[Il seguente articolo e' apparso su "Famiglia Cristiana". Dopo una
introduzione "politically correct" che chiama in causa, a sproposito, i
"mostri" mediatici dei nostri tempi, il giornalista descrive
circostanze storiche importanti, delle quali la stampa della sinistra
opportunista preferisce non parlare...]


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Pulizia etnica all’italiana

Tra il ‘42 ed il ’43 il nostro esercito internò nel campo di Gonars
migliaia di persone: quasi 500 morirono in pochi mesi. Il progetto:
ripopolare il territorio sloveno con italiani. Un articolo di Alberto
Bobbio pubblicato su Famiglia Cristiana.


(10/02/2004) E’ una storia rimossa che emerge oggi, 65 anni dopo, con
grande difficoltà dalle pieghe della memoria. E’ la storia della
pulizia etnica all’italiana, che ha lo stesso linguaggio, nasce dalle
stesse intenzioni e procede con le stesse azioni dei signori della
guerra nei Balcani dell’ultimo decennio del secolo appena passato.
Cambiano i nomi, ma quello dell’alto commissario fascista di Lubiana,
annessa al Regno d’Italia nel 1941, Emilio Grazioli, potrebbe essere
equivalente a quelli di Milosevic o Karadzic, e a quelli dei generali
Mario Robotti e Mario Roatta al generale serbo Ratko Mladic o al croato
Ante Gotovina, criminali di guerra.

Ma nessun militare né civile italiano è mai stato processato da un
tribunale. L’Italia si è assolta e l’amnistia del dopoguerra non ha
permesso neppure di conservare la memoria giudiziaria dei fatti. Ora
qualcosa lentamente riemerge e il difetto di conoscenza e di coscienza
collettiva è tragico. Alessandra Kersevan, ex insegnante di scuola
media in Friuli, ricercatrice a contratto in didattica delle lingue
all’Universitа di Trieste, ha pubblicato, con il contributo del Comune
di Gonars, uno straordinario studio sul campo di concentramento
fascista di quel paese, ricostruendo tutta la storia della "pulizia
etnica all’italiana" in Slovenia e in Croazia.

Spiega la Kersevan: “Ho lavorato per 15 anni negli archivi sloveni a
Lubiana, all’archivio di Stato di Udine e in quelli dell’Esercito
italiano a Roma. Gonars è una faccenda tutta italiana. Tra il 1942 e il
’43 vennero internate migliaia di persone, rastrellate dall’Esercito
italiano, donne, vecchi, bambini. Quasi 500 morirono in pochi mesi”.

Ma Gonars, come le altre decine di campi di concentramento fascisti,
rimase invisibile nell’Italia del dopoguerra. Spiega il professor
Spartaco Capogreco, docente alla facoltà di Scienze politiche
dell’Università della Calabria, il maggior esperto dei campi di
concentramento fascisti, di cui a febbraio uscirа per Einaudi il volume
I campi del Duce: “E’ una storia di minimizzazioni e amnesie, che hanno
offuscato gravi e precise responsabilità e che hanno contribuito
all’affermazione di un pregiudizio, quello della naturale bontà del
soldato italiano. Va anche rilevato il potente effetto assolutorio di
Auschwitz nei confronti degli altri campi di concentramento. Ma ciò non
giustifica l’oblio, né della politica di internamento fascista né della
pulizia etnica all’italiana”.

Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942, Roatta, Robotti e
Grazioli fanno circondare Lubiana con reticolati di filo spinato: la
cittа diventa così un immenso campo di concentramento. Robotti spiega
al Duce il suo "metodo deciso": “Gli uomini sono nulla”, e comunica la
sua intenzione di “arrestare in blocco gli studenti di Lubiana”. I
rastrellamenti sono operati dai Granatieri di Sardegna. Il generale
Orlando, comandante della divisione, prevede lo sgombero delle persone
“prescindendo dalla loro colpevolezza”.

Alla fine di giugno Orlando comunica che con l’arresto di “5.858
persone si è tolto dalla circolazione un quarto della popolazione
civile di Lubiana”. Scrive il tenente dei Carabinieri Giovanni De
Filippis in un promemoria che Alessandra Kersevan ha rintracciato a
Roma: “Continua caotico e disorientato il procedimento dei fermi… La
popolazione vive in uno stato di vero incubo”.

La filosofia della pulizia etnica era stata indicata nella circolare
"3C" del generale Roatta: “Internamento di intere famiglie, uso di
ostaggi, distruzione di abitati e confisca di beni”.

“Internamento di massa”

Il 24 agosto 1942 Grazioli prospettava al ministero dell’Interno
“l’internamento di massa della popolazione slovena” e la sua
“sostituzione con la popolazione italiana”. Robotti spiega ai
comandanti: “Non importa se all’interrogatorio si ha la sensazione di
persone innocue. Quindi sgombero totalitario. Dove passate, levatevi
dai piedi tutta la gente che può spararci nella schiena. Non vi
preoccupate dei disagi della popolazione. Questo stato di cose l’ha
voluto lei, quindi paghi”.

In un altro rapporto, Robotti lamentava: “Si ammazza troppo poco”.
Roatta raccomandava l’uso dell’aviazione e dei lanciafiamme per
distruggere i paesi.

Il campo di Gonars, allestito per gli arrestati sloveni, in poche
settimane è pieno. In estate viene approntato in fretta e furia il
campo di tende sull’isola di Rab: donne, vecchi e bambini sono ospitati
in condizioni disumane.

Il vescovo di Krk, monsignor Srebnic, il 5 agosto 1943 in una lettera
al Papa parlerà di più di “1.200 internati morti”. Alla fine del 1942
il sottosegretario all’Interno Buffarini dа notizia al Duce che “50.000
elementi sloveni” sono stati internati in Italia.

Nell’autunno 1942 la diocesi di Lubiana fa arrivare alla Santa Sede un
documento dal tono molto preoccupato, che chiedeva interventi per
evitare che i campi “diventino accampamenti di morte e di sterminio”.
Il Vaticano la inoltra al ministero dell’Interno fascista. Risponde
proprio il generale Roatta, minimizzando la situazione, contestando i
dati e rimproverando il Vaticano: “Molte delle lagnanze affacciate dal
Vaticano sono destituite di fondamento. I comandi militari non hanno
bisogno di suggerimenti per quanto riguarda i doveri di umanità”.

Più volte la Chiesa cattolica interviene a favore degli internati
sloveni nel campo di Gonars, che alla fine del 1942 sono oltre 6.000. I
vescovi di Lubiana, Rozman, di Gorizia, Margotti, e di Krk, Srebnic,
sollecitano un’iniziativa della Santa Sede. Il segretario di Stato
vaticano, cardinale Luigi Maglione, invia a Gonars il nunzio apostolico
in Italia Borgoncini-Duca, il quale però non riesce a capire le reali
condizioni di vita e scrive che “il vitto non manca e l’acqua è
abbondante”.

Altre testimonianze raccolte da Alessandra Kersevan sono assai
diverse. Il segretario dell’arcivescovo di Zagabria Stepinac, don
Lackovic, nel ’43 denuncia alla Croce Rossa italiana che a “Gonars si
trovano oltre 4.000 croati, in maggioranza donne e bambine che soffrono
molto e muoiono in gran numero”. Il salesiano padre Tomec descrive al
Comitato di assistenza di Gorizia la terribile situazione di Gonars in
una lunga relazione: “La gente muore di fame. La minestra è acqua nella
quale nuotano due chicchi di riso e due maccheroni”. E chiede la
possibilitа di inviare pacchi di viveri ai prigionieri.

Il 27 marzo 1943 il prefetto di Udine impone all’Autorità
ecclesiastica di bloccare i pacchi per evitare che “aiuti siano
prodigati a una razza siffatta che non ha mai nutrito, né nutre,
sentimenti favorevoli all’Italia”. E a Lubiana Grazioli ordina di “far
cessare ogni assistenza in favore degli internati”.

Punizioni, torture, orrore

Slavko Malnar, ex internato a Gonars, ha raccontato alla Kersevan:
“Avevo 6 anni e pesavo 13 chili. Con altri bambini cercavamo il cibo
nei bidoni della spazzatura. Se trovavamo qualche grosso osso lo
spaccavamo per succhiare il midollo. Mia madre era incinta. Mio
fratellino è nato il 3 febbraio 1943. E’ morto qualche mese dopo”. Poi
c’erano le punizioni, le torture, insomma, l’orrore di ogni campo di
concentramento.

Oggi non c’è più traccia del campo di Gonars. Nel cimitero del paese
sono sepolti 400 internati, ricordati da un grande sacrario costruito
nel 1973.

Spiega il sindaco Ivan Cignola: “Ricordare la tragedia e riconoscerne
le responsabilitа italiane non è solo un problema storico, ma anche di
sensibilità civile”. Tutti i protagonisti di questa vicenda non sono
mai stati incriminati: Emilio Grazioli venne arrestato dopo la guerra
per due eccidi commessi in provincia di Ravenna. Le accuse circa il suo
operato a Lubiana non vennero menzionate. Tornato subito in libertà,
sparì.

Dei vari comandanti del campo di Gonars solo l’ultimo, il capitano
Macchi, noto per la sua ferocia, venne ucciso dai partigiani nel 1944.
Il generale Robotti è morto ed è stato dimenticato.

Il generale Roatta riparò in Spagna. Poi usufruì di un’amnistia. Una
sua foto è tuttora appesa alle pareti dell’Archivio storico dello Stato
Maggiore dell’Esercito.

Alberto Bobbio – Famiglia Cristiana


Vedi anche:

Le “vacanze al confino” viste dalla Slovenia
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=00

I lager in Italia
http://www.nonluoghi.info/article.php?sid=9


» Fonte: © Osservatorio sui Balcani