I Crociati e gli Assassini

0) I Crociati e gli Assassini
1) I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo. Le esecuzioni postate su Facebook (L'Espresso, 8 settembre 2014)
2) L'imam Bilal Bosnic: giusto rapire le ragazze italiane / La spirale balcanica minaccia jihadista per l'Italia / Quando l'imam combatteva in Bosnia (Il Giornale, 27/08/2014)
3) Il vero pericolo terrorista arriva dai Balcani. Nel nostro Paese sono albanesi, bosniaci e kosovari il nocciolo duro jihadista (Il Giornale, 21/06/2014)


Vedi anche: 

LA BOSNIA CHE HA VOLUTO ADRIANO SOFRI
Ajša Mekić - jedan od bisera treće godišnjice Škole Kur'ana Časnog
https://www.youtube.com/watch?v=zfaFlKua-G8

EZIO MAURO FA APPELLO PER LA NUOVA CROCIATA CONTRO L'ORIENTE
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8101

KOSOVO : DES ISLAMISTES RADICAUX MENACENT DE MORT UN JOURNALISTE (Reporters sans frontière, 3 septembre 2014)
Visar Duriqi, journaliste d’investigation kosovar spécialisé dans l’islamisme radical, a été accusé d’apostasie par une organisation extrémiste. Le journaliste est victime de nombreuses menaces de mort et de décapitation. Reporters sans frontières s’inquiète pour la sécurité physique du journaliste et demande au ministère de l’Intérieur du Kosovo de lui assurer une protection…
http://balkans.courriers.info/article25495.html


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http://contropiano.org/articoli/item/26199

I Crociati e gli Assassini

Democrito, 09 Settembre 2014 

Nel tardo XI secolo gli ismailiti si divisero in due correnti. La minoranza era composta da un gruppuscolo di rivoluzionari in disaccordo con gli sfarzi del califfato fatimida.
Il leader di questo movimento mandarono un loro agente segreto di nome Hassan Sabbah in Persia dove assunse i controllo di una fortezza chiamata Alamut (il nido dell'aquila).
Ad Alamut Sabbah si diede da fare per organizzare gli Assassini.
Sabbah usava l'omicidio quale principale strumento di propaganda. Anche se elaboravano i loro piani nella massima segretezza gli Assassini uccidevano in maniera plateale. Sapevano che sarebbero stati catturato o uccisi nel giro di pochi istanti, ma non facevano nessuno sforzo per evitare questa sorte.
Poco prima dell'inizio delle crociate Hassan Sabbah aveva fondato una seconda base operativa in Siria gestita da un comandante ausiliario che i crociati impararono a conoscere come "il Vecchio della Montagna".
Quando arrivarono i crociati praticamente chiunque non fosse uno di loro odiava con tutto il cuore gli Assassini. Tra i nemici degli Assassini si contavano gli sciiti, i sunniti, i selgiuchidi turchi, i fatimidi egiziani e il califfato abasside.
Gli Assassini e i crociati condividevano gli stessi nemici, per cui era inevitabile che i due eserciti diventassero, di fatto, alleati.
Nel corso del primo secolo delle invasioni dei crociati ogni volta che i musulmani cominciavano a muoversi verso una certa unità, gli assassini uccidevano qualche figura chiave del processo, scatenando nuovi conflitti.
Nel 1113 uccisero il governatore di Mosul che stava organizzando una campagna unificata contro i Crociati.
Nel 1124 e nel 1125 uccisero i due più importanti leader religiosi che predicavano la Jihad contro i Crociati.
Nel 1126 uccisero al-Borsoki, re di Aleppo e di Mosul, che aveva forgiato in Siria il nucleo potenziale di uno stato musulmano unito.
Omicidi di questo tipo avvennero con sorprendente frequenza nel corso delle prime crociate.

Fin qui il primo capitolo, sintetizzato da "Un destino parallelo", di Tamiam Ansary (Fazi Editore)
Il secondo capitolo viene trasmesso ogni giorno su tutte le reti televisive.


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http://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/09/05/news/i-nuovi-jihadisti-vengono-dal-kosovo-nei-balcani-ci-sono-20-cellule-terroristiche-1.178937?ref=fbpe

I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo
Le esecuzioni postate su Facebook


Centinaia di combattenti partiti per Iraq e Siria. Decine di fondamentalisti arrestati. Sedici vittime accertate. Un kamikaze saltato in aria a Bagdad. E un leader dell’Isis che pubblica sui social le decapitazioni. A sei anni dall’indipendenza, l’ex provincia serba si sta rivelando una fucina di terroristi



DI PAOLO FANTAUZZI

08 settembre 2014


L’ultimo lo hanno fermato la settimana scorsa all’aeroporto di Tirana. Mentor Zejnullahu, 24 anni, residente a Viti, stava per imbarcarsi alla volta di Istanbul, per poi raggiungere la Siria e unirsi ai jihadisti. A inchiodare il reclutatore, gli sms scambiati coi ribelli di al-Nusra, il gruppo affiliato ad al-Qaeda. Sempre da Viti proveniva anche il sedicenne fermato il 5 agosto nello scalo di Pristina, anche lui con la stessa destinazione. E appena tre settimane fa una operazione della polizia del Kosovo ha portato in carcere 40 sospetti jihadisti (altri 17 sono risultati irreperibili), che vanno ad aggiungersi ai tre finiti in manette a giugno e agli 11 arrestati lo scorso novembre: i più giovani sono nati nel 1994 e molti hanno meno di 30 anni.

I massacri e le bombe della Nato sembrano ormai solo un vago ricordo. Nella più giovane repubblica d’Europa, proclamatasi unilateralmente indipendente nel 2008 (e subito riconosciuta da Usa e quasi tutti i Paesi Ue), la nuova frontiera è il radicalismo islamico. E il nuovo nemico non sono più i paramilitari serbi come ai tempi dell’Uck ma gli infedeli. Così in una regione in cui l’Islam, abituato a convivere con le altre religioni, ha sempre mostrato il suo lato più tollerante, ad appena vent’anni dalla guerra che portò alla dissoluzione del mosaico etnico costruito da Tito il fondamentalismo mostra di aver piantato nel profondo le sue radici. Tanto da poter contare, rivelano fonti investigative all’Espresso, su almeno 20 cellule terroristiche attive nel reclutamento e addestramento fra Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia, come mostra la retata che ha portato all’arresto di 16 reclutatori, compreso Bilal Bosnic, l’ex predicatore del centro islamico di Cremona considerato uno dei reclutatori di spicco dell'Isis. Finanziate da ong islamiche - dall’Arabia saudita all’Inghilterra fino all’insospettabile Turchia - queste cellule in qualche caso vedono proprio gli ex guerriglieri (in Kosovo quelli dell’Uck) quali inevitabili punti di riferimento locale. Un avamposto in attesa, chissà, di rivolgere verso l’Europa quella guerra finora combattuta sul suolo mediorientale.

IL JIHADISTA È SU FACEBOOK
Le autorità di Pristina cercano di minimizzare: secondo il governo i volontari partiti sarebbero solo 43. Difficile crederlo statisticamente, considerato che le vittime accertate sono già 16. Non a caso diverse fonti ritengono che, fra gli 11 mila stranieri in Siria (dei quali duemila europei), sarebbero 300-400 i combattenti di etnia albanese, prevalentemente kosovari. Grosso modo quanto quelli provenienti dal Regno Unito. Con la significativa differenza che l’ex provincia serba è grande quanto l’Abruzzo e non arriva a due milioni di abitanti.

Una rilevanza dimostrata anche dallo Stato islamico dell’Isis: il discorso con cui il comandante al Bagdadi si è autoproclamato califfo è stato tradotto in inglese, francese, tedesco, turco, russo e albanese. Del resto i jihadisti kosovari stanno dando il loro contributo: a marzo Blerim Heta, nato e cresciuto in Germania ma tornato in patria dopo la guerra, si è fatto esplodere a Baghdad uccidendo 52 ufficiali di polizia.

Mentre sul web impazza la figura di Lavdrim Muhaxheri, indicato come comandante della “brigata balcanica”: dopo aver rivolto ai connazionali un appello alla jihad , in un video dell’Isis che gira in rete ha arringato la folla in arabo fluente brandendo un grosso coltello e bruciato il suo passaporto kosovaro, “documento degli infedeli”: «Io sono solo un musulmano». Infine ha postato su Facebook una foto che la ritrae mentre decapita un ragazzino siriano accusato di essere una spia, mentre in un’altra lo si vede riprendere col cellulare una esecuzione compiuta da un connazionale.
Ed è proprio questa la novità: ormai non solo la guerra santa si svolge anche in rete con video e appelli ma i mujaheddin 2.0, riluttanti all’anonimato, postano senza alcun riserbo le loro azioni sui social network. A suo modo una fortuna, visto che questo consente all’intelligence di risalire alla rete dei loro contatti. In ogni caso, quando torneranno in patria, nessuno potrà contestare loro alcunché. Il Kosovo non ha ancora una legge che punisce il reclutamento di terroristi o chi va a combattere all’estero: il disegno di legge, che prevedeva pene da 5 a 15 anni, non è stato ratificato in tempo prima delle elezioni anticipate di giugno.

POLVERIERA BALCANI
A paradosso si aggiunge paradosso: sia Muhaxheri che Heta avrebbero lavorato nel campo Bondsteel, la principale base americana sotto il comando della Kfor, la missione Nato in Kosovo, che ospita migliaia di soldati. E proprio la città di Ferizaj in cui sorge, vicino al confine con la Macedonia, è diventata un centro nevralgico di reclutamento: oltre al kamikaze, 11 dei 40 terroristi arrestati ad agosto venivano da lì. Forse non a caso: sempre lì (all’hotel Lion, secondo un rapporto dei servizi di Belgrado del 2003) per anni la ong Islamic relief avrebbe reclutato bambini resi orfani dalla guerra per compiere attentati suicidi.

Quello dei volontari «è un problema comune a tutti i paesi democratici sviluppati» ha minimizzato nei giorni scorsi il generale Salvatore Farina, comandante uscente della Kfor, nella sua ultima conferenza stampa. Di certo la concentrazione di terroristi in Kosovo fa paura. E allerta anche gli 007, visto che un informatore della Kia, i servizi segreti di Pristina, sarebbe stato riconosciuto e ucciso in Siria a inizio anno. Il tutto mentre nella piccola repubblica operano ancora cinquemila militari dell’Alleanza atlantica che dovrebbero sostenere lo sviluppo di un Kosovo stabile, democratico, multietnico e pacifico .

Insomma, i Balcani continuano a produrre più storia di quanto ne possono digerire, secondo il caustico aforisma di Churchill. In Albania, dove sono 60 i jihadisti identificati, sono stati arrestati un paio imam di Tirana per incitamento al terrorismo più altri sei miliziani, tornati dalla Siria a farsi medicare le ferite. Dalle province a maggioranza musulmana della Serbia meridionale si stima che siano partiti varie decine di combattenti. La situazione più pericolosa riguarda tuttavia la Bosnia, dove i servizi si sicurezza stimano che siano tremila i radicali islamici pronti a entrare in azione. Intanto anche Sarajevo ha avuto il suo kamikaze in Iraq: Emrah Fojnica, 23 anni, già coinvolto nell’attacco all’ambasciata statunitense del 2011.

LA PENETRAZIONE SILENZIOSA 
Adesso, quando forse è troppo tardi, la polizia sta passando al setaccio le centinaia di ong islamiche sparse per i Balcani fin dalla guerra nella ex Yugoslavia.Organizzazioni per lo più saudite che hanno affiancato il lato umanitario con la costruzione di una miriade di moschee nuove di zecca in cui predicare l’Islam più radicale di ispirazione wahabita, da cui chiamare al martirio. Tanto che nei giorni scorsi perfino il sobrio Financial times ha ironizzato sulla strisciante colonizzazione portata avanti in questo modo da Riad. Una penetrazione silenziosa raccontata profeticamente già cinque anni fa in “Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa” da Antonio Evangelista, ex capo del contingente di polizia italiana nell'ambito della missione Onu, in cui si occupava di criminalità organizzata e terrorismo.  Soprattutto, consentita da un mix fatale: istituzioni deboli, instabilità politica, corruzione endemica, disoccupazione vertiginosa. Oltre alla sostanziale vacuità della presenza militare e alle promesse tradite dell’Occidente, che ha lasciato gran parte della popolazione del Kosovo (e della Bosnia) in uno stato di povertà non dissimile dal precedente. Spingendo intere fasce nelle braccia del radicalismo islamico.

IN GUERRA CON PAPÀ
Così, se la famiglia è la cosa più importante, molti jihadisti partono per il fronte con mogli e figli al seguito. O, se le consorti non sono d’accordo, solo con la prole. Come ha fatto il bosniaco Ismar Mesinovic, che dal bellunese è andato a combattere in Siria portando con sé il figlioletto di tre anni , scomparso nel nulla dopo la sua morte. E come ha fatto anche il kosovaro Arben Zena, partito col piccolo Erion, di otto anni. «Andiamo un paio di giorni a Rugova» ha detto alla moglie Pranvera all’inizio di luglio. Poi più nulla, tranne un sms la settimana seguente: «Sono in Siria con il ragazzo». Adesso la donna ha aperto una pagina Facebook per raccontare la sua storia e raccogliere segnalazioni.Anche perché i casi simili non sarebbero affatto pochi: una foto mostra il bambino in mezzo a un nugolo di coetanei. Uno dei quali, inconsapevole, sventola l’inquietante bandiera nera dello Stato islamico.


http://espresso.repubblica.it/foto/2014/09/05/galleria/i-tagliatori-di-teste-made-in-kosovo-1.178954

[FOTO] Decapitazione di un ragazzo siriano accusato di essere una spia postata su Facebook da Lavdrim Muhaxheri, capo dei miliziani Isis provenienti dal Kosovo

[FOTO] Decapitazione di un soldato siriano da parte del jihadista kosovaro Saleel Al Sawarim (nome di battaglia). Lavdrim Muhaxheri riprende col telefonino sullo sfondo

[FOTO] Blerim Heta, kamikaze kosovaro. Si è fatto esplodere a marzo a Bagdad provocando la morte di 52 ufficiali di polizia

[FOTO] Vignetta satirica pubblicata sul Financial times il 7 agosto

[FOTO] Bambini con la bandiera dell’Isis. Nel cerchietto Erion Zena, di 8 anni

[FOTO] Lavdrim Muhaxheri con il passaporto [SIC] kosovaro insieme a un connazionale e un commilitone albanese

[FOTO] Idajet Balliu, 24 anni, jihadista albanese di Librazhd ucciso il giorno di Ferragosto in Siria

[FOTO] Emrah Fojnica, kamikaze bosniaco morto in Iraq. Era già stato processato per l’attentato all’ambasciata Usa di Sarajevo del 2011

[FOTO] Erion Zena (8 anni) con il padre Arben, miliziano dell’Isis in Siria



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VIDEO CORRELATO:

Quando l'imam combatteva in Bosnia
L'imam Bilal Bosnic era arruolato nel 1993 nel battaglione El Mujaheddin che combattè in Bosnia nel 1993 nella guerra fratricida contro i croati a Vitez. Si trattava di un'unità di combattenti islamici provenienti da diversi paesi. A cura di Fausto Biloslavo.
VIDEO: http://www.ilgiornale.it/video/mondo/quando-limam-combatteva-bosnia-1046976.html

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http://www.ilgiornale.it/news/politica/cattivo-maestro-dellislam-giusto-rapire-ragazze-italiane-1046964.html

Il cattivo maestro dell'islam: giusto rapire le ragazze italiane

L'imam Bilal Bosnic, che si mostra su Facebook con la bandiera dell'Isis, ha tenuto da noi diversi sermoni: "Greta e Vanessa? In Siria interferivano".


Fausto Biloslavo - Mer, 27/08/2014

Bilal Bosnic, l'imam bosniaco, che è venuto tranquillamente a predicare nel Nord Italia dal 2011 al 2013, giustifica in un'intervista sul sito del Corriere il rapimento di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, innamorate della rivolta contro Damasco, che in Siria si illudevano di fare del bene.

[FOTO: L'imam Bilal Bosnic (vestito di nero e con la barba più lunga) in mezzo ai suoi seguaci. Alle spalle la bandiera del Califfato
http://www.ilgiornale.it/sites/default/files/styles/large/public/foto/2014/08/27/1409115632-ipad-98-0.jpg ]

L'imam estremista è convinto che le due ragazze «interferivano», come chiunque arrivi dall'Occidente. Non solo: per il predicatore jihadista «rapire è una pratica giustificata, una cosa comune per un nemico durante la jihad e qualsiasi altra guerra». Parole che non devono stupire. Sulla sua pagina Facebook Bosnic, fin dal 7 luglio, aveva postato il sermone del Califfo, Abu Bakr al Baghdadi da Mosul, dove ha cacciato i cristiani, con il seguente commento: «Quest'uomo verrà ricordato per secoli (…) Allah continui a ricompensarlo per i suoi meriti». Poi ha cambiato la copertina con la bandiera nera dello Stato islamico dell'Iraq e della Siria. E lunedì si è fatto immortalare assieme a cinque suoi accoliti barbuti con alle spalle lo stendardo del Califfo. Poi ha usato lo scatto come nuova copertina su Facebook.

Quarantuno anni, «salafita» per sua stessa definizione, vive nella Krajina fra Bosnia e Croazia. E non fa mistero di aver combattuto con il battaglione al-Mujaheddin composto da musulmani provenienti da mezzo mondo durante la terribile guerra etnica bosniaca. Con il corriere.it ammette che in Italia ha incontrato «centinaia» di musulmani «veri seguaci» dell'Islam.

E di aver conosciuto Ismar Mesinovic, l'imbianchino bosniaco di 36 anni che viveva a Longarone ed è morto in Siria, lo scorso gennaio, in nome della guerra santa. Il volontario jihadista era una persona «normale» che ha sposato una cubana, come dimostrano alcune foto in possesso del Giornale . Poi, in altre immagini, salta agli occhi il cambiamento. Mesinovic si è fatto crescere la barba islamica e la sua donna ha messo il velo. Il primo giugno dello scorso anno incontra l'imam Bosnic a Pordenone invitato a tenere un sermone. L'incontro era stato pubblicizzato da un kosovaro che vivrebbe nel Bresciano. Mesinovic decide di partire per la Siria dove trova la morte. Il Viminale è allarmato dalla «spirale balcanica», che attrae combattenti in Siria e non si escludono retate e arresti a breve.

Sulla sua pagina Facebook il predicatore itinerante ha postato le foto dei giovani bosniaci che sono andati a combattere e spesso a morire per il Califfato. Gli «amici» on line di Bosnic sono personaggi come Amir Bajric, che sarebbe in Siria e usa come copertina del suo profilo in rete un convoglio di pick up con i vessilli neri dello Stato islamico. Oppure il turco Nasir Haji, che preferisce il faccione di Osama Bin Laden, come copertina sulla pagina Facebook.

E ieri ha postato la foto di una serie di teste mozzate infilate negli spuntoni di un'inferriata.

L'aspetto incredibile è che Bosnic, cattivo maestro dell'Islam radicale, è venuto più volte a predicare in Italia. Prima di Pordenone, nel 2011 e 2012, è stato invitato tre volte a Cremona. Due sermoni nel vecchio centro islamico ed uno nel luogo di culto di Motta Baluffi. La Digos locale ha monitorato le prediche senza trovarci nulla di pericoloso. Così Bosnic è stato anche a Bergamo, da dove sono partite le due volontarie italiane rapite in Siria ai primi di agosto. L'imam bosniaco e altri predicatori dell'ex Jugoslavia sono le star dell'Islamsko Dzemat di Bergamo, un altro centro islamico di provincia molto legato ai Balcani. I barbuti fedeli bosniaci del centro lo scorso anno hanno tranquillamente affittato una sala comunale per pregare. E Bosnic al corriere.it ha confermato: «Sono stato anche a Bergamo. Un jihadista? Preferisco essere definito musulmano, semplicemente perché ritengo che ogni vero musulmano debba essere jihadista e credere in uno Stato islamico unico».

www.gliocchidellaguerra.it


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http://www.ilgiornale.it/news/mondo/analisi-spirale-balcanica-minaccia-jihadista-litalia-1047004.html

Analisi: La spirale balcanica minaccia jihadista per l'Italia

La presenza nel Nord Est italiano di fedeli e seguaci di predicatori radicali, come a Cremona, Bergamo e Pordenone, è soltanto parte di un fenomeno molto più ampio


Giovanni Giacalone - Mer, 27/08/2014

Il concetto di “spirale balcanica” è molto complesso; la presenza di fedeli di quell’area geografica in Italia, seguaci di predicatori radicali, come nel caso che abbiamo recentemente visto a Cremona, Bergamo e Pordenone, è soltanto parte di un fenomeno molto più ampio.

I focolai li possiamo rintracciare nei primi anni ’90 con la guerra di Bosnia, quando ci fu un vero e proprio flusso di mujahideen provenienti da diversi paesi islamici, tra cui Egitto, Tunisia e Algeria che si recarono nel paese balcanico per andare a combattere a fianco dei musulmani bosniaci, installandosi principalmente nelle città di Mostar, Sarajevo, Zenica e Zepce e formando unità come la ben nota “El-Mujahed”, che venne inglobata del 3° corpo dell’esercito bosniaco.

Dopo gli accordi di Dayton del 1995 molti di loro restarono in Bosnia, dando vita a vere e proprie enclaves, dove oggi non si entra se non si è salafiti. Tutto ciò contribuì all’espansione del radicalismo nei Balcani, quello dottrinario-propagandistico da una parte e quello finanziario dall’altra. Predicatori radicali come Nusret Imamovic, Bilal Bosnic, Bakir Halimi, Muhamed Fadil Porca sono diventati fonte di ispirazione per molti musulmani balcanici, sia in patria che all’estero.

Finanziatori e promulgatori del radicalismo di stampo salafita hanno saputo sfruttare bene il disagio socio- economico giovanile nell’area balcanica, dove speranze e aspettative per le nuove generazioni del periodo post-guerra sono ancora oggi ai minimi termini a causa dell’inflazione e dell’alto tasso di disoccupazione.

Purtroppo gli effetti collaterali di tale fenomeno, sul fronte della sicurezza, non sono tardati ad arrivare; dai primi pericolosi segnali degli anni ’90 con l’attentato alla caserma della polizia di Pola nel 1995 e le perlustrazioni all’ambasciata americana di Tirana nel 1998, fino agli odierni e ripetuti assalti a comunità islamiche non salafite; dagli attentati di Sarajevo e di Francoforte del 2011 alle recenti partenze di jihadisti per la Siria; tutti elementi che hanno dimostrato come il problema del radicalismo islamico nei Balcani meriti la massima attenzione in quanto riguarda da vicino anche l’Italia.

Giovanni Giacalone,
islamologo e analista del radicalismo balcanico


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http://www.ilgiornale.it/news/esteri/vero-pericolo-terrorista-arriva-dai-balcanilallarme-vivono-1030109.html

Ma il vero pericolo terrorista arriva dai Balcani

Vivono qui e sono centinaia. Nel nostro Paese sono albanesi, bosniaci e kosovari il nocciolo duro jihadista


Gian Micalessin - Sab, 21/06/2014

La chiamano «spirale balcanica». Per gli esperti di antiterrorismo del Viminale è la variante più insidiosa di quell'attivismo jihadista che, ha spinto una trentina di «volontari» a lasciare l'Italia per la Siria. Oggi gli integralisti islamici provenienti da Albania, Bosnia e Kosovo rappresentano il nocciolo duro dello jihadismo straniero sul nostro territorio. «Sono l'equivalente dei tunisini e dei marocchini di un tempo, ma mentre i "nordafricani" tendono a rientrare - spiega una fonte de il Il Giornale - gli integralisti balcanici sono oggi la componente più pericolosa. Molti dei volontari partiti per la Siria dal nostro paese o in procinto di farlo sono di origine balcanica». La punta dell'iceberg islamista-balcanico, quello che con la propria morte, ha spinto gli inquirenti a indagare sul fenomeno è Ismar Mesinovic, un imbianchino bosniaco partito da Ponte delle Alpi nel Bellunese per andare a morire, il 4 gennaio scorso, sui campi di battaglia siriani. Una partenza estremamente sospetta perché preceduta, nel giugno 2013, da un incontro con un predicatore salafita bosniaco nella zona di Pordenone. «Il sospetto - spiega la fonte de Il Giornale - è che questi jihadisti balcanici siano un po' meno volontari di altri e siano indotti a partire dalla promessa di denaro o dalle sollecitazioni dei loro capi religiosi». E dietro questi sospetti si cela una grande paura. La rete islamico-balcanica - sorta in Bosnia, Kosovo e Albania grazie alle moschee finanziate dall'Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo negli anni 90 - ha portato alla rapida espansione del fenomeno integralista. Oggi centinaia di militanti usciti da quelle moschee si sono trasferiti nel nostro nord-est da Trieste a Belluno, da Trento a Verona. Proprio lì, con il ritorno dei veterani della Siria, minaccia di attecchire un humus proto-terrorista molto simile a quello della moschea di via Jenner a Milano dove, negli anni 90, Al Qaida mise radici grazie ai reduci della guerra di Bosnia.