Il miliziano rosso “Artjom”: “Non abbiamo scelto la guerra, è la guerra che è arrivata da noi!” (Intervista di Viktor Shapinov, Histoire et Societé, 19 agosto 2014)
http://aurorasito.wordpress.com/2014/08/21/la-milizia-rossa-artjom-non-abbiamo-scelto-la-guerra-e-la-guerra-che-e-arrivata-da-noi/
STRELKOV: I MIEI NEMICI NON DORMANO TRANQUILLI, CONTINERO’ A COMBATTERE PER LA PATRIA (Voltideldonbass, 7 settembre 2014)
http://voltideldonbass.wordpress.com/2014/09/07/strelkov-i-miei-nemici-non-dormano-tranquilli-continero-a-combattere-per-la-patria/
Flashbacks:
INTERVISTA A ZAKHARCHENKO E KONONOV (24/8/2014)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=yH35raTPVu8
https://www.facebook.com/bandabassottiband/photos/a.10151552577661574.1073741828.35037141573/10152250860771574/?type=1
Per chi vuole continuare a donare per sostenere la Carovana Antifascista lo può fare fino al 24 settembre scrivendo a: bassottixdonbass@...
COMUNICATO DELLA BANDA BASSOTTI
"La campagna di finanziamento si è chiusa; mancano ancora alcune iniziative in giro per l’Italia ed il concerto della Banda a Roma. Lo sforzo di tutti ci ha permesso di concretizzare il progetto anche se va a coincidere con il momento più incerto dall’inizio del conflitto. Mentre scriviamo non sappiamo nulla sul giorno successivo. Allo stato attuale non possiamo comunicare come e dove si svolgerà realmente il percorso della carovana Sappiamo che abbiamo un aereo, un pullman e i luoghi della Resistenza che ci aspettano; nei bagagli le nostre canzoni e le risorse che abbiamo messo assieme tutti quanti.
Siamo stati contattati ed incoraggiati da moltissimi paesi e abbiamo avuto conferma che il sentire internazionalista, malgrado l'"informazione" ufficiale, coinvolge la vita reale delle persone.
Abbiamo davanti quei giorni su cui vi informeremo e vi daremo conto, porteremo la storia collettiva di chi non si abitua alla barbarie e la aggiorneremo con altre storie da imparare.
Questa è comunque l’occasione per ringraziare veramente tutti quelli cha hanno contribuito con i mezzi che hanno trovato. Gruppi musicali, persone singole, collettivi, organizzazioni, amici di sempre e nuovi che hanno di fatto scritto giorno per giorno questa storia.
Abbiamo nella pratica ribadito che il fascismo, mascherato o meno, sempre in piedi ci troverà. Diciamoci grazie e buona fortuna fra di noi, tutti noi che, sparsi per il mondo, sappiamo da quale parte stare.
Agli altri lasciamo le parole."
NO PASARAN!
Fallito il quarto, disperato tentativo dell'esercito ucraino di spezzare in due il fronte di Nuovarussia, le milizie popolari hanno lanciato una controffensiva riconquistando terreno a danno di un esercito regolare ormai alla canna del gas, afflitto da perdite enormi di uomini e mezzi e spesso, senza neanche più carburante per gli automezzi. Nel frattempo, le milizie rafforzano il proprio status bellico trasformandosi ufficialmente in vero e proprio esercito popolare. In questa (www.youtube.com/watch?v=PGaFd7CnGt4) fondamentale press conference, il Primo Ministro Zakharchenko ricorda agli inviati della stampa occidentale -fin dall'inizio del conflitto e senza vergogna alcuna, organo di propaganda del Maidan - le ragioni profonde della sollevazione di massa del Donbass contro il ritorno del fascismo.
Internazionalismo, condanna dello sciovinismo, richiamo ai valori sovietici di pace, lavoro e progresso e ancora, rimando all'89 francese e alla triade metastorica di libertà, eguaglianza, solidarietà.
Parole che dovrebbero essere ascoltate molto bene dai quei sinistri "massimalisti" italiani che da mesi non perdono occasione per gettare fango sulle repubbliche popolari di Nuovarussia, considerando l'antifascismo in armi degli internazionalisti e dei patrioti del Donbass "di serie B" poiché non confacente ai criteri da loro stabiliti per conferire arbitrariamente patenti di legittimità sul fenomeno.
Con la non trascurabile differenza che, mentre i così malamente detti "filorussi" sono alla testa di un movimento di massa e popolare, questi occidentali puristi, critici e detentori della verità assoluta capeggiano al massimo qualche sparuta setta antifascista che spesso, attraverso un'attività politica tutta autoreferenziale che lambisce il fanatismo, con il richiamo a mille "ismi" che i più neanche comprendono, finisce addirittura per nuocere alla causa.
Questi autentici russofobi nonché sedicenti "libertari", da giorni si riempono la bocca col nome di Alexander Dughin -il massimo maitre a penser vivente del cosiddetto nazionalbolscevismo- cercando di accreditare l'idea secondo la quale la resistenza del Donbass sarebbe caduta sotto l'influenza ideologica sua e del suo movimento.
Tuttavia, bastano le parole del filmato a smentire una simile forzatura, il nazionalbolscevismo di Dughin, infatti, ha la sua premessa teorica e metodologica fondante nella negazione e rovesciamento dei valori egualitari della rivoluzione francese dell'89. Al contrario, in tutte le sue pubbliche esternazioni, il presidente Zakharchenko non manca mai di rimarcare quali postulati fondanti della lotta antifascista del Donbass tanto i principi progressivi della rivoluzione sovietica che di quella francese. Il cosiddetto nazionalbolscevismo, invece, fin dalle sue primigenie manifestazioni, nella Germania weimariana e per bocca dei suoi maggiori teorici, ha sempre avversato, in nome di un costrutto sociale fortemente autoritario, i valori "illuministi" del luglio francese. Illuminante, a tal proposito, il pensiero del nazionalbolscevico Ernst Niekisch un anticipatore di Pol Pot nonché fautore di un socialismo avversario della modernità, dell'industria e del progresso nel nome di una società che egli auspicava fondata su una casta di contadini-guerrieri. Proprio a Niekisch e al suo –intimamente contraddittorio- movimento di resistenza al nazismo, conosciuto come Wiederstand (resistenza) appunto, si rifanno alcune componenti russofone del Donbass e si veda in proposito il caso del reggimento Varyag (https://www.facebook.com/Varyag.Batallion) che della Wiederstand tedesca riprende aspirazioni e simbologia a cominciare dall’acquila con gladio, falce e martello. Questa citazione si rende doverosa al fine di tracciare un quadro non semplicistico e manicheo della complessa situazione determinatasi nel Donbass dove, a fianco delle sicuramente maggioritarie componenti classiste e genericamente, socialcomuniste, si possono rintracciare, soprattutto nell’ambito militare, organizzazioni nazionalbolsceviche, panslaviste e perfino neozariste tutte accomunate nella lotta contro i nazisti di Kiev. Tuttavia, un conto è, giustamente, fare i conti con la complessità del reale, che inevitabilmente reca elementi di contraddittorietà e segna uno scarto da quelli che sono i nostri desiderata, un altro è mistificare il piano della verità storica mortificando, proprio come fa certa Sinistra occidentale (che, per inciso e a titolo d’esempio nulla dice sui fondamentalisti islamici di Hamas) la resistenza antifascista in armi e di massa nel Donbass, poiché non immediatamente assimilabile a quella che essa reputa la sua giusta visione dell’antifascismo e della lotta politica.
Proprio in questi giorni, l’estrema Destra europea, tradizionalmente maestra nell’assimilare a sé tutto ciò che possa risultare tatticamente utile in spregio a qualsiasi principio di coerenza, cerca di operare un riposizionamento sulla questione ucraina cercando di slegarsi dai camerati ucraini di Svoboda e Settore destro, ormai una zattera alla deriva, quindi, esattamente ora, è necessario che gli antifascisti occidentali facciano cessare inutili e sterili polemiche per dare tutto l’appoggio possibile ai nostri fratelli e compagni di Nuovarussia in modo che eventuali zone d’ombra (a partire dai cosiddetti nazionalbolscevichi) nell’esperienza del Donbass vadano a diratarsi. La storia ci ricorda, infatti, come spesso sia stata l’assenza politica dell’antifascismo e della Sinistra a fare le maggiori fortune del campo nemico. Dove c’è un’assenza, di contro ed inevitabilmente, si verifica una presenza. L’esempio italiano nel primo dopoguerra, in riferimento al movimento dei reduci, ci fornisce, in tal senso, un monito difficilmente eludibile. Fu l’atteggiamento supponente e sdegnoso degli allora strateghi del movimento operaio a gettare nelle braccia del fascismo decine di migliaia di potenziali militanti rivoluzionari. Nella Russia pre rivoluzionaria la ben diversa strategia leninista consentì ai bolscevichi di conquistare alla causa rivoluzionaria la stragrande maggioranza dei militari con i risultati che tutti conosciamo.
Nella loro opera di mistificazione della lotta di Nuovarussia, i sinistri denigratori possono contare sul sostegno di diverse testate giornalistiche -o aspiranti tali- on line e di "movimento" (per non infierire non faccio nomi) le quali non paghe di aver appoggiato la "sovversione reazionaria di massa" del Maidan, così come precedentemente i ribelli salafiti in Libia e Siria, le "femministe" al soldo di Soros "Pussy riot" e "Femen" ecc. ecc. non solo non hanno mai accennato ad un giusto processo di autocritica ma fin dall'inizio hanno concentrato il proprio fuoco di fila contro le repubbliche popolari, arrivando a suffragare, pur di addensare l'ombra del rossobrunismo sugli antifascisti del Donbass, le menzogne del portale Human right center di Kiev ( una creatura telematica della Cia costituita ad hoc per delegittimare, attraverso la pratica goebbelsiana della menzogna reiterata e sistematica, la lotta degli antifascisti ucraini).
Non è superfluo ricordare, inoltre, di come nei primi giorni del Maidan diversi pseudo-giornalisti della "Sinistra radicale" abbiano esortato i propri lettori a solidarizzare con una protesta, già allora chiaramente a maggioranza fascistoide, scambiando le bandiere rosso-nere dei seguaci del collaborazionista dei nazisti Stephan Bandera per quelle dell'anarco-sindacalismo! Ancora una volta, grossolanamente, sono state prese lucciole per lanterne...
Un simile, preoccupante deficit di analisi ha potuto verificarsi poiché, nel tentativo di ridefinire il proprio profilo e renderlo all’altezza dei tempi, la Sinistra “radicale” occidentale, da oltre un ventennio, ha progressivamente abbandonato il metro della lotta di classe, sbrigativamente accantonato come ciarpame novecentesco, finendo per introiettare, in parte, il punto di vista del nemico su una presunta “fine della storia”. Il tema “politicamente corretto” dei diritti umani si è imposto come nuovo elemento dirimente nell’analisi, mentre discipline come la geopolitica (che, invece, sarebbe molto utile utilizzare come complemento all’analisi di classe) sono state, con superficiale errore, tacciate di “fascismo”. In questo senso, forse, proprio l’esperienza di Nuovarussia e la rinascita di un forte movimento di classe ad est potranno rivelarsi utili per la costruzione anche nell’Europa occidentale di una nuova Sinistra che chiuda definitivamente i conti con quanto accaduto dalle nostre parti all’epoca del crollo del muro di Berlino.
Archivio Azione Antifascista Internazionale
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Against the attempts to drag in the reactionary imperial "black-yellow-white" flag
Union Borotba (Struggle) expresses its strong protest against the attempts to drag in the reactionary imperial "black-yellow-white" flag among the official symbols of the Union of People's Republics of Donetsk and Lugansk. We are an active force fighting against the Kiev junta, one that has more than once proven its integrity. The “special attention" of the neoliberal ultra-nationalist Kiev authorities to our organization is evidence of this. Ongoing repression and persecution is only a small part of the difficulties that our activists have had to go through.
Even before the victory of the Maidan coup, through which the oligarchs and nationalists deceived civilians, we predicted all the negative trends and catastrophic developments of the situation for the people, with frightening accuracy... Unfortunately, all we previously forecast, and even more, is coming true. The People's Republic need not repeat the mistakes of the past by taking on symbols and attributes of oppression of the working majority.
The imposition of these symbols upon the majority of the population without their will is clearly an erroneous step by the institutions of the people's republics. The monarchist banner of the royal dynasty does not represent the aspirations and hopes of the working majority of Donbass. These symbols are not a source of unity in the fight against the neo-fascists and the oligarchic clique. We believe that a new time, a new era, and the aspirations of the people, should not be symbolized in this way, and most importantly without the consent of the majority of the population. The question of state symbols should be decided by popular will and, of course, not during the present war.
The republics have their own flags, there is already a well-established flag of Novorossiya with the "St. Andrew’s cross” on a red background, as well as the host of Soviet symbols widely used by militia and supporters of self-determination. The national flags of the Soviet Union and the Ukrainian SSR are much closer to the people. These symbols unite the multinational working class of Donbass, they delight the eye and offer hope to millions of people suffering from the war unleashed by the junta.
We say "no" to splitting the movement with monarchical symbols; we say yes to the free expression of the residents of the people's republics!
The junta will fall! We will win!
Union Borotba
Quasi duecentomila profughi hanno potuto attraversare il confine russo grazie ad un corridoio che è stato reso sicuro, armi alla mano, proprio dalla milizia con costi umani elevatissimi.
“Abbiamo chiesto aiuto alla comunità internazionale, alle Nazioni unite, alla croce rossa internazionale, affinchè garantissero loro un corridoio umanitario ma l’esodo dei civili verso il confine russo è stato oggetto di sistematici attacchi dell’aviazione e dell’artiglieria di kiev. Un esercito che si accanisce in questa maniera contro i propri connazionali credo che non si sia mai visto in queste proporzioni. “
Chi è rimasto, è rimasto per combattere. Come Vassiliy, un professore di letteratura delle scuole superiori, comanda una batteria composta da quattro ml 20, cannoni che sparano proiettili da 122mm. Armi temibili nel 1943, un pò meno oggi. La sua compagnia è composta da circa 40 persone e tra queste ci sono 8 suoi alunni. Questi, tutti 16 enni, ci dicono che il fascismo è l’ebola del mondo ma nella Novorossiya hanno trovato la cura e ridono mostrandoci orgogliosi i loro moschetti moisin nagant del 1941.
Uno di loro ci dice che vinceranno la guerra, perché i russi non cominciano mai le guerre, le vincono e basta.
“Putin sta giocando una partita a scacchi con l’occidente.” Si fa serio un altro. “Per un po di tempo noi siamo stati addirittura i pedoni ma si sa che il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Alla fine a forza di giocare tra diplomazie qui abbiamo fatto i soviet e questo di certo non è andato giù a nessuno”.
“Dobbiamo molto alla Russia sia chiaro, anzi dobbiamo molto ai russi. Sono i nostri fratelli. Ma noi non vogliamo annetterci alla Russia. Noi siamo la Novorossiya che vi piaccia o no.”
Pavel C., maggiore siberiano dell’armata rossa è probabilmente l’unico militare vero del gruppo.” Qui ho ritrovato un motivo per combattere, nuovi compagni, non puoi non sentirti parte di qualcosa più grande di te. Io sono cresciuto e sono stato formato nel mito della lotta vittoriosa al fascismo e oggi può apparire incredibile ma sembra di essere ritornati indietro di 70 anni. “
Il professor Vassily riprende la parola e ci dice che non è d’accordo con quanti paragonano il Donbass alla Spagna repubblicana.
“ Innanzitutto non abbiamo le brigate internazionali e neanche un minimo di solidarietà . Tutto il mondo è contro di noi. Siamo noi i cattivi. Così cattivi che ci siamo portati la guerra in casa nostra, così dispotici che prendiamo le decisioni votando, così nostalgici che innalziamo al cielo con orgoglio bandiere ritenute bandite. Ma voi che fareste?Un giorno ci siamo svegliati e ci hanno detto che non potevamo più parlare russo, che gli amministratori che avevamo eletto dovevano essere sostituiti, che i contratti di lavoro andavano rivisti, le nostre miniere vendute all’estero, la nostra storia e i nostri simboli cancellati e abbattuti. Addirittura ai reduci di guerra sono state tolte le pensioni perché colpevoli di aver lottato dalla parte sbagliata. Vi sembrerà incredibile ma anche in quel frangente non abbiamo detto niente. Ma poi c’è stata Odessa. Un massacro.E da quel momento abbiamo finito di essere Ucraini, per sempre”.
La realtà è molto complessa. Per qualcuno non è così. Analisti d’accatto, giornalisti prezzolati, freelance
( più lance che free), blogger tuttologhi, sono categorie antropologiche che hanno sempre la soluzione sotto controllo, una capacità assoluta di interpretare e decodificare la storia e a volte anche la geografia. Per noi non è così, rimaniamo pieni di dubbi, di incertezze, soprattutto quando ci si trova di fronte a fatti epocali, che si percepisce influenzeranno quello che sarà il mondo nel prossimo futuro. Negli ultimi anni ne abbiamo lette e sentite di cotte e di crude ma, per nostra natura, abbiamo sempre preferito discutere e studiare senza contribuire a quella immane produzione di carta, non sempre elettronica, documenti, dossier, memorandum, che avevano la pretesa di spiegarci dove stava andando a finire questo mondo. Dalle primavere arabe all’Iraq, dalla Siria alla Palestina passando per i perenni conflitti centrafricani è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto, un relativismo esasperato che ha giustificato e resa leggittima qualunque posizione anche la più falsa e ignobile. Proprio come sta accadendo per il conflitto in Ucraina.
Noi ci siamo stati. Abbiamo visto e vissuto seppur per poco tempo la realtà drammatica di una guerra uguale a tante altre e abbiamo potuto misurare una partecipazione popolare senza precedenti nell’europa del secondo dopoguerra. Ma il Donbass non è la Siria, né Gaza e non è neanche la repubblica spagnola del ’36. Il Donbass è il Donbass. Anzi, per meglio dire, il Donbass è Novorossiya. Questo è uno punti fermi insieme a pochi altri: la natura profondamente antifascista del movimento nel Donbass, la novità dell’autogoverno di città con milioni di abitanti ed il tiepido e sempre più imbarazzato appoggio della Russia a queste esperienze. Nell’Ucraina orientale si sta sperimentando qualcosa di nuovo, sotto le ceneri di una storia che sembrava definitivamente consumata riemergono le fiamme di simboli e pratiche dimenticati. Un popolo che si fa protagonista, circondato da forze preponderanti, schiacciato dalla forza della propaganda, oltraggiato e vilipeso anche e soprattutto da chi, in ogni parte del mondo, è sempre pronto a misurare il livello di radicalismo e a giudicare la bontà delle parole d’ordine altrui. Questo scarno resoconto è per quei compagni, per fortuna non pochi, che fin dall’inizio hanno saputo leggere la reale portata della crisi ucraina, le sue possibile ripercussioni e soprattutto la vera natura dei movimenti del Donbass. Non basteranno centomila cornacchie urlanti dai loro siti a scalfire il nostro giudizio su quanto visto e su quanto ci aspettavamo di vedere. Lasciamo a loro il dibattito su mercenari e contractors russi, rossobrunismo, imperialismo russo, oligarchi, gas, zarismo. Per fortuna sono inutili come le loro tesi.
A Stakanov una città a pochi chilometri dal confine russo, una statua di Lenin, come di consueto,si erge nella piazza centrale. Sul basamento grigio di cemento armato moltissimi studenti delle elementari, nelle settimane iniziali della crisi, avevano attaccato i loro disegni colorati. Alcuni di essi sono sopravvissuti alle intemperie e agli sconvolgimenti delle settimane successive. Su uno di questi, un Lenin sorridente e gigantesco, schiaccia un carro armato, su un altro afferra un missile con le mani salvando le case sottostanti ed i loro occupanti, su un altro ancora dei miliziani fanno la guardia alla sua statua circondata di bambini. E sono poco più che bambini anche i tre miliziani che fanno realmente la guardia alla statua del padre della patria. Nel 2014 c’è ancora gente disposta a questo. Ma chi glielo fa fare? La risposta è su uno striscione bianco di una decina di metri proprio alla sinistra di Lenin: “ESLI PADAT’, TO VMESTE”, recita.
Se cadrai, cadremo insieme.
Benvenuti nel Donbass
*Dante Comani e
un gruppo di compagni di ritorno da Donesk
COMUNICATO IN MERITO A PRESIDI SU DONBASS ANCHE A MILANO INDETTI DA FASCISTI SOTTO MENTITE SPOGLIE
Milano, 10 settembre 2014
Cari compagni e Cari amici,
Siamo qui a mettervi in guardia sul raggiro che è costituito dal presidio che qualcuno avrebbe indetto sabato 13 settembre a Milano a favore del Donbass.
Vogliamo sottolineare che gli organizzatori sono individui aderenti a Millennium (miscroscopica organizzazione che tuttavia ha costruito un sito e che si proporrebbe di raccogliere fondi per una causa "umanitaria"). Nel loro comunicato non vi è una parola che si legga come "Pravy sektor" o un termine che dica "Svoboda". Questo perché Millennium non ha tra le sue idee quella dell'antifascismo, al contrario, è noto che “dialogano” con “Stato e Potenza”; quest'ultimo gruppetto ha mutato nome recentemente per divenire nientemeno che “Socialismo Patriottico”. Il costume camaleontico di costoro non riesce però a dissimulare ciò che sono in realtà: fascisti.
Le risorse economiche non sono per loro un problema, compiono viaggi in Ucraina così come in Medio Oriente, fino in Sudamerica; Lo scopo è di accreditarsi per meglio compiere il loro “lavoro”: infiltrarsi per provocare e disarticolare, provando così ad impedire che un sano indirizzo antimperialista ed antifascista possa continuare a diffondersi per infine radicarsi, così come è auspicabile, nel nostro Paese. Hanno tentato di fare un presidio a Napoli, a Milano ci proveranno il 13 Settembre.
Il Comitato Contro la Guerra – Milano mette in guardia da quello che è solo un volgare raggiro.
Diamo dunque indicazione di non partecipare per non divenire come coloro che Antonio Gramsci avrebbe definito “utili idioti”.
E' bene invece fare girare l'indicazione qui presente.
Comitato Contro la Guerra - Milano
Donbass People’s Republics: Ceasefire and class struggle
A ceasefire agreement signed in Minsk, Belarus, on Sept. 5, under the auspices of the Trilateral Contact Group, went into effect at 6 p.m. local time. The parties to the agreement were the governments of Ukraine and the Russian Federation and the Organization of Security and Cooperation in Europe.
The document was also signed by Alexander Zakharchenko and Igor Plotnitskiy, heads of state of the Donetsk and Lugansk People’s Republics, although they were not listed in the preamble among the parties that “reached an understanding with respect to the need to implement the steps.”
The 12-point agreement came two days after Russian President Vladimir Putin issued a seven-point peace plan following consultations with Ukraine’s President Peter Poroshenko on how to end the civil war in the Donbass region, formerly a part of southeastern Ukraine.
Among the main features of the agreement: a bilateral ceasefire in Donbass, to be monitored by the OSCE; an exchange of prisoners; a Law on Special Status “With respect to the temporary status of local self-government in certain areas of the Donetsk and the Lugansk regions” and early elections to be held there; an amnesty “in connection with events that took part in certain areas of the Donetsk and Lugansk regions of Ukraine;” and measures for the economic revival of Donbass. (The complete text in English is available at Slavyangrad.org.)
Some major U.S. and European media dismissed the agreement as a Russian maneuver. Many expressed skepticism that the ceasefire would hold, while others hailed it as a “framework for peace” and the beginning of the end of Ukraine’s civil war.
Yet within 24 hours after the ceasefire took effect, Ukrainian military forces had violated the agreement at least 10 times, according to the People’s Republics. Artillery shelling continued around Donetsk city, Schastye, Pervomayskaya and Kyrovsk.
In Mariupol, a key city of southern Donetsk that people’s militias were poised to liberate before the ceasefire, Ukrainian forces targeted the resistance with missile launchers. Additional Ukrainian troops moved into the city, along with units of the National Guard, composed of hardcore fascists in uniform — the backbone of the U.S.-backed junta in Kiev.
Things remained quiet in the Lugansk region, with many refugees returning home. Barricades were removed from the capital city’s streets, and people claimed their dead. (Journalist Graham Phillips via Twitter)
Meanwhile, there were reports of battered Ukrainian military units being “rotated out” and fresh reinforcements sent into Donbass, along with new and heavier weaponry provided by NATO — from 32 tanks in Debaltseve to several ballistic missile systems in Artemivsk.
For the anti-fascist forces, Donetsk military Commander Igor Bezler warned, “The Kiev junta used the first day of ceasefire to regroup and reorganize forces, and then resumed military operations.”? Deputy Defense Minister Pavel Skakun added: “From past experience we know that Kiev uses every war break for regrouping forces. We would have been very surprised if it had not happened this time.” (InSerbia News, Sept. 7)
A breathing spell for Kiev?
Many in Donbass, from militia commanders to the rank and file, are questioning the rationale for the ceasefire. Others, like “Ghost” Battalion Commander Alexey Mosgovoi, are outraged. Why now, they ask, and why on these terms?
Of course, an end to the Ukrainian junta’s attacks on civilians, even a partial and temporary one, is welcome. On Sept. 8, the U.N. Committee on Human Rights reported that 3,000 people have died in the fighting since April. Many believe the true number of causalities to be 10 times that.
But after two long summer months of bloody siege by the junta’s forces, the people’s militias were ready to take the offensive. They were liberating towns and villages that had been brutally occupied by the Ukrainian army and National Guard.
Kiev’s terrorist offensive was broken and its troops were in disarray, with many defecting or surrendering. Doesn’t the ceasefire agreement amount to little more than giving the junta a desperately needed “breathing spell” to reorganize and rearm?
Further, the agreement as written offers no recognition of the independence or even long-term autonomy for the Donbass region. And it suggests that it will remain within the political framework of Ukraine, despite the May 11 referenda in which voters overwhelmingly chose to establish the People’s Republics of Donetsk and Lugansk, now united in the political entity of Novorossia.
At a time when the imperialist-backed junta was on the defensive, perhaps even near total collapse, why an agreement where most of the concessions seem to be coming from the resistance — and on the most fundamental issues?
Russia’s contradictory role
It is widely understood that the agreement was the Russian government’s initiative. It was timed to coincide with and offer a counterpoint to the belligerent NATO summit meeting in Wales. There, Washington led the charge for the formation of a “rapid strike force” and new sanctions aimed at Russia, new NATO bases in Scandinavia and, of course, more and bigger weapons for the Kiev regime.
Despite the ceasefire agreement, President Obama vowed to push ahead with sanctions against Russia. And NATO is moving forward with provocative war games in Latvia, the Black Sea and even near Lviv in western Ukraine.
Russia is, of course, well within its rights to take any measures needed to defend itself from NATO imperialism and create dissension between Washington and its European Union allies. In any conflict between Moscow and Washington, anti-imperialists stand for the defeat of U.S. imperialism.
The Russian capitalist class aspires to an independent role on the world stage, and that makes it a threat in the eyes of Wall Street. And from Syria to BRICS to Ukraine, Russian President Putin has found himself forced to counter U.S. hegemony.
But for workers and oppressed people who support the revolutionary developments in Donbass and the socialist ambitions of the people there, it is important to remember that Russia is a capitalist state, ruled by its own oligarchy, which Putin represents. Within Russia, Putin has carried out severe repression against the communist left and workers’ movements.
Russia’s goals and aspirations in the struggle against a pro-fascist, pro- NATO Ukraine on its border may overlap with those of the antifascist, working-class-rooted struggle in Donbass, but they are not the same.
Increasingly, Moscow has demonstrated its willingness to reach a compromise that leaves the far-right junta in power and Donbass under the rule of local oligarchs viewed as more friendly to Russia.
Further, it is apparent that the Russian government would not welcome a revolution on its doorstep that is moving in the direction of socialism — especially given the enormous amount of solidarity with Donbass, rooted in Soviet-era internationalism, among the Russian masses.
Donbass leadership changes
In mid-August, during the most difficult days of the siege, the entire top leadership of the Donetsk and Lugansk people’s governments resigned or was replaced, including former Donetsk Defense Minister Igor Strelkov, who commanded enormous respect as the leader of the people’s militias.
During the siege of Slavyangrad last spring — where Strelkov took personal command — he challenged Moscow’s international diplomatic maneuvers by demanding arms and troops to defend the population.
It has also been reported that Strelkov squelched a possible deal on the future status of Donbass between Moscow and Mariupol-based oligarch Rinat Akhmetov when he withdrew the militia from Slavyangrad in early July to bolster the defense of Donetsk city.
Among those who resigned or were replaced were those like Strelkov, who stood for the slogan “To Kiev!” which signaled the overthrow of the junta, and former Lugansk leader Valery Bolotov, who openly favored nationalization of industry.
This should not be read as a condemnation of the new leadership, reportedly local activists of good standing. What role they will ultimately play remains to be seen.
But these changes in leadership were the prelude to Russia’s decision to move ahead with its humanitarian aid convoy in August. The flow of humanitarian aid and Russia’s political support were crucial to the militia’s ability to break the junta’s siege.
Here the contradiction between capitalist Russia and the revolutionary state-in-formation in Donbass and other areas of Southeast Ukraine becomes inescapable.
Novorossia needs Russian solidarity and assistance. But if it is to be anything other than a temporary, unstable buffer zone, then the workers and their militia will have to transcend whatever brakes Putin and the Russian oligarchs attempt to put on their struggle.
They will need to take popular measures to empower the workers and appeal to the Russian and Ukrainian masses, while striving to maintain a strong anti-fascist, anti-imperialist united front.
Colonel Cassad, a communist military analyst based in Crimea, has written an important analysis, “About the ‘Truce.’ ” (English translation at http://cassad-eng.livejournal.com/85661.html)
It reads in part: “Despite the political truce, the war as such continues, because the logic of the conflict demands its resolution by military means. The inertia of war triggered new firefights, shelling, and combat. At the same time the junta openly and publicly demonstrates that it uses this ‘ceasefire’ for accumulating forces and for preparing a new offensive.
“The USA looks at this approvingly, because the military solution of the problem of Novorossia and the final defeat of Russia in the fight for Ukraine [are] among its national interests. It is absolutely irrelevant what will be the state of the junta — while it remains in power, it will be used against the Russian Federation. The suffering of the population, victims among soldiers, destroying the infrastructure — from the point of view of the USA, all of this is just insignificant collateral damage.
“So, from the military point of view, only a complete destruction of the fascist junta is the best guarantee for ending the war.”
Donbass militias evaluate cease-fire
The popular militias united in the Novorossian Armed Forces of the Donetsk and Lugansk People’s Republics are composed of workers of many nationalities living throughout the Donbass mining region, formerly part of southeastern Ukraine. Both rank and file and leaders are speaking out on the future direction of their struggle against fascism and imperialism. Here is some of what they say:
Alexey Mozgovoi, commander of the “Ghost” Brigade in Lugansk People’s Republic:
In my opinion, right now, we are witnessing another attempt, by means of negotiations, to stop the resistance and to prevent the destruction of the oligarchic power in Ukraine. …
The transfer of power from the oligarchy to the people — right now this is the so-called international community’s nightmare. It became clear to everyone long ago that the world is ruled by the likes of [Kiev President Petro Poroshenko], Chubais [Anatoly Chubais, politician responsible for Russian privatization in the 1990s] and the Rockefellers. For these, removal from power is akin to death. …
Only Kiev’s capitulation can resolve the current situation. Only a separation of business interests from government can offer the chance to build a state with a human face. And only the prosecution of those who hold power, of the world “elite,” can enable the people to regain their dignity. Otherwise it was all for naught — all the slogans and all the victims. …
We did not take up arms just to stop halfway.
Translated by Gleb Bazov
“Artem,
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