La solidarieta' e' preziosa

1. Appello da "Un Ponte per..."
2. Relazione di viaggio a Kragujevac da "Zastava Brescia"
3. Relazione su Serbia e Bosnia da "ABC Solidarieta' e Pace"

NOTA: Le due relazioni (documenti 2 e 3) ci sono pervenute da Gilberto
Vlaic di Zastava Trieste, che scrive:
<<La prima e' della associazione ONLUS Zastava Brescia, e contiene un
resoconto molto bello (secondo me) sul viaggio e sulle riflessioni che
l'incontro con le famiglie e i bambini provoca in chi vi partecipa.
Sono sicuro che chi di voi ha gia' partecipato a questi viaggi potra'
riconoscere le emozioni provate; per chi non ha mai partecipato a un
viaggio potrebbe essere lo stimolo per farlo... Comunque leggetela...
La seconda e' della ONLUS ABC-Pace e solidarieta'. Si tratta di un
associazione romana che agisde in varie parti del mondo. Il loro
indirizzo e': http://www.abconlus.it/index1.htm
In questa relazione descrivono con dovizia di particolari le
drammatiche condizioni di quelle popolazioni. E' molto ricca di
dati...>>


=== 1 ===


il manifesto - 25 Luglio 2003
POSTA & PROPOSTA

Un piccolo aiuto

Anche quest'anno, Un Ponte per..., in collaborazione con l'Università
di Roma Tor Vergata, ha portato, ospiti di famiglie di dipendenti
dell'ateneo, 14 ragazzini jugoslavi, residenti a Kraljevo, profughi
della guerra del '99 di cui, ormai, ben pochi hanno voglia di parlare.
Fra questi proprio le famiglie dei bambini, che ogni volta ci
raccontano della loro vita, prima della guerra, ci mostrano foto di
case distrutte, le loro.Averli in mezzo a noi ci fa capire quanto è
stato importante contrastare quella guerra, così come tutte le altre.
Continua a farci capire quanto conoscere direttamente i veri
destinatari di tanta violenza resti uno dei pochi mezzi per dire no
alla guerra.Abbiamo prodotto un piccolo video «Il silenzio... sugli
innocenti», potete ordinarlo a Un Ponte per..., 06-6780808,
organizzeremo vendite di prodotti artigianali delle donne dei centri di
accoglienza che continuamente visitiamo per dare loro una mano. Ma non
basta. Perché insieme a questi bambini dalla Jugoslavia, che ora
chiamano Serbia-Montenegro, ne sono arrivati altri che cercano da noi
una speranza per contrastare malattie terribili quali Anemia Aplastica
o Leucemia. Marko, 12 anni, è uno di loro ed è qui da 8 mesi. E' al S.
Camillo, fa day hospital, attualmente in attesa di trapianto. Ma è
arrivato anche Milos, 17 anni e poi Lazar, 8 anni. Hanno bisogno
dell'aiuto di tutti. Il manifesto e la solidarietà di tanti si è già
occupata di loro, ma c'è ancora bisogno di medicine, della spesa
quotidiana, di alloggi anche minimi ma sicuri e di donazioni di sangue
e piastrine. Il tempo, e non solo, ce lo mettiamo noi. Ma serve di più.
Per un contributo (c/c postale 59927004 - intestato a: Un Ponte per...,
via della Guglia 69/a - causale "Marko vivrà"). Ulteriori informazioni
possono essere richieste a Alessandro Di Meo - Un Ponte per...
(alessandro.di.meo@...)


=== 2 ===


ZASTAVA BRESCIA (onlus)

c/o Camera del Lavoro, via F.lli Folonari 20 - 25100 Brescia
http://www.zastavabrescia.cjb, zastavabrescia@...
info 030-2584282 030-2703114

VIAGGIO A KRAGUJEVAC 31 MAGGIO – 3 GIUGNO 2003

Resoconto ed impressioni di Riccardo Pilato

Solito orario (un quarto alle sei del mattino), solito posto (il
parcheggio Esselunga della Volta, a Brescia), ci ritroviamo in sei,
Francesca, Domenico, Lory, Ugo, Luciano, e Riccardo (lo scrivente). I
primi tre affrontano per la prima volta questa avventura (non esagero,
vedrete che lo sarà veramente).
Il giorno prima abbiamo lavorato sodo per costringere i nostri due
furgoni ad accettare quello che a noi sembrava un enorme quantitativo
di materiale : 2 motorini, 42 biciclette, 2 computers, 31 scatole di
vestiti usati, 25 pacchi di alimenti vari, 12 pacchi di materiale
scolastico, 1 calcolatrice, 3 giochi, 5 sacchi di scarpe. Alla fine l’
abbiamo spuntata e solo poche scatole e qualche bici attenderanno un
altro viaggio (furgoni permettendo).
Già, i furgoni. Abbiamo tanto penato per riuscire ad averli ed
infine, grazie all’ interessamento del Comune di Brescia e alla tenacia
di Domenico, siamo riusciti ad ottenere uno Scudo e un Daily da Brescia
Trasporti e dall’ ASM.

Ho partecipato ad altri viaggi , ma questa volta aleggia intorno
a noi una diversa atmosfera, dovuta sicuramente alla consapevolezza che
un fatto è andare in macchina, magari circondati da pacchi e pacchetti,
un conto è presentarsi in frontiera, in tre frontiere, con due furgoni
stracarichi, dai quali crollano scatoloni ogni qualvolta apri una porta
del vano di carico. Abbiamo cercato di prendere delle precauzioni
facendoci accompagnare da alcune dichiarazioni relative agli scopi
umanitari del nostro trasporto, una del Comune di Brescia, un’ altra
della CGIL di Brescia con l’ elenco del materiale, un’ altra ancora
della nostra Associazione ( con traduzione in serbo-croato ); inoltre
Rajka ha predisposto presso la frontiera serba un passaggio morbido:
tutto questo ci conforta e ci tranquillizza un po’.
Dopo una breve sosta presso l’ area di servizio di Duino dove da
più di un’ ora ci attende il buon Gilberto con i nostri passaporti
vistati gratuitamente dal console jugoslavo di Trieste, suo amico,
ripartiamo sicuri di volare dritti a Kragujevac.
Poveri illusi! Giunti alla frontiera tra Slovenia e Croazia, già
provati da lunghe code a Mestre e alla frontiera tra Italia e
Slovenia, si presenta la realtà in maniera netta e cruda. La guardia
croata non vuole sentirne di farci passare nella corsia delle macchine,
dice (giustamente) che abbiamo troppa roba e ci fa tornare indietro a
fare la fila con i camion; inoltre ci fanno capire che dobbiamo
affidarci ad uno spedizioniere per compilare il documento di viaggio:
non valgono a nulla le nostre raccomandazioni, i nostri visti, il
nostro appellarci ai motivi del viaggio; noi continuiamo a ripetere a
tutti le poche parole che in tante altre occasioni hanno aperto tutte
le porte, “ Zastava “ e “Humanitaria Pomoc“, ma sono irremovibili.
Cominciamo a comprendere che dietro una rigida applicazione delle norme
c’ è la volontà di arrecare danno a quegli strani rompiscatole che si
ostinano ancora a portare aiuto ai “serbi“ . E allora non ci resta
altro da fare che accettare la realtà e affrontare, cercando di tenere
i nervi saldi, le richieste al rialzo dei vari spedizionieri i quali,
resisi conto della trappola in cui ci troviamo, continuano ad alzare il
prezzo della loro “prestazione“. Fin qui i “cattivi“. Per fortuna, come
in ogni storia d’ avventura, ci sono anche i buoni e trovo giusto
menzionarli per l’importante ruolo che hanno avuto nel farci uscire dai
guai. E proprio quei camionisti che tante volte stramalediciamo per i
loro sorpassi a dir poco azzardati, ci hanno commosso per l’ interesse
dimostrato nei confronti di sei colleghi un po’ imbranati, per quanto
riguarda il disbrigo di pratiche di spedizione internazionale, e molto
demoralizzati. In particolare un croato si è dato molto da fare e, in
coppia con l’ infaticabile Ugo, le ha tentate tutte. Alla fine, vista
la irremovibilità dei finanzieri, ci ha consigliato di aspettare le 19,
il cambio turno, affidandoci all’unica via d’uscita rimasta,
l’ottimismo. Ed è successo l’inaspettato: proprio nel momento in cui
Ugo reagiva in maniera a dir poco rumorosa ad una ennesima richiesta di
ben 1500 euro di uno spedizioniere, il cambio di guardia si dimostrava
effettivo, anche nel modo di pensare e di agire. Difatti, entrati in
contatto con il responsabile dei finanzieri croati, questi si
dimostrava sensibile al nostro problema e alla fine, dopo un colloquio
telefonico con Rajka, tutto si risolveva con un documento costato pochi
euro.
E via, di gran carriera, o quasi, sicuri che nulla ormai avrebbe
potuto farci perdere dell’altro tempo. Eravamo già abbastanza
dispiaciuti per aver perso una cena di benvenuto, con tanto di musica
serba, offerta dal proprietario dell’ albergo dove Rajka ci aveva
prenotato le stanze, volevamo almeno arrivare in un orario tale da
garantirci qualche ora di buon sonno prima della giornata impegnativa
che sapevamo aspettarci.
Frontiera croato – serba, i croati non fanno problemi, i serbi
invece cominciano con la solita storia del documento di spedizione. In
piena notte ci mettiamo a svegliare tutti gli spedizionieri alla
ricerca del documento che sappiamo essere già presso questa frontiera.
Naturalmente al primo giro niente, tanto nervoso e dopo una telefonata
a Rajka (ore 1.30 !) che teniamo in linea, torniamo presso un’agenzia
dove stavolta l’impiegato si decide a svegliare il capo il quale,
penso, si prenda un cattivo buongiorno da Rajka. Dopo “soltanto” due
ore, giusto il tempo per battere al computer la spedizione e far
apporre i sacri timbri dalla finanza serba, si va e non ci sembra
ancora vero. Arriviamo a Kragujevac quasi alle 8, dopo quasi 26 ore
dalla partenza, e Rajka e Dora (una sua ospite italiana) ci conducono
in albergo dove, dopo un breve racconto e una veloce colazione
riusciamo ad andare a riposare. Alle 12, dopo avere inutilmente atteso
di poter sprofondare in un sonno ristoratore, ma dopo aver fatto una
doccia per svegliarmi, mi reco in sala ad aspettare gli altri che alla
spicciolata arrivano più o meno assonnati. Non abbiamo molto tempo;
alle 13 siamo attesi a pranzo presso la famiglia di Kristina, la
bambina che ho in adozione e che non vedo da 18 mesi. E’ la prima volta
che sono ospite a casa loro e questa novità mi da un grande senso di
gioia ed anche una grande emozione. So già che sono una bella
famigliola, le bambine sono tre e le riconosco subito nel vederle
attenderci al cancelletto di casa. Dopo un grande pranzo con tantissime
portate e tanta allegria (come sempre si fanno in quattro per cercare
di dimostrare il massimo di ospitalità e di gratitudine nei confronti
degli ospiti che in queste contrade sono ancora sacri) ci accorgiamo
che il tempo è volato, che sono le 15 e che alle 15.30 abbiamo la
consegna delle adozioni nel salone del palazzo Zastava. In tutta fretta
inseriamo nelle buste i 155 euro previsti e poi via di corsa. Noto con
soddisfazione che c’è ancora un posto dove si tiene alla puntualità e
sogno di importarla dalle nostre parti. Infatti alle 15.30 in punto
sono già tutti dietro il grande portone, aperto il quale saliamo tutti
ordinatamente al primo piano. In tutta fretta finisco di allestire la
sala con la bandiera bilingue “pace-mir” e, subito dopo gli interventi
di saluto del Presidente del sindacato Zastava, Delko, e mio, Milija
comincia a chiamare i nomi dei bambini.
Quella che potrebbe sembrare una operazione abbastanza monotona, è
invece per noi che la viviamo direttamente, la parte finale di tutto
il lavoro svolto, un momento di grande tensione. Ognuno di noi immagina
alla propria maniera i sentimenti che albergano negli animi di questi
padri e madri di famiglia.
Io li ho sempre visti costretti, da un giorno all’altro, a
dover tendere la mano per prendere la busta che un lavoratore più
fortunato gli porge. Non ho mai notato in alcuno né un segno di rabbia
( ne avrebbero ben ragione visto che gli abbiamo tolto la speranza nel
futuro ) né di sottomissione. Questo lo abbiamo notato sempre tutti e
per fortuna è così. Veniamo trattati per quello che realmente siamo,
uomini e donne solidali che cercano di mettere in pratica i principi in
cui credono, alla pari, da lavoratori a lavoratori.
Il problema vero è un altro: veniamo spesso assaliti da un senso di
frustrazione in quanto, oltre alla limitatezza dell’ aiuto che
portiamo, ci rendiamo conto che non c’è ancora il minimo segno di
rinascita per questa martoriata terra. E allora ci viene spontaneo
chiederci cosa di tanto grave possono aver compiuto questi lavoratori,
queste madri, questi bellissimi bambini, questi anziani che tanto hanno
lottato, per meritare un castigo così immenso. E allora chiedo a coloro
che hanno preso le decisioni di aggredire la Jugoslavia, distruggendole
i nodi essenziali per la vita, se mai possono dormire sonni tranquilli,
se mai gli compaiono davanti questi occhi tristi di persone che da un
momento all’altro sono passati da una condizione normale di vita ad una
condizione di miseria, quasi sicuramente senza ritorno, almeno nel
tempo del volgere della loro vita.
Quanto tempo è che nelle loro case non si ride spensieratamente,
perché altri pensieri gravano su di loro, la casa non finita, le esose
bollette della luce da pagare, gli oggetti per la scuola da comprare,
la roba da mettere in pentola tutti i giorni e via dicendo; quanto
tempo è che i sorrisi dei bambini si spengono all’improvviso al ricordo
delle nottate passate in rifugi precari, sobbalzando e singhiozzando ad
ogni scoppio di bomba, quanti di loro soffrono oggi di disturbi
nervosi, di asma, e di altre malattie più gravi (derivanti direttamente
dagli effetti dei bombardamenti sulla loro psiche e sul loro fisico),
che si ha paura e pudore a nominarle, soprattutto quando riguardano
delle piccole creature inconsapevoli dei grandi giochi che si stanno
compiendo sopra le loro teste.
E questi pensieri ci accompagnano sempre mentre centinaia di mani
stringono con vigore e con vero piacere le nostre. Arrivano le brutte
notizie, non è vero che anno dopo anno tutto rimanga come prima. Un
bambino muore in un incidente di lavoro nei campi, tragedia a cui
purtroppo siamo abituati anche dalle nostre parti, ma il padre subito
dopo scompare nel nulla, forse perché straziato dal dolore; non se ne
sa più niente da tre mesi, chissà. La madre disperata, rimasta sola con
l’altro figlio, non sa più dove sbattere la testa, lo stato sociale è
stato smantellato, come farà a tirare avanti?
Sento chiamare un nome che mi porta alla memoria una ragazzina
bella, vivace, che voleva sempre mandare i saluti al suo adottante di
Brescia, un bambino. L’aspetto, voglio vederla, fotografarla, ma all’
improvviso, solo per un attimo, mi si presenta una persona che io
stento a riconoscere, tanto l’ha ormai trasformata, in pochissimo
tempo, una tremenda malattia della quale solo adesso vengo a
conoscenza. E gli adulti? Abbiamo già avuto notizia di quella madre che
si è lasciata spegnere dopo una non lunga vita di stenti e che,
presumiamo, non abbia retto all’ennesima tragedia della malattia del
marito; visitiamo la loro casa, incompiuta come migliaia di altre,
disperata come tante altre. Ci accolgono due bambini, stupiti dal
fatto che delle persone venute da lontano possano interessarsi a loro,
il padre col buco in gola si sforza di comunicarci tutta la sua
gratitudine. E domani? Resterà domani qualcosa di quei sentimenti che
abbiamo cercato di trasmettere loro, avrà un valore la nostra presenza
per tutti loro e per i bambini in particolare? Che fine faranno questi
ragazzi che nonostante la condizione di massima disperazione riescono
ad essere bravi a scuola, nella purtroppo non lontana eventualità che
il padre già così gravemente malato dovesse venire a mancare?
E l’ altro caso del timido omino, giovane, con appresso una
bellissima bambina che ci comunica di essere malato di tumore al
cervello nello stesso momento in cui ci porge in regalo una boccia
contenente il miele da lui stesso prodotto: non pressa, non chiede, si
limita a stare lì in attesa di un miracolo che noi non possiamo fare!
E noi, come ci sentiamo? Il cuore continua ad avere sobbalzi e
crolli di fronte a questi fatti e a tutti quelli che sappiamo esistere
pur non avendone diretta conoscenza. La società jugoslava ha
subito uno stop tremendo da questa guerra, dall’embargo e dalle
precedenti guerre contro la Croazia e la Bosnia. Chi colpevolmente
pensa alla guerra come ad un fenomeno passeggero dovrebbe venire con
noi, a sentire, a vedere le conseguenze di decisioni insensate. Sempre
di più ci rendiamo ben conto che nessuna guerra finisca con la fine dei
bombardamenti, e, soprattutto se non stai dalla parte dei potenti,
chissà quanto tempo dovrai aspettare prima di poter dire “è finita“.
La manifestazione si conclude con l’ acquisto di prodotti dell’
artigianato locale, pizzi e ricami, che alcune donne di Kragujevac
hanno esposto nella sala; bei lavori a prezzi molto onesti che noi
venderemo questa estate sulla nostra bancarella. Alla fine un piccolo
gruppo di bambine dietro la bandiera della pace rivolge un saluto - che
io videoregistro - ai bambini che il 16 giugno a Roma parteciperanno
alla prima edizione della manifestazione canora organizzata dall’
Associazione “ NON BOMBE MA SOLO CARAMELLE “ .
In serata per la cena siamo attesi a casa del ragazzo adottato da
Francesca, una famiglia montenegrina numerosa e molto unita che, come
tutte le famiglie in cui siamo stati o andremo, ci fanno mille feste
con tanta allegria. E’ in queste occasioni che noi abbiamo modo di
avvicinarci ad un mondo che, molto simile al nostro di 50 anni fa, non
credevamo esistesse più, in Europa. Non è solo apparenza, ma realmente
l’ ospitalità è considerata sacra, figuriamoci nei confronti di coloro
che si sono presi la briga di aiutarli a non perdere la fiducia nel
genere umano. E non l’ hanno persa!
Apprendiamo così i significati culturali della loro elaborata
cucina, ammiriamo le fotografie esposte nelle loro case, in una al
posto della foto di Tito, fino a pochi anni fa onnipresente, compare la
foto della famiglia di Domenico. Case modeste, fatte come da noi con
tanti sacrifici, non finite nella maggior parte dei casi, perché con la
guerra e con la mancanza di lavoro sono finiti sia i materiali e
soprattutto i soldi, ma case con tanta umanità e, chissà, forse anche
un po’ di speranza di riprendere a palpitare di vita serena, come una
volta.
Lunedì finalmente affrontiamo lo spinoso problema della dogana di
Kragujevac, dove le nostre merci dovranno passare vari controlli prima
di essere consegnate.
Rajka si sta facendo in quattro per cercare di trovare una strada per
evitare che le cose vadano per le lunghe; noi riflettiamo e pensiamo
che se i controlli fossero sempre così accurati chissà quante cose si
scoprirebbero. Ma sappiamo di essere in regola, non abbiamo nulla da
nascondere e le scatole contengono veramente quei prodotti che abbiamo
fretta di consegnare alle varie famiglie: c’è molta Nutella e
cioccolata e dolciumi vari che aiuteranno tanti bambini ad osservare
il mondo con meno amarezza e temiamo che il grande caldo che sta
facendo possa danneggiarli. Rajka trova la strada, ci presenta ad una
responsabile dell’ufficio di sdoganamento, Marija, una bella croata
sposata ad un serbo in tempi in cui questo non era peccato. In
pochissimo tempo abbiamo il controllo alimentare consistente nel
controllare che i prodotti di alcune scatole di alimentari non siano
scaduti. Tutto in ordine, naturalmente. Alla fine però Marija ci
chiederà un piccolo favore, riportare a Brescia un pacchetto di
medicinali scaduti che non sa come scaricare dalla contabilità della
dogana. Noi sappiamo che le medicine sono sempre grane, ma lei ci
assicura che il documento che le accompagnerà sarà sufficiente a
superare tutte le difficoltà e poi, con quegli occhi e il favore che ci
ha fatto, come si fa a dire di no. Finalmente possiamo scaricare i
furgoni presso il magazzino della Zastava dove subiranno altri
controlli e purtroppo qualche stupida manomissione da parte di qualche
controllore zelante e morto nell’anima. Ci comunicano che alle 17
potremo prendere i pacchi di cibi e vestiario, il resto, bici, motorini
e computers resta dove si trova e purtoppo ho appena appreso che a
tutt’oggi, 8 giugno, non è stato ancora sdoganato. Ci riesce difficile
capire quanti e quali appetiti possano aver mosso quelle che per noi
sono delle modeste merci, ma li, per i tanti profittatori, esse hanno
un grande valore economico. No, non così per la nostra gente che
aspetta fiduciosa e speranzosa di avere in dono una bici con cui
percorrere i 10, 20 o più chilometri che la separano dal precario
posto di lavoro: questa ha imparato ad avere la massima fiducia in noi
e in Rajka e Milija che gestiscono correttamente la solidarietà a
Kragujevac.
Si va a conoscere la famiglia del bambino adottato da Ugo e Lory
dove ci fermeremo per il pranzo. Anche qui, come sempre, la stessa
accoglienza festosa; ci sentiamo accuditi senza essere serviti, siamo
come in casa nostra. Alla fine delle visite, di tutte le visite, il
sentimento del distacco si fa vivo, sappiamo che per molto tempo,
minimo sei mesi, non vedremo più queste splendide persone, ma
sicuramente il reciproco ricordo si manterrà molto forte.
Il pomeriggio del lunedì, prima della consegna dei pacchi, riesco
ad avere un breve incontro con la mia famiglia, a casa loro, con
l’aiuto di Dejan che ha imparato l’ italiano andando avanti e indietro
da Bergamo dove il piccolo figlio è stato operato qualche anno fa dopo
essere stato dato per spacciato a Belgrado: doppio trapianto di fegato
e reni, reso possibile dall’ interessamento del gruppo Zastava di Lecco
( quali miracoli non riesce a fare la solidarietà! ). Si parla del più
e del meno, dei problemi del lavoro, di quando si presentano in
fabbrica e vengono rispediti indietro perché non cè nulla da fare, e,
naturalmente, senza paga. Gli ex proprietari della fabbrica - perché
questo erano i lavoratori in Jugoslavia, avendo acquisito negli anni
quote importanti di proprietà delle aziende - costretti quasi a
mendicare il lavoro!
Il lavoro è poco e i soldi ancora meno: alla fine una famiglia
di 5 persone ha a disposizione 5 euro al giorno per tutto l’
occorrente, dal cibo all’ energia. E’ vero che i soldi non contano, ma
quando non ne hai neanche uno da contare ……
Alle 17 accompagnato da parte della mia famiglia, siamo davanti
alla sede del sindacato dove si stanno già distribuendo i pacchi dal
furgone. Si è fatta una piccola folla composta dalle famiglie che sono
state avvertite di venire a ritirare il pacco ed anche da altre venute
a vedere nella speranza che ci sia stata una dimenticanza da parte di
Milija vana speranza perché Milija non sbaglia mai!).
La sera si va dalla famiglia di Domenico; l’ ultima cena del
viaggio è di solito quella in cui ci si rilassa un po’ e comprendiamo
subito che questa è la famiglia giusta, molto affabili tutti, arrivano
a tenerci compagnia anche le sorelle della padrona di casa, due belle
figliole ( una è medico a 300 euro al mese ) che attraggono le nostre
attenzioni, tanti brindisi e fanno scattare tante foto.
L’ indomani mattina, per nulla provati dalla sostanziosa cena e
dalle abbondanti libagioni, alle 8 colazione. Rajka e Vladan, il papà
della mia bambina, si assentano per 10 minuti. Tornano con due
sacchetti pieni di ciliegie che non so dove hanno preso. Rajka si deve
essere ricordata che io le ho detto che quest’ anno non le avevo
ancora assaggiate a causa del prezzo (7 euro ca al kg) ed ha
provveduto. Aspettiamo inutilmente fino alle 10 che qualcuno della
dogana ci porti il pacchetto di medicinali (in cuor nostro speriamo che
non arrivi nessuno) e infatti ci mettiamo in marcia preceduti dalla
macchina di Raiko , Milija e Rajka. Quando siamo sul rettilineo che
porta verso l’ingresso dell’ autostrada, ci salutiamo, baci, abbracci,
ultime foto (le più belle!) e proprio in questo momento siamo raggiunti
dal tipo che ci consegna un pacchetto piombato. Facciamo buon viso a
cattiva sorte, del resto siamo stati rassicurati da un capo ufficio
delle dogana, e poi…. Marija ….non ci farebbe mai un brutto scherzo!
Iniziamo il viaggio di ritorno alle 10.30 di martedì 3 giugno e
subito sbagliamo direzione di marcia: ce ne stiamo andando a Nis, a
sud, altro che Belgrado. Altra ora persa così, per tornare indietro ma
dopo va tutto liscio,….fino alla frontiera tra Croazia e Slovenia. Qui
i finanzieri sloveni non ne vogliono sentire di farci passare con quel
pacchetto di medicinali accompagnato da un documento della dogana
serba, per loro senza valore. Ce ne vuole un altro, di uno
spedizioniere sloveno che ci chiede un sacco di soldi. Siamo disperati,
stramalediciamo tutto il possibile ma alla fine, dopo due ore di tira e
molla, decidiamo di pagare 190 euro sudati e tolti letteralmente di
bocca ai nostri lavoratori serbi per far passare un pacchetto senza
valore. E non è finita, in quanto temiamo che la finanza italiana possa
fare ancora più storie degli sloveni perché in teoria si tratta di far
entrare in Italia dei rifiuti considerati speciali. Non sappiamo se sia
meglio disfarcene oppure nasconderli da qualche parte (dove?). Alla
fine li infiliamo sotto il sedile di Ugo, obbligandolo a non schiodarsi
da li. Alla frontiera italiana, stanchi e tesi, la finanza sente odore
di grappa, letteralmente, perché in viaggio si è rotta una bottiglia
dentro il mio zaino, vuol sapere quanta ne trasportiamo; all’inizio
nicchiamo, non lo sappiamo bene e allora cominciano ad aprire,
squarciandoli, tutti i pacchi dono che trasportiamo per le nostre
famiglie adottanti di Brescia. Alla fine si contano ben 25 bottiglie
di grappa, e non basta. Infatti il maresciallo che sta eseguendo la
visita intima ad Ugo di scendere dal furgone e trova il famoso e
maledetto pacchetto di medicinali. Diamo le nostre spiegazioni, obietta
che non si può trasportare quei prodotti, ma per fortuna non la mette
giù dura. Per la grappa invece temiamo che le cose possano mettersi
male, ma alla fine, dopo una ramanzina che inizia con “pur apprezzando
gli scopi meritevoli delle vostre iniziative …..” ecc. ecc, ci lascia
andare con tutti i pacchetti rotti e qualche ulteriore ora di ritardo.
Anche stavolta siamo riusciti ad arrivare fuori tempo limite, ma dopo
solo 19 ore.
Ah, dimenticavo, voglio dire a tutti gli adottanti che
riceveranno i pacchetti dono che possono stare tranquilli: con un
pomeriggio di certosino lavoro sono riuscito a ricomporre i pezzi,
tutt’al più potrà risultare scambiata qualche bottiglia di preziosa
grappa!


=== 3 ===


ABC Solidarieta' e pace (onlus)

http://www.abconlus.it/index1.htm
info@...

RELAZIONE MAGGIO 2003

Questa volta, invece di soffermarci su quanto fatto, visto e sentito in
ciascuna città, scuola o fabbrica visitata per la consegna delle nostre
“borse di studio”- di nuovo, come al solito, a Backa Topola, Krivaja,
Novi Sad, Belgrado-Rakovica, Kragujevac, Nis, Niska Banja, Rogatica,
Pale, Lukavica -, vogliamo riferire sulla situazione generale che
abbiamo trovato, in Serbia e in Bosnia, durante il nostro ultimo
“giro”, dal 17 al 29 maggio u.s.

Serbia – Dopo l’assassinio del premier Zoran Djindjic, avvenuto il 12
marzo, lo ha sostituito il suo vice Zoran Zivkovic e si è decretato lo
stato di emergenza, che è durato fino a poco prima del nostro viaggio.
Noi di ABC ci siamo sempre astenuti - e continueremo a farlo – da
giudizi politici che non ci riguardano; non però dal dare quelle
informazioni, anche politiche, che sono necessarie per mettere in grado
i nostri soci e sostenitori di rendersi meglio conto del clima in cui
vivono i bambini e ragazzi affidati, con le loro famiglie.
L’atmosfera che si respira attualmente in Serbia è pesante. Lo stato di
emergenza non è servito soltanto ad emarginare personalità sgradite, a
liquidare bande “politico-mafiose” (ad es. quella di Zemun, roccaforte
dei radicali-nazionalisti intransigenti alla periferia di Belgrado) e
formazioni politico-militari (ad es. i “Berretti rossi”) sospettate di
residui legami col “vecchio regime”. E’ servito anche – quel che più
importa – a sottoporre la popolazione a misure economiche ancor più
restrittive ed onerose, reprimendo le proteste e cercando quasi di
mettere il bavaglio alla gente.
Malgrado ciò, i nostri amici sindacalisti di Kragujevac e di Nis ci
hanno parlato fuori dai denti, permettendoci di intravedere un quadro
aggiornato della situazione economico-sociale. Cercheremo di
comunicarvela meglio che possiamo, dandovene almeno qualche
significativa “pennellata”.
Secondo le statistiche, su dieci milioni di cittadini i disoccupati, in
Serbia, sono quasi un milione, cioè un decimo non della popolazione
“attiva”, ma di quella totale. Ma che cosa s’intende per disoccupato e
che cosa, di conseguenza, per occupato? Alla “Zastava” di Kragujevac
lavoravano, prima, 36.000 operai, provenienti in parte dalle campagne
della Sumadia, la grande regione agricola di cui appunto Kragujevac è
capoluogo, in parte dal resto della Serbia meridionale e specialmente
dal non lontano Kosovo. Adesso i dipendenti della “Zastava” sono
ridotti a meno della metà, tanto è vero che, considerando l’insieme
della città di Kragujevac, che conta 172.000 residenti, i disoccupati
“ufficiali” sono 19.000. Ma vi vanno aggiunti i 7.000 che sono
comunque usciti anche loro, di fatto, dalla “Zastava”, in quanto hanno
accettato - secondo la “Legge sul lavoro” precedente a quella emanata
durante la “emergenza” – o un magro sussidio per due anni al massimo
(da 58 a 62 euro mensili a seconda della qualifica), ovvero un compenso
“una tantum” pari a 100 euro per ogni anno di lavoro effettivamente
prestato. Gli uni e gli altri sono ancora in lista per un ipotetico
nuovo impiego e perciò non sono considerati come disoccupati, ma solo
“in mobilità”. Vanno aggiunti inoltre 4.000 lavoratori “stagionali”,
adibiti alla raccolta della frutta e simili, che possono esser definiti
come occupati solo in maniera impropria, per non dire beffarda. Tirando
le somme, i non realmente occupati sono, a Kragujevac, ben più di un
decimo della popolazione complessiva: sono tra un quinto e un sesto. Se
poi si aggiungono ancora 30.000 profughi “registrati” e un numero
imprecisabile di non registrati, arrivati nella città e dintorni
fuggendo dalle varie guerre jugoslave degli anni 1992-95, nonché quelli
dal Kosovo nel 1999, si può concludere che a Kragujevac la situazione
occupazionale effettiva è da due a tre volte peggiore di quella, già di
per sé disastrosa, indicata dalle statistiche nazionali.
A Nis, peraltro, le cose non sono migliori. Alla “Mascinska Industria”
(MIN), su 15.000 dipendenti soltanto 5.000 sono rimasti in servizio e
scenderanno presto a 3.500 in seguito alla più che probabile chiusura
di 10 delle 36 imprese riunite nella holding. Ma come, in che senso si
parla, alla MIN, di operai rimasti in servizio? Se ne parla nello
stesso senso in cui lo si fa, sempre nella città di Nis, alla
“Elektronska Industria” (EI). Qui c’erano 12.800 operai; ne sono
rimasti 4.800. Ma – abbiamo chiesto ai sindacalisti – almeno questi
lavorano regolarmente, cioè a tempo pieno, otto ore al giorno per tutti
i giorni dell’anno, escluse ferie e festività? Risposta negativa. A
tempo pieno sono soltanto 500. Gli altri stanno in servizio per modo di
dire, cioè in un senso che potremmo definire “ridotto”, anzi, il più
delle volte, addirittura nominale: vengono a lavorare saltuariamente,
quando serve, quando li chiamano, vengono insomma più che altro per
fare atto di presenza, per timbrare ogni tanto il cartellino, cosicchè
il loro nome continui a figurare negli elenchi della fabbrica. Per
questa cosiddetta “prestazione lavorativa” ricevono compensi che si
aggirano, nei casi migliori, intorno ai 100 euro annuali. In tal
modo, comunque, nell’eventualità (per ora remota) di qualche ingresso
di capitale estero che consenta una certa ripresa produttiva, questi
operai “per finta” potranno tornare ad essere operai veri. Le
direzioni aziendali possono intanto far figurare un numero di
dipendenti ridotto ma non proprio – come è nei fatti – al lumicino, e
dalle statistiche possono risultare cifre di disoccupazione certo
gravissime ma molto inferiori alle realtà.
Dobbiamo dire ancora una cosa. Durante lo stato di emergenza la “Legge
sul lavoro” nazionale è stata modificata in peggio, e fortemente. Chi
oggi è considerato in eccesso, viene semplicemente licenziato e può
scegliere tra due tipi di “ammortizzatori sociali”, ambedue ridotti al
minimo: o nove mesi di sussidio (anziché due anni) con 70 euro mensili,
ovvero una liquidazione pari, mediamente, a 1.650 euro.
Si conserva comunque il diritto all’assistenza medica, ma è un
principio giuridico che trova poco riscontro nella pratica, date le
condizioni attuali della sanità in Serbia. A Kragujevac, per esempio,
l’ospedale c’è, gli ambulatori ci sono, ma il più delle attrezzature
diagnostiche e terapeutiche o non funziona o è troppo obsoleto, dagli
apparecchi per le ecografie a quelli per la chemioterapia (dei quali,
dopo i bombardamenti all’uranio del 1999, è aumentato il bisogno). Chi
ne necessita deve andare a Belgrado, dove pagherà tutto, più le spese
di viaggio.
Da questa situazione in due grandi città industriali serbe, si può
agevolmente desumere quale sia lo stato delle cose a livello nazionale.
E c’è da dire ancora del rincaro delle tariffe per elettricità, acqua
ecc., del rigore ormai inesorabile nell’esigerne il pagamento, pena non
solo lo “stacco”, ma in certi casi perfino il tribunale. La nostra
amica Vesna – se si vuole un altro esempio –, segretaria amministrativa
del sindacato della MIN, si è vista intimare il pagamento di arretrati
dell’elettricità per 150.000 dinari, cioè 2.300 euro. Glieli hanno
rateizzati lungo alcuni anni, ma non potrà mai farcela, lei che non
raggiunge 100 euro al mese di stipendio! Si capisce allora come la
maggior parte di coloro che, estromessi dal lavoro, hanno ricevuto i
magri compensi di cui sopra, ben lontani dal poterli utilizzare – come
suggerito dalla propaganda ufficiale – per qualche “nuova attività”,
per “mettersi in proprio”, semplicemente ci pagano appunto gli
arretrati delle varie bollette.
Parliamo adesso di salari, stipendi e prezzi. Il salario medio di un
operaio a tempo pieno – uno dei pochi – equivale al massimo a 100 euro
mensili; lo stipendio di un insegnante di scuola elementare a 150, di
scuola superiore a 200, quello di un medico a 500. Vanno però detratte
le trattenute. Sui salari lordi – ci hanno precisato a Kragujevac – il
14% va per tasse governative, il 9,8% per pensione e invalidità, il
5,95% per la sanità (funzionante come sopra accennato), infine lo 0,55%
per …. solidarietà con i disoccupati (!). Totale: 30,3%.
Quanto ai prezzi, possiamo riferire che attualmente in Serbia un kg. di
pane costa 35 dinari, di zucchero 45, di farina 35. Un litro di olio di
mais 65, di latte 25. Un hg di caffè 25, di thè 40. Un kg di carne di
pollo 120, di maiale 250, di vitello 270, di formaggio bovino 150,
ovino 220. Patate, pomodori e altri ortaggi costano 100 dinari in
media, la frutta “normale” 50. I detersivi 120-150. Un tailleur per
donna 3000-4000, scarpe donna minimo 1200. Per uomo: giacca e pantaloni
minimo 4500, camicia 1500, scarpe da 2000 a 4000, giaccone 5000,
maglione da 1500 a 3000. Ce lo hanno detto le massaie e lo abbiamo
visto nei negozi, vuoti o semivuoti. L’affitto di un piccolo
appartamento è di 10.000-15.000 dinari al mese, l’acqua costa 600
dinari, l’elettricità 2500-3000, anche perché serve non solo
all’illuminazione, ma, generalmente, per cucina e riscaldamento Posto
che un euro si scambia attualmente con 66-67 dinari e presto, perciò,
si scambierà con 70, fate voi il conto di quanto costa l’essenziale per
vivere, espresso nella nostra moneta.
E per la scuola? Solo i libri di testo costano l’equivalente di 25-30
euro per ogni classe da frequentare, e per lo più vanno cambiati ogni
anno. Uno zainetto costa 6-8 euro. Si aggiungano quaderni, penne,
matite, colori e quant’altro. In totale – ci ha detto una direttrice
didattica – occorrono 50-60 euro solo per le cose strettamente
scolatiche. Ma bambini e ragazzi non possono andare a scuola vestiti da
straccioni, e poi per sei mesi all’anno fa freddo: quindi, dati i
prezzi dell’abbigliamento poco sopra esemplificati, la spesa quanto
meno si raddoppia. Bisogna inoltre tener conto del fatto che nella
maggior parte delle scuole serbe si svolgono anche attività
post-scolastiche, come corsi di danza, di canto, di ginnastica, sport
vari dal calcio al basket alla palla a volo, perfino gli scacchi. Sono
cose facoltative, ma sarebbe ben triste per un alunno dover restarne
fuori.. Ora, per queste attività non può non occorrere qualche spesa
aggiuntiva. Tutto sommato, le borse di studio di ABC sono
provvidenziali, per chi le riceve: bastano per la scuola e ne può
avanzare per altre necessità familiari.
A conclusione di questa breve ma angosciante “carrellata”, resta da
domandarsi come facciano i serbi a sopravvivere. E’ quel che abbiamo
chiesto ai nostri amici sindacalisti, con riferimento ai loro operai o
ex operai. La risposta è stata che una parte di loro si arrangia con
lavoretti occasionali, ovviamente “al nero”, o con traffici vari, dalla
compra-vendita di roba usata ad altre attività magari al limite del
lecito. Ma la maggior parte beneficia del fatto di aver conservato
qualche pezzo di terra al villaggio di provenienza, o comunque di avere
lì parenti e amici: può dunque andarvi a coltivare l’orto, ad allevare
il maiale, i polli e simili, onde risparmiarsi di comprare molta roba
al mercato cittadino. Alla MIN, per esempio, gli operai si vantano di
essere più adatti al lavoro particolarmente pesante che vi si svolge (o
vi si svolgeva), proprio per la loro origine contadina, che li aveva
abituati alla fatica della zappa e della vanga, e sfottono quelli della
EI, le cui lavorazioni sarebbero più leggere e quasi, al confronto,
“da signorini”.
Ecco dunque la grande risorsa del popolo serbo: il ritorno, almeno
parziale e temporaneo, all’agricoltura! E non manca chi teorizza invece
un ritorno definitivo, come la vera strada per un futuro migliore. Solo
che non tutta la Serbia è come la Vojvodina, con le sue pianure
sterminate e le sue coltivazioni a livello tecnico relativamente
progredito. Bisognerebbe estendere la meccanizzazione dell’agricoltura,
e le altre misure per la sua modernizzazione, anche alle regioni del
Centro e del Sud: non è certo cosa di un giorno.
Tutt’altra è comunque, la strada scelta dagli attuali dirigenti della
politica economica serba, per il risollevamento del Paese. Si fa
affidamento, piuttosto, su una ripresa industriale, dipendente però
essenzialmente da massicci investimenti esteri. E’ per favorirli che,
nell’attesa, le fabbriche vengono in parte de-strutturate, in parte
vendute all’asta (generalmente a strani acquirenti serbi), e si manda
via un così forte numero di operai. Ma di tali investimenti, per
adesso, se ne vedono ben pochi, e di fronte a episodi come l’assassinio
di Djindjic, è logico ritenere che qualsiasi “multinazionale”, grande o
piccola che sia, ci pensi su non due ma tre volte. Intanto, e malgrado
tutto, anche il nuovo premier va ribadendo la certezza dello staff
dirigente in una prossima entrata della Serbia nell’Unione Europea.
Sarà…; anzi speriamo tutti che così sia, ma ci vuole ben altro.

Bosnia – Qui ciò che possiamo riferire è più breve e più semplice,
anche se – dal punto di vista politico e da quello umano – ancora più
triste. Gli accordi di Dayton, ratificati a Parigi nel dicembre del
1995, prevedevano la reintegrazione inter-etnica e una progressiva
riunificazione della Bosnia-Erzegovina, solo provvisoriamente suddivisa
tra le due “entità” serba e croato-musulmana. A ormai oltre sette anni
di distanza, nulla di ciò è stato realizzato. Alla nostra domanda su
chi comandi effettivamente sull’insieme del Paese, la risposta – nelle
scuole dove continuiamo a recarci – è la stessa: comanda la “Comunità
internazionale”, vale a dire l’Alto Commissario dell’ONU preposto
appunto (e la cosa comincia ormai a essere amaramente comica)
all’applicazione dei trattati di Dayton-Parigi. Ma allora quale
soluzione è possibile, se non a breve almeno a medio termine? Anche
qui, la risposta unanime e costante è: i serbi con Belgrado, i croati
con Zagabria e i musulmani sotto uno statuto speciale che li garantisca
in qualche modo.
Quanto alla situazione economica, si nota una certa ripresa di attività
produttive (a Pale, per esempio, è ben visibile nel campo edilizio). Ma
essa è dovuta essenzialmente agli aiuti internazionali, più cospicui,
peraltro, sul versante croato-musulmano che su quello serbo. Di questa
sperequazione qualche governo dei Paesi “avanzati” comincia ad
accorgersi: quello giapponese, ad esempio, ha deciso di costruire due
nuovi edifici scolatici nel primo versante e tre nell’altro. Di questi
tre, uno è andato proprio alla “Sveti Sava”, cioè all’elementare di
Lukavica dove consegnamo le nostre borse di studio. Il direttore ci ha
portati a visitarlo: effettivamente è una meraviglia, manca solo la
palestra, perché i giapponesi nelle loro scuole non ce l’hanno.
C’è da aggiungere che comunque, quel tanto di ripresa economica che c’è
anche sul versante serbo, sta determinando bensì aumenti degli stipendi
(un ruolo trainante hanno quelli dati alle numerose persone impiegate
direttamente dai vari organismi internazionali - politici, militari,
umanitari), ma anche aumenti dei prezzi. Non a caso i serbo-bosniaci si
recano spesso ad acquistare viveri al di là della Drina, cioè del
confine che li separa dai “cugini” delle vicine città serbe, intasando
le dogane coi loro autobus.