Fonte: Il NUOVO del Friuli-Venezia Giulia, 3 marzo 2006
http://www.nuovofvg.com/
(Ringraziamo A. Floramo per la segnalazione)


Saltare a pie' pari pezzi di storia, pezzi di

cultura, pezzi di vita e su quello che
rimane pontificare per un giorno
BENO FIGNON



Italiani senza onore

di ANGELO FLORAMO

Un libro dello storico Costantino Di Sante scava nella memoria rimossa dell'occupazione italiana dei Balcani durante la seconda guerra mondiale

Case bruciate, villaggi saccheggiati, e sulle macerie solo i cadaveri di donne e di vecchi barbaramente uccisi. Intere famiglie passate per le armi perché imputate di collusione con i partigiani. Non si risparmiano nemmeno i bambini a cui si arriva a bruciare le mani dopo averle cosparse di nafta.
È stata questo l'occupazione italiana dei Balcani durante la seconda guerra mondiale. Un'occupazione che ha avuto per protagonisti non solo la milizia fascista, ma soprattutto le truppe regolari dell'esercito e tra queste anche una divisione di alpini, la "Pusteria" e due battaglioni di penne nere "friulani", il "Natisone" e il "Tagliamento".
Il tragico consuntivo dell'"opera civilizzatrice" nei vicini Balcani voluta dal regime di Mussolini alla fine conterà almeno 250.000 vittime. Un numero purtroppo arrotondato per difetto.


Si tratta di crimini che colpirono prevalentemente la popolazione civile e per i quali, tuttavia, anche nel dopoguerra, non vi fu mai nessuna condanna, non venne nemmeno istruito alcun processo. Perché? Costantino Di Sante, ricercatore appassionato, prova a dare una risposta a interrogativi dimenticati per troppo tempo nel fondo degli ormai celebri "armadi del terrore" e delle nostre coscienze. Ne nasce un saggio asciutto, privo di sbavature enfatiche e di cadute di stile. "Italiani senza onore" è una raccolta nuda di dati, relazioni testimonianze. La lettura fa male. Disturba. Costringe a ricostruire sessant'anni di taciute verità e svela nel retroscena le ombre di quella politica internazionale che ormai aveva diviso l'Europa in blocchi separati di appartenenza. E che in nome del nuovo corso della storia ha preferito rinunciare alla responsabilità della memoria.

Perché esce solo ora un libro come il suo? Sessant'anni sono davvero tanti per digerire la verità… per quanto scomoda essa sia. A chi o a cosa è servito occultare tutte queste responsabilità? E perché studiosi, ricercatori, editori non hanno mai avuto modo di pubblicare prima risultati del genere?

Il mio libro è stato pubblicato solo ora per ragioni diverse, delle quali la prima, e probabilmente la più banale, é che parte dei documenti è stata messa a disposizione degli studiosi solo da pochi anni. Va inoltre precisato che la storia del confine Orientale non ha avuto da parte degli storici l'attenzione che meritava. La sottovalutazione della sua importanza storiografica, e soprattutto del peso che questa ha avuto rispetto all'evolversi degli avvenimenti su scala nazionale, ne ha facilitato l'opera di mistificazione, e a gran parte degli italiani è stata negata la possibilità di sapere cosa era realmente accaduto nel corso del Novecento in quei territori. Questa grave lacuna ha contribuito ad alimentare un utilizzo strumentale e politico di quelle vicende. Non bisogna dimenticare, inoltre, che fino alla fine della guerra fredda il far riemergere quelle vicende non era ritenuto conveniente.
Oltre alle questioni internazionali, esistevano ragioni di politica interna che hanno portato i governi ad occultare e proteggere coloro che avrebbero dovuto rispondere dei crimini di guerra, tra le quali non secondario era il fatto che molti di costoro continuavano ad occupare posti di primo piano negli apparati dello Stato.
Poter processare i criminali di guerra italiani sarebbe servito non solo ad accertare le responsabilità del nostro paese rispetto ai gravi fatti accaduti nell'ex Jugoslavia, ma anche a mettere in luce il comportamento tenuto del nostro esercito durante la guerra. L'indagine e l'accertamento, anche per via giudiziaria, di quegli avvenimenti avrebbe sicuramente contribuito ad arginare la proliferazione di visioni edulcorate sulla reale natura e sull'operato del regime fascista, contrastando la diffusione di un'idea di fascismo "buono" e, soprattutto, del falso mito del "bravo italiano".
Nel dopoguerra, la politica della memoria del nostro Paese ha sfruttato molto la sua ambigua immagine di stato sconfitto ma anche vittorioso, grazie alla lotta ed alla vittoria contro il nazifascismo conquistata dal movimento di Liberazione. La "cobelligeranza" ha pesato molto sulla "mancata Norimberga italiana".

Ha incontrato resistenze, difficoltà, reticenze nella conduzione delle sue indagini storiografiche? I cosiddetti "armadi della vergogna" sono in genere ben nascosti, accuratamente isolati...

Diciamo che ho utilizzato al meglio le possibilità che i nostri malconci archivi offrono agli studiosi per visionare la documentazione che essi conservano. Le difficoltà sono state soprattutto dovute all'organizzazione sempre più precaria di questi archivi. Orari limitati, scarso personale e luoghi di studio indecorosi e scarsamente funzionali allo scopo. Anche questo è indicativo di come un paese decida di tutelare la propria memoria storica.

Sulle pareti dell'archivio militare, a Roma, occhieggia fiero il viso del generale Roatta, tra gli altri suoi pari grado: uno dei massimi responsabili degli eccidi perpetrati nella ex Jugoslavia occupata dagli italiani. Una anomalia tutta italiana ? O una velata metacomunicazione, quasi a voler dire: cerca pure, tanto qui le cose non cambiano?

Non credo che il motivo sia questo. Penso che anche in questo caso incida molto il modo con il quale si è ricostruita l'immagine dell'esercito italiano nel dopoguerra. La storiografia ha notevolmente esaltato il ruolo dell'esercito nella lotta di Liberazione, come anche il cinema e la letteratura che hanno quasi sempre rappresentato lo stereotipo del soldato italiano che in guerra è sempre vittima e mai carnefice. La foto di Roatta viene tranquillamente esposta perché non si riconosce in lui il criminale, ma il Capo dello Stato Maggiore di un esercito che, secondo la vulgata, non si è comportato in maniera disonorevole durante il conflitto. Ecco perché i processi, se celebrati, forse sarebbero serviti ad incrinare questo falso mito e quasi sicuramente quella foto non sarebbe stata appesa.

Da storico scrupoloso lei ha organizzato il suo saggio in modo tale che siano i documenti a parlare: le relazioni inoltrate da parte Jugoslava nel 1945, le risposte espresse dai memoriali di difesa dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano. Non c'è sbilanciamento. Gli atti parlano da soli. Ma al di là dei dati, dei numeri, delle accuse e delle risposte, che cosa emerge, quale quadro riassuntivo si può delineare?

La risposta richiederebbe un'analisi molto articolata sull'intera vicenda, ma per essere sintetici il quadro che emerge é che la mancata giustizia per quei crimini ha impedito una seria riflessione sull'annessione e l'occupazione portata avanti dall'esercito italiano dei territori dell'ex Jugoslavia.
La mancata memoria giudiziaria ha consentito che le responsabilità dei singoli, e del regime fascista, potessero essere eluse e dimenticate. Ancora oggi il nostro colonialismo, le nostre guerre di conquista e i metodi utilizzati durante le occupazioni vengono assolte da una visione "bonaria" e poco reale. Da quella documentazione, magari in alcuni casi eccessiva anche nelle accuse jugoslave, emerge un quadro complesso e assai poco idilliaco su come il nostro esercito, e non solo, si è comportato durante il dominio di qui territori. Infine, i mancati processi hanno nuovamente evidenziato come il nostro Paese non riesca a fare i conti con il proprio passato. L'ingiustizia, in questo caso, ha colpito non solo le vittime, ma anche quei soldati che si rifiutarono di obbedire agli ordini ingiusti ed inumani.

Il suo libro produce nel lettore un senso di terribile disincanto. E' una prerogativa della Storia, perché la verità demolisce ogni forma di retorica. Non conosce retrogusto di melassa. I documenti da lei analizzati non risparmiano nessuno: tra gli altri anche carabinieri e alpini, al pari dei loro commilitoni della Wehrmacht e delle SS, si macchiarono di crimini abominevoli e ripugnanti.

Personalmente sono molto restio a fare paragoni di questo genere. Il nostro esercito si è comportato come ritengo molti altri si comportino quando si trovano in un territorio da occupare. In questo caso l'aggravante é data anche dal fatto che quelle regioni, oltre che annesse, dovevano essere "sbalcanizzate". Inoltre la propaganda razzista che il fascismo aveva diffuso contro gli slavi contribuì ad alimentare la spirale di violenza. La pianificazione di questo tipo di nuovo ordine da instaurare nei Balcani non poteva non sfociare in atti di violenza criminale. Per questo ritengo che le responsabilità del regime e degli alti comandi siano ineludibili. Bisogna ricordare che alcuni soldati, ma anche alcuni ufficiali si rifiutarono, o quanto meno non applicarono alla lettera, le direttive emanate dallo stato maggiore e dalle autorità di occupazione.

Forse sarebbe opportuno che con coraggio e rigore storico si continuasse ad indagare. Presumo che la situazione da lei investigata nei territori della ex Jugoslavia sia perfettamente sovrapponibile a tutti gli altri scenari di guerra cui partecipò l'esercito italiano. E' così? O qui, per qualche ragione, le vicende furono più crudeli?

Sicuramente in Jugoslavia le condizioni belliche portarono ad accentuare gli eccessi. La forte resistenza jugoslava, l'idea di dover annettere alcuni territori che quindi dovevano essere "ripuliti" dagli abitanti che non si sottomettevano, l'odio antislavo e la complessa situazione etnica, politica e religiosa contribuirono sicuramente ad un maggiore uso della violenza. Nell'ex Jugoslavia il nostro esercito si comportò da colonizzatore, replicò alcuni eccessi già utilizzati durante le campagne d'Africa. Ma anche in altri scenari, seppure in condizioni diverse, furono perpetrati crimini e violenze contro la popolazione civile. Basti pensare alla Grecia o al fronte russo. Non a caso tutti i paesi occupati o che avevano combattuto contro l'Italia nella seconda guerra mondiale, compresa l'Etiopia, chiesero più volte, senza esito, alla Commissione Internazionale per i crimini di guerra di Londra l'estradizione di "presunti criminali italiani" per poterli processare.

C'è un tarlo che si insinua nel lettore e lo spinge più volte a ricontrollare le date in cui avvennero gli eccidi: febbraio 1942, marzo 1942, aprile 1943, maggio 1943… potrei continuare. Gli eccidi non vengono compiuti da militari inquadrati nei ranghi della RSI, ma da soldati regolari dell'esercito italiano. Dunque l'odio etnico e la ferocia (in questo caso anti slava) non furono un retaggio ascrivibile solamente al Fascismo, ma un "pensare comune"?

L'elemento razziale contribuì sicuramente ad alimentare l'odio nei confronti delle popolazioni slave. I soldati italiani che vedevano morire anche i loro compagni d'armi furono maggiormente coinvolti da questo tipo di propaganda. Molti, probabilmente, si lasciarono andare a violenze ed atti crudeli anche con l'idea di vendicare i propri commilitoni uccisi. Essi dovettero mettere in pratica direttive e piani di occupazione che prevedevano atti al di fuori delle leggi internazionali e sicuramente l'aver presentato gli slavi come "barbari" rese il compito psicologicamente meno gravoso.

Che tipo di reazioni ha avuto l'uscita di questo suo libro?

Devo constatare che, tranne per alcune e-mail minacciose che ho ricevuto, molti mi hanno ringraziato di aver fatto emergere questa documentazione. In primo luogo coloro che si occupano delle stragi nazifasciste in quanto ha rafforzato le tesi già emerse negli ultimi studi di Lutz Klinkhammer e Filippo Focardi, cioè che quei processi non si celebrarono anche per evitare l'estradizione dei criminali italiani ai paesi che ne fecero richiesta, in primis alla Jugoslavia di Tito. Spero che la mia opera contribuisca a far sì che la questione del "Fronte Orientale" possa essere studiata tenendo conto di ciò che è accaduto sul lungo periodo e non appiattendola solo sulle foibe. Ritengo comunque che questo sia solo un primo tassello per poter ricostruire senza oblii e censure come il nostro esercito si sia comportato nei paesi occupati e per poter continuare ad offrire una storia che si basi su fonti certe e riscontrabili.
Questo ritengo sia l'obiettivo più ambizioso con il quale dobbiamo misurarci per evitare facili e impresentabili revisionismi.


IL LIBRO

Ricordando crimini e processi negati

Costantino Di Sante svolge attività di ricercatore presso l'"Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione delle Marche". E' responsabile della Biblioteca provinciale di Storia Contemporanea di Ascoli Piceno. Autori di molti articoli e monografie ha pubblicato tra le altre cose: "L'intervento civile nell'ascolano. Il campo di concentramento
di Servigliano (1940-1944)", Ascoli Piceno, 1998; "I campi di concentramento in Italia. Dall'internamento alla deportazione, 1940-1945), Milano, 2002. A curato il catalogo della mostra storico-documentaria "Fascismo e resistenza nel Piceno", Ascoli Piceno, 2003. E' appena uscito per Ombre Corte la monografia: "Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)", Verona 2005.

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Costantino Di Sante (a cura di)

Italiani senza onore
I crimini in Jugoslavia e i processi mancati (1941-1951)

edito da Ombre Corte, 2005
Via A. Poerio 9, 37124 Verona
(tel. 0458301735, email: ombrecorte @ libero.it)
pp. 170, euro 18,00
ISBN 88-87009-65-1