Oggetto: Il lavoro delle guardie ucraine
Data: 29 marzo 2014 01:23:54 CET
Nei giorni di ricorrenza delle Fosse Ardeatine e di altre stragi naziste, ho trovato due pagine sulle atrocità commesse nel Durchgangslager di Bolzano (campo di transito). In esse troviamo riferimenti alla città di Verona, nel recente processo della Procura scaligera a Misha Seifert (1924-2010) detto "il boia di Bolzano" e in alcuni protagonisti - due antifascisti veronesi come Berto Perotti e Egidio Meneghetti; quest'ultimo ha scritto sui fatti una poesia in dialetto veronese riportata nel blog del giornalista campano Rotondi.
Singolare che le "guardie ukraine" in questione siano i personaggi che alcuni partiti (Svoboda, Pravi Sektor) finiti al governo dall'attuale rivoluzione ucraina a Kiev sostenuta da Obama (come cambia il mondo!) intendono riabilitare e celebrare…
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l'Italia ha ottenuto l'estradizione dal Canada ponendolo a disposizione della Procura militare di Verona.
Condannato all'ergastolo in via definitiva, Miša, nato in Ucraina, risiedeva da oltre 50 anni a Vancouver in Canada, dove conduceva una vita tranquilla, frequentando la locale chiesa il cui parroco decise di stanziare dei fondi per la difesa del parrocchiano nazista.
"Anche Cristo fu condannato da un tribunale. Vuol dire forse che era colpevole? Sono passati 55 anni, le accuse contro Seifert sono incredibili"
Così ha cercato di giustificarsi l'ineffabile prete "benefattore" di Vancouver.
Misha compì i suoi brutali eccidi nei lager assieme al connazionale ucraino Otto Sein, tuttora latitante, così come liberi e impuniti rimangono tanti nazisti, quali gli autori della strage di Sant'Anna di Stazzema, condannati all'ergastolo in Italia e mai estradati dalla Germania.
Egidio Meneghetti, che incontrò Misha e Otto durante la sua detenzione a Bolzano
http://drna.di.univr.it/index.php/chi-siamo/egidio-meneghetti
dedicò loro una poesia in dialetto veneto (veronese), "Bortolo e l'ebreeta", che rievoca il martirio di Bartolo Pezzutti, che uccisero squarciandogli il ventre, e quello di una giovane ebrea, violentata e poi inchiodata in una cassa.
i du Ucraini,
Miša e Oto,
che iè del'Esse-Esse.
comanda i Ucraini Miša e Oto:
el tormento de tuti ghe va drio
e quando i ciama tuti se fa avanti
e quando i parla scolta tuti quanti
e quando i tase tuti quanti speta
e le done spaise le le fissa
come pàssare fa co la siveta. (...)
co' na bocheta rossa da butina:
l'avea tentà de scapàr via dal campo
e l'é finido nela cela nera.
Miša e Oto,
tri giorni l'à sigà
"No voi morìr",
tri giorni l'à ciamado
la so mama.
s'à sentido là drento un gran rovejo,
come de gente
che se branca in furia
e un sigo stofegado in rantolar.
che 'n ansemàr
pesante e rauco e ingordo
come quando a le
bestie del seraglio
i ghe dà carne cruda da màgnar.
lungo tirado
duro come 'l giasso:
ocio sbarado
nela facia nera,
nuda la pansa, co la carne in basso
ingrumada de sangue e rosegà.
Imobili. De piera.
E nela cela nera
tase el pianto de Bortolo Pissuti. (...)
Stanote s'è smorsada l'ebreeta
come 'na candeleta
de seriola
consumà.
ià butà
nela cassa
du grandi oci in sogno
e quatro pori osseti
sconti da pele fiapa.
E adesso nela cassa
ciodi i pianta
a colpi de martèl
e de bastiema
(drento ale cele tuti i cori trema
e i ciodi va a piantarse nel çervèl).
E a caval dela cassa
adesso i canta
esequie e litanie:
ora pro nopis,
zum Teufel Schweinerei
ora pro nopis "
Stanote s'è smorsada l'ebreeta
come 'na candeleta
de seriola
consumà.
Quel giorno che l'è entrada nela cela
l'era morbida, bela
e per l'amor
maura,
ma nela facia, piena
de paura,
sbate du oci carghi de'n dolór
che'l se sprofonda in secoli de pena.
sora l' tavolasso,
i l'à lassada sola,
qualche giorno,
fin tanto che 'na sera
Miša e Oto
i s'à inciavado nela cela nera
e i gh'è restà per una note intiera.
straco un lamento de butìn che more.
da quela note no l'à più magnà.
L'è là, cuciada in tera, muta, chieta,
nel scuro dela cela
che la speta
de morir.
Sempre più magra la deventa e picola,
sempre più larghi ghe deventa i oci.
TRADUZ. E sempre notte e giorno i due Ucraini Misha e Otto, che sono delle SS. Nel blocco delle celle come Dio comandano gli Ucraini Misha e Otto: il tormento di tutti li seguono, e quando chiamano tutti si fanno avanti, e quando parlano tutti ascoltano, e quando tacciono tutti aspettano, e le donne disorientate li fissano come passeri fanno con la civetta.
Un friulano magro biondo con una bocchetta rossa da bambina aveva tentato di fuggire dal campo ed è finito nella cella nera. Tre giorni ha implorato Misha e Otto, tre giorni ha pianto “non voglio morire” tre giorni ha chiamato la sua mamma. E nella notte prima della Pasqua, si è sentito là dentro un gran trambusto, come di gente che insegue in furia e un urlo soffocato in rantolo.
Ma poi non si sente che un ansimo pesante e rauco e ingordo, come quando alle bestie del serraglio danno carne cruda da mangiare. E’ Pasqua. Di mattina. E lui in terra lungo tirato, duro come il ghiaccio: occhio sbarrato nella faccia nera, nuda la pancia con la carne in basso raggrumata di sangue e consunta.Nella pace di Pasqua tutti tacciono. Immobili. Di pietra. E nella cella nera tace il pianto di Bortolo Pissuti.
Stanotte si è spenta l’”ebreetta” come una candelina di cera consumata. Stanotte Misha e Otto han buttato nella cassa due grandi occhi in sogno e quattro poveri ossicini nascosti dalla pelle rattrapita. E adesso nella cassa piantano chiodi a colpi di martello e di bestemmie (dentro alle celle i cuori tremano e i chiodi vanno a piantarsi nel cervello). E a cavallo della cassa adesso cantano esequie e litanie: “sacro porco giudeo prega per noi, al diavolo porcheria prega per noi…”
Quel giorno che lei è entrata nella cella era morbida e bella, e matura per l’amore, ma nel viso piena di paura, sbatte i due occhi carichi di un dolore che si sprofnda in secoli di pena. L’hanno buttata sopra a un tavolaccio, l’hanno lasciata sola qualche giorno, finché una sera Misha e Otto si sono chiusi nella cella nera e rimasti per una intera notte. E dalla cella esce per ore e ore stanco un lamento di un bimbo che muore. Da quella notte non ha più parlato né più mangiato. E’ la risucchiata in terra, muta e quieta, nell’oscurità della cella a aspettare di morire.
Diventa sempre più magra e piccola, sempre più larghi gli occhi.
Scampoli di storia: i “boia” ucraini della Risiera di San Sabba (1943-1945)
Inseriti organicamente nell’ “Einsatzkommando Reinhardt” operarono criminali di guerra alcuni dei quali non sono mai stati non dico condannati, ma nemmeno inquisiti. Un interessante articolo de “La Nuova Alabarda” ne identifica alcuni. “Dimenticati” o in parte protetti dalle autorità italiane, almeno nove importanti criminali di guerra hanno vissuto o forse ancora vivono in Italia. Un particolare agghiacciante: per rifarsi una vita, spesso protetti solo da una nuova identità , molti hanno scelto proprio le città dove nel 1944 e nel 1945 avevano commesso i loro crimini. Ecco le loro storie. Ecco nove misteri di cui anche l’ Italia dovrebbe rispondere. Raja, l’ imprenditore. Fino al 1963 abitava a Milano in corso Concordia 8. L’ ufficio era in via Bianca Maria 31. Aveva una bella villa a Melide, dintorni di Lugano. La sua coscienza, invece, aveva altri indirizzi: in Cecoslovacchia e in Olanda le deportazioni di migliaia di ebrei (compresa Anna Frank), poi il ghetto di Poznan in Polonia, poi Auschwitz, poi il lager di Nisko in Galizia dove era il comandante, infine la Risiera di San Sabba, dove nel 1944 venne chiamato come “specialista” in massacri. L’ ingegner Erico Raja, austriaco, titolare della società di import export “Enneri”, è stato per vent’ anni un facoltoso imprenditore di Milano, molto introdotto sui mercati dell’ Est. Il suo vero nome era Erich Rajakowitsch. Era stato un capitano delle SS, uno dei più stretti collaboratori di Eichmann. Raja scomparve da Milano il 6 aprile 1963. Poi la solita sequenza: arrestato in Jugoslavia, inspiegabilmente rilasciato. E morto a Graz alcuni anni fa da uomo libero. “Ha continuato a visitare l’ Italia per turismo e per affari. Ne aveva mantenuti molti a Trieste”, dicono due fonti diverse. I quattro della Risiera. Con quei nomi, si facevano passare per emigranti della vicina Jugoslavia. Josip Susanski, Jan Griska, Alexander Mihalic e Misha Komalsky, invece, erano ucraini. Di professione erano calzolaio, bracciante, operaio e impiegato in un salumificio. Ma a Trieste erano arrivati con una specializzazione ben diversa: “laureati” al lager di Treblinka insieme a John Demjanjuk, facevano parte di uno speciale squadrone di “macellai” che le SS del famigerato squadrone “Einsatzkommando Reinhard” nel 1944 trasferirono da Treblinka alla Risiera di San Sabba per sterminare più velocemente quattromila mila tra ebrei, partigiani e handicappati. “Hanno sempre vissuto tranquilli a Trieste, alcuni li ho interrogati come testimoni al processo della Risiera negli anni Settanta”, racconta un magistrato. Tranquilli e per nulla pentiti. Durante le prime udienze, Komalsky venne addirittura sorpreso a tracciare svastiche in città . Conseguenze ? Nessuna. I quattro non vennero nemmeno imputati. “Qualcuno in alto li proteggeva”, dice il magistrato. Poco dopo un paio scomparvero. Destinazione: USA e Australia. Mihalic, invece, è morto a Trieste nel 1985. Anche lui da uomo libero. Ma gli ucraini della Risiera erano decine, qualcuno è forse ancora vivo. Naturalmente a Trieste. Geng, il più spudorato, era arrivato a Trieste nel 1943 con lo stato maggiore delle SS. Per due anni, in Veneto e in Lombardia, Conrad Geng aveva lavorato per il T 4, uno speciale nucleo di SS incaricato dell’ “Operazione eutanasia” (eliminazione di deformati, handicappati e malati).
Ma nella motivazione si sottolinea che i guardiani del lager come Demanjuk, i cosiddetti "trawniki" partecipavano a tutte le fasi all'interno dei campi, «giocando un ruolo decisivo nello sterminio». È probabilmente lo stesso ruolo che Demjanjuk esercitò in Risiera dove del resto è stato anche riconosciuto da un calzolaio che aveva lavorato a San Sabba. Ma questa testimonianza era stata contraddetta da altre, in particolare da quella della fiumana Maria Dudek che aveva detto di aver conosciuto in Risiera Ivan il boia, il cui cognome però era Marchenko. É l'ambiguità sfruttata dai parenti di Demjanjuk per discolpare il congiunto. Il genero Ed Nishnic disse di aver scovato documenti del Kgb sovietico in base ai quali Ivan il Terribile era Marchenko che a Trieste sarebbe alla fine riuscito a saltare dall'altra parte passando con i partigiani di Tito.
Le sue tracce si perdono poco dopo in un bordello di Fiume. Eppure Demjanjuk non solo arrivò a Trieste, ma qui probabilmente rimase fino al 1952 quando decise di dileguarsi andando a fare l'operaio a Cleveland. Con le Ss dell'Einsatzkommando Reinhard si era trasferito da Treblinka a Trieste uno squadrone di "macellai" ucraini. Di essi Josip Susanski, Jan Griska e Misha Komalski vissero poi per anni tranquilli e indisturbati in città. Alexander Mihalic è morto solo qualche anno fa in un appartamento del rione di Rozzol sebbene Simon Wiesenthal in persona lo avesse indicato come uno dei boia della Risiera.
Forse le responsabilità di tutti loro non erano inferiori a quelle di Demjanjuk che già nel 1988 era stato condannato a morte in Israele, ma poi assolto in appello. Nel 2009 però gli Usa hanno concesso l'estradizione per il processo in Germania. Ieri l'ucraino è stato condannato, ma causa l'età avanzata, 91 anni, è stato subito liberato.