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Mondiali 2018 Russia, Croazia: Vida inneggia all'Ucraina, rischia la squalifica
Un video postato su Facebook dopo la vittoria ai rigori contro la Russia, potrebbe costare caro al difensore croato Domagoj Vida. Il giocatore, autore anche del gol del 2-1 nei supplementari, ha esultato sui social urlando la frase "Slava Ukraini!", letteralmente "gloria all’Ucraina", in quello che a qualcuno è sembrato essere uno slogan anti-russo. Per questo motivo la Fifa ha aperto un’inchiesta a suo carico. Nel filmato, Vida festeggia il passaggio alle semifinali insieme a Ognjen Vukojevic, ex nazionale e ora membro dello staff della squadra allenata da Zlatko Dalic. In passato hanno giocato entrambi nella Dinamo Kyev. Dopo aver esclamato “gloria all’Ucraina”, il compagno accanto aggiunge: “Questa vittoria è per la Dynamo e per l'Ucraina...vai Croazia!". Quanto fatto da Vida non è piaciuto ad alcuni media russi e a molti utenti dei social, che hanno segnalato l'accaduto. Da qui l'apertura dell'inchiesta, confermata all’Ansa da fonti Fifa. Vida rischia due giornate di squalifica e una multa di cinquemila franchi svizzeri, parti a circa 4.300 euro. Vida tuttavia, citato dai media russi, ha tenuto a sdrammatizzare e a depoliticizzare il tutto, parlando di parole frutto di sensazioni molto personali. "Non c'è politica nel calcio. Sono parole scherzose per i miei amici della Dinamo Kiev. Voglio bene ai russi e voglio bene agli ucraini", ha detto il difensore croato.
Il precedente di Xhaka e Shaqiri
Screzi a sfondo politico si erano avuti anche in occasione della partita Serbia-Svizzera nella fase a gironi (Gruppo E), quando due giocatori svizzeri di origini kosovaro-albanesi, Xhaka e Shaqiri, esultando per i gol contro i serbi, avevano mostrato con braccia e mani il simbolo della bandiera albanese con l'aquila bicipite. Un gesto interpretato come una provocazione dai serbi, che avevano protestato. La Serbia non riconosce l'indipendenza del Kosovo, che continua a considerare una sua provincia a maggioranza albanese, e denuncia un piano nazionalista che mirerebbe a creare una 'Grande Albania, uno stato unico che raggruppi tutte le popolazioni albanesi presenti nei vari Paesi dei Balcani.
E anche taluni commentatori televisivi non hanno mancato di ‘ringraziare Dio’ per i successi del calcio nazionale e per la marcia trionfale della nazionale di Modric, Mandzukic e compagni. ‘I croati non si arrendono!’, ‘E ora a Mosca per la (semi)finale’, ‘Cadranno anche gli inglesi, saremo campioni’ titolano oggi i giornali, prospettando e sognando non solo la vittoria contro l’Inghilterra mercoledì prossimo, ma anche un trionfo finale della squadra di Dalic ai mondiali di Russia.
La presidente, che ieri sera allo stadio accanto al compassato premier russo Dmitri Medvedev ha seguito la partita indossando maglietta e pantaloni da tuta nei colori della Croazia, si è messa a ballare in tribuna al momento della vittoria, per poi raggiungere i giocatori nello spogliatoio e, abbracciandoli, ha cantato canti patriottici.
Tante anche le immagini di Luka Modric che, prima di lasciare il campo al termine dell’incontro vittorioso con i russi, ha abbracciato i suoi due figli facendo loro calciare dei tiri in porta.
Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l’Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d’inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato “Slava Ukraine” (Gloria all’Ucraina)”
di Marco Beltrami, 9 LUGLIO 2018
Sospiro di sollievo per la Croazia. Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l'Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d'inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato "Slava Ukraine" (Gloria all'Ucraina)". Un attacco ai padroni di casa con un possibile riferimento politico che non è sfuggito alla Fifa che ha aperto una indagine. Nessuna squalifica per Vida, ma solo quella che può essere definita come "un'ammonizione ufficiale".
(...) La Fifa ha graziato Vida, nessuna squalifica per Croazia-Inghilterra
Il massimo organo calcistico internazionale dopo aver visionato il tutto ha deciso di non punire con la squalifica Vida che dunque sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 Croazia-Inghilterra. La Fifa infatti ha optato per il classico "warning", ovvero un'ammonizione ufficiale, accettando dunque quelle che sono state le giustificazioni e spiegazioni di Vida e della Federcalcio croata.
La Croazia e la giustificazione di Vida che ha convinto la Fifa
La Croazia infatti ha dichiarato in maniera ufficiale che le parole pronunciate da Domagoj Vida al termine della partita contro la Russia si riferivano al sostegno dimostratogli dai tifosi ucraini durante i Mondiali. Vida infatti ha vestito la maglia della Dinamo Kiev dal 2013 al 2018. Nonostante tutto però anche la Federcalcio croata ha rivolto un invito a tutti i propri tesserati in una nota ufficiale: "la federcalcio croata invita i giocatori della nazionale ad astenersi da qualsiasi dichiarazione che può essere interpretabile come politica"
Serbia, il ct Krstajic: "La Var come la Corte dell'Aja". Polemiche anche con i politici kosovari
LA POLEMICA CON I POLITICI KOSOVARI - Nel frattempo prosegue la polemica politica tra Belgrado e Pristina dopo la partita di ieri sera vinta 2-1 dagli elvetici con le reti messe a segno da Xhaka e Shaqiri, cittadini svizzeri entrambi di origini kosovare e etnia albanese. I media serbi riferiscono oggi di interventi 'provocatori' da parte di esponenti politici kosovari, che prima, durante e dopo la partita di ieri sera a Kaliningrad, sono intervenuti sulle reti sociali con toni nazionalistici e antiserbi, a sostegno dell'irredentismo kosovato-albanese.
Il ministro degli esteri del Kosovo Behgjet Pacolli, alla vigilia dell'incontro in questione, ha scritto su Twitter di sperare che gli 'albanesi kosovari' sconfiggeranno la Serbia, nonostante l'avversario dei serbi sarebbe stata la Svizzera. "Riusciranno i nostri ragazzi a battere la Serbia stasera? Penso di si", ha scritto Pacolli. Da parte sua Flora Citaku, ambasciatore del Kosovo negli Stati Uniti, ha affermato in un tweet dopo la partita che i gol degli albanesi Hhaka e Shaqiri sono qualcosa di storico per il Kosovo: "Due albanesi del Kosovo hanno determinato oggi la vittoria della Svizzera sulla Serbia - ha scritto Citaku - Le loro famiglie ottennero asilo in Svizzera durante la guerra in Kosovo (di fine anni novanta, ndr). Oggi hanno segnato e hanno vinto. Lo sport a volte è qualcosa di più dello sport. Oggi avete portato sulle spalle la nostra storia". "Vi voglio bene", ha twittato Citaku.
I due calciatori di origini kosovare, accusati da Belgrado di aver esultato dopo i gol con il gesto a indicare l'aquila della 'Grande Albania' (progetto nazionalista denunciato dalla Serbia e che mira a riunire in un unico stato tutti gli albanesi residenti nei vari paesi balcanici, ndr), hanno sostenuto di aver fatto tale gesto per la grande emozione e col pensiero diretto alle loro famiglie e al loro popolo, e non contro la Serbia. Critiche al loro comportamento sono giunte comunque dalla stampa svizzera, con il quotidiano Blik che ha parlato di un modo di festeggiare "inutile e stupido".
Na rubu izveštavanja o Svetskom prvenstvu u fudbalu u Nemačkoj se svo vreme postavljalo pitanje: da li će Feliks Brih suditi finale? Te nade su ponešto podgrejane posle ispadanja Nemačke, ali su se ubrzo raspršile – Brih i njegovi asistenti posle samo jedne utakmice idu kući. Fifa je to i zvanično potvrdila.
Samo jedan nastup na Mundijalu je jedan nemački sudija poslednji put imao pre 36 godina. „Tok ovog SP je naravno teško razočaranje za mene i moj tim“, rekao je Brih. „Ali život ide dalje i doći ćemo ponovo.“
Il calcio, lo sappiamo, per molti di noi è tutta la vita. Per un manipolo di calciatori ucraini, nell’agosto del 1942, però, il pallone fu davvero questione di vita o di morte. Una di quelle storie in cui sai già di affrontare un nemico che ti ha già sconfitto, una di quelle storie in cui sai già che dovrai piegare la testa e restare al tuo posto.
Ma, quando vedi quel pallone rotolare, e lo vedi prendere la forma del riscatto e della vendetta che probabilmente non ti potrai mai prendere, non riesci a fermarti, e allora giochi come sai fare, anche se sai che probabilmente ti costerà la vita. Così andò quella che è passata alla storia come “La partita della morte“, quella che si giocò a Kiev nell’agosto del 1942 e che, ancora oggi, fatica a svelare il suo alone di mistero e leggenda.
Secondo alcuni non è mai esistita, secondo altri le cose andarono diversamente. Secondo noi, c’è sempre un fondo di verità nelle storie che arrivano fino ai giorni nostri, e a noi piace raccontarla così come l’abbiamo conosciuta. Ma andiamo con ordine, perchè, fidatevi, è una di quelle storie che tolgono il fiato.
Siamo, come detto, nell’agosto del 1942, in Ucraina. Siamo in piena seconda guerra mondiale, e le truppe naziste sono nel loro periodo di massimo successo, sembrano avanzare verso la conquista dell’intera Unione Sovietica che, invece, arranca e soffre, cercando di non piegarsi all’invasore teutonico. Che, diciamocelo, non deve essere proprio bella la vita quando ci sono le truppe dell’esercito tedesco che bussano ai confini di casa tua.
Un gruppo di calciatori ed ex calciatori ucraini, principalmente militanti o che avevano militato (non è che si giocasse poi molto da quando c’era la guerra) tra la Lokomotiv e la Dinamo di Kiev sono lavorano in un panificio, non per piacere ma in condizione di prigionieri di guerra. Di tanto in tanto, unico sollievo in quella vita quantomeno triste, il pallone: giocano, alle volte, insieme, in una squadretta che prende il nome di Start FC.
I tedeschi, che anche loro si dilettavano a giocare al calcio, li sfidano una prima volta nel mese di luglio, con una formazione abbastanza raffazzonata, composta da soldati della Luftwaffe, l’aviazione, ma con la quale credevano avrebbero vinto abbastanza facilmente. D’altronde, chi andrebbe mai a pensare che dei prigionieri di guerra avrebbero avuto l’ardire di fare un torto ai propri aguzzini?
Quando però le squadre scendono in campo, se così si può chiamare quel che rimane del terreno di gioco in una Kiev disastrata dall’occupazione nazista, le cose non appaiono così semplici. Sugli spalti si sono radunati un gran numero di ucraini, e quelli che a pallone ci sanno giocare per davvero non se la sentono di fargli un torto. In quelle condizioni, si guardano negli occhi e sanno che oggi sono lì per dare una speranza a quella gente, per fargli vedere che possono, insieme, rialzare la testa. Risultato: cinque palloni da raccogliere in fondo al sacco e sonora umiliazione per i tedeschi. 5-1 per lo Start.
I tedeschi, ancora oggi, nell’anno del Signore 2014, non prendono mai bene una sconfitta.Figuratevi cosa doveva rappresentare quell’umiliazione nel 1942, contro una squadra di prigionieri di guerra debilitata dalla fame. E, allora, ecco che nasce l’idea della vera partita della morte, quella del 9 agosto 1942.
Viene organizzato un torneo al quale partecipano squadre composte da giocatori di diverse nazionalità, rumeni, russi, slavi. Ma lo sanno tutti, ci sono anche quelli dello Start FC. E sono lì solo per un motivo, per ritrovarsi di fronte ai tedeschi, in finale. Ed è quello che, ovviamente, il destino, in quel caso in divisa da gerarca nazista, fa succedere. 9 agosto, stadio Zenith di Kiev. Sta per andare in scena la partita della morte, la rivincita di quella di qualche mese prima.
Rivincita alla quale i tedeschi tenevano particolarmente: la Luftwaffe viene rafforzata dalla presenza dei migliori ufficiali che fossero in grado di tenere il pallone da calcio tra i piedi. Una squadra in salute, forte fisicamente, con il morale rafforzato dall’occupazione in terra straniera e una guerra che stava prendendo la via di casa. Contro un gruppo di prigionieri affamati, che non stavano in piedi, con il morale sotto i tacchi per non essere più padroni in casa loro. Arbitro, ovviamente, un ufficiale delle SS, ma non c’era manco bisogno di dirlo questo.
Ma, lo sappiamo, quando scendiamo in campo, non importa quanto forte sia l’avversario, quanto male stiamo noi o quanto in forma sia lui. Quando scendiamo in campo, anche se in condizioni disperate, vorremmo fare solo una cosa: segnare un gol in più degli avversari e vincere.
Il problema, però, era che quella partita i giocatori ucraini sapevano già di non poterla vincere. Sapevano già che, i permalosi ufficiali tedeschi, questa volta non gliel’avrebbero fatta passare liscia. Se avevano organizzato quella partita, era solo per infliggergli una pesante umiliazione e fargli capire chi comandava, in quel momento. E chi avrebbe comandato d’ora in poi.
Le istruzioni erano precise. Al momento di entrare in campo, bisogna fare il saluto nazista. Ma lo sappiamo, in campo nessuno ci sta a farsi comandare, figuriamoci se a dirlo sono quelli che ti stanno per invadere e che stanno uccidendo i tuoi cari, e non metaforicamente. Quando entrano in campo, i calciatori ucraini guardano i tanti ufficiali e soldati tedeschi in tribuna e urlano “Fitzcult Hura!”, il motto sovietico che veniva adottato anche dall’esercito. Se dobbiamo giocarci la vita, tanto vale giocarcela a modo nostro, pensano. Tanto vale mettere in campo quel poco che ci è rimasto, e fare l’unica cosa che ora possiamo fare per farci sentire vivi: giocare a calcio e dimostrare di essere i più forti.
E, per quanto debilitati dalla guerra e dalla prigionia, gli ucraini più forti lo sono per davvero. In condizioni normali, darebbero una grossa lezione ai tedeschi. Non tirava una bella aria, però, in tutta onestà. Dopo pochi minuti Trusevich, portiere dello Start, viene colpito alla testa in una mischia e resta qualche minuto a terra, stordito. L’imparziale direttore di gara nulla ha visto, ovviamente.
I tedeschi si portano in vantaggio, nel tripudio dello stadio che non è di casa, ma che, nei piani di Hitler e soci, a breve lo diventerà. Se questa storia fosse una storia normale, gli ucraini, distrutti, stanchi, affamati, mollerebbero e lascerebbero vincere i tedeschi facilmente, provando così a salvare la pelle. Ma l’animo umano non è fatto per conoscere la sconfitta, figuriamoci per sopportare l’umiliazione. Kuzmenko pareggia i conti su punizione, poi Goncharenko, il più talentuoso giocatore dello Start, realizza una doppietta da fuori area. Quasi costretto, perchè tirando da fuori l’arbitro non avrebbe potuto fischiare il fuorigioco…
All’intervallo è 3-1 per gli Ucraini, l’aria nello spogliatoio, che poi è una baracca in realtà, è pesante. In molti si chiedono se davvero gli convenga vincerla questa partita. D’altronde, però, non vorranno mica ammazzarci per il pallone. La risposta invece era probabilmente “si”, perchè un ufficiale tedesco si porta dietro un interprete e prova a far capire ai ragazzi che forse è meglio se la perdono quella partita, se ci tengono alla loro pelle. In parole povere, una sconfitta avrebbe fatto perdere la faccia al Terzo Reich, e, in quel momento, era l’ultima cosa che il Terzo Reich avrebbe voluto. Dunque, per il bene di tutti, che ne dite se gentilmente ci fate vincere questa partita?
Le parole probabilmente sorgono il loro effetto, e la ripresa inizia con i tedeschi all’attacco e due reti segnate: 3-3. Ma oramai, gli ucraini erano lì. Ed erano chiaramente più forti, e, quando sei più forte, non riesci a non fare quello che più ti riesce facile, battere il portiere avversario. Anche senza volerlo, probabilmente, segnano altre due reti, portandosi sul 5-3.
Come in un sogno ovattato, forse, è adesso che realizzano quello che sta per succedere, ma è forse anche questo il momento in cui realizzano che stanno per diventare degli eroi, delle icone del calcio e della patria. A pochi minuti dalla fine, Klimenko, dopo aver saltato tutta la difesa e il portiere tedesco, si ferma sulla linea di porta, si gira e calcia di forza il pallone verso la propria metà campo. Eccoci, venite a prenderci. I più forti siamo noi, vi battiamo quando volete. La morte, poi, cosa volete che sia?
Troppa l’umiliazione per i tedeschi, frettoloso triplice fischio finale. Lo Start ha vinto, il destino dei suoi giocatori è ormai segnato. Per i tedeschi, diventeranno carne da macello, per il popolo ucraino, che in quel momento stava assistendo, seppur in minima parte, allo spettacolo, eroi. Irrimediabilmente, incredibilmente, indissolubilmente eroi.
A poco a poco i giocatori dello Start moriranno tutti, vittime delle rappresaglie naziste. Si dice che Mykola Korotikh, uno dei più forti di quella squadra, venne preso praticamente in campo e ucciso pochi giorni dopo. Alcuni soldati tedeschi si recarono nei giorni successivi al forno dove lavoravano i giocatori ucraini, ne presero alcuni e li giustiziarono sul posto. Gli altri, a poco a poco, fecero la stessa fine. Era oramai inevitabile.
Non sappiamo per certo come andarono i fatti. Quella che vi abbiamo raccontato è la storia dei sopravvissuti a quella partita (solo tre: Fedor Tjutcev, Mikhail Sviridovskij e Makar Goncharenko, che riuscirono a scappare e si unirono poi all’Armata Rossa durante la liberazione di Kiev), probabilmente negli anni la leggenda è stata circondata da un alone di mistero che ne ha ingigantito i contorni. La partita della morte ha ispirato molti libri e film, tra cui il celeberrimo Fuga per la Vittoria, con Sylvester Stallone protagonista e la partecipazione di Pelè. Ecco, qui il lieto fine non c’è.
Quello che è certo però è che il calcio non è mai solo un gioco, e che, quando diventa qualcosa di maledettamente serio, non c’è morte che tenga. Per dimostrare di essere i più forti, per dimostrare di essere liberi, siamo disposti anche a morire. E a diventare eroi.