IL RATTO GLORIFICATO
(con sentite scuse ai ratti)

MONDOCANE fuorilinea

9/2/04

Fulvio Grimaldi


Di solito in tivù la messa cantata la fanno a dio, in San Pietro, con
tanto di papa, in poche grandi occasioni, Natale, Pasqua, un nuovo
pontefice. Ma c'è un personaggio in questo paese che l'ha avuta
celebrata pur non essendo né dio, né papa e non essendoci nei paraggi
né Natale, né Pasqua, ma solo l'imminenza di un voto in parlamento:
quello sulla legge Boato che rende al capo dello Stato in esclusiva la
facoltà di concedere la grazia a un condannato.
Chi sabato sera s'è trovato davanti al televisore sa di che parlo: la
"Serata Sofri" su "La 7", unica televisione di regime
italo-imperial-sionista che non appartenga materialmente a Silvio
Berlusconi, pur se, evocato dal conduttore e da quasi tutti i
partecipanti alla cerimonia, il cavaliere P2 aleggiava benevolo e
solidale nello studio durante tutte le tre ore tracimate dagli schermi
su una buona fetta di italiani in preda allo stupore. Stupore, a volte
sgomento, ingiustificati poiché forse nessuno in tempi moderni, neppure
Gorbaciov, neppure il più modestino Occhetto, o, più recenti, certi
epigoni rifondaroli, possono vantare, a livello patrio, i meriti e i
crediti accumulati dal protagonista della trasmissione nei confronti di
quella eletta schiera che la trasmissione l'ha voluta, fatta e amata:
la setta di cannibali regnante in Occidente.

Un grande filosofo, riferendosi a Budda, Maometto e Cristo (pur
distinguendo tra esistenza storica reale del secondo, virtuale degli
altri due) aveva parlato dei "Tre Grandi Impostori", adombrando un loro
ruolo nella costruzione dell'architettura planetaria del dominio di
classe e del massacro degli sfruttati. Si parva licet...anche Adriano
Sofri, assente fisicamente dagli schermi, causa condanna per mandato
d'omicidio, ma spurgato in ispirito da tutti i pori della conventicola
riunitasi a cantargli pater-ave-gloria, merita di essere posto sugli
altari - di questi continua a trattarsi nell'era delle "libertà
durature", delle "guerre preventive" e della "spirale
guerra-terrorismo" - dei grandi impostori garanti dell'ordinato
svolgersi delle cose. Questo era l'imperativo di quel circolo della
caccia che malelingue si ostinano a definire cosca, o loggia, o lobby,
o sezione Mossad (l'assenza di Giuliano Ferrara non consente di
inserire il segmento CIA) e che si è impegnata nell'allestimento della
prima beatificazione in assoluto, con messa cantata televisiva, di un
laico non ancora defunto, giudicato in tutti i gradi omicida, e però
grandissimo traghettatore di masse traviate da ambiti e impeti
rivoluzionari nel campo opposto dell'identificazione con - e
dell'assoggettamento al - potere costituito, per quanto guerrafondaio,
carnefice e, all'occorrenza nazista, possa faziosamente essere definito.

Il parterre era affollato, con tanto di giovanilistici culi per terra a
suggerire reminiscenze sessantottine, cosa che non poteva non
confortare, insieme a tanti nostalgici, anche una Rossanda da sempre
fuorviata dalla sua immensa generosità a difendere il "Sofri vittima
della vendetta contro il '68", come prima gli infiltrati nell'"album di
famiglia" travestiti da brigatisti rossi Lo schieramento voleva
apparire trasversale, ma ci voleva l'insistenza dell'anfitrione Gad
Lerner nel dichiararsi prodiano per riequilibrare una platea che
pencolava, giustamente secondo l'assunto, drasticamente a destra.
Certo, non mancava qualche reduce, sennò che senso avrebbe avuto
l'esaltazione del percorso del beatificato, e ai margini del convegno
un paio di strapuntini erano stati riservati ai soliti garanti
liberalsinistri del pluralismo. Che so, un conavigatore della coppia
DS-Dash Roversi-Blady di nome Davide Riondino, oppure un comico, tale
Paolo Haendel, che, stralunato, si trovava a dover recitare
l'impresentabile prosa logorroica e ambigua, seriosamente turgida e
totalmente priva di spirito, di un autore che non pare essere mai
riuscito a superare i conati stilistici del liceale.

Mi rendo conto che corro dei rischi a contrappormi a tanto convito. Un
giornalista investigativo, Attilio Bolzoni, che aveva scritto un libro
sull'assassinio di Mauro Rostagno, dirigente di Lotta Continua e intimo
di Sofri, finito a Trapani in una cosca di trafficanti - Saman -
travestita da comunità terapeutica ("Assassinio tra amici"), mi aveva
detto anni prima:"Chi tocca quella lobby muore". Vedremo. Una messa
cantata, quella per Sofri, che più universale e onnicomprensiva non si
potrebbe neanche per Garibaldi. L'unità nazionale abbozzata dal
generale viene qui sublimata in una sintesi a 360 gradi di tutto il
mondo che, tra parlamento e il suo fedele riflesso mediatico, conta e
comanda. Quale commovente volemose bene, quali supremi tarallucci e
vino, quale massima espressione dell'eterno ecumenismo nazionalitario,
dell'intima intesa dell'italiano medio con i poteri che prevalgono.
Tifosi della Juventus o della Roma, certo, ma tutt'un embrassons nous
nell'adorazione del pallone e del suo impero, per marcio e mafioso che
possa essere. Restava fuori dalla lerneriana palude, al freddo,
sprezzato ed escluso, chiunque avesse qualche riserva sulla
glorificazione. Presenti nemmeno in sagoma, come quelle di Lucarelli in
"Blù Notte", le decine di ragazzi, bruciati sui vent'anni dallo Stato
e dai suoi fascisti, che avevano dato retta a Sofri, leader di Lotta
Continua, garante della rivoluzione necessaria e imminente, e che non
avevano fatto in tempo a schivare pallottole o botte mortali prima che
il leader e il suo sodale, Giorgio Pietrostefani, curatore a Parigi di
"Saman Francia" e della flotta contrabbandiera al servizio del
latitante Craxi, chiudessero bottega e mandassero a ramengo una
generazione che nella politica aveva impegnato tutto il suo futuro.

C'era Suor Cecilia, ispirata monaca del Carcere di Pisa che ripeteva,
come l'Al di "Odissea nello spazio", cadenzate, ma tenere giaculatorie
umanitarie su quello e su tutti i detenuti, suffragata con più sostanza
dal sanguigno cappellano dello stesso istituto.: "E' un padre, un
fratello maggiore per gli altri, si adopera per tutti". E buon per
Sofri che tutti, fuori, si adoperano per lui. Chiudendo con un ispirato
e benedicente sorriso, Suor Cecilia calava l'asso: "Io so che il
Presidente può dare la grazia, me l'ha detto mia nonna..."
Incontrovertibile. La chiosa di Gad Lerner, solenne, compunto: "Noi,
però, trasmettiamo sottovoce, con umiltà e cautela. Il destino di un
uomo non può essere trascurato da nessuno". Qualche migliaio di
condannati per reati politici, sprofondati nell'oblio perché incapaci
di farsi accogliere e celebrare sulle pagine di "Panorama", "Il
Foglio", "La Repubblica", annuivano in silenzio. Tombale. Umilmente e
con cautela hanno sollevato perorazioni e novene un'altra ventina di
astanti. Si susseguiva in formidabile sintonia il fior fiore
dell'intellettualità d'ordine italiana. Carlo Ginzburg, annoso
denunciatore delle malefatte giudiziarie nei confronti dell'agnello
sacrificale, ribadiva le vergogne dei giudici. Appariva da una
finestrella il capofila dei picchiatori di palestinesi, Mario Pirani, e
rivendicava di essere stato tra i primi firmatari dell'appello per la
grazia, in combutta nientemeno che con Bobbio e Foa. Lui, intrecciato a
Sofri nel comune auspicio dell' "israelizzazione" del Medio Oriente
(sic) e dell'americanizzazione del mondo. Gli altri due, cui l'eroica
solidarietà con la vittima delle vittime rasserenava una coscienza già
fugacemente increspata dal dolce ritorno senile nei dorati salotti
dell'establishment e della rispettabilità nazionale. Si accavallavano,
a rischio di decadere in tiritere tutte uguali, gli interventi, nomi,
volti e orazioni di illustri rappresentanti dell'etica e della
giustizia. L'ispido Socci, rancoroso conduttore di un talk-show di
estrema destra chiamato "Excalibur", sentenziava che "Sofri non è più
l'uomo che il tribunale ha giudicato" (difatti se allora stava con i
patrioti stragisti ceceni, oggi sta con gli eroici marines di Baghdad).
La quasi intera famiglia Feltri, Vittorio e Mattia, del quotidiano
chiamato con sfottò oscarwildiano "Libero", snocciolava commossa il
rosario delle imprese del "Sofri scrittore e viaggiatore". Luis
Stevenson, Celine, Chapham e perfino Rudyard Kipling impallidivano.
Veltroni, sindaco di Roma e specialista di testacoda ideologici, si
annoverava fiero tra i 371 parlamentari firmatari della richiesta di
grazia e, in stretto connubio super partes con Berlusconi, Cohn Bendit,
Casini, presidente democristo del Senato, Ciampi, capo dello stato e
antifascista di sicura fede, e un altro capriolista, l'enigma di genere
Bondi, portavoce di Forza Italia, giurava che si sarebbe battuto alla
morte per la proposta di legge Boato (un ex-lottacontinuista, costui,
bastonatore di magistrati quanto Sgarbi, ma da destra inavvertitamente
scivolato tra i Verdi).

Aggrappato come un polipo al collegamento esterno, in spregio al
solenne annuncio lerneriano dell'imminente epifania di Marco Panella,
Veltroni insisteva perorando che "la pena non deve essere vendetta,
specie laddove fioriscono segni e prove del ravvedimento, e, a
proposito, mi ricordo dei tanti segni dati da Sofri fin da quando,
inviato a Sarajevo per "L'Unità" che allora dirigevo, fu una delle
persone che spostò la sinistra sulla linea dell'intervento
umanitario....le sue straordinarie riflessioni... l'esemplare
dignità... l'alto senso delle istitutizoni... l'umana
solidarietà...bla-bla- bla... ". Non so se Veltroni e il coppiere
Lerner siano rabbrividiti, ma in quel momento chi non fosse corazzato
di sharonbushismo ebbe a percepire una ventata gelida fin nelle ossa e
sentire come il garrulo cinguettìo dell'accolita sofriana fosse
penetrato da flebili voci. Voci lontane, come soffocate sotto le
macerie di una verità sottoposta al più terribile dei bombardamenti
umanitari: 160.000 serbi della multietnica Sarajevo sterminati o
espulsi per sempre dalla loro città, cancellati da una "società civile
internazionale" dalle zanne come ghigliottine; decine e decine di donne
e bambini nel mercato di Sarajevo frantumati dagli ordigni del loro
presidente Izetbegovic, con lo stesso meccanismo degli attentati
dell'11 settembre, per addossarne la strage ai serbi innocenti e
fornire alibi e supporto morale agli stermini bombaroli della Nato; i
morti di Sebrenica che ancora rivendicano la verità sui massacri subiti
dai propri correligionari, mujahedin di Al Qaida-Cia. La Jugoslavia
sbranata da carnefici transnazionali coalizzati e un branco di
trombettieri ammantati di umanitarismo che spianano la strada ai
carnefici nella coscienza degli ignari, rovesciando in perfetta
malafede la verità del boia e della sua vittima nel proprio opposto:
Woytila, Panella, l'interetnico Langer, che sproloquiava di verginali
intese interetniche sorvolando con salto triplo su torti e ragioni, le
compagnie di giro di preti e Ong, la cosca giornalistica mondiale,
nessuno escluso, e, più bugiardo e cinico di tutti, indiscutibile
garante del consenso a sinistra e nell'intellettualità, Adriano Sofri.

E' un attimo. La storia quelle voci le ha bell'e seppellite. La
geografia le ha distanziate nello spazio, fuori dai diritti, dalla
vista e dalla comunicazione. Il frastuono celebrativo nello studio
tutto macina e tutto rigenera. Ruminano le stesse formule il dc
berlusconide Marco Fellini - "Sofri ha svolto ragionamenti di
eccezionale nobiltà e libertà: oggi la libertà di Sofri è un pezzo
della libertà di tutti gli italiani" - e il senatore forzista avv.
Contestabile che, convinto dell'innocenza di Previti, Dell'Utri e
Berlusconi, è, con ferrea logica, altrettanto convinto di quella di
Sofri. E con ciò non gli fa un gran favore. Un altro forzista a 18
carati, Biondi, quello del tentato "colpo di spugna" su tangentopoli da
ministro della giustizia (!) col Berlusconi I, vola altissimo:"ci sono
problemi che dire non può la filosofia dei giudici", Shakespeare
nientemeno, e pour cause, visto che Pisa rinchiude un emulo di Jago. E
poi chiude con "quel reo non è più lo stesso", rendendo doveroso
omaggio a chi da assalitore di tutti i palazzi d'inverno
dell'ingiustizia e dello sfruttamento ha saputo farsi mangiatore di
operai panelliano, esperto di mangiatoie craxiste, fido consulente del
Martelli candidato prediletto di Cosa Nostra, nobilitante frequentatore
e cantore di tagliagole ceceni, assoldati e addestrati in Afghanistan
dalla Cia perché, sequestrando e massacrando innocenti e ignari per
tutte le Russie, guadagnassero territori e oleodotti all'impero.

Recita la sua particina di sodale in tante imprese "umanitarie"
balcaniche il vecchio compagno Daniel Cohn Bendit e per lo studio passa
un tremito di compatibile eversione. Che però è subito riassorbito
dall'assicurazione che "Dany il rosso" collima su Sofri, tema
dirimente, sia con Berlusconi, che con Fini, glie l'hanno assicurato
entrambi. "Ci vuole per Sofri una grande maggioranza trasversale, che
già esiste nel mondo intellettuale e culturale italiano". Vero, Dany,
maggioranze trasversali al potere ci vogliono, altro che la vecchia
"fantasia" di maggio! Solo che il tuo monito che la riabilitazione di
Sofri sia "un grande segnale per l'Europa" rischia di spaventare un bel
po'. Un Giuda al posto di Gesù nelle aule scolastiche?

E poi Enzo Bianco, vetta intellettuale del parlamento e primo
firmatario insieme a Biondi, che, da ex-ministro degli interni, non si
risparmia una doverosa lancia spezzata per il commissario Calabresi e
la sua famiglia (al defenestrato Pinelli discretamente neanche un
accenno). E Stefano Folli in registrazione, opportuno quanto altri mai
poiché direttore del "Corriere della Sera" per suoi meriti di fedeltà
berlusconide e per demeriti in campo iracheno e di interessi
configgenti del predecessore Ferruccio de Bortoli: "Siamo tutti
convinti che meriti la grazia. E' molto diverso da trent'anni fa, è un
protagonista del dibattito culturale del paese". Concetto, questo,
della diversità tra il reprobo di trent'anni prima e il maestro
dell'etica e dell'estetica contemporanee, involontariamente
contraddetto da un volto liscio e roseo evocato a tutto schermo dal
kibbutziano Lerner, con sottopancia "Gennaro Sasso, filosofo". Sasso,
infatti, proclama Sofri "un raro caso di straordinaria ed estrema
coerenza a proprio rischio e pericolo". Ma anche lui torna ai più
suggestivi toni del dramma esistenziale, profusi a piene mani da tutta
la congrega, quando dall'estrema coerenza, passa al suo contrario,
alla catarsi figliolprodighista che, in questo paese, intenerisce assai
più della coerenza: "Tra quelli che ho conosciuto è colui che ha saputo
realizzare la critica più serena e radicale del proprio passato. Dopo
LC, un impegno sempre totale che comportava grandi sacrifici..."

E il pensiero, lacerato tra coerenze muzioscevoliane e inversioni a U
damascene, tutte comunque epiche, non sa se soffermarsi sul Sofri
fregoliano che arronzava disoccupati napoletani, insorgenti reggini,
gasparazzi torinesi (da "Gasparazzo", l'operaio Fiat immigrato eternato
da un grande disegnatore, morto per portare il giornale di Sofri in
giro per l'Italia) e rilanciava la rivoluzione socialista in coro con i
Vietcong, per poi invertire la rotta e stendere vele all'uragano del
recupero capitalista e del marcio istituzionalizzato, del nazismo
sharoniano e del planeticidio sionista-statunitense. Oppure su un altro
Sofri, davvero straordinariamente coerente, che, complice l'ottusità
senile di un vertice PCI revisionista, statizzato e autoreferenziale,
rintronato dall'ossimoro supremo "partito di lotta e di governo" che
poi ha generato i noti mostri, sabota il più grande antagonismo
dell'Italia nel dopoguerra, lavorando gomito a gomito con la CIA nella
persona del socio editoriale Robert Cunningham, longa manus della
sovversione USA in Italia, padrone della tipografia di "Lotta
Continua", quando ne ero il direttore responsabile, e compare di Sofri
in numerose altre imprese "commerciali", fino a quando l'intera baracca
viene rilevata dai socialisti e da Claudio Martelli, in società con il
confesso provocatore CIA Giuliano Ferrara (un simpatico ricordino che
illustra il rigore della coerenza sofrista è quello che vedeva il
sottoscritto bersagliato da oltre 150° processi per reati di stampa,
tutti attribuibili alle intemperanze redazionali dell'"irresponsabile"
Sofri, mentre lo stesso, all'insegna del "cazzi tuoi", brigava impune
con il "compagno americano"). Coerenza estrema per davvero, e
ininterrotta fino alle operazioni "umanitarie" dell'intellettuale
organico dell'imperialismo nei Balcani e in Caucaso e fino al suo
supporto etico-lettario a tutte le soluzioni finali che il likudnismo
israelo-anglosassone, con i suoi ascari massonico-mafiosi tra Volga e
Po, va eseguendo dall' Afghanistan all'Iraq, dalla Palestina
all'America Latina.

"Sarà dunque Sofri - come si esalta Gennaro Sasso - una grande risorsa
per la vita intellettuale e politica di questo paese, un paese che di
personaggi come lui ha oggi grande bisogno". Un bisogno, per Sasso,
evidentemente non ancora soddisfatto da Lunardi e Bossi, Bondi e
Schifani, la camarilla di Arcore e i fascisti postmoderni di Fini, i
flagellanti alla Fassino e Bertinotti, il bombarolo all'uranio,
opusdeista e loggiarolo, di Gallipoli, o i corifei del sofrismo assurti
a sovrani dei media e a campioni d'inquinamento da ridicolizzare
Starace buonanima

La catena di Sant'Antonio lerneriana non finisce di snocciolarsi e a
uno Stenio Solinas del "Giornale" segue il capodigiunatore panelliano
Franco Corleone e Chiara, l'orfana del Moroni socialista suicida di
tangentopoli, oggi demichelisiana di quel Nuovo PSI che si percepisce
con forchetta in mano sullo strapuntino arcoriano, esasperato dai
lunghi digiuni e vorace più che mai. Ma il momento clou,
l'ospite-bomba, il climax non può non materializzarsi nelle spoglie
stazzonate, sempre più devastate da chissà quali nefandezze, del
guru-arlecchino. Marco Panella non perde l'occasione per trarre dal
cilindro lo stupefacente sposalizio dei contrari ontologici:
appassionata navigazione negli oceani di sangue delle aggressioni
imperialiste e, insieme, nobili tenerezze, delicate sensibilità quali,
tra le altre, l'amicizia, la riconoscenza, l'amore, oh sì l'amore, per
un Sofri visitato due volte al giorno e che in questi anni "è venuto
secernendo una non violenza ghandiana nuova, anzi socratico-ghandiana".
Tanto ghandiana quella non violenza, paiono ancora sussurrare i
fantasmi di prima che ora paiono sprigionarsi dalla ragnatela di quel
volto d'avvoltoio inflaccidito, da averci fatto ghandianamente uccidere
ovunque chiedessimo verità e giustizia. Ma Pannella sa anche come
volgere una celebrazione in una mobilitazione: "Con Sofri stiamo
lavorando a un'enorme manifestazione..." Inavveduto, dimentico
dell'aria che, spettri o non spettri, tira là dove si officiano
liturgie imperiali, lo spettatore per un attimo pensa al 20 marzo,
giorno della manifestazione mondiale contro la guerra all'Iraq, il
razzismo sionista, le occupazioni, il colonialismo, lo sfoltimento
demografico, la fascistizzazione, la tortura, le punizioni collettive,
gli autoattentati terroristici. Errore! Non sono ambiti familiari a un
Panella, o un Lerner, o un Ezio Mauro, direttore del tabloid Repubblica
(guai se fosse mancato!), o un Feltri (dioceneguardi!), o un Pirani, o
un Giulio Salierno ex-picchiatore fascista assassino, radioso in studio
nella grazia su di lui discesa fin dagli anni '50, o un Carlo Rossella,
o un Luigi Manconi, o un'ormai matroneggiante Kanita Focak,
precipitatasi da Sarajevo per informare il mondo che, all'epoca dei
suoi anni belli, Sofri sosteneva Sarajevo, oltrechè ripetendo inganni
Nato e vaticani, recando a lei balocchi e profumi.

No, ad altro evento Panella andava accingendosi insieme al fratello dei
tagliagole wahabiti al soldo della Cia: "un'enorme manifestazione
contro il genocidio in Cecenia". A Mosca, nello stesso momento,
andavano raccattando dai binari del metrò ancora una volta i lembi
umani di una carneficina perpetrata dal patriottismo democratico degli
amici in Cecenia di Sofri, Panella e Osama Bin Bush. Ma su questo né
Panella, né Lerner, né un tardivo, ma parimenti solidale Furio Colombo,
frequentatore dello stesso insediamento di Sofri, nulla avevano da
dire. Altro da dire invece, e non poteva che essere così, aveva la
signora Nelli Norton, polacca, che completava la beatificazione di
Sofri con il racconto di un altro miracolo: la liberazione della
Polonia. "Al tempo della rivolta anticomunista, dei primi scioperi di
Solidarnosc, non solo portava soldi, ma anche messaggi, bigliettini
clandestini, faceva da portavoce dei prigionieri, era il nostro
corriere...Ha contribuito alla libertà e alla democrazia che oggi
abbiamo in Polonia". Ovviamente in quello studio nessuno ha tirato
fuori un libro paga dei viaggiatori in Polonia per controllare se Sofri
fosse stato, per quei servigi preziosi, adeguatamente ricompensato.

Chiude Gad Lerner, che ricordo giovane, talentuoso e prediletto
discepolo di tanto maestro negli anni '70 (me lo rivedo in testa a
cortei filopalestinesi, pensate l'astutissima lungimiranza!) e poi,
come altri di quella che indulgentemente vollero chiamare "la lobby",
avviato ai fasti, se non del potere, quanto meno dei cantori del
potere: Enrico Deaglio, Carlo Pannella, Paolo Liguori, Andrea
Marcenaro, Franca Fossati, Toni Capuozzo, Gianni Riotta, Paolo Mieli...
ragazzi che squadra! Chiude Lerner, rimuovendo un tarlo
democraticistico che gli deve aver infastidito la pur coriacea
coscienza: il coro ha cantato, ma il controcanto? "Nessun
contradditorio", taglia corto, "superfluo e fuoriluogo".

Sofri sugli altari, laici, ma non dissimili da quelli su cui sono stati
posti i missionari apripista dei massacratori spagnoli in Messico, di
Padre Pio, trafficante e mago in Puglia, del cardinale Stepinac,
protettore di nazifascisti in Croazia, di madre Teresa di Calcutta,
istigatrice del culto della povertà, foraggiata da tiranni sanguinari
centroamericani per fingere assistenze mediche e praticare sevizie
antiaboriste alle donne, promuovendo al contempo stragi etniche in
Kosovo. Se ci stanno loro perché non Sofri? Ed è in questo fulgore di
autentica santità che, in apoteotico coronamento, scende dagli schermi
il volto del ragazzo invecchiato senza maturare, accartocciato nel
groviglio delle sue disonestà , quello di sempre, dall'occhio freddo
di caimano. Scende e ancora una volta intossica il mondo da Sarajevo,
sua prova suprema di coerenza: " I serbi, armati fino ai denti,
vogliono un mondo da cui siano cancellati tutti quelli che non sono
serbi".

S'è visto come è andata a finire.

Sottotitoli, sigla e il povero Paolo Haendel che riesce ancora a
infilare un "A presto, Adriano!". Che dio lo perdoni.

Noi invece ad Adriano Sofri, le cui gesta hanno sporcato la vicenda di
una generazione di coraggiosi e generosi, ricordiamo un'ovvietà: tu
potrai chiudere con il passato, ma è il passato che non chiude con te.
Per quanto sta in noi, te lo garantiamo. Nel nome di tutti quelli su
cui è passata la tua ombra di menzogna e di morte.