Sull'ambiguo ruolo delle ONG e la "difesa dei diritti umani"
1) La sinistra, la propaganda di guerra e l'11 settembre. Intervista
a J. Elsaesser
2) Médecins sans frontières allo specchio (da Il Manifesto)
=== 1 ===
--- In aa-info @yahoogroups.com, "Renato Caputo" ha scritto:
di Paolo Jormi Bianchi
l'intervista è uscita in forma ridotta su La Rinascita della Sinistra
La sinistra, la propaganda di guerra e l'11 settembre - 9-3-06
(206 letture)
Intervista a Juergen Elsaesser
Sorridente, gioviale, chiacchera e fuma una sigaretta durante
una pausa nei lavori di un convegno in via Nazionale, a Roma. Ci
appare così Juergen Elsaesser, giornalista, scrittore, intellettuale
della sinistra tedesca, esperto di propaganda di guerra e di conflitti
balcanici. Da lui vogliamo qualche risposta sul nostro tempo e sulle
sfide che si parano di fronte alla sinistra europea. Perché Elsaesser
è autore di una dozzina di libri su questioni di politica estera,
specialmente incentrati sui retroscena del conflitto balcanico. In
Italia ha pubblicato " Menzogne di Guerra. Le bugie della NATO e le
loro vittime nel conflitto per il Kosovo " (Napoli, La Città del Sole,
2002) una delle pochissime opere dedicate alla disinformazione
strategica e ai crimini di guerra della NATO. Scrive su diversi
periodici della sinistra di lingua tedesca, tra i quali il quotidiano
di Berlino "Junge Welt" ed il settimanale "Freitag".
Mr. Elsaesser, lei ha recentemente affermato che la strategia
occidentale della propaganda di guerra si può sintetizzare in quattro
punti, quattro "procedure standard". Ce le vuole riassumere?
Il mio modello di riferimento è l'intervento Nato nei Balcani,
ma ogni conflitto passato, presente e del prossimo futuro sembra fare
affidamento sulla medesima strategia:
1- Di fronte ad un conflitto in corso o che si è deciso di
avviare, l'aggressore innanzitutto demonizza una delle parti in
conflitto o comunque dipinge come "male assoluto" chi ha avuto la
disgrazia di essere scelto come suo opponente. La Nato dipinse come
male assoluto i serbi nei Balcani, accusandoli di essere la sola parte
"colpevole" nel conflitto che era in corso, e ignorò come anche
croati, musulmani e albanesi commettessero atrocità.
2 - Viene scelto/creato un "trigger event", un evento
scatenante: deve servire a coinvolgere quante più forze internazionali
nel conflitto che è in corso o che si vuole avviare. Serve
sostanzialmente a creare la giustificazione per un "intervento
umanitario". La strage nel villaggio kosovaro di Racak del 1999 è un
buon esempio: i serbi vennero accusati di aver massacrato
deliberatamente 45 innocenti albanesi, sebbene oggi sappiamo che la
maggior parte delle vittime erano in realtà membri delle milizie
irregolari albanesi dell'Uck e che il massacro era in realtà un
combattimento, che aveva avuto dei vinti e dei vincitori. Tuttavia
grande clamore venne alimentato attorno a questa vicenda, per
giustificare l'intervento della Nato che ha portato allo spodestamento
e alla cattura di Slobodan Milosevic. Racak fu il "trigger event".
3 - Si fa un uso/abuso di retorica antifascista. Tutte le
aggressioni perpetrate dall'occidente prima del 1989 venivano
giustificate in funzione anticomunista. Dopo il crollo del muro ora
sono giustificate in funzione antifascista: Saddam, Milosevic,
Ahmadinejad. tutti sono dei novelli Hitler e la loro politica è
dipinta come un ritorno del nazismo sotto nuove spoglie. Ciò che è più
triste è che spesso l'intervento militare viene giustificato con la
volontà di prevenire un nuovo Olocausto, viene fatto cioè un abuso a
fini bellici della più grande tragedia della storia, che ha visto lo
sterminio di 6 milioni di ebrei ad opera dei nazisti tedeschi. Questa
verità storica, questo genocidio è usato per giustificare nuovi
genocidi. E questo è intollerabile. Quello che sto dicendo è che
quella tragedia è entrata in un meccanismo di procedure standard
legate alla propaganda di guerra, e questo è terribile, e criminale.
4 - Si finanziano Organizzazioni Non Governative perché siano,
più o meno consapevolmente, strumenti di propaganda che preparino il
terreno e successivamente giustifichino gli interventi militari.
Medecins sans Frontieres , Journalists without Borders , Human Rights
Watch : la vera difficoltà per il movimento per la pace e per la
sinistra dei paesi occidentali è quella di vedere attraverso questo
inganno e smascherarlo. Alcune di queste Ong sono molto critiche verso
l'amministrazione Bush, come ad esempio Human Rights Watch . Ma questa
Ong è finanziata dal multimiliardario americano George Soros, vicino
ai democratici, ed è solo per questo che contesta il presidente
repubblicano. Non ha affatto una vocazione antimperialista ed è dalla
parte degli interessi statunitensi al 100%. Analoghi finanziamenti
imbarazzanti si possono riscontrare dietro alle altre Ong che ho citato.
La sua analisi si concentra molto sul concetto di retorica. La
retorica del male assoluto, la reorica dell'antifascismo, persino la
retorica dei diritti umani: su questo si basa la propaganda di guerra.
Ma c'è una nuova retorica imperante ai giorni nostri: è quella dell'11
settembre.
Voglio fare anche io ricorso alla figura di Hitler, come fa chi
punta il dito di volta in volta contro i nemici dell'occidente: io
paragonerei gli eventi del 11 settembre del 2001 all'incendio del
parlamento tedesco, il Reichstag nel 1933. Hitler accusò i comunisti
di quel disastro e sfruttò la situazione per la sua ascesa al potere,
cancellando la democrazia e i diritti civili. Con l'11 settembre si è
identificato il "male assoluto" nella matrice islamica degli
attentati, ed è stato introdotto il Patriot Act , una legge che come
il Reichstagsbrandverordnung, il "decreto dell'incendio del Reichstag"
- fatto firmare da Hitler subito dopo il disastro all'allora
presidente della Repubblica di Weimar, Von Hindenburg - limita le
libertà dei cittadini.
Il dibattito tra gli storici solleva seri dubbi che l'incendio
del Reichstag sia stato compiuto dai comunisti.
...allo stesso modo esistono diverse prove che nei tragici eventi
dell'11 settembre sono coinvolti servizi segreti occidentali.
Nel suo ultimo libro - "Come la Djihad giunse in Europa", non
ancora edito in Italia - lei dimostra che Osama bin Laden ricevette un
passaporto dal governo di Sarajevo, e che i suoi seguaci hanno
combattuto nei Balcani a fianco dei musulmani. Scrive anche che alcuni
di coloro che hanno partecipato agli attentati di New York e
Washington sono stati seguiti e assistiti dai servizi segreti
americani nei loro spostamenti dalla Serbia al resto d'Europa, ad
esempio ad Amburgo, dove hanno organizzato gli attacchi dell'11
settembre. Qui siamo un po' oltre la propaganda, non trova?
Era dal gennaio del 2000 che Al-Hazmi e Al-Mihdhar, due
dirottatori che si sono schiantati sul Pentagono con il volo 77
dell'American airlines, erano nella lista delle persone da tenere
sotto controllo da parte dell'Fbi e della Cia, ed erano persino
disponibili le loro foto segnaletiche. I due terroristi hanno
soggiornato negli Usa per circa 20 mesi affittando appartamenti e
automobili, aprendo conti correnti bancari, il tutto usando i loro
veri nomi. Hanno persino vissuto per diverse settimane a San Diego con
un informatore dell'Fbi. Tuttavia nessuno li ha fermati prima che
mettessero a segno i loro propositi. Tutto questo non è nel mio libro,
ma lo ha scritto il mio connazionale ed ex ministro della repubblica
federale tedesca Andreas Von Buelow, un profondo conoscitore del mondo
dei servizi segreti: li ha infatti studiati da una posizione
privilegiata. Per me questa è una delle vicende più significative che
testimoniano il ruolo decisivo dei servizi segreti occidentali negli
attentati dell'11 settembre 2001.
Mr. Elsaesser, lei ha descritto una serie di procedure standard
di propaganda, che garantiscono sempre alle "forze della coalizione"
di turno di poter muovere guerra. L'ultima applicazione di queste
procedure si è avuta in occasione dell'11 settembre del 2001, e ben
due guerre sono state perpetrate in nome della reazione al terrore. Ma
secondo lei che resistenza può opporre il comune cittadino e con quali
armi può rispondere la sinistra pacifista?
È necessario ovviamente continuare a cercare di smascherare ogni
menzogna, e questo è compito del giornalismo. Ma è sulle fonti da cui
si attingono le informazioni che bisogna concentrare l'attenzione. È
bene iniziare a non considerare più come fonti affidabili diverse
organizzazioni non governative che - pochi ci fanno caso - vengono
finanziate dagli interessi occidentali. Le guerre nei Balcani hanno
dimostrato come alcune di queste Ong, in determinate occasioni,
abbiano svolto il ruolo di vere e proprie portavoce della Nato,
favorendo la visione atlantica e manichea del complesso panorama
balcanico, e denuciando a senso unico atrocità e delitti, favorendo la
demonizzazione di una sola delle parti in conflitto. Anche il mondo
della sinistra deve assumere delle contromisure. È importante
stabilire contatti diretti con i governi che si trovano sotto la
pressione ostile della propaganda occidentale. Senza sposare tesi
ridicole e dichiarazioni sconsiderate come quelle di Ahmadinejad,
sarebbe comunque opportuno, per esempio, istituire un canale diretto
con le autorità di Teheran. Non per solidarizzare, ma per sapere di
prima mano quali sono le parole che vengono pronunciate, e non doversi
basare su interpretazioni occidentali che molto spesso sono
mistificazioni che preparano il terreno a conflitti armati. Infine, un
suggerimento per tutti è quello di non ricorrere alla storia per
giustificare quello che scriviamo e che diciamo. Chi fa propaganda di
guerra abusa delle vittime dell'Olocausto. Noi dovremmo invece evitare
di partecipare a questo macabro gioco e cercare di fare informazione
evitando moralismi e impropri paralleli storici. Dovermmo attenerci ai
fatti, alla verità, a quello che sta accadendo ora e adesso. È questo
il nostro dovere.
di Paolo Jormi Bianchi
l'intervista è uscita in forma ridotta su La Rinascita della Sinistra
--- Fine messaggio inoltrato ---
=== 2 ===
(I ripensamenti critici su "aiuto umanitario e politiche imperiali"
sono benvenuti, ma certe persistenti rimozioni lasciano l'amaro in
bocca e danno da pensare. "Médecins sans frontières" non erano quelli
che nel maggio 1999, subito dopo aver preso il Nobel per la Pace,
*espellevano* la loro sezione greca "colpevole" di avere fornito
aiuti agli jugoslavi bombardati dalla NATO? AM)
il manifesto
18 Maggio 2006
intervista
Médecins sans frontières allo specchio
Aiuto umanitario e politiche imperiali
Rony Brauman, ex presidente di Msf, rilegge criticamente l'esperienza
«umanitaria» e «neutralista», con le ong sempre più subordinate alla
realpolitik
Anna Maria Merlo
Mentre le ong che dipendono finanziamente dagli Usa hanno dovuto
accettare di ritirarsi dalla Palestina, in seguito alla vittoria di
Hamas il 25 gennaio scorso, Médecins sans frontières rifiuta di
trasformarsi in ausiliaria dei diplomatici. Il rifiuto di fare la
cernita tra le «buone» e le «cattive» vittime, così catalogate
dall'ideologia politica dominante, è uno dei principi fondatori di
Msf, la più emblematica delle organizzazioni di intervento di
emergenza nel mondo, che nel '99 è stata insignita del Nobel per la
pace.
Figura centrale dell'azione umanitaria, Rony Brauman, che dal '77 è
impegnato nel campo degli aiuti internazionali dopo alcuni anni di
militanza politica gauchista, dall'82 al '94 è stato presidente di
Msf. Nel corso deglmi anni, ha elaborato una visione critica
dell'aiuto umanitario, che spesso lo ha portato a prendere posizioni
in contrasto con la vulgata dominante in questo campo, che lui
condanna come «retorica umanitaria». Ha appena pubblicato un libro
molto problematico, «Penser dans l'urgence. Parcours critique d'un
humanitaire - entretiens avec Catherine Portevin» (Seuil, 267 pag.,
21 ), che parte dall'analisi dell'origine dell'umanitario prendendo
due «modelli»: da un lato quello della Croce rossa, che nasce nella
guerra, dall'altro quello che Brauman definisce «di sanità
coloniale», una faccia dell'imperialismo coloniale.
L'aiuto umanitario è oggetto di grande successo, attira persone,
soldi, il numero delle ong si moltiplica. Perché? Secondo lei,
l'impegno umanitario è venuto a sostituire un vuoto creato dal
declino dell'impegno politico?
Certo, il successo dell'umanitario negli ultimi 20-25 anni è anche
segno del declino del politico. Ha però anche dei meriti propri, che
non dobbiamo dimenticare. Fino ad allora, la politica aveva sempre
fatto una selezione tra i «buoni» e i «cattivi» morti, le vittime che
meritavano di essere commemorate e quelle che invece venivano gettate
nella pattumiera della storia. Il problema è che questa visione può
anche diventare un'ideologia, cioè una visione del mondo costruita
attraverso una sola idea. Per esempio, la divisione in ogni
avvenimento tra vittime, soccorritori e criminali, in tre ruoli
distinti, può portare a una descrizione del mondo altrettanto
manichea di quella che prevaleva ai tempi della guerra fredda. Di qui
la necessità, secondo me, di pensare l'umanitario non solo dal punto
di vista tecnico, pratico, ma anche filosofico e politico.
Lei dice che bisogna trovare il senso dell'azione. Ma come farlo, ora
che l'immagine domina e produce emozione? Prendiamo l'esempio dello
tsunami del Natale 2004.
La forza dell'immagine si sostituisce al discorso. Sullo tsunami, Msf
disse che i soldi raccolti erano troppi. A giusto titolo, lo tsunami
ha sollevato grande emozione, per ragioni legittime e molto
comprensibili. Anch'io, pure abituato a situazioni di emergenza, sono
rimasto scioccato. Ma subito è stato chiaro che c'erano sul posto
enormi soccorsi, mentre i bisogni dell'emergenza non erano così
forti. Le organizzazioni umanitarie dell'Onu e le ong hanno accettato
di lasciarsi spingere all'attivismo dai media e dall'opinione
pubblica. Una posizione totalmente sterile, che non portava a nulla
se non a nutrire l'idea dell'onnipotenza dei soldi e dei soccorsi. Si
trattava di un vero e propio spreco, quando quello di cui avrebero
avuto bisogno le vittime era una distribuzione dei soldi.
Oltre al dominio delle immagini che determinano le ondate di emozione
mondiale, l'aiuto umanitario soffre anche di un'altra evoluzione
contemporanea, ben più grave: l'avvento delle «guerre umanitarie».
Come sta influendo questa ideologia?
«Guerra umanitaria» è un non senso: la guerra uccide, l'umanitario
salva la gente. Una contraddizione in termini, molto pericolosa,
perché se vengono dichiarate delle guerre a nome della vita, del
bene, della morale, possono in fretta diventare guerre illimitate. Ho
però l'impressione che dopo il Kosovo questa idea di guerra
umanitaria sia in declino. Anche se ora c'è l'Iraq, che un po' le
assomiglia, perché guerra del Kosovo e guerra in Iraq sono accomunate
dalla menzogna di origine: per l'Iraq, sulle armi di distruzione di
massa, mentre per il Kosovo era direttamente la questione umanitaria
(il supposto piano Ferro di cavallo di programmazione del genocidio
degli albanesi).
L'idea di smascherare la propaganda è stata presente fin dall'origine
di Msf ?
All'origine Msf era un gruppo di medici che volevano porter lavorare
in situazione di emergenza. C'era anche l'aspirazione a una libertà
di parola che non era possibile alla Croce rossa. Msf nasce due anni
dopo il Biafra - l'origine è appunto in quella crisi, anche se poi
negli anni '70 Msf non denuncerà nulla e con il tempo si capirà che
in Biafra non c'era stato un genocidio, ma una guerra civile molto
crudele, fomentata dalla rivalità franco-britannica in Africa. Questo
episodio fondatore del Biafra mostra le difficoltà legate alla
denuncia e alla presa di parola pubblica. E' facile parlare, ma è
anche facile trovarsi invischiati in una propaganda che non si è
stati capaci di disvelare. A volte, questo porta gli umanitari a
diventare complici dei criminali, credendo di denunciare altri
criminali. Qui sta il mio motivo di dissenso con Bernard Kouchner: la
nozione di testimonianza è interessante, ma deve essere riflessa. Le
ong umanitarie possono diventare, in questo senso, parte del
problema, invece di esserne la soluzione: come in Etiopia
nell'84-'85, dove si è visto che l'aiuto poteva essere usato contro i
suoi destinatari e i protagonisti dell'aiuto integrati al sistema di
oppressione. O in Ruanda nel '94, dove la crisi umanitaria è
diventata sinomino di crimine perfetto, dove ci sarebero solo
vittime, perché ha permesso di non chiamare il genocidio con il suo
nome: un genocidio in diretta, malgrado l'idea nella quale
giornalisti e umanitari amano cullarsi, cioè la suppsta garanzia che
l'informazione, l'immagine, la sensibilizzazione dell'opinione
pubblica offrirebbero contro un genocidio.
La proclamata neutralità dell'intervento umanitario è quindi
problematica?
La neutralità non è un principio umanitario, ma diplomatico. Per
un'organizzazione come Msf la neutralità consiste, né più né meno, in
un'esigenza di neutralizzazione dei luoghi di soccorso, che significa
che non devono essere obiettivi di combattimento. Il solo principio
veramente utile, secondo me, è il principio di imparzialità, che non
ha nulla a che vedere con la neutralità, anche se a volte vengono
confusi. L'imparzialità è: a ognuno secondo i suoi bisogni. Il resto
segue. Non aiuteremo più o meno quelli perché sono più simpatici,
alleati della Francia o no, perché hanno la pelle più scura o più
chiara, perché hanno la religione buona o quella cattiva, ma in
funzione dei loro bisogni. E' questo un principio che deve restare al
cuore dell'azione umanitaria in situazione di guerra. Con
discernimento, però: se non mi interrogo sulla sofferenza che devo
curare, cioè sul senso dei miei atti, posso diventare il medico di un
campo di torturatori.
Come pensa che evolverà l'ormai grande macchina dell'aiuto umanitario?
Non so cosa sarà l'avvenire. L'umanitario ha molte cose da fare, da
dire, ma la professionalizzazione tecnica che è stata molto
importante negli ultimi 10 anni deve accompagnarsi con uno sforzo di
riflessione sui punti forti e sui limiti. L'umanitario non può
accontentarsi di essere un dispiegamento di mezzi e di servizi.
L'occidente si riacquista l'anima a colpi di euro: è il credere alla
virtù miracolosa dei soldi che è sviante. Su questo gli umanitari
dovranno riflettere.
1) La sinistra, la propaganda di guerra e l'11 settembre. Intervista
a J. Elsaesser
2) Médecins sans frontières allo specchio (da Il Manifesto)
=== 1 ===
--- In aa-info @yahoogroups.com, "Renato Caputo" ha scritto:
di Paolo Jormi Bianchi
l'intervista è uscita in forma ridotta su La Rinascita della Sinistra
La sinistra, la propaganda di guerra e l'11 settembre - 9-3-06
(206 letture)
Intervista a Juergen Elsaesser
Sorridente, gioviale, chiacchera e fuma una sigaretta durante
una pausa nei lavori di un convegno in via Nazionale, a Roma. Ci
appare così Juergen Elsaesser, giornalista, scrittore, intellettuale
della sinistra tedesca, esperto di propaganda di guerra e di conflitti
balcanici. Da lui vogliamo qualche risposta sul nostro tempo e sulle
sfide che si parano di fronte alla sinistra europea. Perché Elsaesser
è autore di una dozzina di libri su questioni di politica estera,
specialmente incentrati sui retroscena del conflitto balcanico. In
Italia ha pubblicato " Menzogne di Guerra. Le bugie della NATO e le
loro vittime nel conflitto per il Kosovo " (Napoli, La Città del Sole,
2002) una delle pochissime opere dedicate alla disinformazione
strategica e ai crimini di guerra della NATO. Scrive su diversi
periodici della sinistra di lingua tedesca, tra i quali il quotidiano
di Berlino "Junge Welt" ed il settimanale "Freitag".
Mr. Elsaesser, lei ha recentemente affermato che la strategia
occidentale della propaganda di guerra si può sintetizzare in quattro
punti, quattro "procedure standard". Ce le vuole riassumere?
Il mio modello di riferimento è l'intervento Nato nei Balcani,
ma ogni conflitto passato, presente e del prossimo futuro sembra fare
affidamento sulla medesima strategia:
1- Di fronte ad un conflitto in corso o che si è deciso di
avviare, l'aggressore innanzitutto demonizza una delle parti in
conflitto o comunque dipinge come "male assoluto" chi ha avuto la
disgrazia di essere scelto come suo opponente. La Nato dipinse come
male assoluto i serbi nei Balcani, accusandoli di essere la sola parte
"colpevole" nel conflitto che era in corso, e ignorò come anche
croati, musulmani e albanesi commettessero atrocità.
2 - Viene scelto/creato un "trigger event", un evento
scatenante: deve servire a coinvolgere quante più forze internazionali
nel conflitto che è in corso o che si vuole avviare. Serve
sostanzialmente a creare la giustificazione per un "intervento
umanitario". La strage nel villaggio kosovaro di Racak del 1999 è un
buon esempio: i serbi vennero accusati di aver massacrato
deliberatamente 45 innocenti albanesi, sebbene oggi sappiamo che la
maggior parte delle vittime erano in realtà membri delle milizie
irregolari albanesi dell'Uck e che il massacro era in realtà un
combattimento, che aveva avuto dei vinti e dei vincitori. Tuttavia
grande clamore venne alimentato attorno a questa vicenda, per
giustificare l'intervento della Nato che ha portato allo spodestamento
e alla cattura di Slobodan Milosevic. Racak fu il "trigger event".
3 - Si fa un uso/abuso di retorica antifascista. Tutte le
aggressioni perpetrate dall'occidente prima del 1989 venivano
giustificate in funzione anticomunista. Dopo il crollo del muro ora
sono giustificate in funzione antifascista: Saddam, Milosevic,
Ahmadinejad. tutti sono dei novelli Hitler e la loro politica è
dipinta come un ritorno del nazismo sotto nuove spoglie. Ciò che è più
triste è che spesso l'intervento militare viene giustificato con la
volontà di prevenire un nuovo Olocausto, viene fatto cioè un abuso a
fini bellici della più grande tragedia della storia, che ha visto lo
sterminio di 6 milioni di ebrei ad opera dei nazisti tedeschi. Questa
verità storica, questo genocidio è usato per giustificare nuovi
genocidi. E questo è intollerabile. Quello che sto dicendo è che
quella tragedia è entrata in un meccanismo di procedure standard
legate alla propaganda di guerra, e questo è terribile, e criminale.
4 - Si finanziano Organizzazioni Non Governative perché siano,
più o meno consapevolmente, strumenti di propaganda che preparino il
terreno e successivamente giustifichino gli interventi militari.
Medecins sans Frontieres , Journalists without Borders , Human Rights
Watch : la vera difficoltà per il movimento per la pace e per la
sinistra dei paesi occidentali è quella di vedere attraverso questo
inganno e smascherarlo. Alcune di queste Ong sono molto critiche verso
l'amministrazione Bush, come ad esempio Human Rights Watch . Ma questa
Ong è finanziata dal multimiliardario americano George Soros, vicino
ai democratici, ed è solo per questo che contesta il presidente
repubblicano. Non ha affatto una vocazione antimperialista ed è dalla
parte degli interessi statunitensi al 100%. Analoghi finanziamenti
imbarazzanti si possono riscontrare dietro alle altre Ong che ho citato.
La sua analisi si concentra molto sul concetto di retorica. La
retorica del male assoluto, la reorica dell'antifascismo, persino la
retorica dei diritti umani: su questo si basa la propaganda di guerra.
Ma c'è una nuova retorica imperante ai giorni nostri: è quella dell'11
settembre.
Voglio fare anche io ricorso alla figura di Hitler, come fa chi
punta il dito di volta in volta contro i nemici dell'occidente: io
paragonerei gli eventi del 11 settembre del 2001 all'incendio del
parlamento tedesco, il Reichstag nel 1933. Hitler accusò i comunisti
di quel disastro e sfruttò la situazione per la sua ascesa al potere,
cancellando la democrazia e i diritti civili. Con l'11 settembre si è
identificato il "male assoluto" nella matrice islamica degli
attentati, ed è stato introdotto il Patriot Act , una legge che come
il Reichstagsbrandverordnung, il "decreto dell'incendio del Reichstag"
- fatto firmare da Hitler subito dopo il disastro all'allora
presidente della Repubblica di Weimar, Von Hindenburg - limita le
libertà dei cittadini.
Il dibattito tra gli storici solleva seri dubbi che l'incendio
del Reichstag sia stato compiuto dai comunisti.
...allo stesso modo esistono diverse prove che nei tragici eventi
dell'11 settembre sono coinvolti servizi segreti occidentali.
Nel suo ultimo libro - "Come la Djihad giunse in Europa", non
ancora edito in Italia - lei dimostra che Osama bin Laden ricevette un
passaporto dal governo di Sarajevo, e che i suoi seguaci hanno
combattuto nei Balcani a fianco dei musulmani. Scrive anche che alcuni
di coloro che hanno partecipato agli attentati di New York e
Washington sono stati seguiti e assistiti dai servizi segreti
americani nei loro spostamenti dalla Serbia al resto d'Europa, ad
esempio ad Amburgo, dove hanno organizzato gli attacchi dell'11
settembre. Qui siamo un po' oltre la propaganda, non trova?
Era dal gennaio del 2000 che Al-Hazmi e Al-Mihdhar, due
dirottatori che si sono schiantati sul Pentagono con il volo 77
dell'American airlines, erano nella lista delle persone da tenere
sotto controllo da parte dell'Fbi e della Cia, ed erano persino
disponibili le loro foto segnaletiche. I due terroristi hanno
soggiornato negli Usa per circa 20 mesi affittando appartamenti e
automobili, aprendo conti correnti bancari, il tutto usando i loro
veri nomi. Hanno persino vissuto per diverse settimane a San Diego con
un informatore dell'Fbi. Tuttavia nessuno li ha fermati prima che
mettessero a segno i loro propositi. Tutto questo non è nel mio libro,
ma lo ha scritto il mio connazionale ed ex ministro della repubblica
federale tedesca Andreas Von Buelow, un profondo conoscitore del mondo
dei servizi segreti: li ha infatti studiati da una posizione
privilegiata. Per me questa è una delle vicende più significative che
testimoniano il ruolo decisivo dei servizi segreti occidentali negli
attentati dell'11 settembre 2001.
Mr. Elsaesser, lei ha descritto una serie di procedure standard
di propaganda, che garantiscono sempre alle "forze della coalizione"
di turno di poter muovere guerra. L'ultima applicazione di queste
procedure si è avuta in occasione dell'11 settembre del 2001, e ben
due guerre sono state perpetrate in nome della reazione al terrore. Ma
secondo lei che resistenza può opporre il comune cittadino e con quali
armi può rispondere la sinistra pacifista?
È necessario ovviamente continuare a cercare di smascherare ogni
menzogna, e questo è compito del giornalismo. Ma è sulle fonti da cui
si attingono le informazioni che bisogna concentrare l'attenzione. È
bene iniziare a non considerare più come fonti affidabili diverse
organizzazioni non governative che - pochi ci fanno caso - vengono
finanziate dagli interessi occidentali. Le guerre nei Balcani hanno
dimostrato come alcune di queste Ong, in determinate occasioni,
abbiano svolto il ruolo di vere e proprie portavoce della Nato,
favorendo la visione atlantica e manichea del complesso panorama
balcanico, e denuciando a senso unico atrocità e delitti, favorendo la
demonizzazione di una sola delle parti in conflitto. Anche il mondo
della sinistra deve assumere delle contromisure. È importante
stabilire contatti diretti con i governi che si trovano sotto la
pressione ostile della propaganda occidentale. Senza sposare tesi
ridicole e dichiarazioni sconsiderate come quelle di Ahmadinejad,
sarebbe comunque opportuno, per esempio, istituire un canale diretto
con le autorità di Teheran. Non per solidarizzare, ma per sapere di
prima mano quali sono le parole che vengono pronunciate, e non doversi
basare su interpretazioni occidentali che molto spesso sono
mistificazioni che preparano il terreno a conflitti armati. Infine, un
suggerimento per tutti è quello di non ricorrere alla storia per
giustificare quello che scriviamo e che diciamo. Chi fa propaganda di
guerra abusa delle vittime dell'Olocausto. Noi dovremmo invece evitare
di partecipare a questo macabro gioco e cercare di fare informazione
evitando moralismi e impropri paralleli storici. Dovermmo attenerci ai
fatti, alla verità, a quello che sta accadendo ora e adesso. È questo
il nostro dovere.
di Paolo Jormi Bianchi
l'intervista è uscita in forma ridotta su La Rinascita della Sinistra
--- Fine messaggio inoltrato ---
=== 2 ===
(I ripensamenti critici su "aiuto umanitario e politiche imperiali"
sono benvenuti, ma certe persistenti rimozioni lasciano l'amaro in
bocca e danno da pensare. "Médecins sans frontières" non erano quelli
che nel maggio 1999, subito dopo aver preso il Nobel per la Pace,
*espellevano* la loro sezione greca "colpevole" di avere fornito
aiuti agli jugoslavi bombardati dalla NATO? AM)
il manifesto
18 Maggio 2006
intervista
Médecins sans frontières allo specchio
Aiuto umanitario e politiche imperiali
Rony Brauman, ex presidente di Msf, rilegge criticamente l'esperienza
«umanitaria» e «neutralista», con le ong sempre più subordinate alla
realpolitik
Anna Maria Merlo
Mentre le ong che dipendono finanziamente dagli Usa hanno dovuto
accettare di ritirarsi dalla Palestina, in seguito alla vittoria di
Hamas il 25 gennaio scorso, Médecins sans frontières rifiuta di
trasformarsi in ausiliaria dei diplomatici. Il rifiuto di fare la
cernita tra le «buone» e le «cattive» vittime, così catalogate
dall'ideologia politica dominante, è uno dei principi fondatori di
Msf, la più emblematica delle organizzazioni di intervento di
emergenza nel mondo, che nel '99 è stata insignita del Nobel per la
pace.
Figura centrale dell'azione umanitaria, Rony Brauman, che dal '77 è
impegnato nel campo degli aiuti internazionali dopo alcuni anni di
militanza politica gauchista, dall'82 al '94 è stato presidente di
Msf. Nel corso deglmi anni, ha elaborato una visione critica
dell'aiuto umanitario, che spesso lo ha portato a prendere posizioni
in contrasto con la vulgata dominante in questo campo, che lui
condanna come «retorica umanitaria». Ha appena pubblicato un libro
molto problematico, «Penser dans l'urgence. Parcours critique d'un
humanitaire - entretiens avec Catherine Portevin» (Seuil, 267 pag.,
21 ), che parte dall'analisi dell'origine dell'umanitario prendendo
due «modelli»: da un lato quello della Croce rossa, che nasce nella
guerra, dall'altro quello che Brauman definisce «di sanità
coloniale», una faccia dell'imperialismo coloniale.
L'aiuto umanitario è oggetto di grande successo, attira persone,
soldi, il numero delle ong si moltiplica. Perché? Secondo lei,
l'impegno umanitario è venuto a sostituire un vuoto creato dal
declino dell'impegno politico?
Certo, il successo dell'umanitario negli ultimi 20-25 anni è anche
segno del declino del politico. Ha però anche dei meriti propri, che
non dobbiamo dimenticare. Fino ad allora, la politica aveva sempre
fatto una selezione tra i «buoni» e i «cattivi» morti, le vittime che
meritavano di essere commemorate e quelle che invece venivano gettate
nella pattumiera della storia. Il problema è che questa visione può
anche diventare un'ideologia, cioè una visione del mondo costruita
attraverso una sola idea. Per esempio, la divisione in ogni
avvenimento tra vittime, soccorritori e criminali, in tre ruoli
distinti, può portare a una descrizione del mondo altrettanto
manichea di quella che prevaleva ai tempi della guerra fredda. Di qui
la necessità, secondo me, di pensare l'umanitario non solo dal punto
di vista tecnico, pratico, ma anche filosofico e politico.
Lei dice che bisogna trovare il senso dell'azione. Ma come farlo, ora
che l'immagine domina e produce emozione? Prendiamo l'esempio dello
tsunami del Natale 2004.
La forza dell'immagine si sostituisce al discorso. Sullo tsunami, Msf
disse che i soldi raccolti erano troppi. A giusto titolo, lo tsunami
ha sollevato grande emozione, per ragioni legittime e molto
comprensibili. Anch'io, pure abituato a situazioni di emergenza, sono
rimasto scioccato. Ma subito è stato chiaro che c'erano sul posto
enormi soccorsi, mentre i bisogni dell'emergenza non erano così
forti. Le organizzazioni umanitarie dell'Onu e le ong hanno accettato
di lasciarsi spingere all'attivismo dai media e dall'opinione
pubblica. Una posizione totalmente sterile, che non portava a nulla
se non a nutrire l'idea dell'onnipotenza dei soldi e dei soccorsi. Si
trattava di un vero e propio spreco, quando quello di cui avrebero
avuto bisogno le vittime era una distribuzione dei soldi.
Oltre al dominio delle immagini che determinano le ondate di emozione
mondiale, l'aiuto umanitario soffre anche di un'altra evoluzione
contemporanea, ben più grave: l'avvento delle «guerre umanitarie».
Come sta influendo questa ideologia?
«Guerra umanitaria» è un non senso: la guerra uccide, l'umanitario
salva la gente. Una contraddizione in termini, molto pericolosa,
perché se vengono dichiarate delle guerre a nome della vita, del
bene, della morale, possono in fretta diventare guerre illimitate. Ho
però l'impressione che dopo il Kosovo questa idea di guerra
umanitaria sia in declino. Anche se ora c'è l'Iraq, che un po' le
assomiglia, perché guerra del Kosovo e guerra in Iraq sono accomunate
dalla menzogna di origine: per l'Iraq, sulle armi di distruzione di
massa, mentre per il Kosovo era direttamente la questione umanitaria
(il supposto piano Ferro di cavallo di programmazione del genocidio
degli albanesi).
L'idea di smascherare la propaganda è stata presente fin dall'origine
di Msf ?
All'origine Msf era un gruppo di medici che volevano porter lavorare
in situazione di emergenza. C'era anche l'aspirazione a una libertà
di parola che non era possibile alla Croce rossa. Msf nasce due anni
dopo il Biafra - l'origine è appunto in quella crisi, anche se poi
negli anni '70 Msf non denuncerà nulla e con il tempo si capirà che
in Biafra non c'era stato un genocidio, ma una guerra civile molto
crudele, fomentata dalla rivalità franco-britannica in Africa. Questo
episodio fondatore del Biafra mostra le difficoltà legate alla
denuncia e alla presa di parola pubblica. E' facile parlare, ma è
anche facile trovarsi invischiati in una propaganda che non si è
stati capaci di disvelare. A volte, questo porta gli umanitari a
diventare complici dei criminali, credendo di denunciare altri
criminali. Qui sta il mio motivo di dissenso con Bernard Kouchner: la
nozione di testimonianza è interessante, ma deve essere riflessa. Le
ong umanitarie possono diventare, in questo senso, parte del
problema, invece di esserne la soluzione: come in Etiopia
nell'84-'85, dove si è visto che l'aiuto poteva essere usato contro i
suoi destinatari e i protagonisti dell'aiuto integrati al sistema di
oppressione. O in Ruanda nel '94, dove la crisi umanitaria è
diventata sinomino di crimine perfetto, dove ci sarebero solo
vittime, perché ha permesso di non chiamare il genocidio con il suo
nome: un genocidio in diretta, malgrado l'idea nella quale
giornalisti e umanitari amano cullarsi, cioè la suppsta garanzia che
l'informazione, l'immagine, la sensibilizzazione dell'opinione
pubblica offrirebbero contro un genocidio.
La proclamata neutralità dell'intervento umanitario è quindi
problematica?
La neutralità non è un principio umanitario, ma diplomatico. Per
un'organizzazione come Msf la neutralità consiste, né più né meno, in
un'esigenza di neutralizzazione dei luoghi di soccorso, che significa
che non devono essere obiettivi di combattimento. Il solo principio
veramente utile, secondo me, è il principio di imparzialità, che non
ha nulla a che vedere con la neutralità, anche se a volte vengono
confusi. L'imparzialità è: a ognuno secondo i suoi bisogni. Il resto
segue. Non aiuteremo più o meno quelli perché sono più simpatici,
alleati della Francia o no, perché hanno la pelle più scura o più
chiara, perché hanno la religione buona o quella cattiva, ma in
funzione dei loro bisogni. E' questo un principio che deve restare al
cuore dell'azione umanitaria in situazione di guerra. Con
discernimento, però: se non mi interrogo sulla sofferenza che devo
curare, cioè sul senso dei miei atti, posso diventare il medico di un
campo di torturatori.
Come pensa che evolverà l'ormai grande macchina dell'aiuto umanitario?
Non so cosa sarà l'avvenire. L'umanitario ha molte cose da fare, da
dire, ma la professionalizzazione tecnica che è stata molto
importante negli ultimi 10 anni deve accompagnarsi con uno sforzo di
riflessione sui punti forti e sui limiti. L'umanitario non può
accontentarsi di essere un dispiegamento di mezzi e di servizi.
L'occidente si riacquista l'anima a colpi di euro: è il credere alla
virtù miracolosa dei soldi che è sviante. Su questo gli umanitari
dovranno riflettere.