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il manifesto
09 Agosto 2008
 
KYRGYZSTAN
 
Usa, diplomatici e militari con un'arsenale in salotto
 
Armi Nato in casa di americani: che succede a Biskek?
 
FABRIZIO VIELMINI
BISKEK (KYRGYZSTAN)

Un fatto più che insolito si è prodotto lunedì scorso (4 agosto) nella capitale kyrgyza. Su segnalazione degli abitanti di uno dei quartieri più disagiati della città, la milizia (come la polizia è qui chiamata) ha fatto irruzione in una casa isolata e qui ha scoperto un intero arsenale di provenienza Nato - composto da 26 fucili d'assalto M-16, quattro mitragliatori pesanti, quattro fucili da cecchino, due fucili Winchestern, sei pistole Beretta cal. 9 e circa quindicimila munizioni (inclusi proiettili traccianti) e accessori vari. Ancora più sorprendente il fatto che l'arsenale era custodito da dieci militari statunitensi e due diplomatici della locale ambasciata di Washington. Dopo l'irruzione e la coperta dell'arsenale, quest'ultima si è affrettata ad emettere un comunicato stampa in cui si precisava come la presenza della armi fosse stata concordata con la parte kyrgyza, nel quadro di esercitazioni «anti-terrorismo» (il concetto pass-partout di Washington per la sua infiltrazione delle strutture di sicurezza locali), esercitazioni da condurre insieme ai servizi d'intelligence di Biskek.

«Solo esercitazioni»

Per tutte le ventiquattr'ore successive le autorità kyrgyze non sono state in grado di confermare tale dichiarazione - segno del fatto che buona parte dei palazzi del potere di Biskek non era al corrente dell'operazione, ed era in seria difficoltà a trovare una posizione comune plausibile. Finalmente è stato affermato che in effetti la presenza delle armi era stata concordata e che la polizia ha agito a causa di non meglio precisate «infrazioni alle procedure». La locale procura ha comunque aperto un fascicolo per violazione del codice penale.
L'incidente solleva una serie d'interrogativi. Perché la milizia ha agito in modo così plateale? Screzi con i servizi segreti interni alle strutture di sicurezza?

Le domande dei media

Disponendo gli Stati uniti di un'intera base militare nel paese (e con la stessa ambasciata locale più simile a una caserma che a una struttura diplomatica), perché tenere quelle armi in un'abitazione privata, presa in affitto da un locale uomo d'affari?
I media locali si pongono queste e altre domande. Quanti arsenali segreti del genere vi possono ancora essere nel paese? Gli americani preparano qualche settore degli apparati di sicurezza in modo da attivarli in caso l'attuale dirigenza - ritrovatasi al potere in seguito ad una delle «rivoluzioni colorate» post-sovietiche degli scorsi anni - dovesse porre un ultimatum alla loro presenza militare nel paese, magari su pressione di Russia e Cina?
Le armi erano destinate a gruppi clandestini islamisti? Magari agli uiguri del vicino Xinjiang cinese, attivatisi proprio in questi giorni con un attacco alle guardie della frontiera sino-kyrgyza che ha causato sedidi morti? E' un'ipotesi, questa, dai fondamenti particolarmente fragili, dato che la Cia per simili operazioni ha sempre usato armi di origine sovietica al fine d'evitare connessioni dirette.
Secondo il corrispondente locale della Nezavisimaja Gazeta, G. Mihajlov, l'incidente indica in primo luogo le contraddizioni interne al regime di Kurmanbek Bakiev e le sue difficoltà nel controllo delle forze di sicurezza. L'affaire va inoltre inquadrato nell'ambito di una manovra volta ad avvelenare le relazioni del Kyrgyzstan - il quale si sta già preparando ad affrontare il secondo inverno in condizioni di crisi energetica - con Washington. La posizione di quest'ultima all'interno del paese è già abbastanza discreditata. La scorsa settimana alcune fonti locali riportavano del ritrovamento di 27 cadaveri privi degli organi interni nelle vicinanze della base.

L'ombra del «modello Kosovo»

Questo probabile atto di disinformazione - la notizia non è stata confermata dalle principali agenzie locali - ha offerto la sponda per speculazioni e confronti con la notizia degli espianti forzati operati dai kosovari sui prigionieri serbi dopo il 1999, all'ombra della bandiera della Nato. Di apparizione sempre più regolare, rapporti sul probabile utilizzo della base di Manas - il cui personale gode dell'immunità diplomatica - per il movimento di narcotici fra l'Afghanistan e Camp Bondsteel, l'enorme base militare americana in Kosovo.
Il tutto alla vigilia del prossimo vertice dell'Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, fissato per il 28 agosto, un vertice in cui Mosca e Pechino potrebbero decidere di riprendere la pressione sui regimi centrasiatici al fine di porre dei limiti ben precisi all'azione degli Stati uniti nella regione.

La base delle polemiche

Dall'autunno del 2001, gli Usa utilizzano sotto copertura Nato e col pretesto delle operazioni in Afghanistan una parte dell'aeroporto della capitale kyrgyza, Manas appunto, quale base militare. E' la principale base americana in territorio ex-sovietico.
Al di là del fatto di per sé singolare dell'associazione di strutture civili con mezzi militari, che rende il principale aeroporto del paese un possibile oggetto di ritorsioni belliche, la base si sta rivelando sempre più un fattore di irritazione pubblica. Gli aerei che vi fanno scalo hanno in più occasioni riversato carichi di kerosene sulle campagne circostanti, e in almeno due occasioni sono stati sul punto di causare seri incidenti con gli apparecchi civili, evitati per miracolo.
Sullo sfondo dell'indigenza circostante (il Kyrgyzstan è uno dei paesi più poveri dell'ex-Urss), i militari statunitensi si muovono inoltre come cowboy e infiammano le autorità tradizionali di una società in via di re-islamizzazione. A fine 2006 un G.I. ha freddato, senza apparenti motivi, un civile del personale locale. Un fatto che, non essendo la situazione a tutt'oggi risolta sul piano legale, ha accentuato il risentimento di massa verso i militari di Washington. Questo si è ulteriormente inasprito negli ultimi mesi in seguito ad alcuni incidenti stradali e risse provocate dal personale militare statunitense.
La presenza della base costituisce infine un serio fattore di disturbo delle relazioni fra la fragile repubblica kyrgyza e i vicini cinesi e uzbeki, oltre che con la Russia (dalle rimesse provenienti dai kyrgyzi ivi immigrati dipende la sussistenza di buona parte della popolazione). Gli impegni militari con la Russia proibirebbero, in teoria, la presenza di militari stranieri - da cui l'escamotage dell'immunità diplomatica loro concessa.
 
 
 
Il Grande gioco in Asia centrale

Sito ai confini occidentali della Cina, il Kyrgyzstan è uno degli angoli più disastrati dell'ex-Urss. Priva di risorse naturali, divisa da profonde fratture geofisiche (il 94 per cento del territorio è a oltre mille metri di altitudine), etniche (i kyrgyzi costituiscono il 60% di una popolazione multietnica di cinque milioni, fra cui abbondano russi e altre popolazioni «europee» dell'ex-Urss, che pure hanno abbandonato in massa il paese, oltre che rappresentanti delle repubbliche vicine, in primo luogo uzbeki, pari a oltre il 15 per cento) e tribali, la repubblica costituisce in virtù della propria debolezza intrinseca la principale piattaforma geopolitica delle potenze esterne interessate al controllo dell'Asia centrale, in primo luogo Russia, Cina e Usa, la cui interazione viene riassunta come «nuovo Grande gioco». Nel marzo 2005, la manipolazione delle elezioni da parte dell'allora presidente Askar Akaev ha innescato una serie di proteste di massa le quali, con profonde manipolazioni da parte delle molte ong finanziate dagli Usa, sull'onda delle «rivoluzioni di velluto» ucraina e georgiana, si sono risolte con la fuga di Akaev e la sua sostituzione da parte dell'ex-primo ministro Kurmanbek Bakiev. Quest'ultimo si è limitato a sostituire i quadri di Akaev con uomini del proprio clan, lasciando irrisolti i numerosi problemi che attanagliano il paese, buona parte della popolazione del quale è costretta ad emigrare per sopravvivere.
 
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