http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/19200000_Carnaro_DAnnunzio_ita.pdf
[...] Il contributo italiano, dunque, alla liberazione della Jugoslavia si colloca tra i maggiori che le Nazioni alleate e cobelligeranti fornirono a quelle forze partigiane e ripete un momento particolarmente significativo per l'amicizia e la collaborazione italo-jugoslava, quale fu la grande operazione combinata italo-serba all'inizio del 1916 che valse a preservare la forza militare serba nella lotta contro gli Imperi centrali.
Si è così avverato il profetico messaggio contenuto nella dichiarazione approvata a Roma nell'aprile 1918 dalla Conferenza delle nazionalità oppresse dalla Duplice Monarchia austroungarica, alla cui realizzazione tanta opera dette un indimenticabile e lungimirante uomo politico italiano, Leonida Bissolati. In quella dichiarazione i rappresentanti italiani e jugoslavi definirono quattro punti che oggi, a distanza di sessanta e più anni, possiamo ben definire profetici anche alla luce delle esperienze fatte:
" 1) i rappresentanti dei due popoli riconoscono che l'unità e l'indipendenza della nazione jugoslava sono interesse vitale dell'Italia, come il completamento dell'unità nazionale italiana è interesse vitale della nazione jugoslava;
2) affermano che la liberazione e la difesa del Mare Adriatico sono un interesse vitale dei due popoli;
3) si impegnano a risolvere amichevolmente le singole controversie territoriali sulla base dei principi di nazionalità e del diritto dei popoli a decidere della propria sorte;
4) ai nuclei di un popolo che dovessero essere inclusi nei confini dell'altro, sarà riconosciuto e garantito il diritto al rispetto della loro lingua, della loro cultura e dei loro interessi morali ed economici. "
L'avventura fascista aveva interrotto la fratellanza tra i due popoli che si era instaurata non soltanto negli anni duri della prima guerra mondiale, ma nel pieno del Risorgimento italiano, quando Giuseppe Mazzini nel 1857 pubblicò le sue "Lettere slave" e previde con estrema lucidità che il moto d'indipendenza degli Slavi del Sud sarebbe stato il più importante, dopo l'italiano, per l'Europa futura. "Il moto slavo" egli scriveva "dura lentamente continuo. Quando un'idea di libera patria, un'aspirazione nazionale si affaccia ad un popolo, nessuna forza può spegnerla o contenderle il più o meno lento sviluppo progressivo sino al trionfo. Le nazìonalità sono invincibili come la coscienza: potete sopirle per breve tempo, non cancellarle". [...]
Palazzo del Quirinale, 10 novembre 1981
Francesco Leoncini
Alternativa mazziniana
Castelvecchi, Roma 2018
pp. 337, euro 35.00
In una stagione come quella attuale in cui, con particolare virulenza anche nell’area di Visegrád e nei Balcani, riprendono vigore i nazionalismi estremisti e il sovranismo si diffonde in tutta Europa come una malattia letale, la lettura di questo volume non può che offrire a tutto ciò una credibile alternativa, un’alternativa mazziniana, per l’appunto.
Francesco Leoncini, pur concentrandosi su un episodio chiave al termine della prima guerra mondiale, che, sebbene con le migliori intenzioni, non portò agli esiti auspicati, ripercorre la lunga tradizione di solidarietà internazionale verso i popoli slavi. Inaugurata da Giuseppe Mazzini, con la creazione della “Giovine Europa” nel 1834, fu rilanciata da personalità come il fondatore e presidente della Cecoslovacchia, Tomáš Garrigue Masaryk, e il politico croato Ante Trumbić, che si spese per la creazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Mazzini aveva, infatti, anche prospettato l’ideale della “Grande Illiria”, una coalizione statale degli slavi del Sud, con cui l’Italia sarebbe stata chiamata a intrattenere rapporti di pacifica vicinanza, soprattutto per la definizione dei reciproci confini, diatriba che invece si protrarrà fin dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Nel solco di questa cultura di apertura, di risveglio di nazionalità, in un’ottica di solidarietà e sostegno e mai di prevaricazione, politici e diplomatici italiani come Gaetano Salvemini e Umberto Zanotti-Bianco si adoperarono per convocare tra l’8 e il 10 aprile 1918 nella capitale d’Italia la «Conferenza delle nazionalità soggette all’Austria-Ungheria». Al termine dei tre giorni di lavori fu sottoscritto di comune accordo il «Patto di Roma». La spinta contingente alla conferenza va individuata sia nella sconfitta di Caporetto sia nel ritiro della Russia dal conflitto, eventi che rafforzarono il timore di un consolidamento delle truppe nemiche al confine, con la possibilità non remota di un letale sfondamento. La conferenza, che intendeva aprire vie diplomatiche di sostegno ai popoli desiderosi di intraprendere la via dell’autonomia, accolse le delegazioni cecoslovacca, jugoslava, polacca e romena cui si affiancarono rappresentanti francesi, inglesi e statunitensi. A Francesco Ruffini, giurista e già ministro dell’Istruzione, sotto l’egida del primo ministro Vittorio Emanuele Orlando, fu affidata la presidenza. Nei sette punti del Patto di Roma furono sottoscritti alcuni elementi essenziali di politica internazionale: il diritto all’autodeterminazione dei popoli nel rispetto delle minoranze, cui furono garantiti i diritti al mantenimento delle proprie specificità linguistiche e culturali. Tutti i convenuti identificarono nella Monarchia Austro-Ungarica l’ostacolo maggiore alla loro piena indipendenza; alcuni articoli specifici riguardarono i rapporti tra l’Italia e la futura nazione dei serbi, croati e sloveni, soprattutto in rapporto al tema scottante della definizione dei confini.
A queste nobili dichiarazioni, che ebbero grande risonanza internazionale, seguì, però, un immediato tradimento da parte italiana, cui ne seguiranno altri. Durante la conferenza del Comitato interalleato del 3 giugno il ministro degli Esteri Sonnino sottoscrisse la dichiarazione con cui le potenze alleate approvarono la creazione dello Stato polacco, dimenticando di sostenere la Cecoslovacchia. Alle richieste di spiegazioni da parte del politico ceco Edvard Beneš, anche’egli futuro presidente, Orlando e Sonnino risposero che, nonostante il loro appoggio indiscusso, non avevano voluto sostenere, indirettamente, la nascita di uno stato degli slavi del sud, che, neanche troppo velatamente, consideravano inferiori e un po’ barbari e con i quali intendevano aprire uno scontro in nome delle proprie mire territoriali, garantite dalle clausole del patto di Londra.
La suggestiva concezione politica dell’alternativa mazziniana sul breve e sul lungo periodo risultò perdente, già nel 1919 l’impresa di Fiume del velleitario D’Annunzio, ma in nome del mito della “vittoria mutilata”, rappresentò un primo passo di questo duraturo tradimento. Eppure, anche se non vittoriosa, questa idea di Europa improntata alla fratellanza nella differenza, all’apertura dei confini e al reciproco sostegno, non sembra essere così longeva, né tantomeno superata, ma riluce di tutta la sua stringente attualità.
<< Bisogna opporsi alla costituzione definitiva del S.H.S. (1); distruggere il mostro jugoslavo. Ho studiato da vicino il moto croato contro il predominio serbo e l'ho favorito come ho potuto, spesso impedito dalle più aspre angustie. Il destino del Regno jugoslavo è segnato. Non è formato secondo le leggi della vita statale. "Si dissolverà, perirà". Degli indizî mi fanno prevedere certa l'agonia e la morte di questo nostro avversario. Il quale, in ogni modo, per fatto storico ed etnico, "deve perire", anche se riesca temporaneamente ad interrompere e a rompere il cerchio che lo serra. >>
Ringrazio chi al Knulp di Trieste ha acceso il faro dell'attenzione su Bombacci invitando ad approfondire tale questione
Nei mesi scorsi tre giovani di Locorotondo in provincia di Bari avevano issato la bandiera tricolore sul castello di Tersatto, alle spalle del capoluogo quarnerino. Il gesto, che presto aveva fatto il giro del web, aveva provocato diverse reazioni politiche in Italia e in Croazia...
https://www.total-croatia-news.com/politics/36803-trsat
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=GSxoK9Vlywo
Il Sindaco di Fiume/Rijeka contro le celebrazioni dell'impresa dannunziana
Come gruppo di Resistenza Storica di Trieste, Udine e Ronchi, si è provveduto ad inviare il manifesto contro la celebrazione di D'Annunzio e dell'occupazione della città di Fiume ad alcune realtà istituzionali, tra cui il Sindaco della Città di Fiume ( Rijeka). Un Manifesto che ad oggi ha raccolto l'adesione di oltre 200 firme dal personalità della cultura, dall'Italia, alla Slovenia, dalla Croazia, all'Austria. Nella lettera di accompagnamento al manifesto si chiedeva, nel nome della pace tra i popoli, nel rispetto delle comunità nazionali rispettive che vivono nelle proprie città, stante anche il noto antislavismo di D'Annunzio, di intervenire nelle misure ritenute più opportune perchè simili attività non abbiano legittimazione e riconoscimento da parte Vostra. E il Sindaco della Città di Fiume ha risposto con una argomentata motivazione di condanna dell'iniziativa, con il testo che ora segue:
Rijeka (Fiume), 11 luglio 2019
Claudia Cernigoi
Alessandra Kersevan
Marco Barone
innanzitutto, vorrei accentuare il fatto che Gabriele D’Annunzio, con le sue truppe, occupò Fiume nel 1919. Egli stesso fu precursore del fascismo e l’ispirazione a Benito Mussolini, che a sua volta, molto volentieri accettò l’ideologia di Hitler e si aggiunse alle sanguinose missioni durante la seconda guerra mondiale, una delle guerre più sanguinose nella storia del mondo. Proprio per la colpa di D’Annunzio, Fiume provò tra i primi la mano letale del fascismo. Dunque, D’Annunzio non fu un poeta timido, come tanti lo vogliono presentare, ma un aggressore e un tiranno. Proprio per queste ragioni, se il monumento che si dovesse collocare a Trieste, è dedicato all’occupazione di Fiume, cioè se l’idea è glorificare questo evento, è una cosa assolutamente vergognosa ma anche pericolosa. Soprattutto se lo mettiamo nel contesto delle già note dichiarazioni pronunciate dagli alcuni esponenti politici italiani che pretendono la costa croata.
La costa croata e Fiume sono croate, difese e liberate dai partigiani nella seconda guerra mondiale, proprio come è stata liberata Trieste. I monumenti a D’Annunzio, i festeggiamenti e il populismo politico che cede alle passioni più abiette, non lo cambieranno.
Se esiste l’intenzione di erigere un monumento, allora il monumento deve essere eretto alle truppe partigiane che hanno liberato Trieste..
Devo dire che, le iniziative che festeggiano l’occupazione delle terre degli altri, sono in opposizione con la politica europea, che, come una delle proprie basi, ha l’antifascismo. Siccome si tratta di una situazione molto seria, nel caso si continui con le attività per la realizzazione di una di queste iniziative assolutamente inaccettabili, aspetto la reazione del governo croato.
Credo che la maggior parte degli Italiani non vede nessun bene nel celebrare l’occupazione di una città, che testimonia la vostra lettera nella quale esprimete la propria resistenza alla celebrazione dell’occupazione di Fiume e il manifesto al quale, il proprio appoggio, hanno dato decine e decine di personalità del mondo della cultura, intellettuali, storici...
Quindi, come il sindaco di Fiume, dò il mio pieno sostegno alla vostra iniziativa e vi autorizzo a rendere pubblica la mia dichiarazione. A parte questo, avviserò il Consolato croato a Trieste e il sindaco Dipiazza, poiché con Trieste coltiviamo i rapporti amichevoli. Colgo l’occasione a rilevare che Fiume, nell’ambito del programma della Capitale europea della cultura, quest’ autunno organizzerà una mostra con il titolo D'Annunzijeva Mučenica / L'Olocausta di d'Annunzio / D’Annunzio’s Martyr, nel Museo marittimo e storico del litorale croato, che come il tema avrà D’Annunzio, la sua sanguinosa occupazione della nostra città e i suoi crimini. La mostra affronterà il centesimo anniversario dell'occupazione della città di Fiume, “Città olocausta” o come lui la chiamava spesso “Olocausta”. Spero che alla fine prevale la ragione e che questa idea non sarà realizzata.
14 luglio 2019