" QUANTO ALLA NATO, LE BASI RESTERANNO "


Corriere della Sera
giovedì, 27 novembre, 2003
Pag. 15

Rugova, il Kosovo e la conversione «Simpatia per il cristianesimo»


«E' stata la prima fede del nostro popolo. Le moschee sono venute dopo»

Il «Gandhi dei Balcani» indica come sua priorità la vera tolleranza fra
le confessioni diverse nella provincia serba a maggioranza albanese

Battistini Francesco

DAL NOSTRO INVIATO PRISTINA (Kosovo) - Presidente Rugova, è vero che si
è convertito al cristianesimo? Un sorriso, un lungo silenzio. Ibrahim
Rugova è pur sempre il capo d' uno Stato «multietnico» al 90 per cento
musulmano, sostenuto dai soldi (anche) di molti Paesi islamici. L'
antico allievo di Roland Barthes sa pesare le parole: «Diciamo così:
oggi nutro una certa simpatia nei confronti dell' educazione cristiana
e occidentale».
Possiamo chiamarlo un percorso spirituale, quello che sta compiendo?
«La nostra educazione di provenienza è occidentale. E anche
storicamente, la prima fede praticata dal popolo albanese è stata il
cristianesimo. Le moschee e il resto sono arrivati dopo. Già con gli
Illiri, coi Romani ci furono in questa terra fermenti di cristianesimo.
E invece, con gli Ottomani, una parte di questa popolazione è stata
portata all' Islam con la violenza. Questo è accaduto anche dopo
Skanderbeg e la sua resistenza all' invasione dei Turchi».
Un ritorno alle radici...
«C'è stata una penetrazione musulmana molto profonda e questa, ancora
oggi, si traduce nei nomi e nei costumi del nostro popolo. Cristiani e
musulmani si sono integrati con una
certa armonia. L' unico presupposto della nostra esistenza è la
tolleranza reciproca. Senza questa, saremmo scomparsi: noi kosovari, ma
anche gli albanesi e i macedoni. Così oggi, in questo clima, ciascuno
di noi può scegliere la religione, la tradizione che meglio lo
rappresenta».
Lei però è il presidente del Kosovo...
«Il mio è un interesse culturale e spirituale del tutto personale. Vede
quel quadro? (indica l' olio d' un ritratto su sfondo verde, opera d'
un pittore kosovaro) E' un ritratto di Pjeter Bogdani. Fu un grande
vescovo del Kosovo, nel ' 600 combatté la penetrazione islamica in
questa terra. Una figura straordinaria, molto attuale per chi vuole
capire queste epoche di confronto tra civiltà».
Quando si farà battezzare? Altro sorriso:
«Si vedrà... Ora il mio obbiettivo è soprattutto politico: voglio
mirare a una vera tolleranza fra cristiani e musulmani».
Rugova folgorato sulla via di Pristina. E' da almeno un anno che
circolano voci sulla conversione del «Gandhi dei Balcani», capo storico
contestato dalla leadership kosovara, ma ancora
forte d' una maggioranza politica. Un sacerdote italiano segue questo
cammino di fede fin dal ' 99, dai tempi dell' esilio romano di Rugova,
quando questa terra veniva «serbizzata» dalle truppe di Milosevic e
bombardata dalla Nato: «Se si è convertito? - si schermì il prete, mesi
fa, alla nostra domanda -. Non so se sia opportuno rivelarlo. In ogni
caso, chiedetelo a lui». Fatto: una mattina di novembre il presidente
del Kosovo,
anziché sottrarsi, s' alza dalla sua poltrona rosso impero, primo piano
del palazzo sui colli di Pristina, e ci accompagna in una sala vicina,
davanti al plastico color alabastro d' una cattedrale.
«E' il mio sogno: un mausoleo per Madre Teresa di Calcutta, grande
cristiana e grande albanese. L' hanno disegnato due architetti
italiani, Bruno Valente e Giuseppe Durastanti. Sono stato in Vaticano.
Ho mostrato il progetto anche al vostro ministro Buttiglione».
Ma quei soldi non si potrebbero usare per cose più urgenti?
«Il progetto sarà finanziato con le donazioni individuali. In ogni
caso, a noi servono questi simboli. E non è con la somma destinata a
una chiesa che si cambia l' economia di un Paese».
Quale Paese? Lei parla d'indipendenza e gli americani hanno addirittura
fissato una data (il 2005), ma il Kosovo dipende ancora da Belgrado,
almeno formalmente...
«Saremo indipendenti prima del 2005. E' un' ipotesi realistica».
Però la guerra del'99 fu fatta, si disse, per un Kosovo multietnico:
albanesi musulmani vicino a serbi cristiani. Qui invece è tutto
albanesizzato. Pensa che l' Europa possa accettare un Kosovo senza
serbi?
«Questa diventerà una società multietnica, come l' Europa. E' vero: il
primo impatto è che i cartelli, i monumenti, la parlata sono albanesi,
ma solo perché la maggioranza della popolazione è ormai albanese. Dopo
la guerra, le minoranze serbe, turche, bosniache, rom sono diminuite.
Questo non significa che per loro non ci sarà spazio».
Uno spazio minimo: i serbi vengono presi a fucilate. E anche lei,
quante volte ha incontrato le minoranze?
«Talvolta l' ho fatto. Però sono tenuto a limitare le mie uscite
ufficiali per motivi di sicurezza».
Ma lei è favorevole al ritorno dei serbi in zone come Peja, controllate
dai militari italiani, dove la convivenza appare impossibile?
«Sì. Ne sono già tornati settemila. Questo però dipende dalle scelte
individuali, non dalla propaganda di Belgrado che crea solo
destabilizzazione».
A Vienna, ai primi colloqui tra albanesi e serbi dal ' 99, c' era
soltanto lei. I grandi capi del vecchio Esercito di liberazione del
Kosovo, l' Uck, hanno disertato.
«Io ero là come presidente del Kosovo. Ho constatato che altri hanno
esitato. Ma questo fa parte della normale dialettica in una democrazia».
E' vero che Belgrado è disposta a cedere il Kosovo in cambio di 2
miliardi di dollari e d' una scorciatoia per la Ue?
«Illazioni. Non ne so niente. Per noi, il prezzo pagato è stata la
guerra. Poi, se i serbi vogliono entrare nell' Unione europea, sono
affari loro».
Il Tribunale dell' Aja sta indagando su crimini commessi non solo da
Milosevic, ma anche dagli attuali leader kosovari, Thaci e Agim Ceku in
testa. Glieli consegnerete?
«Il mandato di Carla Del Ponte si estende a tutti i Balcani e anche
all' Occidente. Come tutti i Paesi, noi siamo tenuti a collaborare. Ma
se si tratta di eseguire arresti, questo non è compito nostro: è nelle
competenze dell' Onu, che per il momento amministra questa regione».
Questa parte di Balcani (Kosovo, Albania, Macedonia, Montenegro) è un
quadrilatero del crimine. L' Europa è
preoccupata da tanti traffici di droga, d' armi, d' esseri umani. Come
pensa di rassicurarla?
«Il problema è la libera circolazione nell' area. Ora è limitata, se
sei una persona perbene, mentre è indisturbata se sei un
criminale. Qualcosa non funziona nei controlli. L' Onu, le
organizzazioni europee devono capire che i confini vanno guardati in un
altro modo, non bloccando chi vuole produrre ricchezza lecita. Ad
esempio, io vorrei una grande autostrada da Pristina a Durazzo, per
consentire alle merci di arrivare all' Adriatico senza inerpicarsi
sulle montagne, dove sono i contrabbandieri a fare le regole. Ma è un
progetto difficile da far passare».
Quanto deve durare la presenza internazionale in Kosovo?
«La missione Onu sta già trasferendo molti poteri alle nostre autorità.
Quanto alla Nato, le basi resteranno. Il futuro del Kosovo indipendente
è legato al suo ingresso nella Nato».
Ma come sarà, questo Kosovo indipendente? Che bandiera avrà? E i
confini saranno quelli di adesso? Gli albanesi della Serbia meridionale
vorrebbero annettersi a voi, la piazza di Pristina chiede l' annessione
a Tirana...
«La bandiera è già pronta (Rugova ne mostra una nella sala, vicina a
quella albanese). L' aquila schipetara in un cerchio rosso su sfondo
blu, che è il colore del nostro cielo, della tolleranza e dell' Europa.
Ci sono anche la scritta "Dardania", antico nome del Kosovo, e una
stella a sei punte, quella di Skanderbeg. I confini? No, sono
intoccabili. Se li toccassimo, si riaprirebbero contenziosi in tutti i
Balcani».
La bandiera sventolerà sulla cattedrale di Madre Teresa?
«E' presto per dirlo. Il terreno c'è, la prima pietra della chiesa è
già stata posata. Nel 2004 cominceranno i lavori. Abbiamo fretta di
finirla».
Perché?
«Ho chiesto al Papa di venire a inaugurarla».

Francesco Battistini