(francais / italiano)

=== IN ITALIANO ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6616/1/51/

Montenegro: un omicidio senza colpevoli

09.01.2007

Il 27 maggio 2004, il caporedattore del quotidiano di opposizione Dan
veniva assassinato a Podgorica. Due anni e mezzo più tardi, la
giustizia ha scagionato il principale indiziato. Sul banco degli
imputati non resta che lo Stato

Di Petar Komnenic, per Monitor, 29 dicembre 2006
Traduzione di Persa Aligrudic per Le Courrier des Balkans e di Carlo
Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani

Il processo per l’omicidio di Dusko Jovanovic si è concluso
rapidamente, in silenzio. La sentenza del consiglio dei giudici che
scagionava Damir Mandic dall’accusa di complicità nell’omicidio è
stata letta da Radovan Mandic in un silenzio assoluto. La moglie del
defunto Dusko Jovanovic, Slavica, ha lasciato la sala del tribunale
in gran fretta, come anche la famiglia di Damir Mandic che senza
emozione apparente attendeva la sentenza.

Fin dall’inizio del processo, Monitor ha sempre ricordato che l’atto
di accusa emesso contro Damir Mandic, accusato di complicità
nell’omicidio di Dusko Jovanovic, capo redattore del quotidiano Dan,
si fondava su prove vaghe e pressoché prive di validità in sede
giudiziale. La sentenza emessa dal tribunale contraddice le tesi
della polizia e della Procura, che sostenevano che le prove raccolte
fossero irrefutabili.

La lettura della sentenza, dopo un processo di due anni e mezzo, non
è durata che qualche minuto. Il giudice Mandic ha brevemente spiegato
che sulla base delle prove fornite non era possibile concludere che
Damir Mandic si fosse trovato sul posto o nell’autoveicolo modello
Golf 3, dal cui interno erano state sparati su Jovanovic i proiettili
mortali, e che delle testimonianze oculari provavano che Damir Mandic
era stato visto nella discoteca Manija di Podgorica al momento del
crimine.

Una sentenza su commissione?

Contemporaneamente il tribunale ha condannato Damir Mandic a due anni
di prigione per il rapimento di Miodrag Nikolic. Dato che Mandic ha
trascorso più di due anni come detenuto in attesa di giudizio per
l’omicidio Jovanovic, tale pena è stata considerata come già
scontata, cosicché Damir Mandic è ormai un uomo libero. Naturalmente,
la decisione dell’Alta corte è solo di prima istanza, ed il
procuratore competente può sempre presentare un ricorso nei termini
di tempo stabiliti dalla legge.

La sentenza dell’Alta corte ha provocato vive reazioni da parte dei
colleghi del defunto Dusko Jovanovic. Si insinuano dubbi sul giudice
Radovan Mandic, che non avrebbe rispettato la legge. «È chiaro anche
ai profani che le prove sono più che sufficienti per condannare
l’imputato. Questa sentenza prova che noi non viviamo in uno Stato di
diritto», afferma il redattore capo di Dan, Mladen Milutinovic.

Anche i deputati di cinque partiti di opposizione hanno presentato un
comunicato congiunto al Parlamento, in cui definiscono scandalosa la
decisione dell’Alta corte. «O la Procura è incapace, e nel corso di
tutti questi anni ha ingannato i cittadini dicendo che i risultati
delle analisi effettuate a Wiesbaden confermavano senza ambiguità i
suoi sospetti, oppure la magistratura è corrotta a tal punto che le
prove non sono state prese in considerazione, mentre il diritto e la
giustizia sono stati svenduti in cambio di denaro sporco», nota
questo comunicato.

Antichi dubbi

Ricordiamo che il nostro giornale (Monitor, NdT) ha più volte messo
in dubbio la validità delle prove materiali che la Procura descriveva
come irrefutabili. In questo contesto si è spesso menzionata la
lattina di Red Bull ed il pacchetto di pistacchi trovati in
prossimità del veicolo utilizzato dagli autori del crimine. Questa
lattina, che presentava tracce del DNA di Mandic, è stata trovata in
circostanze assai strane, successivamente al sopralluogo e ad una
cinquantina di metri dal veicolo in questione. In sede di processo si
è stabilito che questa prova era stata acquisita seguendo una
procedura dubbia, dato che dalle note della polizia risulta che essa
sarebbe stata inviata al laboratorio di analisi prima ancora di
essere stata scoperta! Gli avvocati di Mandic accusano pubblicamente
la polizia di avere fabbricato questa prova.

In effetti questa prova non stabilisce alcun legame tra Mandic ed il
veicolo del crimine. Sull’arma trovata nel veicolo, usata per
uccidere Jovanovic, non si è rilevata alcuna traccia, mentre sul
fucile di riserva, che non è stato utilizzato, sono state trovate
diverse tracce di DNA, ma gli esperti non le hanno potute
identificare con certezza come appartenenti all’imputato.

La situazione è analoga per le particelle di polvere trovate sulla
maglietta di Mandic, che non possono con sicurezza essere imputate
all’arma dell’omicidio e che potrebbero avere un’origine del tutto
diversa.

Sulla base di tutte le prove fornite, il tribunale non ha potuto
concludere che due cose: che Mandic aveva probabilmente tenuto in
mano il fucile che sicuramente non è servito ad uccidere Dusko
Jovanovic; e d’altra parte che egli si trovava, a un’ora imprecisata,
a cinquanta metri dal luogo in cui il veicolo del crimine è stato
ritrovato. Ciò naturalmente a condizione che la lattina di Red Bull,
che porta la «firma» DNA di Mandic possa essere accettata come prova,
ma la provenienza di questa lattina è estremamente discutibile.

In assenza di serie prove materiali, il consiglio dei giudici ha
stimato che le prove addotte non sono convincenti. Il tribunale non
ha trovato ulteriori prove per suffragare una sentenza di
colpevolezza neppure nel tabulato delle telefonate fatte da Damir
Mandic, con cui la Procura aveva cercato di contestare il suo alibi.
Anche le dichiarazioni dei reporter di Dan, che hanno rimarcato la
presenza de Mandic alla discoteca Manija, sono state interpretate a
favore dell’imputato. La Corte ha spiegato che Mandic non poteva
trovarsi in due posti nello stesso momento. Così tutte le tesi della
polizia e della Procura sono state smentite.

Le lacune

In realtà fin dall’inizio questo caso è stato segnato da errori
investigativi e da sbrigative condanne. Ricordiamo che, stando a
quanto affermato dagli ispettori di polizia, la scena del crimine
dell’omicidio Jovanovic è stata ricostruita sulla base della
confessione di Damir Mandic che nel corso del primo colloquio
informale avrebbe, a quanto egli stesso afferma, descritto il delitto
ed identificato i complici. Questo famoso rapporto di polizia, in
ogni caso non utilizzabile in sede giudiziaria, non è mai stato reso
pubblico.

Ma la polizia, basandosi su queste presunte informazioni, ha accusato
Vuk Vulevic, di Berane, e Armin Musa Osmanagic, di Bar, di essere i
complici che erano stati ricercati per mesi dopo l’omicidio. Si
annunciava allora, ufficiosamente, che il loro arresto avrebbe chiuso
il caso Jovanovic.

Ci si è ben presto accorti che la polizia aveva sparato un colpo nel
vuoto. Vuk Vulevic è stato arrestato a Belgrado, ed è attualmente
sotto processo per un caso completamente diverso, di traffico di
stupefacenti. In mancanza di prove, contro di lui non è stata sporta
alcuna denuncia per l’omicidio di Jovanovic.

Armin Musa Osmanagic, dopo molti mesi di ricerche, si è
spontaneamente presentato alla polizia e, dopo un breve
interrogatorio, è stato rimesso in libertà, anch’egli per mancanza di
prove.

Il fallimento dell’inchiesta

Con il verdetto di assoluzione di Damir Mandic, questo complicato
caso ritorna dunque al suo punto di partenza. Le prove materiali non
sono state sufficienti a persuadere il consiglio dei giudici del
tribunale della colpevolezza di Mandic. Le indagini successive ed un
processo di due anni contro Damir Mandic non hanno gettato alcuna
luce sulle ragioni dell’assassinio di Dusko Jovanovic: gli eventuali
committenti del crimine non sono stati scoperti, e i veri motivi
dell’omicidio non sono stati resi noti all’opinione pubblica.

Nel caso in cui la sentenza venisse confermata, Damir Mandic avrebbe
diritto a chiedere allo Stato un risarcimento per una detenzione
ingiustificata di quasi sei mesi: il periodo cioè che egli ha passato
in prigione, oltre ai due anni di reclusione comminati per il
rapimento di Miodrag Nikolic. Si sono già valsi del diritto a fare
ricorso Vuk Vulevic ed Armin Musa Osmagnagic, che sono stati trattati
pubblicamente come assassini, senza prove, dai più alti funzionari di
polizia.

Da come si stanno mettendo le cose, sul banco degli imputati non
rimarrà che lo Stato. Se lo merita, perché ha creato un'atmosfera in
cui gli assassini possono respirare a pieni polmoni. Purtroppo ciò
non può essere di consolazione per la famiglia di Dusko Jovanovic. Un
delitto rimasto insoluto è uno scacco in più per le nostre speranze
di giustizia in Montenegro. E nessuna delle autorità competenti se ne
assume la responsabilità.


=== EN FRANCAIS ===

http://balkans.courriers.info/article7508.html

MONITOR

Monténégro : un meurtre sans coupable ?

TRADUIT PAR PERSA ALIGRUDIC
Publié dans la presse : 29 décembre 2006
Mise en ligne : mercredi 3 janvier 2007
Le 27 mai 2004, le rédacteur en chef du quotidien d’opposition Dan
était abattu dans la rue, en plein centre de Podgorica. Deux ans et
demi plus tard, la justice a innocenté le seul suspect jugé dans
cette affaire. Le meurtre de Dusko Jovanovic reste donc inexpliqué,
au grand dam de l’opposition, qui dénonce la faillite de la justice.
En effet, sur le banc des accusés, ne reste plus guère que l’État
monténégrin...

Par Petar Komnenic

Le procès pour le meurtre de Dusko Jovanovic s’est rapidement
terminé, en silence. La sentence du Conseil des juges énoncée par
Radovan Mandic, acquittant Damir Mandic de l’inculpation de
complicité de meurtre a été lue dans un silence absolu. L’épouse du
défunt Dusko Jovanovic, Slavica, a quitté la salle du tribunal en
grande hâte, ainsi que la famille de Damir Mandic qui, sans
exaltation apparente, attendait la sentence.

Depuis le début du procès, Monitor a toujours rappelé que l’acte
d’accusation lancé contre Damir Mandic, inculpé de complicité dans le
meurtre de Dusko Jovanovic, le rédacteur en chef du quotidien Dan,
reposait sur des preuves floues et sans guère de validité pour le
tribunal. La sentence énoncée par le Tribunal contredit les
allégations de la police et du Parquet, qui prétendaient que les
preuves recueillies étaient irréfutables.

La lecture de la sentence, après un procès de deux ans et demi, n’a
duré que quelques minutes. Le juge Mandic a brièvement expliqué que
sur la base des preuves fournies, on ne pouvait conclure que Damir
Mandic se trouvait sur les lieux ou dans le véhicule de type Golf 3,
à partir duquel les balles meurtrières ont été tirées sur Jovanovic,
et que des témoignages de témoins prouvaient que Dami Mandic avait
été vu dans la discothèque Manija de Podgorica au moment du crime.

Une sentence sur commande ?

Dans le même temps, le tribunal a condamné Damir Mandic à deux ans
d’emprisonnement pour l’enlèvement de Miodrag Nikolic. Comme il a
passé plus de deux ans en détention dans l’attente de son procès pour
le meurtre de Jovanovic, cette peine est considérée comme ayant été
déjà effectuée, de sorte que Damir Mandic est désormais un homme
libre. Naturellement, la décision du Haut tribunal n’est que de
première instance, et le procureur compétent a toujours la
possibilité de déposer une plainte dans le délai légal.

La sentence du Haut tribunal a provoqué de vives réactions de la part
des collègues du défunt Dusko Jovanovic. Le doute s’insinue sur le
juge Radovan Mandic, qui n’aurait pas respecté la loi. « Il est
clair, même pour les profanes, que les preuves sont plus que
suffisantes pour condamner l’accusé. Cette sentence prouve que nous
ne vivons pas dans un État de droit », affirme le rédacteur en chef
de Dan, Mladen Milutinovic.

Les députés de cinq partis d’opposition ont également publié un
communiqué commun au Parlement, déclarant que la décision du Haut
tribunal était scandaleuse. « Ou bien le Parquet est incapable et,
durant toutes ces années, il a trompé les citoyens en disant que les
résultats des analyses effectuées à Wiesbaden confirmaient sans
ambiguïté ses soupçons, ou bien la Justice est corrompue à tel point
que les preuves n’ont pas été prises en considération, tandis que le
droit et la justice ont été bradés contre de l’argent sale », note ce
communiqué.

Des doutes anciens

Rappelons que notre journal a plusieurs fois mis en question la
validité des preuves matérielles, proclamées irréfutables par le
Parquet. Dans ce contexte, on a très souvent mentionné la canette de
Red Bull et le paquet de pistaches trouvés à proximité du véhicule
utilisé par les auteurs du crime. Cette canette, présentant les
traces ADN de Mandic, a été trouvée dans d’étranges circonstances,
après la fin du constat, à une cinquantaine de mètres du véhicule en
question. Lors du procès, il a été établi que cette preuve avait été
inscrite selon une procédure douteuse, car il résulte des notes de la
police qu’elle aurait été envoyée à l’expertise avant qu’elle ne soit
découverte ! Les avocats de Mandic accusent publiquement la police
d’avoir fabriqué cette preuve.

En fait, cette preuve n’établit aucun lien entre Mandic et le
véhicule du crime. Sur l’arme trouvée dans le véhicule, utilisée pour
le meurtre de Jovanovic, aucune trace n’a été relevée, tandis que sur
le fusil de réserve qui n’a pas été utilisé, différentes traces d’ADN
ont été trouvées, mais les experts n’ont pas pu les identifier avec
certitude comme étant ceux de l’accusé.

Il en est de même avec les particules de poudre décelées sur le
maillot de Mandic, qui ne peuvent avec fiabilité être imputées à
l’arme du meurtre et qui peuvent avoir une toute autre origine.

Sur la base de toutes les preuves fournies, le tribunal pouvait
conclure deux choses : que Mandic avait probablement tenu dans ses
mains le fusil qui n’a sûrement pas servi à tuer Dusko Jovanovic, et
d’autre part qu’il se trouvait, à une heure imprécise, à cinquante
mètres du lieu où le véhicule du crime a été retrouvé. Ceci, bien
sûr, à la condition que la canette de Red bull, portant la «
signature » ADN de Mandic soit acceptée comme preuve, mais l’origine
de cette canette est extrêmement discutable.

En l’absence de preuves matérielles sérieuses, le Conseil judiciaire
estime que les preuves avancées ne sont pas convaincantes. Le
tribunal n’a pas davantage trouvé de quoi étayer une sentence de
culpabilité dans les listings des appels téléphoniques de Damir
Mandic, avec lesquels le Parquet avait essayé de contester son alibi.
Même les déclarations des reporters de Dan, qui ont remarqué la
présence de Mandic à la discothèque Manija, ont été interprétées en
faveur de l’accusé. Le Conseil de la cour a expliqué que Mandic ne
pouvait se trouver à deux endroits en même temps. C’est ainsi que
toutes les allégations de la police et du Parquet ont été démenties.

Les lacunes

En réalité, depuis le début, cette affaire est empreinte d’erreurs
d’investigation et de condamnations à la hâte. Rappelons que les
inspecteurs de police affirment que le scénario du meurtre de
Jovanovic a été conçu sur la base des aveux de Damir Mandic qui
aurait, soi-disant, lors du premier interrogatoire informel, décrit
le crime et identifié les complices. Ce fameux rapport de police, par
ailleurs inacceptable pour le tribunal, n’a jamais été rendu public.

Or, la police, en se fondant sur ces présumées informations, a accusé
Vuk Vulevic, de Berane, et Armin Musa Osmanagic, de Bar, d’être les
complices qui ont été recherchés pendant des mois après le meurtre.
On annonçait alors, officieusement, que leur arrestation mettrait fin
à l’affaire Jovanovic.

On s’est aperçu très vite que la police avait tiré dans le vide. Vuk
Vulevic a été arrêté à Belgrade, et il est actuellement jugé pour une
toute autre affaire de trafic de stupéfiants. Faute de preuves,
aucune plainte n’a été déposée contre lui pour le meurtre de Jovanovic.

Armin Musa Osmanagic, après plusieurs mois de recherche, s’est lui-
même rendu à la police et, après un bref interrogatoire, il a été
remis en liberté, également pour manque de preuves.

Débâcle de l’enquête

Avec le verdict d’acquittement de Damir Mandic, cette affaire
compliquée revient donc à son point de départ. Les preuves
matérielles n’ont pas été suffisantes pour persuader le conseil du
tribunal de la culpabilité de Mandic. L’enquête poursuivie et le
procès de deux ans contre Damir Mandic n’ont apporté aucune lumière
sur les raisons du meurtre de Dusko Jovanovic : les éventuels
commanditaires du crime n’ont pas été découverts, et les véritables
motifs du tueur n’ont pas été communiqués à l’opinion publique.

Dans le cas où la sentence serait validée, Damir Mandic aurait le
droit de demander des dédommagements à l’Etat pour une détention
infondée de près de six mois qu’il a passée en prison, au-delà des
deux ans d’emprisonnement prévus pour l’enlèvement de Miodrag
Nikolic. Le droit de recours a déjà été acquis par Vuk Vulevic et
Armin Musa Osmagnagic, qui ont été publiquement traités de tueurs,
sans preuves, par les plus hauts fonctionnaires de la police.

De la façon dont les choses se déroulent, il ne restera plus que
l’État sur le banc des accusés. Il le mérite bien, car il a créé une
atmosphère dans laquelle les tueurs peuvent respirer à pleins
poumons. Malheureusement, cela ne peut pas être une consolation pour
la famille de Dusko Jovanovic. Un crime non élucidé, c’est un échec
de plus pour nos espoirs de justice au Monténégro. Or, personne parmi
les autorités compétentes n’en assume la responsabilité.