E l’Italia che fa? Qui entrano in gioco inglesi, russi, cinesi e soprattutto americani, una partita che deciderà il predominio del Mediterraneo, il nuovo centro del mondo. Chi si prenderà l’Italia, da solo, o con un concerto (che è quello a cui aspira il Vaticano), la rilancerà avendo un equilibrio dei conti con l’estero, raggiunto grazie ad una feroce guerra di classe.
Da qui si capisce l’assoluto pressapochismo di chi vuole la secessione.
Yvonne Bollmann est une spécialiste des questions européennes et de l’Allemagne. Germaniste, elle est maître de conférence à l’Université Paris XII. Auteur de La Tentation allemande, ou encore Ce que veut l’Allemagne ou La bataille des langues, Yvonne Bollmann a montré et démontré l’entreprise de démontage de la France républicaine par l’Union Européenne au profit de la domination de l’impérialisme allemand. Yvonne Bollmann a accordé un entretien exclusif à Aymeric Monville, pour www.initiative-communiste.fr et Étincelles, les médias du PRCF...
https://www.voltairenet.org/article206950.html
... In tanti, a sinistra, sia in Italia che in Gran Bretagna, che ora si disperano per questo risultato, che dichiarano la loro totale incomprensione delle ragioni per cui tante persone abbiano votato per abbandonare l’Unione Europea, non colgono il senso della situazione attuale perché non hanno mai capito la natura stessa dell’Unione Europea...
http://noirestiamo.org/2016/06/29/erasmus-generation-o-working-poor-generation/
oppure http://contropiano.org/interventi/2016/06/30/generazione-erasmus-working-poor-generation-081084
Detta così, può sembrare un'assurdità.
In verità, come spiego in Sovranità o barbarie, l'affermazione di Johnson non è così lontana dalla realtà.
È opinione comune che il moderno pensiero federalista nasca dalle ceneri della seconda guerra mondiale. Ma le teorie federaliste risalgono a ben prima del conflitto mondiale e persino lo stesso federalismo “antifascista” di Spinelli presenta inquietanti elementi di contiguità con le teorie che ispirarono quel conflitto e in antitesi alle quali, secondo la vulgata, si sarebbe sviluppato il pensiero federalista.
L’ideologia europeista, antisovranista e sovranazionalista – e il sogno dell’unificazione economico-politica del continente – erano infatti aspetti centrali della stessa filosofia nazifascista, nelle sue molteplici varianti, nonché della propaganda hitleriana.
Come scrive lo storico inglese John Laughland, autore di un corposo volume sul tema, “non solo i nazisti, ma anche i fascisti e i loro collaboratori in giro per l’Europa, hanno fatto ampio uso dell’ideologia federalista ed europeista per giustificare le loro aggressioni”. Ciò potrebbe meravigliare. È opinione comune, infatti, che i nazifascisti, in quanto ultrasciovinisti e imperialisti, esaltassero lo Stato-nazione e la sovranità nazionale; in verità, osserva Laughland, “essi nutrivano una profonda avversione per la sovranità nazionale; non solo, come può sembrare ovvio, per quella delle altre nazioni, ma per il concetto stesso”.
Il rifiuto della sovranità nazionale è molto esplicito nel pensiero nazifascista; fatto ancor più interessante, tale rifiuto si fondava sulle stesse argomentazioni dei federalisti odierni. Uno dei principali punti in comune dell’europeismo nazifascista tanto con l’europeismo spinelliano quanto con quello odierno era l’idea secondo cui gli Stati-nazione conducono inevitabilmente alla guerra e che dunque la presenza di una moltitudine di “piccole patrie” sul continente europeo fosse un elemento foriero di instabilità. Solo l’unificazione economico-politica del continente su basi federali avrebbe posto fine agli egoismi nazionali e permesso all’Europa di assumere un ruolo di guida nel mondo.
L’europeismo nazifascista, non diversamente dall’europeismo attuale, aveva anche forti caratteristiche morali e spirituali, secondo cui l’Europa, in quanto civiltà superiore, doveva ergersi a guida delle altre. Come dichiarò Benito Mussolini nel 1933: “L’Europa potrebbe nuovamente mettersi alla testa del mondo civilizzato se riuscisse a dotarsi di un certo grado di unità politica”. Così scriveva invece Vidkun Quisling, fondatore del partito fascista norvegese e noto collaboratore del regime nazista, nel 1942: "Dobbiamo creare un’Europa che non sprechi il proprio sangue e la propria forza in conflitti distruttivi, ma formi una compatta unità. In questo modo essa diventerà più ricca, più forte e più civile, e recupererà il suo antico rango nel mondo. Tensioni nazionali e grette gelosie perderanno ogni significato in un’Europa liberamente organizzata su basi federali. Lo sviluppo politico del mondo passa inevitabilmente attraverso formazione di più vaste sfere politiche ed economiche".
Sulla stessa linea anche Alberto de Stefani, ministro del Tesoro e delle Finanze di Mussolini dal 1922 al 1925: "I risultati di un eccessivo nazionalismo e degli smembramenti territoriali sono nell’esperienza di tutti. L’unica speranza di pace è in un processo che da una parte rispetti l’inalienabile, fondamentale patrimonio di ogni nazione ma, dall’altra, lo moderi e lo subordini a una politica continentale. [...] Le nazionalità non costituiscono una solida base per il progettato nuovo ordine, a causa della loro molteplicità e della loro tradizionale intransigenza".
Analogamente, nel 1943 lo stesso Hitler dichiarò che “il disordine delle piccole nazioni” e “l’anacronistica divisione dell’Europa in singoli Stati” andavano liquidati. Lo scopo della lotta nazista era quello di creare un’Europa unita. A tal fine, i singoli paesi europei dovevano essere disposti “a subordinare i propri interessi a quelli della Comunità europea”: parola di Walther Funk, ministro per gli Affari economici del terzo Reich dal 1937 al 1945.
Soggiace a questa idea degli Stati come forieri di caos e anarchia una visione “organicista” delle relazioni sia sociali (tra classi) che internazionali (tra paesi) – che accomuna l’europeismo nazifascista, quello antifascista di Spinelli e quello progressista odierno –, secondo la quale qualunque conflitto va sublimato all’interno di un “unicum” superiore, sia a livello di politica interna che di politica internazionale.
Secondo il fascista De Stefani, infatti, uno dei vantaggi della federazione europea sarebbe stato di “non [...] essere soggetta alle variazioni delle politiche locali” caratteristiche dei regimi democratici nazionali. È precisamente la stessa visione espressa nel Manifesto di Ventotene, secondo cui uno dei principali demeriti degli Stati nazionali di cui si auspica il superamento sarebbe quello di aver “già così profondamente pianificato le proprie rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale classe, dovrebbe detenere le leve di comando del piano”.
In altre parole, per Spinelli come per De Stefani, il problema dello Stato nazionale è la radicalizzazione/polarizzazione del conflitto di classe che esso, nella sua forma democratico-costituzionale, rende possibile; conflitto di classe che, invece, verrebbe sterilizzato e spoliticizzato all’interno di uno Stato sovranazionale, come teorizzato anche da Hayek. In questo senso, la federazione europea era vista, sia dai fascisti che da Spinelli, come un mezzo per contrastare l’influenza dei partiti comunisti in Europa. Il Manifesto di Ventotene non lascia dubbi a riguardo: “Una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo”.
A livello internazionale, l’organicismo federalista si traduce nell’idea – evidentemente fallace – secondo cui tutti gli Stati europei sarebbero accomunati da medesimi interessi, da cui il termine “comunità di destino”, caro alla letteratura europeista: se tutti i cittadini, come sostiene la teoria organicista, condividono gli stessi interessi, perché lo stesso non dovrebbe valere anche per le nazioni? Va da sé che nella narrazione federalista i due livelli, quello domestico e quello internazionale, sono strettamente collegati: il “nuovo ordine europeo” richiede(va) l’armonizzazione/sterilizzazione dei conflitti tanto a livello sociale quanto a livello economico-militare.
Un altro punto di contatto tra l’europeismo liberal-progressista – tanto nella sua versione storica quanto nella sua vulgata contemporanea – e l’europeismo nazifascista è l’idea che la sovranità nazionale, oltre ad essere intrinsecamente destabilizzante, sia/fosse da considerarsi un concetto superato, obsoleto.
Come scriveva Camillo Pellizzi, uno dei principali intellettuali fascisti dell’epoca: “Nessuna singola nazione europea può sperare oggi, e ancor meno in futuro, di competere nelle questioni militari, economiche o culturali con le grandi forze che stanno nascendo o già esistono all’infuori dell’Europa”. Per questa ragione sia i fascisti che i nazisti ritenevano che “lo sviluppo verso unità più grandi” fosse economicamente inevitabile.
Ritroviamo queste teorie anche nei testi federalisti di un liberale come Einaudi, scritti verso la fine del secondo conflitto mondiale. In "Per una federazione economica europea" (1943), Einaudi teorizza l’obbligo di muovere verso forme di organizzazione sovranazionale per gli stessi identici motivi addotti dai nazisti: progresso tecnologico, diffusione di nuovi mezzi di trasporto, ecc.:
"Accanto alla tenacia con cui i popoli, piccoli e grandi, anelano a conservare ed a perfezionare la propria autonomia spirituale culturale e politica, ecco le opposte tendenze dell’economia verso l’unità non tanto dei grandi spazi quanto del mondo intiero. Non solo i piccoli Stati, ma persino i grandi sono economicamente divenuti anacronistici ed assurdi".
Einaudi addirittura arriva a considerare le guerre di aggressione nazifasciste come la conseguenza della “necessità storica” di superare gli Stati nazionali (come teorizzato dagli stessi nazisti d’altronde), piuttosto che come la conseguenza perversa di un’ideologia che teorizzava tale presunta necessità, smentita dalla storia:
"Il mondo economico va verso l’unificazione; e se i vincoli artificiosi ritardatari frapposti dai governi dei piccoli Stati moderni – tutti gli Stati, anche quelli estesissimi, sono piccoli dinnanzi alle forze tecniche ed economiche che in un attimo fanno comunicare gli uomini da Roma a Tokio, da Washington a Londra, da Sidney a San Francisco, da Città del Capo a Stoccolma – non saranno tolti di mezzo con volontari accordi, essi saranno aboliti attraverso fiumi di sangue a profitto di quel popolo il quale inventerà e saprà usare i mezzi per assoggettare a sé gli altri. Le guerre del 1914-18 e del 1939-45 sono state la tragica manifestazione della necessità storica della unificazione economica del mondo".
L’idea, cara tanto ai liberali quanto ai fascisti dell’epoca, secondo cui nell’epoca moderna gli Stati nazionali erano destinati a essere rimpiazzati (o schiacciati) dalle “macroregioni” deve molto alle teorie del celebre economista tedesco Friedrich List. Quest’ultimo teorizzava che per resistere alle pressioni esercitate dalle potenze esterne e per competere adeguatamente con esse sui mercati mondiali, l’Europa doveva fondersi in un’unica unità economica, sotto la “direzione” della Germania. Le teorie di List furono poi riprese dai primi teorici geopolitici di inizio Novecento (tedeschi anch’essi) – come Karl Haushofer e Carl Schmitt –, che elaborarono i concetti di Lebensraum (“spazio vitale”) e di Grossraum (“grande spazio”), poi ripresi dai nazisti, che proponevano di riportare la Germania alla sua centralità mondiale, dotandola appunto di un suo “spazio vitale” a livello continentale. A tal fine, come detto, i nazisti proponevano la creazione di un nuovo ordine economico che ponesse fine, una volta per tutte, alla “balcanizzazione economica dell’Europa”.
Qui le similitudini tra l’europeismo nazifascista e quello contemporaneo si fanno veramente sorprendenti.. I nazisti, infatti, elaborarono dei piani di integrazione/unificazione economica dell’Europa incredibilmente dettagliati che presentano sorprendenti affinità con l’Unione europea dei giorni nostri. Nel 1940, per esempio, Hermann Göring, presidente del Reichstag, presentò un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.
L’unificazione monetaria giocava un ruolo assolutamente centrale nei piani dei nazisti: essa, infatti, sarebbe stata lo strumento che avrebbe garantito ai tedeschi la dominazione surrettizia di questa nuova area economica, in quanto il marco, come valuta di riferimento, “avrebbe assunto un ruolo dominante nella politica valutaria europea”. I piani nazisti per l’integrazione economica dell’Europa erano tanto politici quanto economici. Come disse Heinrich Hunke, presidente della federazione degli industriali di Berlino, nel 1942: “La necessità di un ordine politico per la cooperazione economica dei popoli è riconosciuta”. L’obiettivo, per Hunke e per il regime più in generale, era l’abolizione delle frontiere fra Stati e la creazione di una “unione politica” sotto l’egemonia tedesca.
Questi sono solo alcuni esempi dell’inquietante filo rosso che lega l’europeismo nazifascista degli anni Trenta e Quaranta a quello democratico del dopoguerra. Entrambi hanno un avversario comune, lo Stato nazionale, in cui vedono una minaccia per la pace e un regime troppo angusto per la moderna economia globalizzata.
Con ciò, ovviamente, non si vuole sostenere che gli europeisti di oggi siano nazifascisti, né che l’Unione europea possa considerarsi tale. Il punto, piuttosto, è un altro: evidenziare le implicazioni autoritarie e antidemocratiche dell’ideologia antisovranista e mostrare l’infondatezza di una presunta dicotomia tra nazionalismo ed europeismo; spesso e volentieri, infatti, le due cose vanno a braccetto (come nel caso della Germania di oggi).
1) Affari europei; 2) Pace, sicurezza, sviluppo; 3) Cultura, istruzione e ricerca; 4) Cooperazione regionale e trans frontaliera; 5) Sviluppo sostenibile, clima e affari economici; 6) Aspetti organizzativi.
In questa direzione verranno sviluppati programmi di difesa comuni prevedendo una loro estensione ad eventuali altri partner (come, ad esempio, il progetto per un nuovo caccia di sesta generazione a cui la Spagna ha già chiesto di aderire).
Verrà costituita una unità militare congiunta da utilizzare per operazioni di “stabilizzazione” in Paesi terzi.
In particolare nel continente africano dove Francia e Germania intendono costruire una “sempre più stretta collaborazione” rafforzando la “cooperazione” nel settore privato, nell’integrazione regionale, nel “buon governo” e gestendo la prevenzione dei conflitti, il peacekeeping e le situazioni post-conflitto.
Nel terzo capitolo viene premuto l’acceleratore sulla integrazione dei sistemi educativi, degli istituti culturali, dei media, della ricerca attraverso la promozione dello studio delle due lingue, del reciproco riconoscimento delle qualifiche, dello sviluppo di specifici programmi di interscambio e piattaforme digitali.
Si parla espressamente di “transizione energetica” attraverso progetti congiunti nel campo delle infrastrutture, delle energie rinnovabili e più in generale della efficienza energetica.
Viene istituito un Consiglio di Economia e Finanze franco-tedesco per promuovere l’”armonizzazione bilaterale” a livello normativo e la competitività delle rispettive economie.
Nel sesto capitolo viene stabilito che gli incontri tra i governi dei due Paesi dovranno tenersi almeno una volta ogni tre mesi. Il nascituro Consiglio dei ministri franco-tedesco adotterà una agenda pluriennale di progetti la cui implementazione sarà monitorata da appositi “Commissari per la Cooperazione franco-tedesca”.
Questa visione strategica espansionista, aggressiva e molto ambiziosa richiede un concorso negli “oneri per la sicurezza” che la Germania offre già da anni.
di Alessandra Ciattini 07/07/2019
Come è stranoto, non tutte le notizie vengono diffuse dai mass media: per esempio, certo non si sono soffermati molto sul fatto che Sergio Moro, giudice che ha condannato Lula da Silva, diventato poi con Bolsonaro ministro della giustizia, ha contribuito a costruire le prove per condannare l’ex presidente ed escluderlo dalle elezioni del 2018 (come risulta da recenti intercettazioni).
Quasi nulla si è detto sull’acceso dibattito svoltosi in Francia dopo elezioni europee tenutesi tra il 23 e il 26 maggio, nel quale si sono ferocemente scontrati gli “storici europeisti” e un uomo politico anti-statunitense e cattolico di destra, per di più nobile, tal Philippe Le Jolis de Villiers de Saintignon. Nel dibattito è intervenuta con la sua solita meticolosità Annie Lacroix Riz, professore emerito dell’Università Paris VII Denis Diderot, storica contemporaneista e membro del Polo di Rinascita comunista in Francia, considerata per la sua militanza politica una complottista. Tema su cui successivamente mi soffermerò, cercando di dire due parole sulla relazione tra congiura e rivolgimento.
Andiamo al fatto. Lo scorso 27 marzo Le Monde ha pubblicato un articolo, scritto da importanti storici ben collocati nell’accademia europea (vi sono anche storici italiani), intitolato Philippe de Villiers n’a pas le droit de falsifier l’histoire de la UE au nom de une ideologie (Philippe de Villiers non ha il diritto di falsificare la storia dell'UE in nome di un'ideologia). In tale testo si sostiene che il libro, pubblicato recentemente da de Villiers con Fayard, intitolato J’ai tiré sur le file du mensonge et tout est venu (Ho sparato sulla fila di menzogne e tutto è venuto giù), è stato composto mettendo insieme dei falsi pretesti, usati spesso dai teorici dei complotti, per denigrare la Unione europea e i suoi nobili padri fondatori. A questo articolo ne sono seguiti altri dello stesso tenore e non solo su Le Monde.
Contro i suoi detrattori de Villiers ha sostenuto che il suo libro sarebbe scaturito da ricerche approfondite negli archivi di vari paesi del mondo, dalle quali ha ricavato una “rivelazione” contraddicente la vulgata: l’Unione europea è nata con il sostegno della CIA e costituisce sostanzialmente la continuazione dell’Europa hitleriana. Alla creazione di questo nuovo organismo avrebbero contribuito quelli che sono considerati con venerazione i padri fondatori dell’Unione (Jean Monnet, Robert Schuman, Walter Hallstein), secondo de Villiers vere e proprie marionette guidate dagli Usa, ed ex nazisti divenuti convinti filoamericani, uniti tutti ovviamente dall’odio verso la Unione sovietica. Odio d’altra parte condiviso dall’anticomunista de Villiers.
Altri attori di questo processo, del resto già identificati e giustificati sempre in funzione antisovietica, sono stati la Fondazione Ford e il Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa, fondato nel 1955 da Jean Monnet, figlio di un produttore di cognac e riparato in Inghilterra e poi negli Stati Uniti durante la Guerra dei trent’anni europea. Anche questo aspetto sarebbe già noto per i critici di de Villiers.
Il libro è stato criticato anche per riportare pezzi letteralmente copiati da altre opere e per presentare come rivelazioni altri elementi noti, forse non ai più, come per esempio il fatto che Robert Schuman, uomo politico francese, sia stato ministro anche del governo collaborazionista del maresciallo Pétain; informazione che già appare sul sito della Fondazione Schuman. E allora?
Contro de Villiers gli “storici europeisti” sostengono, invece, che a porre le basi della Unione europea come federazione di Stati furono i francesi, nella persona di Schuman, in procinto di esser canonizzato, su suggerimento di Monnet. Infatti, il primo propose la costituzione nel 1950 della CECA, comunità europea del carbone e dell’acciaio, che avrebbe permesso ad alcuni paesi europei di avviare insieme lo sfruttamento di queste due importanti materie prime. A loro parere essa costituiva una reazione a tutte le politiche praticate quando l’Europa era occupata dai nazisti. Naturalmente questo progetto era esplicitamente sostenuto da uomini come Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer.
Vorrei soffermarmi su un punto della riflessione di questo cattolico integralista, che mi sembra interessante per il suo cogliere, ovviamente da destra, un aspetto significativo dell’Unione europea. Pur non facendo riferimento alle politiche neoliberali, egli ne mette in evidenza l’impatto sui paesi europei, che sono stati rimodellati, per garantire agli Stati Uniti un ulteriore mercato per le loro eccedenze e un territorio in cui investire più liberamente [1], sostituendo per esempio la nozione di governo con quella di governance; quest’ultima proviene dal mondo finanziario e bancario e implica l’insieme dei procedimenti per gestire una certa organizzazione, senza che i suoi membri mettano in discussione la sua struttura e le sue finalità.
Si tratta, dunque, di un processo di depolicitazzazione, accompagnato dalla deculturazione che, secondo de Villiers, avrebbe privato i popoli europei della loro identità, in vista dell’affermarsi dell’egemonia globale degli Stati Uniti [2]. A questo progetto l’uomo politico francese da buon sovranista contrappone l’Europa delle nazioni, non private del potere da organismi superiori, già sostenuta dal Generale De Gaulles, che certo la potenza statunitense non avrebbe voluto a capo della Francia alla fine della Seconda guerra mondiale, e che prese decisioni in contrasto con gli interessi di quest’ultima [3].
Naturalmente la ricostruzione della storia dell’Unione europea proposta da questi storici contemporaneisti è assai diversa: l’Unione risalirebbe addirittura al re di Boemia Giorgio di Podebrady, vissuto nel XV secolo, e tale idea sarebbe stata poi ripresa nel 1929-1930 da Aristide Briand, uomo politico francese in origine socialista, che poi assunse importanti incarichi di governo durante la Terza Repubblica.
Sempre a loro parere, l’Unione europea non sarebbe stata il prodotto di un vile complotto statunitense, anche se ovviamente gli Stati Uniti guardavano ad essa con soddisfazione e benevolenza per la sua evidente funzione di baluardo contro l’influenza sovietica che si era consolidata nell’est europeo. Per questi storici ciò sarebbe, del resto, del tutto comprensibile, perché si stava sviluppando la cosiddetta guerra fredda, voluta soprattutto dagli Stati Uniti (cosa che non viene detta). E non certo dall’Unione sovietica, che aveva pagato il prezzo più alto nella guerra e che – come scrive Annie Lacroix Riz - aveva reso agli Stati Uniti l’orgoglioso servizio di sconfiggere la Wehrmacht [4].
Tutti saprebbero poi che Monnet era vicino agli Stati Uniti, giacché, per esempio, fu incaricato da Roosevelt di recarsi nell’Algeria liberata per sostenere il successo politico del generale Henri Giraud, che era stato vicino a Pétain, contro il non amato de Gaulle, il quale però aveva effettivamente un sostegno popolare e non poté essere scalzato. Inoltre, il fatto che Monnet abbia richiesto denaro alla Fondazione Ford e al Comitato americano per l’Europa unita, denaro ricevuto anche da Schuman e da organizzazioni sindacali (anticomuniste), sarebbe cosa nota. Sempre per i nostri storici ciò non avrebbe impedito a questi soggetti di agire in maniera autonoma e di perseguire i loro propri obiettivi.
Dopo aver illustrato i termini di tale acceso dibattito, per capire meglio come stanno le cose non si può prescindere da uno scritto della già menzionata Annie Lacroix Riz, la quale per esempio, individua la prima forma di comunità europea in un organismo precedente la CECA. Infatti, già nel 1926 fu costituito dal grande capitale siderurgico franco-tedesco il primo cartello internazionale dell’acciaio, che assegnava alla Germania più del 40% delle quote di produzione [5]. Tale evento segnò il rafforzamento sul piano internazionale della Germania, la quale nonostante la pace di Versailles già dal 1919 aveva avviato il processo di reindustrializzazione e di sviluppo degli armamenti, del resto noto alle classi dirigenti delle altre potenze. E ciò perché tale processo era sostenuto dal capitale finanziario statunitense e francese, che ricavavano dai prestiti ai tedeschi ingenti profitti. Questo cartello fu accompagnato dall’istituzione nel 1935 del Comitato Francia-Germania, sponsorizzato dal barone Ribbentrop, poi ministro di Hitler, che inserì negli accordi anche il settore chimico. Come scrive Lacroix Riz, negli anni ’30 Stati Uniti e Inghilterra si incorporano a questi cartelli, mostrando come l’Unione europea sia stata partorita dagli interessi dei grandi capitalisti, i quali non ignoravano certo il ruolo della siderurgia e della chimica nella produzione degli armamenti (anche perché erano loro a produrli).
Un altro aspetto assai interessante sviluppato da Lacroix Riz è rappresentato dalle relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, la quale ricevette aiuti assai scarsi per combattere i nazisti dai primi, i quali non escludevano del tutto la vittoria hitleriana. È solo dopo la straordinaria e sanguinosa sconfitta di Stalingrado che si capisce che, da un lato, ci si dovrà accordare con i sovietici, pur sempre con la speranza di contenerli; dall’altro, le élites europee si rendono conto dell’incalzante pericolo rosso, per bloccare il quale si sottomettono all’accettazione della Pax americana, che avrebbe significato il passaggio dall’egemonia tedesca a quella proveniente da oltreatlantico. Proprio per combattere tale incombente pericolo, le élites europee, strettamente legate tra loro e ai regimi fascio-nazisti, non procedettero a nessuna epurazione e riciclarono dirigenti nazisti soprattutto con l’aiuto del Vaticano ugualmente timoroso. Questo è il caso di Walter Hallstein, il quale appartenne a varie organizzazioni naziste e fu inviato dagli statunitensi nel campo di rieducazione di Fort Getty tra il 1944 e il 1945, per diventare primo presidente della Commissione europea.
Secondo questa lettura la nuova Germania (RFT) si riorganizzò sotto la protezione del AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories), ossia degli Stati Uniti; tutela che la Francia riuscì ad evitare grazie all’opposizione di de Gaulle. E in essa continuarono ad essere decisive quelle élites che avevano diretto il Reich sia prima che durante l’era nazista..
Questo rivolgimento sarebbe semplicemente frutto di un complotto? Non credo proprio che esso avrebbe avuto successo, se quelle classi dirigenti che lo organizzarono non avessero avuto alle spalle il potere economico, la forza militare, gli apparati repressivi e quelli ideologici, che ancora oggi coltivano il mito di un’Europa pacifica e pacificatrice. Con questo voglio dire che esse rappresentarono solo la punta di diamante di una certa tendenza storica che si fondava anche sulla passività delle masse stremate dalla guerra, ma non del tutto incapaci di comprendere quello che stava avvenendo; ricordo, per esempio, lo scontento provocato soprattutto nel Nord Italia dalla cosiddetta amnistia Togliatti, che fu applicata in maniera assai più ampia di quanto prevedeva il suo ideatore.
Note
[1] Sin dalla fine dell’Ottocento gli Stati Uniti si posero il problema, acuito negli anni della Grande Depressione, della penetrazione economica dell’Europa, i cui paesi erano accusati di essere tra loro troppo strettamente legati sul piano commerciale
[2] Convinzione condivisa da chi considera la NATO non un’alleanza, ma lo strumento di occupazione dell’Europa da parte degli Stati Uniti.
[3] Per esempio, nel 1958 avviò il processo che portò la Francia ad uscire dal comando integrato della NATO, per far recuperare maggiore libertà di azione alla politica francese a livello internazionale.
[4] Si veda il suo: “Europe: l’académisme contre l’Histoire”
[5] Negli anni ’30 la Germania, cui la Francia vendeva i suoi minerali ferrosi, poté addirittura aumentare le sue quote.
An establishment pillar of the European ‘order’ – the Frankfurter Allgemeiner newspaper – explicitly touches the ‘live rail’, which is to say, it ran an op-ed last month titled ‘A Nazi EU?’, speculating on whether or not the present EU, dominated by Germany, should be understood as a lineal extension of German National Socialism...
Un pilastro istituzionale dell ‘”ordine” europeo – il quotidiano Frankfurter Allgemeiner – tocca esplicitamente il “punto dolente” indicato il mese scorso con l’editoriale intitolato “A Nazi EU?”, chiedendosi se l’attuale UE, dominata dalla Germania, dovesse essere intesa come un’estensione lineare del nazionalsocialismo tedesco. Questo non è un argomento mai toccato prima nel discorso tradizionale tedesco. Il fatto che ora appaia segnala qualcosa di importante: un riconoscimento del fatto che le dissidenze che stanno manifestandosi all’interno dell’Unione hanno le loro radici in qualcosa di diverso dai soli “capricci di risentimento populistici”. È il riemergere di un’antica lotta per l’”anima” dell’ordine politico internazionale.
L’autore, Jasper von Altenbockum, cita il leader dell’AfD (Alternative für Deutschland), Alexander Gauland, alla sua conferenza di partito, dicendo che:
“L’apparato totalitario corrotto, gonfiato, antidemocratico e nascosto” dell’Unione europea non dovrebbe avere alcun futuro. Gauland ha tracciato una linea popolare di ragionamento: poiché si possono osservare nelle istituzioni sovranazionali dell’UE dei deficit di legittimità democratica, [si deve concludere che l’UE] deve essere un regime coercitivo. Gli oppositori radicali dell’integrazione progressiva [tuttavia] fanno un passo in più: confrontano l’UE … con l’ideologia europea sotto il nazionalsocialismo…
“Gauland ha anche [avanzato] di recente un altro argomento popolare, che [consente] alla Brexit di avere una giustificazione storica: [Parlando dell’Unità europea], Gauland a Riesa ha detto: “Questo obiettivo è stato perseguito dai francesi sotto Napoleone e, purtroppo, in altro modo, dai nazionalsocialisti; e, come tutti sanno, l’Inghilterra si è loro opposta.
“Ciò che [significa, è che la Gauland ci porta oltre la semplice pretesa che l’UE sia] un “apparato totalitario nascosto”, [piuttosto suggerisce che] la politica europea europea e tedesca siano in continuità con la propaganda nazista dell'Unione: non ci può essere un rimprovero peggiore, che fornisce all’AFD l’effetto collaterale positivo di essere in grado di presentarsi immune all’ideologia nazista”.
Bene, come ci si potrebbe aspettare, von Altenbockum vede ben poco per collegare il progetto europeo con la precedente ideologia nazista, ciononostante riconosce che non sono solo Gauland e AfD (“sta diventando rapidamente il partito Brexit tedesco“) a vedere queste connessioni nazionalsocialiste; perché comunque “la continuità del progetto europeo con l’era nazionalsocialista è considerata anche dagli storici”, specialmente dal momento che la Germania è stata nuovamente accusata di sforzi egemoni in Europa. Già nel 2002, il biografo di Hitler, Thomas Sandkühler, si è chiesto “non tanto per enfatizzare le violazioni nelle politiche europee, dove dovrebbero esserci più segnali di continuità”.
Cosa significava? Oggi è difficile andare oltre l’aspetto ideologico-razziale. Ma, nonostante la presenza della parola “nazionale” nel nome del partito nazionalsocialista tedesco, Hitler non era un grande difensore del nazionalismo. Fu un severo critico non solo del trionfo protestante westfaliano del 1648, ma in particolare anche dell’istituzione dello Stato nazionale, che vide molto inferiore rispetto allo storico “lascito imperiale” dei tedeschi. Al posto dell’ordine degli Stati nazionali si propose di fondare un Terzo Reich che traesse espressamente ispirazione dal “Primo Reich”, cioè dal Sacro Romano Impero tedesco, con le sue aspirazioni universali e da regno millenario. La Germania di Hitler era quindi intesa come uno Stato Imperiale in tutti i sensi.
In breve, nelle secolari politiche dell’Europa, le nazioni occidentali sono state caratterizzate da una lotta tra due visioni antitetiche dell’ordine mondiale: un ordine di nazioni libere e indipendenti che perseguono ciascuna il bene politico secondo le proprie tradizioni e intese, e un ordine di popoli uniti sotto un unico regime di leggi, promulgate e mantenute da una singola autorità sovranazionale.
In altre parole, la Germania era dalla parte dell’antica tradizione che si estendeva da Babilonia alla Roma imperiale, che vedeva come suo compito, nelle parole del re babilonese Hammurabi, “portare i quattro quarti del mondo all’obbedienza”. Dopotutto, l’obbedienza era ciò che [allora] assicurava la salvezza dalla guerra, dalle malattie e dalla fame.
La conclusione di Von Altenbockum che le origini delle idee alla base dell’integrazione europea non siano tanto quelle di Napoleone o Hitler, ma derivino dalla Guerra dei Trent’anni e dalla pace di Westfalia, che ha determinato proprio la caduta di quella vecchia (romana) nozione di un “impero cristiano universale dei pace e prosperità”, è più avvincente. Ai vincitori, la vittoria – e i vincitori impostano anche la narrativa, che rimane il paradigma politico europeo di oggi.
La costruzione “liberale” dell’UE si fonda su quel famoso manifesto liberale – il Secondo trattato sul governo di John Locke, pubblicato nel 1689 – che affermava che alla fine c’è un solo principio alla base dell’ordine politico legittimo: la libertà individuale.
Il libro di Locke era molto un prodotto della costruzione protestante. Si apre con l’affermazione che tutti gli individui umani nascono “perfettamente liberi” e “perfettamente uguali”, e continua descrivendoli mentre realizzano la propria vita, la libertà e la proprietà in un mondo di transazioni basate sul consenso.
Da questa premessa, Locke ha costruito il suo modello di vita politica e di teoria del governo. E dal quadro di Locke è arrivato fino a noi il modello economico di oggi – nella trasposizione dell’individualismo e della proprietà della visione protestante di John Hume e John Locke in una strutturazione economica realizza da Adam Smith.
Ma, essendo protestante, questa visione ha preso anche dall’Antico Testamento (piuttosto che dal Nuovo) l’autorità sovrana (come Yahweh), che era un sovrano geloso, intollerante e unitario. Un’autorità, una legge, una “pistola” era il principio organizzativo dello Stato-nazione (piuttosto che il richiamo sovrapposto di un “impero” di sovranità confuse e alleanze spirituali che lo avevano preceduto).
A un certo punto, la teoria politica, economica e il diritto internazionale liberarono la vita da altre visioni concorrenti, diventando il quadro praticamente indiscusso di ciò che una persona istruita ha bisogno di conoscere sul mondo politico.
E allora? Qual è il punto? Bene, in primo luogo, è che il leader dell’AfD, Alexander Gauland, sta dicendo che l’UE non è né liberale, né libera, né un “ordine” (o impero), ma è coercitiva nel suo desiderio (secolarizzato, giudeo-cristiano) di raggiungere l’unità umana o sociale riducendo “tutto” a un unico modello (l’ordine “liberale, regolamentato, UE”).
Il punto qui non è solo che una pubblicazione dell’establishment tedesco potrebbe sfiorare una questione così ‘bollente’ (la possibile influenza del nazionalsocialismo tedesco come impalcatura su cui è stata strutturata la politica europea); ma in modo più sostanziale, attraverso la tacita ammissione che il leader dell’AfD ha segnato un punto a suo favore (cioè, sta facendo avanzare l'”altra” grande visione per l’ordine politico dell’Europa).
L’autore, debitamente, concede questo: “ci sono molti politici nell’AFD che vorrebbero tornare al tradizionale pensiero dell’equilibrio” (un concerto di poteri sovrani indipendenti). Ma poi – facendo eco alla linea dell’establishment – l’autore dice semplicemente che è impossibile: troppo è stato investito nel progetto UE per consentirne la dismissione.
La “visione retrospettiva” dopo la seconda guerra mondiale, afferma von Altenbockum, ha portato il [progetto UE] ad “avere un inamovibile ancoraggio istituzionale, che comporta inevitabilmente una rinuncia alla sovranità”..
Ma è qui che la Brexit assume significato per Gauland: non semplicemente come risentimento britannico per il dominio tedesco sull’Europa, ma perché l’Inghilterra era costantemente “dall’altra parte”, opponendosi a queste visioni di un universalismo imposto attraverso la riduzione a un unico modello di impero – “Come tutti sanno, l’Inghilterra si è loro opposta”, afferma Gauland.
Locke, è vero, ha cercato di rafforzare il paradigma dello Stato-nazione e non di indebolirlo. Tuttavia, nel modellare la sua teoria ha minimizzato o completamente omesso gli aspetti essenziali della società umana. Nel Secondo Trattato, Locke fa astrazione dell’eredità intellettuale, spirituale e culturale che ognuno riceve. Il risultato è la svalutazione anche dei legami più basilari che si pensava tenessero insieme la società.
Allo stesso modo, il governo che è stato creato dal contratto sociale del Secondo Trattato è misteriosamente privo di confini o limiti. Istituzioni come lo Stato nazionale, la comunità, la famiglia e la chiesa sembrano non avere alcuna ragione per esistere. Senza volerlo, la struttura fornita dal Trattato di Locke rende l”ordine” protestante estremamente difficile da spiegare, tanto meno da giustificare. Potrebbe averlo inteso diversamente, ma quello che ha fatto è stato dar vita a una costruzione “liberale” di politica che è alla base del contrario dello Stato-nazione.
Cosa significa questo? Brexit, gilet gialli, la Lega, l’Afd, il gruppo di Visegrad… Il futuro dell’Europa è in serio dubbio, nonostante il fatto che le élite politiche e intellettuali istruite in America e in Europa siano ora per lo più imprigionate all’interno della cornice liberale.
Eppure un articolo come questo pezzo del quotidiano Frankfurter Allgemeiner – e la sua discussione sul presunto legame tra integrazione europea e nazionalsocialismo – osserva Wolfgang Münchau – rappresenta “una connessione esplosiva” finora limitata solo a discussioni marginali in Germania. Sottolinea che l’Euro-élite sta iniziando a riconoscere la potenziale esplosività di questo conflitto. Possono vedere che le questioni reali – le antiche battaglie sulla natura stessa della politica, della società, della cultura e su come il potenziale umano debba essere sviluppato – sono ora in discussione.
E capire questo dà la griglia per capire la politica estera europea: come, anche dopo il disastro della Libia, i leader europei possano, per esempio, ignorare la lunga storia degli interventi in Venezuela, per sostenere un nuovo intervento. Oppure, vorrebbero rifiutare finanziamenti per la ricostruzione e assistenza alla Siria. Ricorda il desiderio del re babilonese di “portare i quattro quarti del mondo all’obbedienza”. L’obbedienza, dopotutto, è nel loro stesso interesse.
Si è dunque spinto troppo in là Gauland per aver definito l’UE “totalitario nascosto”? Bene, Yanis Varoufakis ce ne dà il sapore: dalla sua prima visita a Bruxelles e Berlino come ministro greco delle finanze, appena nominato: “Quando Schäuble mi ha accolto con la sua dottrina del ‘è il mio mandato contro il tuo’, stava onorando una lunga tradizione europea di negazione dei mandati democratici in nome del loro rispetto. Come tutte le ipotesi pericolose, si fonda su un’ovvia verità: gli elettori di un paese non possono dare al loro rappresentante un mandato per imporre agli altri governi condizioni per cui questi ultimi non hanno alcun mandato, da parte del loro stesso elettorato, ad accettare. Ma, mentre questo è solo un truismo, la sua incessante ripetizione da parte dei funzionari di Bruxelles e degli agenti di potere politico, come Angela Merkel e Schäuble stesso, ha lo scopo di convertirlo surrettiziamente in una nozione molto diversa: nessun elettore in nessun paese può autorizzare il proprio governo ad opporsi a Bruxelles”.
Varoufakis aggiunge, “non ascoltano mai: Io e il mio team abbiamo lavorato duramente per presentare proposte basate su un serio lavoro econometrico e su una solida analisi economica. Una volta che questi fossero stati testati da alcune delle più alte autorità nei rispettivi campi – da Wall Street e dalla City, agli accademici di prim’ordine – li avrei portati dai creditori della Grecia a Bruxelles, Berlino e Francoforte. Poi mi sedevo lì e osservavo una sinfonia di sguardi indifferenti. Era come se non avessi parlato: come se non ci fosse alcun documento davanti a loro. Era evidente dal linguaggio del corpo che loro negavano persino l’esistenza dei pezzi di carta che avevo messo davanti a loro. Le loro risposte, quando arrivavano, erano perfettamente indipendenti da qualsiasi cosa avessi detto. Avrei anche potuto cantare l’inno nazionale svedese. Non avrebbe fatto alcuna differenza”.
* L’articolo originale è stato pubblicato su Strategic Culture, traduzione redazionale.
** L’autore è stato un diplomatico britannico, fondatore e direttore del Conflicts Forum, con sede a Beirut.
... La Brexit prelude ad un ruolo di primo piano della Gran Bretagna sotto il profilo geofinanziario, fuori dallo stereotipo della Unione europea e da quello altrettanto liso della leadership globale americana... Londra non ha mai saputo che farsene di Bruxelles, figurarsi di Francoforte...
http://contropiano.org/altro/2016/10/10/ci-rimette-la-brexit-084476
RESOCONTO DELL’INIZIATIVA “L’EUROPA DELLE BANCHE E DELL’EURO DOPO LA BREXIT“, Parma 30 settembre 2016 (Ross@ Parma)
... la maggior parte del commercio comunitario è basato sul modello mercantilistico tedesco, cioè sul primato commerciale della Germania che deprime le economie degli altri paesi membri. Nonostante questa evidenza empirica, viene veicolata e sostenuta l’opinio communis che la maggiore competitività della Germania derivi dalla presunta virtuosità ed operosità teutonica e che il “ritardo” degli altri paesi dipenda dalla mancata attuazione delle riforme. La mezzogiornificazione dell’Europa è dovuta, invece, proprio al vantaggio competitivo dato dal combinato disposto di deflazione salariale e moneta forte. In altre parole, dalla fissazione del tasso di cambio, che impedisce un riallineamento delle economie, specie durante periodi di crisi come questo. In conclusione l’euro rappresenta un attacco alle classi lavoratrici. “L’euro è uno strumento del capitale”, ha affermato Pavarani, che avvantaggia la concentrazione della ricchezza in alcuni paesi e va a favorire alcune classi sociali, a discapito di altri paesi, delle fasce deboli della popolazione e di un ceto medio sempre più impoverito. È, insomma, uno strumento della lotta di classe condotta dall’alto, un mezzo pensato per essere impugnato dal capitale, mai dal popolo"....
http://www.rossa.red/resoconto-delliniziativa-leuropa-delle-banche-e-delleuro-dopo-la-brexit/
Il vertice trilaterale di Ventotene tra Italia, Germania e Francia – ma soprattutto la Brexit – stanno producendo le loro conseguenze sugli assetti futuri dell'Unione Europea. "Ritengo che l'Ue di oggi a 28 possa contenere un cerchio più ristretto che condivida la moneta unica, il trattato di Schengen e soprattutto un miglior coordinamento nella difesa. Un nucleo di 7-12 Paesi europei che potrebbero avere livelli di integrazione più forte. L'Italia si batterà per questo nuovo tipo di Unione europea". Ad affermarlo è stato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni alla festa dell'unità di Roma...
Whereas the Brexit has been met with wholesale rejection by the German and other EU member states' establishments, it was positively assessed in the little noticed countries of Northwest Europe, growing in strategic importance. Iceland's president recently invited Great Britain to enhance its cooperation with the "triangle of non-EU countries," meaning Iceland, and the autonomous regions Greenland and the Faroe Islands, which are part of the Kingdom of Denmark. Greenland left the European Community (EC) in 1982; the Faroe Islands have never been members and Iceland officially withdrew its application for EU membership in 2015. All three countries refuse nuclear weapons and NATO's missile defense shield on their territories, while showing a greater openness towards Russia than most other western countries. Iceland and particularly Greenland have been growing in their strategic importance with the impending opening of Arctic sea routes and exploitation of Arctic natural resources. German experts have already suggested inciting Greenland to secede from Denmark.. This would offer Germany greater influence on Greenland and consequently on the Arctic's political, economic and military affairs...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58960
The historic Brexit vote marks a victory of the working people over the capitalist elites who have used the European Union as a means of extending their exploitation of them to the limits, and which now, along with its imperial rival and overlord, the United States, is arming and preparing for a world war with Russia...
– La sicurezza europea, che riprende i contenuti della Comunità europea di difesa (CED, respinta nel 1950);
– L’asilo politico dei migranti;
– La crescita economica e l’euro...
Dichiarazione del Partito Comunista di Irlanda, da solidnet.org:
Il Partito Comunista di Irlanda esprime la sua solidarietà e accoglie con favore la decisione dell'elettorato britannico, con i lavoratori che hanno giocato un ruolo decisivo nel voto per lasciare l'Unione Europea...
ORIG.: DIE EUROPÄISCHE KRIEGSUNION (GFP 2016/06/28)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59398
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58954
La décision de quitter l’Europe votée par la majorité des Britanniques est un acte parfaitement démocratique. Des millions de gens ordinaires ont refusé de se laisser impressionner, intimider et mépriser par les analystes des principaux partis, le monde des affaires, l’oligarchie financière et les grands médias...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59397
Berlin is applying intense pressure in the aftermath of the Brexit, to reorganize the EU. Under the slogan, "flexible Union," initial steps are being taken to establish a "core Europe." This would mean an EU, led by a small, tight-knit core of countries, with the rest of the EU member countries being subordinated to second-class status. At the same time, the President of the European Parliament and Germany's Minister of the Economy (both SPD) are calling for the communitarization of the EU's foreign policy, reinforcement of its external borders, the enhancement of domestic repression and the creation of a "European FBI." The German chancellor has invited France's president and Italy's prime minister to Berlin on Monday to stipulate in advance, measures to be taken at the EU-summit on Tuesday. German media commentators are speaking in terms of the EU's "new directorate" under Berlin's leadership. At the same time, Berlin is intensifying pressure on London. The chair of the Bundestag's EU Commission predicts a new Scottish referendum on secession and calls for Scotland's rapid integration into the EU. German politicians in the European Parliament are exerting pressure for rapidly implementing the Brexit and reorganizing the EU. Chancellor Merkel has reiterated her veiled threat that "reconciliation and peace" in Europe are "anything but self-evident," should European countries choose to no longer be integrated in the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58953
... Non si tratta del primo referendum che si tiene in Europa riguardo i temi legati all’integrazione. Prima dei greci contrari al memorandum della Troika ci avevano pensato francesi e belgi a rispedire al mittente il progetto di costituzione europea. Anche gli irlandesi, dal canto loro, avevano respinto il trattato di Lisbona, salvo poi essere richiamati alle urne per dovuta approvazione. Questa volta però, la situazione è diversa. Non è possibile ignorare l’opinione dei sudditi di Sua Maestà come è stato fatto con quella espressa dai popoli periferici....
http://www.lacittafutura.it/giornale/brexit-il-gattopardo-e-i-comunisti.html
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59396
The British people's vote yesterday to take their country out of the EU is shaking up the EU, and Berlin's plans to use the EU for its own hegemonic policies. With a 72 percent turnout, 52 percent of the British voters opted to wave good-bye to the EU. This vote has a major impact on Berlin, not only because Europe's second largest economy - after Germany's - and a prominent military power will be leaving the EU and therefore no longer be available for German hegemonic policies imposed via the EU. It also can lead to a domino effect. Calls for referendums are being raised in other EU member countries. In several member countries, the EU's growing unpopularity is reinforcing centrifugal forces. The Swedish foreign minister has explicitly warned of a "spill-over effect" that could lead to a Swedish EU exit.. In the German media, demands are being raised to simply ignore the referendum and let the British parliament vote in favor of remaining in the EU. Berlin has already begun reinforcing its national positions - independent of the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58952
BREXIT will doubtless deepen the concept of EU system based on the deprivation of authorities of national states and concentration of the authorities within the bureaucratic Brussels center which is without meaningful control. EU region has entered a long period of political instability and uncertainty. Fleeing of corporate capital from EU appears as inevitable process with all consequences for development, socio-economic aggravation and political turmoil.
After illegal secession of Kosovo and Metohija in which, paradoxical, Great Britain together with USA played major role, separatism in Great Britain and the whole of Europe has got new encouragement. It is obvious that BREXIT is obliging EU to spare much of energy and time in trying to find solutions for profound problems. Hence, the policy of enlargement will be objectivly put aside. Countries of the Western Balkan, including Serbia, cannot count on capital inflow and investments from the EU region which itself has a run into profound crisis and serious lack of capital.
Concerning Serbia, it is advisable to pay much greater attention to own resources, however limited may be, to the concept of balanced foreign policy. Reformers are expected to take into account new circumstances and get rid of illusory expectations. Remaining open for reciprocaly beneficial cooperation with everybody, they should preserve national resources, such as vast arable land, waters, forests, minerals, as well as state owned Telecom, EPS, insurance companies and others as a base for a modern and strong public sector. Pressures and political conditionings should be rejected regardless on where from they are coming- from international financial institutions or from the states.
In new circumstances, Serbia's relations and cooperation with Russia, China, other members of BRICS, as well as with other countries who had been supporting Serbia and cooperating without any political strings - are getting higher importance.
БРЕГЗИТ даље продубљује кризу концепта ЕУ који је заснован на одузимању надлежности националних држава и концентрацији власти у бирократизованом центру без контроле. Подручје ЕУ ушло је у дуги период политичке нестабилности и неизвесности. Сеоба корпоративног капитала из ЕУ је неизбежан процес са свим последицама на развојном, социјално економском и политичком плану. Како ће се, кад и по коју цену наћи излаз, остаје нејасно.
После илегалног отцепљења Косова и Метохије, сепаратизам у Европи овим је добио нови подстицај. Очигледно је да ће ЕУ у дужем периоду бити приморана да се бави собом, својим кризама, међу којима избегличка криза и даље остаје тешко решив проблем, као тежак изазов. Политика проширења објективно је доведена у питање, без обзира на изјаве челника, чији је искључив мотив смиривање тензија. Илузорна су очекивања прилива капитала и инвестиција са подручја које је у дубокој кризи и дефициту.
Што се Србије тиче, тренутак је да се више окрене себи и концепту уравнотежене спољне политике. Реформе морају да уваже нове реалности и ослободе се досадашњих неолибералних илузија, уз ослонац на сопствене економске, природне, научне и људске ресурсе, на једној страни, и задржавање отворености за сарадњу са свима на реципрочној основи. Националне ресурсе, као што су пољопривредно земљиште, воде, привредне потенцијале, као што су Телеком, ЕПС, Дунав осигурање и сл. треба сачувати и унапредити као основу снажног јавног сектора. Притиске и условљавања, без обзира да ли долазе од међународних финансијских институција или од Влада појединих држава, морају се одлучније одбијати. Политику приватизације и развоја треба водити у складу са интересима Србије, одбијајући све притиске и условљавања, без обзира да ли долазе од међународних финансијских институција или држава.
У новим условима, расте значај сарадње Србије са партнерима као што су Русија, Кина и друге чланице БРИКС-а и све земље које сарадњу не условљавају никаквим политичким уступцима.
[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9068 ]]