PER "IL MANIFESTO" - RUBRICA LETTERE
Con preghiera di pubblicazione
"Il Manifesto" ingoia la pillola, ed affida a Tiziana Boari una
recensione dello scomodo libro "Menzogne di guerra". Tiziana -
ex inviata OSCE in Kosovo, collaboratrice di Limes e di molte
altre testate - svolge alla perfezione il compito affidatole. Primo:
minimizza sul contenuto del libro, insinuando dubbi su presunte
imprecisioni ma senza entrare nel merito. Secondo: coglie
l'occasione per presentare *un altro* libro, "di ben altro spessore
e rigore scientifico" certo, nemmeno tradotto in italiano, scritto
da un militare "buono" - poiche' europeo: gli americani sono
cattivi, gli europei sono buoni. Terzo, evita accuratamente di
citare i curatori del volume e l'esistenza di un Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia, che - dopo avere organizzato i
ben 5 appuntamenti di presentazione del libro di Elsaesser in
giro per l'Italia insieme all'autore (a due dei quali la stessa
Tiziana ha partecipato) - prosegue nella sua crescita e nel
suo impegno di smascheramento e di chiarificazione sulle
cause e sulle dinamiche reali - non "giornalistiche" - dello
squartamento della Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia. E le politiche europee, in queste cause ed in
queste dinamiche reali di squartamento, ci sono implicate
fino al collo.
Quarto - per l'appunto, e piu' grave di tutto il resto - usa
lo spazio della recensione per propagandare "la proposta
[che, lo garantiamo, e' aborrita da Elsaesser in primis!]
della creazione di una forza europea d'intervento rapido
preventivo per la risoluzione e la prevenzione dei conflitti,
composta da esperti civili, ben addestrati e pronti
a essere dislocati dove necessario con la stessa rapidità di
dispiegamento delle truppe militari." Sara' divertente vederli,
questi militari fare a gara con i loro colleghi in abito
borghese, a chi arriva prima...
Andrea Martocchia (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia)
---
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/18-Ottobre-2002/art80.html
il manifesto - 18 Ottobre 2002 - pagina 15
Le bugie hanno le guerre lunghe
La costruzione del consenso dell'opinione pubblica internazionale
all'intervento prima statunitense e poi Nato nel Kosovo. «Menzogne di
guerra», un libro del giornalista tedesco Jürgen Elsaesser
TIZIANA BOARI
L'abbattimento del muro di Berlino nel 1989 avrebbe dovuto portare una
nuova era di pace e democrazia, secondo le speranze di molti, e invece è
stato l'inizio di una catena perversa di conflitti mondiali sempre più
pericolosi per l'umanità intera: l'Iraq, l'ex Jugoslavia, l'Afghanistan
e ora di
nuovo l'Iraq, per non parlare dei conflitti «dimenticati», come quelli
in corso nella Costa d'Avorio, in Liberia, in Sudan, in Colombia.
Chissà perché questi venti di guerra che spirano nel mondo occidentale
nei confronti dell'Iraq ricordano tanto situazioni del passato ed errori
da non ripetere,
riserve da non tenere nei confronti della pace. Nel frattempo, la
macchina delle menzogne di guerra è ripartita anch'essa puntuale, come
ogni autunno. Ricordate una certa, esilarante quanto tragica,
filmografia americana degli ultimi anni, che denunciava i meccanismi di
disinformazione allo
scopo di creare le guerre virtuali fino a farle diventare reali? C'è da
chiedersi se sia servita a cambiare le coscienze, la consapevolezza
delle strumentalizzazioni in atto, a far aprire gli occhi. Così non
appare in questi giorni del tutto fuori luogo il contributo che fornisce
alla loro comprensione, seppur guardando alla guerra nella e contro la
ex-Jugoslavia, il giornalista tedesco Jürgen Elsaesser con il suo libro
Menzogne di guerra (trad. Mara Oneta, ed. «La Città del Sole»).
Elsaesser, 45 anni,
redattore del mensile tedesco di sinistra Konkret, con un metodo che lui
stesso ha definito «da criminologo», ripercorre i passaggi essenziali
della campagna massmediatica che demonizzò Milosevic, l'imputato numero
uno del Tribunale Speciale dell'Aja che di brani di questo libro (già
tradotto in serbo e in uscita nella sua traduzione francese) si è
avvalso per la propria difesa. Malgrado il lavoro e lo sforzo
encomiabile, l'autore pecca di imprecisione filologica e bibliografica,
cade su alcune citazioni imprecise e su non poche approssimazioni che
automaticamente, con un effetto a domino, rendono il lettore scettico
sulla credibilità di tutte le altre interessanti informazioni riportate
nel testo. Le operazioni di controinformazione, per essere efficaci,
ovvero considerate serie e credibili, non possono permettersi scivoloni
di questo tipo.
Il libro tratta in particolare le «menzogne di guerra» che diffuse il
governo tedesco per giustificare il primo intervento di sue truppe fuori
dai confini nazionali dalla II guerra mondiale. Ma si inizia dalla
Bosnia , dalle cifre ballerine sui morti di Srebrenica (1995) fornite
dall'allora ministro della difesa
Rudolf Scharping: si parlò di 30mila assassinati dalle truppe serbe,
quando nell'estate del 2000, alla luce degli ultimi dati e della
improvvisa <<resurrezione>> di circa 3.000 persone nelle liste degli
elettori presentate dagli osservatori elettorali dell'Osce in occasione
delle elezioni del 1997, si parlò invece di 3.000 vittime,
ridimensionando l'episodio, uno dei numerosi capi d'accusa contro i
quali Milosevic è chiamato a difendersi proprio in questi giorni dal
Tribunale dell'Aja. Certo è che non sono le cifre a due o tre zeri a
fare la differenza su un crimine; è tuttavia importante illustrare
alcune dinamiche perché poi è comunque sui numeri che si giocano alcune
partite, che le guerre vengono approvate dall'opinione pubblica.
Nel marzo 1999 non fu importante, anzi passò sotto silenzio il dato di
quei profughi, di tutte le etnie, che attraversarono alla spicciolata il
confine tra Kosovo e Macedonia, nei giorni che seguirono l'evacuazione
dell'Osce e precedettero i bombardamenti. Questione di qualche giorno, è
quello che pensavano tutti. Quanto fu abile e scaltra invece la
sovrapposizione semantica tra i treni piombati, le deportazioni, le
vittime sacrificali e la Pasqua cattolica che si celebrava di lì a poco
da una parte e i profughi kosovaro albanesi in fuga. Così, nel giro di
pochissimi giorni, coloro che fuggivano dalle bombe (e cominciarono ad
essere numerosi dal 30 marzo soltanto) e venivano evacuati per ragioni
di sicurezza divennero gli agnelli pasquali, vittime della ferocia
serba. A Pasqua scoppiò lo «scandalo» di Blace e in molti si chiesero
come mai l'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati non avesse previsto
una tale emergenza. Rimase un mistero, poco chiaro anche a coloro che in
quei giorni e poco prima in quei luoghi c'erano stati.
Di ben altro spessore e rigore scientifico è invece l'opera, molto
citata dallo stesso Elsaesser, del generale Heinz Loquai, già
consigliere militare presso la rappresentanza tedesca all'Osce, Il
conflitto del Kosovo. Percorsi di una guerra evitabile (Der Kosovo
Konflikt. Wege in einenvermeidbaren Krieg,
Baden Baden 2000), uno studio e insieme una testimonianza molto rigorosi
nella trattazione dei documenti e della storia più recente, un'opera
alla quale dovrebbero andare le attenzioni di un editore coraggioso e di
un pubblico attento proprio perché rilancia anche la proposta della
creazione di una forza europea d'intervento rapido preventivo per la
risoluzione e la prevenzione dei conflitti, composta da esperti civili,
ben addestrati e pronti a essere dislocati dove necessario con la stessa
rapidità di dispiegamento delle truppe militari.
E' inquietante comunque rileggere oggi i meccanismi con i quali una
guerra ormai decisa da tempo fu resa «accettabile» all'opinione pubblica
mondiale. I tempi sono peggiorati rispetto ad allora, quando già in
molti si additava con sdegno alla palese violazione del diritto
internazionale che la
guerra, angloamericana prima e Nato poi, contro uno stato sovrano come
la Federazione Jugoslava aveva rappresentato: il primo attacco militare
internazionale partito senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza
dell'Onu. Con l'attacco all'Afghanistan si passa alla fantomatica
risposta al
terrorismo, alla «caccia all'uomo» (bin Laden che sembra avere nove vite
e il dono dell'ubiquità: roba da studi Disney...), alla «guerra
infinita». Si distrugge un paese per colpire un individuo e i suoi
adepti. Oggi andiamo verso lo stravolgimento completo del diritto in
quanto tale. Assistiamo al rovesciamento completo del principio di
presunzione di innocenza fino a prova contraria: oggi sono colpevoli di
terrorismo tutti quegli stati che sono sulla lista nera degli Usa e sono
colpevoli finché non provano, attraverso il loro assoggettamento
completo agli interessi economici e geopolitici americani, di essere
«innocenti».
Gli Usa soffrono di una gravissima recessione economica, la guerra è
paradossalmente, come è sempre stata, un modo per salvarsi dal disastro
economico interno e per l'amministrazione Bush uno strumento di
propaganda politica. In Europa oggi è la Germania a dire fermamente «No»
alla guerra preventiva contro Baghdad. Lo dice anche la Francia, ma la
posizione tedesca oggi ha un valore diverso perché fu proprio la
Germania il primo paese Ue a cedere alle pressioni statunitensi nel
negoziato di Rambouillet che precedette la guerra contro la Federazione
Jugoslava. La guerra è evitabile, parafrasando Loquai, perché è davvero
una scelta: di mezzi, di modalità, di tempi. E la consapevolezza del
valore di una scelta di pace si sta facendo strada nelle coscienze
dell'Europa ogni giorno di più. Forse la lezione del Kosovo è servita a
qualcosa. A impedire che la menzogna entri ancora una volta nella storia
e diventi verità.
Con preghiera di pubblicazione
"Il Manifesto" ingoia la pillola, ed affida a Tiziana Boari una
recensione dello scomodo libro "Menzogne di guerra". Tiziana -
ex inviata OSCE in Kosovo, collaboratrice di Limes e di molte
altre testate - svolge alla perfezione il compito affidatole. Primo:
minimizza sul contenuto del libro, insinuando dubbi su presunte
imprecisioni ma senza entrare nel merito. Secondo: coglie
l'occasione per presentare *un altro* libro, "di ben altro spessore
e rigore scientifico" certo, nemmeno tradotto in italiano, scritto
da un militare "buono" - poiche' europeo: gli americani sono
cattivi, gli europei sono buoni. Terzo, evita accuratamente di
citare i curatori del volume e l'esistenza di un Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia, che - dopo avere organizzato i
ben 5 appuntamenti di presentazione del libro di Elsaesser in
giro per l'Italia insieme all'autore (a due dei quali la stessa
Tiziana ha partecipato) - prosegue nella sua crescita e nel
suo impegno di smascheramento e di chiarificazione sulle
cause e sulle dinamiche reali - non "giornalistiche" - dello
squartamento della Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia. E le politiche europee, in queste cause ed in
queste dinamiche reali di squartamento, ci sono implicate
fino al collo.
Quarto - per l'appunto, e piu' grave di tutto il resto - usa
lo spazio della recensione per propagandare "la proposta
[che, lo garantiamo, e' aborrita da Elsaesser in primis!]
della creazione di una forza europea d'intervento rapido
preventivo per la risoluzione e la prevenzione dei conflitti,
composta da esperti civili, ben addestrati e pronti
a essere dislocati dove necessario con la stessa rapidità di
dispiegamento delle truppe militari." Sara' divertente vederli,
questi militari fare a gara con i loro colleghi in abito
borghese, a chi arriva prima...
Andrea Martocchia (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia)
---
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/18-Ottobre-2002/art80.html
il manifesto - 18 Ottobre 2002 - pagina 15
Le bugie hanno le guerre lunghe
La costruzione del consenso dell'opinione pubblica internazionale
all'intervento prima statunitense e poi Nato nel Kosovo. «Menzogne di
guerra», un libro del giornalista tedesco Jürgen Elsaesser
TIZIANA BOARI
L'abbattimento del muro di Berlino nel 1989 avrebbe dovuto portare una
nuova era di pace e democrazia, secondo le speranze di molti, e invece è
stato l'inizio di una catena perversa di conflitti mondiali sempre più
pericolosi per l'umanità intera: l'Iraq, l'ex Jugoslavia, l'Afghanistan
e ora di
nuovo l'Iraq, per non parlare dei conflitti «dimenticati», come quelli
in corso nella Costa d'Avorio, in Liberia, in Sudan, in Colombia.
Chissà perché questi venti di guerra che spirano nel mondo occidentale
nei confronti dell'Iraq ricordano tanto situazioni del passato ed errori
da non ripetere,
riserve da non tenere nei confronti della pace. Nel frattempo, la
macchina delle menzogne di guerra è ripartita anch'essa puntuale, come
ogni autunno. Ricordate una certa, esilarante quanto tragica,
filmografia americana degli ultimi anni, che denunciava i meccanismi di
disinformazione allo
scopo di creare le guerre virtuali fino a farle diventare reali? C'è da
chiedersi se sia servita a cambiare le coscienze, la consapevolezza
delle strumentalizzazioni in atto, a far aprire gli occhi. Così non
appare in questi giorni del tutto fuori luogo il contributo che fornisce
alla loro comprensione, seppur guardando alla guerra nella e contro la
ex-Jugoslavia, il giornalista tedesco Jürgen Elsaesser con il suo libro
Menzogne di guerra (trad. Mara Oneta, ed. «La Città del Sole»).
Elsaesser, 45 anni,
redattore del mensile tedesco di sinistra Konkret, con un metodo che lui
stesso ha definito «da criminologo», ripercorre i passaggi essenziali
della campagna massmediatica che demonizzò Milosevic, l'imputato numero
uno del Tribunale Speciale dell'Aja che di brani di questo libro (già
tradotto in serbo e in uscita nella sua traduzione francese) si è
avvalso per la propria difesa. Malgrado il lavoro e lo sforzo
encomiabile, l'autore pecca di imprecisione filologica e bibliografica,
cade su alcune citazioni imprecise e su non poche approssimazioni che
automaticamente, con un effetto a domino, rendono il lettore scettico
sulla credibilità di tutte le altre interessanti informazioni riportate
nel testo. Le operazioni di controinformazione, per essere efficaci,
ovvero considerate serie e credibili, non possono permettersi scivoloni
di questo tipo.
Il libro tratta in particolare le «menzogne di guerra» che diffuse il
governo tedesco per giustificare il primo intervento di sue truppe fuori
dai confini nazionali dalla II guerra mondiale. Ma si inizia dalla
Bosnia , dalle cifre ballerine sui morti di Srebrenica (1995) fornite
dall'allora ministro della difesa
Rudolf Scharping: si parlò di 30mila assassinati dalle truppe serbe,
quando nell'estate del 2000, alla luce degli ultimi dati e della
improvvisa <<resurrezione>> di circa 3.000 persone nelle liste degli
elettori presentate dagli osservatori elettorali dell'Osce in occasione
delle elezioni del 1997, si parlò invece di 3.000 vittime,
ridimensionando l'episodio, uno dei numerosi capi d'accusa contro i
quali Milosevic è chiamato a difendersi proprio in questi giorni dal
Tribunale dell'Aja. Certo è che non sono le cifre a due o tre zeri a
fare la differenza su un crimine; è tuttavia importante illustrare
alcune dinamiche perché poi è comunque sui numeri che si giocano alcune
partite, che le guerre vengono approvate dall'opinione pubblica.
Nel marzo 1999 non fu importante, anzi passò sotto silenzio il dato di
quei profughi, di tutte le etnie, che attraversarono alla spicciolata il
confine tra Kosovo e Macedonia, nei giorni che seguirono l'evacuazione
dell'Osce e precedettero i bombardamenti. Questione di qualche giorno, è
quello che pensavano tutti. Quanto fu abile e scaltra invece la
sovrapposizione semantica tra i treni piombati, le deportazioni, le
vittime sacrificali e la Pasqua cattolica che si celebrava di lì a poco
da una parte e i profughi kosovaro albanesi in fuga. Così, nel giro di
pochissimi giorni, coloro che fuggivano dalle bombe (e cominciarono ad
essere numerosi dal 30 marzo soltanto) e venivano evacuati per ragioni
di sicurezza divennero gli agnelli pasquali, vittime della ferocia
serba. A Pasqua scoppiò lo «scandalo» di Blace e in molti si chiesero
come mai l'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati non avesse previsto
una tale emergenza. Rimase un mistero, poco chiaro anche a coloro che in
quei giorni e poco prima in quei luoghi c'erano stati.
Di ben altro spessore e rigore scientifico è invece l'opera, molto
citata dallo stesso Elsaesser, del generale Heinz Loquai, già
consigliere militare presso la rappresentanza tedesca all'Osce, Il
conflitto del Kosovo. Percorsi di una guerra evitabile (Der Kosovo
Konflikt. Wege in einenvermeidbaren Krieg,
Baden Baden 2000), uno studio e insieme una testimonianza molto rigorosi
nella trattazione dei documenti e della storia più recente, un'opera
alla quale dovrebbero andare le attenzioni di un editore coraggioso e di
un pubblico attento proprio perché rilancia anche la proposta della
creazione di una forza europea d'intervento rapido preventivo per la
risoluzione e la prevenzione dei conflitti, composta da esperti civili,
ben addestrati e pronti a essere dislocati dove necessario con la stessa
rapidità di dispiegamento delle truppe militari.
E' inquietante comunque rileggere oggi i meccanismi con i quali una
guerra ormai decisa da tempo fu resa «accettabile» all'opinione pubblica
mondiale. I tempi sono peggiorati rispetto ad allora, quando già in
molti si additava con sdegno alla palese violazione del diritto
internazionale che la
guerra, angloamericana prima e Nato poi, contro uno stato sovrano come
la Federazione Jugoslava aveva rappresentato: il primo attacco militare
internazionale partito senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza
dell'Onu. Con l'attacco all'Afghanistan si passa alla fantomatica
risposta al
terrorismo, alla «caccia all'uomo» (bin Laden che sembra avere nove vite
e il dono dell'ubiquità: roba da studi Disney...), alla «guerra
infinita». Si distrugge un paese per colpire un individuo e i suoi
adepti. Oggi andiamo verso lo stravolgimento completo del diritto in
quanto tale. Assistiamo al rovesciamento completo del principio di
presunzione di innocenza fino a prova contraria: oggi sono colpevoli di
terrorismo tutti quegli stati che sono sulla lista nera degli Usa e sono
colpevoli finché non provano, attraverso il loro assoggettamento
completo agli interessi economici e geopolitici americani, di essere
«innocenti».
Gli Usa soffrono di una gravissima recessione economica, la guerra è
paradossalmente, come è sempre stata, un modo per salvarsi dal disastro
economico interno e per l'amministrazione Bush uno strumento di
propaganda politica. In Europa oggi è la Germania a dire fermamente «No»
alla guerra preventiva contro Baghdad. Lo dice anche la Francia, ma la
posizione tedesca oggi ha un valore diverso perché fu proprio la
Germania il primo paese Ue a cedere alle pressioni statunitensi nel
negoziato di Rambouillet che precedette la guerra contro la Federazione
Jugoslava. La guerra è evitabile, parafrasando Loquai, perché è davvero
una scelta: di mezzi, di modalità, di tempi. E la consapevolezza del
valore di una scelta di pace si sta facendo strada nelle coscienze
dell'Europa ogni giorno di più. Forse la lezione del Kosovo è servita a
qualcosa. A impedire che la menzogna entri ancora una volta nella storia
e diventi verità.