie istituzioni e ad utilizzare il nuovo nome in tutti i documenti ufficiali del paese, compresi quelli prodotti fino ad oggi. A livello internazionale, la nuova denominazione non richiede particolari procedure, spettando ai singoli Stati l’utilizzo o meno del nuovo nome. Dato il generale sostegno alla risoluzione della questione, appare scontato l’utilizzo del nuovo nome da parte della comunità internazionale.

Risolto definitivamente il problema del nome, per la Macedonia del Nord il successo del processo di adesione dipenderà ora dalla capacità di portare avanti le riforme in grado di adeguare il proprio sistema a quello europeo ma anche, e forse soprattutto, dallo stato di salute e dalle future evoluzioni dell’Unione stessa.