BASTA CON LE STRUMENTALIZZAZIONI DEL 25 APRILE!
In un contesto già sufficientemente confuso e disorientato, nel quale il significato specifico della Festa della Liberazione come anniversario della vittoria sul nazifascismo viene sempre più spesso eluso – tra eventi gastronomici, bande che suonano inni che non c'entrano nulla, sincretismi incomprensibili con movimenti animalisti o new age –, in Emilia-Romagna si registrano sgradevoli strumentalizzazioni della ricorrenza.
Già in passato avevamo notato come le celebrazioni della strage di Marzabotto fossero talvolta segnate da riferimenti fuorvianti ai fatti di Srebrenica (1). Stavolta, per il 25 Aprile, a Marzabotto (Monte Sole) tra gli invitati d'onore figura Jovan Divjak, descritto come "il generale che difese la città di Sarajevo durante l'assedio". Addirittura, si annuncia un suo "tour partigiano" in diverse località italiane nei giorni tra il 23 e il 30 aprile 2019.
Ma chi è veramente Jovan Divjak?
Già a capo della Difesa Territoriale in Bosnia-Erzegovina, nei mesi a cavallo delle "dichiarazioni di indipendenza" con cui ha inizio la tragedia del suo paese (1991-1992) viene scoperto e giudicato dalla Corte Marziale dell'esercito jugoslavo per illegittimi rifornimenti di armi. Gli vengono inflitti 9 mesi di carcere cui si sottrae passando al nemico, cioè alle milizie nazionaliste bosgnacche di Alija Izetbegović. Da capo militare della zona di operazioni di Sarajevo è da considerare perlomeno corresponsabile della efferata strage della via Dobrovoljacka (3 maggio 1992), quando i suoi attaccano alle spalle le giovanissime reclute dell'Armata Jugoslava, che si ritirano pacificamente verso la Serbia in base agli accordi, causando 42 morti, 73 feriti, 215 prigionieri: è la prima grande strage di Sarajevo, mai ricordata da nessuno in Italia.
A Sarajevo e dintorni seguiranno altre stragi – vere, finte, o più spesso "false flag" cioè con falsa attribuzione anti-serba (2) – tutte mirate a gettare benzina sul fuoco e ad impedire il rispetto dei cessate-il-fuoco. È la strategia della tensione voluta dal partito islamista e dai suoi mentori della NATO, che attraverso un oculato lavoro di marketing sulla stampa internazionale nascondono la distruzione della Jugoslavia, e della sua repubblica più devota ai valori fondativi di "unità e fratellanza", la Bosnia-Erzegovina appunto, dietro agli slogan su "Sarajevo assediata". Ma è una narrazione bugiarda e ipocrita (3), tant'è vero che osservatori più moderati hanno parlato di una Sarajevo presa in ostaggio dalla sua stessa classe dirigente secessionista ("doppio assedio" secondo la definizione di Tommaso Di Francesco). La riproposizione di quegli schematismi manichei e ignoranti su "bosniaci buoni" e "serbi cattivi", come se i serbi di Bosnia non fossero bosniaci anch'essi, dopo tanti anni dai fatti e addirittura all'interno della festa del 25 Aprile, la dice lunga sul "pacifismo" di certi ambienti, che rimangono indisponibili a un ripensamento, a una analisi più equilibrata di quanto è successo all'epoca in Jugoslavia e in Bosnia.
A seguito del mandato internazionale di arresto per crimini di guerra, spiccato dalla magistratura serba, il 2 marzo 2011 Jovan Divjak veniva arrestato all'Aeroporto di Vienna mentre si recava in Italia per iniziative analoghe a quelle di questi giorni.. Dopo meno di una settimana veniva scarcerato dietro pagamento di una cauzione di ben 500mila euro; a fine luglio seguiva la scontata decisione della magistratura austriaca che, in osservanza alla vulgata NATO sulla guerra fratricida bosniaca, negava la sua estradizione. Eppure, è legittimo domandarsi per quale motivo le responsabilità derivanti dall'essere a capo della "catena di comando" non debbano pesare su uno Jovan Divjak almeno quanto quelle che sono state fatte pesare all'Aia su un Ratko Mladić.
Quello di Jovan Divjak è un esempio da manuale di applicazione del criterio dei "due pesi due misure" nel giudizio occidentale sui criminali di guerra nei fatti bosniaci. Che tutto questo debba insozzare anche il 25 Aprile di Marzabotto è uno scandalo. Più opportuno sarebbe che gli antifascisti emiliani riflettessero su come la secessione bosgnacca, nell'ambito della distruzione della Jugoslavia, abbia rappresentato una inversione degli esiti della Seconda Guerra Mondiale, vera e propria revanche di quelle forze reazionarie che ai primi anni Quaranta disponevano persino di una propria formazione SS. (4)
Il Direttivo di Jugocoord Onlus, 23 aprile 2019
(1) Sulla confusione regnante negli ambienti antifascisti in merito a "Srebrenica" si veda ad esempio: https://www.cnj.it/CNJ/smuraglia2015.htm