[L’Europa, un vascello senza più rotta, guidato da cinismo e incapacità.]
prende male l’onda
la barca d’europa
del fasciame logoro mostra la corda
ché nessuno lo vuole calafatare
non vede lontano
il marinaio cieco che naviga a vista
la maligna tempesta non sa prevedere
e la fame di vita rigetta
se l’orgogliosa legge del mare tradisce
e d’omicidio si macchia
ma chi porta nel cuore quest’amara cicatrice
senza ristoro mendicherà la sua pace
di nessuna pietà esangue
il cattivo-porto sarà la sua croce
intanto in TV a bruxelles
s’abbracciano si baciano si strusciano
false dame di carità
(Castelvetro di Modena, 18 luglio 2018)
SOMMARIO
Hofbauer, Hannes:
Europa. Ein Nachruf
Promedia 2020. 272 S. 14,8 x 21. brosch.
Print: € 22,00. ISBN: 978-3-85371-475-1.
E-Book: € 17,99. ISBN: 978-3-85371-883-4.
Der herrschende Diskurs erlaubt kein negatives Eigenschaftswort zum Begriff „Europa“. Allenthalben wird über mehr Transparenz, bessere Kommunikation und effektivere Verwaltung debattiert. Das Konstrukt der Europäischen Union wird als alternativlos dargestellt; alternativlos als Großraum im weltweiten wirtschaftlichen Konkurrenzkampf ebenso wie als Garant für eine – angeblich – demokratische Wertegemeinschaft.
Hannes Hofbauer entlarvt das in Brüssel, Berlin und anderswo gemalte Selbstbild als ideologische Begleiterscheinung ökonomischer Protagonisten, die für ihre Geschäfte einen supranationalen Raum und einen entsprechenden militärischen Flankenschutz brauchen. Und er weist den hegemonial-liberalen Ansatz, wonach eine Infragestellung des „europäischen“ Selbstverständnisses quasi automatisch rechts wäre, entschieden zurück.
Der Autor verfolgt die Europa-Idee bis ins Hochmittelalter zurück und zeigt, wie die Verschmelzung von Antike und Christentum schon vor 800 Jahren zu einem Drang nach Osten geführt hat. Das Selbstverständnis der Kreuzzüge war weströmisch-europäisch. Auch der Kampf von Herrscherhäusern um Vorherrschaft spielte sich auf dem europäischen Tableau ab. Und die zwei bislang verheerendsten Feldzüge in Richtung Osten, jener Napoleons und jener der Wehrmacht, folgten sehr unterschiedlichen, heute verquer wirkenden Europabildern. Nur wenige Europa-Visionen waren von sozialen Utopie- und Friedensvorstellungen geprägt.
Der Großteil des Buches beschäftigt sich mit der Geschichte der EU-europäischen Einigung, die vom Kohle-Stahl-Pakt über die Einheitliche Europäische Akte, Maastricht und den Vertrag von Lissabon bis zu den Zerfallsprozessen unserer Tage reicht. Die vielfachen Warnungen an die Brüsseler Ratsherren, ablehnende Referenden in Frankreich, den Niederlanden, Irland und EU-feindliche Stimmungen in vielen Mitgliedsländern, wurden in den Wind geschlagen. Auch das britische Brexit-Votum im Jahr 2016 stellte keinen Weckruf für die Apologeten der Supranationalität dar. Wie stark die nationalen Fliehkräfte entwickelt sind, zeigt der Umgang mit der Bekämpfung eines Virus, dem sich das abschließende Kapitel widmet.
Es ist Zeit, sich Gedanken über eine Welt nach dem Scheitern der Brüsseler Union zu machen.
Der Autor
Hannes Hofbauer, geboren 1955 in Wien, studierte Wirtschafts- und Sozialgeschichte. Publizist und Verleger. Im Promedia Verlag ist von ihm u.a. erschienen: „EU-Osterweiterung. Historische Basis – ökonomische Treibkräfte – soziale Folgen“ (2. Auflage 2007) und „Feindbild Russland. Geschichte einer Dämonisierung“ (2016).
Perché la cosa più insopportabile che ormai silenziosamente subiamo è l’arroganza del nostro Occidente nel presentarsi come il modello ottimale di società e per questo il garante della democrazia nel mondo, nonostante i disastri seminati in tutto il Medio Oriente, in Afghanistan, ma anche dalle nostre parti dove la disuguaglianza cresce ogni giorno di più.
MERAVIGLIA LA MERAVIGLIA di chi si allarma perché Putin ha schierato tanti carri armati al confine ucraino: e cosa si aspettavano che facesse uno come lui, cui così è stata regalata la possibilità di conquistare popolarità nel suo paese – e di usarla per il peggio – vista la scellerata politica dell’Occidente nei confronti della Russia? Dopo la caduta del Muro si sarebbe finalmente potuto dare avvio a un processo inclusivo, graduale adesione dell’Europa dell’est e collaborazione con la Russia, europea solo a metà, è vero, ma difficilmente separabile dal nostro contesto storico-culturale. E invece si è imboccata la strada opposta, in parte annettendo, in parte costruendo un lebbrosario dove isolare la Russia. Di cosa la accusiamo? Di aver ammassato carri armati ai suoi confini, sempre in terra russa, con l’Ucraina? Ma gli Stati Uniti, per conto loro o con gli alleati, non hanno forse riempito da decenni il mondo di centinaia basi militari e guerre ma a migliaia di chilometri dalle proprie frontiere?
RICORDO BENE COME fu avviata la politica dell’Unione Europea quando il Muro cominciò a vacillare, in quegli anni ero a Bruxelles nell’Europarlamento. A capo dell’ Unione sovietica c’era finalmente un uomo come Gorbaciov che generosamente offrì il ritiro delle sue truppe dai territori del Patto di Varsavia in nome di un superamento della guerra fredda e dunque con l’impegno che si facesse altrettanto, di non estendere all’est il Patto Atlantico. In favore di una simile ipotesi c’era un grande movimento pacifista, il solo grande movimento realmente europeo che ci sia stato, che lottava per «un’Europa senza missili dall’Atlantico agli Urali»; c’erano molti leader socialdemocratici di sinistra alla direzione dei loro rispettivi partiti che l’appoggiavano (Foot, Palme, Kreiski, Papandreu, molti Spd; in Italia, ma isolato nel suo stesso partito, Berlinguer). Si sarebbe potuto tentare un nuovo assetto che seppellisse la guerra fredda.
E INVECE QUELL’OCCASIONE fu sepolta e siamo oggi difronte a un rischio molto peggiore. Perché prima c’erano le grandi bombe atomiche di cui i presidenti avevano le chiavi, ora il nucleare è diventato componente di munizioni maneggevoli alla portata di molti, matti o umani che sbagliano. Ricordo quando, nel ’93, l’Europa, avendo già appiccato con gli americani il fuoco nel Medio Oriente, passò ufficialmente da Comunità, alla più impegnativa Unione, e per Costituzione al famigerato Trattato di Maastricht.
NON ERANO STATE ANCORA rimosse le bandiere disposte a ornamento della Sala dove si era tenuto il battesimo che uno dei suoi membri più autorevoli, la Germania, si affrettava a intervenire, inizialmente da sola poi seguita da tutta l’Unione, nelle vicende jugoslave riconoscendo, in barba ad ogni norma internazionale in vigore, l’indipendenza della Croazia che si proclamava tale su base etnica. Soffiando così sul fuoco che stava divampando con un ridicolo richiamo persino alla comune appartenenza al cattolico Impero Austroungarico, comunità storica da contrapporre a slavi e ortodossi. Il tutto accompagnato da una campagna di lusinghe per rendere più infuocata l’ossessione nazionalista e così smontare l’intrusa Repubblica jugoslava, corposo ingombro nel rapporto fra est e ovest. E così fin dall’inizio, l’«allargamento» comandato da Bruxelles, è diventato reclutamento di chi poteva presentare più similitudini con l’Occidente, nel bene e anche nel male.
UFFICIALMENTE la lungimirante linea venne lanciata a un summit a Copenaghen, nel 1999, nuovo Presidente della Commissione Ue Romano Prodi, appena reduce dalla presidenza del Consiglio italiano. Una operazione presentata come caritatevole, e a chi, come la nostra sinistra obiettava, il rimprovero di non esser generosi e perciò di voler escludere i poveri dell’est dall’accesso alla bella torta con la panna che l’Ue rappresentava. Una carità avvelenata: lunghe trattative preliminari per obbligare i candidati all’ingresso ad ingoiare tutto quello che era stato stabilito senza di loro nei quarant’anni precedenti – “l’acquis communautaire” (“il diritto comunitario acquisito”) – in buona sostanza le regole del libero mercato: la privatizzazione di banche, servizi pubblici, libera competitività e il libero scambio e dunque l’esposizione alla libera concorrenza internazionale, abbinata alla proibizione di sostegni statali alle aziende. Più o meno come in Africa: ottimo per una nuova borghesia compradora, ulteriore miseria per i più poveri (è bene guardare i dati completi, per capire cosa questo regalo ha prodotto).
IL VELENO PIÙ MORTALE è stato tuttavia quello le cui possibili nefaste conseguenze si vedono oggi: nell’“acquis communautaire”, mai ufficialmente validato da un atto formale, c’è di fatto la Nato, la libertà, dunque, di piantare missili nucleari ovunque arrivino le frontiere dell’Unione. Fin sotto il naso della Russia. Con che faccia possiamo protestare per la Crimea quando abbiamo riconosciuta una dopo l’altra l’indipendenza di tutte le nazioni della federazione Jugoslava, nonostante l’accordo postbellico di non toccare i confini di nessuno stato senza un negoziato fra tutte le parti? Perché mai adesso non riconosciamo uguale diritto alla Russia che ha almeno qualche ragione in più per appoggiare la scelta della grande maggioranza degli abitanti della Crimea, russa da secoli e poi, per un gesto di cui nessuno poteva allora valutare il peso, regalata all’Ucraina, allora federata, dall’ucraino Krusciov e che oggi, con un voto al 95 %, è tornata ad essere parte del paese cui è appartenuta per secoli?
NEL 1947 HENRY WALLACE, ministro e ex vice del presidente Roosvelt, disse in un grande raduno popolare a New York che bisognava condividere con l’Urss i segreti nucleari e garantire ai suoi confini, in qualche modo come la dottrina Monroe di cui godevano gli Stati Uniti: fu estromesso dalla sua carica entro 12 ore. E 15 anni dopo, in nome di quella dottrina, rischiammo la guerra perché la piccola Cuba, concretamente minacciata come sappiamo, per via di quattro missili impiantati a sua difesa veniva ridicolmente accusata di voler attentare all’impero americano, un azzardo per il quale da più di 60 anni paga il prezzo altissimo delle sanzioni.
PURTROPPO L’EUROPA unita non è nata a Ventotene, ma a Washington: il primo voto in suo favore non fu di un Parlamento europeo, ma del Congresso americano, il 10 marzo 1947, su proposta di John Foster Dallas, Segretario di Stato e fratello di Alan, potente capo della Cia. La guerra fredda era appena cominciata e l’Occidente aveva bisogno di garantirsi una forza politicamente e militarmente unita lungo la Cortina di Ferro. Quell’impronta è rimasta sempre, e la nostra battaglia è recuperare l’ispirazione dei prigionieri antifascisti che mentre la guerra ancora infuriava avevano disegnato tutt’altro progetto. Dio mio che fatica continuare ad essere europeisti! Se insistiamo è solo perché l’idea di affidarsi al proprio Stato nazionale sarebbe infinitamente peggio.
La formula dell'Europa “sociale” funge da mascheramento per riformisti e capi sindacali che non vogliono mettere in discussione l'imperialismo e il capitalismo europei. Invece di chiamare con il suo nome l'Europa imperialista e combatterla, vogliono dipingerla con i colori sociale, ecologica e di altro tipo. Naturalmente, nessun capitalista, nessun ideologo borghese si lascia ingannare da tutto ciò, bensì gli sfruttati devono essere tratti in errore riguardo al carattere della UE e al capitalismo. Un'Europa capitalista è imperialista o non lo è affatto. Non può essere “sociale”, “ecologica”, “pacifica” o “antirazzista”. La Ue non è creata per realizzare pace e sicurezza sociale: tutt’altro. Il corso della UE è chiaro: vuole emergere come superpotenza imperialista in contrapposizione con gli USA.
Le “oscure origini” dell'UE
E’ strano come sia passato quasi inosservato, tra molti compagni sempre “sul pezzo” quando si tratta di cogliere un sciocchezza di Salvini o una sacrosanta soddisfazione di Eric Cantona, un titolo di prima pagina del confindustriale Sole24Ore: «L’Europa? Sia un impero potente al servizio di buoni propositi».
Da anni ci battiamo – con qualche successo, per fortuna – per spiegare che l’Unione Europea non è “soltanto” un mercato comune, ma una sovrastruttura semi-statuale che sta realizzando da 30 anni, a colpi di trattati comunitari e “raccomandazioni” sempre più ultimative un trasferimento di poteri politici dagli Stati nazionali alla struttura con sede a Bruxelles (o a Francoforte, per quanto riguarda la Banca centrale).
Facciamo questo lavoro di “spiegazione” sciorinando fatti, indicando il contenuto dei trattati, illustrando certe decisioni e certi “diktat”, che nell’insieme descrivono una politica di classe, determinata e feroce nei confronti di lavoratori (“fissi” e precari), pensionati, disoccupati, giovani e via elencando categorie popolari.
Un “mercato comune”, del resto, non si preoccuperebbe di controllare le politiche di bilancio dei singoli Stati, non cercherebbe (con non molto successo) di individuare una politica estera unitaria, di costruire coordinamenti gerarchici di polizie, intelligence, forze militari, apparati ideologici e di comunicazione, ecc.
Ma torniamo al titolo del Sole, perché il virgolettato appartiene al ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, che si candida a succedere all’attuale presidente, Emanuel Macron, ai minimi della popolarità in vista delle elezioni del 2022.
Ma non si tratta solo di una battuta audace o “provocatoria” – come gli piace presentarla – perché è accompagnata da una riflessione strategica alta, che connette passato e futuro dell’Occidente davanti alla sfida rappresentata dalla propria crisi sistemica e dall’emergere della potenza cinese.
Dunque la parola “impero” non è una voce dal sen fuggita, ma un obbiettivo politico da completare in tempi storici neanche troppo lunghi.
Il punto di partenza di Le Maire, nella sua informale chiacchierata con l’inviato Beda Romano, è il cardine della politica mondiale attuale:
«Ci chiedevamo quando gli equilibri mondiali si sarebbero spostati da Occidente a Oriente. Ebbene, è accaduto ora, ed è definitivo. L’epidemia ha accelerato il movimento. Prima di tutto sul fronte economico: la Cina ha appena firmato un accordo commerciale con altri 14 Paesi, tra cui il Giappone e la Corea del Sud, costituendo un nuovo gigantesco mercato unico. Poi sul versante tecnologico, la concomitanza è sorprendente: l’uscita dalla pandemia sta avvenendo mentre la Cina afferma il suo desiderio di autonomia strategica. Tra le altre cose vuole controllare l’intero ciclo della produzione di energia nucleare. Infine, sul fronte politico, il Paese sta lasciando intendere che il suo successo nell’affrontare l’epidemia dimostra come nei fatti il regime autoritario sia il più adatto nel XXI secolo».
Quest’ultimo punto rappresenta il nervo scoperto di tutto l’Occidente neoliberista, squassato dalla pandemia, con Pil in caduta verticale, mentre la Cina è l’unica grande economia mondiale a crescere anche nel 2020. Un disastro persino paradossale, visto che l’Occidente ha preferito “convivere con il virus” pur di non fermare affatto la produzione. Mentre la Cina ha praticato lockdown senza eccezioni di sorta, isolando i focolai di contagio fino a identificare tutti i contagiati testando l’intera popolazione delle zone colpite anche da pochissimi contagi.
Le Maire è anche un ideologo, non solo un ministro tecnico. E dunque sa che deve presentare questo scarto decisivo di efficacia nella risposta alla pandemia come prezzo che le “democrazie liberali – attente a rispettare i diritti della persona” hanno dovuto pagare. Mentre l’”autoritarismo cinese” poteva procedere chiudendo e schedando…
Sappiamo per esperienza diretta che la schedatura di massa, anche qui in Occidente, è totale. Ci sono venditori online che conoscono ogni nostra preferenza e quasi ci precedono nell’indicare una merce che vorremmo comprare. Volete che i governi non siano informati di cose ben più serie come le opinioni politiche, le intenzioni di voto, ecc?
Sorprendente, però, che anche a lui sfugga la constatazione più elementare: gli “autoritari” – che si dicono però comunisti, impegnati nella costruzione di un “socialismo con caratteristiche cinesi” – si sono preoccupati di combattere il virus e limitare le perdite umane; i “liberali democratici” hanno pensato soprattutto a salvare i bilanci aziendali. Eppure il primo dei diritti umani, in qualsiasi trattato o manuale, è il diritto alla vita.
L’algido e “distante” ministro francese lo sa bene, e sa anche che “sarà molto difficile” contrastare questa lettura degli avvenimenti, con gli occidentali avviati verso il secondo anno di lockdown stop-and-go, centinaia di migliaia di morti, disoccupati a milioni, consumi ai minimi, clausura in casa, mentre «a Wuhan, la gente si diverte e festeggia».
Le differenze di sistema, al di là delle luci e delle skyline, dei profitti multinazionali e del perdurante sfruttamento operaio, si vedono e si possono toccare. Anche le vecchie giaculatorie usate ai tempi della “cortina di ferro” – “non si può criticare”, “non circolano notizie”, “il popolo è tenuto all’oscuro”, ecc – sono frasi vuote davanti ai milioni di occidentali che vivono e lavorano lì tranquillamente, raccontando, spiegando, viaggiando avanti e indietro (con le sole limitazioni da Covid).
La partita che si è aperta è di quelle epocali. «Rispetto a fine Ottocento, quando gli Stati Uniti presero il testimone dall’Europa, il ribaltamento oggi non è solo geografico, è anche politico. I cinesi sostengono che i regimi autoritari sono migliori delle democrazie liberali».
Qui l’ideologia da far circolare costringe Le Maire a “tagliare per campi”. Il “ribaltamento possibile” è certamente anche politico, ma si fonda non sull’”autoritarismo” – basti vedere come qui vengono trattati i No Tav – anche se certamente il governo di Pechino non brilla per lassismo. C’è un sistema di vita e produzione che nella pandemia ha dimostrato non solo di essere più efficiente, ma anche di aver puntato a minimizzare le perdite umane.
Cosa che nel “libero Occidente” – da Johnson a Trump, da Bolsonaro a Macro, da Conte a Bonomi – non è passata neanche per la mente ai membri della “classe dirigente”. A tutti noi risuonano nella testa le frasi con cui esponenti di Confindustria come Bonometti (Bergamo) hanno giustificato la loro opposizione a fermare la produzione. Oppure quelle orripilanti del capetto delle imprese di Macerata, Guzzini: «Riapriamo. Se qualcuno muore, pazienza». Quel milione di morti, tra Europa ed Usa, che stiamo ormai raggiungendo, è stato insomma messo ampiamente nel conto…
Ma Le Maire sorvola su certi “dettagli” che ritiene ininfluenti. Ma è costretto a confessare l’errore strategico commesso circa 40 anni fa:
«Tutti pensavamo che progresso economico e progresso tecnologico avrebbero indebolito il partito comunista cinese. Nei fatti, invece, vi è oggi una incredibile concentrazione di potere. Mi chiedo se avverrà in Cina quanto avvenne in Europa alla fine del Settecento, con la fine delle monarchie assolute».
Il ragionamento alla base dell’errore era fortemente “eurocentrico”, tipicamente capitalistico: “se si sviluppa l’industria privata anche in Cina, allora si formerà un’élite in grado di scalzare il Partito Comunista e una classe media che pretenderà pluralismo politico, libertà d’impresa, ecc”. Non è avvenuto perché quello sviluppo è stato realizzato in un contesto di pianificazione e programmazione, dove la crescita della ricchezza – pur aumentando notevolmente le diseguaglianze sociali – si è tradotta in aumento del benessere per tutti. Al punto da far dichiarare “estinta la povertà”.
In soli 40 anni 800 milioni di persone hanno raggiunto condizioni di vita paragonabili, come potere d’acquisto, a quelle del “ceto medio” occidentale. E questo, non stranamente, ha consolidato il consenso per la guida politica del Paese, invece di ridurlo.
Qui in Occidente il confronto, anche senza pandemia, è imbarazzante. Negli Usa i senza lavoro sono oggi 110 milioni (su 340 milioni di abitanti), i salari sono fermi da decenni (la Fiat, comprando Chrysler ai tempi di Marchionne, impose il dimezzamento degli stipendi). In Europa la situazione sta diventando molto simile, e i vertici di Bruxelles chiedono un peggioramento drastico per concedere i fondi del Recovery Fund. Spagna e Italia dovranno “riformare” ancora il sistema pensionistico, e consolidare la liberalizzazione totale del mercato del lavoro (niente diritti, licenziabilità a discrezione, ecc).
Sì, si stanno delineando due mondi davvero differenti. Uno in cui non si può più materialmente vivere, l’altro dove si vive sempre meglio, secondo regole effettivamente diverse da quelle cui siamo abituati.
Buttarla in ideologia, in effetti, è più semplice, vero Le Maire?
«La nostra sfida è di difendere la nostra libertà personale, e al tempo stesso padroneggiare la nostra tecnologia». Neanche un accenno alle condizioni di vita delle popolazioni: libertà di impresa e superiorità tecnologica sono gli assi di quel pensiero strategico.
La volontà di “costruire un impero europeo” – sull’asse franco-tedesco, ovviamente, perché Parigi non avrebbe da sola nessuna possibilità – emerge a questo punto con assoluta prepotenza:
«Agli europei pongo alcune domande semplici: volete che l’Europa sia un mercato unico o non volete piuttosto che sia un progetto politico, nobile e idealista? Io mi batterò fino all’ultimo perché sia un progetto politico. Non mi interessa lavorare 17 ore al giorno per costruire un mercato. La seconda domanda è altrettanto semplice. Vi ricordate ancora chi siete e da dove venite? Veniamo da nazioni e da imperi. Siamo in fondo una idea politica che ha costruito nei secoli il Sacro Romano Impero, l’Impero Napoleonico, l’Impero Romano. Quest’ultimo dette al mondo il Muro d’Adriano, Cicerone e Tito Livio, il diritto, la democrazia, il gusto della parola e del discorso. Agli europei dico quindi di non dimenticare da dove discendiamo».
Se sentite lo sferragliare di carri armati in lontananza, o addirittura echi del Mein Kampfhitleriano, beh, non siete diventati paranoici, E’ proprio così.
«Il Nazismo fu un progetto folle, pericoloso, suicida, ma era un progetto politico di cui oggi l’Unione europea è la risposta agli antipodi.»
Tradotto: era una buona idea, un buon progetto politico, ma mal impostato e infatti perdente. Noi vogliamo fare la stessa cosa, ma con modalità diverse. E infatti:
«Agli europei chiedo: cosa vogliamo fare della nostra potenza? In passato abbiamo colonizzato, schiavizzato, conquistato. Abbiamo messo la potenza al servizio di cattivi propositi. Non dobbiamo per questo rinunciare all’idea di potenza. L’Europa deve dimostrare di poter usare la potenza al servizio di buoni propositi».
Usare la potenza per migliorare il mondo e le condizioni di vita degli esseri umani non gli passa neanche per l’anticamera del cervello. Il suo problema – quello di tutta la classe dirigente europea – è costruire un impero potente, in grado di competere, che si riprenda l’Africa e magari anche il Medio Oriente.
I “buoni propositi” sono qui come un adesivo floreale incollato sul fusto di un cannone. E, come si sa, di “buoni propositi” è lastricata la via dell’inferno.
Siete ancora sicuri che l’Unione Europea sia meno nazionalista o “sovranista” delle piccole nazioncine morenti? E siete proprio sicuri che questa “Europa” sia portatrice di “pace”?
Le Monde, 10 febbraio 1977
…la somma dei pericoli, mi pare così minacciosa per il futuro della libertà che desidero rivolgermi a voi nella speranza che il vostro partito rifletta ancora prima di impegnarsi sul ‘cammino europeo’ su cui oggi viene spinto.
L’Europa che ci presentano i signori Carter, Schmidt, Giscard e Andreotti non ha alcun rapporto con l’internazionalismo proletario, è estranea all’Europa dei lavoratori che per un secolo è stata l’ideale del movimento operaio occidentale.
Lo spirito dei suoi promotori, al contrario, la agita all’interno della dinamica attuale delle forze di classe per costruire un’Europa del Capitale, che sarà inevitabilmente dominata dalle multinazionali tedesco-americane…
Un appello è stato recentemente lanciato ‘per la formazione di un comitato d’azione contro l’Europa tedesco-americana e l’elezione di un Parlamento al suo servizio’.
Cosa dice questo appello? Dice che l’inflazione, la disoccupazione, la svalutazione monetaria, la recessione non saranno risolte con piani di austerità varati dai governi capitalisti dell’Europa meridionale, perché derivano necessariamente dal nuovo ordine internazionale imposto all’Europa dagli Stati Uniti e i loro alleati della Repubblica Federale Tedesca.
Questa austerità ricadrà per forza di cose sulle masse, non sui privilegiati. E la sua applicazione non sarà né facile né felice.
Fonte:
https://www.lemonde.fr/archives/article/1977/02/10/les-militants-socialistes-et-la-construction-de-l-europe_2876747_1819218.html