Se avete dimenticato il Donbass
 
1) Comunicato del Comitato Ucraina Antifascista di Bologna sull’aggravamento della situazione in Donbass (25 febbraio 2021)
2) Dmitry Novikov (KPRF): il Partito Comunista russo sostiene la scelta del Donbass 
3) FLASHBACK: Donbass, un’interpretazione di classe (di Stanislav Retinskiy – KPDNR)
 
 
Vedi anche:
 
Da Lugansk: «Il Donbass è il cuore della Russia!» (di Fabrizio Poggi - Oleg Akimov)
 
Intervento del 23 febbraio 2015 del commissario ALEXEY MARKOV (DOBRIJ) in Russia durante il "Giorno dell'esercito e della marina sovietica" (poi rinominato dai controrivoluzionari "Giorno dei difensori della Patria"
 
Intervento dell'europarlamentare PD GIANNI PITTELLA in Piazza Majdan a Kiev nel gennaio 2014, ad incitare al colpo di Stato "europeista". Nel giro di poche settimane sarà fatta scoppiare la guerra fratricida
 
 
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fonte: pagina FB del Comitato Ucraina Antifascista Bologna, 25 febbraio 2021
https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo/posts/3822458337776695
 
COMUNICATO DEL COMITATO UCRAINA ANTIFASCISTA DI BOLOGNA SULL’AGGRAVAMENTO DELLA SITUAZIONE IN DONBASS
È trascorso poco più di un mese dal 20 gennaio, data dell’insediamento del 46° presidente degli USA Biden, e la situazione mondiale, come tanti compagni avevano previsto, è già peggiorata: la destabilizzazione di Russia e Siria è all'ordine del giorno dell'agenda dei Democratici.
Per quanto riguarda la Siria, la prima azione di politica internazionale della nuova amministrazione è stata rinforzare un’occupazione militare che viola la convenzione di Ginevra e che non ha l’autorizzazione legale del governo siriano né delle Nazioni Unite.
Sul fronte anti russo, da giorni a Kiev si discute a proposito della creazione di un’alleanza militare di Ucraina, Georgia e Moldavia, risultato della prima conversazione telefonica del Ministro degli Affari Esteri Dmitry Kuleba con il nuovo Segretario di Stato americano Tony Blinken.
Dall'insediamento di Biden c'è stato un ulteriore infiammarsi degli scontri al confine tra le terre sotto il controllo del governo di Kiev e le Repubbliche Popolari del Donbass (DNR e LNR) che ha visto la morte di 7 soldati novorussi e il ferimento di una decina di civili. La situazione non potrà migliorare visti gli interessi economici delle multinazionali Shell e Chevron e della stessa famiglia Biden in relazione all'estrazione di gas naturale di cui le terre del Donbass sono ricche.
A metà gennaio la societa Naftogaz ha avviato lo sviluppo del primo giacimento di gas di scisto di Sviatogorsk, che si trova all’interno dell’area di Yuzovsky, recentemente acquisita dalla società.
Ci sono rapporti che informano sulla ripresa dei lavori su tre pozzi appartenenti a Burisma perforati nel 2014 nella parte settentrionale della regione di Lugansk controllata dall’Ucraina. La ripresa dell’estrazione di gas di scisto è un disastro per la regione. La frattura degli strati comporta la completa distruzione del sottosuolo. Il giacimento di Sviatogorsk si trova lungo l’arteria idrica principale del Donbass, il Seversky Donets. Le sostanze chimiche utilizzate nell’estrazione del gas da argille finiranno inevitabilmente nel fiume e avveleneranno l’acqua, che è vitale per milioni di persone che vivono nel Donbass. Il genocidio ambientale sta arrivando. La colonia Ucraina è un nuovo banco di prova per la “rivoluzione dello scisto” statunitense: rivoluzione in cui convergono gli interessi di multinazionali e di Burisma, holding legata alla famiglia Biden.
Il tutto avviene nel completo silenzio dei media italiani. Non una notizia neppure sul fatto che sia in corso una guerra, seppur ancora a bassa intensità, ma sempre sul punto di deflagrare in un conflitto che coinvolga la Russia. Una guerra che USA e UE hanno contribuito ad infiammare a partire dal 2014, appoggiando il golpe che ha portato al governo una classe politica corrotta, nazionalista, neo-nazista e russofoba.
Denunciamo il comportamento servile, omertoso e complice della stampa italiana, impegnata a tacere, omettere, mistificare la realtà, manipolando scientemente le notizie, rinnegando in tal modo la propria funzione pubblica. Lo scopo di fondo appare sempre più chiaro: plasmare l'immaginario collettivo di un popolo attraverso una sistematica disinformazione di stampo atlantista, rendendolo così inconsapevole complice di quelli che sono i piani di guerra e depredazione delle élites borghesi occidentali ai danni di tutti i popoli e del pianeta.
Rimaniamo al fianco della popolazione del Donbass che resiste da 7 lunghi anni ad una vera guerra di sterminio. 
Sosteniamo la difesa delle Repubbliche Popolari e inviamo le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime dei recenti attacchi ucronazisti. 
Intensificheremo la nostra attività di solidarietà militante e il nostro impegno nel diffondere un'informazione corretta in merito a quanto sta accadendo.
No Pasarán!
 
 
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fonte: pagina FB del Comitato Ucraina Antifascista Bologna, 3 febbraio 2021
 
Dmitry Novikov: il Partito Comunista russo sostiene la scelta del Donbass 
 
(Traduzione del Comitato Ucraina Antifascista Bologna)

Come ha affermato il Vice Presidente del Comitato Centrale del Partito Comunista russo Dmitry Novikov, i comunisti da tempo insistono sul riconoscimento ufficiale della DNR e considererebbero storicamente giusto l'ingresso delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk (DNR e LNR) nella Federazione Russa.
— Il capo del DNR Denis Pushilin ha riferito che "il Donbass ha già deciso". La questione ora riguarda la Russia, che deve tener conto di tutta una serie di sfide geopolitiche. Da parte sua, Donetsk è pronta a garantire un referendum su questo tema con il coinvolgimento del numero massimo di osservatori internazionali.

A dire il vero, sarebbe una mossa assolutamente logica. Ricordiamo che sin dalle origini il Donbass è una regione russa. Il suo potenziale economico è stato creato dall'Unione Sovietica. Come parte della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, il Donbass è stato trasferito per decreto dal Consiglio dei Commissari del Popolo (Sovnarcom), insieme a Kharkov, Dnipropetrovsk e Odessa. Ciò è stato fatto per rafforzare la potenza industriale e il carattere proletario dell'allora Ucraina rurale-parte integrante di un paese grande e unificato.

I confini interni, all’epoca, erano una pura formalità. Il Donbass non sperimentò mai problemi culturali, nazionali o politici. Rimase russo nella misura in cui era parte dell'URSS come Leningrado o Kuban, Vladivostok o Kiev, Minsk o la zona di Mosca.

Le attività di Gorbaciov, Eltsin e dei loro complici hanno cambiato drasticamente lo stato delle cose. L'URSS fu cancellata dalle mappe. Ma le basi culturali della Novorossia non sono cambiate. Non è un caso che, aprendo l'altro giorno il forum "Donbass Russo", il presidente della DNR Denis Pushilin ha annunciato che l'anno 2021 sarà l'anno della cultura russa. E ' chiara anche la posizione del referente della LNR Leonid Pasechnik, secondo il quale nel 2014 l'Ucraina ha attaccato il territorio russo.

Il Partito Comunista – la più grande forza di opposizione della Russia-ha espresso la sua posizione su questi problemi da tempo e inequivocabilmente. Il nostro partito invia regolarmente convogli umanitari a Donetsk, e Zyuganov è stato promotore del Movimento "I Bambini Della Russia-i bambini del Donbass". Ma non è tutto.

In realtà, nella vita politica del paese, il nostro partito è diventato la voce delle masse del Donbass. E il loro desiderio di tornare in Russia è evidente. Sulla base del ritorno in patria della Crimea, sarebbe logico mostrare la volontà anche per la questione Donbass. Una cosa del tutto naturale sarebbe la volontà di soddisfare il desiderio di Donetsk e Lugansk di unirsi alla propria patria.

ORIG.: http://wpered.su/2021/02/03/dmitrij-novikov-kprf-podderzhivaet-vybor-donbassa/
 
 
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Donbass, un’interpretazione di classe

di Stanislav Retinskiy
 
Premessa a cura di Fabrizio Amadio

 

È appena terminato il 2020, settimo anno di guerra in Donbass, e il processo di pace nei martoriati territori confinanti con la Federazione Russa è essenzialmente congelato: lo attestano gli organismi internazionali, come leggiamo nel rapporto finale dell’Osce, lo dimostra il totale rifiuto di Kiev di dialogare con gli esponenti delle repubbliche popolari, di avviare cessate il fuoco che non siano solo di facciata, di rispettare gli accordi di Minsk.
In realtà, per certi aspetti, lo scenario del Donbass, se congelato da un punto di vista diplomatico, è infiammato da un punto di vista militare: nell’anno passato si sono infatti registrate innumerevoli violazioni del cessate il fuoco da parte delle forze governtive (tra le quali, è bene ricordarlo, militano anche battaglioni di volontari nazionalisti e apertamente nazisti), e da parte di Kiev sono evidenti le intenzioni di andare verso una escalation del conflitto.
L’autore del testo che presentiamo è Stanislav Retinskiy, Segretario del Comitato centrale del Partito comunista di Donetsk; l’articolo è apparso sul sito www.wpered.su nel 2018, organo ufficiale del KPDNR.  In questo scritto Retisnskiy espone il nucleo della riflessione sviluppata poi nel libro “Donbass, interpretazione di Classe”, purtroppo non edito in italiano.
Nel libro è presentato il punto di vista marxista rispetto ai noti eventi del Donbass. Contrariamente alla consolidata idea che vede il Donbass difensore degli interessi del “mondo russo”, l’autore fornisce un'altra interpretazione degli avvenimenti. La sua opinione è che il Donbass è parte di un fronte antimperialista, alla pari con la Siria, il Venezuela e altre regioni del mondo. Tutte insieme fanno resistenza all’imperialismo Americano.

 

Note biografiche

 

Stanislav Retinskiy è nato il 18 maggio del 1986 a Enakievo, regione di Donetsk, da una famiglia di operai. Nel 2009 si è laureato presso l’accademia di ingegneria meccanica statale del Donbass (Kramatorsk, regione di Donetsk): laurea triennale come ingegnere elettromeccanico. Dopo la proclamazione, nel 2014, della Repubblica Popolare di Donetsk, diviene collaboratore del Ministero dell’informazione. È stato delegato del congresso costituente del Partito Comunista della DNR, che ha avuto luogo l'8 ottobre 2014. Attualmente ricopre la carica di segretario per l'ideologia del Comitato Centrale del KPDNR (Partito comunista della Repubblica popolare di Donetsk).
Link alla sezione del sito dove sono presenti altri articoli in italiano http://wpered.su/tag/italiano/

 

Donbass, un’interpretazione di classe

di Stanislav Retinskiy

Traduzione di Fabrizio Amadio del Comitato Ucraina Antifascista di Bologna www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo

 

  

PARTITO E CLASSE - PARTE PRIMA
Il rapporto delle forze di classe in Donbass

 

 

Nella valutazione degli eventi in Donbass, le forze di sinistra, spesso e volentieri, giungono a conclusioni estreme: alcuni credono che qui, presumibilmente, si sia verificata una rivoluzione socialista, soppressa poi  da oligarchi russi e forze reazionarie interne, altri, invece, che i lavoratori non abbiano nemmeno avanzato rivendicazioni di classe e, di conseguenza, per il momento, ritengono sufficiente limitarsi al ruolo di semplici osservatori e continuare ad aspettare un’autentica rivoluzione. Gli estremi, come è noto, convergono, perchè entrambi questi punti di vista portano al fatto che la sinistra sia completamente staccata dalle masse e abbia una visuale distante dagli eventi. “Non piangere, non ridere, non odiare, ma comprendere”, diceva il filosofo olandese Spinoza.  Di conseguenza, anche noi dobbiamo in primo luogo tentare di capire ciò che accade in maniera equilibrata, e poi determinare il ruolo del partito nel movimento dei lavoratori.

 

 

La posizione del proletariato industriale alla vigilia della guerra

 

Iniziamo dal fatto che le proteste in Donbass possono essere considerate una risposta all’“Euromaidan”. Sono stati, infatti, proprio gli eventi di Kiev ad aver risvegliato il Donbass, che negli ultimi 25 anni aveva svolto un ruolo politico di secondo piano. Nelle altre parti dell’Ucraina si era soliti ritenere che qui vivesse la parte più sottomessa della popolazione del paese, sprezzantemente definita “bestiame”. I nazionalisti ucraini non erano riusciti ad attirare dalla propria parte il Donbass né nel 2004, ai tempi del “Maidan”, né nel 2013, durante l’Euromaidan. Peraltro, nemmeno Viktor Yanukovic non ha goduto di grande autorità presso la popolazione del luogo.
Certamente, allora l'amministrazione della regione di Donetsk, utilizzando risorse pubbliche, induceva grandi masse di persone a partecipare alle manifestazioni in appoggio del presidente, ma questo in generale non significava necessariamente che essi lo appoggiassero realmente. Al contrario, in Donbass, lo odiavano per il fatto che non avesse rispettato le promesse elettorali: stabilire normali relazioni con la Russia, il conferimento al russo dello status di lingua di Stato, eccetera... In Donbass, anche se lo hanno votato, in generale non erano per Yanukovic, ma semplicemente contro Viktor Yushcenko e Yulia Timoshenko. Nel 2014, dopo il colpo di Stato, quando il presidente scappò all'estero, all'odio si è aggiunto il disprezzo.
Per quanto riguarda il proletariato, esso per lungo tempo non ha separato i propri interessi da quelli dell'oligarchia locale. Nel Donbass pre-rivoluzionario i lavoratori salariati erano affamati, sopravvivevano in baracche e lavoravano 12 ore al giorno, quindi non avevano nulla da perdere, se non le proprie catene. Poi, prima dell'inizio della guerra del Donbass, nelle fabbriche e nelle miniere venivano pagati stipendi abbastanza alti, per questo la crescita del benessere del proletariato industriale era legata alla crescita del benessere dei proprietari delle imprese. Così, nel 2013, lo stipendio medio nella regione di Donetsk era di 3.800 grivne, mentre per l'Ucraina 3.300. Mentre la media del salario nella regione del carbone era all’incirca di 5.700 grivne, la media del settore industriale era di 4.600 grivne.
Le statistiche ufficiali, naturalmente, forniscono solo dati approssimativi, quindi spesso i redditi dei lavoratori erano leggermente superiori. Questo può essere spiegato con il ricevimento di una parte di stipendio “in busta” (contanti, erogati al di là dello stipendio base per evadere le tasse), e la ricerca di entrate extra.
Giornata lavorativa di otto ore, giorni festivi veri e propri, ferie pagate ogni anno – tutto ciò ha contribuito al fatto che il proletariato vendeva la sua manodopera non solo alla fabbrica, ma anche fuori.
Per questo, invece della lotta per rivendicazioni economiche in fabbrica o in miniera, i lavoratori spesso cercavano guadagni aggiuntivi fuori. In questo non vi è nulla di sorprendente, dato che lo sciopero è solo una delle forme di lotta del lavoratore per più favorevoli condizioni di vendita della propria forza lavoro. Ma la lotta può cambiare le sue forme di attuazione, partendo dai “lavoretti extra” fino ad arrivare alla ricerca di lavoro anche al di fuori dei luoghi di residenza (lavoratori migranti).
In questo caso la vendita di forza lavoro non solo in azienda, ma anche al di fuori di essa, aumenta la giornata di lavoro e intensifica il livello di sfruttamento dello stesso. Karl Marx e Friedrich Engels, nel Manifesto del partito comunista, hanno evidenziato come, oltre al socialismo proletario, ci sono anche dottrine reazionarie (per certi versi socialiste, ma nel complesso reazionarie, N.d.T). Durante la Perestroika, in Unione Sovietica, grande popolarità conquistò il cosiddetto “socialismo di mercato”. Con l'aiuto delle riforme di mercato si voleva “correggere” il socialismo. Si sa benissimo a cosa ha portato questo approccio, alla restaurazione del capitalismo. Tuttavia, residui delle conquiste socialiste resistevano ancora, consentendo ai lavoratori di condurre uno stile di vita non solo accettabile ma, se così si può dire, piccolo borghese.
Vivono in appartamenti, ricevuti gratuitamente in epoca sovietica, spesso possiedono un appezzamento di terreno, che permette loro di fare una buona scorta di cibo, e ricevono contemporaneamente lo stipendio e la pensione statale di anzianità.
Soffermiamoci dettagliatamente su questo fenomeno: il possesso di appezzamenti di terreno da parte dei lavoratori. I famosi 6 ettari cominciarono ad essere assegnati gratis all'incirca nel 1960. Questa decisione della dirigenza sovietica, a prima vista innocua, ha avuto conseguenze molto tristi per il primo paese socialista nel mondo. Al posto di un'ulteriore socializzazione della produzione con l'uso delle macchine, che consentono di migliorare notevolmente la produttività del lavoro, è emrso il processo inverso, ovvero: insignificanti pezzi di terra sono stati lavorati con strumenti di lavoro arcaici.
Ma sono proprio le alte produzioni il segno distintivo della società comunista. Con la restaurazione del capitalismo, la “Giornata internazionale della solidarietà dei lavoratori”, grazie all'intervento dei capitalisti, si è trasformata nella “Giornata della primavera”, e al posto della battaglia delle masse contro l'oppressore sociale, ecco apparire solo una massa di lavoratori su piccoli appezzamenti di terreno. Prima ancora della guerra, un lavoratore mi disse che non avrebbe partecipato a nessuna rivolta, fino a quando a casa sua ci fosse stato un sacco di patate. Allora gli risposi, che la riforma agraria, prima o poi, lo avrebbe spazzato via.
Tutti questi benefici sociali sarebbero da considerare un lusso non solo per gli altri Paesi del “terzo mondo”, dove non c'era il socialismo, ma anche per i Paesi capitalistici altamente sviluppati.
Non è una forzatura affermare che il proletariato industriale in Donbass ha ricoperto una posizione di “aristocrazia operaia”. Ma se nei paesi Occidentali, l'aristocrazia dei lavoratori era il risultato della corruzione dei vertici del proletariato, come parte dei profitti monopolistici, qui era legata alle vestigia del socialismo.
In condizioni di universale impoverimento provocato dalla controrivoluzione e in conseguenza di un calo della produzione (nel 1990 il PIL dell'Ucraina è diminuito di quasi il 60%, più del doppio rispetto al declino dell'economia degli USA nel periodo della Grande depressione), i minatori e i lavoratori delle acciaierie occupavano una posizione privilegiata. Ognuno, ovviamente, ha cercato di mantenere questa posizione.
Questo atteggiamento si è manifestato in maniera lampante durante la successiva riduzione del personale, quando, invece di unirsi contro i nemici di classe, i lavoratori hanno condotto una lotta all'interno della propria classe. Per rimanere in azienda o conquistare un posto migliore nella gerarchia di produzione, i lavoratori cercarono di ingraziarsi i superiori e di sostituirsi a vicenda.
Questa situazione è dovuta al fatto che, nell'era del capitalismo, la competizione non è solo tra capitalisti, ma anche tra proletari. E con ogni licenziamento o chiusura di azienda, la concorrenza all'interno del proletariato è cresciuta.
Nella fase di formazione del capitalismo il lavoro manuale è soppiantato dalle macchine, che creano un esercito di riserva del lavoro. La riduzione della richiesta di lavoro ha portato ad una riduzione del suo prezzo. Ma nell'ex Unione Sovietica è accaduto esattamente il contrario. Quando il Donbass chiuse le miniere e i minatori finirono per strada, questo non significò che stava cadendo la richiesta di lavoro. Al contrario, la richiesta di lavoro è rimasta invariata, ha solo assunto un'altra forma. Al posto delle imprese minerarie, spesso comparivano i cosiddetti “kopanka”, piccole miniere illegali, in cui il carbone viene estratto con metodi artigianali. Spesso in quelle miniere la paga era anche più alta rispetto alle miniere legali, ma le condizioni di lavoro erano terribili, come nel periodo pre-rivoluzionario, nella totale assenza di garanzie sociali. Nel 2011, nella regione di Donetsk, sono state liquidate 420 miniere illegali, ma 314 ancora continuarono a lavorare. Ad esempio, a Snizhne più della metà dei “kopanka” liquidati hanno condotto estrazioni in zone chiuse e solo un quarto di loro su zone libere. In altri casi, i “kopanka” si trovavano su territori dove ancora vi erano miniere attive. L'estrazione illegale di carbone è stata condotta su quasi tutto il territorio della regione di Donetsk, ma più spesso nella parte orientale della regione, perché lì i giacimenti di carbone si trovano vicino alla superficie.
Nella regione di Donetsk l'estrazione illegale di carbone era controllata dalla famiglia e dall'entourage di Viktor Yanukovich. Questa situazione generò un conflitto con gli interessi di Rinat Akhmetov – proprietario delle miniere legali. La famiglia Yanukovich smerciò carbone illegale all'estero, ciò risultò molto più conveniente.
Le materie prime, in un primo momento, sono state consegnate alle miniere governative, e poi, attraverso la mediazione delle imprese, esportate all'estero. In questo caso, a carico del bilancio nazionale, sono state destinate ingenti somme di denaro per lo sviluppo dell'industria del carbone in Ucraina. Il volume annuale della sovvenzione era pari a oltre 12,5 miliardi di dollari. Naturalmente, il denaro non ha raggiunto la destinazione, ma “è caduto” nelle tasche dell'entourage di Yanukovich. È nato così il mito della sovvenzione alla regione di Donetsk. In breve tempo, il presidente ucraino è stato in grado di mettere insieme una fortuna così enorme fino al punto che non è riuscito più a contenere gli oligarchi ucraini, che fino a poco prima lo consideravano un loro pupillo. Sono stati loro ad organizzare contro di lui un complotto, ovvero l'Euromaidan.
Ma, a differenza dell'attuale governo ucraino, Viktor Yanukovich, ha almeno cercato di comportarsi come il presidente di un paese indipendente, destreggiandosi tra i due centri di accumulazione del capitale – la UE e la Russia. Egli sapeva bene che, tramite l'Accordo di associazione (con la UE), Bruxelles avrebbe cercato, a spese dell'Ucraina, di mitigare la crisi economica nell'Unione europea. A tal proposito, il presidente ha ragionevolmente richiesto dalla UE una compensazione monetaria, ma anche di garanzia, che consentisse di vendere in UE la principale merce ucraina: la forza lavoro. Per tale garanzia sarebbe servita l'abolizione del regime dei visti. Chi è venuto al posto di Yanukovich, ha acconsentito ad un'associazione senza alcuna compensazione e garanzia. Naturalmente, il deposto presidente, non aveva nulla contro l'unione Europea, ma se l'accordo con la Russia avesse previsto eventuali benefici economici, Yanukovich certamente lo avrebbe concluso. Oggi la politica ucraina si basa completamente sulla retorica anti-russa.
Il colpo di stato a Kiev nel 2014 ha mostrato che l'Ucraina potrebbe mantenere la sua integrità territoriale, solo mediante una politica “multidirezionale”. Una volta presa la decisione di unirsi a uno dei centri di accumulazione del capitale, è iniziata la sua disfatta.
L'Ucraina è un campo di battaglia per i monopoli internazionali. La sua economia è completamente controllata attraverso il dollaro e l'euro, quindi, la politica ucraina si riduce esclusivamente a compiere ciò che è necessario per creare nel paese un migliore clima per gli investimenti. Tuttavia, questa circostanza non impedisce, ma addirittura aiuta, gli oligarchi ucraini ad acquisire un ruolo di rilievo, così come non impedisce ai partiti ucraini di fare la propria politica personalistica. Tutti i partiti borghesi inquadrano il loro compito nella svendita dell'Ucraina alle multinazionali, in cambio del permesso di rimanere qui come impiegati. Questo stato di cose, in primo luogo, colpisce i lavoratori ucraini, perché essi sperimentano su di sé un doppio sfruttamento, ovvero, nazionale e transnazionale da parte del capitale.
Contemporaneamente con questi eventi verificatesi in Ucraina, risulta chiaro il naufragio del cosiddetto mondo unipolare. Il capitale russo continua ad espandere la sua sfera di influenza, e l'imperialismo americano non è in grado di assimilare nella sua sfera di influenza tutto il territorio dell'Ucraina, da cui si è distaccata la Crimea e mezzo Donbass. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

 

 

 

PARTITO E CLASSE - PARTE SECONDA
Confronto tra imperialismi

 

Quando diciamo che l'Ucraina si trova tra due centri di accumulazione del capitale, ci riferiamo all’appartenenza territoriale. Geograficamente si trova tra l'Unione Europea e l'Unione Economica Euroasiatica. Entrambi questi organismi hanno influenza su di essa. Prima di tutto, ci riferiamo a Germania e Russia. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, più distanti, hanno un impatto molto maggiore. Per essere precisi, l'Ucraina è nella sfera di influenza di tre centri di accumulazione del capitale. A rigor di termini non c'è e non c'è mai stato un mondo unipolare, ma esiste un mercato mondiale in cui gli Stati Uniti occupano una posizione dominante. Allo stesso tempo, Germania, Cina, Russia, Giappone e altri paesi sono pronti a competere con gli Stati Uniti per il dominio del mondo.
La politica mondiale è determinata dall'equilibrio di potere tra i centri imperialisti. Ma questo rapporto è in costante cambiamento, come evidenziato dalla situazione attuale in Ucraina. Il conflitto nel Donbass illustra perfettamente il ruolo della Germania nel sistema della divisione internazionale del lavoro. Da un lato è partner minore degli Stati Uniti, d'altra parte sta già cercando di diventare partner di maggiore livello. Nel primo caso, la Germania, è costretta a introdurre sanzioni contro la Russia, ma nel secondo caso cerca di influenzare il conflitto in Donbass seguendo il “formato Normandia”, ovvero senza gli Stati Uniti. La Germania vuole condurre la propria politica in Europa, ma ancora è costretta a prendere in considerazione gli interessi degli Stati Uniti, a cui è vincolata in relazione alla nascita del proprio imperialismo.
Gli Stati Uniti sono interessati principalmente a distruggere il potenziale industriale del Donbass, la sua industria carbonifera, e alla fine assorbire il mercato energetico ucraino. A conferma di quanto è stato detto, nel settembre 2017 ci sono state prime consegne di carbone americano ad Odessa.
Lo stesso destino spetterà a tutta l'Europa. Non è esagerato affermare che la guerra nel Donbass è una manifestazione della lotta degli Stati Uniti per il mercato dell’energia dell'Europa, dove le posizioni della Russia sono ancora forti. La Germania, in questo confronto, si sta orientando verso la parte russa, nella quale vede un rivale più debole. L'assorbimento del mercato europeo dell'energia da parte del capitale americano indebolirà considerevolmente le posizioni dell'imperialismo tedesco.
Attualmente, gli Stati Uniti sono il secondo produttore di mondiale di carbone, secondo solo alla la Cina. Circa 900 milioni tonnellate di materie prime vengono prodotte ogni anno, ovvero oltre 11% del volume mondiale. Nel 2016 la produzione di carbone nel mondo è diminuita, ma l'anno successivo è nuovamente aumentata. L' aumento più significativo (del 19%) è stato osservato negli Stati Uniti. Uno dei motivi è un forte aumento delle esportazioni di carbone. Nel 2017 le esportazioni degli Stati Uniti sono aumentate di oltre il 60% rispetto all'anno precedente. L'esportazione nel Regno Unito è aumentata del 175%, in Francia è raddoppiata. In 10 anni, dal 2003 al 2013, le forniture di carbone americano al Regno Unito sono aumentate di oltre 10 volte, in Germania di 15 volte.
Gli Stati Uniti sono il secondo esportatore di “oro nero” in Europa, dopo la Russia. Ma con l'aiuto delle sanzioni anti-russe e l'aumento delle esportazioni, gli americani mirano a diventare leader nel mercato energetico europeo. Allo stesso tempo, la produzione di carbone in Europa continua a diminuire. Così in Gran Bretagna l’ultima miniera di carbone è stata dismessa nel dicembre 2015, anche se più di 3.000 imprese operavano lì un centinaio di anni fa. In Germania c’erano solo due miniere di carbone operative, che saranno chiuse nel 2018. Negli Stati Uniti, al contrario, Donald Trump ha revocato le restrizioni sull'estrazione del carbone introdotte da Barack Obama. Negli Stati Uniti ci sono le più grandi riserve di carbone del mondo, ma i monopoli del gas americano temono di perdere la loro quota nel mercato interno dell'energia, quindi si oppongono all'aumento della produzione. Di conseguenza, Washington deve solo aumentare le esportazioni di carbone per mantenere a galla l'industria.
Tra Washington e Kiev ci sono accordi sulla fornitura di milioni tonnellate di carbone. A gennaio-novembre 2017 l'Ucraina ha importato oltre 17 milioni di tonnellate di carbone, 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. La quota della Russia nelle importazioni è del 56,36%, quella degli Stati Uniti, che sono il secondo fornitore di carbone in Ucraina, del 24,84%. Allo stesso tempo, l'Ucraina paga il 40% in più per il carbone americano rispetto al russo. A loro volta, le imprese minerarie ucraine del carbone, in questo periodo, hanno ridotto la produzione di oltre 5 milioni tonnellate (13,6%).
Nel breve periodo, l'elevata domanda di carbone in Ucraina continuerà. Il fatto è che fin dai tempi delle “guerre del gas” russo-ucraine, iniziate molto prima del “Euromaidadan”, le imprese iniziarono a convertirsi in massa dal gas al carbone. Questa tendenza viene ancora mantenuta oggi, quando Kiev tende in maniera molto più agguerrita al raggiungimento dell’“indipendenza energetica” da Mosca. Ma abbandonando il gas russo, l'Ucraina cade sotto la dipendenza dal carbone americano, mantenendo allo stesso tempo un forte bisogno di antracite, la quale ancora non può essere fornita dagli Stati Uniti in quantità sufficiente. Di conseguenza, l'Ucraina è stata costretta a cancellare le sanzioni contro un grosso fornitore di carbone russo, “Yuzhtrans”. Contemporaneamente riduce la propria produzione dichiarando il blocco della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, distruggendo il potenziale industriale del Donbass con l'aiuto dell'artiglieria.
Il conflitto nel Donbass è l'ennesima conferma del fatto che l'imperialismo si trova in una crisi sistemica. I capitalisti stanno cercando di risolvere il problema della sovrapproduzione di beni con mezzi militari. Nel contesto imperialista questo si realizza con la distruzione di una parte dei mezzi di produzione. Così il collasso dell’Unione Sovietica e la sconfitta del socialismo nell'Europa orientale hanno permesso per qualche tempo di assicurare la crescita della produzione nei paesi capitalisti avanzati. Per questo le repubbliche dell'ex campo socialista hanno pagato un calo significativo della loro produzione. Negli anni Novanta la perdita media del prodotto interno lordo pro capite è stata del 30%.
Per più di vent'anni lo spazio post-sovietico è stato oggetto di una politica imperialista. Ma la congiuntura favorevole dei prezzi delle risorse energetiche ha permesso di creare in Russia un prezzo sufficientemente efficiente per l'accumulazione di capitale. Con l'aiuto dell'Unione Economica Euroasiatica, che è un'alleanza dei paesi borghesi, e non è la “URSS-2”, Mosca cerca di conquistare una posizione più o meno dignitosa nel sistema mondiale della divisione del lavoro. Tali alleanze, come l'Unione Economica Euroasiatica, sono pensate con un unico obiettivo: organizzare efficacemente il processo di estrazione del profitto, che può essere ottenuto solo dallo sfruttamento delle forze di lavoro. Come dovrebbero sentirsi i comunisti riguardo a tale alleanza? La risposta potrebbe sembrare paradossale, abbiamo il dovere di sostenerla!
Innanzitutto, l'Unione Economica Euroasiatica, è un'unione volontaria. Ed è ricercata non solo dalla borghesia, ma anche dalla maggioranza della popolazione. Da parte dei comunisti sarebbe un’insensatezza da un punto di vista dottrinario andare contro questo processo solo perché questa Unione non porta alcun beneficio ai lavoratori. Ma questo non significa che non dovremmo criticarla. L'Unione Economica Euroasiatica consente alla borghesia di trarre benefici economici, ma lascia i lavoratori politicamente divisi. I comunisti devono criticare l'incoerenza della borghesia e chiedere una piena fusione politica dei paesi. Il capitale è più facile da nazionalizzare quando è più concentrato. Se ci sono meno divisioni politiche è più facile per il proletariato far fronte al potere del capitale.
Nei suoi scritti, V. Lenin parla della necessità di unire le nazioni e deduce la seguente formula: i comunisti dei paesi oppressori devono difendere la libertà dei paesi oppressi e difendere la loro secessione.
I comunisti dei paesi oppressi possono appoggiare sia l'indipendenza politica della loro nazione, sia la sua inclusione nello stato vicino. Nella “libertà2 di secessione e “libertà” di unione c'è un genuino internazionalismo. E non può esservi altro modo per unire le nazioni. Secondo V. Lenin, i comunisti dei paesi oppressi hanno un leggero vantaggio. Possono sostenere sia la secessione che l'adesione, rimanendo internazionalisti. Ma in tutti i casi, i comunisti devono porre la libertà e l'uguaglianza universali al di sopra degli interessi della loro nazione.
Durante gli anni dell'indipendenza, la maggioranza della popolazione ucraina ha sostenuto l'adesione del paese all'unione guidata dalla Russia. Tutti i presidenti ucraini, nonostante la loro politica incoerente, sono stati costretti a tenerne conto. Quando il nuovo governo raggiunse il potere a seguito del colpo di stato nel febbraio 2014, cominciò a seguire un corso strettamente pro-occidentale, ignorando apertamente gli interessi della maggioranza. Allora nel Sud-Est del paese sono iniziate le proteste di massa, che hanno portato alla “sfilata della sovranità”. E questo non è merito di V. Putin. Dopotutto, la sua politica nei confronti dell'Ucraina rimaneva la stessa, sia prima che dopo l’“Euromaidan”. È La politica di Kiev ad aver subìto un radicale cambiamento.
Gli eventi del 2014 ci dicono che la Federazione RUSSA, da oggetto si è trasformata in un soggetto della politica imperialista. Con l'annessione della Crimea e il sostegno della regione del Donbass, Mosca sta cercando di rispondere adeguatamente alla politica dell'UE e degli Stati Uniti, che hanno deciso di dominare in maniera incontrastata l’Ucraina. Kiev, con la sua tirannia nei confronti del Sud-Est, ha creato tutte le condizioni necessarie per la realizzazione di una politica di successo da parte di Putin. Se, dopo il referendum in Crimea, qualcuno ancora aveva dei dubbi sullo spontaneo desiderio della popolazione locale di unirsi alla Russia, spiegando tale esito con la presenza degli “uomini in verde”, dopo gli eventi in Donbass tali dubbi dovrebbero essere del tutto fugati. Qui non c’era nessun esercito russo ma, al contrario, vi erano militari ucraini che sparavano sui seggi elettorali e radevano al suolo edifici civili.
In questo caso i comunisti devono denunciare l'incoerenza dei capitalisti russi, che impediscono non solo l'integrazione economica della penisola (molte aziende che operano in Russia, si rifiutano di lavorare in Crimea), ma anche il riconoscimento politico delle repubbliche popolari DNR e LNR (su cui insiste il partito COMUNISTA), temendo immediate sanzioni da parte dell'UE e degli Stati Uniti. Il Donbass si è separato dall'Ucraina per unirsi alla Russia o, almeno, all’Unione Euroasiatica. Invece, sul territorio del Donbass, sono apparse due Repubbliche non riconosciute, isolate dall’estero. Così, al posto della dissoluzione delle vecchie frontiere, ne sono nate di nuove. Ma la situazione in Donbass sarà una buona lezione per i lavoratori, i quali avranno modo di capire che la causa della loro sofferenza non può essere inquadrata semplicemente nell’oligarchia, nell’imperialismo della UE e degli Usa, ma nel capitalismo in sé.
Il secondo motivo per cui è necessario appoggiare l’Unione Economica Euroasiatica, consiste nel fatto che si oppone all’imperialismo USA, nostro principale nemico. Inoltre, in una prospettiva di lotta contro gli USA, a volte vale la pena anche di sostenere la UE, soprattutto rispetto alle relazioni con Cuba. Quando Trump annunciò di inasprire il blocco contro Cuba, il capo della diplomazia UE, Federica Mogherini, ritenne tale proposta inaccettabile.
In terzo luogo, l’Unione Economia Euroasiatica, crea molti meno ostacoli rispetto allo spostamento di forza lavoro dall’Ucraina al Donbass, rispetto alla UE. Inoltre, alcuni deputati, hanno manifestato la presunta intenzione di presentare alla duma di Stato della Federazione Russa disegni di legge sull'abolizione dei brevetti di lavoro per i cittadini di DONETSK, che operano in Russia, oltre ai limiti di tempo del loro soggiorno. Se si tratta solo di una mossa pre-elettorale, per i comunisti diventerà occasione per individuare l’incoerenza dei politici borghesi.
In quarto luogo, l'unione con la Russia consentirebbe, almeno in parte, di mantenere l'industria del Donbass – oggettiva condizione di esistenza del proletariato. Il crollo dell'Unione Sovietica ha dimostrato che l’industria sovietica aveva un’impostazione adatta non solo per la costruzione del socialismo, ma anche per la produzione capitalistica. Per il capitale russo la conservazione del potenziale industriale è una questione di sopravvivenza. L'imperialismo UE e USA, al contrario, cerca di distruggerlo. Se non ci saranno mezzi di produzione, allora non vi saranno nemmeno lavoratori dell’industria. Ma del loro ruolo negli eventi in Donbass parleremo nella prossima parte.

 

 

 

PARTITO E CLASSE - PARTE TERZA
L'essenza di classe dell'“anti-Maidan” in Donbass

 

Fino al 2014 in Donbass la questione della separazione o, almeno, dell'acquisizione di uno status autonomo nell'ambito dello stato ucraino, è cresciuta a più riprese. Questo tema è stato oggetto di contrattazione tra il grande capitale locale e Kiev. Inoltre, nel 1994, nelle regioni di Donetsk e Lugansk, si tenne un referendum in cui la maggioranza dei votanti ha votato per un sistema federativo. Successivamente, la questione del federalismo, è stata avanzata nel 2004, durante il congresso a Severodonetsk. All'epoca, i rappresentanti delle regioni Sud-orientali dell'Ucraina, presero la decisione di tenere un referendum e di dichiarare l'autonomia del Donbass, se Viktor Yanukovich non fosse stato riconosciuto presidente dell'Ucraina. Dopo il ‘terzo turno’ di voto, come presidente fu confermato Viktor Yushchenko; come conseguenza, si è iniziato a parlare con molta più insistenza della federalizzazione del Paese.
In primo luogo, il Partito delle regioni, che a suo tempo difese gli interessi del grande capitale in Ucraina, con più insistenza degli altri ha parlato di federalismo. Questo capitale, dopo il potere economico, aspirava al potere politico. Per questo era pronto a dividere il Paese. Nel 2005, accuse di separatismo sono state avanzate contro un certo numero di deputati ucraini e contro gli ex governatori di Kharkiv e Lugansk. Ma l'evento che ha fatto più scalpore è stato l'arresto del presidente del Consiglio Regionale di Donetsk, Boris Kolesnikov, da parte del procuratore generale. A dire il vero, lo convocarono prima per la questione del separatismo, dopo di che fu arrestato con l'accusa di estorsione. Sembra strano, ma l'arresto di Boris Kolesnikov andava bene ad entrambe le parti. Viktor Yushchenko fece proprio lo slogan «banditi in carcere», e il Partito delle regioni con aria di sfida denunciò sui media la repressione del “Potere arancione” contro i “combattenti per l'idea”.
Mentre l'attenzione dell'elettorato si focalizzava sull'arresto del rappresentante al Consiglio regionale di Donetsk, tra il presidente e “i regionalisti” furono portati avanti dei negoziati, tra l'altro, in maniera relativamente positiva. Un mese dopo la liberazione di Boris Kolesnikov, Viktor Yushchenko mandò in pensione il primo ministro Yulia Tymoshenko, e nel mese di settembre 2005, con il sostegno attivo dei deputati del Partito delle regioni, il nuovo primo ministro è diventato Yuri Yekhanurov. Tanto più gli elettori erano convinti della mancanza di princìpi del Partito delle regioni, tanto minore è diventata la sua popolarità. Come la lotta per il russo come seconda lingua di Stato si fermò in concomitanza con la campagna elettorale, allo stesso modo, i “regionalisti” misero in secondo piano la convocazione di un referendum federalista subito dopo la conclusione degli accordi con Viktor Yushchenko. Con la vittoria di Viktor Yanukovich alle elezioni presidenziali nel 2010 e fino alla sua caduta nel 2014, la questione del federalismo non ha avuto risalto presso il Partito delle regioni
Il 22 febbraio 2014, a Kharkov, si svolse una riunione dei deputati del Sud-Est dell'Ucraina, in cui si annunciò la volontà di assumere su di sé tutto il potere in conseguenza al colpo di stato a Kiev. Tuttavia, la fase successiva delle trattative non durò a lungo. Ad esempio, a Donetsk, già il 1° marzo, le autorità locali, che una settimana prima speculavano sul tema della disobbedienza al potere di Kiev, cercarono di organizzare una manifestazione a sostegno del governo centrale. Decine di migliaia di manifestanti non sostennero tali azioni, e chiesero le dimissioni dei funzionari che riconoscevano l'autorità centrale, e anche un referendum sullo status della regione.
Dopo che il rappresentante dell’amministrazione regionale di Donetsk, Andrey Shyshatskiy, protetto dell’oligarca di Donetsk Rinat Akhmetov, ignorò le richieste dei manifestanti, è stato effettuato un tentativo di assalto ad un edificio amministrativo.
La differenza principale tra gli eventi del 2004, verificatesi nel Sud-Est, e gli eventi del 2014, sta nel fatto che nel primo caso si sono svolti completamente sotto il controllo degli oligarchi locali e sono stati utilizzati nella lotta contro le altre fazioni oligarchiche, mentre nel secondo si sono svolti contro la loro volontà. Il fatto è che in dieci anni è cambiato l'equilibrio di potere all'interno del Paese e fuori. Gli oligarchi, chiarendo i rapporti al loro interno, si basano sulla piccola borghesia e sul proletariato, ma nel 2014, nel Sud-Est, le forze piccolo borghesi sono andate fuori controllo e hanno iniziato a rivendicare un ruolo indipendente. I capi dell’“anti-Maidan” e della “primavera russa” nel Donbass, a partire dall'ex governatore del popolo Pavel Guberev, fino all’attuale presidente del Consiglio Popolare della DNR (Repubblica Popolare di Donetsk) Denis Puscillin, provengono dalla piccola borghesia. In questo consiste la differenza principale tra il l’“anti-Maidan” e l’“Euromaidan” (protesta fin dall'inizio manovra dagli oligarchi).
Anche nel 2004 gli oligarchi di Donetsk controllavano il “separatismo” locale. Sulla scia degli eventi nacquero una serie di organizzazioni, tra cui la “Repubblica di Donetsk”. Così, Alexandr Tsurkan, in quel momento presidente e tra i fondatori di questa organizzazione, durante le elezioni presidenziali del 2004 ha lavorato con lo staff di Viktor Yanukovich, che indicava la presenza di una sorta di connessione tra le attività del Partito delle regioni e l'avvento della “Repubblica di Donetsk” (tra virgolette, intesa come organizzazione popolare, da non confondersi con la Repubblica vera e propria, N.d.T). Il grande capitale ha cercato di far passare i propri interessi come l'interesse di tutto il Donbass e del Sud-Est dell'Ucraina. Pertanto, per i “regionalisti” era importante mostrare che, l'appello per la creazione di una federazione di partiti, non proveniva tanto da loro, quanto dal “popolo”. Anche se organizzazioni come “Repubblica di Donetsk” fossero sorte esclusivamente su iniziativa dei loro fondatori, le attività sociali tuttavia non sarebbero uscite mai dalla cornice determinata dal grande capitale.
Nel 2014 la situazione in Donbass è cambiata. Attualmente “Repubblica di Donetsk” è la forza trainante della DNR, ma tra gli esponenti dello stato non riconosciuto, non ci sono gli oligarchi. L'“anti-Maidan” nel Donbass fin dall'inizio è stato un movimento democratico, cioè un movimento indipendente della piccola borghesia. Gli oligarchi, al contrario, si opponevano uniti all'“anti-Maidan”, dimenticando per un po' di combattersi tra di loro. Alla DNR è stata dichiarata guerra, sia dal “padrone del Donbass”, Rinat Akhmetov, sia dal suo rivale Sergey Taruta. Ma le azioni, anche le più radicali, della piccola borghesia, rimangono incongruenti. Fino all'ultimo hanno cercato di raggiungere un accordo con gli oligarchi locali, assicurandoli che non ci sarebbe stata alcuna nazionalizzazione. Anche l'introduzione nel marzo 2017 della gestione esterna di tipo statale nelle imprese, prima di proprietà della grande borghesia, non deve trarre in inganno. Ciò non avvicina affatto il Donbass al socialismo. Anche Friedrich Engels scrisse nel “Anti-Dühring” che nella società capitalista ci sono casi in cui lo Stato è costretto a prendere il controllo di alcuni rami dell'economia.
L'attuale situazione nel Donbass incarna l'idea piccolo-borghese di mantenere le relazioni di mercato, ma senza l'oligarchia. Il problema è che una tale società non può sopravvivere per molto tempo. La logica delle relazioni merci-denaro è tale che, o vengono superate, cioè al capitalismo si sostituisce il socialismo, o tali relazioni ritornano alla posizione iniziale. Non appena la DNR ha cercato di liberarsi da un gruppo di oligarchi, subito è sorta la minaccia da parte di un altro gruppo. Secondo alcune fonti, un oligarcha, Sergey Kurcenko, vicino alla famiglia di Viktor Yanukovich, cerca di influenzare l'economia della Repubblica. Dopo il colpo di stato a Kiev, anche lui, come il presidente, è fuggito dal paese e attualmente vive in Russia.
È qual è il ruolo del proletariato negli eventi del Donbass? Certamente ha partecipato agli eventi, ma non come una forza indipendente, bensì come parte del movimento democratico. Salvo rare eccezioni, i lavoratori hanno agito in modo organizzato e sono intervenuti con le proprie esigenze. In alcune città, nelle fabbriche e nelle piazze centrali, hanno organizzato diversi raduni a sostegno dell'DNR. La più grande manifestazione è avvenuta il 28 maggio 2014 a Donetsk. Contro l'operazione “Antiterrorista” in Donbass, circa un migliaio di minatori hanno partecipato alla marcia di protesta, avvenuta due giorni dopo il bombardamento di Donetsk da parte dell'aviazione di Kiev. I combattimenti aumentarono significativamente il pericolo di una situazione d'emergenza nelle imprese. L'impatto di un proiettile in una sottostazione della miniera, equivale a morte sicura per i minatori. Ecco perchè con le proteste sono scesi in strada. È interessante notare che i tentativi di Rinat Akhmetov di organizzare una protesta dei lavoratori a Mariupol contro la DNR pochi giorni prima, non ebbero molto successo.
Nel Donbass la maggior parte dei lavoratori si oppose al colpo dello stato di Kiev, simpatizzando con la DNR. È importante poi evidenziare come i partecipanti all'“Euromaidan” trattarono con disprezzo il proletariato del Donbass, chiamandolo “bestiame”, cercando, poco prima del colpo di stato di esportare la loro “rivoluzione”, tramite periodiche incursioni nel Sud-Est del paese. Proprio per il fatto che l'“Euromaidan” è stato appoggiato dagli oligarchi, inclusi quelli di Donetsk, il proletariato si è opposto ad esso. Nel Donbass risuonarono gli slogan contro gli oligarchi, non causati tuttavia da una protesta contro lo sfruttamento in quanto tale, ma contro i capitalisti intesi come sostenitori e partecipanti al colpo di stato. Qui non abbiamo a che fare con una posizione di classe, ma con patriottismo locale. Niente di sorprendente, perché l'introduzione della coscienza di classe è compito dei comunisti. Altrimenti il proletariato continuerà a svolgere il ruolo di “sinistra della borghesia”.
Dagli eventi in Donbass è possibile fare la seguente conclusione: in determinate circostanze le masse lasciano uno stato di indifferenza e sono pronte non solo ad una partecipazione passiva agli eventi, prendendo cioè parte a raduni e votando in un referendum, ma anche ad azioni attive. Sono pronti non solo a simpatizzare per un'idea, ma anche a lottare per essa. Questo vale anche per i lavoratori. Con l'inizio delle ostilità è stata creata la “Divisione di Minatori” in cui entrarono a far parte in particolare i minatori della miniera Scochinskiy. Uno dei comandanti della divisione, che attualmente dirige un'organizzazione sindacale, è un minatore. La sua divisione ha preso parte a molte battaglie, tra cui la battaglia di Shakhtersk. L'esperienza militare dei lavoratori del Donbass, ovviamente, non passerà senza lasciare traccia. Infatti, la condizione necessaria per una rivoluzione socialista è il proletariato indurito nelle battaglie, guidato dal partito comunista rivoluzionario.