(deutsch / italiano / francais)


LUNEDÌ 1 GIUGNO 2009


Tienanmen 20 anni dopo

di Domenico Losurdo


Versione francese su http://www.voltairenet.org/article160446.html

Versione tedesca su Junge Welt


In questi giorni, la grande stampa di «informazione» è impegnata a ricordare il ventesimo anniversario del «massacro» di piazza Tienanmen. Le rievocazioni «commosse» degli avvenimenti, le interviste ai «dissidenti» e gli editoriali «indignati», i molteplici articoli che si sussseguono e si preparano mirano a ricoprire di perpetua infamia la Repubblica Popolare Cinese e a rendere solenne omaggio alla superiore civiltà dell’Occidente liberale. Ma cosa è realmente avvenuto venti anni fa?
Nel 2001 furono pubblicati e successivamente tradotti nelle principali lingue del mondo i cosiddetti Tienanmen Papers che, stando alle dichiarazioni dei curatori, riproducono rapporti segreti e i verbali riservati del processo decisionale sfociato nella repressione del movimento di contestazione. E’ un libro che, sempre secondo le intenzioni dei curatori e degli editori, dovrebbe mostrare l’estrema brutalità di una dirigenza (comunista) che non esita a sommergere in un bagno di sangue una protesta «pacifica». Sennonché, una lettura attenta del libro in questione finisce col far emergere un quadro ben diverso della tragedia che si consuma a Pechino tra maggio e giugno del 1989. Leggiamo qualche pagina qua e là:
«Più di cinquecento camion dell’esercito sono stati incendiati in corrispondenza di decine di incroci […] Su viale Chang’an un camion dell’esercito si è fermato per un guasto al motore e duecento rivoltosi hanno assalito il conducente picchiandolo a morte […] All’incrocio Cuiwei, un camion che trasportava sei soldati ha rallentato per evitare di colpire la folla. Allora un gruppo di dimostranti ha cominciato a lanciare sassi, bombe molotov e torce contro di quello, che a un certo punto si è inclinato sul lato sinistro perché uno dei suoi pneumatici si è forato a causa dei chiodi che i rivoltosi avevano sparso. Allora i manifestanti hanno dato fuoco ad alcuni oggetti e li hanno lanciati contro il veicolo, il cui serbatoio è esploso. Tutti e sei i soldati sono morti tra le fiamme»[1].
Non solo è ripetuto il ricorso alla violenza, ma talvolta entrano in gioco armi sorprendenti:
«Un fumo verde-giallastro si è levato improvvisamente da un’estremità del ponte. Proveniva da un’autoblindo guasto che ora costituiva esso stesso un blocco stradale […] Gli auotoblindo e i carri armati che erano giunti per sgomberare la strada dai blocchi non hanno potuto fare altro che accodarsi alla testa del ponte. Improvvisamente è sopraggiunto di corsa un giovane, ha gettato qualcosa in un autoblindo ed è fuggito via. Alcuni secondi dopo lo stesso fumo verde-giallastro è stato visto fuoriuscire dal veicolo, mentre i soldati si trascinavano fuori e si distendevano a terra, in strada, tenendosi la gola agonizzanti. Qualcuno ha detto che avevano inalato gas venefico. Ma gli ufficiali e i soldati nonostante la rabbia sono riusciti a mantenere l’autocontrollo»[2].
Questi atti di guerra, col ricorso ripetuto ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, si intrecciano con iniziative che danno ancora di più da pensare: viene «contraffatta la testata del “Quotidiano del popolo”»[3]. Sul versante opposto vediamo le direttive impartite dai dirigenti del partito comunista e del governo cinese alle forze militari incaricate della repressione:
«Se dovesse capitare che le truppe subiscano percosse e maltrattamenti fino alla morte da parte della masse oscurantiste, o se dovessero subire l’attacco di elementi fuorilegge con spranghe, mattoni o bombe molotov, esse devono mantenere il controllo e difendersi senza usare le armi. I manganelli saranno le loro armi di autodifesa e le truppe non devono aprire il fuoco contro le masse. Le trasgressioni verranno prontamente punite»[4].
Se è attendibile il quadro tracciato da un libro pubblicato e propagandato dall’Occidente, a dare prova di cautela e di moderazione non sono i manifestanti ma piuttosto l’Esercito Popolare di Liberazione!
Nei giorni successivi il carattere armato della rivolta diviene più evidente. Un dirigente di primissimo piano del partito comunista richiama l’attenzione su un fatto decisamente allarmante: «Gli insorti hanno catturato alcuni autoblindo e sopra vi hanno montato delle mitragliatrici, al solo scopo di esibirle». Si limiteranno ad una minacciosa esibizione? E, tuttavia, le disposizioni impartite all’esercito non subiscono un mutamento sostanziale: «Il Comando della legge marziale deve rendere chiaro a tutte le unità che è necessario aprire il fuoco solo in ultima istanza»[5].
Lo stesso episodio del giovane manifestante che blocca col suo corpo un carro armato, celebrato in Occidente quale simbolo di eroismo non-violento in lotta contro una violenza cieca e indiscriminata, viene letto dai dirigenti cinesi, stando sempre al libro qui più volte citato, in chiave diversa e contrapposta:
«Abbiamo visto tutti le immagini del giovane uomo che blocca il carro armato. Il nostro carro armato ha ceduto il passo più e più volte, ma lui stava sempre lì in mezzo alla strada, e anche quando ha tentato di arrampicarsi su di esso i soldati si sono trattenuti e non gli hanno sparato. Questo la dice lunga! Se i militari avessero fatto fuoco, le ripercussioni sarebbero state molto diverse. I nostri soldati hanno eseguito alla perfezione gli ordini del Partito centrale. E’ stupefacente che siano riusciti a mantenere la calma in una situazione del genere!»[6].
Il ricorso da parte dei manifestanti a gas asfissianti o velenosi e soprattutto l’edizione-pirata del «Quotidiano del popolo» dimostrano chiaramente che gli incidenti di piazza Tienanmen non sono una vicenda esclusivamente interna alla Cina. Altri particolari significativi emergono dal libro celebrato in Occidente: «”Voice of America” ha avuto un ruolo davvero inglorioso nel gettare benzina sul fuoco»; incessantemente essa «diffonde notizie infondate e istiga ai disordini». E non è tutto: «Dall’America, Gran Bretagna e Hong Kong sono arrivati più di un milione di dollari di Hong Kong. Parte dei fondi è stata utilizzata per l’acquisto di tende, cibo, computer, stampanti veloci e sosfisticate attezzature per le comunicazioni»[7].
A cosa mirassero l’Occidente e soprattutto gli Usa lo possiamo desumere da un altro libro, scritto da due autori statunitensi fieramente anticomunisti. Essi ricordano come in quel periodo di tempo Winston Lord, ex-ambasciatore a Pechino e consigliere di primo piano del futuro presidente Clinton, non si stancava di ripetere che la caduta del regime comunista in Cina era «una questione di settimane o mesi». Tanto più fondata appariva questa previsione per il fatto che al vertice del governo e del Partito spiccava la figura di Zhao Ziyang, il quale – sottolineano i due autori statunitensi qui citati – è da considerare «probabilmente il leader cinese più filo-americano nella storia recente»[8].
In questi giorni, parlando col «Financial Times», l’ex-segretario di Zhao Ziyang, e cioè Bao Tong, agli arresti domiciliari a Pechino, sembra rimpiangere il mancato colpo di Stato al quale nel 1989, mentre il «socialismo reale» cadeva in pezzi, aspiravano personalità e circoli importanti in Cina e negli Usa: disgraziatamente, «neppure un soldato avrebbe prestato ascolto a Zhao»; i soldati «prestavano ascolto ai loro ufficiali, gli ufficiali ai loro generali, e i generali a Deng Xiaoping»[9].
Visti retrospettivamente, gli incidenti di piazza Tienanmen di venti anni fa si presentano come un tentativo fallito di colpo di Stato e un fallito tentativo di instaurazione di un Impero mondiale pronto a sfidare i secoli…
Fra non molto cadrà un altro ventesimo anniversario. Nel dicembre del 1989, senza essere neppure preceduti da una dichiarazione di guerra, i bombardieri americani si scatenavano sul Panama e la sua capitale. Come risulta dalla ricostruzione di un autore ancora una volta statunitense, quartieri densamente popolati furono sorpresi nella notte dalle bombe e dalle fiamme; a perdere la vita furono in grandissima parte «civili, poveri e di pelle scura»; a almeno 15 mila ammontarono i senza tetto; si tratta comunque dell’«episodio più sanguinoso» nella storia del piccolo paese[10]. E’ facile prevedere che giornali impegnati a spargere lacrime su piazza Tienanmen sorvoleranno sull’anniversario di Panama, come d’altro canto è avvenuto in tutti questi anni. I grandi organi di «informazione» sono i grandi organi di selezione delle informazioni e di orientamento e di controllo della memoria.

Riferimenti bibliografici

Jamil Anderlini 2009
«Tanks were roaring and bullets flying», in «Financial Times», p. 3 («Life and Arts»)

Richard Bernstein, Ross H. Munro 1997
The Coming Conflict with China, Knopf, New York

Kevin Buckley 1991
Panama. The Whole Story, Simon & Schuster, New York

Andrew J. Nathan, Perry Link (eds.) 2001
The Tiananmen Papers (2001), tr. it., di Michela Benuzzi et alii, Tienanmen, Rizzoli, Milano

[1] Nathan, Link 2001, pp. 444-45.
[2] Nathan, Link 2001, p. 435.
[3] Nathan, Link 2001, p. 324.
[4] Nathan, Link 2001, p. 293.
[5] Nathan, Link 2001, pp. 428-9.
[6] Nathan, Link 2001, p. 486.
[7] Nathan, Link 2001, p. 391.
[8] Bernstein, Munro 1997, pp. 95 e 39.
[9] Anderlini 2009.
[10] Buckley 1991, pp. 240 e 264.


L’échec de la première « révolution colorée »


Tienanmen, 20 ans après 

par Domenico Losurdo*


Il y a 20 ans, Zhao Ziyang tentait de prendre le pouvoir en Chine avec l’appui de la CIA. Ce qui devait être la première « révolution colorée » de l’Histoire échoua. Dans une présentation totalement tronquée, la propagande atlantiste a imposé l’image d’un soulèvement populaire écrasé dans le sang par la cruelle dictature communiste. La presse occidentale en célèbre aujourd’hui l’anniversaire en grande pompe pour mieux dénigrer la Chine populaire, devenue seconde puissance économique du monde. Domenico Losurdo revient sur cette grande manipulation.


9 JUIN 2009


Ces jours-ci la grande presse d’ « information » s’emploie à rappeler le vingtième anniversaire du « massacre » de la place Tienanmen. Les évocations « émues » des événements, les interviews des « dissidents » et les éditoriaux « indignés », les multiples articles qui se succèdent et se préparent visent à recouvrir d’infamie perpétuelle la République Populaire de Chine, et à rendre un hommage solennel à la civilisation supérieure de l’Occident libéral. Mais qu’est-il réellement advenu il y a vingt ans ?

En 2001 furent publiés, puis traduits, dans les principales langues du monde ce qu’on a appelé les Tienanmen Papers [1] qui, si l’on croit les déclarations de ceux qui les ont présentés, reproduisent des rapports secrets et des procès-verbaux réservés, du processus décisionnel qui a débouché sur la répression du mouvement de contestation. Livre qui, toujours selon les intentions de ses promoteurs et éditeurs, devrait montrer l’extrême brutalité d’une direction (communiste) qui n’hésite pas à réprimer une protestation « pacifique » dans un bain de sang. Si ce n’est qu’une lecture attentive du livre en question finit par faire émerger un tableau bien différent de la tragédie qui se joua à Pékin entre mai et juin 1989.

Lisons quelques pages ça et là : 
« Plus de cinq cents camions de l’armée ont été incendiés au même moment à des dizaines de carrefours […] Sur le boulevard Chang’an un camion de l’armée s’est arrêté à cause d’un problème de moteur et deux cents révoltés ont assailli le conducteur en le tabassant à mort […] Au carrefour Cuiwei, un camion qui transportait six soldats a ralenti pour heurter la foule. Un groupe de manifestants a alors commencé à lancer des pierres, des cocktails Molotov et des torches contre celui-ci, qui à un moment a commencé à s’incliner du côté gauche car un de ses pneus avait été crevé par des clous que les révoltés avaient répandus. Les manifestants ont alors mis le feu à des objets qu’ils ont lancé contre le véhicule, dont le réservoir a explosé. Les six soldats sont tous morts dans les flammes » [2].

Non seulement l’on a eu recours à la violence mais parfois ce sont des armes surprenantes qui sont utilisées : 
« Une fumée vert-jaune s’est élevée de façon subite à une extrémité d’un pont. Elle provenait d’un blindé endommagé qui était ensuite lui-même devenu un élément du blocus routier […] Les blindés et les chars d’assaut qui étaient venus déblayer la route n’ont rien pu faire d’autre que de se retrouver en file à la tête du pont. Tout d’un coup un jeune est arrivé en courant, a jeté quelque chose sur un blindé et a pris la fuite. Quelques secondes après on a vu sortir la même fumée vert-jaune du véhicule, tandis que les soldats se traînaient dehors, se couchaient par terre sur la route, et se tenaient la gorge en agonisant. Quelqu’un a dit qu’ils avaient inhalé du gaz toxique. Mais les officiers et les soldats, malgré leur rage sont arrivés à garder le contrôle d’eux-mêmes » [3].

Ces actes de guerre, avec recours répété à des armes interdites par les conventions internationales, croisent des initiatives qui laissent encore plus penseurs : comme la « contrefaçon de la couverture du Quotidien du peuple [4]. Du côté opposé, voyons les directives imparties par les dirigeants du Parti communiste et du gouvernement chinois aux forces militaires chargées de la répression : 
« S’il devait arriver que les troupes subissent des coups et blessures jusqu’à la mort de la part des masses obscurantistes, ou si elles devaient subir l’attaque d’éléments hors-la-loi avec des barres de fer, des pierres ou des cocktails Molotov, elles doivent garder leur contrôle et se défendre sans utiliser les armes. Les matraques seront leurs armes d’autodéfense et les troupes ne doivent pas ouvrir le feu contre les masses. Les transgressions seront immédiatement punies » [5].

S’il faut en croire le tableau tracé dans un livre publié et promu par l’Occident, ceux qui donnent des preuves de prudence et de modération ne sont pas les manifestants mais plutôt l’Armée Populaire de Libération !

Le caractère armé de la révolte devient plus évident les jours suivants. Un dirigeant de premier plan du Parti communiste va attirer l’attention sur un fait extrêmement alarmant : « Les insurgés ont capturé des blindés et y ont monté des mitrailleuses, dans le seul but de les exhiber ». Se limiteront-ils à une exhibition menaçante ? Et, cependant, les directives imparties par l’armée ne subissent pas de changement substantiel : « Le Commandement de la loi martiale tient à ce qu’il soit clair pour toutes les unités qu’il est nécessaire de n’ouvrir le feu qu’en dernière instance » [6].

Même l’épisode du jeune manifestant qui bloque un char d’assaut avec son corps, célébré en Occident comme un symbole de l’héroïsme non-violent en lutte contre une violence aveugle et sans discrimination, est perçu par les dirigeants chinois, toujours à en croire le livre maintes fois cité, dans une grille de lecture bien diverse et opposée : 
« Nous avons tous vu les images du jeune homme qui bloque le char d’assaut. Notre char a cédé le pas de nombreuses fois, mais le jeune restait toujours là au milieu de la route, et même quand il a tenté d’y grimper dessus, les soldats se sont retenus et ne lui ont pas tiré dessus. Ce qui en dit long ! Si les militaires avaient fait feu, les répercussions auraient été très différentes. Nos soldats ont suivi à la perfection les ordres du Parti central. Il est stupéfiant qu’ils soient arrivés à maintenir le calme dans une situation de ce genre ! » [7].

Le recours de la part des manifestants à des gaz asphyxiants ou toxiques, et surtout l’édition pirate du Quotidien du peupledémontrent clairement que les incidents de la Place Tienanmen ne sont pas une affaire exclusivement interne à la Chine. D’autres détails ressortent du livre célébré en Occident : « ‘Voice of America’ a eu un rôle proprement peu glorieux dans sa façon de jeter de l’huile sur le feu » ; de façon incessante, elle « diffuse des nouvelles sans fondements et pousse aux désordres ». De plus : « D’Amérique, de Grande-Bretagne et de Hong Kong sont arrivés plus d’un million de dollars de Hong Kong. Une partie des fonds a été utilisée pour l’achat de tentes, nourritures, ordinateurs, imprimantes rapides et matériel sophistiqué pour les communications » [8].

Ce que visaient l’Occident et les États-Unis nous pouvons le déduire d’un autre livre, écrit par deux auteurs états-uniens fièrement anti-communistes. Ceux-ci rappellent comment à cette période Winston Lord, ex-ambassadeur à Pékin et conseiller de premier plan du futur président Clinton, n’avait de cesse de répéter que la chute du régime communiste en Chine était « une question de semaines ou de mois ». Cette prévision apparaissait d’autant plus fondée que se détachait, au sommet du gouvernement et du Parti, la figure de Zhao Ziyang, qui —soulignent les deux auteurs états-uniens— est à considérer « probablement comme le leader chinois le plus pro-américain de l’histoire récente » [9].

Ces jours ci, dans un entretien avec le Financial Times, l’ex-secrétaire de Zhao Ziyang, Bao Tong, aux arrêts domiciliaires à Pékin, semble regretter le coup d’État manqué auquel aspiraient des personnalités et des cercles importants en Chine et aux USA, en 1989, tandis que le « socialisme réel » tombait en morceaux : malheureusement, « pas un seul soldat n’aurait prêté attention à Zhao » ; les soldats « écoutaient leurs officiers, les officiers leurs généraux et les généraux écoutaient Den Xiaoping » [10].

Vus rétrospectivement, les événements qui se sont passés il y a vingt ans Place Tienanmen se présentent comme un coup d’État manqué, et une tentative échouée d’instauration d’un Empire mondial prêt à défier les siècles…

D’ici peu va arriver un autre anniversaire. En décembre 1989, sans même avoir été précédés d’une déclaration de guerre, les bombardiers états-uniens se déchaînaient sur Panama et sa capitale. Comme il en résulte de la reconstruction d’un auteur —encore une fois— états-unien, des quartiers densément peuplés furent surpris en pleine nuit par les bombes et les flammes ; en très grande partie, ce furent des « civils, pauvres et à la peau foncée » qui perdirent la vie ; plus de 15 000 personnes se retrouvèrent sans toit ; il s’agit en tout cas de l’ « épisode le plus sanglant » de l’histoire du petit pays [11]. On peut prévoir facilement que les journaux engagés à répandre leurs larmes sur la Place Tienanmen voleront très au dessus de l’anniversaire de Panama, comme d’ailleurs cela s’est produit toutes ces dernières années. Les grands organes d’ « information » sont les grands organes de sélection des informations, et d’orientation et de contrôle de la mémoire.


Domenico Losurdo

Philosophe et historien communiste, professeur à l’université d’Urbin (Italie). Dernier ouvrage traduit en français : Nietzsche philosophe réactionnaire : Pour une biographie politique.



Traduction Marie-Ange Patrizio

Comme l’a révélé Thierry Meyssan, le soulèvement de Tienanmen était la première tentative de la CIA d’organisation d’une « révolution colorée ». Le théoricien de ce mode de subversion, Gene Sharp, et son assistant Bruce Jenkins, dirigeaient personnellement à Pékin les manifestations. Lire « L’Albert Einstein Institution : la non-violence version CIA »: http://www.voltairenet.org/article15870.html ]

Article original paru le lundi 1er juin 2009 sur le blog de l’auteurhttp://www.domenicolosurdoblogtienanmen.blogspot.com/

[1The Tiananmen Papers, présentés par Andrew J. Nathan, Perry Link, Orville Schell et Liang Zhang, PublicAffairs, 2000, 513 pp. Version française Les Archives de Tiananmen, présentée par Liang Zhang, éditions du Félin, 2004, 652 pp.

[2] Op cit, p. 444-45.

[3] Op cit, p. 435.

[4] Op cit., p. 324.

[5] Op cit., p. 293.

[6] Op cit., p. 428-29.

[7] Op cit, p.486.

[8] Op cit., p. 391.

[9The coming Conflict with China, par Richard Bernstein et Ross H. Munro, Atlantic Books, 1997 (245 pp.), p. 95 et 39.

[10] « Tea with the FT : Bao Tong », par Jamil Anderlini, in Financial Times, 29 mai 2009.

[11Panama. The Whole Story, par Kevin Buckley, Simon & Schuster, 1991 (304 pp.).


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http://www.jungewelt.de/2009/06-04/017.php

junge Welt (Berlin)

04.06.2009 / Schwerpunkt / Seite 3

Gescheiterter Staatsstreich


Die Ereignisse auf dem Tiananmen-Platz in Peking 20 Jahre danach


Von Domenico Losurdo


In diesen Tagen ist die große »Informationspresse« damit beschäftigt, des 20. Jahrestags des »Massakers« auf dem Tiananmenplatz in Peking zu gedenken. Die Interviews mit »Dissidenten« und die »entrüsteten« Kommentare, die zahlreichen Artikel zielen darauf ab, die Volksrepublik China mit ewiger Schande zu bedecken und der höheren Kultur des liberalen Westens zu huldigen. Was aber ist wirklich vor zwanzig Jahren geschehen?

Im Jahre 2001 wurden die sogenannten Tiananmen Papers veröffentlicht und danach in die wichtigsten Weltsprachen übersetzt. Es handelt sich um Schriftstücke, die – den Erklärungen der Herausgeber zufolge – Geheimberichte und vertrauliche Protokolle des Entscheidungsprozesses wiedergeben, der zur Unterdrückung der Protestbewegung führte. Es ist ein Buch, das nach den Absichten seiner Herausgeber die extreme Brutalität einer (kommunistischen) Führung beweisen soll, die nicht davor zurückschreckt, einen »friedlichen« Protest in ein Blutbad zu verwandeln. Doch nach einer aufmerksamen Lektüre dieses Buches ergibt sich letztlich ein ganz anderes Bild von der Tragödie, die sich in Peking zwischen Mai und Juni 1989 abspielte. Lesen wir da und dort ein paar Passagen: »Mehr als 500 Armeelastwagen wurden an Dutzenden von Kreuzungen in Brand gesetzt. (…) Auf dem Chang’an-Boulevard wurde der Motor eines Armeelastwagens abgestellt, und zweihundert Aufrührer stürmten das Führerhaus und erschlugen den Fahrer. (…) An der Cuwei-Kreuzung bremste ein Lastwagen mit sechs Soldaten an Bord ab, um nicht in eine Menge hineinzufahren. Eine Gruppe von Aufrührern warf sodann mit Steinen, Molotowcocktails und brennenden Fackeln nach dem Lastwagen, der sich nach links neigte, als Nägel, die die Aufrührer verstreut hatten, einen Reifen durchbohrten. Dann warfen die Aufrührer brennende Gegenstände in den Lastwagen, wodurch sein Tank explodierte. Alle sechs Soldaten verbrannten.« (S. 607)

Mehrmals wird nicht nur auf Gewalt zurückgegriffen, manchmal kommen auch überraschende Waffen ins Spiel: »Den Panzerwagen und Panzern, die gekommen waren, um die Straßensperren zu beseitigen, blieb nichts anderes übrig, als am Brückenkopf in Stellung zu gehen. Plötzlich rannte ein junger Mann herbei, warf etwas in einen Panzerwagen und eilte davon. Ein paar Sekunden später sah man, wie der gleiche gelblichgrüne Rauch aufstieg, während Soldaten herauskletterten, sich auf die Straße hockten und sich vor Schmerz an die Kehle griffen. Jemand sagte, sie hätten Giftgas eingeatmet. Aber den wütenden Offizieren und Soldaten gelang es, die Beherrschung zu bewahren.« (S. 594)

Diese Kriegshandlungen, sogar mit Waffen, die durch internationale Konventionen verboten sind, verbinden sich mit Initiativen, die noch mehr zu denken geben: »Unter der gefälschten Aufmachung der Volkszeitung« wurde »ein Extrablatt verteilt« (S. 444) Auf der Gegenseite lesen wir von den Befehlen, die die Führung der Kommunistischen Partei und der chinesischen Regierung den militärischen Kräften erteilten, die mit der Unterdrückung beauftragt waren: »Selbst wenn also die Truppen von den unaufgeklärten Massen geschlagen, verbrannt oder getötet werden sollten oder wenn sie von gesetzlosen Elementen mit Knüppeln, Steinen oder Molotowcocktails angegriffen werden sollten, müssen sie daher die Kontrolle behalten und sich mit nicht-tödlichen Mitteln verteidigen. Knüppel sollten die Hauptwaffen zur Selbstverteidigung sein; sie dürfen nicht das Feuer auf die Massen eröffnen. Zuwiderhandlungen werden bestraft.« (S. 402)

Sollte das Bild glaubwürdig sein, das ein Buch umreißt, das vom Westen veröffentlicht und propagiert wird, dann waren es nicht die Demonstranten, sondern vielmehr die Volksbefreiungsarmee, die Vorsicht und Mäßigung an den Tag legte!

Später wird der bewaffnete Charakter der Revolte noch offensichtlicher: »Am Liubukou haben die Aufrührer am hellichten Tag und direkt unter unserer Nase Panzerwagen gekapert und stellen auf deren Dächern Maschinengewehre zur Schau.« Dennoch werden die dem Heer ereilten Anweisungen nicht wesentlich geändert: »Das Notstandskommando muß allen Einheiten unmißverständlich klarmachen, daß sie das Feuer nur im äußersten Notfall eröffnen dürfen.« (S. 585)

Sogar die Episode, in der ein junger Demonstrant mit seinem Körper einen Panzer blockiert – er wird dafür im Westen als Symbol für gewaltlosen Heroismus im Kampf gegen eine blinde und wahllose Gewalt gefeiert –, wird von den chinesischen Führern, dem hier zitierten Buch zufolge, anders und entgegengesetzt gedeutet: »Wir alle haben diese Videoaufnahme von dem jungen Mann gesehen, der sich dem Panzer in den Weg stellte. Unser Panzer ist immer wieder ausgewichen, aber er blieb einfach stehen, stellte sich ihm direkt in den Weg und kroch sogar auf den Panzer hinauf, und noch immer schossen die Soldaten nicht. Das sagt doch alles! Wenn unsere Soldaten geschossen hätten, dann hätte sich das ganz anders ausgewirkt. Unsere Soldaten haben sich genau an die Befehle unserer Parteizentrale gehalten. Es ist schon erstaunlich, wie gelassen und geduldig sie an so einem Ort sein konnten!« (S. 655f)

Der Einsatz von Giftgasen und vor allem die Piratenausgabe der Volkszeitung beweisen eindeutig, daß die Zwischenfälle auf dem Tiananmenplatz keine ausschließlich innere Angelegenheit Chinas waren. Andere vielsagende Einzelheiten gehen aus dem im Westen gerühmten Buch hervor: »Die ›Stimme Amerikas‹ hat eine höchst unrühmliche Rolle gespielt und nur Öl in die Flammen gegossen.« Und nicht genug damit: »Menschen aus Amerika, England und Hongkong haben über eine Million amerikanischer Dollar und zig Millionen Hongkong-Dollar gespendet. Einige dieser Mittel werden zum Kauf von Zelten, Nahrung, Computern, Hochgeschwindigkeitsdruckern und modernen Kommunikationsgeräten verwendet.« (S. 534)

Was der Westen und besonders die Vereinigten Staaten bezweckten, können wir einem anderen Buch entnehmen, das von zwei wild-antikommunistischen US-Autoren geschrieben wurde: Richard Bernstein/Ross H. Munro »The Coming Conflict with China« (1997). Sie erinnern daran, wie seinerzeit Winston Lord, ehemaliger Botschafter in Peking und wichtiger Berater des 1993 sein Amt antretenden Präsidenten William Clinton, unermüdlich wiederholte, der Sturz des kommunistischen Regimes in China sei »eine Frage von Wochen oder Monaten« gewesen. Besonders begründet schien diese Vorhersage, weil sich an der Spitze der Regierung und der Partei die Figur von Zhao Ziyang abhob, der – so betonen die beiden Autoren – »wahrscheinlich als der amerikafreundlichste chinesische Führer in der jüngsten Geschichte« zu betrachten sei.

Am vergangenen Freitag schien der ehemalige Sekretär Zhao Ziyangs, der unter Hausarrest in Peking lebende Bao Tong, in einem Gespräch mit der Financial Times dem nicht geglückten Staatsstreich nachzutrauern, der 1989, als der »Realsozialismus« in Stücke fiel, von bedeutenden Persönlichkeiten in China und in den USA angestrebt wurde: Leider »habe nicht ein einziger Soldat auf Zhao gehört«; die Soldaten »hörten auf ihre Offiziere, die Offiziere auf ihre Generäle und die Generäle auf Deng Xiaoping.«

Zurückblickend erweisen sich die Zwischenfälle auf dem Tiananmenplatz von vor 20 Jahren als der gescheiterte Versuch eines Staatsstreichs und als der gescheiterte Versuch der Errichtung eines Weltreichs, das bereit war, die Jahrhunderte herauszufordern...

Bald wird ein weiterer zwanzigster Jahrestag fällig. Im Dezember 1989 stürzten sich US-Bomber ohne vorherige Kriegserklärung auf Panama und seine Hauptstadt. Wie aus der Rekonstruktion des ebenfalls US-amerikanischen Autors Kevin Buckley in seinem Buch »Panama. The Whole Story« (1991) hervorgeht, wurden dichtbevölkerte Stadtviertel in der Nacht von den Bomben und vom Feuer überrascht; zum allergrößten Teil haben »Zivilpersonen, Arme und Dunkelhäutige« ihr Leben verloren, mindestens fünfzehntausend wurden obdachlos; jedenfalls handelte es sich um die »blutigste Episode« in der Geschichte des kleinen Landes. Es ist leicht vorherzusagen, daß Zeitungen, die derzeit über den Tiananmenplatz Tränen vergießen, den Jahrestag von Panama übergehen werden – wie es im übrigen in all diesen Jahren geschehen ist. Die große »Informations«-presse ist die große Presse der Selektion der Informationen und der Orientierung und Kontrolle des Gedenkens.

Die Seitenangaben beziehen sich auf das Buch von Andrew J. Nathan/Perry Link: Die Tiananmen-Akte. Die Geheimdokumente der chinesischen Führung zum Massaker am Platz des Himmlischen Friedens. Propyläen Verlag, München/Berlin 2001, 765 Seiten