Recenti analisi di Manlio Dinucci

(in ordine cronologico inverso)

1) Il vero impatto del «Pentagono italiano» (31.10.2017)
2) Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari (9.7.2017)
3) Strategia NATO della tensione (27.6.2017)


Altri flashbacks:

BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI 

IL RIORIENTAMENTO STRATEGICO DELLA NATO DOPO LA GUERRA FREDDA

Sul libro di Manlio Dinucci: 

L’ARTE DELLA GUERRA. ANALISI DELLA STRATEGIA USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli. Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8419

Intervista a Manlio Dinucci sul suo libro \"L\'arte della guerra. Annali della strategia Usa - Nato (1990 - 2016)\" (Zambon Editore)
INTERVISTA | di Giuseppe Di Leo, 7/6/2016

Sull\'Ucraina:

È NATO il neonazismo in Europa / Democrazia NATO in Ucraina... ed altri link (2014-2017)

Intervista a Manlio Dinucci – La NATO in silenzio incamera Kiev (PandoraTV, 17/09/2015)
L’Ucraina parteciperà come partner alla Trident Juncture 2015, la più grande esercitazione militare della Nato dalla fine della guerra fredda, che si terrà dal 3 ottobre al 6 novembre 2015 in Italia, Spagna e Portogallo. Ne parliamo con Manlio Dinucci, geografo, analista geopolitico. Il suo ultimo libro è L’Arte della Guerra, Annali della Strategia USA-NATO (1990-2015) appena pubblicato da Zambon editore...
http://www.pandoratv.it/?p=4037
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=4037

Stoltenberg in visita a Kiev: “L’Ucraina può contare sulla Nato” (La Notizia di Manlio Dinucci - PandoraTV 23/9/2015)
“Storica” visita del segretario generale della Nato in Ucraina. Stoltenberg ha partecipato (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firmato un accordo per l’apertura di un’ambasciata della NATO a Kiev e tenuto due conferenze stampa col presidente Petro Poroshenko...
http://www.pandoratv.it/?p=4109
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?t=125&v=Edl1IfHiqHg


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra : Il vero impatto del «Pentagono italiano» (PT/FR/ENG/SP) (PandoraTV, 31 ott 2017)


Il vero impatto del «Pentagono italiano»

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci


Gli abitanti del quartiere di Centocelle, a Roma, protestano a ragione per l’impatto del costruendo Pentagono italiano sul parco archeologico e la sua area verde (il manifesto, 29 ottobre).

C’è però un altro impatto, ben più grave, che passa sotto silenzio: quello sulla Costituzione italiana.

Come abbiamo già documentato sul manifesto (7 marzo), il progetto di riunire i vertici di tutte le forze armate in un’unica struttura, copia in miniatura del Pentagono statunitense, è parte organica della «revisione del modello operativo delle Forze armate», istituzionalizzata dal «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» a firma della ministra Pinotti.

Esso sovverte le basi costituzionali della Repubblica italiana, riconfigurandola quale potenza che interviene militarmente nelle aree prospicienti il Mediterraneo – Nordafrica, Medioriente, Balcani – a sostegno dei propri «interessi vitali» economici e strategici, e ovunque nel mondo – dal Baltico all’Afghanistan – siano in gioco gli interessi dell’Occidente rappresentati dalla Nato sotto comando Usa.

Funzionale a tutto questo è la Legge quadro del 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero (attualmente 30 in 20 paesi), finanziandole con un fondo del Ministero dell’economia e delle finanze. Cresce così la spesa militare reale che, con queste e altre voci aggiuntive al bilancio della Difesa, è salita a una media di circa 70 milioni di euro al giorno, che dovranno arrivare a circa 100 milioni al giorno come richiesto dalla Nato.

La riconfigurazione delle Forze armate in funzione offensiva richiede sempre più costosi armamenti di nuova generazione. Ultimo acquisto il missile statunitense Agm-88E Aargm, versione ammodernata (costo 18,2 milioni di dollari per 25 missili) rispetto a precedenti modelli acquistati dall’Italia: è un missile a medio raggio lanciato dai cacciabombardieri per distruggere i radar all’inizio dell’offensiva, accecando così le difese del paese sotto attacco.

L’industria produttrice, la Orbital Atk, precisa che «il nuovo missile è compatibile anche con l‘F-35», il caccia della statunitense Lockheed Martin alla cui produzione l’Italia partecipa con l’impianto Faco di Cameri gestito da Leonardo (già Finmeccanica), impegnandosi ad acquistarne 90. Il primo F-35 è arrivato nella base di Amendola il 12 dicembre 2016, facendo dell’Italia il primo paese a ricevere, dopo gli Usa, il nuovo caccia di quinta generazione che sarà armato anche della nuova bomba nucleare B61-12.

L’Italia, però, non solo acquista ma produce armamenti. L’industria militare viene definita nel Libro Bianco «pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale in settori ad alta remunerazione».

I risultati non mancano: Leonardo è salita al nono posto mondiale nella classifica delle 100 maggiori industrie belliche del mondo, con vendite annue di armamenti per circa 9 miliardi di dollari nel 2016. Agli inizi di ottobre

Leonardo ha annunciato l’apertura di un altro impianto in Australia, dove produce armamenti e sistemi di comunicazione per la marina militare australiana. In compenso, per spostare sempre più la produzione sul settore militare, che fornisce oggi a Leonardo l’84% del fatturato, sono state vendute alla giapponese Hitachi due aziende Finmeccanica, Ansaldo Sts e Ansaldo Breda, leader mondiali nella produzione ferroviaria.

Su questo «pilastro del Sistema Paese» si edifica, con fondi stornati dal budget della Legge di stabilità, il Pentagono italiano, nuova sede del Ministero della Guerra.


(il manifesto, 31 ottobre 2017)


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra : Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari (PandoraTV, 12 lug 2017)



Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

  
Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, adottato a grande maggioranza dalle Nazioni Unite il 7 luglio, costituisce una pietra miliare nella presa di coscienza che una guerra nucleare avrebbe conseguenze catastrofiche per l’intera umanità. 

In base a tale consapevolezza, i 122 stati che l’hanno votato si impegnano a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente. Questo è il fondamentale punto di forza del Trattato che mira a creare «uno strumento giuridicamente vincolante per la proibizione delle armi nucleari, che porti verso la loro totale eliminazione».

Ferma restando la grande validità del Trattato – che entrerà in vigore quando, a partire dal 20 settembre, sarà stato firmato e ratificato da 50 stati – si deve prendere atto dei suoi limiti. Il Trattato, giuridicamente vincolante solo per gli stati che vi aderiscono, non proibisce loro di far parte di alleanze militari con stati in possesso di armi nucleari. Inoltre, ciascuno degli stati aderenti «ha il diritto di ritirarsi dal Trattato se decide che straordinari eventi relativi alla materia del Trattato abbiano messo in pericolo i supremi interessi del proprio paese». Formula vaga che permette in qualsiasi momento a ciascuno stato aderente di stracciare l’accordo, dotandosi di armi nucleari.

Il limite maggiore consiste nel fatto che non aderisce al Trattato nessuno degli stati in possesso di armi nucleari: gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato, Francia e Gran Bretagna, che possiedono complessivamente circa 8000 testate nucleari; la Russia che ne possiede altrettante; Cina, Israele, India, Pakistan e Nord Corea, con arsenali minori ma non per questo trascurabili. 

Non aderiscono al Trattato neppure gli altri membri della Nato, in particolare Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia che ospitano bombe nucleari statunitensi. L’Olanda, dopo aver partecipato ai negoziati, ha espresso parere contrario al momento del voto. Non aderiscono al Trattato complessivamente 73 stati membri delle Nazioni Unite, tra cui emergono i principali partner Usa/Nato: Ucraina, Giappone e Australia.

Il Trattato non è dunque in grado, allo stato attuale, di rallentare la corsa agli armamenti nucleari, che diviene sempre più pericolosa soprattutto sotto l’aspetto qualitativo.  In testa sono gli Stati uniti che hanno avviato, con rivoluzionarie tecnologie, la modernizzazione delle loro forze nucleari: come documenta Hans Kristensen della Federazione degli scienziati americani, essa «triplica la potenza distruttiva degli esistenti missili balistici Usa», come se si stesse pianificando di avere «la capacità di combattere e vincere una guerra nucleare disarmando i nemici con un first strike di sorpresa». Capacità che comprende anche lo «scudo anti-missili» per neutralizzare la rappresaglia nemica, tipo quello schierato dagli Usa in Europa contro la Russia e in Corea del Sud contro la Cina. 

La Russia e la Cina sono anch’esse impegnete nella modernizzazione dei propri arsenali nucleari. Nel 2018 la Russia schiererà un nuovo missile balistico intercontinentale, 
il Sarmat, con raggio fino a 18000 km, capace di trasportare 10-15 testate nucleari che, rientrando nell’atmosfera a velocità ipersonica (oltre 10 volte quella del suono), manovrano per sfuggire ai missili intercettori forando lo «scudo».

Tra i paesi che non aderiscono al Trattato, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. La ragione è chiara: aderendo al Trattato, l’Italia dovrebbe disfarsi delle bombe nucleari Usa schierate sul suo territorio. Il governo Gentiloni, definendo il Trattato «un elemento fortemente divisivo», dice però di essere impegnato per la «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione (Tnp), pilastro del disarmo». 

Trattato in realtà violato dall’Italia, che l’ha ratificato nel 1975, poiché impegna gli Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». L’Italia ha invece messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di almeno 50 bombe nucleari B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre, al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. Dal 2020  sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma Usa da first strike nucleare. In tal modo l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.

Perché il Trattato adottato dalle Nazioni Unite (ma ignorato dall’Italia) non resti sulla carta, si deve pretendere che l’Italia osservi il Tnp, definito dal governo «pilastro del disarmo», ossia pretendere la completa denuclearizzazione del nostro territorio nazionale.
 
(il manifesto, 9 luglio 2017)


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VERSIONE VIDEO: L\'arte della guerra - Strategia NATO della tensione (PandoraTV, 27 giu 2017)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=EA6Z-m3hciQ



Strategia NATO della tensione 

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

  

Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla Difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche. 

Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi SU-27 russo. Una provocazione programmata, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia. 

Dall’1 al 16 giugno si è svolta nel Mar Baltico, a ridosso del territorio russo ma con la motivazione ufficiale di difendere la regione dalla «minaccia russa», l’esercitazione Nato Baltops con la partecipazione di oltre 50 navi e 50 aerei da guerra di Stati uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e altri paesi tra cui Svezia e Finlandia, non membri ma partner della Alleanza. 

Contemporaneamente, dal 12 al 23 giugno, si è svolta in Lituania l’esercitazione Iron Wolf che ha visti impegnati, per la prima volta insieme, due gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata»: quello in Lituania sotto comando tedesco, comprendente truppe belghe, olandesi e norvegesi e, dal 2018, anche francesi, croate e ceche; quello in Polonia sotto comando Usa, comprendente truppe britanniche  e rumene. 

Carrarmati Abrams della 3a Brigata corazzata Usa, trasferita in Polonia lo scorso gennaio, sono entrati in Lituania attraverso il Suwalki Gap, un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri tra Kaliningrad e Bielorussia, unendosi ai carrarmati Leopard del battaglione tedesco 122 di fanteria meccanizzata. Il Suwalki Gap, avverte la Nato riesumando l’armamentario propagandistico della vecchia guerra fredda, «sarebbe un varco perfetto attraverso cui i carrarmati russi potrebbero invadere l’Europa». 

In piena attività anche gli altri due gruppi di battaglia Nato: quello in Lettonia sotto comando canadese, comprendente truppe italiane, spagnole, polacche, slovene e albanesi; quello in Estonia sotto comando britannico, comprendente truppe francesi e dal 2018 anche danesi. 

«Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa», assicura il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa. 

Ad essere mobilitati non sono solo i gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata». Dal 12 al 29 giugno si svolge al Centro Nato di addestramento delle forze congiunte, in Polonia, l’esercitazione Coalition Warrior il cui scopo è sperimentare le più avanzate tecnologie per dare alla Nato la massima prontezza e interoperabilità, in particolare nel confronto con la Russia. Vi partecipano oltre 1000 scienziati e ingegneri di 26 paesi, tra cui quelli del Centro Nato per la ricerca marittima e la sperimentazione con sede a La Spezia. 

Mosca, ovviamente, non sta con le mani in mano. Dopo che il presidente Trump sarà stato in visita in Polonia il 6 luglio,  la Russia terrà nel Mar Baltico una grande esercitazione navale congiunta con la Cina. Chissà se a Washington conoscono l’antico proverbio «Chi semina vento, raccoglie tempesta».

(ilmanifesto, 27 giugno 2017)  




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