Sionismo e Fascismo
1) Israele e Jugoslavia (A. Martocchia)
2) Antisemitismo, Fascismo e Sionismo (F. De Leonardis)
3) Israele e nazisti ucraini uniti nella lotta (Contropiano)
4) Israele. Verso il fascismo (M. Warschawski)
Leggi anche:
Le sionisme comme nationalisme extrême
par Rudolf Bkouche, membre de l’Union Juive Française pour la Paix - 24 juillet 2014
http://www.michelcollon.info/Le-sionisme-comme-nationalisme.htmlFinkelstein: Basta strumentalizzare l’Olocausto per difendere Israele
Lo storico e politologo ebreo accusa: «I miei genitori hanno partecipato alla rivolta del ghetto di Varsavia e l’intera mia famiglia è stata sterminata dai nazisti. Proprio per questo considero spregevole strumentalizzare l’Olocausto».
The Communist Party of Israel strongly condemns Israeli aggression in Gaza and rejects any attack on civilians (CPI / July 12, 2014)
http://maki.org.il/en/?p=2659
Moni Ovadia: Gaza e la questione palestinese
Assemblea nazionale L'Altra Europa - 19 luglio 2014
Moni Ovadia: perchè Israele non vuole la Pace
Libera.Tv, 19 luglio 2014
Moni Ovadia: "Israele non vuole la pace"
Moni Ovadia denuncia la mancanza di informazione corretta su quanto sta accadendo in Medio Oriente e sottolinea le ragioni reali dell'invasione della Striscia di Gaza. "Israele non vuole la pace" denuncia l'intellettuale ebreo, "i palestinesi vivono in gabbia sotto un assedio continuo e l'America e l'Europa si bevono la comunicazione imperante: 'Ci buttano i missili e noi abbiamo il dovere di difendere la nostra popolazione'. Ma non è così". L'intervista di Carla Toffoletti
AUDIO:
http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Intervista-telefonica-Moni-Ovadia-6db16bfa-6182-4f71-baa0-be934d24bb30.html
Gideon Levy: “Israele non vuole la pace”
9 lug 2014 - L’atteggiamento di rifiuto è intrinseco alle convinzioni più radicate di Israele. Qui risiede, a livello più profondo, il concetto che questa terra è destinata solo agli ebrei. Il dato di fatto più evidente è il progetto di colonizzazione. Fin dalle sue origini, non c’è mai stato una più attendibile o più evidente prova inconfutabile delle reali intenzioni di Israele…
http://nena-news.it/gideon-levy-israele-non-vuole-la-pace/
Internationally renowned conductor Daniel Barenboim speaks out in sympathy with the Palestinians
By Fred Mazelis / WSWS, 29 July 2014
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Israele e Jugoslavia
(…) Alla fine degli anni Ottanta infuriò anche una virulenta polemica internazionale sulla figura di Kurt Waldheim, che aveva avuto ben due incarichi come Segretario Generale dell’ONU e nel 1986 fu eletto presidente in Austria. In sostanza, in occasione della campagna elettorale (1985-1986), le opinioni pubbliche occidentali scoprirono casualmente che Waldheim aveva celato il suo passato da ufficiale nazista nei Balcani. (…)
Anche Israele ebbe un ruolo-chiave nella denuncia dell'affaire Waldheim, per le persecuzioni subite dagli ebrei in Grecia. Questo potrebbe far pensare che sia esistita una convergenza tra le diplomazie della RFSJ e dello Stato di Israele almeno sul caso Waldheim, ma le cose stanno ben diversamente. Nel secondo dopoguerra, i rapporti tra la Jugoslavia ed Israele avevano avuto andamenti molto diversi. Nel 1947 all’ONU i rappresentanti della Jugoslavia, pur comprendendo le aspirazioni ebraiche ad uno Stato indipendente, si mostrarono favorevoli piuttosto alla creazione di uno Stato binazionale in Palestina, tanto che all’Assemblea Generale nel novembre non votarono per la Risoluzione sulla partizione di quel territorio. E’ evidente che questa scelta rispecchiava l’ideale multinazionale cui si ispirava la stessa struttura dello stato socialista jugoslavo. Tuttavia, in seguito alla proclamazione dello Stato di Israele, la Jugoslavia lo riconobbe già il 19 maggio 1948. [66] Anche per la significativa presenza ebraica sul territorio e per il ruolo svolto dalla comunità ebraica nella Resistenza e nel movimento comunista, nella Jugoslavia socialista non poteva sussistere storicamente alcuna ostilità verso gli ebrei (se non nelle frange sconfitte del nazifascismo cattolico): fu dunque ben tollerata anche la emigrazione ebraica verso la Palestina, furono instaurate relazioni commerciali, culturali e diplomatiche con Israele.
I rapporti con Israele si deteriorarono però velocemente in seguito alla crisi del Sinai ed alla costituzione del MPNA [Movimento dei Paesi Non Allineati] (Conferenza di Bandung, 1955), fino ad essere completamente interrotti già nel 1967 per diretta iniziativa [67] di Tito. Nelle sue politiche di pace, era questa la prima volta dalla II Guerra Mondiale che la RFSJ rompeva i rapporti diplomatici con uno Stato. [68]
Meriterebbe in effetti una approfondita analisi l’atteggiamento tenuto da Israele e dalla comunità ebraiche, dentro e fuori la Jugoslavia, in occasione delle minacce secessioniste prima e della vera e propria disgregazione della RFSJ poi. Evidentemente, la rottura del 1967 e le politiche perseguite dal MPNA in favore della pace tra i popoli e gli Stati, attraverso la salvaguardia di tutti i confini internazionalmente riconosciuti, dovettero creare profondo malumore nella leadership sionista israeliana viceversa impegnata a stabilire nuovi confini de facto e ad approfondire la separazione etnica tra la componente ebraica e le altre stanziate in Palestina. Solo così si può spiegare l’incredibile freddezza o addirittura l’appoggio mostrati da Israele e dalle organizzazioni ebraiche egemoni dinanzi alla distruzione della Jugoslavia ed alla ripresa del potere da parte di leadership fasciste e razziste nei nuovi staterelli balcanici. [69] Ha lasciato tutti piuttosto sgomenti l’operazione effettuata dall’ American Jewish Joint Distribution Committee di trasferimento immediato e totale in Israele della popolazione ebraica della Bosnia, attraverso l’aereoporto di Sarajevo, proprio allo scoppio della guerra civile in quella repubblica (aprile 1992). A Zagabria, già nel settembre 1992 la comunità ebraica festeggiava, con la partecipazione formale ed i fondi elargiti dal regime fascista di Tudjman, la riapertura del Centro Ebraico; [70] ed il presidente di Israele come prima tappa dei suoi viaggi nelle nuove repubbliche dei Balcani scelse proprio la Croazia… [71]
Estratto da: IL PROLUNGATO "OTTANTANOVE" DELLA JUGOSLAVIA
di A. Martocchia (segretario, CNJ-onlus). Contributo agli Atti del Convegno TARGET (Vicenza 2009)
Note:
[67] RFE/RL Background Report:
Tito Breaks Relations with Israel, Slobodan Stanković, 14/6/1967.
[68] Il gesto diplomatico può essere interpretato come un atto dovuto ai vincoli con i paesi arabi appartenenti al MPNA, in primis l’Egitto che ne era cofondatore, e con i paesi socialisti, con le cui leadership in effetti Tito si era riunito a Mosca in quei giorni; ma è interessante notare che esso fu anche inteso <<
a prevenire una escalation delle forze imperialiste in altre aree, tra cui anche i Balcani. >> (Radio Zagreb, 13/6/1967, ore 19:30, cit.in
ibidem).
[69] Ad esempio, in contrasto con molti singoli esponenti ebraici (incluso lo stesso Simon Wiesenthal, cfr. ad es.
Corriere della Sera 1/4/1993) impegnati a denunciare il carattere fascista e razzista dell’ideologia di Franjo Tudjman (che si era reso celebre dichiarando in TV: “
Per fortuna mia moglie non è né serba né ebrea”, oltre che per i suoi lavori da storico revisionista sul genocidio ustascia) e della sua “Croazia indipendente”, Nenad Porges, presidente della comunità ebraica di Zagabria, intervenne pubblicamente per capovolgere l’accusa di antisemitismo rivolgendola ai Serbi (cfr. varie fonti raccolte in:
http://www.porges.net/JewishHistoryOfYugoslavia.html#Relations %20with%20Israel). Dopo lo scoppio della guerra in Bosnia, la
leadership degli intellettuali sionisti si è attivamente impegnata per costruire artificialmente una immagine dei “serbi nazisti” (cfr. Nota 79; sullo strano atteggiamento di Eli Wiesel a proposito dei “lager serbi” si veda: Jean Toschi Marazzani Visconti,
Il corridoio, La Città del Sole, Napoli 2005).
[71] Moshe Katsav giunse a Zagabria l'11/07/2003 per una visita di tre giorni.
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Antisemitismo, Fascismo e Sionismo
(…) Tra sionismo ed ebraismo non vi è una relazione di identità, bensì di reciproca irriducibilità: il sionismo è una specifica ideologia politica emersa in tempi relativamente recenti, legata al variegato e spesso contraddittorio movimento nazionalista e colonialista che ha dato vita allo Stato d’Israele, laddove l’ebraismo è una religione dalla storia ben più lunga e a cui molti si sentono legati anche quando non sono veri e propri credenti e la considerano piuttosto un’eredità culturale. E la storia dei rapporti tra ebraismo e sionismo, sebbene non lunga, è certamente frastagliata e lungi dall’essere univoca. Nel senso comune, però, i due coincidono: il sionismo è visto come l’incarnazione politica ‘naturale’ dell’ebraismo, e quindi, ça va sans dire, contrapposto all’antisemitismo; da questa deduzione implicita segue l’equazione secondo la quale l’antisionismo sarebbe automaticamente antisemitismo.
Allo stesso modo è un mito – ideologico quindi per definizione – l’idea che il sionismo sia, come movimento e come ideologia politica, intrinsecamente antitetico all’antisemitismo. È su questo mito che si basa la pretesa dello Stato d’Israele (che si vuole stato degli ebrei di tutto il mondo anche se la maggior parte degli ebrei non vive sul suo territorio) di essere il rappresentante e l’erede storico dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti, rivendicazione da cui esso trae la propria legittimazione morale e politica. Si tratta però di una costruzione ideologica priva di qualsiasi fondamento storico e/o giuridico, frutto di un’appropriazione in chiave nazionalistica della memoria dello sterminio. (…)
Contrariamente a quanto il senso comune suggerirebbe, l’imbarazzante storia dei rapporti di collusione del sionismo con l’antisemitismo in generale e con il nazismo e il fascismo in particolare presenta diversi capitoli. Quando nel 1933 Adolf Hitler salì al potere in Germania, l’avvenimento suscitò grande apprensione nella comunità ebraica palestinese, timorosa di ciò che sarebbe potuto accadere agli ebrei tedeschi. Ben diverse furono invece le reazioni dei vertici sionisti, cui la vittoria dei nazisti appariva come un’opportunità per incrementare l’immigrazione: “le strade sono lastricate di soldi […] si presenta un’occasione irripetibile per costruire e prosperare”, scrisse Moshe Beilinson del Mapai (i sionisti laburisti) [9] o, per dirla con Ben Gurion, “una forza fertile” [10] per l’avanzamento dell’impresa sionista. La ragione di questa valutazione apparentemente schizofrenica era che poiché i nazisti intendevano espellere gli ebrei tedeschi, l’Agenzia Ebraica avrebbe potuto accoglierli in Palestina e incrementare il peso demografico della locale comunità ebraica a fronte degli arabi palestinesi. Questa logica aberrante non deve stupire: le priorità dell’Agenzia erano sviluppare la colonizzazione ed edificare lo Stato ebraico, quindi gli ebrei tedeschi potevano interessarla solo nella misura in cui erano funzionali a questi progetti. L’Agenzia Ebraica concluse quindi con il governo nazista un accordo che fu detto della haavarah («trasferimento»): un certo numero di ebrei tedeschi avrebbero potuto trasferirsi in Palestina, portando con sé merci e capitali fino ad un valore di 9000 dollari. Ad occuparsi delle operazioni finanziarie relative al trasferimento sarebbero state delle società miste tedesco-sioniste alla cui gestione presero parte il Mapai, il sindacato Histadrut, il Fondo Nazionale Ebraico, l’Agenzia Ebraica e un finanziere polacco legato ai revisionisti [11]. (…) Sempre nel 1933, al fine di migliorare le relazioni reciproche fu invitato a visitare la Palestina il barone von Mildenstein, nazista della prima ora, membro delle SS e predecessore di Adolf Eichmann alla direzione dell’Ufficio per gli Affari Ebraici di Berlino. Von Mildenstein fu accompagnato nel suo tour da Kurt Tuchler, delegato dell’Organizzazione Sionista per i rapporti col Partito Nazista, e raccontò le sue favorevoli impressioni sul giornale di Joseph Goebbels Angriff. Nel 1938 un altro delegato sionista, Teddy Kollek (futuro sindaco di Gerusalemme), incontrò a Vienna per questioni burocratiche Adolf Eichmann, di lì a qualche anno principale esecutore della “soluzione finale”. Incontri simili ebbero luogo fino al 1939, e coinvolsero persino i vertici della Gestapo.
La destra sionista, i cosiddetti revisionisti guidati da Vladimir (Zeev) Žabotinskij, contestò il patto e annunciò il boicottaggio della Germania, accusando i laburisti di essersi alleati ai nazisti. Ma in realtà anche la destra sionista non era del tutto estranea all’operazione haavarah, e la sua vicinanza ideologica all’estrema destra europea fece sì che l’accusa le si ritorcesse contro: la corrente revisionista più estremista era infatti guidata da Abba Ahimeir, fervido ammiratore di Mussolini, il quale affermava pubblicamente che la politica di Hitler era in tutto e per tutto condivisibile, a parte ovviamente l’antisemitismo [12]. Addirittura, nel 1940-41 la fazione Stern dell’Irgun, l’organizzazione armata della destra sionista, arrivò a proporre alla Germania un’alleanza militare contro la Gran Bretagna [13].
Non meno spregiudicati furono i rapporti che i sionisti ebbero con il fascismo italiano…
Estratto da: ANTISEMITISMO, FASCISMO E SIONISMO: TRIANGOLAZIONI INATTESE
di Fabio De Leonardis (storico). Relazione al Convegno I FALSI AMICI (Arezzo 2013)
[9] Riportato in Tom Segev, Il settimo milione. Come l’Olocausto ha segnato la storia di Israele, trad. it. di C. Lazzari, Milano, Arnoldo Mondadori, 2001 [1991], p. 18.
[10] Riportato in Tom Segev, ibidem.
[11]
Ibidem. Sull’accordo della
haavarah si vedano anche Hannah Arendt,
La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, trad. it. di P. Bernardini, Milano, Feltrinelli, 2005 [1963], p. 68, e Faris Yahia,
Relazioni pericolose: il movimento sionista e la Germania nazista, trad. it. di F. De Leonardis, Napoli, La Città del Sole, 2008 [1978], pp. 45-52.
[12] Si noti che la sezione tedesca del Beitar, l’organizzazione giovanile revisionista, continuò la sua attività in Germania sotto la protezione della Gestapo, con cui aveva regolari rapporti e dalla quale anni dopo ottenne persino l’apertura di un ufficio per l’emigrazione nell’Austria occupata, con gran disappunto di Žabotinskij. Il fondatore del sionismo revisionista stigmatizzò questo filohitlerismo dei suoi seguaci, ma il suo essere bandito dalla Palestina dai britannici nel 1930 e la sua precoce morte rafforzarono sempre più queste tendenze all’interno del movimento.
[13] Faris Yahia,
op. cit., pp. 111-15.
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Israele e nazisti ucraini uniti nella lotta
Redazione Contropiano, Domenica, 27 Luglio 2014
Qualche inferno li crea e poi li accoppia. Chissà come si sentiranno, da qualche parte, le decina di migliaia di ebrei massacrati dalle bande naziste di Stepan Bandera – l'”eroe” dei neonazisti ucraini al potere come Svoboda o Pravy Sektor – a vedere l'entusiasmo con cui il nuovo regime di Kiev si stringe al governo di Netanyahu e Lieberman.L'ambasciatore ucraino a Gerusalemme, Hennadii Nadolenko, con un intervento su Haaretz, si dice pronto alla lotta comune “contro il terrorismo”. Basta non guardarsi dentro, e il gioco diventa possibile.
Ascoltiamone alcune sentite parole:
“Noi, i rappresentanti di Ucraina, abbiamo, insieme al popolo dello Stato di Israele, personalmente sentito la totalità della minaccia posta alla civili da parte delle attività criminali dei terroristi. A questo proposito, abbiamo avuto l'opportunità di assistere all'azione di Iron Dome, il sistema di difesa missilistico israeliano”.
“Tutti gli ucraini, così come me, condividono il dolore di tutti i parenti e gli amici di coloro che sono stati uccisi, e piangono in profondità con il popolo di Israele”. Gli oltre mille palestinesi, quasi tutti civii, in grande quantità bambini, no; non lo commuovono affatto.
Lui si sente al livello degli israeliani nell'affrontare quasi lo stesso nemico in casa. “Per me, come rappresentante dell'Ucraina, il problema del terrorismo ha assunto nell'ultimo anno un significato speciale. […] a partire dal 15 luglio, durante le operazioni anti-terrorismo nelle regioni orientali dell'Ucraina, le nostre forze armate hanno perso 258 soldati, e abbiamo avuto 922 feriti”.
Di più: “vorrei sottolineare ancora una volta che il delitto che ha ucciso 298 civili innocenti da tutto il mondo (l'abbattiemnto del volo Mh17 delle linee aere malesi), è un'altra conferma del fatto che il terrorismo di oggi non è vincolato da confini”.
“Credo che i paesi che si trovano ad affrontare il terrorismo e che cercano di combattere questo male dovrebbero sostenersi a vicenda, e devono unire i loro sforzi al fine di attirare l'attenzione del mondo per la nostra causa. Dobbiamo cominciare a ricevere un aiuto reale e il sostegno di organizzazioni internazionali al fine di combattere questa minaccia”.
“Pertanto, vorrei sottolineare che, come rappresentante di Ucraina, ho potuto apprezzare l'aiuto che il mio stato ha ricevuto dai cittadini di Israele negli ultimi mesi. Esprimo la mia profonda gratitudine a tutti i membri del gruppo "Israele sostiene Ucraina" e, in particolare, il gruppo di volontari "Israele aiuta Maidan" per il loro sostegno”.
“In questi giorni difficili per le nostre nazioni, traboccanti di triste notizie, chino la testa in ricordo degli eroi israeliani e ucraini che sono morti difendendo il loro popolo dai terroristi”. Magari in questo passaggio potrebbe essere Bandera a sentirsi offeso nel vedersi equiparato alle sue vittime ebree...
A noi sembra chiaro che si stia creando un “fronte” imperialista – con alla guida gli Stati Uniti e con l'Unione Europea ancora un po' disorientata dalla velocità che stanno prendendo gli eventi – che non distingue più al suo interno tra “progressisti” e reazionari, tra nazisti veri e propri e “liberali” classici; un fronte che ha la guerra come unico orizzonte possibile e che perciò – con il termine “terroristi” - definisce ormai semplicemente il caro, vecchio “nemico”.
Do you remember “Achtung banditi”?
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Israele. Verso il fascismo
di Michel Warschawski *
Durante gli ultimi 45 anni ho partecipato a numerosissime manifestazioni, da piccole concentrazioni di pochi irriducibili a manifestazioni di massa nelle quali eravamo più di 100.000; manifestazioni tranquillle, anche festose, e manifestazioni nelle quali venivamo attaccati da gruppi di destra o perfino dalla gente che passava. Mi hanno dato colpi e li ho resi, e mi è servito, soprattutto quando avevo delle responsabilità, essere nervoso. Però non ricordo di aver avuto paura.
Mobilitato, di fatto detenuto nella prigione militare per essermi rifiutato di unirmi alla mia unità che doveva andare in Libano, non partecipai, nel 1983, alla manifestazione durante la quale fu assassinato Emile Grunzweig. Di contro, fui il responsabile del servizio d'ordine della manifestazione che, un mese più tardi, attraversava Gerusalemme per commemorare questo assassinio. In quella manifestazione conoscemmo l'ostilità e la brutalità della gente che incrociavamo, ma neppure lì ebbi paura, cosciente del fatto che questa ostilità di una parte della gente che passava non avrebbe superato una certa linea rossa che però era stata attraversata un mese prima.
Questa volta ho avuto paura.
Pochi giorni fa eravamo qualche centinaio a manifestare nel centro della città di Gerusalemme contro l'aggressione a Gaza, convocati da "Combattenti per la pace". Ad una trentina di metri, e separati da un impressionante cordone della polizia, alcune decine di fascisti eruttano il proprio odio con slogan razzisti. Noi siamo qualche centinaio e loro solo qualche decina e comunque mi fanno paura: nel momento della dispersione, ancora protetti dalla polizia, torno a casa attaccato alle mura per non essere identificato come uno di quelli della sinistra che odiano.
Di ritorno a casa, cerco di identificare quella paura che ci preoccupa, ben lungi da essere io l'unico che la prova. Mi rendo conto del fatto che Israele nel 2014, non è più solo uno Stato coloniale che occupa e reprime la Palestina, ma anche uno Stato fascista, con un nemico al suo interno contro il quale prova odio.
La violenza coloniale è passata ad un livello superiore, come ha mostrato l'assassinio di Muhammad Abu Khdeir, bruciato vivo da tre coloni; a questa barbarie si aggiunge l'odio verso quegli israeliani che si rifiutano di odiare "l'altro". Se, per generazioni, il sentimento di un "noi" israeliani trascendeva dai dibattici politici e, salvo alcune rare eccezioni - come gli omicidi di Emile Grunzweig o poi di Yitshak Rabin - impedivano che le divergenze degenerassero in violenza criminale, siamo ora entrati in un periodo nuovo, una nuova Israele.
Questo non è il risultato di un giorno e così come l'assassinio del Primo Ministro nel 1995 fu preceduto da una campagna di odio e delegittimazione diretta principalmente da Benjamin Netanyahu, la violenza attuale è il risultato di una "fascistizzazione" del discorso politico e degli atti che genera: sono innumerevoli già le concentrazioni di pacifisti e anticolonialisti israeliani attaccati da criminali di destra.
I militanti hanno sempre più paura e dubitano se esprimersi o manifestarsi; e cos'è il fascismo se non seminare il terrore per disarmare coloro che considera illegittimi?
In un contesto di razzismo libero e assunto da una nuova legislazione discriminatoria verso la minoranza palestinese in Israele, e da un discorso politico guerrafondaio formattato dall'ideologia dello scontro di civiltà, lo Stato ebraico sta sprofondando nel fascismo.
*[Michel Warschawski (Estrasburgo, 1949) è un giornalista e militante pacifista dell'estrema sinistra israeliana nonchè cofondatore e presidente del Centro di informazione alternativa (
http://www.alternativenews.org) di Gerusalemme.]
Fonte originale dell'articolo:
http://www.lcr-lagauche.org/israel-vers-le-fascisme/