Otpor, arancione a stelle e strisce
1. L'intervista di E. Remondino a S. Lazendic
2. Il commento critico di F. Grimaldi
=== 1 ===
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/30-Dicembre-2004/
art106.html
il manifesto - 30 Dicembre 2004
STANKO LAZENDIC
Otpor, arancione a stelle e strisce
Serbo di Novi Sad, è uno degli «istruttori» che ha allenato la piazza
di Kiev contro il regime. Per idealità, dice, ma anche per soldi. I
committenti? I governi Usa ed europei
E' il «consigliere speciale» per l'Ucraina dell'American Freedom House.
Accrediti professionali, Milosevic in galera all'Aja, Shevardnadze
deposto in Georgia, e ora Yanukovic rovesciato. Tante trasferte e tanti
«seminari sulla non violenza» tenuti da un ex colonnello della Cia, per
lui e gli altri «trainer». Chi paga?
ENNIO REMONDINO
Non deve essere stato particolarmente difficile per la polizia politica
e i servizi segreti ucraini, eredi del mitico Kgb, stargli dietro.
Stanko Lazendic non ha il fisico del cospiratore, dell'uomo anonimo che
trama nell'ombra nascondendosi. Due metri e qualche centimetro di
mancia, vestiti da 110 chili di muscoli, e si nota, soprattutto se a
camminargli accanto è un giornalista per così dire, «concentrato».
Abbiamo passeggiato e chiacchierato a lungo con Stanko, per le belle
strade di Novi Sad, su in Voivodina, al nord della Serbia, quasi in
Ungheria. Stanko è un giovane uomo di 31 anni che nella vita ne ha
viste molte, a cominciare dalla galera, che ha iniziato a frequentare
dall'imporsi del regime di Milosevic. Diciassette arresti non sono male
per un semplice leader studentesco, se mai è stato vero che Stanko sia
soltanto quello. Stanko non ha potuto essere presente ai festeggiamenti
dell'opposizione filo occidentale ucraina sulla piazza di Kiev, che
pure ha tanto contribuito a organizzare e a far vincere. Stanko
Lazendic è stato uno degli «Istruttori», uno dei «Trainers», che ha
allenato la piazza arancione ad opporsi e a rovesciare il regime. Un
po' per idealità, sostiene Stanko, ma certo anche per soldi, da buon
professionista. Socio fondatore della Ong, l'organizzazione non
governativa serba «Center of not violent resistence», registrata a
Belgrado. Per contatti e contratti, vedi il sito Internet. Accrediti
professionali, oltre a quello di Slobodan Milosevic che attende in
galera la sentenza del Tribunale internazionale dell'Aja per crimini di
guerra, l'ex presidente georgiano Eduard Shevardnadze, e ora il premier
ucraino filo russo Viktor Yanukovic. I committenti per queste singolari
prestazioni professionali di destabilizzazione più o meno non violenta,
sono altrettanto interessanti ma, contravvenendo a tutte le regole
giornalistiche, le lasciamo al Gran Finale del Giallo.
Stanko Lazendic è stato uno dei fondatori del movimento studentesco
serbo «Otpor», che vuol dire Resistenza, ed è da lì che parte tutto.
Resistenza popolare e non violenta al regime di Milosevic in quel
lontano 1998, quando il despota di Belgrado era ancora equivocamente
corteggiato da molte cancellerie occidentali incerte fra l'adottarlo e
il fargli guerra. Otpor nasce allora, ed è probabilmente l'unico erede
del vasto movimento democratico di piazza che negli anni precedenti
aveva quasi dato la spallata decisiva al potere della famiglia
Milosevic. Poi i partiti tradizionali, anche quelli democratici, si
erano ingoiate sia la «Rivoluzione dei fischietti» (Inverno `96, `97),
sia le speranze di cambiamento.
Otpor rivoluziona la liturgia della politica, con i multicolori delle
bandiere, nelle parole d'ordine, nella leadership collettiva, nella
musica sparata in piazza a tutto volume, e nel costante sberleffo al
potere. L'anima slava, sepolta sino allora nell'auto commiserazione, ne
approfitta per ritirare fuori la prorompente carica d'ironia e auto
ironia, dell'amara irriverenza. Ce l'avrebbero fatta da soli e prima e
meglio, quelli di Otpor, con tutto il popolo serbo, se qualche stratega
di Washington non avesse già deciso, in quella metà del 1998, che
Milosevic serviva per collaudare la forza militare della Nato come
guardiano del fronte Est dell'Impero. Quando, il 24 marzo del 1999,
sulla Jugoslavia iniziano a piovere le bombe, Otpor si arruola, assieme
a tutta la Serbia, non accanto a Milosevic, ma contro la Nato. Per loro
quelle bombe sono insensate. Puntano al despota ma colpiscono
innanzitutto le sue vittime, primo fra queste, il popolo serbo e quello
kosovaro. A quasi sei anni di distanza dai bombardamenti, non c'è
persona in Serbia, per «americana» e filo occidentale che sia, a non
chiamare l'evento «Aggressione». Sono gli stessi giovani - molti dei
quali poi diventeranno Otpor - a portare sui ponti sulla Sava e sul
Danubio la popolazione a fare da scudo umano, a sbeffeggiare l'Iper
potenza Nato. E' la loro ironia che ci fa indossare, tutti allora a
Belgrado, le magliette con la scritta «Target». Tutti bersagli, salvo
chiedere scusa quando la scalcinata contraerea serba riesce per sbaglio
ad abbattere un cacciabombardiere F117: «Scusate, non sapevamo fosse
Invisibile».
Occorrono tre mesi al Golia-Nato per stendere - con tanti «effetti
collaterali» civili - il nano militare di Belgrado. Tantini, viene da
dire. Dopo di che Otpor riprende ad attaccare il suo storico bersaglio,
il despota Slobodan Milosevic. Ricordo come allora fu possibile notare
i segni di un'insospettata abbondanza. Sempre la fantasia al potere
della protesta, ma anche qualche soldino in più per manifesti,
striscioni, apparato legale di difesa, bandiere, radio libere e
Internet pirata. Molti di quegli studenti ormai abbondantemente fuori
corso sembrava avessero studiato molto durante il duro inverno della
guerra, lezioni sul come scardinare un trucido apparato di potere per
seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale impotenza. Anche
Stanko Lazendic aveva studiato. In trasferta a Budapest, nella vicina
Ungheria che ancora non chiedeva il visto per i serbi; altri suoi amici
nel protettorato Nato della Bosnia o in quello statunitense del
Montenegro. «Seminari» li chiamavano gli organizzatori, sulla
«Resistenza non violenta».
Due le cose interessanti che riesco ad ottenere dalla memoria di
Stanko: il nome di almeno un «docente» e le molte sigle di chi pagava i
conti di quelle trasferte di «studio». Nel marzo del 2000, uno dei
docenti di Stanko all'Hilton di Budapest, fu un certo Robert Helvi, già
colonnello della Cia, operativo a Rangoon e Burma. L'Ex colonnello Cia
(esiste un «ex» in qualsiasi Servizio segreto?), aveva illustrato i 500
modi «non violenti» per destabilizzare un regime autoritario. In
pratica una rilettura del libro di Gin Sharp, «Dalla dittatura alla
democrazia», che resta dal lontano 1970 il testo base per ogni
movimento anticomunista che si rispetti, tecnica del Colpo di Stato col
Guanto di Velluto.
«Che il conferenziere fosse uno della Cia», insiste Stanko, «nessuno di
noi allora lo sospettava». Ma chi pagava quel seminario a Budapest?
Chiedo. «Quel seminario fu promosso, mi sembra, dalla Us Aid». Lo
sguardo che riceve in cambio, induce Stanko ad una giustificazione non
richiesta. «Noi non siamo della Cia, né lavoriamo per la Cia. Se così
fosse, guadagneremmo molto, molto di più dei pochi soldi che riceviamo.
Una miseria per i rischi che corriamo».
Quanti siano «pochi» i soldi che pagano le loro originali prestazioni
professionali, Stanko Lazerdic non ce lo dice. In compenso ci racconta
dei suoi committenti: ovviamente le organizzazioni giovanili dei
diversi paesi coinvolti. Tutto indipendente e tutto trasparente,
secondo lui. Ma chi paga il conto dei vostri «pochi soldi»? «A volte le
organizzazioni studentesche, a volte direttamente i loro finanziatori».
Risalendo lungo la catena della solidarietà anti despota ex comunista e
anti occidentale, arriviamo finalmente ai nomi. La generosità
democratica in Serbia, Ucraina, Georgia eccetera, ci dice Stanko
Lazendic, esce dai conti correnti di Us Aid, l'organizzazione
governativa statunitense, o dall'Iri, l'Istituto Internazionale
Repubblicano (il partito di Bush), o dal suo gemello Democratico (Ndi),
o dalla fondazione Soros, o dalla Freedom House, o dalle tedesche
«Friedrich Ebert» e «Konrad Adenauer», o dalla britannica «Westminster».
Le trasferte di Stanko in Ucraina, da agosto a settembre, per esempio,
è stata pagata prima dalla Westminster britannica e poi dall'American
Freedom House di cui è «consigliere speciale» per l'Ucraina. In
Georgia, contro Shevarndnadze, pagava Soros. La serba Otpor in formato
esportazione partorisce così «Kmara» (Basta) a Tbilisi, e «Pora» (E'
ora) a Kiev.
Prossimi impegni professionali, Stanko? «Vedremo. Dopo gli ottimi
risultati ottenuti in Serbia, Georgia e Ucraina, spero che avremo altri
contratti. Stiamo già lavorando un po' in Bielorussia e siamo in
corrispondenza con l'Azerbaijan. Vedremo». Già. Anche noi sicuramente
vedremo.
=== 2 ===
Remondino
Ennio Remondino, noto mistificatore buonista delle vicende balcaniche,
ha
avuto dal non più sorpendente Manifesto di Mariuccia Ciotta e Gabriele
Polo
e dell'arancione Astrid Dakli il privilegio di imbrattare un'intera
pagina
di una cialtronesca diffamazione dei serbi e di Milosevic, infilata
subdolamente in tardive pseudorivelazioni su Otpor e furbescamente
collocata
sotto il fuorviante titolo "Otpor, arancione a stelle e striscie", che
poteva far ben sperare. Un titolo che indurrebbe lettori fiduciosi e
consapevoli ad attendersi una, anche questa volta tardiva, ma benvenuta,
rettifica agli scomposti e bugiardi inni alla "primavera ucraina"
sciolti
dal già citato slavofobo, anticomunista, integralista albanese Astrid
Dakli.
Raccontandoci cose che soltanto la complice subalternità dei
giornalisti - e
relativi ufficiali pagatori - della sedicente sinistra radicale ha
taciuto e
stravolto, ma che chiunque di noi si documenti in modo serio aveva
capito,
se non letto e imparato, nell'immediato espandersi della neoplasia
Otpor in
Europa Orientale e nel Caucaso, il Remondino coglie la palla al balzo,
sotto
il benevolo sguardo del propalatore di "contro"pulizie etniche Tommaso
di
Francesco, per rinnovare il suo lavoro di servo furbo dei cantastorie
della
Nato, di Washington e del Tribunale di Carla del Ponte. La tecnica è
quella
di un Bertinotti qualsiasi: la guerra è cattiva, la fanno i cattivi di
Oltreatlantico, ma non meno cattivo è il "terrorismo" islamico, onde per
cui... La conclusione la può trarre facilmente chiunque, visto che il
"terrorismo" islamico non ha nessuna intenzione di sciogliersi nella
nonviolenza e nelle liturgie New Age del neosanfedista al comando del
PRC:
una sostanziale vasellinata ai missili di Bush. Così Remondino.
Coperto dalla finzione tecnica di un'intervista al mercenario prezzolato
Stanko Lazendic, violentissimo nonviolento serbo della genìa che, dopo
il
golpe "nonviolento", ma pieno di teppisti armati e col parlamento messo
a
fuoco, del 2000, ha epurato, bastonando, uccidendo, buttando in mezzo
a una
strada, compagni, giornalisti, sindacalisti, semplici funzionari di
Stato e,
dunque, avviato la svendita del suo paese al proprio carnefice,
Remondino
esercita la solita funzione del cerchiobottista - un colpo al cerchio e
duecento colpi alla botte - che lo ha incastonato quale "onesto
giornalista"
nel folgorante diadema di stupidità e dabbennaggini di tante persone "di
sinistra".
Il trucco consiste nell'inventarsi un Lazendic, giovane partecipe, con
il
"Centro di Resistenza non-violenta" di Belgrado, della rivolta
democratica
contro il "despota" Milosevic (la definizione "despota" ricorre
incessantemente nelle cinque colonne di maleodorante piombo ed è dunque
il
messaggio centrale dello scritto) e, dunque, nell' assegnare a
quell'ondata
di manifestazioni guidate dai mercenari Djindjic e Draskovic, con le
sorosiane donne in nero a sostenerne l'apparenza di autentica e giusta
espressione di malcontento popolare, una patente di democratica
spontaneità
ed autonomia che, come sappiamo, non ha mai meritato. Quel Centro e
quelle
manifestazioni non differivano nè in qualità politica, nè in retroterra
economico in nulla dal lavoro di destabilizzazione per conto
dell'imperialismo che, in chiusura, Remondino identifica negli
arancioni di
Kiev. Anche noi, piccola delegazione di antimperialisti e pacifisti,
incontrammo gli esponenti della coalizione dai vari nomi, tra cui
quello di
"Centro di Resistenza non violenta". Li incontrammo in piena guerra,
cosa
stupefacente per una dichiarata quinta colonna filo-americana, in una
loro
sala "sindacale", in piena Belgrado, sotto gli occhi di chiunque: tale
era
la "dittatura" di questo governo maniaco di elezioni, tanto da farne
ogni
sei mesi e di indiscutibili. Ci espressero tutta la loro foja
capitalista,
qualche remora per le bombe che, dopottutto, potevano cascare in testa
anche
a loro, ma una grande fiducia riservata alle spie Djndjic e Draskovic e,
soprattutto, al malvivente e narcotrafficante Djukanovic del
Montenegro. Si
ritirarono inorriditi ad apprendere che alcuni di noi erano comunisti e,
comunque, antimperialisti. Si soffermarono con loro e, anzi, intessero
duraturi rapporti di fraterna collaborazione solo i "Berretti Bianchi",
per
chi non lo sapesse il ramo itinerante dei "Beati Costruttori di Pace",
quelli che in questi giorni hanno dato il proprio contributo a un
Tribunale
sull'Iraq che raccoglievo il peggio del moderatismo equidistante della
società "civile" italiana e irachena.
Basta scorrere gli atti del Congresso USA per trovare le centinaia di
milioni di dollari stanziati a favore di questa sua quinta colonna nella
disintegrazione della Jugoslavia. Il losco giornalista, approfittando di
quella che in effetti è una memoria molto labile dell'opinione pubblica,
torna a parlare di "radio libere" che fiancheggiavano la sedizione delle
masse narcotizzate dagli agenti della Nato e degli USA. Il riferimento
non
può che essere a Radio B-92, l'emittente
finto-giovanilistico-democratica-di
sinistra foraggiata dal criminale della finanza internazionale
(filantropo
per "Liberazione"), George Soros, e amministrata da Amsterdam dal
circuito
internazionale statunitense di Radio Liberty-Radio Free Europe, rete
messa
in piedi durante la guerra fredda per destabilizzare l'est europeo.
Quindi, Remondino salva tutta l'operazione Cia-Bundesnachrichtendienst
degli
anni '95-'99 e avalla un' Otpor e un Lazendic - originaria invenzione
entrambi dei cospiratori imperialisti - patrioti e combattenti contro la
"dittatura", solo più tardi e solo per "scardinare un trucido apparato
di
potere per seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale
impotenza",
adattatasi a farsi dare "qualche soldino" e qualche lezione a Budapest
(dei
corsi di insurrezione a Sofia si scorda) da un colonello (Robert Helvi)
di
cui manco per niente sapevano che fosse della Cia (è ovvio che spia non
denuncia spia). "Quel seminario, mi sembra (sic!), fu promosso da
USAids",
registra nel suo taccuino e non contesta, l'agevolatore delle
diffamazioni
umanitarie RAI, quando di questi finanziamenti in termini di dimensioni
senza precedenti si vantano da anni (vedi BBC, vedi "Il diario") la NED
(National Foundation for Democracy, vetrina della Cia, finanziatrice dei
golpisti di Caracas), gli Istituti Democratico e Repubblicano degli
USA, le
fondazioni di destra Adenauer ed Ebert (statutariamente vocate alle
infiltrazioni nell'area socialista) e numerose altre fondazioni,
think-tank
e lobby come la International Renaissance Foundation, filiale ucraina
dell'Open Society di Soros, la Eurasia Foundation, pure finanziata da
Soros,
la Banca Mondiale, la Freedom House dell'ex-capo Cia James Woolsey, il
National Democratic Institute diretto dalla iena sionista (con rispetto
per
le iene) Madeleine Albright, oltre alle ambasciate di USA, Regno Unito e
Canada dei vari paesi interessati. Senza contare che USAid è l'agenzia
"di
aiuti allo sviluppo internazionale" che da sempre infiltra e corrompe
nei
paesi da ricondurre sotto lo stivale imperialista, oggi
nazi-imperialista.
Remondino lascia dire - e non obietta - a Lazendic: "Noi non siamo della
Cia, nè lavoriamo per la Cia. Se così fosse, guadagneremmo molto, molto
di
più dei pochi soldi che riceviamo. Una miseria per i rischi che
corriamo"
(l'unico rischio che questi criminali di guerra e di pace hanno corso
finora, in dissonanza con i riconoscimenti e gli osanna di "compagni"
come
Cannavò di "Liberazione" e Dakli e Karol del "Manifesto", sono stati i
calci
in culo ricevuti in Bielorussia, dove, comunque, Lazendic si ripromette
di
tornare a operare). Peccato che lo stesso Lazendic e un altro paio di
ceffi
dirigenti, intervistati da me quando erano installati belli belli nel
cuore
di Belgrado, nel settembre del 2000, ed erano così poveri da riempire di
migliaia di enormi cartelloni e manifesti anti-Milosevic l'intero
paese, mi
abbiano invece detto (come poi confermato da tanti e anche da De Aglio
nel
"diario"): "Siamo orgogliosi di essere aiutati da un servizio di
intelligence di un grande paese democratico". Remondino, sempre
lisciando le
chiappe a questo arnese della canea revanscista, lo inizia a sospettare
cinque anni più tardi.
Questi rifiuti della aggredita e martoriata società serba, al servizio
da
dieci anni del più bestiale imperialismo di ogni tempo, corresponsabili
di
carneficine e spaventosi degradi e impoverimenti, di dittature
colonialiste
e pulizie etniche, lanciati alla disintegrazione dello spazio
euroasiatico
ancora sottratto al dominio e alle rapine dell'imperialismo, si
meritano da
Remondino l'amichevole "Stanko" e la criminale complicità nelle
falsificazioni politiche e umane che tengono rinchiusa un'eroica vittima
all'Aja, insieme a tanti suoi compagni, e che forniscono gli strumenti
per
lo stupro sistematico della verità e della giustizia da parte di
sedicenti
sinistri radicali. A ulteriore accredito della loro genuina origine e
condotta democratiche, questo velinaro delle centrali di diffamazione
sottolinea come, insieme all'opposizione al "despota" Slobodan
Milosevic, i
bravi ragazzi di Otpor criticassero anche i bombardamenti Nato, bontà
loro,
rivendicando falsamente a loro il logo dell'antimperialismo serbo e
mondiale
"target", e quindi facendone dei veri patrioti. Posso solo opporre,
insieme
a tutti coloro che, diversamente da Casarini, Bettin e compagni
disobbedienti precipitatisi a Belgrado per rendere onore all'emittente
Cia
"B-92", avendo sostato per abbastanza tempo sotto quelle bombe Nato in
tutta
la Serbia, e anche dopo, non mi sovviene di un solo manifesto,
volantino,
opuscolo, cartellone, programma radio o TV di paternità Otpor che
esternasse
anche un solo bisbiglio di disapprovazione nei confronti dei bombaroli.
E se
pure ci fosse stato, chi si crede di minchionare questo servo furbo? Se
anche uno solo dei teppisti Otpor avesse osato in quei giorni
applaudire in
pubblico gli assassini di un popolo, non avrebbe avuto modo di uscire
dalla
sua tana a stelle e striscie per il resto dei suoi giorni.
Nota personale che riguarda un bertinottismo non certo di recente
origine.
Quando nel 2000, documentatomi sui fatti e tra protagonisti, da
Belgrado
inviai al mio giornale, "Liberazione", reportages che dettagliatamente e
provatamente riferivano, per primi, delle azioni e della natura di
Otpor, il
caporedattore Salvatore Cannavò, allievo di Sandro Curzi, capofila della
lista civetta trotzkisteggiante "Un'altra Rifondazione è possibile" per
il
prossimo congresso nazionale del PRC, cestinò tutti i miei pezzi e
scrisse
invece di suo pugno un benvenuto ai "compagni di Otpor" e un invito a
partecipare alla prossima sessione del movimento no-global a Nizza, o in
qualunque altra istanza, nientemeno! Invito accolto con entusiasmo dai
mercenari serbi ai microfoni di Radio Sherwood, radio ufficiale a Padova
delle allora "Tute Bianche". Oggi Cannavò è vicedirettore, io sono un
licenziato di "Liberazione" e un condannato di Rifondazione, per aver
detto,
scritto e manifestato "Bertinot-in-my-name". Cosa c'entra Bertinotti
con le
vergogne di Remondino? Al ritorno dalla Jugoslavia distrutta e
frantumata e
dal suo presidente violentato, consegnai nelle mani del sovrano del PRC
un
dossier con tutte le informazioni su Otpor che altri avrebbero
convalidato
anni più tardi e gliene feci a voce una breve sintesi. Mi rispose:"Cosa
vuoi, in ogni movimento rivoluzionario (sic!) ci sono frange strane..."
Sorrise e si voltò sui tacchi. Uomo di grande fascino.
Caro "Manifesto", hai provato a rimediare alle bassezze dei tuoi
interventi
arancioni sull'Ucraina fagocitata dal moloch anti-umanità. Ti ci hanno
costretto le verità che fiottavano a valanga dalla stessa pancia del
mostro,
come Ramsey Clark - oggi ufficialmente avvocato difensore del presidente
Saddam Hussein, come sempre coraggioso combattente, impermeabile a ogni
intimidazione e conformismo - chiama il suo paese. Ma il tuo salto della
quaglia, una volta di più, è stato troppo corto: sei di nuovo finito
nella
merda. Di queste cose lascia scrivere un Manlio Dinucci, o uno Stefano
Chiarini. Eviteresti lo sgretolamento finale di quel logo sotto la
testata:
"quotidiano comunista".
Fulvio Grimaldi
bassottovic@...
1. L'intervista di E. Remondino a S. Lazendic
2. Il commento critico di F. Grimaldi
=== 1 ===
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/30-Dicembre-2004/
art106.html
il manifesto - 30 Dicembre 2004
STANKO LAZENDIC
Otpor, arancione a stelle e strisce
Serbo di Novi Sad, è uno degli «istruttori» che ha allenato la piazza
di Kiev contro il regime. Per idealità, dice, ma anche per soldi. I
committenti? I governi Usa ed europei
E' il «consigliere speciale» per l'Ucraina dell'American Freedom House.
Accrediti professionali, Milosevic in galera all'Aja, Shevardnadze
deposto in Georgia, e ora Yanukovic rovesciato. Tante trasferte e tanti
«seminari sulla non violenza» tenuti da un ex colonnello della Cia, per
lui e gli altri «trainer». Chi paga?
ENNIO REMONDINO
Non deve essere stato particolarmente difficile per la polizia politica
e i servizi segreti ucraini, eredi del mitico Kgb, stargli dietro.
Stanko Lazendic non ha il fisico del cospiratore, dell'uomo anonimo che
trama nell'ombra nascondendosi. Due metri e qualche centimetro di
mancia, vestiti da 110 chili di muscoli, e si nota, soprattutto se a
camminargli accanto è un giornalista per così dire, «concentrato».
Abbiamo passeggiato e chiacchierato a lungo con Stanko, per le belle
strade di Novi Sad, su in Voivodina, al nord della Serbia, quasi in
Ungheria. Stanko è un giovane uomo di 31 anni che nella vita ne ha
viste molte, a cominciare dalla galera, che ha iniziato a frequentare
dall'imporsi del regime di Milosevic. Diciassette arresti non sono male
per un semplice leader studentesco, se mai è stato vero che Stanko sia
soltanto quello. Stanko non ha potuto essere presente ai festeggiamenti
dell'opposizione filo occidentale ucraina sulla piazza di Kiev, che
pure ha tanto contribuito a organizzare e a far vincere. Stanko
Lazendic è stato uno degli «Istruttori», uno dei «Trainers», che ha
allenato la piazza arancione ad opporsi e a rovesciare il regime. Un
po' per idealità, sostiene Stanko, ma certo anche per soldi, da buon
professionista. Socio fondatore della Ong, l'organizzazione non
governativa serba «Center of not violent resistence», registrata a
Belgrado. Per contatti e contratti, vedi il sito Internet. Accrediti
professionali, oltre a quello di Slobodan Milosevic che attende in
galera la sentenza del Tribunale internazionale dell'Aja per crimini di
guerra, l'ex presidente georgiano Eduard Shevardnadze, e ora il premier
ucraino filo russo Viktor Yanukovic. I committenti per queste singolari
prestazioni professionali di destabilizzazione più o meno non violenta,
sono altrettanto interessanti ma, contravvenendo a tutte le regole
giornalistiche, le lasciamo al Gran Finale del Giallo.
Stanko Lazendic è stato uno dei fondatori del movimento studentesco
serbo «Otpor», che vuol dire Resistenza, ed è da lì che parte tutto.
Resistenza popolare e non violenta al regime di Milosevic in quel
lontano 1998, quando il despota di Belgrado era ancora equivocamente
corteggiato da molte cancellerie occidentali incerte fra l'adottarlo e
il fargli guerra. Otpor nasce allora, ed è probabilmente l'unico erede
del vasto movimento democratico di piazza che negli anni precedenti
aveva quasi dato la spallata decisiva al potere della famiglia
Milosevic. Poi i partiti tradizionali, anche quelli democratici, si
erano ingoiate sia la «Rivoluzione dei fischietti» (Inverno `96, `97),
sia le speranze di cambiamento.
Otpor rivoluziona la liturgia della politica, con i multicolori delle
bandiere, nelle parole d'ordine, nella leadership collettiva, nella
musica sparata in piazza a tutto volume, e nel costante sberleffo al
potere. L'anima slava, sepolta sino allora nell'auto commiserazione, ne
approfitta per ritirare fuori la prorompente carica d'ironia e auto
ironia, dell'amara irriverenza. Ce l'avrebbero fatta da soli e prima e
meglio, quelli di Otpor, con tutto il popolo serbo, se qualche stratega
di Washington non avesse già deciso, in quella metà del 1998, che
Milosevic serviva per collaudare la forza militare della Nato come
guardiano del fronte Est dell'Impero. Quando, il 24 marzo del 1999,
sulla Jugoslavia iniziano a piovere le bombe, Otpor si arruola, assieme
a tutta la Serbia, non accanto a Milosevic, ma contro la Nato. Per loro
quelle bombe sono insensate. Puntano al despota ma colpiscono
innanzitutto le sue vittime, primo fra queste, il popolo serbo e quello
kosovaro. A quasi sei anni di distanza dai bombardamenti, non c'è
persona in Serbia, per «americana» e filo occidentale che sia, a non
chiamare l'evento «Aggressione». Sono gli stessi giovani - molti dei
quali poi diventeranno Otpor - a portare sui ponti sulla Sava e sul
Danubio la popolazione a fare da scudo umano, a sbeffeggiare l'Iper
potenza Nato. E' la loro ironia che ci fa indossare, tutti allora a
Belgrado, le magliette con la scritta «Target». Tutti bersagli, salvo
chiedere scusa quando la scalcinata contraerea serba riesce per sbaglio
ad abbattere un cacciabombardiere F117: «Scusate, non sapevamo fosse
Invisibile».
Occorrono tre mesi al Golia-Nato per stendere - con tanti «effetti
collaterali» civili - il nano militare di Belgrado. Tantini, viene da
dire. Dopo di che Otpor riprende ad attaccare il suo storico bersaglio,
il despota Slobodan Milosevic. Ricordo come allora fu possibile notare
i segni di un'insospettata abbondanza. Sempre la fantasia al potere
della protesta, ma anche qualche soldino in più per manifesti,
striscioni, apparato legale di difesa, bandiere, radio libere e
Internet pirata. Molti di quegli studenti ormai abbondantemente fuori
corso sembrava avessero studiato molto durante il duro inverno della
guerra, lezioni sul come scardinare un trucido apparato di potere per
seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale impotenza. Anche
Stanko Lazendic aveva studiato. In trasferta a Budapest, nella vicina
Ungheria che ancora non chiedeva il visto per i serbi; altri suoi amici
nel protettorato Nato della Bosnia o in quello statunitense del
Montenegro. «Seminari» li chiamavano gli organizzatori, sulla
«Resistenza non violenta».
Due le cose interessanti che riesco ad ottenere dalla memoria di
Stanko: il nome di almeno un «docente» e le molte sigle di chi pagava i
conti di quelle trasferte di «studio». Nel marzo del 2000, uno dei
docenti di Stanko all'Hilton di Budapest, fu un certo Robert Helvi, già
colonnello della Cia, operativo a Rangoon e Burma. L'Ex colonnello Cia
(esiste un «ex» in qualsiasi Servizio segreto?), aveva illustrato i 500
modi «non violenti» per destabilizzare un regime autoritario. In
pratica una rilettura del libro di Gin Sharp, «Dalla dittatura alla
democrazia», che resta dal lontano 1970 il testo base per ogni
movimento anticomunista che si rispetti, tecnica del Colpo di Stato col
Guanto di Velluto.
«Che il conferenziere fosse uno della Cia», insiste Stanko, «nessuno di
noi allora lo sospettava». Ma chi pagava quel seminario a Budapest?
Chiedo. «Quel seminario fu promosso, mi sembra, dalla Us Aid». Lo
sguardo che riceve in cambio, induce Stanko ad una giustificazione non
richiesta. «Noi non siamo della Cia, né lavoriamo per la Cia. Se così
fosse, guadagneremmo molto, molto di più dei pochi soldi che riceviamo.
Una miseria per i rischi che corriamo».
Quanti siano «pochi» i soldi che pagano le loro originali prestazioni
professionali, Stanko Lazerdic non ce lo dice. In compenso ci racconta
dei suoi committenti: ovviamente le organizzazioni giovanili dei
diversi paesi coinvolti. Tutto indipendente e tutto trasparente,
secondo lui. Ma chi paga il conto dei vostri «pochi soldi»? «A volte le
organizzazioni studentesche, a volte direttamente i loro finanziatori».
Risalendo lungo la catena della solidarietà anti despota ex comunista e
anti occidentale, arriviamo finalmente ai nomi. La generosità
democratica in Serbia, Ucraina, Georgia eccetera, ci dice Stanko
Lazendic, esce dai conti correnti di Us Aid, l'organizzazione
governativa statunitense, o dall'Iri, l'Istituto Internazionale
Repubblicano (il partito di Bush), o dal suo gemello Democratico (Ndi),
o dalla fondazione Soros, o dalla Freedom House, o dalle tedesche
«Friedrich Ebert» e «Konrad Adenauer», o dalla britannica «Westminster».
Le trasferte di Stanko in Ucraina, da agosto a settembre, per esempio,
è stata pagata prima dalla Westminster britannica e poi dall'American
Freedom House di cui è «consigliere speciale» per l'Ucraina. In
Georgia, contro Shevarndnadze, pagava Soros. La serba Otpor in formato
esportazione partorisce così «Kmara» (Basta) a Tbilisi, e «Pora» (E'
ora) a Kiev.
Prossimi impegni professionali, Stanko? «Vedremo. Dopo gli ottimi
risultati ottenuti in Serbia, Georgia e Ucraina, spero che avremo altri
contratti. Stiamo già lavorando un po' in Bielorussia e siamo in
corrispondenza con l'Azerbaijan. Vedremo». Già. Anche noi sicuramente
vedremo.
=== 2 ===
Remondino
Ennio Remondino, noto mistificatore buonista delle vicende balcaniche,
ha
avuto dal non più sorpendente Manifesto di Mariuccia Ciotta e Gabriele
Polo
e dell'arancione Astrid Dakli il privilegio di imbrattare un'intera
pagina
di una cialtronesca diffamazione dei serbi e di Milosevic, infilata
subdolamente in tardive pseudorivelazioni su Otpor e furbescamente
collocata
sotto il fuorviante titolo "Otpor, arancione a stelle e striscie", che
poteva far ben sperare. Un titolo che indurrebbe lettori fiduciosi e
consapevoli ad attendersi una, anche questa volta tardiva, ma benvenuta,
rettifica agli scomposti e bugiardi inni alla "primavera ucraina"
sciolti
dal già citato slavofobo, anticomunista, integralista albanese Astrid
Dakli.
Raccontandoci cose che soltanto la complice subalternità dei
giornalisti - e
relativi ufficiali pagatori - della sedicente sinistra radicale ha
taciuto e
stravolto, ma che chiunque di noi si documenti in modo serio aveva
capito,
se non letto e imparato, nell'immediato espandersi della neoplasia
Otpor in
Europa Orientale e nel Caucaso, il Remondino coglie la palla al balzo,
sotto
il benevolo sguardo del propalatore di "contro"pulizie etniche Tommaso
di
Francesco, per rinnovare il suo lavoro di servo furbo dei cantastorie
della
Nato, di Washington e del Tribunale di Carla del Ponte. La tecnica è
quella
di un Bertinotti qualsiasi: la guerra è cattiva, la fanno i cattivi di
Oltreatlantico, ma non meno cattivo è il "terrorismo" islamico, onde per
cui... La conclusione la può trarre facilmente chiunque, visto che il
"terrorismo" islamico non ha nessuna intenzione di sciogliersi nella
nonviolenza e nelle liturgie New Age del neosanfedista al comando del
PRC:
una sostanziale vasellinata ai missili di Bush. Così Remondino.
Coperto dalla finzione tecnica di un'intervista al mercenario prezzolato
Stanko Lazendic, violentissimo nonviolento serbo della genìa che, dopo
il
golpe "nonviolento", ma pieno di teppisti armati e col parlamento messo
a
fuoco, del 2000, ha epurato, bastonando, uccidendo, buttando in mezzo
a una
strada, compagni, giornalisti, sindacalisti, semplici funzionari di
Stato e,
dunque, avviato la svendita del suo paese al proprio carnefice,
Remondino
esercita la solita funzione del cerchiobottista - un colpo al cerchio e
duecento colpi alla botte - che lo ha incastonato quale "onesto
giornalista"
nel folgorante diadema di stupidità e dabbennaggini di tante persone "di
sinistra".
Il trucco consiste nell'inventarsi un Lazendic, giovane partecipe, con
il
"Centro di Resistenza non-violenta" di Belgrado, della rivolta
democratica
contro il "despota" Milosevic (la definizione "despota" ricorre
incessantemente nelle cinque colonne di maleodorante piombo ed è dunque
il
messaggio centrale dello scritto) e, dunque, nell' assegnare a
quell'ondata
di manifestazioni guidate dai mercenari Djindjic e Draskovic, con le
sorosiane donne in nero a sostenerne l'apparenza di autentica e giusta
espressione di malcontento popolare, una patente di democratica
spontaneità
ed autonomia che, come sappiamo, non ha mai meritato. Quel Centro e
quelle
manifestazioni non differivano nè in qualità politica, nè in retroterra
economico in nulla dal lavoro di destabilizzazione per conto
dell'imperialismo che, in chiusura, Remondino identifica negli
arancioni di
Kiev. Anche noi, piccola delegazione di antimperialisti e pacifisti,
incontrammo gli esponenti della coalizione dai vari nomi, tra cui
quello di
"Centro di Resistenza non violenta". Li incontrammo in piena guerra,
cosa
stupefacente per una dichiarata quinta colonna filo-americana, in una
loro
sala "sindacale", in piena Belgrado, sotto gli occhi di chiunque: tale
era
la "dittatura" di questo governo maniaco di elezioni, tanto da farne
ogni
sei mesi e di indiscutibili. Ci espressero tutta la loro foja
capitalista,
qualche remora per le bombe che, dopottutto, potevano cascare in testa
anche
a loro, ma una grande fiducia riservata alle spie Djndjic e Draskovic e,
soprattutto, al malvivente e narcotrafficante Djukanovic del
Montenegro. Si
ritirarono inorriditi ad apprendere che alcuni di noi erano comunisti e,
comunque, antimperialisti. Si soffermarono con loro e, anzi, intessero
duraturi rapporti di fraterna collaborazione solo i "Berretti Bianchi",
per
chi non lo sapesse il ramo itinerante dei "Beati Costruttori di Pace",
quelli che in questi giorni hanno dato il proprio contributo a un
Tribunale
sull'Iraq che raccoglievo il peggio del moderatismo equidistante della
società "civile" italiana e irachena.
Basta scorrere gli atti del Congresso USA per trovare le centinaia di
milioni di dollari stanziati a favore di questa sua quinta colonna nella
disintegrazione della Jugoslavia. Il losco giornalista, approfittando di
quella che in effetti è una memoria molto labile dell'opinione pubblica,
torna a parlare di "radio libere" che fiancheggiavano la sedizione delle
masse narcotizzate dagli agenti della Nato e degli USA. Il riferimento
non
può che essere a Radio B-92, l'emittente
finto-giovanilistico-democratica-di
sinistra foraggiata dal criminale della finanza internazionale
(filantropo
per "Liberazione"), George Soros, e amministrata da Amsterdam dal
circuito
internazionale statunitense di Radio Liberty-Radio Free Europe, rete
messa
in piedi durante la guerra fredda per destabilizzare l'est europeo.
Quindi, Remondino salva tutta l'operazione Cia-Bundesnachrichtendienst
degli
anni '95-'99 e avalla un' Otpor e un Lazendic - originaria invenzione
entrambi dei cospiratori imperialisti - patrioti e combattenti contro la
"dittatura", solo più tardi e solo per "scardinare un trucido apparato
di
potere per seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale
impotenza",
adattatasi a farsi dare "qualche soldino" e qualche lezione a Budapest
(dei
corsi di insurrezione a Sofia si scorda) da un colonello (Robert Helvi)
di
cui manco per niente sapevano che fosse della Cia (è ovvio che spia non
denuncia spia). "Quel seminario, mi sembra (sic!), fu promosso da
USAids",
registra nel suo taccuino e non contesta, l'agevolatore delle
diffamazioni
umanitarie RAI, quando di questi finanziamenti in termini di dimensioni
senza precedenti si vantano da anni (vedi BBC, vedi "Il diario") la NED
(National Foundation for Democracy, vetrina della Cia, finanziatrice dei
golpisti di Caracas), gli Istituti Democratico e Repubblicano degli
USA, le
fondazioni di destra Adenauer ed Ebert (statutariamente vocate alle
infiltrazioni nell'area socialista) e numerose altre fondazioni,
think-tank
e lobby come la International Renaissance Foundation, filiale ucraina
dell'Open Society di Soros, la Eurasia Foundation, pure finanziata da
Soros,
la Banca Mondiale, la Freedom House dell'ex-capo Cia James Woolsey, il
National Democratic Institute diretto dalla iena sionista (con rispetto
per
le iene) Madeleine Albright, oltre alle ambasciate di USA, Regno Unito e
Canada dei vari paesi interessati. Senza contare che USAid è l'agenzia
"di
aiuti allo sviluppo internazionale" che da sempre infiltra e corrompe
nei
paesi da ricondurre sotto lo stivale imperialista, oggi
nazi-imperialista.
Remondino lascia dire - e non obietta - a Lazendic: "Noi non siamo della
Cia, nè lavoriamo per la Cia. Se così fosse, guadagneremmo molto, molto
di
più dei pochi soldi che riceviamo. Una miseria per i rischi che
corriamo"
(l'unico rischio che questi criminali di guerra e di pace hanno corso
finora, in dissonanza con i riconoscimenti e gli osanna di "compagni"
come
Cannavò di "Liberazione" e Dakli e Karol del "Manifesto", sono stati i
calci
in culo ricevuti in Bielorussia, dove, comunque, Lazendic si ripromette
di
tornare a operare). Peccato che lo stesso Lazendic e un altro paio di
ceffi
dirigenti, intervistati da me quando erano installati belli belli nel
cuore
di Belgrado, nel settembre del 2000, ed erano così poveri da riempire di
migliaia di enormi cartelloni e manifesti anti-Milosevic l'intero
paese, mi
abbiano invece detto (come poi confermato da tanti e anche da De Aglio
nel
"diario"): "Siamo orgogliosi di essere aiutati da un servizio di
intelligence di un grande paese democratico". Remondino, sempre
lisciando le
chiappe a questo arnese della canea revanscista, lo inizia a sospettare
cinque anni più tardi.
Questi rifiuti della aggredita e martoriata società serba, al servizio
da
dieci anni del più bestiale imperialismo di ogni tempo, corresponsabili
di
carneficine e spaventosi degradi e impoverimenti, di dittature
colonialiste
e pulizie etniche, lanciati alla disintegrazione dello spazio
euroasiatico
ancora sottratto al dominio e alle rapine dell'imperialismo, si
meritano da
Remondino l'amichevole "Stanko" e la criminale complicità nelle
falsificazioni politiche e umane che tengono rinchiusa un'eroica vittima
all'Aja, insieme a tanti suoi compagni, e che forniscono gli strumenti
per
lo stupro sistematico della verità e della giustizia da parte di
sedicenti
sinistri radicali. A ulteriore accredito della loro genuina origine e
condotta democratiche, questo velinaro delle centrali di diffamazione
sottolinea come, insieme all'opposizione al "despota" Slobodan
Milosevic, i
bravi ragazzi di Otpor criticassero anche i bombardamenti Nato, bontà
loro,
rivendicando falsamente a loro il logo dell'antimperialismo serbo e
mondiale
"target", e quindi facendone dei veri patrioti. Posso solo opporre,
insieme
a tutti coloro che, diversamente da Casarini, Bettin e compagni
disobbedienti precipitatisi a Belgrado per rendere onore all'emittente
Cia
"B-92", avendo sostato per abbastanza tempo sotto quelle bombe Nato in
tutta
la Serbia, e anche dopo, non mi sovviene di un solo manifesto,
volantino,
opuscolo, cartellone, programma radio o TV di paternità Otpor che
esternasse
anche un solo bisbiglio di disapprovazione nei confronti dei bombaroli.
E se
pure ci fosse stato, chi si crede di minchionare questo servo furbo? Se
anche uno solo dei teppisti Otpor avesse osato in quei giorni
applaudire in
pubblico gli assassini di un popolo, non avrebbe avuto modo di uscire
dalla
sua tana a stelle e striscie per il resto dei suoi giorni.
Nota personale che riguarda un bertinottismo non certo di recente
origine.
Quando nel 2000, documentatomi sui fatti e tra protagonisti, da
Belgrado
inviai al mio giornale, "Liberazione", reportages che dettagliatamente e
provatamente riferivano, per primi, delle azioni e della natura di
Otpor, il
caporedattore Salvatore Cannavò, allievo di Sandro Curzi, capofila della
lista civetta trotzkisteggiante "Un'altra Rifondazione è possibile" per
il
prossimo congresso nazionale del PRC, cestinò tutti i miei pezzi e
scrisse
invece di suo pugno un benvenuto ai "compagni di Otpor" e un invito a
partecipare alla prossima sessione del movimento no-global a Nizza, o in
qualunque altra istanza, nientemeno! Invito accolto con entusiasmo dai
mercenari serbi ai microfoni di Radio Sherwood, radio ufficiale a Padova
delle allora "Tute Bianche". Oggi Cannavò è vicedirettore, io sono un
licenziato di "Liberazione" e un condannato di Rifondazione, per aver
detto,
scritto e manifestato "Bertinot-in-my-name". Cosa c'entra Bertinotti
con le
vergogne di Remondino? Al ritorno dalla Jugoslavia distrutta e
frantumata e
dal suo presidente violentato, consegnai nelle mani del sovrano del PRC
un
dossier con tutte le informazioni su Otpor che altri avrebbero
convalidato
anni più tardi e gliene feci a voce una breve sintesi. Mi rispose:"Cosa
vuoi, in ogni movimento rivoluzionario (sic!) ci sono frange strane..."
Sorrise e si voltò sui tacchi. Uomo di grande fascino.
Caro "Manifesto", hai provato a rimediare alle bassezze dei tuoi
interventi
arancioni sull'Ucraina fagocitata dal moloch anti-umanità. Ti ci hanno
costretto le verità che fiottavano a valanga dalla stessa pancia del
mostro,
come Ramsey Clark - oggi ufficialmente avvocato difensore del presidente
Saddam Hussein, come sempre coraggioso combattente, impermeabile a ogni
intimidazione e conformismo - chiama il suo paese. Ma il tuo salto della
quaglia, una volta di più, è stato troppo corto: sei di nuovo finito
nella
merda. Di queste cose lascia scrivere un Manlio Dinucci, o uno Stefano
Chiarini. Eviteresti lo sgretolamento finale di quel logo sotto la
testata:
"quotidiano comunista".
Fulvio Grimaldi
bassottovic@...