CRIMINALIZZAZIONE DELL'ANTIFASCISMO
 
1) GIORNO DEL RICORDO 2020: A TORINO PROVOCAZIONI DA PARTE DI FASCISTI E POLIZIA in occasione di una iniziativa di controinformazione 
– 10 settembre Presidio antifascista: Rettore adesso vogliamo risposte!
– 23 luglio: misure cautelari per la "irruzione degli antagonisti all'università" (sic)
– 23 febbraio: Per la verità. Appello dell’Assemblea dottorand*, precar* e docenti del Campus Luigi Einaudi di Torino sulle violenze della polizia ai danni delle studentesse e degli studenti antifasciste\i
– 13 febbraio: Torino. revisionismo fascista e violenza della polizia, il rettore rimane in silenzio (Noi Restiamo)
 
2) DOPO TRIESTE, ANCHE MONFALCONE E GORIZIA HANNO SOSTITUITO IL 12 GIUGNO AL 25 APRILE
– Sintesi della istituzionalizzazione a Trieste del 12 Giugno come Giornata della Liberazione dall'Antifascismo
– La falsificazione della Storia mediante l'indizione (tutta politica) di ricorrenze incongrue (La Nuova Alabarda, 15.6.2020)
Sul Discorso del sindaco di Monfalcone Anna Cisint in occasione della ricorrenza farlocca del 12 giugno
– Da quest'anno Gorizia ricorderà la liberazione ... dall'occupazione titina (TeleFriuli, 9 giugno 2020)

3) ADOZIONE NELLE SCUOLE DI PUBBLICAZIONI FASCISTE
– Foiba rossa. È questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola? (Nicoletta Mandolini)
– Proteste del PRC per l'adozione in tutte le scuole superiori piemontesi di un libro sulle foibe edito da una casa editrice contigua ad ambienti neofascisti
– L’impatto del Giorno del Ricordo nelle scuole (Marco Noris)
 
 
=== 1: I FATTI DI TORINO ===
 
19 misure cautelari sono state comminate in luglio a Torino contro altrettanti antifascisti per i fatti avvenuti in occasione di una iniziativa di controinformazione sul Giorno del Ricordo fatta oggetto di provocazioni da parte di fascisti e polizia
 
---

Torino, 10 settembre 2020
presso il Palazzo Del Rettorato - Università Degli Studi Di Torino, Via Verdi 8
 
Presidio antifascista:
Rettore adesso vogliamo risposte!

Per i fatti del 13 febbraio scorso, quando centinaia di studenti si opposero a un volantinaggio provocatorio e revisionista di un gruppo di fascisti all'interno dell'università, 20 persone sono ancora private a vario titolo della propria libertà individuale. Alcuni di loro non possono uscire di casa, altri non possono recarsi nella città dove vivono e studiano, altri ancora devono presentarsi tutti i giorni al commissariato di polizia. 
Nei loro confronti non è mancata una vicinanza e un affetto trasversali: tutti noi avremmo fatto lo stesso se ci fossimo trovati al loro posto. L'antifascismo è uno dei valori più importanti con cui siamo cresciuti ed è importante fare tutto il possibile perché una delle ideologie più aberranti della storia non riprenda spazio. 
Chi non si è mai espresso su quelle giornate è l'Università di Torino, permettendo non solo che un'organizzazione dichiaratamente fascista volantinasse in università, ma anche che un ingente schieramento di polizia la difendesse, e restando in silenzio davanti all'arresto di tre studenti antifascisti ha sconfessato in una sola giornata tutti i valori che dichiara di condividere.
Questo silenzio è troppo assordante per tutti gli studenti antifascisti che studiano all'interno di questa istituzione. Continuare a frequentare un luogo dove si propaganda nell'indifferenza odio razziale e falsità storiche non è accettabile.
A queste responsabilità dell'Università si aggiungono tutte quelle accumulate durante questi mesi di pandemia globale: nonostante le gravissime difficoltà economiche e sociali in cui si trovano moltissimi studenti e studentesse, nessuna reale misura per tutelare il diritto allo studio è stata messa in campo, né dal Rettore, né dall'ente regionale Edisu. 
A pochi giorni di distanza dalla data in cui il tribunale di Torino dovrebbe esprimersi sulla conferma delle privazioni verso gli studenti antifascisti coinvolti pretendiamo che il rettore prenda pubblicamente una posizione:

* sulla gravità assoluta di questa vicenda, poichè è già incredibile che ciò non sia avvenuto spontaneamente: stiamo parlando di privazione della libertà di studenti e studentesse antifascisti avvenuta in seguito a una contestazione perfettamente legittima, dove venivano difesi valori che l'università dichiara di condividere (salvo poi lasciare che un gruppo neofascista volantini protetto dalla polizia). Geuna, infatti, quel giono ha autorizzato l'evento "Fascismo, Colonialismo, Foibe" e allo stesso tempo ha autorizzato il volantinaggio del FUAN,nonché la presenza di digos e celere per "contenere" eventuali tensioni. 
Quello che sta risultando sempre più chiaro è che si sta seriamente compromettendo il diritto allo studio su diversi piani: tra le misure cautelari assegnate troviamo alcuni domiciliari e divieti di dimora, che chiaramente limitano le possibilità di movimento all'interno dell'università dei soggetti coinvolti; dall'altra parte abbiamo le dichiarazioni di Sciretti, presidente Edisu, che da mesi ormai continua a sbandierare la sua richiesta di revocare le borse di studio alle studentesse e agli studenti presenti in quelle giornate.

* Sull'Aula C1 Autogestita: in quelle stesse giornate è stata mesa sotto sequestro l'Aula C1, spazio di socialità reale e sapere critico che all'interno del Campus Einaudi rappresenta un punto di riferimento e un luogo piacevole dove poter studiare e partecipare a dibattiti ed iniziative. Vogliamo che il rettore faccia una richiesta formale per l'eliminazione dei sigilli dalle porte dell'aula, così da restituire all'università tutta una realtà preziosa con la garanzia, dall'altra parte, che l'amministrazione di Unito non speri di rendere quello spazio una stanza sterile secondo qualche losco e inutile piano di ristrutturazione.

* sulla presenza dell'organizzazione FUAN all'interno dell'università: chiediamo che ogni organizzazione ispirata a valori chiaramente fascisti, razzisti e sessisti venga esclusa dall'albo delle organizzazioni riconosciute dall'università di Torino. Chiediamo, inoltre, che non siano concessi alle suddette organizzazioni spazi universitari in gestione ma che questi possano essere utilizzati dagli/dalle studenti liberamente.

* sulla scadente proposta di servizi che Unito propone da febbraio a questa parte: sembra assurdo che da quando l'emergenza Covid ha avuto inizio l'università sia stata menzionata raramente, anche dagli organi accademici stessi. Siamo costretti e costrette a convivere da mesi con questo silenzio, questa incertezza costante. La sessione di settembre è iniziata e si sa poco, quasi niente, di come ci si potrà rapportare allo spazio fisico-università in questo periodo, non sappiamo come rientreremo dentro alle nostre aule e via dicendo.Nonostante sia stato chiaro fin da subito che la didattica online sia fallita impedendo agli studenti e alle studentesse di prepararsi e di conseguire adeguatamente gli esami, le tasse di questo e del prossimo anno scolastico non sono state abolite, i posti in residenza Edisu si sono ridotti ulteriormente, né è stato assegnato a tutte e tutti gli studenti iscritti durante l'emergenza sanitaria un semestre aggiuntivo per frenare l'impennata dei fuori corso. 
Pretendiamo il ritorno in Università in sicurezza  e in presenza per tutti e tutte, compresi i nostri compagni di corso colpiti dalla repressione e delle misure concrete per il diritto allo studio che non facciano pagare a noi studenti questa crisi. 

Giovedì 10 settembre h. 15 saremo in Rettorato!
 
Organizzato da:
Aula C1 Autogestita - Campus Invaders
Collettivo Universitario Autonomo - Torino
Collettivo Studi Sociali
Collettivo Ujamaa
Si Studenti Indipendenti
Progetto Palestina
Noi Restiamo Torino
 
 
---
 
 
Torino, irruzione antagonisti all'università: misure cautelari

PIEMONTE
23 lug 2020
 
Sono 19 le misure cautelari eseguite questa mattina dalla Digos di Torino nei confronti di militanti del Cua, il Collettivo Autonomo Universitario vicino al centro sociale Askatasuna, responsabili dell'irruzione del 13 febbraio 2020, all'interno del Campus Einaudi.. Tra le misure cautelari emesse oggi ci sono tre arresti domiciliari, le restanti sono divieti di dimora e obblighi di firma. Perquisita e sequestrata l'aula C1 del Campus, che era occupato dal Cua. L'inchiesta è coordinata del pm Enzo Bucarelli. Le accuse, a vario titolo, sono rapina, resistenza a pubblico ufficiale, minaccia ad incaricato di pubblico servizio, violenza privata, danneggiamento.
 
Sono 19 le misure cautelari eseguite questa mattina dalla Digos di Torino nei confronti di militanti del Cua, il Collettivo Autonomo Universitario vicino al centro sociale Askatasuna, responsabili dell'irruzione del 13 febbraio 2020, all'interno del Campus Einaudi. Tra le misure cautelari emesse oggi ci sono tre arresti domiciliari, le restanti sono divieti di dimora e obblighi di firma. Perquisita e sequestrata l'aula C1 del Campus, che era occupato dal Cua. L'inchiesta è coordinata del pm Enzo Bucarelli. Le accuse, a vario titolo, sono rapina, resistenza a pubblico ufficiale, minaccia ad incaricato di pubblico servizio, violenza privata, danneggiamento. (LA VICENDA)

I fatti del 13 febbraio

Era il 13 febbraio scorso quando un convegno sulle foibe, contestato dal Fuan, scatenò le tensioni al Campus Einaudi dell'Università di Torino. Quello che doveva essere un momento di riflessione sull'uso politico della memoria, alla presenza di Moni Ovadia e Stojan Spetic, si trasformò in un pomeriggio di scontri tra antagonisti e forze dell'ordine. Il bilancio fu di tre poliziotti feriti, altrettanti antagonisti arrestati più una quindicina di denunciati, devastata l'aula intitolata a Paolo Borsellino e assegnata al Fuan, che stava tenendo un volantinaggio di protesta. Un'auto della polizia, accerchiata, venne danneggiata a calci e pugni.

Regione Piemonte: "Via borse di studio a violenti"

"Ringrazio le forze dell'ordine che questa mattina hanno assicurato alla giustizia gli antagonisti che nel febbraio scorso devastarono l'università di Torino. Come Regione Piemonte abbiamo compiuto tutti i passi necessari affinché siano tolte le borse di studio ai violenti. Ora, però, auspichiamo dal Rettorato una posizione chiara e sanzioni disciplinari certe per arrivare alla revoca della borsa agli eventuali beneficiari coinvolti". Così, in una nota, l'assessore agli Affari Legali della Regione Piemonte, Maurizio Marrone, sull'operazione di polizia che questa mattina sta interessando il centro sociale Askatasuna. "Basta tutele e premi nei confronti di chi devasta le nostre università. Non è accettabile anche solo l'idea di poter assegnare una borsa di studio a chi viene sottoposto a misure cautelari per aver assaltato un pacifico volantinaggio del Fuan, ferito forze dell'ordine, danneggiato una volante della polizia e devastato l'aula intitolata a Paolo Borsellino. Tutte condotte gravissime dal punto di vista disciplinare e incompatibili con un beneficio economico, finanziato dalla Regione, per sostenere il diritto allo studio e riservato a studenti meritevoli, invece che ai figli di papà che trattano l'Ateneo come un parco giochi dell'antagonismo".

Elena Chiorino: "Via i sussidi pubblici ai violenti"

"L'operazione condotta stamane dalle Forze dell'Ordine nei confronti di alcuni antagonisti che, nello scorso febbraio, si erano resi protagonisti dei gravi disordini presso la Palazzina Einaudi dell'Università degli Studi di Torino, conferma la pericolosità sociale di questi elementi che non devono, a maggior ragione, beneficiare di alcun sussidio da parte della Regione o di qualsiasi altro Ente, essendo loro i primi a dimostrare, con la violenza delle loro azioni, il disprezzo per la cosa pubblica". Lo afferma, in una nota, l'assessore al Diritto allo Studio Universitario della Regione Piemonte, Elena Chiorino. 
 
---
 
 
Per la verità 

Appello dell’Assemblea dottorand*, precar* e docenti del Campus Luigi Einaudi di Torino sulle violenze della polizia ai danni delle studentesse e degli studenti antifasciste\i

23/02/2020
 

Il Campus Luigi Einaudi di Torino, che raccoglie i dipartimenti di scienze sociali, giuridiche e economiche è stato il 13 e il 14 febbraio teatro di gravi provocazioni e violenze da parte delle forze dell’ordine che, come ormai d’abitudine, si sono presentate in assetto antisommossa per proteggere un volantinaggio di uno sparuto gruppetto di aderenti all’organizzazione studentesca neofascista FUAN. I neofascisti volantinavano contro un evento organizzato dall’ANPI per quel giorno intitolato “Fascismo, colonialismo e foibe” nei locali dell’università. Notata la presenza dei fascisti, gli studenti si sono spontaneamente mobilitati. La risposta? Cariche violente e inseguimenti e tre arresti. Dottorandi, precari e docenti si sono riuniti quindi in un’assemblea antifascista e hanno prodotto il seguente comunicato.

Da molti anni alcune rumorose forze politiche e culturali, caratterizzate da un nazionalismo grottesco, usano le vicende storiche che attraversarono il cosiddetto confine orientale dell’Italia nei primi anni quaranta del Novecento per rivalutare il ventennio fascista e le figure che lo incarnarono: Mussolini, in primo luogo. Intorno al “giorno del ricordo”, si gioca una partita ideologica che punta a rimuovere il collaborazionismo del regime fascista con il nazismo e nascondere i crimini contro l’umanità compiuti dall’esercito italiano. È invece in tale contesto che la questione delle Foibe andrebbe inserita.

Tuttavia, in una città come Torino, insignita molti anni fa di una medaglia al valore per ricordarne l’impegno antifascista nella Resistenza, sono ormai frequenti le aggressioni di stampo neofascista e antisemita, con scritte ingiuriose e minacciose sotto le abitazioni dei discendenti di alcuni dei protagonisti di quella stagione antica e degli antifascisti di oggi. Aggiungiamo l’aggressione allo storico Eric Gobetti, autore di ricerche solide e riconosciute nel mondo scientifico su temi ai quali la Regione Piemonte si accosta invece annunciando il proposito di diffondere nelle scuole pubbliche un fumetto piuttosto volgare e di stampo fascistoide, intitolato Foiba rossa.

In questo contesto, giovedì 13 febbraio, mentre al Campus Einaudi dell’Università si svolgeva un convegno con l’intenzione di affrontare con piglio critico la complessità di un tema quale Fascismo, colonialismo e foibe, il gruppo Fuan distribuiva un volantino, colmo della solita retorica nazionalista, attaccando l’Anpi, tra i promotori dell’iniziativa. 

Il gruppetto, protetto come accade da molti anni da poliziotti in tenuta antisommossa, si è in verità dileguato dopo pochi minuti: nessuno “scontro” con i numerosi studenti che li contestavano. E i momenti di contatto tra antifascisti e polizia avrebbero potuto essere derubricati a poca cosa, a essere onesti: invece interviene la decisione delle forze dell’ordine di operare un fermo

Non ci rivolgiamo alla Questura, la cui gestione delle piazze torinesi negli ultimi mesi è stata quanto meno discutibile, all’insegna di una aggressività troppo spesso ingiustificata; non ci rivolgiamo ai giornali, i cui resoconti, salvo poche eccezioni, sono tutti convergenti per non dire artificiosi, troppo uguali nei toni di un racconto dei fatti, cui probabilmente nessun giornalista ha potuto davvero assistere; in questo frangente denunciamo i ripetuti attacchi personali alla Professoressa Raffaella Ferrero Camoletto, le cui parole sono state distorte dai giornali e interpretate ottusamente dal sindacato di polizia. Non ci rivolgiamo nemmeno alla Magistratura, in particolare ai frettolosi uffici che convalidano arresti e dispensano poi condanne e lezioni di morale con una leggerezza inquietante.

Ci rivolgiamo alla comunità universitaria, ai cittadini del quartiere in cui ha sede il Campus, a ogni spirito libero e critico: la contestazione al Fuan non è stata organizzata ma spontanea; la resistenza alle pressioni delle forze dell’ordine non è stata frutto di azioni “premeditate”: nessuno dei partecipanti al presidio è apparso travisato o armato di alcunché; gli studenti si sono contrapposti ad un fermo che appariva in quel momento totalmente ingiustificato e per cui ci si aspettava un rilascio immediato. Al suo posto si sono susseguite almeno quattro cariche scomposte e violente da parte delle forze dell’ordine. 

Ma qui, oltre le cariche, contano gli atteggiamenti, tanto più gravi se agiti dalle forze dell’ordine: i poliziotti agitano non solo i manganelli, battuti ripetutamente contro i loro scudi, quasi a rammemorare pose guerresche, ma lanciano insulti umilianti all’indirizzo dei manifestanti: insulti, è quasi inutile dirlo, sessisti e razzisti, tanto che una funzionaria superiore in grado si sente in dovere di tacitarli imperiosamente, mentre i responsabili delle istituzioni universitarie presenti assistono passivi. E poi gli altri tre fermi, tanto per rasserenare il clima.

Il giorno successivo ad attizzare gli animi ci pensano i vertici dell’Università: non solo vengono posizionate due guardie armate (!) davanti all’aula che era stata del Fuan, ma si chiede ai docenti e agli studenti presenti nella palazzina Einaudi di sgomberare i locali… dando nel contempo ampie garanzie che la polizia non sarebbe intervenuta contro gli studenti antifascisti riuniti in assemblea. Un atteggiamento irresponsabile, che ha creato insicurezza, non il contrario, e ha impedito il regolare svolgimento degli esami in corso. 

Ultimo ma non meno importante, giunge puntuale come l’allergia in primavera, la provocazione del leghista di turno, che si agita nello stesso brodo di coltura dei revisionisti fascistoidi: ora a parlare è il Presidente dell’Ente regionale per il diritto allo studio universitario Sciretti che, per non sapere parlare né scrivere, propone di sospendere le borse per gli “antagonisti” arrestati e denunciati. Si tratta della stessa figura che esattamente un anno fa, in occasione delle manifestazioni contro lo sgombero dell’Asilo di via Alessandria, affermò: “Ci vorrebbe un po’ di scuola Diaz”. Visto che intorno al “giorno del ricordo” la memoria pare vacillare più del solito, rammentiamo che per quel raid indegno di un paese democratico numerosi esponenti della Polizia di Stato furono condannati e interdetti dai pubblici uffici…

Che ognuno si faccia le sue opinioni, cercando di acclarare i fatti. Alla Professoressa Ferrero Camoletto esprimiamo la nostra più piena solidarietà, così come agli studenti e alle studentesse coinvolte\i in questa vicenda.. Noi nel rispetto dei nostri ruoli e dei principi fondamentali di qualsiasi convivenza civile, siamo e restiamo antifasciste\i.

Assemblea dottorand*, precar* e docenti del Campus Luigi Einaudi

 
---
 
 
Torino. revisionismo fascista e violenza della polizia, il rettore rimane in silenzio

di Noi Restiamo
 

Da anni le organizzazioni fasciste e i partiti di destra come la Lega e Fratelli d’Italia promuovono la giornata del ricordo, istituita dal 2004 con l’accordo con i partiti di centro sinistra. Il “giorno del ricordo“, che promuove una visione fascista della storia è l’occasione per fare avanzare la visione reazionaria della Storia che oggi si è fatta “verità di stato”, come ci dimostrano le dichiarazioni di Mattarella di questi giorni. 

Il capo dello Stato, seguito ovviamente dal Partito Democratico, ha equiparato nazismo a comunismo falsificando ancora una volta il corso storico e mascherando i carnefici dell’occupazione italiana in ex Jugoslavia.

Le conseguenze di queste decisioni non hanno tardato a raggiungere il mondo dell’istruziome: la regione Piemonte vuole distribuire in tutte le scuole il fumetto “Foiba Rossa” sulla storia dell’Istriana fascista Norma Cossetto iscritta ai gruppi universitari fascisti e uccisa nel 1943.

Il fumetto è edito da Ferrogallico, casa editrice che, giusto per fare qualche titolo, ha pubblicato i diari di Mussolini a fumetti e diverse graphic novel a difesa di “martiri fascisti” che sono sono stati colpito durante le lotte operaie degli anni settanta. Nei fatti la Regione promuove, tramite una casa editrice vicina all’estrema destra una rilettura reazionaria della storia a fumetti.

Ma le conseguenze non riguardano solo le scuole superiori.

Ieri l’Università di Torino ancora una volta, si è resa complice del revisionismo storico dei fascisti, si è resa complice della repressione che si abbatte su tutti coloro che si oppongono a questa modo di interpretare la Storia con l’antifascismo militante.

Il Fuan, collettivo fascista vicino a CasaPound, ha fatto un volantinaggio in università sulla giornata del ricordo delle foibe. Proprio nella stessa giornata in cui Moni Ovadia era in università a parlare di fascismo e del colonialismo italiano in Jugoslavia.

Ovviamente insieme ai fascisti del Fuan c’era la polizia in assetto antisommossa che ha ripetutamente caricato gli studenti che volevano cacciare i fascisti. 

Le cariche sono state violentissime e sono stati fermati tre antifascisti. Un corteo spontaneo è poi andato in rettorato per spingire il rettore a prendere una posizione netta e chiaramente antifascista oltre che a dare spiegazione della violenza della polizia dentro l’università. Il rettore non s’è visto. Il silenzio di fronte a questi eventi pesa più di un macigno!

L’assenza del rettore e la polizia che difende i fascisti che portano avanti questa lettura della Storia ci mostrano quali possono essere le pratiche del revisionismo anche nelle nostre università.

Oggi h. 11.30 assemblea antifascista al Campus Einaudi per riflettere e agire contro le organizzazioni fasciste e contro le istituzioni che le giustificano e proteggono in continuazione.

=== 2: NELLA VENEZIA GIULIA HANNO SOSTITUITO IL 12 GIUGNO AL 25 APRILE ===
 
--- TRIESTE:
 
Già nel 2015 era stata posta nel Parco della Rimembranza di Trieste, per iniziativa dell'allora sindaco Cosolini (PD ex PCI), una targa che ricorda il 12 giugno come "vera liberazione" di Trieste:
 
 
Quest'anno il sindaco attuale Dipiazza (di estrema destra, si veda:
 
Penosa e squallida la presa di posizione di Cosolini a riguardo:
 
(si ringrazia Claudia Cernigoi per le fonti)
 
--- MONFALCONE:
 
 
La Nuova Alabarda ELCDD
15 giugno 2020

LA FALSIFICAZIONE DELLA STORIA MEDIANTE L'INDIZIONE (TUTTA POLITICA) DI RICORRENZE INCONGRUE

Discorso del sindaco di Monfalcone Anna Cisint in occasione della ricorrenza farlocca del 12 giugno.
“Dal 1° maggio 1945 sino al 12 giugno, la nostra città conobbe il terrore sistematico e decine e decine di persone furono uccise o scomparvero; cittadini italiani sacrificati a una logica di violenza e di pulizia etnica".
FALSO: a Monfalcone furono arrestate 77 persone nel periodo di amministrazione (non occupazione) jugoslava; in uno studio da noi recentemente pubblicato risulta quanto segue.
"Per quanto concerne le qualifiche reali degli scomparsi abbiamo 46 appartenenti alle Forze Armate, comprendenti 13 in forza all’esercito di Salò (di cui 1 nel Battaglione Volontari Mussolini e 1 ausiliaria della Brigata nera femminile, che risulta anche avere operato nella segreteria del Fascio), 29 in forza all’MDT (15 nel 1° MDT Trieste, 7 nel 2° MDT Istria, 2 nel 3° MDT Gorizia, 2 nell’MDT Portuale, 1 MDT Ferroviaria, 1 senza specifica ed 1 ausiliaria femminile non meglio inquadrata), 1 milite della Decima Mas, 1 ausiliaria femminile Flack (contraerea) ed 1 membro della Capitaneria di porto.Ci sono poi il nominativo di 1 ex prigioniero IMI di cui non sono note le modalità del nuovo arresto ed 1 ex Carabiniere divenuto poi “ufficiale giudiziario”. . 
Gli appartenenti alla Pubblica Sicurezza sono 13, 2 dei quali in forza all’Ispettorato Speciale (la Banda Collotti).
È indicato anche 1 appartenente alla Guardia di Finanza, peraltro in forza alla caserma di Campo Marzio di Trieste e fatto prigioniero a Trieste; ed 1 membro della Polizia Economica.
Tra i “civili” abbiamo 3 funzionari del Fascio (di cui 2 podestà); 1 messo comunale; 7 impiegati CRDA (“operai militarizzati”) dei quali 3 anche inquadrati nella Todt, 1 segnalato come sindacalista, 1 come “controllore” ed 1 dell’Opera nazionale dopolavoro (una delle organizzazioni associative del Fascio); ed ancora 1 inquadrato nella Todt e 2 nella Marina Mercantile". 
Evidenziamo inoltre che sulla targa si legge che sarebbero state "milizie partigiane titine" a giungere a Monfalcone, quando nei fatti fu l'Esercito di Liberazione Popolare Jugoslavo a liberare (sì, "liberare", signora Cisint, prima cittadina di Monfalcone) la città. esercito a tutti gli effetti "alleato", con tutti i diritti e doveri degli altri eserciti alleati, da quello britannico a quello sovietico a quello statunitense,
Politicanti da bar che non hanno come fine quello di fare chiarezza e rendere giustizia, ma solo attizzare odio ed intolleranza non possono fare altro che stravolgere i fatti storici diffondendo falsità per mera propaganda. Questo è il risultato dopo anni ed anni di campagna denigratoria della Resistenza in generale e di quella internazionalista in particolare, campagna condotta purtroppo non solo dalla destra nostalgica di olio di ricino ma anche da esponenti che si ritengono "democratici" e quindi in dovere di prendere le distanze sì dal fascismo ma anche dal comunismo.
 
[Claudia Cernigoi]
 
--- GORIZIA:
 
 
Da quest'anno Gorizia ricorderà la liberazione dall'occupazione titina

Lo stabilisce una delibera comunale che estende da oggi l'elenco della commemorazioni. Il 12 giugno il sindaco Ziberna e il prefetto Marchesiello deporranno alle 9 un omaggio floreale al lapidario del parco della Rimembranza
 
9 giugno 2020 – Gorizia ricorda la giornata in cui, nel 1945, terminò l'occupazione delle città da parte delle truppe titine. Il 12 giugno entra dunque nel novero delle date che il Comune di Gorizia intende valorizzare perché fra le più significative nella storia contemporanea della città. Lo stabilisce una delibera approvata oggi dalla giunta comunale, che estende così l'elenco delle commemorazioni che attingono dalla storia locale, tra cui quelle del 27 marzo 1946 (per le manifestazioni volte ad affermare l'identità italiana di Gorizia) e del 3 maggio 1945 (in ricordo delle deportazioni e delle uccisioni perpetrate nell'ambito dei 40 giorni di occupazione jugoslava), nonché del 19 luglio 1915 (Battaglia del Podgora), dell'8 agosto 1916 (presa di Gorizia) e, tornando al secondo conflitto, del 16 settembre 1947 (definitiva assegnazione di Gorizia all'Italia).
“Oltre alle ricorrenze che Gorizia condivide con il resto del Paese – ha spiegato il sindaco Rodolfo Ziberna – come quelle del 4 novembre e del 25 aprile, vi sono per la nostra città alcune date particolarmente significative della storia contemporanea che riteniamo sia doveroso ricordare. All'elenco di queste ricorrenze abbiamo aggiunto la data del 12 giugno 1945, giornata che corrisponde alla vera liberazione di Gorizia. Mentre il resto d'Italia, infatti, si era già liberata dal giogo delle dittature totalitarie, Gorizia sarebbe stata di lì a poco occupata dalle truppe dei partigiani del maresciallo Tito, il quale com'è noto intendeva occupare la Venezia Giulia, Gorizia e Trieste in particolare, per arrivare al tavolo dei vincitori con questo importante bottino di guerra. Come sappiamo, Gorizia per più di quaranta giorni, a guerra finita, ha subito la deportazione di oltre 650 goriziane e goriziani che avevano l'unica “colpa” di poter rappresentare un ostacolo alla realizzazione delle velleità annessionistiche del maresciallo Tito”.
La celebrazione della giornata, in programma venerdì 12 giugno, prevede alle ore 9 un momento solenne al parco della Rimembranza di corso Italia. Il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, e il prefetto Massimo Marchesiello in rappresentanza di tutte le autorità, deporranno un omaggio floreale ai piedi del lapidario che ricorda le deportazioni avvenute a guerra finita nel 1945. Inoltre, verranno affissi nel spazi dedicati delle vie Filzi, Duca d'Aosta e Cadorna tre manifesti che ricordano la data del 12 giugno.
 
 
=== 3: ADOZIONE NELLE SCUOLE DI PUBBLICAZIONI FASCISTE ===
 
 

Foiba rossa. È questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola?

di Nicoletta Mandolini, 21.2.2020
 
La recente decisione della Regione Piemonte di unirsi alle iniziative degli amministratori del Veneto nella promozione del graphic novel Foiba rossa nelle scuole ha già sollevato, e a ragione, numerose polemiche. Il testo a fumetti, edito da Ferrogallico nel 2018 e firmato da Beniamino Delvecchio ed Emanuele Merlino, abbozza infatti una rappresentazione dei controversi eventi dell'occupazione jugoslava dell'Istria, avvenuta a ridosso della seconda guerra mondiale. L'espediente utilizzato per tracciare un sedicente quadro storico che ben si sposi al discorso - spesso ideologicamente connotato - sulla giornata del Ricordo e sulle foibe è il riferimento alle vicende che hanno visto come protagonista la giovane Norma Cossetto, studentessa istriana e figlia del dirigente fascista Giuseppe Cossetto, il cui cadavere fu rinvenuto in una foiba nel 1943.
 
Molto è già stato scritto sulle inesattezze storiche che caratterizzano il testo e sulla chiara matrice neofascista dell'operazione editoriale che ha dato vita a Foiba rossa. L'obiettivo di questo contributo è quello di capire, per mezzo di una breve analisi delle dinamiche rappresentative proposte nel fumetto, quale immagine della violenza contro le donne studentesse e studenti si troveranno di fronte una volta che il libro arriverà sui loro banchi di scuola. Tale operazione si dimostra necessaria a fronte del largo spazio che il lavoro di Delvecchio e Merlino concede alla descrizione della presunta violenza sessuale subita da Norma Cossetto prima di essere infoibata ad opera di alcuni membri delle milizie titine . Fin dall'introduzione redatta da Ronzo Codarin, inoltre, il testo dimostra un esplicito interesse a trattare la storia della donna come "la storia di un femminicidio", proponendo quindi un chiaro rimando al tristemente popolare termine femminista introdotto per isolare concettualmente il fenomeno della violenza letale di genere.
 
Conviene innanzitutto chiarire la dubbia appropriatezza del termine femminicidio - usato per descrivere l'assassinio di una donna per motivi di genere e non l'assassinio di una donna tout court - in riferimento al caso Cossetto. Precedenti ricerchehanno infatti appurato come gli eventi che hanno portato all'uccisione della donna - ivi compresa la violenza sessuale - non siano mai stati confermati e non possano più esserlo, data la distanza temporale e l'intricata rete di dicerie su cui si è costruita la corrente vulgata. L'impossibilità di garantire la veridicità storica del movente di genere e di dimostrare la violenza sessuale rende quindi problematico l'impiego del termine femminicidio e getta luce sulla natura del procedimento narrativo che caratterizza l'opera, il quale consiste nel presentare come fatti verificati eventi che, in alcuni casi, risultano essere solamente supposti. Considerato l'ampio spazio che altrove è stato dedicato a questa tecnica compositiva e alle criticità che la stessa comporta da un punto di vista etico, ci si limiterà ad aggiungere che è proprio la narrazione per immagini del fumetto a supportare la presunta oggettività del racconto. Nonostante le numerose potenzialità che il medium garantisce in termini di rappresentazione complessa (possibilità sicuramente non sondate in Foiba rossa), la storia a fumetti può, di fatto, fare a meno di una voce narrante e, conseguentemente, si relaziona agli eventi partendo da un'immaginaria posizione di obiettività o di distacco (Hatfield 2005; Barbieri 2017). Va poi aggiunto il fatto che la narrazione apparentemente oggettiva di fatti non verificabili risulta particolarmente problematica nel caso di rappresentazioni incentrate sulla figura di una donna e interessate alla questione di genere. Non sono le mistificazioni sulla vicenda di vita di Norma Cossetto e la sua strumentalizzazione parte di quella tendenza, diffusa nella cultura patriarcale italiana e non solo, a silenziare e a oggettificare il femminile? A questo proposito, un'analisi dettagliata del testo incentrata sul trattamento riservato al personaggio della donna non può che confermare la matrice sessista dell'operazione editoriale Foiba rossa.
 
In una delle note introduttive che aprono il romanzo grafico, quella firmata da uno degli autori, Emanuele Merlino, la protagonista Norma Cossetto viene presentata come donna in grado di impersonare le doti fondamentali dell'innocenza e dell'esemplarità, così da poter essere eretta a modello vittimario. Da una parte si ribadisce l'estraneità di Norma alle vicende politiche che avrebbero concorso alla sua morte e si insiste sul suo candore (caratteristica tipicamente muliebre, direbbero alcuni), in un procedimento retorico teso a confermare l'associazione tra le idee di vittima e di femminilità. Poco oltre, la donna è presentata invece come studentessa e insegnante interessata a perseguire la propria autonomia. L'intento di controbilanciare l'immagine di Norma come soggetto debole appare chiaro, a testimonianza del tentativo di ricoprire con una patina di politically correct che faccia l'occhiolino al discorso ormai mainstream sull'indipendenza femminile l'operazione di iconizzazione della donna.
 
L'attacco del fumetto tradisce lo stesso approccio politically correct, il quale si trasla addirittura nella scelta di adottare uno schema rappresentativo in voga tra le narrazioni femministe contro il femminicidio: quello dell'affidamento di dignità letteraria alla donna uccisa. Gli autori propongono infatti la scena fittizia della discussione della tesi di laurea di Norma Cossetto presso l'Università di Padova, scena a cui la donna prende parte nonostante la morte avvenuta precedentemente. Tale tecnica mira a riassegnare voce e agentività al soggetto vittimizzato e a contrastare sul piano del racconto l'oggettificazione a cui il femminile viene sottoposto nella realtà.
Eppure, nonostante l'assenza di criticità che caratterizza la cornice con cui Foiba rossa è imbellettato, il resto del fumetto non manca di fare pericolosamente appello al regime simbolico patriarcale che fomenta la violenza stessa.
 
Dopo una lunga parentesi nella quale viene introdotta la questione istriana (dalla dominazione asburgica, passando per il terremoto della Marsica fino agli eventi dell'annessione fascista di Fiume) la storia di Norma Cossetto entra nel vivo con una narrazione che segue il filo cronologico degli eventi a partire dalla sua nascita e dalla decisione dei genitori, entrambi istriani di lingua italiana, di battezzarla assegnandole il nome dell'opera belliniana. L'assegnazione del nome avviene parallelamente all'associazione, suggerita dal padre, tra Norma e una giovane pianta che la bambina avrà il compito di curare e far crescere. Facile simbolo dell'attaccamento alla terra e alla "patria" istriano-italiana, la pianta riemergerà nella narrazione di Foiba rossa a costellare il percorso esistenziale di Norma: comparirà rigogliosa in occasione dei ritorni a casa negli anni trascorsi dalla ragazza come studentessa fuori sede, si spezzerà improvvisamente in occasione del suo stupro.
 
Il binomio donna - terra che l'accostamento tra Norma e la pianta supporta risulta altamente problematico se si pensa a come, nella produzione culturale e scientifica occidentale, l'associazione tra natura e femminilità sia stata funzionale alla simbolizzazione della donna come 'altro' rispetto al concetto di civiltà, tradizionalmente incarnato dal maschile, e a come la stessa associazione abbia contribuito a relegare il femminile nella sfera dell'istintuale, dell'irrazionale, dell'occulto (Woman and Nature di Susan Griffin è solo uno dei capisaldi del femminismo su questo tema). La problematicità del nesso persiste anche nel caso si associno alla terra caratteristiche positive, le quali generalmente coincidono con la capacità di curare e di nutrire, entrambe qualità che riconducono al lavoro di cura e riproduttivo affidato alla donna dalla società patriarcale. Non stupirà quindi la scelta degli autori di Foiba rossa di disegnare Norma bambina con le fattezze di una donna adulta che, mentre gioca con la sorella, contempla felicemente il matrimonio in abito bianco come suo destino.
 
La scena della presunta violenza sessuale subita da Norma, con cui il testo raggiunge l'apice della tensione narrativa e si avvia verso la conclusione, merita poi una riflessione a parte, la quale tuttavia non può che intersecarsi con le considerazioni fatte finora sulla rappresentazione di genere proposta nell'opera. Dopo essere stata rapita da membri delle milizie titine in una rappresaglia mirata a rintracciare il padre, la protagonista viene disegnata inchiodata ad un tavolo e semi-spogliata, in vista dell'imminente stupro. Una pagina nera con la scritta "Oggi ci prendiamo tutto quello che vogliamo perché, da oggi, tutto quello che è vostro diventa nostro" e una bandiera tricolore riversa a terra segue la vignetta appena descritta e ne anticipa una terza in cui Norma è raffigurata priva di sensi, con seni e gambe scoperti e insanguinati. Sottolineare come l'iconografia utilizzata in quest'ultimo panel sia esattamente conforme a quella che attiviste/i e studiose/i impegnate a sensibilizzare sulla corretta rappresentazione della violenza alle donne scongiurano (perché, banalmente, (ri)oggettifica la vittima riproducendo le dinamiche dello sguardo maschile che qualifica la donna come oggetto sessuale) dovrebbe essere operazione ridondante. Ciò che preme mettere in luce è, piuttosto, l'ennesima riproposizione dell'associazione tra donna (vittimizzata) e terra (invasa). La frase sopra riportata, chiaramente affibbiata ai miliziani comunisti, instaura infatti un parallelo implicito tra lo stupro - assassinio di Norma Cossetto e l'occupazione jugoslava dell'Istria. Ecco quindi che l'atto di "prendere" la terra d'Istria coincide, con il "prendere" (non a caso, verbo spesso usato per descrivere eufemisticamente l'atto dello stupro) la donna. Ecco quindi che la contrapposizione retorica tra il "nostro" (degli jugoslavi) e il "vostro" (degli italiani) non fa altro che avallare il riconoscimento della donna-terra come bottino, come oggetto di contesa. Ecco quindi che la donna, solo apparentemente protagonista, indipendente e simbolo della lotta alla prepotenza di genere, viene di fatto spogliato di ogni dignità e autonomia.
 
È davvero questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola nell'Italia del 2020?
 
---
 
Locatelli (Prc-Se): la Regione Piemonte distribuisce libri di estrema destra. No al revanscismo neofascista (13 feb 2020)
 
Presidio Prc davanti al Consiglio regionale del Piemonte. Locatelli: No a nuovi MinCulPop (18 feb 2020)
Questa mattina Rifondazione Comunista, davanti a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio Regionale del Piemonte, ha inscenato una protesta contro la decisione di Elena Chiorino, assessora piemontese all’istruzione di Fratelli d’Italia, di distribuire in tutte le scuole superiori un #libro sulle foibe edito da una casa editrice contigua ad ambienti #neofascisti...
 
 

L’impatto del Giorno del Ricordo nelle scuole

 

di Marco Noris

10.2.2020
La questione delle Foibe si ripresenta ogni anno con i suoi vari tentativi di misurazione e uso di bilancino nel soppesare la grammatura dei crimini delle parti in causa. La questione però non sta qui, o meglio, per capire l’efficacia della narrazione sulle Foibe non basta ricostruire la verità storica, vanno bensì misurati gli effetti in termini politici e culturali prodotti in generale, hic et nunc, nella società italiana.
Se qualcuno lavorasse nelle scuole, si renderebbe facilmente conto che, bene o male, quasi tutti gli studenti sanno delle Foibe, ma non conoscono nulla dell’occupazione italiana in quei territori, anzi, molti “esperti” di Foibe, non sanno neppure che c’è stata un’occupazione italiana. Così come nelle nostre scuole dove si deve parlare delle Foibe, nella giornata del 10 febbraio, si ignorano i crimini contro l’umanità e di guerra commessi dagli Italiani, dalle colonie africane alla Grecia e Albania, e il progetto di pulizia etnica condiviso e praticato insieme ai tedeschi nei confronti delle popolazioni slave. Perché nelle scuole capita leggendo le lettere dei condannati a morte della resistenza che ci siano studenti che ti dicano: “Bisogna poi vedere se quella roba lì poi è vera, eh!” Perché in fondo “ha fatto anche cose buone” colui che diceva ai soldati in Dalmazia nel 1943 “So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori.” Perché oggi molti storici, ricercatori e accademici non possono parlare di questo argomento per paura di avere rogne, o semplicemente, cominciano ad aver paura ad affrontare, oggi, in Italia, Anno Domini 2020, tutto un periodo storico.
Perché in questo paese la tv di stato co-produce e propina un film come “Rosso Istria” che ricorda i film di propaganda nazista ma, nello stesso tempo, acquista dalla Bbc – per poi nasconderlo e non trasmetterlo – “The fascist legacy” nel quale, tra le moltissime altre cose, si ricorda che la tecnica dell’infoibamento era auspicata dagli occupanti italiani nei confronti degli oppositori.
Si potrebbe continuare ancora a lungo ma se non ci rendiamo conto che la narrazione sulle Foibe non è nient’altro che un tassello funzionale alla costruzione di una precisa narrazione e che tale narrazione sta pesando come un macigno nella cultura o, semplicemente, nella conoscenza della storia reale in questo paese, allora non parliamo di equidistanza di giudizio di morti uguali ecc., ecc, perché non viviamo nel paese delle meraviglie ma in Italia nel 2020, e chi non vuole vedere gli effetti dei condizionamenti culturali ormai in atto da molti anni o è cieco o complice, tertium non datur.