( Sullo stesso argomento vedi anche:

http://www.salvaimonasteri.org/

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3521 )

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http://www.liberazione.it/giornale/040528/default.asp

Liberazione, 28 maggio 2004

Kosovo, pulizia etnica contro l'arte

Sull'apostolo Pietro affrescato nel XIV secolo nel monastero di Matejce
hanno disegnato gli occhiali e ci hanno scritto Maradona. E' accaduto
in Macedonia e non è certo il peggio che sia capitato a ciò che resta
dell'arte sacra bizantina, soprattutto nel Kosovo che ne è cuore. Dalla
guerra del '99 sono state distrutte, infatti, circa 130 chiese e trenta
di esse sono state colpite durante la caccia al serbo che ha
insanguinato la regione dal 17 al 20 marzo scorso. Muri, dipinti,
antiche icone, oggetti di culto, crocifissi rovinati da incendi e
metodiche distruzioni. La cattedrale della Madonna Ljeviska a Pristina
è andata in fumo dietro il filo spinato che i militari tedeschi della
Kfor avevano lasciato come sua unica difesa.

Una volta la violenza perseguitava gli albanesi e le moschee, ora
l'estremismo della parte opposta sta "ripulendo" il territorio dalla
minoranza etnica e si accanisce contro i simboli della sua religione.
E' proprio vero che la guerra non finisce mai di dimostrarsi rimedio
peggiore del male. I monaci e le suore vengono costretti a sloggiare e
insieme a loro rischia di svanire una porzione preziosa dell'arte
europea. «Non c'è soltanto Giotto nella cultura d'Europa - osserva lo
storico dell'arte Valentino Pace -, questi monumenti sono paragonabili
alla Cappella degli Scrovegni, alla Piazza dei Miracoli o ad Assisi. La
Chiesa ortodossa serba è sempre stata ricca di committenze artistiche».

Eppure sulle rovine di chiese e monasteri di grandissimo valore è
calato il silenzio, così come si parla poco della tragedia
"postbellica" del Kosovo. Fanja Paijc, docente dell'Università di arti
applicate di Kragujevac, è stata tra i primi a far giungere un grido di
allarme alla cultura internazionale. I monaci del monastero di Decani
si sono attrezzati da cybernauti per far conoscere la tragedia della
loro comunità mentre in Italia lo sdegno manifestato da Massimo
Cacciari ha contribuito a far nascere due iniziative, una parlamentare
e l'altra di intellettuali, storici dell'arte, ricercatori, registi,
artisti e politici. L'appello del filosofo veneziano è stato già
sottoscritto da centinaia di personalità ed è nato così' "www.
salvaimonasteri. org" - tramite il sito tutti possono aderire -, con
l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica e mobilitare energie
e risorse. La regista Elisabetta Valgiusti è in partenza alla volta del
Kosovo per "girare" sul campo; sono state raccolte informazioni
dettagliate sul monastero dei Santi Arcangeli a Pristina, dove i monaci
si sono accampati nelle tende per presidiare l'edificio. Da pochi
giorni l'impresa Redenco si è impegnata a fornire i materiali per il
restauro. In Kosovo opera già la Ong Intersos che, sotto la
supervisione dell'Istituto centrale per il restauro, sta curando
interventi di conservazione nel patriarcato di Pec e nel monastero di
Decani. Intanto la Commissione esteri della Camera ha approvato una
risoluzione per la «salvaguardia del patrimonio artistico cristiano nel
Kosovo». L'Italia infatti c'entra molto: i nostri militari fanno parte
della Kfor, la forza Nato ancora alle prese con la tormentata regione.

Ne tiene ben conto Sava Janijc, vice abate del monastero di Decani, che
ieri ha partecipato insieme a Andrej Sajc a due conferenze, una a
Montecitorio promossa dai parlamentari Verdi, dPrc, Ds e di altri
gruppi, e l'altra presso l'organizzazione cattolica "Russia ecumenica".
Il religioso ortodosso chiede che le truppe di interposizione vengano
accresciute di numero e di potere - cioè con un chiaro mandato a
proteggere i serbi -, ma non dimentica affatto l'errore dell'intervento
armato contro la Serbia. Ecco come ci ha descritto la situazione: «Non
ci sono soltanto abitanti frustrati ma una vera sommossa organizzata. A
marzo molti erano armati. In base alle nostre informazioni almeno
diecimila terroristi (così li definisce, ndr) sono pronti a nuove
azioni. Il numero dei soldati non è sufficiente a organizzare pattuglie
ovunque. E' in atto un tentativo di unificare tutti i territori abitati
da albanesi. E' davvero assurdo che la Serbia, bombardata nel '99, oggi
sia il paese più multietnico dei Balcani mentre i territori albanesi
sono stati "ripuliti" degli altri. Ciò dimostra come la guerra ha
aiutato un altro estremismo». Gli domandiamo se non sia un paradosso
chiedere protezione proprio alla Nato e il monaco ci risponde: «Certo
la guerra non era la migliore soluzione, ma adesso, guardando le cose
in modo realistico, la Kfor è l'unica forza che possa fronteggiare il
terrorismo organizzato albanese e proteggerci da una pulizia etnica».
Nelle parole del religioso e nelle reazioni dei giornalisti serbi che
lo attorniano si avverte tutto il peso di una lacerazione profonda. Tra
gli italiani, qualcuno prova a inzupparci il pane, parlando di "difesa
della cristianità" e dell'Europa cristiana. Luana Zanella, parlamentare
verde, replica immediatamente che chi si è opposto alla guerra non
vuole certo lo scontro di civiltà e sogna invece di tornare alla
convivenza esemplare di etnie e religioni che era l'orgoglio di
Sarajevo.

Padre Sava Janijc riconosce che «nei Balcani l'Islam è presente da
oltre 500 anni e - aggiunge - credo che la convivenza sia possibile»,
però «adesso in ambito islamico prevale una tendenza "militante" che è
incompatibile con i valori europei». «Se le comunità islamiche -
continua - non saranno capaci di liberarsi da questo estremismo la
convivenza sarà impossibile. Dobbiamo rafforzare le forze più moderate
ma quelle intanto dovrebbero condannare la distruzione dei monumenti
cristiani». Conflitto etnico o religioso? «E' un conflitto complesso -
sostiene l'abate -, in sostanza è scontro etnico ma, siccome per la
comunità serba il vero pilastro è la Chiesa, l'estremismo albanese
punta contro di essa». E il monaco non prevede nulla di buono nemmeno
per i pochissimi cattolici della zona.

Nel ginepraio kosovaro restano molte persone da salvare. Ed anche molti
monumenti che appartengono alla cultura di tutti, non solo dei
cristiani.

Fulvio Fania

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http://www.salvaimonasteri.org/stampa_11.htm

INFORMAZIONI CIRCA L’ACCERTAMENTO DELLA SITUAZIONE PER LA FORMULAZIONE
DI URGENTI MISURE DOPO LE VIOLENZE NEI RIGUARDI DEL PATRIMONIO
CULTURALE IN KOSOVO E METOHIJA

Per l’accertamento della situazione sono stati scelti, in
considerazione sia della loro importanza che delle notizie allarmanti
sui danni subiti, i monasteri dei Santi Arcangeli presso Prizren, la
chiesa della Vergine di Ljevisa a Prizren e il monastero di Devic’

Sabato 27 marzo 2004 Zoran Garic' e Jovica Lukic', sotto la scorta dei
soldati francesi della KFOR, sono partiti con l'incarico di accertare
la situazione dei monumenti, verificare i danni arrecati e valutare le
possibilità di recupero

DEVIC'

Dall’esame relativo alla situazione del complesso si può concludere che
il monastero è stato saccheggiato e poi incendiato. E’ evidente lo
scopo degli estremisti albanesi di cacciare le monache dal monastero,
saccheggiare i corredi, e poi incendiarlo fino a distruggere
disperdendole le tracce dell’esistenza di questo luogo sacro.
Vanno in questa direzione i seguenti elementi:
-Il cimitero monasteriale sul sagrato è stato devastato, e tutti i
monumenti sulle tombe sono stati distrutti
-dalle stazioni per il pompaggio dell’acqua è scomparso il corredo, con
attento smontaggio delle installazioni
- non ci sono più gli alveari delle api, ma in questo luogo non ci sono
neppure tracce di incendio
- dai laboratori del monastero sono stati rubati i computer e la
strumentazione per l’esecuzione di icone, croci e altri oggetti in legno
- è stato ucciso il bestiame, rubate le riserve alimentari per gli
animali e incendiato il granaio
- sono stati rubati circa 10 mc di legno immagazzinato nel portico del
monastero
- è stato rubato o incendiato tutto l’arredo e i mobili
Sul fatto che tutta l’azione sia stata preventivamente pianificata e
pensata testimonia anche il fatto che il tetto della chiesa, che non è
bruciato, è stato sistematicamente abbattuto.
Situazione della chiesa monasteriale
Gli estremisti albanesi hanno per prima cosa demolito la chiesa, e poi
dato alle fiamme l’iconostasi e il mobilio in legno.
Malgrado l’incendio, si possono trovare protette parti delle icone e
della costruzione dell’iconostasi. La struttura delle volte della
chiesa è conservata. Nella cappelletta di San Giovanni di Devic’ è
stato profanato il ciborio, bruciate le icone e il mobilio, e lo spesso
strato di fuliggine che ricopre gli affreschi rende impossibile vedere
il grado del loro danneggiamento. La situazione descritta comprende
anche le pitture murali conservate nella zona della chiesa presso
l’entrata nella cappella. Le parti annesse alla chiesa dalla parte
nord, che avevano un piano costruito in legno, sono bruciate e del
tutto devastate (è bruciata la struttura tra i due piani e quella pure
in legno del tetto) . Tutti gli elementi in legno – le cornici delle
finestre e le porte- sono completamente bruciati. Non sono stati
incendiati ma devastati gli elementi costruttivi del tetto.
Situazione delle costruzioni nel portico del monastero
- Il campanile : anche se non è stato devastato, non abbiamo ritrovato
la campana.
- gli alloggi : entrambi i fabbricati sono stati incendiati e di
entrambi sono restati solo i muri.
- parti della cappella invernale: l’abside, il tamburo con la calotta
della cupola e parte del pavimento costruito in cemento armato, si sono
conservati, mentre i restanti elementi costruttivi in legno- la
struttura dei piani, le finestre e le porte, come anche la struttura
del tetto, sono bruciati. In alcuni punti ancora bruciavano i resti
della struttura in legno incendiata
- il refettorio: è stato devastato e incendiato, così che ne sono
rimasti solo i muri e parti della costruzione in cemento (colonne,
travi che sostenevano il tetto). Il bagno è stato totalmente distrutto
- laboratori del monastero: devastati e incendiati
- edifici economici: nell’incendio sono state del tutto distrutte le
stalle, i granai e i depositi
- il sistema idrico: le stazioni per l’approvigionamento di acqua non
sono state distrutte, ma gli arredi sono stati saccheggiati. Sono state
distrutte le tavole di distribuzione, cosicché entrambe le riserve di
acqua potabile sono restate senza acqua. Entrambi i bacini per l’acqua
si sono conservati
L’intero sistema elettrico è stato distrutto dall’incendio, così che
nel monastero non c’è energia elettrica.

Bogorodica Ljeviska

Si è in primo luogo osservato che sono stati rimossi gli ostacoli e che
pertanto il traffico urbano si svolge senza interruzioni presso la
chiesa, per cui è ancor più minacciata la pittura dell’esonartece. E’
sbalorditivo il fatto che la chiesa non sia stata protetta né dalla
polizia né dalla KFOR, e che la sola protezione sia stata fornita dal
filo spinato e dall’armatura che circonda il portico e i passaggi. Per
tale ragione non siamo potuti entrare nella chiesa per accertare la
situazione al suo interno, per cui l’informazione è incompleta. Quello
che si è riuscito a vedere sulle facciate e in parte attraverso le
finestre è ciò che segue:
- Il tetto e la copertura della chiesa sono del tutto conservati. Anche
sulle facciate non si riscontrano danni meccanici, ma sono nelle parti
della facciata sopra alle finestre visibili strati di fuliggine in
conseguenza dell’incendio provocato all’interno. La fuliggine è
particolarmente riscontrabile nella facciata occidentale, soprattutto
sul campanile, come anche nelle parti inferiori delle facciate
longitudinali. E’ danneggiata parte della bifora nel piano superiore
del campanile e parte delle struttura metallica delle finestre è caduta
a causa dell’incendio.
- Sulla base di tali osservazioni si può ipotizzare in modo abbastanza
credibile come è stato appiccato l’incendio. Siccome sopra il nartece
si trovava il catecumenio al quale si accedeva con una scala di legno
dalla navata meridionale e che aveva una struttura di legno fra i
piani, l’ipotesi è che proprio qui sia stato appiccato l’incendio, che
successivamente ha interessato il campanile, gli scalini e le due
piattaforme del campanile, come anche le tre porte d’entrata dal
portico. Particolarmente preoccupa il fatto che proprio nel nartece si
conserva la galleria dei ritratti dei Nemanja dell’inizio del ‘300, e
che nelle cappelle e nel catacumenio si trovava una pittura unica
nell’ambito del nostro patrimonio culturale, sulla cui situazione in
questo momento non si può dire niente di preciso.
- La devastazione portata avanti con danneggiamenti meccanici e poi con
l’incendio, che si riscontra nelle fotografia relativa allo stato dei
frammenti di pittura del XIII secolo con la raffigurazione della
Vergine con il Cristo nutritore e alla profanazione della mensa sacra,
rivelano che l’incendio è stato appiccato dopo profanazioni. Ciò
testimonia su un atto pensato e totalmente preventivato.
- E’ interessante il fatto che nella pittura del portico non abbiamo
evidenziato tracce di danni meccanici né da incendio. I cambiamenti
sono dovuti solo alla cenere colata dall’interno della chiesa
attraverso i tre passaggi. Sotto il portico oggi c’è un filo spinato di
protezione

Monastero dei Santi Arcangeli

Per ragioni di sicurezza non è stato possibile accedere a tutti gli
spazi degli alloggi, così che la valutazione dei danni non si può
fornire con sicurezza. In ogni modo l’alloggio è stato devastato e
incendiato, e del tutto distrutto il laboratorio del monastero situato
nella parte a sudest del sagrato. Il monastero non aveva campanile, per
cui la campana era sistemata in una struttura metallica tipo
impalcatura. Oggi la struttura è abbattuta, e la campana danneggiata
giace a terra.
- I resti degli edifici medievali non sono stati esposti alla
distruzione e all’incendio. Non è stata neppure danneggiata la lastra
di marmo sulla tomba dell’imperatore Dusan.
Alloggio del monastero:
è stato subito saccheggiato,profanato e incendiato nello stesso momento
nel portico e nel sotterraneo. Sono state bruciate tutte le parti in
legno degli alloggi. Tutte le celle, il salone, le stanze del vescovo e
dell’igumano sono state del tutto distrutte. Nella cappella è bruciata
l’iconostasi e l’arredo ligneo, ma nonostante sia bruciato l’intonaco
si è conservata tutta la struttura delle volte e della cupola.
Laboratori del monastero:
Gli elementi in legno della facciata e della struttura del tetto sono
del tutto bruciati. L’importante arredo è bruciato con l’edificio. Sono
restate solo parti del bastione e del parapetto costruiti in pietra ,
come anche il camino.
Tutte le installazioni sono bruciate.

(inviata da Sanja Pajic’. Le informazioni sono a cura del CENTRO DI
COORDINAMENTO DI SERBIA E MONTENEGRO E DELLA REPUBBLICA DI SERBIA PER
IL KOSOVO E METOHIJA)

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http://www.salvaimonasteri.org/stampa_08.htm

UN CAPOLAVORO VIOLENTATO

Dopo i recenti disordini in Kosovo abbiamo tentato di fare un bilancio
dei danni al patrimonio artistico: tra i tanti monumenti danneggiati la
cattedrale della Madonna Ljeviska di Prizren, con affreschi
importantissimi del XIII e XIV secolo. E’ stata incendiata nel
pressochè totale disinteresse della comunità internazionale.

ROMA – Guardando le immagini dell’incendiata cattedrale della Madonna
Ljeviska di Prizren e degli affreschi pesantemente danneggiati, la
sensazione è di profondo sconforto. Anche perchè sarebbe bastato che la
forza militare internazionale presente sul territorio, la Kfor tedesca,
non avesse lasciato sguarnita la postazione di difesa della chiesa.
Molti altri luoghi di culto sono stati danneggiati, tra questi, sempre
a Prizren, la Chiesa di San Nicola e la Chiesa del Salvatore, entrambe
risalenti al XIV secolo. I danni più ingenti sono però quelli alla
cattedrale e ai suoi affreschi medievali.
Dice il professor Valentino Pace, docente di storia dell’arte medievale
all’Università di Udine, con cui avevamo parlato prima di avere la
conferma del danneggiamento degli affreschi: “Questi affreschi sono un
capolavoro assoluto: un po’enfaticamente potremmo dire che per la
storia dell’arte hanno la stessa importanza della Cappella degli
Scrovegni. C’è una splendida galleria di ritratti storici della
dinastia regnante serba, i Nemanja, che risale al XIV secolo. Sono
rappresentati il fondatore della dinastia, Simeone, diventato monaco
del Monte Athos (era questa una tradizione dei sovrani serbi, che a un
certo punto del loro regno abdicavano e si facevano monaci) e altri
esponenti della sua famiglia, vescovi e re. Un altro affresco molto
importante nella chiesa è la Madonna col bambino cosiddetto nutritore,
che cioè distribuisce una sorta di manna ai fedeli, risale al XIII
secolo”.
Proprio questi affreschi sono stati purtroppo danneggiati
dall’incendio: il soffitto ligneo sovrastante la galleria dei Nemanja è
bruciato provocando danni ingenti. Almeno la figura centrale con re
Simeone sembra essersi salvata interamente, la stessa cosa non si può
dire purtroppo delle figure accanto. Per quanto riguarda la Madonna
duecentesca, essa sembra essere stata scalpellata nella parte inferiore.
“Il Kosovo -ci aveva detto il professor Pace- è la culla della cultura
serba. Ma al di là del significato simbolico che ha per i serbi, ospita
le maggiori testimonianze dell’arte bizantina, insieme a Costantinopoli
e Salonicco. Purtroppo ho notato un disinteresse sconcertante nella
comunità internazionale, anche fra gli specialisti. Parlando con dei
colleghi inglesi alcuni giorni dopo gli scontri, essi mi hanno detto
che non avevano saputo niente delle distruzioni. I media non si sono
praticamente occupati della questione, al di là di generici cenni a
distruzioni di luoghi di culto. Ma una cosa è che venga bruciata una
chiesa degli anni Cinquanta, altra è che si tenti di incenerire un
patrimonio dell’umanità come la chiesa di Prizren. Il problema è che in
Occidente non si riconosce molto l’importanza dell’arte bizantina e
quindi per Giotto giustamente ci si muove e ci si dispera, per i grandi
e spesso anonimi maestri bizantini non ci si scompone più di tanto o,
peggio, li si ignora completamente”.
Per quanto riguarda la situazione attuale in Kosovo il problema è
simile a quello delle colonie israeliane in Palestina: i monumenti
serbi sono sparsi a macchia d’olio su un territorio ostile a
maggioranza albanese. I rancori sono ancora molto forti: i serbi, da
una parte, si sentono accerchiati, gli albanesi da parte loro vivono la
presenza serba come il ricordo di una vecchia oppressione. Per questo,
e per l’oggettiva importanza artistica di molti siti, è importante che
la Kfor funzioni da forza di interposizione e di presidio delle zone
più facilmente individuabili come bersaglio dell’odio etnico-religioso.
In questo caso purtroppo il meccanismo difensivo non ha funzionato: ne
hanno fatto le spese, oltre naturalmente ai molti morti e feriti tra la
popolazione, anche gli affreschi di Prizren.
Le notizie finora disponibili erano molto vaghe, ma preoccupanti. Si
era parlato di monasteri e chiese incendiati, dopo che il 17 marzo
scorso la spirale di violenza si era riaperta in Kosovo con
l’annegamento di tre bambini albanesi, sospinti in un fiume da
altrettanti coetanei serbi. Erano seguiti gravi disordini che avevano
portato ad alcune decine di morti e si era temuto lo scoppio di un
nuovo conflitto nell’area balcanica. La Kfor ha ricevuto dei rinforzi e
fortunatamente la situazione sembra ora essersi normalizzata. Anche se
questi rigurgiti di violenza feroce e improvvisa non fanno certo star
tranquilli.

“I danni alla chiesa di Prizren – dice il dottor Alessandro Bianchi,
dell’Istituto centrale per il restauro- sono evidenti. Io sono stato a
Pec, nella zona di occupazione italiana, dove ho lavorato al restauro
del patriarcato e della moschea Bayrakli. Lì mi sembra che i monumenti
non siano così vulnerabili, altrove però non so se è così. Anche la
ricostruzione dei monumenti danneggiati può però causare danni molto
gravi: il complesso della Moschea Hadum di Gjakova ad esempio,
costruito nel 1595, composto oltre che dalla moschea vera e propria
anche da una biblioteca storica e da una madrasa, era stato duramente
attaccato dai serbi nel 1999. Un progetto finanziato dai sauditi
prevedeva la demolizione e ricostruzione della madrasa e della
biblioteca (la moschea fortunatamente non aveva subito danni
importanti, così si è potuta salvare sia dalla guerra sia dai
restauratori) La bilbioteca, risalente all’inizio del secolo XVIII, era
sopravvissuta all’attacco per oltre il 60%: una situazione ideale per
un recupero che salvaguardasse il valore formale e storico del
monumento e nello stesso tempo la memoria del terribile evento. Invece
è finita tout court sotto un bulldozer, annullata. Nel territorio serbo
invece più che le azioni belliche (non si registrano danni causati
direttamente dalla guerra del 1999) si manifestano le conseguenze degli
anni di comunismo e poi dell’autocrazia nazionalistica.”

Le foto dei danni agli affreschi e alla chiesa, di per sè evidenti,
provengono dal sito della diocesi di Prizren www.kosovo.com, sulla cui
attendibilità non abbiamo notizie certe. Un ringraziamento particolare
per il reperimento preliminare delle notizie va alla professoressa
Alessandra Guiglia, docente di storia dell’arte bizantina
all’Università La Sapienza.