Spenti i fuochi alla periferia di Strasburgo, la “grandeur” francese si misurerà da ora in poi all’interno di una alleanza che appare sin da subito poco incline a compiacere il piccolo De Gaulle di turno, Nicolas Sarkozy.
Lo scontro con gli Stati Uniti sull’ingresso della Turchia è solo una delle tante contraddizioni che rischiano di aumentare, anziché risolvere, i gravi problemi di gestione di una alleanza malata sempre di più di elefantiasi, incapace di risolvere sul campo il conflitto afgano, in empasse sul progetto di “scudo antimissile”, bloccata dalla Russia nell’offensiva georgiana contro l’Ossezia del Sud.
Il sofferto allargamento della NATO ad Est, il tentativo di integrazione con le strutture militari della UE, le ipotesi di proiezione di potenza ben oltre l’area eurasiatica e mediorientale indicano però una tendenza alla “soluzione militare” per affrontare la gravissima crisi economica attraversata dal sistema capitalistico.
Montare sul treno della guerra è di vitale importanza. Chi ne rimane escluso rischia di esserne schiacciato. Ecco quindi il feroce sgomitare di Stati e classi dirigenti: Tutti sui vagoni, possibilmente in prima classe, con il rischio di far deragliare l’intero convoglio. Al momento il contributo del movimento altermondialista all’auspicato incidente ferroviario è, alla luce dei fatti di Strasburgo, abbastanza debole.
I padroni di casa del vertice dovevano garantire, nel momento del “grande rientro” nell’alleanza, una assoluta calma nel cuore della City, intorno ai palazzi del potere militare occidentale. Così è stato.
Per tenere a debita distanza i militanti anti NATO dai luoghi di incontro dei “grandi” sono stati impiegati oltre 10.000 poliziotti, in cielo, in terra ed anche in acqua, con decine di motovedette e gommoni distribuiti intorno ai ponti che attraversano l’Ill.
Strasburgo si è trasformata in pochi giorni in una città sotto assedio, con i cittadini delle zone arancione e rossa ridotti ad una condizione di vigilati speciali. Ognuno con un pass del colore della zona di residenza, rivelatosi poi inutile nei momenti topici del vertice, la mattina ed il pomeriggio di sabato 4 aprile, quando neppure quello è servito per spostarsi da una zona all’altra.
Abbiamo assistito a proteste individuali di alcuni cittadini, ma nel complesso il corpo sociale di una città che prospera intorno alle istituzioni europee non si è organizzato contro lo stato d’assedio imposto dalla NATO. La “democrazia occidentale” ha i suoi costi, che i sudditi più fortunati sono evidentemente disposti a pagare.
Il variegato movimento contro la guerra affluito nella città francese non ha trovato mai un momento di vera sintesi politica, sia rispetto alle strategie attuali e future contro l’alleanza di guerra, che per la gestione della piazza negli stessi giorni del vertice.
Abbiamo osservato all’opera le molte anime del movimento, o di ciò che ne rimane, nelle forme storiche del Forum Sociale Europeo, attraverso le varie espressioni politiche, culturali, sindacali.
Durante il contro-summit di venerdì 3 aprile, svoltosi all’interno del centro sportivo di Illkirch Lixenbhul (all’estrema periferia della città), di fronte a circa 800 – 1.000 partecipanti si sono confrontati gli esponenti delle varie forze presenti, PCF, CGT francese, NPA (Nuovo Partito Anticapitalista francese), Socialist Workers (inglesi), la Linke tedesca, i greci del comitato internazionale per la pace (Greek Committee for International Détente and Peace - EEDYE), alcuni parlamentari del GUE, Attac France, donne in nero ed altri piccoli gruppi politici eminentemente tedeschi, polacchi, spagnoli. La presenza italiana è stata molto ridotta, con la presenza di circa 30 attivisti del Patto contro la guerra e delle donne in nero.
Il contro-summit organizzato dal Forum sociale è stato, a nostro giudizio, sostanzialmente edulcorato nei contenuti e debolissimo nei referenti politici.
Nessun riferimento diretto al ruolo imperialista dell’Europa, non una parola sulla guerra “costituente” della nuova NATO, ovvero il bombardamento sulla ex Jugoslavia, tema costato ai greci del EEDYE l’estromissione dal comitato organizzatore. Nonostante questo, è stato grazie a loro che l’aggressione nei Balcani è stata denunciata e discussa, attraverso una intera sessione del contro vertice.
Inviti a dir poco discutibili per i dibattiti finali (ai quali non abbiamo partecipato) del 5 aprile, con una rediviva Lidia Menapace tra i relatori. Si, proprio quella anziana signora che durante il governo Prodi, per giustificare il suo voto a favore dell'occupazione e dei bombardamenti della NATO sull’Afghanistan inventò l’agghiacciante teoria della “riduzione del danno”.
Una debolezza rivelatasi con ulteriore chiarezza durante la riunione organizzativa per la manifestazione anti NATO del 4 aprile, con gli esponenti francesi del Forum sociale a proporre l’accettazione dell’itinerario indicato all’ultimo momento dalle autorità: un percorso a 8 – 10 km dal centro storico, praticamente tra gli hangar della zona industriale e commerciale.
Il dibattito sul tema ha evidenziato una profonda e sostanziale divergenza nella gestione della piazza, tra chi accettava la rappresentazione in periferia e chi intendeva mantenere il tragitto iniziale dell’attraversamento del ponte d’Europa, verso la zona del summit.
Gli eventi di piazza determinatisi il giorno dopo evidenzieranno la sostanziale inconsistenza ed inutilità fattuale di quel confronto. Ma di questo accenneremo in seguito.
Nessuna sorpresa quindi se alcune espressioni più radicali del movimento contro la guerra si siano agglutinate in altri luoghi e con altre modalità, come il centro sociale “Molodoi”, in rue du Ban del la Roche ed il campeggio internazionale di Rue de Ganzau, nel quartiere di Neuhof, confinato a 7 chilometri dal centro storico. In questi luoghi altri i temi, altri gli interlocutori e gli obiettivi in discussione.
Sorprende invece che alcune forze politiche, espressione nei vari paesi di contenuti e lotte conseguenti contro il militarismo imperialista, continuino a frequentare ambiti oramai rivelatisi asfittici ed inadeguati ad affrontare le nuove sfide imposte all’umanità da un capitalismo in profonda crisi e per questo particolarmente aggressivo.
Sabato 4 aprile . Alla periferia di Strasburgo
Inutile descrivere la dinamica concreta degli avvenimenti della giornata clou del vertice e del contro vertice, degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine ( sugli eventi stiamo preparando un video molto circostanziato). Di questo hanno parlato abbondantemente le prezzolate agenzie di regime, con infiniti fermo immagine sugli incendi e sui redivivi e “feroci” black block.
La gestione della piazza da parte del sistema di controllo e di repressione degli Stati interessati (Francia e Germania in primis) è stata quasi impeccabile.
Dopo una intera giornata di scontri, un albergo di 8 piani dato completamente alle fiamme insieme alle grandi strutture che contenevano gli uffici frontalieri in prossimità del ponte d’Europa, i feriti e i fermati si contavano sulle dita di poche mani.
Osservando all’opera i poliziotti franco/tedeschi abbiamo capito ancora di più quanto sia l’odio che guida ed informa la mano dei “nostri”, così come egregiamente dimostrato a Genova nel 2001.
La manifestazione è stata incanalata dentro il recinto predefinito, all’estrema periferia di Strasburgo, abitata eminentemente da lavoratori, immigrati, precari, così come tante altre banlieue europee. Dalle case e dalle finestre di questo spicchio di città poche bandiere della pace e ancor meno espressioni di solidarietà e partecipazione al corteo. Alcune tensioni, invece, tra giovani simil banlieusards e settori di corteo poco propensi ad accettare una interlocuzione che possiamo eufemisticamente definire “rude”.
Nei fatti i vari tessuti sociali di questa metropoli di oltre 450.000 abitanti – dal centro alla periferia – sono apparsi sostanzialmente impermeabili alla mobilitazione contro la NATO.
Il diniego assoluto di attraversare il ponte d’Europa, così come era stato concordato nei giorni precedenti, la divisione della città in zone off limits e l’impressionante militarizzazione del territorio hanno evidenziato nel contempo il fallimento della cosiddetta “democrazia occidentale” e la sostanziale inutilità di contro /vertici che tentano in contemporanea di imporre un altro punto di vista politico rispetto alle determinanti prestabilite dai cosiddetti “grandi della terra”.
In queste condizioni accettare la logica del recinto – come proposto da alcuni leader del forum sociale - avrebbe significato divenire parte integrante del meccanismo “democratico”, funzionali alla sua legittimazione.
Ecco allora la legittima reazione all’impedimento fisico di un esercizio elementare come quello di manifestare. Alcune migliaia di manifestanti hanno ripetutamente - e legittimamente - tentato di forzare i blocchi della polizia. Tra essi i più organizzati sono stati quelli che vengono sbrigativamente definiti "black block", fenomeno giovanile ancora tutto da indagare, ma che poco ha a che vedere con una espressione politica definita. Moltissima tattica e mobilità para militare, nessuna idea oltre quella di distruggere tutti i simboli della civiltà, dalle cabine telefoniche agli alberghi.
Non siamo tra quelli che si stracciano le vesti di fronte ad incendi o devastazioni. Di ben altra natura e pesantezza sono le “operazioni chirurgiche “ dei bombardieri della NATO sui villaggi afgani.
Il problema, come sempre, è politico, ed attiene alla capacità dei futuri movimenti di rafforzare la propria presenza nel tessuto sociale delle metropoli. Se e quando le banlieu diverranno un retroterra strategico della lotta contro la guerra imperialista saremo in grado di risolvere anche la “contraddizione” black block.
La lezione di Strasburgo deve servire per affinare la riflessione sui metodi di azione nella nuova fase politica che abbiamo di fronte. Non è più tempo di contro vertici, ma di radicamento delle idee forza antimilitariste ed antimperialiste all’interno dell’impetuoso flusso di lotte che la crisi capitalistica determinerà in tutto il continente europeo e ancora più in là.
a cura della Rete "Disarmiamoli"
www.disarmiamoli.org
3384014989 3381028120
Mercredi 08 Avril 2009 |
Otan: le cercle vicieux de la violence |
Diana Johnstone |
6 avril 2009 Ce cycle était visible samedi le 4 avril à Strasbourg, où plusieurs milliers de policiers et un petit nombre de casseurs du Black Block ont volé la vedette à ce qui aurait dû être le début d’un nouveau mouvement de masse européen contre l’Otan. La manifestation pacifiste fut écrasée et désintégrée par la police en armes, pendant que des jeunes aux capuchons noirs jetaient des pierres, cassaient des vitres et mettaient le feu aux bâtiments. Provocateurs contre provocateursDans ce cycle de provocation, il n’y a aucun doute que c'est l'Otan qui a commencé. La célébration ostentatoire du 60ème anniversaire de l’Alliance tenue dans trois villes du Rhin, Strasbourg, Kehl et Baden Baden ce jour-là, constituait une insulte aux citoyens. Après tout, si les dirigeants de "l’Occident démocratique" sont tellement appréciés, pourquoi faut-il transformer les villes qui les reçoivent en forteresses assiégées pour les accueillir? Si les Européens bénéficient de la protection de l’Otan, pourquoi les tenir à distance de leur bienfaiteurs ? Mais bien sûr l’Otan n’est pas une force de défense. Depuis l’agression contre la Serbie il y dix ans jusqu’au bourbier afghan aujourd’hui, l’Otan se transforme progressivement en force expéditionnaire destinée aux interventions lointaines. Les mesures de sécurité draconiennes appliquées à trois villes européennes plutôt conservatrices, enfermant les habitants dans leurs domiciles, ressemblaient à une occupation étrangère. Malgré la grande – mais peut-être passagère – popularité d’Obama, le sommet de l’Otan a illustré l’écart qui se creuse entre les peuples et leurs dirigeants politiques. Grand « communicateur », le Président des Etats-Unis s’est efforcé de persuader les Européens qu’ils sont encore plus menacés par Osama bin Laden et Al Qaeda que les Américains, et doivent donc payer leur tribut en impôts et en soldats pour éliminer cette menace quelque part en Afghanistan, si ce n’est au Pakistan ou ailleurs. Les médias européens ont pu distraire le public de cette notion saugrenue en dirigeant l’attention vers la tenue vestimentaire de Michelle Obama. Mais, entre temps, des dizaines de milliers de citoyens européens se dirigeaient vers Strasbourg dans l’espoir de manifester leur désaccord. Ils avaient des arguments à faire entendre. Ils ont fini étouffés par des nuages de gaz lacrimogènes, et ont été traités comme des bêtes. La responsabilité du fiascoLa responsabilité de ce fiasco est partagée. De loin les plus responsables sont les forces de l'ordre qui ne cessent de durcir leurs modes de répression partout en Europe. Sous le regard des hélicoptères, les divers policiers, gendarmes et CRS pratiquent la technique d’origine anglaise de « kettling » qui consiste à diviser et à enfermer les manifestants à l’intérieur de petits espaces séparés, parfois entourés de barrières métalliques. Il s’agit de traiter les êtres humains comme du bétail. Plus de dix mille policiers ont employé un arsenal d’armes anti-personnelles contre un nombre comparable de manifestants sans défense. Des gaz lacrimogènes, des balles en caouchouc et des armes à « son et lumière » ont d’abord mis fin aux discours avant d’égarer les manifestant dispersés et désorientés. Tout cela a fini dans un chaos total. Ce fut le résultat recherché. Mais une part de responsabilité incombe aux organisateurs, si on peut utiliser ce mot pour un événement où l’organisation faisait à ce point défaut. La manifestation anti-Otan du 4 avril était organisée par un collectif de groupes de militants français dont aucun n’avait l’autorité pour imposer un plan cohérent. Ainsi, le doyen de ces groupes, le Mouvement de la Paix, a fini par exercer la plus grande influence sur les décisions, notamment celle d’accepter le choix du site pour le rassemblement offert par la Préfecture. Au lieu de pouvoir se rassembler sur une place publique et de défiler dans les rues de Strasbourg sous les fenêtres des habitants, avec leurs banderolles, leurs slogans et leur théâtre de rue, les manifestants furent exilés sur une île périphérique entre le Rhin et un grand canal dans une zone industrielle. Les deux seuls ponts permettant l’accès du côté français étaient faciles à bloquer pour les forces d’ordre. Il suffit de regarder un plan pour voir qu’il s’agissaitt d’un piège, et, sur le terrain, le dénivellement rendait celui-ci pire encore. Situé à quelques huit kilomètres de la gare, un jour où tout transport public était supprimé, le site était difficile à atteindre. De plus, le point de rassemblement et le parcours imposé était quasi invisible au public. Bref, les manifestants étaient coupés de toute communication avec le public. Et la souricière donnait l’avantage à la police pour exercer ses méthodes de répression. Pourtant les organisateurs ont accepté ce site inacceptable – sans même fournir un service d’ordre pour guider et essayer de protéger les manifestants. Il est vrai qu’en échange, la Préfecture avait fait certaines promesses – non tenues. Les ponts et les rues qui devaient rester ouverts pour permettre aux manifestants de joindre le rassemblement sur l’île se trouvaient bloqués de façon imprévisible par la police, provoquant les premières échauffourées. Curieusement, plusieurs milliers de manifestant pacifistes furent bloqués sur la rive allemande du Rhin, sans jamais pouvoir rejoindre le rassemblement, tandis que des Black Block allemands y parvenaient. En général, la police a traité les pacifistes comme l’ennemi dans une guerre civile, sans protéger les personnes ou les biens de la minorité violente. Le Black BlockLes pacifistes ne pouvaient concurrencer les casseurs du Black Block, pourtant beaucoup moins nombreux. Contrairement aux pacifistes, ils paraissent, sur les vidéos, comme étant maîtres de leur propre jeu, en combat avec la police. Il est probable qu’ils en éprouvent fierté et satisfaction. Errare humanum est. Les mauvaises intentions fleurissent, mais les erreurs sont encore plus courantes. Un mouvement intelligent contre l’Otan doit essayer d’appliquer l’alternative à la guerre – l’argumentation rationnelle – en toutes circonstances. Nous devons débattre avec les gens qui se trompent sur l’Otan, pour expliquer sa nocivité. Et nous devons débattre avec ceux du Black Block, pour signaler ce qui ne va pas dans leur forme de protestation. Comment entamer un tel dialogue n’est pas évident. En faisant l’hypothèse que les participants aux actions du Black Block ne sont pas tous des policiers déguisés, j’inviterais, si j’en avais les moyens, ceux qui sont sincères à prendre en considération plusieurs idées.
Que faire?L’année 2008 fut un vrai tournant, avec deux événements de très grande portée qui changent, petit à petit, la vision du monde que peuvent avoir la plupat des gens : l’effondrement financier, et l’attaque israélienne contre Gaza. Les répercussions s'en feront de plus en plus sentir. Elles préparent le terrain pour l’opposition massive des peuples aux puissances financières et militaires qui dirigent l’Occident et qui s’efforcent toujours, à travers l’Otan en particulier, d'imposer leur domination au monde entier. Il y a des indices que le pouvoir reconnaît le danger et prépare des technologies de répression pour contrer les révoltes à venir. Il est urgent de fournir des alternatives politiques en termes de programmes et d’organisation. Si les manifestations de masse sont vulnérables à la répression policière et aux casseurs, il faut inventer d’autres moyens plus variés et plus flexibles pour communiquer les uns avec les autres afin d' élargir un mouvement cohérent capable de combattre la militarisation de la société et de construire une économie centrée sur les véritables besoins des êtres humains. En tout cas, toute manifestion future contre l’Otan doit se doter de son propre service d’ordre. On ne peut pas mélanger des manifestants pacifiques avec les casseurs qui cherchent ce que cherche la police : les combats violents. |
http://www.michelcollon.info/index.php?view=article&catid=6%3Aarticles&id=1992%3Ala-mission-mondiale-nauseabonde-de-lotan&option=com_content&Itemid=11
Mercredi 08 Avril 2009
La mission tentaculaire de l’Otan embrasse la France |
Diana Johnstone |
L’OTAN, le bras principal à l’étranger du complexe militaro-industriel des Etats-Unis, ne fait que s’étendre. Sa raison d’être originelle, le bloc soviétique supposé menaçant, est morte depuis 20 ans. Mais à l’instar du complexe militaro-industriel lui-même, l’OTAN est maintenue en vie et continue de croître à cause d’une combinaison d’intérêts économiques bien établis, d’inertie institutionnelle et d’un état d’esprit officiel proche de la paranoïa, avec des boîtes à idées bien financées (les « think tanks ») qui cherchent désespérément des « menaces ». 29 mars 2009 Ce mastodonte s’apprête à célébrer son 60ème anniversaire en avril, sur le Rhin, à Strasbourg en France et à Kehl et Baden Baden en Allemagne. Le président français, Nicolas Sarkozy, dont la popularité s’effrite, lui offre un cadeau exceptionnel : le retour de la France dans le « commandement intégré » de l’OTAN. Cet événement bureaucratique, dont la signification pratique reste peu claire, fournit au chœur des fonctionnaires et des éditorialistes OTANolâtres de quoi s’enorgueillir. Voyez ! Ces idiots de Français ont reconnu leur erreur et sont rentrés au bercail. Sarkozy dit les choses autrement. Il affirme qu’en rejoignant le commandement de l’OTAN l’importance de la France s’accroîtra, en lui donnant de l’influence sur la stratégie et les opérations d’une Alliance qu’elle n’a jamais quittée et pour laquelle elle a continué de contribuer plus que sa part en terme de forces armées. Le défaut dans cet argument est que c’était en premier lieu le contrôle total et inébranlable des Etats-Unis sur le commandement intégré de l’OTAN qui persuada le Général Charles de Gaulle à le quitter, en mars 1966. De Gaulle ne le fit pas sur un coup de tête. Il avait essayé de changer le processus de prise de décision et avait constaté que c’était impossible. La menace soviétique avait diminué et de Gaulle ne voulait pas être entraîné dans des guerres qu’il pensait inutiles, comme les efforts étasuniens de gagner la guerre en Indochine que la France avait déjà perdue et qu’il considérait ingagnable. Il voulait que la France soit capable de poursuivre ses propres intérêts au Proche-Orient et en Afrique. D’autre part, la présence militaire des Etats-Unis en France stimulait les manifestations « Yankee go home ». Le transfert du commandement de l’OTAN en Belgique satisfaisait tout le monde. Le prédécesseur de Sarkozy, Jacques Chirac, étiqueté à tort par les médias étasuniens comme « anti-américain », était déjà prêt à rejoindre le commandement de l’OTAN s’il pouvait obtenir quelque chose de substantiel en retour, comme le commandement de l’OTAN en Méditerranée. Les Etats-Unis refusèrent platement. A la place de Chirac, Sarkozy accepte des miettes : l’affectation d’officiers supérieurs français à un commandement au Portugal et dans quelque base d’entraînement aux Etats-Unis. « Rien n’a été négocié. Deux ou trois officiers français supplémentaires en position de recevoir des ordres des Américains ne changeront rien », a observé l’ancien ministre français des affaires étrangères, Hubert Védrine, lors d’un récent colloque sur la France et l’Otan. Sarkozy a annoncé ce retour le 11 mars, six jours avant que cette question ne soit débattue par l’Assemblée Nationale. Les protestations de gauche comme de droite seront vaines. Il semble qu’il y ait deux causes principales à cette reddition inconditionnelle. L’une est la psychologie de Sarkozy lui-même, dont l’adoration pour les aspects les plus superficiels des Etats-Unis s’est exprimée dans son discours embarrassant devant le Congrès des Etats-Unis en novembre 2007. Sarkozy est peut-être le premier président français qui semble ne pas aimer la France. Ou, du moins, qui semble préférer les Etats-Unis (la version qu’il a vue à la télévision). Il peut donner l’impression d’avoir voulu être le président de la France, non pas par amour pour son pays, mais par vengeance sociale contre lui. Depuis le début, il s’est montré pressé de « normaliser » la France, c’est-à-dire, de la refaçonner en accord avec le modèle américain. L’autre cause, moins flagrante mais plus objective, est la récente expansion de l’Union Européenne. L’absorption rapide de tous les anciens satellites d’Europe de l’Est, ainsi que des anciennes républiques soviétiques d’Estonie, de Lettonie et de Lituanie, a radicalement changé l’équilibre du pouvoir au sein de l’UE elle-même. Les nations fondatrices, la France, l’Allemagne, l’Italie et les pays du Benelux, ne peuvent plus guider l’Union vers une politique étrangère et de sécurité unifiée. Après le refus de la France et de l’Allemagne d’accepter l’invasion de l’Irak, Donald Rumsfeld a discrédité ces deux pays comme faisant partie de la « vieille Europe » et il s’est gargarisé de la volonté de la « nouvelle Europe » de suivre l’exemple des Etats-Unis. La Grande-Bretagne à l’Ouest et les « nouveaux » satellites européens à l’Est sont plus attachés aux Etats-Unis, politiquement et émotionnellement, qu’ils ne le sont à l’Union Européenne qui les a accueillis et leur a apportés une considérable aide économique au développement et un droit de veto sur les questions politiques majeures. Le rêve européen briséCette expansion a enterré de fait le projet français de longue date de construire une force de défense européenne pouvant agir hors du commandement de l’OTAN. Les dirigeants de la Pologne et des Etats Baltes veulent une défense américaine, à travers l’Otan, point. Ils n’accepteraient jamais le projet français d’une défense européenne qui ne serait pas liée à l’OTAN et aux Etats-Unis. La France a son propre complexe militaro-industriel , un nain comparé au complexe militaro-industriel américain, mais le plus grand de l’Europe occidentale. Tout complexe de ce type a besoin de marchés à l’exportation pour son industrie d’armement. Le marché avec le plus grand potentiel aurait été des forces armées européennes indépendantes. Sans cette perspective, certains pouvaient espérer qu’en rejoignant le commandement intégré les marchés de l’OTAN s’ouvriraient à la production militaire française. Un espoir ténu, cependant. Les Etats-Unis protègent jalousement les acquisitions majeures de l’OTAN au bénéfice de leur propre industrie. La France n’aura probablement pas beaucoup d’influence au sein de l’OTAN pour la même raison qui fait qu’elle abandonne sa tentative de construire une armée européenne indépendante. Les Européens sont eux-mêmes profondément divisés. Avec une Europe divisée, les Etats-Unis règnent. De plus, avec la crise économique qui s’accentue, l’argent est de moins en moins disponible pour l’armement. Du point de vue de l’intérêt national français, ce faible espoir de commercialiser des équipements militaires lourds est plus que compromis par les conséquences politiques désastreuses de l’acte d’allégeance de Sarkozy. Il est vrai que même hors du commandement intégré de l’OTAN l’indépendance de la France n’était que relative. La France a suivi les Etats-Unis dans la première guerre du Golfe – le Président François Mitterrand espéra vainement gagner ainsi de l’influence à Washington, le mirage habituel qui attire les alliés dans les opérations étasuniennes douteuses. La France s’est jointe à l’OTAN en 1999 dans la guerre contre la Yougoslavie, malgré les doutes aux plus hauts niveaux. Mais en 2003, le Président Jacques Chirac et son ministre des affaires étrangères Dominique de Villepin ont réellement usé de leur indépendance en rejetant l’invasion de l’Irak. Il est généralement reconnu que la position française a permis à l’Allemagne de faire de même. La Belgique a suivi. Le discours de Villepin, le 14 février 2003, au Conseil de Sécurité des Nations-Unies, donnant la priorité au désarmement et à la paix sur la guerre, reçut une rare standing ovation. Le discours de Villepin fut immensément populaire dans le monde entier et a accru énormément le prestige de la France, en particulier dans le monde arabe. Mais, de retour à Paris, la haine personnelle entre Sarkozy et Villepin atteignit des sommets passionnels et l’on peut suspecter que le retour de Sarkozy dans l’obédience de l’OTAN est également un acte de vengeance personnelle. Le pire effet politique est beaucoup plus vaste. L’impression est à présent créée que « l’Occident » - l’Europe et l’Amérique du Nord - se barricadent contre le reste du monde par une alliance militaire. Rétrospectivement, la dissidence française a rendu service à l’ensemble du monde occidental en donnant l’impression - ou l’illusion - que la pensée et l’action indépendantes étaient toujours possibles et que quelqu’un en Europe pouvait écouter ce que d’autres parties du monde pensaient et disaient. Désormais, ce « resserrement des rangs », salué par les fervents défenseurs de l’OTAN comme « améliorant notre sécurité », sonnera l’alarme dans le reste du monde. L’empire semble resserrer ses rangs en vue de faire la loi dans le monde. Les Etats-Unis et ses alliés ne prétendent pas ouvertement diriger le monde, seulement le réguler. L’Ouest contrôle les institutions financières mondiale, le FMI et la Banque Mondiale. Il contrôle le judiciaire, la Cour Pénale Internationale, laquelle, en six années d’existence, a jugé seulementun obscur chef de guerre congolais et mis en accusation 12 autres personnes, toutes africaines – alors que, pendant ce temps, les Etats-Unis causent la mort de centaines de milliers, voire de millions de personnes en Irak et en Afghanistan et soutiennent l’agression continuelle d’Israël contre le peuple palestinien. Pour le reste du monde, l’OTAN n’est que la branche armée de cette entreprise de domination. Et cela à un moment où le système du capitalisme financier dominé par l’Ouest entraîne l’économie mondiale dans l’effondrement. Cette gesticulation, consistant à « montrer l’unité occidentale » pour « notre sécurité », ne peut que rendre le reste du monde inquiet pour l’avenir. Pendant ce temps, l’OTAN manœuvre chaque jour un peu plus pour encercler la Russie avec des bases militaires et des alliances hostiles, notamment en Géorgie. En dépit des sourires pendant les dîners avec son homologue russe, Sergueï Lavrov, Hillary Clinton répète le mantra étonnant selon lequel « les sphères d’influence ne sont pas acceptables » - voulant dire, bien sûr, que la sphère historique russe est inacceptable, tandis que les Etats-Unis l’incorporent vigoureusement dans leur propre sphère d’influence, qui s’appelle l’OTAN. Déjà, la Chine et la Russie accroissent leur coopération en matière de défense. Les intérêts économiques et l’inertie institutionnelle de l’OTAN poussent le monde vers un alignement préalable à la guerre bien plus dangereux que la Guerre Froide. La leçon que l’OTAN refuse d’apprendre est que sa recherche d’ennemis crée des ennemis. La guerre contre le terrorisme nourrit le terrorisme. Entourer la Russie avec des missiles soi-disant « défensifs » - lorsque tout stratège sait qu’un bouclier accompagné d’une épée est aussi une arme offensive – créera un ennemi russe. La recherche des menacesPour se prouver à elle-même qu’elle est réellement « défensive », l’OTAN continue de rechercher des menaces. Eh bien, le monde est un endroit agité, en grande partie grâce à la sorte de mondialisation économique imposée par les Etats-Unis au cours des décennies passées ! Cela pourrait être le moment d’entreprendre des efforts diplomatiques et politiques afin de mettre au point des moyens internationalement acceptés pour traiter les problèmes tels que la crise économique mondiale, le changement climatique, l’utilisation de l’énergie, les pirates informatiques (« la guerre cybernétique »). Les groupes de réflexion de l’OTAN se jettent sur ces problèmes pour y trouver de nouvelles « menaces » qui doivent être traitées par l’OTAN. Cela conduit à une militarisation des décisions, là où elles devraient être démilitarisées. Par exemple, que peut bien vouloir dire répondre à la menace supposée du changement climatique avec des moyens militaires ? La réponse semble évidente : la force militaire peut être utilisée d’une manière ou d’une autre contre les populations obligées de fuir de chez elles à cause des sécheresses ou des inondations. Peut-être, comme au Darfour, la sécheresse conduira-t-elle à des conflits entre groupes ethniques ou sociaux. Ensuite, l’OTAN peut décider quel est le « bon » camp et bombarder l’autre camp. Quelque chose de ce genre. Le monde semble en effet se diriger vers une période de troubles. L’Otan semble se préparer à affronter ces troubles en utilisant la force armée contre des populations indisciplinées. Cela sera évident lors de la célébration du soixantième anniversaire de l’OTAN, qui se déroulera les 3 et 4 avril prochains à Strasbourg et à Kehl. Ces villes seront transformées en camps armés. Les habitants de la ville tranquille de Strasbourg sont obligés demander des badges pour pouvoir quitter leurs propres habitations ou y entrer durant ce joyeux évènement. Aux moments cruciaux, ils ne seront pas autorisés du tout à quitter leur domicile, sauf en cas d’urgence. Le transport urbain sera stoppé. Ces villes seront aussi mortes que si elles avaient été bombardées, afin de permettre aux dignitaires de l’OTAN de simuler une démonstration de paix. Le point culminant sera une séance de photos de dix minutes, lorsque les dirigeants français et allemand se serreront la main sur le pont au-dessus du Rhin reliant Strasbourg à Kehl. Comme si Angela Merkel et Nicolas Sarkozy faisaient la paix entre la France et l’Allemagne pour la première fois ! Les gens du cru seront enfermés afin de ne pas déranger cette mascarade. |