ALLEGATI SECONDA PARTE:
RASSEGNA STAMPA PARZIALE

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Sabato 24 Aprile 1999
Unica via bombardare senza pietà
Thomas Friedman

IN America si dice che il cammello è un cavallo ideato da un comitato.
Non è bello, ma fa quel che deve fare, soprattutto nel deserto. Allo
stesso modo, la guerra aerea della Nato contro la Jugoslavia è come una
strategia militare ideata da un'alleanza di 19 membri. Non è bella, ma
la sua debolezza può diventare forza.
Bombardare i serbi da un'altezza di 15 mila piedi è l'unica strategia
militare che tutti i 19 membri della Nato, il Congresso Usa ed i russi
possono tollerare oggi in Jugoslavia. La guerra aerea ha molti ovvi
difetti, ma anche una grande forza: la Nato può continuarla per molto,
molto tempo. E' bene che i serbi lo ricordino.
E' vero che la Nato non libererà il Kosovo dal cielo, ma è ancora
possibile, così, raggiungere i nostri obiettivi, costringere cioè
Milosevic a permettere, tacitamente o per via negoziale, il ritorno
degli albanesi in Kosovo, protetti da una forza di pace internazionale
che mantenga la tregua tra albanesi e serbi, e l'instaurazione
dell'autonomia della provincia.
Ma se l'unica forza della Nato sta nel poter continuare a bombardare
indefinitamente, allora bisogna trarre da questa capacità ogni
possibile vantaggio. Ci vuole una vera guerra aerea. L'idea che a
Belgrado la gente ascolti concerti rock, o che vada in gita la domenica
mentre i loro compatrioti "ripuliscono" il Kosovo, è insultante.
Bisognerebbe eleggere ad obiettivo ogni centrale elettrica, ogni
acquedotto, ponte, strada o fabbrica in qualche modo legata al
conflitto.
Piaccia o no, siamo in guerra con la nazione serba (i serbi certo già
ne sono convinti), e la posta in gioco deve essere molto chiara: per
ogni settimana in più di devastazioni nel Kosovo, getteremo il vostro
Paese dieci anni indietro polverizzandovi. Volete il 1950? Possiamo
darvi il 1950. Volete il 1389? Possiamo fare anche questo. Se
riusciremo a metterla così, Milosevic vacillerà.
Ma questa strategia fermerà la barbarie in Kosovo? No. La guerra per
evitare che gli albanesi venissero gettati fuori dal Kosovo è stata
persa nella prima settimana, quando la Nato ha bombardato i serbi senza
avere un'adeguata potenza aerea né terrestre per impedirlo, e senza
capire la capacità o le intenzioni di Milosevic. E' stato un errore
strategico che i kosovari hanno pagato caro.
Il problema ora è come rovesciare il risultato, senza che gli Usa e la
Nato si impelaghino tanto nei Balcani da vedere indebolita la propria
capacità di operare in qualsiasi altro posto, e da mettere a rischio la
loro coesione come mai prima. L'unica via è una guerra aerea senza
pietà.
E le truppe di terra? La Nato dovrebbe continuare a pianificare un
intervento di terra, come britannici e francesi chiedono a gran voce,
sia perché ciò potrebbe influenzare Milosevic e farlo vacillare prima
piuttosto che dopo, sia per introdurre un po' di realismo nel dibattito
in proposito. L'opinione pubblica e il Congresso Usa devono capire cosa
comporta una guerra di terra. Invadere il Kosovo significa tenerlo.
Guerra di terra probabilmente significa arrivare fino a Belgrado, e
fare di Albania e Macedonia dei protettorati americani.
Attenti, perché questi sono Stati deboli, quasi tribali, che possono
disfarsi nelle nostre mani. L'Albania è un non-Stato, in cui secondo la
polizia più della metà delle automobili circolanti sono state rubate
altrove in Europa. E' un Paese in cui tutti hanno un'arma a casa e dove
appena due anni fa l'intero sistema bancario era basato sul gioco delle
tre carte. Recentemente il Wall street journal ha citato un disoccupato
di Tirana, secondo cui "sarebbe meglio se Milosevic bombardasse qui,
così potremmo andare tutti in Italia e in Germania come rifugiati".
Questo è uno dei motivi per cui dovremmo mantenere una strategia che,
per ora, mantenga i nostri obiettivi senza finire per occupare tutti i
Balcani. Perché nulla affosserebbe il sostegno pubblico
all'internazionalismo americano quanto l'occupare il nido di vespe più
vecchio della storia.
Date una possibilità alla guerra. Vediamo quanti mesi di bombardamenti
occorrono prima di optare per qualche settimana di invasione che, se
vinceremo ci porteranno ad occupare i Balcani per anni. Facciamo del
Kosovo il Vietnam di Milosevic, non il nostro.

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Gelo tra D'Alema e Dini
Il premier critica le riserve del ministro

Augusto Minzolini
inviato a WASHINGTON

Di prima mattina, a poco più di un'ora dall'inizio della conferenza
della Nato, arriva l'ennesimo distinguo del ministro degli esteri
Lamberto Dini dall'operato dell'Alleanza. Questa volta si tratta del
bombardamento della tv serba. Mentre a qualche metro di distanza
Massimo D'Alema appena uscito dall'Hotel St.Regis di Washington si
infila nell'automobile per arrivare in tempo alla cerimonia di
apertura, Dini resta indietro e si concede alla stampa per sparare
contro l'azione degli aerei Nato: "Non me ne parlate. E'
terribile...Disapprovo... Non credo neppure che fosse nei piani la
faccenda della Tv. A mia conoscenza non era nei programmi alleati. Se
d'ora in avanti saranno colpiti anche obiettivi non militari? C'è
questo rischio ma non è automatico. Quindi la cosa va discussa
attentamente. Non scherziamo...".
Ci risiamo. Scoppia il solito caso italiano che movimenta ogni vertice
internazionale dall'inizio della guerra nel Kosovo. L'uscita di
Lambertow si trasforma in un fulmine nel cielo di Washington. Gli
americani non nascondono la propria irritazione. La Nato idem. "Era
tutto stranoto", dice secco il segretario generale della Nato, Solana.
"La Tv - fa presente il portavoce della Nato, Jaimie Shea - è più
pericolosa dell'esercito serbo. La stessa opposizione serba l'ha sempre
considerata il vero bastione del potere di Milosevic". Il ministro
degli esteri inglese Robin Cook è ancora più duro. "Ci sono antenne e
antenne. Ci sono antenne che fanno propaganda e antenne che danno
notizie". Dini, di rimando, fa sapere che i francesi la pensano come
lui, se non peggio. Gli uomini del ministro degli esteri lo giurano, ma
quelli di Chirac rimangono zitti, non parlano.
E la delegazione italiana? Il ministro della difesa, Carlo
Scognamiglio, non ci pensa due volte a schierarsi con la Nato.
"L'interpretazione data dai comandi dell'Alleanza - spiega - è che la
propaganda è un elemento importante nella conduzione dell'azione
militare e, quindi, deve essere inclusa negli obiettivi".
Rimane D'Alema. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri
costituiscono un'altra gatta da pelare per il premier. E pensare che
una volta era Dini l'amerikano del governo. Adesso, invece, è il
premier post-comunista a dover calmare le ire di Washington e di
Bruxelles. E non è la prima volta: sarà, come dice qualcuno, che il
nostro ministro degli Esteri ha un debole per i consigli di Giulio
Andreotti; sarà, come dicono altri, che questo atteggiamento di
comprensione verso Belgrado potrebbe assicurargli i voti di Cossutta e
di Bertinotti nella corsa per il Quirinale. Sta di fatto che da qualche
tempo il ministro occidentale più tenero nei confronti di Milosevic è
proprio lui.
E D'Alema deve garantire per lui di fronte agli Alleati. Ai suoi
collaboratori il premier dà le istruzioni del caso per salvare capra e
cavoli: da una parte osserva "è un giudizio emotivo, può capitare",
dall'altra bisogna tenere conto degli interventi che sono necessari
"per disarticolare un potere autoritario come quello di Milosevic".
Insomma, il premier fa quel che può per circoscrivere il "problema". Ha
ben altro in testa: dalla tribuna deve sottolineare la necessità di uno
stretto rapporto tra la Nato e l'Onu, e di un maggior ruolo dell'Unione
Europea nell'Alleanza. Ma la vicenda rischia di lasciare strascichi.
Per cui nella conferenza stampa di fine seduta il premier decide di
tirare le orecchie al ministro degli Esteri in pubblico.
La scena è di quelle che lasciano il segno. D'Alema sulla tribunetta
del salone. Dini seduto in prima fila. Il premier parla ai giornalisti,
ma le parole non sono scelte a caso e sembrano avere come destinatario
proprio il ministro. "Quando ci si trova in una situazione di questo
tipo - scandisce D'Alema - il compito dei politici è quello di porre
dei vincoli di un'azione militare e non quello di discutere ogni
singolo obiettivo. E' del tutto improprio".
Il capo del governo va avanti, il ministro degli esteri ascolta
imbarazzato. "Certo noi - continua - abbiamo ancora oggi raccomandato
la necessità di ridurre al massimo le vittime civili. Anche una è
troppo. La Nato farà di tutto per evitarlo, ma dalla parte di Milosevic
non mi sembra che ci sia la stessa preoccupazione. Comunque, ripeto,
non si può commentare ogni giorno dove cade una bomba. Eppoi ricordo
che in quel paese un gionalista libero è stato assassinato nel portone
di casa sua e questo riduce di molto la mia indignazione per il
bombardamento della tv di Milosevic".
Le dichiarazioni del presidente del consiglio sono una vera e propria
presa di distanza dal ministro degli Esteri. Dini mastica amaro. Ce
l'ha con tutti quelli che lo hanno attaccato, soprattutto con gli
inglesi. Così quando il premier ricorda il contingente italiano
impegnato nella guera del Kosovo, il ministro degli Esteri si lascia
scappare un commento a mezza bocca: "Il nostro impegno è maggiore di
quello di Blair". Ed ancora, quando a D'Alema viene chiesto se
Milosevic deve essere processato dal tribunale dell'Aia, Dini si lascia
sfuggire un sonoro: "...E le prove?".
La conferenza stampa del premier finisce con il ministro degli Esteri
che trattiene a malapena il disappunto. "Due settimane fa - si sfoga
con qualche cronista - avevamo posto il nostro veto nel consiglio
atlantico sul bombardamento della tv serba. Per questo ho avuto quella
reazione istantanea. Non mi parlate degli inglesi... Sono gli apripista
degli americani. Avete visto la reazione dell'opione pubblica italiana?
Io sono nel giusto".
D'Alema non lo sente. Prima di lasciare la sala della conferenza, però,
si rivolge ad un cronista e scuotendo la testa sospira: "Che
faticaccia!":

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UN BRUTTO SEGNALE

Lietta Tornabuoni

E CCO, l'hanno trovato, il sistema contro la disinformazione: ammazzare
i giornalisti e i tecnici televisivi.
I morti e i feriti nel bombardamento della sede della Tv di Belgrado
non sono soltanto un'altra infamia di questa guerra (perché i morti
ammazzati sono morti chiunque li abbia eliminati, non esiste un morto
meno morto di un altro). Sono anche un segno. Finora la Nato, magari
ipocritamente, definiva le uccisioni di civili un errore, un equivoco,
una fatalità, un tragico sbaglio che si sarebbe badato a non ripetere e
per il quale ci si diceva addolorati, si chiedeva scusa. Stavolta, no.
Stavolta le uccisioni sono volontarie, mirate, non comportano alcun
rammarico ma la soddisfazione d'avere danneggiato un "nido di
menzogne": come se dire eventualmente bugie o fare propaganda potesse
essere considerato un crimine degno della pena capitale.
L'azione è più grave non certo perché la morte di gente della
televisione sia più importante e offensiva di quella, mettiamo, dei
settantacinque profughi uccisi dai bombardamenti sul mezzo di trasporto
usato per fuggire dalla guerra: ma per l'atto volontario, per
l'arroganza di chi si crede depositario del giusto e dell'ingiusto, del
bene e del male.

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L'altra faccia di questa guerra
FUORI DAL CORO

Paolo Guzzanti

NON m'intendo di faccende militari, ma mi ha colpito l'analisi di un
esperto inglese alla Bbc: "Al momento dello scontro di terra non
potremo contare sugli italiani: non sono preparati, meglio lasciarli
perdere. L'idea è di far avere per loro, e solo per loro, uno speciale
mandato umanitario dall'Onu in modo che possano fare quel che già
fanno: la Croce Rossa in uniforme militare. Ma la guerra vera, quella
ce la dovremo fare da soli senza gli italiani". Parole non
gratificanti, ma realistiche. Mi è capitato poi di ascoltare alcuni
esperti italiani di pianificazione militare, che mi hanno detto: "Ha
un'idea del numero dei soldati e miliziani serbi impegnati
nell'espulsione di un milione di persone, villaggio per villaggio,
casolare per casolare, selezionando chi deve vivere e chi deve morire?
Almeno cinquantamila. Dietro i quali funziona una pianificazione
perfetta, meticolosa e di lungo termine perché anche un massacro ha
bisogno di trasporti, rifornimenti, nascondigli sotterranei con
carburante, munizioni e ricambi di uomini e mezzi. Una operazione del
genere richiede almeno quattro mesi di preparazione e se si tiene conto
del fatto che la pulizia etnica era già in corso da circa un anno, è
facile dedurre che la fase finale della liquidazione albanese nel
Kosovo era già in fase operativa da dicembre". Azzardiamo allora uno
scenario che contenga questi elementi, più quelli che ci sono già noti,
e partendo dal momento in cui, un anno fa, i satelliti mostrarono ciò
che Milosevic aveva deciso di fare a partire dall'autunno del 1998,
convincendo Nato e americani che la guerra è inevitabile e anzi
necessaria. Ed ecco che, 9 ottobre 1998, si produce in Italia una crisi
di governo a freddo che espelle Rifondazione comunista, porta alla
guida del governo l'ultimo segretario del Pci-Pds e prepara le
condizioni per spedire nell'entusiasimo generale (europeo, prima ancora
che italiano) Romano Prodi a Bruxelles. Il regista di questa operazione
politica è uno stratega di nome Cossiga che sostituisce i voti
dell'estrema sinistra con un pacchetto strappato alla destra. Risultato
pratico: l'Italia, indispensabile base di lancio dell'attacco, diventa
un'oasi al riparo da turbolenze capaci di compromettere le operazioni
militari. D'Alema sale a Palazzo Chigi, entra nella parte e alza la
bandiera di guerra: nessun nemico a sinistra, salvo un contenibile
mugugno, ma con la porta del dialogo sempre aperta.
Nel frattempo Cossiga porta a termine missioni nei Paesi Baschi o nella
tenda di Gheddafi, in perfetta autonomia, ma di cui puntualmente
riferisce al governo. Ogni possibile risorsa diversiva utile a
Milosevic nell'area occidentale è sedata. E Gheddafi come un agnellino
consegna alle corti internazionali i due libici accusati della strage
di Lockerbie. Il suo nome viene definitivamente cancellato dall'albo
dei cattivi e quando Milosevic gli invia una disperata richiesta di
aiuto, il colonnello si gira dall'altra parte. L'Italia si comporta
realmente come se avesse avuto la garanzia che non dovrà prestare altro
contributo che le sue piste di decollo. I suoi aerei fanno solo da
scorta. Le sue truppe ricevono crescenti compiti umanitari: piantano
tende, cuociono pane, preparano soccorsi. Il cliché è rispettato:
italiani, brava gente. Il quadro politico interno frattanto è
stabilizzato: dopo molti anni, una legislatura rischia di morire di
morte naturale mentre l'opposizione di sinistra gode di un margine di
manovra che le consente di ottenere tutti i distinguo che vuole in
materia di partecipazione militare italiana. Quella che nessun alleato
si aspetta. Dite se non calza a pennello.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Napolitano critica la Ue, Cofferati: tocca all' Onu

TENSIONE A SINISTRA "C' È SPAZIO PER LA PACE" CRESCE IL GRUPPO DEI 170
FIRMATARI CONTRO L' INTERVENTO DI TERRA IN KOSOVO. PER DILIBERTO E
MUSSI CI SONO SPIRAGLI I VERDI CHIEDONO DI ANDARE A VEDERE L' OFFERTA
DI MILOSEVIC GUERRA NEI BALCANI

ROMA - Nel Transatlantico di Montecitorio, affollato nonostante il
venerdì per il voto di fiducia sulle quote latte, nei settori del
centrosinistra non si parla d' altro. Dopo i colloqui fra Milosevic e
Cernomyrdin, si intravvedono barlumi di tregua. "Se sarà confermata
questa disponibilità", commenta il ministro comunista della Giustizia,
Oliviero Diliberto, "si apre più di uno spiraglio sul quale lavorare
per ottenere immediatamente una tregua e poi la pace". Fabio Mussi è d'
accordo: "Forse si sta muovendo qualcosa che spero possa essere
raccolta, perfezionata e rilanciata dal vertice di Washington". Certo,
cossuttiani, Verdi e Prc hanno una gran voglia di accelerare: il
segnale che abbiamo tanto aspettato, eccolo qua. "Ora", scandisce Ramon
Mantovani, "ci sono tutte le condizioni per interrompere i
bombardamenti e avviare una nuova trattativa". "L' iniziativa della
Russia non va assolutamente lasciata cadere", gli fa eco Marco Rizzo. E
mentre il ministro verde Edo Ronchi torna a ripetere che in caso di
intervento di terra gli ambientalisti (che ieri hanno protestato anche
in aula, votando il decreto sulle quote latte innalzando palette con su
scritto "pace") aprirebbero una crisi di governo, Luigi Manconi non ha
dubbi: respingere l' offerta di Milosevic senza andare a vedere,
equivarrebbe a puntare dritti alla guerra totale. "Chiedo a D' Alema",
dice il portavoce dei Verdi, "di battersi con determinazione all'
interno dell' Alleanza perché non prevalga una posizione oltranzista".
Anche perché, aggiunge, non sono solo i Verdi a rivolgere questa
richiesta al premier, ma un gruppone di parlamentari trasversale al
centrosinistra che si va ingrossando di ora in ora. Ai 170 fra deputati
e senatori che l' altro giorno hanno sottoscritto un
documento-ultimatum contro l' intervento di terra nel Kosovo, ieri
hanno continuato ad aggiungersene altri: Mauro, Siniscalchi, De Simone,
Cesetti, Occhionero. Contro l' intervento militare in Jugoslavia fa
sentire la sua voce anche il responsabile organizzativo dei Ds, Franco
Passuello. "Non si poteva rimanere indifferenti dinanzi all' uso
barbarico della forza", spiega, intervistato da Aprile. "Ma l'
intervento, così com' è stato concretamente realizzato, rappresenta un
uso "grave" della forza. E chi ha a cuore la costruzione di atti che
costituiscano la pace, chiede subito di bloccare l' intervento dei
bombardieri, il dispiegarsi di una logica di guerra che non porterà a
nulla di positivo". Mentre Giorgio Napolitano punta il dito contro i
ritardi dell' Europa e della Nato, all' iniziativa di D' Alema, che ha
incoraggiato Kofi Annan a intraprendere una forte azione politica,
arriva il pieno appoggio di Sergio Cofferati. Il segretario generale
della Cgil mette però in guardia dai rischi di un intervento di terra,
"che radicalizzerebbe un conflitto destinato ad allargarsi".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Remondino: allora bisognerebbe bombardare tv in tutto il mondo
"GENTE CHE LAVORAVA ALTRO CHE MILITARI"

INTERVISTA/1

MILANO (a.dip) - Ennio Remondino, inviato Rai a Belgrado. Sandro Curzi
dice che lei è stato avvertito sei ore prima del bombardamento alla
sede della tv. "La realtà è molto diversa. Qui, con il passaparola tra
colleghi, è da qualche giorno che sappiamo che certi obiettivi stavano
entrando sotto tiro. Diciamo che da qualche giorno sapevamo che
dovevano trattenerci il meno possibile in quel palazzo, soprattutto di
sera e di notte". Come ha vissuto quelle ore? "Con angoscia fortissima,
ho visto morire in modo atroce persone con cui ho lavorato. Quella che
fossero una sorta di soldati di Milosevic è un' orribile sciocchezza.
In quel palazzo lavora un sacco di gente che lavora e basta, per
vivere, per mangiare, E tanti di loro sono invece morti, è terribile,
altro che storie. Ed è tutto sbagliato". Perché? "Perché in quel luogo
non c' erano potenti, al massimo c' erano dei loro servitori. E ai
servitori si tirano le uova marce, non i missili". Che è successo nelle
ore successive, tra di voi? "Ci siamo riuniti, tutti giornalisti e
operatori delle tv straniere, eravamo cento, centocinquanta, siamo
andati in un albergo dove abbiamo incontrato rappresentanti della tv di
Belgrado. Uno di noi, un tedesco, ha letto un messaggio di solidarietà.
Abbiamo osservato un minuto di silenzio per i morti, una cosa semplice,
commovente". Ma quella tv, si dice, non era libera, era uno strumento
di guerra. "Con questa logica bisognerebbe dichiarare guerra a mezzo
mondo e bombardare sedi televisive a ripetizione. Chi giudica? Chi è il
tribunale mondiale della verità? Esiste? No che non esiste. E alla tv
turca che esalta la condanna a morte di Ocalan che dobbiamo fare?".
Qual è il punto? "Il punto è che, non si può negarlo, questo regime
vive sulla propaganda. Se le forze del bene, chiamiamole così, danno
appigli all' avversario, tutto diventa più difficile, è successo con il
treno, è successo qui con la tv". Lei sta parlando liberamente in
questo momento? "Sì, me ne infischio se ascoltano. E poi di chi
parliamo? Quelli con cui ho lavorato a lungo, perfino quelli che mi
requisivano le cassette per controllarle, non li immagini come una
banda di scherani aggressivi. Sono, e alcuni purtroppo erano, anche
persone gentili, che aiutavano, con slanci generosi verso il nostro
lavoro. E noi, in teoria, eravamo e siamo quelli degli aggressori".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI

ANNIVERSARIO CON I MISSILI

WASHINGTON FIGLIA di un magnifico passato ma insieme madre di un futuro
ancora informe, quella Nato che per mezzo secolo ha garantito anche la
libertà di odiarla e la prosperità dell' Europa occidentale, si scopre
aggrappata a un tiranno di provincia per dare un senso al proprio
presente. Unità, determinazione di vincere, rifiuto di ogni "manovra
diversiva" di Milosevic, devozione a ideali di moralità e di democrazia
e forse qualche segno di flessibilità sono gli impegni sottoscritti
ieri in quella che doveva essere la celebrazione dei cinquant' anni
della grande signora in blu nata proprio a Washington ed è diventata
invece un sobrio, triste consiglio di guerra. CONTINUEREMO a
bombardare", hanno detto i capi di governo stappando l' amaro champagne
serbo, dobbiamo "vincere" e spazzare via l' "ultimo tiranno" europeo
del XX secolo, dice Clinton ed è ovvio, banale dire che la Nato non
possa permettere a uno Slobodan Milosevic di fare quello che Stalin,
Kruscev, Breznev non riuscirono a fare: sconfiggerla politicamente. Ma
proprio qui, in questo assoluto imperativo di vittoria sta la tremenda
scommessa che queste 19 nazioni hanno fatto con sé stesse e con i loro
50 anni di storia: la chiave del futuro dell' Alleanza è nelle mani di
Milosevic. Il senso e l' importanza di questo summit, che la guerra
sulla ex Jugoslavia ha avuto almeno il merito di strappare alle
americanate hollywoodiane che incombevano su di esso, sono racchiusi in
questa trappola di ferro che la Nato ha costruito per sé stessa e dalla
quale adesso deve a ogni costo uscire, unita, vittoriosa e soprattutto
coerente con la moralità che predica. Non ci sono dubbi che la signora
della Guerra Fredda si sia trovata a questo appuntamento in una
posizione difficile. Nessuno aveva previsto che la guerra avrebbe
allungato la sua ombra sulle bandiere della celebrazione (ma quante
guerre sono cominciate con l' illusione e la promessa che sarebbero
state "brevi" ?). I registi del compleanno non avevano calcolato che
discorsini e marcette si sarebbero accavallate sugli schermi del mondo
con le rovine della centrale TV di Belgrado, nelle quali la brutale
eloquenza della guerra contraddice la retorica della pace. E meno di
tutti il regista della crisi, Bill Clinton, avrebbe mai immaginato di
scoprirsi, lui eletto presidente "americano per l' America", trascinato
come il fondatore della Nato, Harry Truman, su un fronte di guerra che
sta ben oltre gli oceani e ben oltre la sua esperienza e preparazione.
Poiché i meriti acquisiti in passato non sono mai garanzia di successi
futuri, non più di quanto festeggiare un cinquantesimo compleanno ci
garantisca altri 50 anni di vita, né gli Stati Uniti, né la Nato hanno
la certezza di "vincere" questa guerra. E il profumo del dubbio
aleggiava evidentissimo ieri, nella eccessiva e preoccupante insistenza
sull' unità di tutti, nella promessa di vincere a ogni costo, nella
scelta di non dibattere apertamente, e dunque di non decidere, la
questione cruciale del possibile attacco di terra per liberare il
Kosovo. Soprattutto si notava l' imbarazzo storico, quasi genetico, di
un' organizzazione che non è stata costruita per fare la guerra, ma per
evitarla. E che ha sempre definito le sue "vittorie" in termini di
guerre non combattute. La Nato non sa "fare la guerra" e lo si è visto
in questo mese di bombardamenti spesso molto maldestri. Sa impedirla.
In mezzo secolo di esistenza, l' Alleanza non aveva mai dovuto sparare
un colpo, né concepire altro che strategie di difesa e di contenimento.
Mentre le armate sovietiche o i loro ausiliari locali dovevano
periodicamente sparare su tedeschi orientali, polacchi, ungheresi,
cechi per mantenerli in riga, la Nato incassava i dividendi degli
inevitabili errori sovietici. L' immenso vantaggio strategico del gioco
in difesa, il chiarissimo ruolo di scudo (soltanto gli agit prop del
Cominform poterono sostenere che la Nato sognasse una nuova Operazione
Barbarossa) sono assenti nell' attacco alla Serbia. Errori gravissimi
di guerra psicologica come l' attacco a una stazione TV o azioni vuote
come il bombardamento della villa presidenziale deserta cadono
stridenti come unghiate sopra una lavagna, nelle ore in cui si dovrebbe
celebrare la compiuta "missione di pace". Per questo i 19 governi
riuniti qui in una Washington ridotta a campo fortificato, hanno
cominciato a ridefinire al ribasso ieri che cosa costituisca
"vittoria". Non vorremmo leggere troppo nei comunicati e nelle
dichiarazioni e vedere "spiragli" di luce dove è soltanto buio. Ma ci
sono sfumature, nei documenti di questo consiglio di guerra che fanno
pensare. Dicono che i bombardamenti potrebbero cessare quando
"cominciasse il ritiro serbo dal Kosovo", dunque non a ritiro avvenuto.
La forza di controllo potrebbe entrare per gradi e comunque sotto le
bandiere dell' Onu, non della Nato. Il ritorno dei profughi, unica
condizione sacra e non negoziabile, dovrebbe anch' esso soltanto
"cominciare" e il negoziato per la sistemazione futura del Kosovo deve
"riprendere", non concludersi. I piani per l' attacco a terra restano
allo studio, ma non hanno ancora ricevuto il via libera del consiglio
Nato dove Clinton è il più deciso a evitarlo, sapendo bene che
sarebbero soprattutto i suoi soldati a morire per Pristina. Forse
leggiamo troppo, in queste sfumature. Forse non è vero che Milosevic
cominci a dare segni di cedimento, come i russi credevano di avere
capito, ingannando anche Cernomyrdin. Ma il fatto che Clinton abbia
evitato ieri di costruire un' altra scatola di ferro dentro la quale
chiudere la Nato - l' attacco terrestre - è un segno che lui e i
diciotto alleati degli Stati Uniti sanno che la "vittoria" può essere
definita in mille modi anche senza aspettare la capitolazione del
nemico. E la magnifica signora della Guerra Fredda che ha protetto la
nostra libera esistenza per 50 anni ha capito che non può suicidarsi
per un tiranno di provincia che si fece grande ordinando di sparare
sulle donne e i bambini nel mercato di Sarajevo. Milosevic non vale una
Nato.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2
dal nostro inviato GIANLUCA LUZI

Dini: "è terribile". D' Alema: "Non mi indigno"

L' ATTACCO ALLA TELEVISIONE DIVIDE IL GOVERNO ITALIANO IL MINISTRO
DEGLI ESTERI AVEVA CONTESTATO LA LEGITTIMITÀ DELL'AZIONE. IL PREMIER LO
HA CORRETTO, INVITANDOLO AL SILENZIO: "NON SI PUÒ DISCUTERE OGNI
SINGOLO OBIETTIVO" GUERRA NEI BALCANI

WASHINGTON - "Quando ci si trova in una situazione di questo tipo il
compito dei politici è di stabilire dei vincoli, dei limiti all' azione
militare, non può essere quello di discutere ogni singolo obiettivo
dell' azione". Massimo D' Alema risponde alle domande dei giornalisti,
innanzitutto a quelle sul bombardamento Nato della tv serba. In prima
fila, ad ascoltarlo c' è il ministro degli Esteri Lamberto Dini che
qualche ora prima aveva condannato senza mezzi termini il raid aereo.
Sembravano le dichiarazioni del ministro di un paese avversario della
Nato: "Terribile. Non me ne parlate. Disapprovo", una condanna senza
appello dell' attacco emessa di buona mattina. D' Alema invece non
condanna, né prende le distanze da quella azione militare decisa dai
comandi Nato. Anzi, la giustifica pienamente e difende il criterio con
cui l' alleanza sta conducendo i bombardamenti. E quindi smentisce la
reazione presa dal suo ministro degli Esteri. "Anche questa mattina
abbiamo raccomandato con molta fermezza che le azioni siano studiate
con l' obiettivo di ridurre al massimo la possibilità di colpire
vittime civili. Questo è il vincolo al quale i militari della Nato si
sono attenuti, perché bombardamenti di questa intensità certamente
hanno prodotto un numero di vittime civili...". Contenuto, vorrebbe
dire D' Alema che aggiunge per spiegare meglio il suo pensiero: "Anche
una vittima è troppo, ma considerando che si tratta di una guerra,
certamente il numero è piuttosto limitato rispetto alle dimensioni
dell' attacco aereo. Il che è testimonianza che da parte della Nato non
solo non c' è la volontà di colpire i civili, ma al contrario c' è una
grande e scrupolosa attenzione a non colpirli. E vorrei dire anche una
trasparenza: quando accadono degli incidenti, questi vengono ammessi,
dichiarati, documentati. Io credo che così debbano comportarsi le forze
armate dei paesi democratici". Non così invece si comporta il
presidente serbo. "Non ho ancora visto Milosevic dire: ci siamo
sbagliati ed effettivamente abbiamo ammazzato migliaia di persone e
adesso vi facciamo vedere le prove". Quindi il bombardamento degli
impianti tv non è da condannare: "Non credo che possiamo ogni giorno
commentare. I mezzi di informazione sono importanti, però non possiamo
dimenticare che quello è un paese dove un giornalista libero lo hanno
assassinato nel portone di casa sua". Dini invece di buon mattino aveva
messo profondamente in dubbio la legittimità dell' attacco alleato:
"Non credo che fosse neppure nei piani. Il bombardamento della
televisione, a mia conoscenza, non era nei programmi". Anche il
ministro della Difesa Scognamiglio, come D'Alema, ha usato parole e
toni diversi da quelli di Dini. Scognamiglio, infatti, ha citato il
giudizio dei militari dell' alleanza secondo cui gli impianti
televisivi sono un obiettivo legittimo perché usati da Milosevic come
strumento di propaganda di guerra. "Ho ascoltato le interpretazioni che
sono state date dai comandi Nato, i quali giudicano che la propaganda
costituisce un elemento importante nella conduzione dell' azione di
guerra e quindi possa essere incluso fra gli obiettivi della fase
attuale".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2
dal nostro inviato VANNA VANNUCCINI

Morti e feriti, negli studi lavoravano 70 persone

UN MISSILE SPEGNE LA TV SERBA COLPITA LA VOCE DEL REGIME, MA L'
EMITTENTE RIESCE A RIPRENDERE LE TRASMISSIONI. ATTACCO NOTTURNO SULLA
CITTÀ DI NIS UN RAID ANNUNCIATO: MARTEDÌ LA CNN AVEVA TRASLOCATO

BELGRADO - "Erano appena suonate le 2 quando ho sentito una tremenda
esplosione. Ho capito subito che avevano colpito la televisione. Abito
qui vicino e sono scesa di corsa a vedere". La signora bionda con gli
occhi celesti rossi di lacrime e di fumo che si aggira stranita per la
via Tarkovska lavora alla tivù serba come archivista da vent' anni.
Sono le 3 del mattino e l' edificio a quattro piani che era il cuore
della tivù serba, il cosiddetto "broadcast" o centro di controllo, non
esiste più. Un missile laser comandato l' ha schiacciato dall' alto,
preciso come un colpo di maglio. Di notte alla tivù serba lavorano due
studi, In tutto a quell'ora si trovavano nell' edificio una settantina
di persone. Giornalisti, tecnici con il cartellino della tivù serba
(Rts) al bavero della giacca sono venuti a cercare notizie dei
colleghi. C' è chi telefona sul portatile: "Jelena e Aca sono vivi. Ma
Darko non ce l' ha fatta. Stava al "master" e lì non è rimasto più
nulla". Nemmeno Branko ce l' ha fatta. Aveva 23 anni ed era diventato
amico dei tecnici di Canale5 che ogni sera consegnavano a lui la
cassetta da trasmettere in Italia. Mentre le ruspe continuano a
scavare, il bilancio dei morti rimarrà sconosciuto per tutta la
giornata. Dieci, secondo la stima del direttore generale della Rts
Dragoljuv Milanovic che riferisce anche di 17 dispersi. Vittime
innocenti, doppiamente vittime: della Nato che voleva dimostrare a
Milosevic che non ci sono "santuari" invalicabili; e di Milosevic che
non ha permesso l' evacuazione della televisione di Stato, nonostante
fosse un bersaglio annunciato. La Cnn che aveva un suo ufficio nel
palazzo, aveva fatto i bagagli già martedì. E la stessa sera, il
ministro Goran Matic, aveva portato (senza avvertirli) i giornalisti
stranieri a portare la loro solidarietà ai colleghi nel mirino della
Nato. Tra le macerie del palazzo della tivù, al buio, le squadre di
soccorso cercano di estrarre i corpi dalle macerie. Dicono che si
sentono dei lamenti e dei colpi, come se qualcuno bussasse. Si diffonde
un odore acre, il fumo da nero diventa blu e la polizia manda via
tutti: c' è pericolo di avvelenamento. è giorno ormai e per la strada
si è riunita una folla. Vicino alla sede della tivù c' è la chiesa di
San Marco. Tra la chiesa e la televisione un teatro per bambini e una
minuscola chiesina russa. Il teatro è semidistrutto, la chiesina
leggermente danneggiata. "A Clinton dovrebbero dare il Premio Nobel per
un' invenzione senza precedenti: le bombe umanitarie" dice lo scrittore
Dusan Kovacevic, autore del romanzo da cui Kusturica ha tratto il suo
film "Underground". "La follia che aveva sconvolto la Jugoslavia ha ora
raggiunto l' Occidente" dice Kovacevic. "Questa - prosegue - è la
continuazione della Seconda guerra mondiale dopo una breve pausa. E
speriamo che tra qualche anno non ci troveremo in cantine
antiatomiche". Esattamente sei ore dopo questo orrore, la televisione
serba riprendeva a trasmettere regolarmente. Evidentemente era pronto
un piano di emergenza. "Colpiremo il cervello della propaganda di
Milosevic" aveva annunciato un portavoce della Nato. I primi raid della
notte scorsa hanno invece colpito Nis, la seconda città della Serbia.
Almeno 15 missili Nato hanno raggiunto il centro a 220 chilometri a sud
di Belgrado. L' agenzia ufficiale Tanjug dice che un ragazzo di 17 anni
è morto.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2

SOLANA: "UN' AZIONE LEGITTIMA ERA IL MEGAFONO DEL REGIME" JAMIE SHEA:
"LA RTS È UNO STRUMENTO DI GUERRA, FA PARTE DELLA MACCHINA DI
PROPAGANDA JUGOSLAVA" LA NATO

WASHINGTON (m.r.) - "Abbiamo dimostrato che non c' è asilo, non c' è
riparo per gli strumenti che creano le condizioni attraverso cui il
regime di Milosevic attua la sua campagna di repressione". All'
indomani del bombardamento della sede della televisione jugoslava, la
Nato ha difeso con forza la decisione di attaccare un bersaglio che
molti considerano non militare, ma civile. Per il segretario generale
Javier Solana è un "obiettivo legittimo". Che rientra tra quelli "già
inseriti nella lista dei bersagli da prendere di mira per le sue
implicazioni militari". Non si tratta di una nuova fase della campagna
aerea, ha spiegato Solana, sottolineando che "gli attacchi stanno dando
dei risultati" e per questo "saranno intensificati fino alla vittoria".
L' obiettivo, dice il portavoce dell' alleanza, è "azzoppare gli
strumenti fondamentali del regime". "Nessun elemento del sistema di
potere di Milosevic può essere immune" rincara George Robertson, il
ministro della Difesa britannico. I dubbi sull' attacco alla torre nel
centro di Belgrado vengono respinti con determinazione. Nella campagna
aerea in corso, spiegano gli uomini dell' alleanza, la strategia corre
lungo due direttrici: martellare le truppe jugoslave impegnate nella
pulizia etnica del Kosovo, da una parte, colpire "i centri del sistema
nervoso della Jugoslavia" dall' altra. E la decisione di bombardare Rts
parte dalla convinzione che la tv pubblica faccia parte, a pieno
titolo, di questi centri. "Rts - spiega con foga Jamie Shea - è uno
strumento di guerra, fa parte della macchina bellica jugoslava". Non da
oggi: da quando, dice, nel 1991 chiamava i croati ustascia. Da questo
punto di vista, la tv serba "ha tanta responsabilità quanto l' esercito
regolare jugoslavo nel creare il clima politico che ha portato alla
violenza di massa nel Kosovo". Sua la responsabilità di una sistematica
campagna di "istigazione al nazionalismo", che ha creato le premesse
psicologiche per la sistematica ricerca della pulizia etnica, in Bosnia
prima, nel Kosovo poi. Nessuna sorpresa, dunque, secondo gli uomini
della Nato. Il bombardamento della tv viene presentato come la logica
conseguenza di una strategia di crescente pressione su Milosevic, in
una linea coerente con il bombardamento del quartier generale del suo
partito e, poi, di una delle sue abitazioni a Belgrado: ambedue,
secondo lo spionaggio occidentale, ospitavano, in realtà, bunker e
centri di comunicazione, cruciali nell' organizzazione della
repressione politica e militare. In realtà, gli uomini della Nato
sorvolano, oggi, sul fatto che, quando la decisione di inquadrare nel
mirino la televisione fu annunciata, si manifestarono subito, da parte
europea (francesi e italiani in testa) dubbi e perplessità. Tanto che
la decisione sembrava accantonata. Averla riproposta, giudicano alcuni
analisti, può essere il risultato della maggiore autonomia di decisione
che, negli ultimi giorni, soprattutto su pressione americana, è stata
concessa al generale Clark e al vertice militare, nella scelta degli
obiettivi.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1
dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI

Morti e feriti, Dini protesta ma D' Alema lo smentisce

BOMBE SULLA TV DI BELGRADO SCONTRO NEL GOVERNO AL VERTICE NATO. GIÀ
FALLITA LA MEDIAZIONE RUSSA. SOLANA: "INTENSIFICHIAMO GLI ATTACCHI"

BELGRADO ALLE due e venti dell' altra notte la guerra virtuale messa in
scena dalla tv del regime ha incrociato la guerra reale. E il prim'
attore della rappresentazione serba, Slobodan Milosevic, è stato
oscurato dal protagonista dell' attacco occidentale, il missile. Prima
che il razzo lo dissolvesse all' improvviso in un effetto-pioggia,
Milosevic aveva consegnato ai telespettatori alcuni giudizi contenuti
in un' intervista trasmessa tre volte dall' inizio del pomeriggio, in
sintesi o per intero. Sono in corso due conflitti, aveva detto il
presidente jugoslavo: l' uno militare e l' altro mediatico. L' ALTRA
notte le due guerre si sono sovrapposte, come forse era nel destino di
un conflitto specialissimo in cui la Nato non combatte per espugnare un
territorio, ma un regime. Ora l' Alleanza atlantica tenta di vincere la
guerra mediatica con mezzi militari. Distrugge tv e ripetitori nella
prospettiva di invadere l'etere del nemico, come in altri tempi un
esercito avrebbe cannoneggiato una fortezza per avere accesso a un'
area strategica. Ma una fortezza e una televisione non sono la stessa
cosa. La trasposizione della guerra classica nella guerra mediatica ha
un prezzo. E solleva questioni che non andrebbero affrontate solo in un
consesso di generali o nei consigli di guerra di qualche cancelleria.
Prima che il missile trasformasse il palazzo bianco in tomba e rovina,
avevamo parlato con operatori e giornalisti. Nervosi, insicuri. La
settimana scorsa un ammiraglio britannico aveva annunciato che la loro
televisione, la Rts, da quel momento figurava nella lista dei "bersagli
autorizzati". Per questa ragione: aveva calunniato l' Alleanza
atlantica attribuendole la strage di una famiglia jugoslava, i genitori
e tre bambini, uccisi da un missile a Pristina. Così motivato, il
bombardamento promesso suonava come una vendetta privata dell'
aviazione occidentale. Poche ore dopo la Nato aveva onestamente ammesso
l' errore di Pristina, sulle prime negato. Ma il destino della Rts era
rimasto nel vago. Fin quando, negli ultimi giorni e con vari segnali,
il Pentagono aveva di fatto preannunciato l' attacco. Questo doveva
essere chiaro anche al regime. La direzione della Rts non ha voluto
sospendere le trasmissioni notturne e ha obbligato giornalisti e
tecnici al rispetto dei turni. Chi per patriottismo, chi perché
comandato, tutti hanno atteso un attacco altamente probabile. Tutti
tranne la direzione politica: come sempre il regime immola altri, i
sottoposti, nella sua guerra suicida. Ma è innocente, la Nato?
Francamente non si capisce perché un' aviazione quasi onnipotente non
si prenda qualche rischio e preavverta il nemico, quando è il caso.
Poiché non ci vuole molto per intuire che nella lista dei "bersagli
autorizzati" dopo la Rts venga il palazzo di Politika, tv e giornali, a
Bruxelles prendano nota: per non uccidere basta telefonare al numero
0038111-3221836 con qualche minuto d' anticipo. Altrimenti si potrebbe
sospettare che il Comando occidentale ritenga utile spandere un po' di
terrore tra i civili. Se questo calcolo facesse parte dell'alta
strategia, allora dovremmo chiederci se la "guerra giusta" sia tale
anche quando viola la congruenza etica tra mezzi e fini. La Nato ha
spiegato l'attacco alla Rts con una verità incontrovertibile: la tv
statale aiuta Milosevic a mantenere la presa sulla Serbia. Neppure i
giornalisti della Rts negano che la loro televisione sia un cardine del
regime, ovvero del dispotismo sempre meno soffuso e mimetico praticato
da Milosevic. Lo è per mandato istituzionale. E per selezione del
personale. Le redazioni sono state formate, e deformate, attraverso
purghe successive. A cavallo tra gli Ottanta e i Novanta vennero
espulsi gli jugoslavisti che rifiutavano la linea gran-serba del primo
Milosevic, e in seguito chiunque negasse la propria adesione al regime.
Così a Belgrado la Rts è anche nota come "la Bastiglia", la prigione
della verità, la fortezza di Slobodan I, il sovrano che apre
regolarmente ogni telegiornale. Per senso di colpa o per stalinismo
mentale, chi governa la Bastiglia detesta, ricambiato, la stampa
libera. Uno dei capi-redattori plaudiva alla "normalizzazione" di B92,
l' ultima radio indipendente: "Sono pagati dagli americani", mentiva.
Questi capetti si sono calati l' elmetto in testa e ogni sera
allestiscono la guerra virtuale richiesta dal regime: la Nato
"genocida" che vuole sterminare i serbi, il nuovo Terzo Reich, Adolfo
Clinton, le mirabolanti imprese della contraerea serba che falcidia l'
aviazione nemica. Mai un dubbio su ciò che avviene in Kosovo. Mai un
accenno alla volontà occidentale di risolvere la guerra estromettendo
Milosevic. Eppure non è un capataz della menzogna oculata il
quarantenne Slobodan Stetanic, guardia notturna del palazzo del gruppo
editoriale Politika, ora obbligato dal regime a rischiare la morte per
non perdere il lavoro. Non lo è, ma è costretto a pensare come lo
fosse: "Siamo così nudi di fronte alla Nato che in queste ore mi sono
chiesto se non mi convenisse spezzarmi un braccio per saltare il turno
di domani". Secondo il regime, la Nato vuole infiltrare con
trasmissioni occidentali gli spazi di etere conquistati al nemico.
Ammesso che tecnicamente sia possibile, la Nato potrebbe instaurare un
"pluralismo di guerra" con i suoi notiziari, e raggiungere la
popolazione con il messaggio finora bloccato dalle tv serbe: abbattete
Milosevic e la guerra finirà. Ma se questa fosse l'intenzione, gli
occidentali avrebbero tanto più il dovere di raccontare la verità, a se
stessi e ai serbi. La menzogna è la specialità della Rts, ma non abita
solo quel palazzo. La popolazione serba diffida delle tv occidentali
anche con qualche motivo: troppo spesso hanno sentito il portavoce del
Pentagono riciclare le panzane della guerriglia albanese, sempre con
quel tono glaciale e onirico in cui non si avverte l' ombra di una
passione civile. La rassegnazione che leggevamo l' altra notte sulle
facce della gente, intorno al palazzo che bruciava con fiamme violette,
diceva che ormai i più hanno capito l' inevitabilità della sconfitta.
Ma questa guerra mediatico-militare è anche la battaglia per l' anima
della Serbia. E gli occidentali non la vinceranno se accorceranno la
distanza etica che li divide dal nemico.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1
di FURIO COLOMBO

QUANDO I RAID COLPISCONO LA PROPAGANDA
LA POLEMICA

BOMBE e missili della Nato hanno centrato e distrutto la televisione di
Belgrado. L' opinione del mondo si divide fra coloro che provano orrore
e scandalo per la distruzione di uno strumento di informazione, e
coloro che dicono: non fa differenza, l' importante è piegare
Milosevic. Condivido il dolore per le vittime, ma non lo scandalo. Chi
ha seguito la "serata Santoro" con la partecipazione straordinaria di
agenti, viceministri, ministri e nessuna (nessuna) voce fuori dal giro
stretto e intimo del presidente serbo, comprese le testimonianze
"spontanee", sa che non stiamo parlando di informazione ma di una
macchina di propaganda. LA STESSA che ha provveduto a punire Lucia
Annunziata per essersi mossa con dignità, la stessa che provvede ogni
giorno a tenere sotto sorveglianza i giornalisti stranieri rimasti in
Jugoslavia. Però sono sorpreso. Dal punto di vista di chi conduce una
guerra che ha preso l' impegno di essere rapida, implacabile,
chirurgica, rigorosamente militare, l' obiettivo centrato è inutile. L'
allarme, perciò, a parte il costo delle vite umane, che è sempre un
orrore, è un segnale strano. La alleanza più potente del mondo doveva
occuparsi dei palinsesti e delle telecamere della famiglia Milosevic?
Non sto domandando se non c' era niente di meglio da colpire. Sarebbe
una domanda da dottor Stranamore, e chi mi legge sa che non posso
provare alcun entusiasmo per una guerra, anche se vedo ragioni (salvare
i kosovari dallo sterminio) che condivido. Mi sto però domandando se
puntare le risorse immense di un raid ad alta tecnologia, ad altissimo
costo, con grande rischio umano, sugli studi e gli impianti di una
televisione non tradisca disorientamento e incertezza sul che fare.
Intendo dire: un grande colpo di forza contro niente che conta per fare
la pace o finire la guerra, e neppure per mitigare o piegare o ridurre
il rischio. Per spiegarmi propongo un esempio rovesciato. Un Milosevic
adeguatamente potente distrugge i centri di trasmissione della
televisione americana. Bel colpo. Una democrazia dipende intensamente
dal dialogo con la propria informazione. I cittadini di una dittatura,
come ricordano coloro che hanno vissuto sotto il fascismo hanno con le
fonti di informazioni un rapporto completamente diverso. I credenti
cementano la loro fede ciecamente e nel vuoto. Gli oppositori non
contano mai e in niente sulla rete ufficiale delle notizie. Sanno che
sono false e inutili. Ci dicono che i serbi sono un blocco cementato
dalla comune credenza di nazione, di razza, di storia. è evidente che
non è vero. Esseri umani, anche all' interno di legami comuni, hanno
umori, giudizi e pensieri diversi. Negarlo è una affermazione razzista.
Resta però il fatto che una guerra alta, lontana, incomunicabile,
blocca le infinite diversità degli esseri umani in una rete che tiene
tutti schiacciati su ciò che accade lì, sul posto, ogni giorno, ogni
notte. In queste condizioni è frivolo abbattere la centrale televisiva,
perché persino gli adoratori di Milosevic devono avere sempre saputo
che le loro notizie erano solo una voce convenzionale e ufficiale.
Quanto a coloro che non hanno mai avuto fiducia nel loro dittatore,
erano senza parola prima e sono senza parola adesso. L' osservazione
che sto facendo ha poco valore per coloro che antagonizzano comunque la
guerra, o perché respingono qualunque guerra o perché questa guerra
sembra loro troppo "americana", dimenticando che è stata europea l'
iniziativa di invocare la presenza americana per bloccare la mattanza
dei cittadini inermi del Kosovo. Ma è più importante per coloro che si
sono domandati seriamente se un progetto militare di questo tipo
potesse davvero portare - in fretta e con poche vittime - a uno stato
di coesistenza meno sanguinoso, meno persecutorio, scardinando l'
ossessivo richiamo alla razza che ha già abbastanza offeso la coscienza
di questo continente in questo secolo. è in quest' ambito che si sente
allarme e disagio. Bombardare la televisione? Ma allora che ne è stato
delle colonne di carri armati, dei quartieri generali delle armate
serbe, dei gangli del controllo militare del paese, della nervatura di
resistenza fisica (fisica, non propagandistica) del regime? Se tutto è
già finito in cenere sotto le bombe e i missili, allora non è il caso
di occuparsi degli studi televisivi. Sarebbe come puntare ai quadri e
soprammobili di casa Milosevic, dopo avergli scoperchiato la villa. Se
invece qualcuno ha pensato che era necessario colpire la televisione,
in base a quale consuntivo di azioni militari già compiute è giunto a
diramare quell' ordine? è difficile allontanarsi dal pensiero che l'
azione militare, promessa come "perfetta" anche per superare le
obiezioni dei tanti politicamente convinti ma non persuasi dello
strumento guerra, non sia stata, fino a questo punto affatto perfetta.
Ma "questo punto" sono trenta giorni di azioni senza sosta su uno
spazio molto piccolo, con un potere di urto e di danno molto grande.
Ecco che cosa mi sento di dire a chi ha progettato l' azione
distruttiva contro gli impianti della televisione serba. Provoca un'
impressione di decisione estrema, e questo fatto contrasta
drasticamente con tutte le argomentazioni che sostengono la strategia
militare che i più potenti paesi del mondo stanno seguendo. Dunque lo
stato d' ansia, dopo questo evento, non riguarda tanto l' oltraggio
alla libertà di informazione, che in questo caso non c' era. Riguarda
il senso di probabile inutilità di una simile iniziativa in un paese in
cui niente è libero. Ma, proprio per questo, si era detto, quello che
conta è smantellare la forza militare che stringe tutto in una morsa.
Se simili azioni non essenziali e non efficaci diventano simbolo dell'
intervento, sarà difficile far salire il consenso, anche fra coloro che
non hanno mai dimenticato il punto chiave: la salvezza degli abitanti
del Kosovo dallo sterminio.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Ferrara: spiace per le vittime, ma faceva solo propaganda
"MA QUELL' ANTENNA ERA COME UN' ARMA"

INTERVISTA/2

MILANO (a.dip) - Giuliano Ferrara, l' attacco alla tv serba come svolta
di questa guerra? "No, come il proseguimento naturale di quanto fatto
finora". Come aver bombardato un carro armato? "Beh no, come aver
bombardato un ponte, un mezzo di comunicazione, comunque". Senza alcun
dubbio? "Ma non scherziamo. Una tv senza libertà di informazione e d'
espressione è uno strumento di guerra, né più né meno". E le proteste
dei giornalisti? "Pura ipocrisia. Io sento un peso orribile da questa
guerra, vorrei con tutto il cuore che finisse qui, l' evento della
scorsa notte, in sé, è terribile ed epocale, non ci piove: è la
distruzione della tv centrale di una grande capitale europea. Ma qui ci
fermiamo, il signor Milosevic è l' unico responsabile". E così? "E così
arriva questa devastante cultura della mediazione infinita, una
mediazione da magliari che non porta a nulla. E dall' altra parte c' è
Milosevic che procede e aspetta che altri gli tolgano le castagne dal
fuoco, che si facciano prendere dai dubbi, che si dividano. Con un solo
risultato". Quale? "Ma è ovvio, che tutto si incrudelisce, che gli
attacchi si fanno più pesanti, che gli obiettivi da colpire si fanno
sempre più ambiziosi. E di fronte a qualunque vero progetto di
negoziato, Milosevic si tira indietro e dice: fate voi, bombardate. La
Nato non ha nessuna, dico nessun' altra alternativa, e tutto diventa
terribilmente ovvio e conseguente". Si parla di un attacco inutile, che
non favorisce certo la maggiore libertà di informazione. "Spiacente, è
stato tutto fuorché un attacco inutile". Chi lo spiega ai giornalisti
serbi? "Insomma, il primo atto bellico di Milosevic è stato quello di
cacciare le tv straniere. Vuol dire che la questione dell' informazione
televisiva sulla guerra non era una questione, era la questione. L'
informazione serba è uno strumento di guerra, uno dei principali". Non
è troppo calato in una dimensione di conflitto a tutti i costi? "Io? Io
sono sempre stato e sono tuttora un leale sostenitore di chi vuole un
negoziato vero. Il negoziato è fallito, la colpa è di Milosevic.
Insisto, vedere la tv colpita fa impressione, è ovvio. Ma questi sono i
primi conflitti ad altissimo contenuto tecnologico a cui assistiamo,
dobbiamo abituarci a riconsiderarne i modi, e gli obiettivi". Ma questi
missili hanno fatto male a Milosevic? "Gli hanno fatto malissimo".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10
di ANTONIO DIPOLLINA

Insorgono i giornalisti per l' attacco alla tv serba

I MISSILI DELLA DISCORDIA PROTESTA LA FNSI, MESSAGGIO DI SOLIDARIETÀ DI
SANTORO. POCHE LE VOCI A FAVORE DELLE BOMBE

MILANO - I missili sulla tv serba uccidono, polverizzano e rilanciano
al massimo grado le polemiche all' esterno. Cade un simbolo, quello dei
canali informativi attaccati senza pietà e dubbio alcuno, e la guerra
che divide, divide ancora più di prima. Si indignano in molti, con
furore, altri dicono che questa è la guerra. Quei colleghi morti del
palazzo di via Aberdareva, in piena Belgrado, sono "vittime civili e
incolpevoli" per Michele Santoro che insieme a tutta Moby Dick invia
subito un messaggio di solidarietà ai giornalisti della tv belgradese,
un ennesimo passaggio della devastante storia giornalistica che lo ha
coinvolto insieme a molti altri nell' ultimo periodo. Si infuria Sandro
Curzi, direttore di Liberazione, che parla di "crimine di guerra
premeditato contro i civili", sottolineando la distruzione della
storica agenzia di notizie Tanjug ("Da sempre libera") e chiedendo una
condanna severa. Preoccupata e indignata è la Federazione nazionale
della stampa, il sindacato dei giornalisti: "La strage ha coinvolto
anche vittime innocenti, la Nato ha voluto distruggere e uccidere senza
creare minimamente le condizioni per informare correttamente la
popolazione serba". Un comunicato che si conclude con la richiesta di
cessare immediatamente qualunque altro attacco alle sedi e
installazioni degli organi di informazione. L' attacco Nato è
"sconvolgente" per il sottosegretario alle comunicazioni Vincenzo Vita,
che ricordando le "obiettive responsabilità del governo serbo"
ribadisce che "l' informazione è un bene primario e non può essere
messo in discussione". "Un' azione stolta", l' attacco Nato, per il
responsabile Ds per l' informazione Giuseppe Giulietti: "L' effetto
paradossale è quello di ricompattare tutti i serbi intorno al regime di
Milosevic". E il rischio per chi sta di qua, dice Giulietti, aumenta:
il rischio di invelenire tutto e tutti: "Si sta creando un clima in cui
qualsiasi posizione critica rischia di essere assimilata a un non
meglio identificato partito serbo, o a una sorta di pacifismo da utili
idioti". Si dividono, intanto, anche i direttori dei telegiornali.
Sarcastico Enrico Mentana del Tg5: "Brava Nato, bel colpo. Adesso,
mentre la tv serba continuerà a trasmettere, per i nostri inviati a
Belgrado sarà sempre più difficile darci le notizie. Tra noi
giornalisti ci si può dividere sulla guerra in corso, ma un' azione di
questo genere danneggia l' informazione tutta". Qual è il risultato
finale? "Che l' informazione sul conflitto - spiega Mentana - ormai la
possono fare solo la Nato e Milosevic. Chi è in mezzo, rimane muto e
indifeso. Bel risultato". Non capisce il senso di tutto questo, è
sconvolto dalla notizia Emilio Fede, "l' informazione non dev' essere
mai colpita, è sempre garanzia di libertà - si lancia spericolato il
direttore del Tg4 - Spero ancora che sia stato un errore, altrimenti è
stata una stupida iniziativa". Si stupisce dello stupore altrui Paolo
Liguori, direttore di Studio Aperto: "Erano più accettabili le bombe
sulle fabbriche che hanno ucciso gli operai? - si chiede -la vita dei
giornalisti vale forse il doppio di quella degli altri?". Liguori apre
il fronte di coloro che non vedono nulla di strano o inatteso nel
bombardamento alla Rts. E il punto ruota intorno a una questione. L'
Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai, sta da questa parte: "è
inaccettabile che si considerino i mezzi di informazione alla stregua
di basi militari, la libertà di informazione non si ripristina con le
bombe sulle sedi dell' informazione". E invece, secondo Vittorio
Feltri, direttore del Borghese, il punto è proprio lì: "La tv serba
produceva e produce cose utili militarmente: ho visto il vice di
Milosevic parlare alla sua tv e descrivere i profughi in fila come se
fossero gli iscritti a una marcia non competitiva. La tv serba è stata
usata come un mezzo di guerra e di propaganda bellica, come tale, è un
obiettivo militare. Indignarsi su questo bombardamento è fuori luogo:
il problema è non fare la guerra, non le vittime tra i giornalisti. Io
sono angosciato - prosegue Feltri - per tutti i morti di questa guerra,
sono morti operai, commercianti, geometri: ecco, se muore un geometra
mi spiace di più che se muore un giornalista, perché i geometri mi
stanno simpatici". Fermo restando che, secondo Feltri, il sindacato dei
giornalisti farebbe bene a occuparsi d' altro ("della libertà di stampa
in Italia, per esempio") e che questa, come conferma laconico Francesco
Storace, "purtroppo è la guerra". Ma "l' informazione è un valore da
non coinvolgere", dice il presidente della Rai Roberto Zaccaria. "La
guerra non crea mai zone franche - aggiunge però Roberto Morrione,
direttore di Rai News 24 - e oggi più che mai difficile valutare queste
zone franche. Dispiace che ci siano giornalisti vittime, ma nella
guerra ci sono morti innocenti da tutte le parti. Per Paolo Ruffini,
direttore del Giornale radio Rai, invece non sempre la stampa è libera,
ma non si recupera la libertà bombardando.

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la Repubblica - Domenica, 25 aprile 1999 - pagina 1
di GIORGIO BOCCA

LE LACRIME DEI PACIFISTI

IL senatore Cossutta, cresciuto nella propaganda pacifista al servizio
dell' Unione Sovietica, ha proposto agli intellettuali italiani di
prender su un ricambio di biancheria e partire per Belgrado, i ricchi
magari sull' Orient Express, per offrirsi come scudi umani contro l'
aggressione Nato. In pratica rischiare la vita per difendere Slobodan
Milosevic che sarà un combattente per la pace ma usa per le pulizie
etniche della Bosnia e ora del Kosovo le milizie di Arkan definite le
tigri per la loro capacità di non distinguere fra uomini, donne, vecchi
e bambini. PER principio di equità avrebbe potuto proporre un' altra
destinazione, qualche villaggio del Kosovo o la capitale Pristina
appena bruciata per fermare anche lì qualcosa di poco pacifico, la
deportazione di centinaia di migliaia di persone. Questo pacifismo
inteso come campagna propagandistica, spiega molti aspetti ambigui di
questa guerra: non solo quella che si combatte in Serbia ma anche
quella che divide la pubblica opinione italiana. Qualcuno ha osservato
che le guerre di questo tempo non sono più paragonabili all' ultima
mondiale che fu una guerra per la vita e per la morte, per la
sopravvivenza della umana civiltà, insomma una guerra che fu combattuta
fino all' ultimo uomo e all' ultimo fucile attorno al bunker di Hitler.
No questa guerra è un' altra cosa come quelle che ogni tanto si
accendono e poi spariscono nel tormentato pianeta: insieme militari e
politiche, fatte, come quella del Golfo, per abbattere il dittatore
Saddam Hussein, ma anche, a guerra vinta, per risparmiarlo come
cuscinetto rispetto alla minaccia dell' integralismo iraniano. Sempre
distinguendo i poveracci di cui fare carne da macello, dai nuovi
signori, quasi una riedizione delle guerre medievali in cui i poveracci
venivano messi ai remi o nelle galere mentre i cavalieri e i re erano
subitamente riscattati con moneta sonante. Nelle guerre totali mondiali
per la sopravvivenza ogni intelligenza con il nemico, ogni strappo alla
legge marziale veniva duramente punito a volte con la morte, adesso in
occasione di questa drole de guerre, il fatto che il Parlamento
italiano, il governo italiano facciano parte di un' alleanza i cui
membri hanno concordemente deciso la campagna contro la Serbia, non
impedisce ai nostri pacifisti, autentici od opportunisti che siano, di
andare a Belgrado alla corte del tiranno. Come se una buona parte della
nostra pubblica opinione non sapesse bene che cosa è una guerra e la
confondesse con una specie di gioco, spesso feroce, ma sempre attento
ai rispetti che si devono alle persone "importanti", alle professioni
importanti come l' informazione televisiva. In una guerra diciamo
normale si entra in campo all' unico scopo di vincerla, e di
conseguenza vengono considerati come obiettivi principali le armi e le
difese più forti del nemico. Qui no, per tutti coloro che si sono
sdegnati e hanno protestato contro l' attacco alla televisione di Stato
serba essa non è, come è evidente, una delle armi più forti di
Milosevic, non è lo strumento di propaganda e di menzogna che ha
sistematicamente ignorato la pulizia etnica, fatto dei carnefici delle
vittime, infiammato, ingigantito il sentimento nazional-etnico, il
complesso di Davide contro Golia che agli occhi dei serbi e della loro
passione nazionalista potranno anche sembrare ammirevoli ma che a chi
ha deciso di risolvere la partita con le armi sono inequivocabilmente
ostili. Si dice da molti conoscitori della Serbia e di Milosevic che l'
errore principale della Nato è stato di sottovalutare l' avversario, di
non sapere fin dove può spingersi il suo gioco. Una controprova è il
modo con cui l' informazione nostra e di altri paesi Nato ha accolto le
manifestazioni patriottiche dei giovani, dei cittadini che sventolando
bandiere nazionali si tenevano per mano sui ponti, esempio di quegli
scudi umani a cui il senatore Cossutta vorrebbe destinare i nostri
intellettuali. Ebbene c' erano due modi di reagire a quelle immagini,
quello del pacifismo che scambia questa guerra per un gioco: ma guarda
che coraggiosi, guarda che bravi. E quello di chi, avendo conosciuto
altre guerre e altre dittature, è inorridito vedendo che uso di un
sentimento sincero e generoso abbia potuto fare un autocrate, un uso
che neppure Hitler, neppure Stalin fecero né a Berlino né a
Stalingrado, forse perché sapevano molto bene che la guerra non è un
gioco e che mandare o lasciar andare dei cittadini inermi a difesa di
obiettivi militari è complicità in strage. L'episodio della televisione
bombardata e degli sdegni e delle proteste corporative è un' altra
prova di quanto le guerre totali per la sopravvivenza fossero diverse
da queste che possono sembrare e forse sono anche disfida politica o
gioco. La pretesa cioè dei nuovi mezzi informatici e telematici
dominanti di essere in qualche modo al di sopra delle parti quando è
evidente che ci stanno dentro fino al collo e che vengono usati dalle
opposte propagande. Il povero Remondino corrispondente forzato da
Belgrado, quella fotografia tessera che di lui appare sugli schermi
mentre spiega "vorrei dire ma non posso", fa il pari con i
corrispondenti americani a Bagdad. E sostenere che anche questa è
informazione equivale a scambiare un uomo libero con un ostaggio.

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la Repubblica - Domenica, 25 aprile 1999 - pagina 8
di CARLO BRAMBILLA

"Non facciamo del pacifismo a senso unico. Milosevic? Non è Hitler ma
gli somiglia"
L' EX PARTIGIANA ANSELMI "QUESTA GUERRA È GIUSTA" L'INTERVISTA

MILANO - "L' azione del governo? Decisamente positiva. Abbiamo fatto
tanto rispetto ad altri paesi più ricchi di noi. E abbiamo fatto bene a
farlo perché questi sono i nostri vicini di casa. E poi la nostra
azione militare mi pare sia accompagnata da una ricerca continua e
sincera di vie che possano portare a una pacificazione". Appoggia D'
Alema senza mezze misure la staffetta partigiana Tina Anselmi, a 17
anni nella brigata Cesare Battisti, ai piedi del Monte Grappa, oggi a
Milano per celebrare questo 25 aprile di guerra. Non pochi la
vedrebbero con favore alla più alta carica dello Stato. E la salutano
simpaticamente "Tina for president". Lei lascia correre. E torna,
preoccupata, a parlare della ex Jugoslavia. Giusto anche bombardare la
televisione di Belgrado, provocando morti e feriti tra i civili,
giornalisti, tecnici televisivi? "Non ho elementi sufficienti per
entrare nell valutazioni delle strategie e delle tattiche militari.
Quello che mi se<br/><br/>(Message over 64 KB, truncated)