From : "vojislava mitrovic"
Date : Thu, 16 May 2002 14:31:03 +0200
Subject : Re: [JUGOINFO] Digest Number 508

Ho letto attentamente l'articolo di Italo Slavo e concordo pienamente
con
Lui. Putroppo l'Italia è pienas di giornalisti qualunquisti, che credono
e
si sentono di essere esperti "balcanologi" io li ritengo invece
"balcanisti", (gli ismi hanno sempre un significato negativo in
italiano) in
quanto sanno poco o niente di quella terra slava, dell'anima slava, e
vanno
a disininformare la gente su quello che vuol dire essere Slavo del Sud,
come
era veramente Izet Sarajilic. Ho conosciuto personalmente Izet
Sarajilic,
alcuni anni or sono in una conferenza che ha tenuto presso la cattedra
di
serbo-croato del La Sapienza di Roma, dove studio lingua e letteratura
serbo-croata, e quello che ho visto in lui era quella "prosta dusa
slovenska" che solo chi è nato e cresciuto in Jugoslavija può avere. Ho
amato la semplicità di quell'uomo, la sua schiettezza, la sua modestia,
che
lo differenzia da quel giornalista "pivello" che lo ha intervistato,
quel
fricchettone, che il grande Sarajilic ha subito inquadrato con la sua
grande
sensibilità propria non solo del poeta ma anche dello slavo del Sud,
quel
fricchettone che neanche ha capito l'ironia sarcastica di
quell'osservazione
di Sarajilic. Non prendiamocela troppo con chi ha voluto dare spazio al
giornalista frichettone, perché si sa che in democrazia hanno tutti il
diritto ad esprimere la propria opinione e ricordiamo piuttosto, che chi
ha
saputo amare ed apprezzare l'arte del piccolo grande Izet ha saputo
anche
leggere e fare le dovute considerazioni sulla grande tragedia della
disgregazione della Jugoslavija. Nonostante questi fricchettoni che
credono
di sapere tutto, Sarajevo non è mai stata e mai sarà un luogo comune
perché
Sarajevo, con la sua multiculturalità, la sua gente, la sua atmosfera è
e
sarà sempre l'ombelico d'Europa, l'ombelico del mondo.
Ringraziando nuovamente Italo Slavo per il suo bellissimo articolo,
porgo i
più distinti saluti,
Vojislava Mitrovic

> Data: Wed, 15 May 2002 00:11:28 +0200
> Da: "jugocoord@..." <jugocoord@...>
> Oggetto: Sarajevo e' un luogo comune
>
>
> La guerra del quotidiano "Il Manifesto" contro i serbi della
> Bosnia non e' ancora finita.
>
> Oggi, 14 maggio 2002, a quasi sei anni e mezzo di distanza dagli
> accordi di Dayton, con i quali la guerra fratricida in Bosnia si
> interrompeva, una intera pagina di quotidiano pretende
> di ricordare un poeta morto da pochi giorni. Invece,
> riesuma quei luoghi comuni che speravamo di non dover
> piu' leggere, e trasuda odio etnico come nei peggiori
> momenti del conflitto.
>
> E' la ciliegina sulla torta di molti giorni di cattiva
> informazione, per il "Manifesto": nel silenzio ineffabile
> (imbarazzato o complice, non sappiamo) sulle udienze del
> Tribunale dell'Aia e sulla visita di Djindjic in Italia,
> spunta la pagina "culturale": Sarajevo, of course.
> Pagina 12. Il poeta da ricordare e' Izet Sarajlic. Dopo
> alcune battute iniziali, che ci danno la misura precisa
> del carattere dell'articolo, con sconforto e sofferenza
> procediamo nella lettura.
>
> Dell'autore dell'articolo, Emanuele Trevi, francamente
> non sappiamo altro che il nome, ed una fugace impressione
> del poeta stesso: <<molto divertito dal mio aspetto
> trasandato, a un certo punto mi chiese se ero "un
> fricchettone">>. Non sappiamo altro, eppure d'istinto
> ci viene da pensare ad un giovane, uno qualsiasi in
> "divisa" da intellettuale o militante della nostrana
> sinistra post-comunista. "Societa' civile" e ben poche
> altre paroline in codice, nel cervello, da rivendere
> sulla Bosnia. Tantissimi come lui hanno girato per i
> Balcani degli anni Novanta, senza conoscere niente
> preventivamente della Jugoslavia e del mondo slavo, e
> formandosi opinioni esclusivamente in base a quanto
> letto per l'occasione, o ascoltato dalla bocca di
> accompagnatori non esattamente imparziali. Viaggi
> motivati da un misto di solidarieta' astratta, puramente
> di principio, ed una forma di turismo "particolarmente
> fico". Solo una impressione, che sicuramente nella
> fattispecie, non corrisponde. Ma di persone cosi' ne
> abbiamo conosciute tante, e ci viene da pensare. Andiamo
> avanti.
>
> Di Sarajlic, dall'articolo, veniamo a sapere solamente
> due cose: primo, che scriveva poesie dai toni intimistici,
> che parlano essenzialmente di affetti familiari; secondo,
> che <<una granata serba aveva colpito in pieno la sua
> biblioteca>>. Le due cose secondo Trevi sono strettamente
> collegate, perche' <<un individuo dotato di un criterio
> di verita' privato e inalienabile [cioe': un poeta] e' il
> bersaglio preferito per ogni tipo di cecchino>>.
> Scrivi "ogni tipo" ma leggi "serbo". Anche se i cecchini
> che spararono sulla manifestazione antisecessionista del
> 6 aprile 1992 non erano serbi; anche se il cecchino che
> uccise Moreno Lucatelli non era serbo. E' irrilevante:
> il poeta abitava a Sarajevo, a Sarajevo c'erano i
> cecchiniserbi, tutto attaccato. E' un luogo comune.
>
> La vulgata vuole che Sarajevo sia la citta' che ha
> <<polverizzato il record stabilito, durante la seconda
> guerra mondiale, da Stalingrado>>. Infatti i serbi sono
> peggio dei nazisti, mentre la resistenza dei "bosniaci"
> (si intende solamente la parte musulmana) sarebbe stata
> <<anche.... l'ultima pagina dell'anti-fascismo europeo
> del Novecento>>. I fascisti: <<Milosevic, Karadzic ed i
> loro lugubri complici e seguaci [cioe' la popolazione
> serba della Bosnia] tentavano l'"urbicidio">>. Quelle
> serbe erano <<forze di distruzione>>, anzi: <<forze di
> distruzione serbe: obici, mortai, carri armati>>. Anche
> se Sarajevo non era una citta' assediata, bensi' una
> citta' divisa in due; anche se nei quartieri serbi di
> Sarajevo la tragedia era simmetrica; anche se attorno a
> Sarajevo furono ritrovate le fosse con i cadaveri dei
> serbi; anche se in seguito agli accordi di Dayton i
> quartieri serbi si svuotarono di circa 150mila abitanti;
> anche se su tutto questo non merita scrivere una riga,
> ne' in poesia, ne' in prosa, ne' sul "Manifesto", ne'
> altrove. "Serbo", e hai detto tutto - e non ti devi
> preoccupare: nessuno ti accusera' di essere razzista.
>
> <<Nell'orrenda ipotesi di una conquista serba di
> Sarajevo, sarebbero stati uomini come Izet e Divjak
> [il "serbo buono" della favola, come Schindler] a
> pagarla piu' cara degli altri: un poeta ed un soldato
> capaci di ribellarsi alla demenza omicida
> dell'appartenenza, al culto delle origini e
> dell'identita' - culto sempre intimamente fascista, che
> sia cucinato in salsa serba, croata, padana>>, musulmano-
> bosniaca? Noo. Albanese? Macche': <<basca, corsa>>... E
> magari anche kurda, irlandese, palestinese, perche' no?
>
> Un grande calderone, affinche' tutto si trasformi nelle
> vacche nere di una notte nera, e non si possa avere il
> sospetto che fu anche proprio il secessionismo bosniaco-
> musulmano, ed i suoi mentori all'estero, a generare la
> tragedia della Bosnia-Erzegovina, dentro la piu' ampia
> tragedia jugoslava. Lo disse Ivo Andric - selettivamente,
> capziosamente, tendenziosamente citato nell'articolo:
> <<la Bosnia e' "la terra dell'odio">>. Il giornalista del
> "Manifesto", percio', si conforma: odia i serbi, e ci
> presenta l'intera opera e messaggio di un poeta
> parlandoci in sostanza solamente dei motivi per cui egli
> doveva, soprattutto, odiare i serbi.
>
> La Jugoslavia unitaria? Neanche un accenno. Il comunismo?
> <<chi aveva sofferto di piu', nel comunismo reale, erano
> stati i comunisti>>. Bugiardo! Izetbegovic, che durante
> la seconda guerra mondiale aveva lavorato per la
> Gioventu' Musulmana, alleata dei nazisti, e sotto il
> comunismo non per caso era stato in galera, ha sofferto
> sicuramente di piu'.
>
> Italo Slavo
>