(srpskohrvatski / italiano)

Milosevic i Vidovdan 1989 - 2009

1) Il discorso di Slobodan Milosevic a Campo dei Merli (Kosovo-Metohija) per "Vidovdan" (28 giugno) 1989

2) Slobodan Milošević – Poslednji intervju (PECAT broj 69/2009)
(l'ultima intervista a Slobodan Milosevic - 8/3/2006, tre giorni prima dell'assassinio nel carcere di Scheveningen)


=== 1 ===

(Govor Slobodana Milosevica na Gazimestanu za Vidovdan 1989. god.:


TESTO DEL DISCORSO DI SLOBODAN MILOSEVIC, 28 GIUGNO 1989


dinanzi ad un milione di persone convenute a Gazimestan, nella piana di Campo dei Merli ("Kosovo Polje"), nel seicentesimo anniversario della omonima battaglia



  Circostanze sociali hanno fatto sì che questo grande seicentesimo anniversario della battaglia di Kosovo Polje abbia luogo in un anno in cui la Serbia, dopo molti anni, dopo molte decadi, ha riottenuto la sua integrità statale, nazionale, e spirituale. (1) Perciò non è difficile per noi oggi rispondere alla vecchia domanda: come ci porremo davanti a Milos? (2) Guardando a tutto il corso della storia e della vita sembra che la Serbia abbia, proprio in questo anno, nel 1989, riottenuto il suo Stato e la sua dignità e perciò che abbia celebrato un evento del passato remoto che ha un grande significato storico e simbolico per il suo futuro.


  Oggi come oggi è difficile dire quale sia la verità storica sulla battaglia del Kosovo, e che cosa sia solo leggenda. Oggi come oggi questo non ha più importanza. Oppressa dalla sofferenza ma piena di fiducia, la popolazione era solita rievocare e dimenticare, come in fondo tutte le popolazioni del mondo fanno, e si vergognava del tradimento e glorificava l'eroismo. Perciò è difficile dire oggi se la battaglia del Kosovo fu una sconfitta o una vittoria per la gente serba, se grazie ad essa fu precipitata nella schiavitù o se ne sottrasse. (3)

Le risposte a queste domande saranne sempre cercate dalla scienza e dal popolo. Quello che è stato certo attraverso i secoli fino ai nostri giorni è che la discordia si abbattè sul Kosovo seicento anni fa. Se perdemmo la battaglia, non deve essere stato solamente il risultato della superiorità sociale e del vantaggio militare dell'Impero Ottomano, ma anche della tragica divisione nella leadership dello Stato serbo a quel tempo. In quel lontano 1389, l'Impero Ottomano non fu solamente più forte di quello dei serbi, ma ebbe anche una sorte migliore che non il regno serbo.


  La mancanza di unità ed il tradimento in Kosovo continueranno ad accompagnare il popolo serbo come un destino diabolico per tutto il corso della sua storia. (4) Persino nell'ultima guerra, questa mancanza di unità ed il tradimento hanno gettato il popolo serbo e la Serbia in una agonia, le conseguenze della quale in senso storico e morale hanno sorpassato l'aggressione fascista. (5)


  Anche in seguito, quando fu messa in piedi la Jugoslavia socialista, in questo nuovo Stato la leadership serba continuava ad essere divisa, disposta al compromesso a detrimento del suo stesso popolo. Le concessioni che molti leaders serbi fecero a spese del loro popolo non erano storicamente ne' eticamente accettabili per alcuna nazione del mondo, (6) specialmente perché i serbi non hanno mai fatto guerra di conquista o sfruttato altri nel corso della loro storia. Il loro essere nazionale e storico è stato di carattere liberatorio durante tutti i secoli e nel corso di entrambe le guerre mondiali, ed ancora oggi. I serbi hanno liberato se' stessi e quando hanno potuto hanno anche aiutato altri a liberarsi. Il fatto che in questa regione siano una nazionalità maggioritaria non è un peccato od una colpa dei serbi: questo è un vantaggio che essi non hanno usato contro altri, ma devo dire che qui, in questo grande, leggendario Campo dei Merli, i serbi non hanno usato il vantaggio di essere grandi neppure a loro beneficio.


  A causa dei loro leaders e dei loro uomini politici, e di una mentalità succube, si sentivano colpevoli dinanzi a loro stessi ed agli altri. Questa situazione è durata per decenni, è durata per anni, e ci ritroviamo adesso a Campo dei Merli a dire che le cose ora stanno diversamente.


  La divisione tra i politici serbi ha nuociuto alla Serbia, e la loro inferiorità l'ha umiliata. Perciò, nessun posto in Serbia è più adeguato, per affermare questo, della piana del Kosovo, nessun posto in Serbia è più adeguato della piana del Kosovo per dire che l'unità in Serbia porterà la prosperità al popolo serbo in Serbia ed a ciascuno dei cittadini della Serbia, indipendentemente dalla sua nazionalità o dal suo credo religioso.


  La Serbia oggi è unita e pari alle altre repubbliche, ed è pronta a fare ogni cosa per migliorare la sua posizione economica e sociale, e quella dei suoi cittadini. Se c'è unità, cooperazione e serietà, si riuscirà nell'intento. Ecco perchè l'ottimismo che è oggi in larga misura presente in Serbia, riguardo al futuro, è realistico, anche perché è basato sulla libertà che rende possibile a tutta la popolazione di esprimere le sue capacità positive, creative ed umane, allo scopo di migliorare la vita sociale e personale.


  In Serbia non hanno mai vissuto solamente i serbi. Oggi, più che nel passato, pure componenti di altri popoli e nazionalità ci vivono. Questo non è uno svantaggio per la Serbia. Io sono assolutamente convinto che questo è un vantaggio. La composizione nazionale di quasi tutti i paesi del mondo oggi, e soprattutto di quelli sviluppati, si è andata trasformando in questa direzione. Cittadini di diverse nazionalità, religioni, e razze sempre più spesso e con sempre maggior successo vivono insieme.


  In particolare il socialismo, che è una società democratica progressista e giusta, non dovrebbe consentire alle genti di essere divise sotto il profilo nazionale o sotto quelo religioso. Le sole differenze che uno potrebbe e dovrebbe consentire nel socialismo sono tra quelli che lavorano sodo ed i fannulloni, ovvero tra gli onesti ed i disonesti. Perciò, tutte le persone che in Serbia vivono del loro lavoro, onestamente, rispettando le altre persone e le altre nazionalità, vivono nella loro Repubblica.


Dopotutto, l'intero nostro paese dovrebbe essere fondato sulla base di questi principi. La Jugoslavia è una comunità multinazionale e può sopravvivere solo alle condizioni della eguaglianza piena per tutte le nazioni che ci vivono.


  La crisi che ha colpito la Jugoslavia ha portato con se' divisioni nazionali, ma anche sociali, culturali, religiose, e molte altre meno importanti. Tra queste divisioni, quelle nazionalistiche hanno dimostrato di essere le più drammatiche. Risolverle renderà più semplice rimuovere altre divisioni e mitigare le conseguenze che esse hanno creato.


  Da quando esistono le comunità plurinazionali, il loro punto debole è sempre stato nei rapporti tra le varie nazionalità. La minaccia è che ad un certo punto emerga il dubbio che una nazione sia messa in pericolo dalle altre - e questo può dare il via ad una ondata di sospetti, di accuse, e di intolleranza, una ondata che necessariamente cresce e si arresta con difficoltà. Questa minaccia è stata appesa come una spada sulle nostre teste per tutto il tempo. Nemici interni ed esterni delle comunità multinazionali sono coscienti di questo e perciò organizzano la loro attività contro le società plurinazionali, soprattutto fomentando i conflitti nazionali. A questo punto, noi qui in Jugoslavia ci comportiamo come se non avessimo mai avuto una esperienza del genere e come se nel nostro passato recente e remoto non avessimo mai vissuto la peggiore tragedia, in tema di conflitti nazionali, che una società possa mai vivere ed a cui possa mai sopravvivere.


  Rapporti equi ed armoniosi tra i popoli jugoslavi sono una condizione necessaria per l'esistenza della Jugoslavia e perchè essa trovi la sua via d'uscita dalla crisi, ed in particolare essi sono condizione necessaria per la sua prosperità economica e sociale. A questo riguardo la Jugoslavia non si pone al di fuori del contesto sociale del mondo contemporaneo, in particolare di quello sviluppato. Questo mondo è sempre più contrassegnato dalla tolleranza tra nazioni, dalla cooperazione tra nazioni, ed anche dalla eguaglianza tra nazioni. Il moderno sviluppo economico e tecnologico, ed anche quello politico e culturale, hanno condotto i vari popoli l'uno verso l'altro, rendendoli interdipendenti e sempre più paritari. Popoli eguali ed uniti tra loro possono soprattutto diventare parte della civiltà verso cui si dirige il genere umano. Se noi non possiamo essere alla testa della colonna che guida la suddetta civiltà, sicuramente non c'è nessuna ragione nemmeno per rimanere in fondo.


  Ai tempi di questa famosa battaglia combattuta nel Kosovo, le genti guardavano alle stelle attendendosi aiuto da loro. Adesso, sei secoli dopo, esse guardano ancora le stelle, in attesa di conquistarle. Nel primo caso, potevano ancora permettersi di essere disunite e di coltivare odio e tradimento perché vivevano in mondi più piccoli, solo poco legati tra loro. Adesso, come abitanti di questo pianeta, non possono conquistare nemmeno il loro stesso pianeta se non sono unite, per non parlare degli altri pianeti, a meno che non vivano in mutua armonia e solidarietà.


  Perciò, le parole dedicate all'unità, alla solidarietà, alla cooperazione tra le genti non hanno significato più grande in alcun luogo della nostra terra natia di quello che hanno qui, sul campo del Kosovo, che è simbolo di divisione e di tradimento.


  Nella memoria del popolo serbo, questa disunione fu decisiva nel causare la perdita della battaglia e nell'arrecare il destino che che gravò sulla Serbia per ben sei secoli.


  Ma se pure da un punto di vista storico le cose non andarono così, rimane certo che il popolo considerò la divisione come il suo peggior flagello. Perciò è un obbligo per il popolo rimuovere le divisioni, così da potersi proteggere dalle sconfitte, dai fallimenti, e dalla sfiducia nel futuro.


  Quest'anno il popolo serbo ha compreso la necessità della mutua armonia come condizione indispensabile per la sua vita presente e per gli sviluppi futuri.


  Io sono convinto che questa coscienza dell'armonia e dell'unità renderà possibile alla Serbia non solo di funzionare in quanto Stato, ma di funzionare bene. Perciò io credo che abbia senso dirlo qui, in Kosovo, dove quella divisione un tempo fece precipitare la Serbia tragicamente all'indietro di secoli, mettendola a repentaglio, e dove l'unità rinnovata può farla avanzare e farle riacquistare dignità. Questa coscienza dei reciproci rapporti costituisce una necessità elementare anche per la Jugoslavia, perchè il suo destino è nelle mani unite di tutti i suoi popoli.


  L'eroismo del Kosovo ha ispirato la nostra creatività per sei secoli, ed ha nutrito il nostro orgoglio e non ci consente di dimenticare che un tempo fummo un'esercito grande, coraggioso ed orgoglioso, uno dei pochi che non si potevano vincere nemmeno nella sconfitta.


  Sei secoli dopo, adesso, noi veniamo nuovamente impegnati in battaglie e dobbiamo affrontare battaglie. Non sono battaglie armate, benché queste non si possano mai escludere. Tuttavia, indipendentemente dal tipo di battaglie, nessuna di esse può essere vinta senza determinazione, coraggio, e sacrificio, senza le qualità nobili che erano presenti qui sul campo del Kosovo nei tempi andati. La nostra battaglia principale adesso riguarda il raggiungimento della prosperità economica, politica, culturale, e sociale in genere, perché si trovi un approccio più veloce ed efficace verso la civiltà nella quale la gente vivrà nel XXImo secolo. Per questa battaglia noi abbiamo sicuramente bisogno di eroismo, naturalmente un eroismo di un tipo un po' diverso; ma quel coraggio senza il quale non si ottiene niente di serio e di grande resta resta immutato, e resta assolutamente necessario.


  Sei secoli fa, la Serbia si è eroicamente difesa sul campo del Kosovo, ma ha anche difeso l'Europa. A quel tempo la Serbia era il bastione a difesa della cultura, della religione, e della società europea in generale. Perciò oggi ci sembra non solo ingiusto, ma persino antistorico e del tutto assurdo parlare della appartenenza della Serbia all'Europa. La Serbia è stata una parte dell'Europa incessantemente, ed ora tanto quanto nel passato, ovviamente nella sua maniera specifica, ma in una maniera che non l'ha mai privata di dignità in senso storico.

È con questo spirito che noi ci accingiamo adesso a costruire una società ricca e democratica, contribuendo così alla prosperità di questa bella terra, questa terra che ingiustamente soffre, ma contribuendo anche agli sforzi di tutti i popoli della nostra era lanciati verso il progresso, sforzi che essi compiono per un mondo migliore e più felice.


  Che la memoria dell'eroismo del Kosovo viva in eterno!

  Viva la Serbia!

  Viva la Jugoslavia!

  Viva la pace e la fratellanza tra i popoli!



Fonte: National Technical Information Service, Dept. of Commerce, USA

Traduzione a cura del Coordinamento Romano per la Jugoslavia, 1999


NOTE: 

(1)  Si riferisce alla abrogazione della "autonomia speciale", in vigore nella regione del Kosovo dal 1974, che le garantiva uno status di settima Repubblica jugoslava "de facto".

(2) Milos Obilic, leggendario eroe della battaglia del Kosovo.

(3) Storicamente la Battaglia di Campo dei Merli non rappresentò ancora lo smembramento del Regno di Serbia, che avvenne infatti solo settanta anni dopo.

(4) Non a caso le "quattro esse" cirilliche della bandiera tradizionale serba significano "Samo Sloga Srbe Spasava", ovvero: "solo la concordia salverà i serbi".

(5) Milosevic si riferisce forse all'alleanza con l'Asse, voluta da alcuni dirigenti monarchici nel 1941 ma subito rigettata dal popolo belgradese secondo il celebre slogan "Bolje rat nego pakt" ("Meglio la guerra che il patto"); oppure al governo collaborazionista filo-tedesco di Nedic; o ancora alla alleanza dei cetnici con il nazismo tedesco dopo la capitolazione dell'Italia, in funzione anticomunista.

(6) Si riferisce evidentemente alla strutturazione della Serbia in Repubblica con due regione autonome con diritto di veto, quasi Repubbliche a se stanti, in base alla riforma costituzionale del 1974.





=== 2 ===


Slobodan Milošević – Poslednji intervju

Broj 69 | Piše: Miodrag Vujović • 25. jun 2009

Povodom jednog od najvećih srpskih praznika Vidovdana i osme godišnjice sramnog događaja koji je obeležio noviju srpsku istoriju, kidnapovanja i izručivanja Hagu državnika Slobodana Miloševića, „Pečat“ objavljuje poslednji intervju nekadašnjeg predsednika Srbije, SR Jugoslavije i Socijalističke partije Srbije, koji je pre tri godine 11. marta ubijen u ćeliji Haškog tribunala u Ševeningenu. Poslednji intervju Slobodan Milošević je dao krajem 2000. godine gostujući kod Miodraga Vujovića na televiziji „Palma“. Intervju prenosimo u integralnoj verziji, uz neznatna priređivačka skraćenja, i uz samo nužne lektorske intervencije.

Pre nekoliko dana održan je Peti vanredni kongres SPS-a; u javnosti je bilo raznih komentara i ocena, pa vas molim da vi date svoju ocenu i svoj komentar.

Najkraće rečeno, verujem da u ovo teško vreme bezakonja, tenzija i sukoba ne postoji nijedna partija na Balkanu koja bi mogla da održi ovakav kongres, koji je potvrdio da je SPS najveća i najjača partija na ovom prostoru jugoistočne Evrope. Taj kongres je učvrstio jedinstvo partije, potvrdio najznačajnije vrednosti programa SPS-a, učvrstio jedinstvo činjenicom da je samo jedan mali broj članova SPS iz rukovodstva otišao iz partije. A kada iz partije odu oni koji su u partiju ušli iz koristoljublja, ili oni koji su se uplašili, ili imaju drugi motiv, kako bi u drugoj sredini obezbedili sebi položaj, promociju ili zaštitu materijalnih vrednosti; kada odu takvi, onda ta partija ne slabi, već jača. Nama, kao velikoj i snažnoj partiji, odgovara da jedno vreme budemo opozicija, i da se oslobodimo tereta koji nosi vlast, jer je logično da je u partiju dosta ljudi ušlo iz koristoljublja. Ispostavilo se da je taj broj manji. Partija je zato danas jača, i može uspešno da se bori. Tu postoji nešto što je očigledno: ako ste vi uvereni u ispravnost svoga programa – kao što je SPS uveren u ispravnost borbe za besplatno lečenje i školovanje, borbe za one koji žive od svog rada – onda partija i svaki pojedinac u njoj ne može da ima ta uverenja samo dotle dok ima većinsku podršku, nego mora da ih sačuva i kada ima manjinsku podršku, mora i tada da se bori za svoja uverenja, kako bi mogao da ih sprovede. Inače, na šta bi ličili partija i njeni pojedinci? Ako u situaciji kada imam manjinsku podršku menjam i partiju i uverenja – to ne vodi ničemu. A upravo je naša partija pokazala visoki moral i patriotizam. Zato sam vrlo zadovoljan ishodom. Pre kongresa smo doneli samo jednu, ali ključnu odluku, a to je da delegati moraju biti izabrani tajnim glasanjem. To je bila najbolja i najčvršća garancija da će biti izabrani.

Da li se osećate izdanim, ili prevarenim, s obzirom na to da su vas izdali ljudi koji su vam bili bliski saradnici?

To je bio deo onoga što sam sebi mogao da stavim kao primedbu, da sam imao previše poverenja u neke pojedince u koje nije trebalo da imam poverenja. Međutim, ja i danas mislim da bez poverenja u ljude, ne samo da ne može da se radi, već ne može ni da se živi. I ponovo bih imao poverenja u ljude. Sigurno ne u te iste, ali poverenje u ljude je osnov za svakog uspešnog radnika. Kako uopšte zamišljate da neko može da vodi državu, a da nema poverenja u one koji se nalaze na čelu ključnih resora, na čelu ključnih institucija, velikih partijskih organizacija, bitnih pozicija u strukturi društvene odgovornosti. Ponovo bih imao poverenja u ljude. To ne bih personalizovao, jer personalizacija je, rekao bih, zakivanje određenih stavova.

Upotrebili ste reči „bezakonje“ i „sila“. Molim vas da date ocenu sadašnje situacije u zemlji.

Već sam dao. I dalje sam uveren da je borba mirnim, demokratskim sredstvima jedini mogući izlaz. Dok smo mi držali poluge vlasti, sprečili smo sukobe i krvoproliće. To je obaveza svake vlasti.

Molim vas da prokomentarišete izbore 24. septembra i događaje 5. oktobra iz vašeg ugla.

Moj ugao sigurno se ne razlikuje od viđenja većine građana naše zemlje. Izbori su održani pod jednim ogromnim spoljnim pritiskom, pod veoma jasno izraženim pretnjama novom invazijom, novim sankcijama, pod jednim prstenom medijske blokade i medijskog pritiska i rata koji se vodio, tako da uprkos tome njihova unutrašnja regularnost sigurno nije mogla da izrazi ono što predstavlja autentičnu volju građana.

Analitičari, naročito u medijima, tvrde da ste vi direktni krivac za događaje od 5. oktobra, jer niste na vreme priznali poraz.

Ja sam konstatovao izborni rezultat sat nakon što sam ga čuo. Kada sam čuo za odluku Ustavnog suda. Sada čujem da odluka tog suda nije onakva kakva je emitovana. Ali nemam nameru da se bavim sadržinom odluka Ustavnog suda.

Posle događaja od 5. oktobra mediji su puni optužbi i primedbi protiv vas, i to najšireg spektra. Od toga da ste bili diktator do toga da ste ste omogućavali kriminal. Vi ste prvi predsednik u drugoj polovini 20. veka koga je srpski narod imao prilike da izabere na slobodnim izborima. Bili ste predsednik 10 godina. Nesporno je da ste najuticajnija politička figura, ne samo u ovoj zemlji, nego i šire. Kako se osećate kada do vas dođu takve ocene?

To nije ništa novo. Deset godina su takve ocene i komentari bili u svim sredstvima informisanja u zemljama, silama koje su nastojale da rasture prethodnu Jugoslaviju i u opozicionim glasilima za vreme tog, kako oni sada kažu, diktatorskog režima u kome je država, možda, imala nekoliko medija. A nekih 2.000 medija u zemlji, to vi dobro znate kao novinar, bilo je u privatnim rukama. Sada kažete sve novine. Sada nema potrebe uopšte da se kaže sve novine. Sve novine pišu isto. Sada opozicione štampe nema. Sada je potpuni medijski mrak. A pozadina i motivi su potpuno isti. Početkom devedesetih cilj je bio, taj glavni cilj medijskog rata, koji je vođen protiv naše zemlje, da se satanizuje ceo srpski narod, pogotovo da se satanizuje njegovo rukovodstvo. Sada su tu ulogu satanizacije rukovodstva  i mene i moje porodice, zbog mene, preuzeli mediji koji su i nastali pod uticajem onih koji su vodili bitku za rasturanje Jugoslavije. Cilj je uvek bilo rasturanje Srbije, a ne nešto drugo. A ovo su sredstva koja su upotrebljena u toj funkciji.

Više u 69. broju magazina “Pečat”