[srpskohrvatski / italiano] VIDEO sulla storia di Davor Ristic e la questione dei rapiti nel Kosovo Metohija
 
Aspettando Davor (Civg Informa, 3 mar 2023) [Čekajući Davora, nestalog na Kosovu]
Il film è stato realizzato dall’Associazione Madri dei Rapiti del Kosovo di Nis con cui il CIVG ha da 20 anni un Progetto di Solidarietà concreta. Gordana Ristic è la presidente dell’Associazione di Nis e referente di fiducia del CIVG in tutti questi anni.
Traduzione di Dimitri V., Sottotitolazione di Luigi Mezzacappa – CIVG, Centro Iniziative per la Verità e la Giustizia

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=1pS6Eo9POvE


 

La storia di Davor Ristic e la questione dei rapiti nel Kosovo Metohija


Continua in Serbia l’impegno di trovare e chiarire il destino delle persone rapite e scomparse in Kosovo e Metohija dal 1998 ad oggi, da persone armate e in uniforme che si definivano UCK, poi legalizzate in Kosovo dopo l'arrivo delle forze KFOR. Il 22 giugno sono 25 anni che Gordana Ristic, presidente dell’Associazione Rapiti del Kosovo Metohija, con cui, come SOS Kosovo Metohija-SOS Yugoslavia, siamo gemellati e costruiamo Progetti di solidarietà, continua, insieme a tutti i familiari degli scomparsi, a chiedere verità e giustizia. E noi, da 25 anni, siamo tenacemente al loro fianco. Qui il video con la storia di Davor Ristic, che vale per tutti loro.

Secondo le analisi statistiche effettuate in questi decenni da esperti, testimoni e periti internazionali, sul numero totale delle persone rapite e scomparse, circa 1300, il 20% è scomparso prima dell'aggressione della NATO, il 5% durante l'aggressione e il 75% dopo l'arrivo delle forze di pace. Le persone rapite e scomparse appartengono a tutte le nazionalità, minoranze nazionali, comunità etniche e di tutte le confessioni: serbi, montenegrini, musulmani, turchi, rom, gorani, albanesi e cittadini stranieri. Persone di età diverse sono state rapite e portate in luoghi sconosciuti: bambini, donne, anziani, adulti. Professori universitari, medici, giornalisti, studenti, studentesse, artigiani, agricoltori, artisti, sacerdoti, membri della polizia e dell’esercito, ecc. I rapimenti hanno colpito anche malati: disabili di varie categorie, ritardati, persone socialmente disturbate, persone affette da malattie incurabili. Violente privazioni della libertà e omicidi sono stati perpetrati nelle case domestiche, nei luoghi di lavoro, con imboscate nel traffico e in altri luoghi pubblici. Nel corso di tutti questi anni è emerso, attraverso informazioni e ammissioni, che le persone rapite e scomparse venivano portate in campi o prigioni private in Kosovo Metohija, Macedonia e Albania.

Il dramma delle persone scomparse e sequestrate, ha trovato nel libro dell'ex procuratore del Tribunale dell'Aja, Carla del Ponte, "La caccia, io e i criminali di guerra", la rivelazione di orrori e crimini, compreso un criminale commercio di organi umani. La notizia che in Albania vi erano stati luoghi di orrore ed efferatezze disumane, dove a serbi e altri furono dapprima asportati gli organi ad uno ad uno, e poi uccisi senza pietà a scopo del traffico di organi. La storia della famigerata “casa gialla” a Burelj in Albania è la più nota, ha suscitato nella popolazione serba e di tutti, un orrore e una ripugnanza non colmabili, se non con l’accertamento dei fatti, come dicono i familiari dei rapiti: “l’incertezza e il non sapere usurano e uccidono gli animi”.

Dopo che le famiglie avevano denunciato le scomparse, i soldati della KFOR e dell'UNMIK sono stati obbligati a indagare, forse, con un atteggiamento più giusto e imparziale, fossero intervenuti da subito con una condotta decisa e risoluta, indagando sul campo e facendo irruzioni in tutti i luoghi segnalati, e controlli adeguati, avrebbero sicuramente potuto salvare molte vite umane e a liberare centinaia di serbi, rom, albanesi e altri rapiti. Ma in pratica sono stati solo osservatori della situazione, così come la Croce Rossa Internazionale, che non ha rispettato la Convenzione di Ginevra e il II Protocollo supplementare che protegge la vita umana e il diritto umanitario sulla detenzione forzata. 
La polizia dell'UNMIK ha poi confermato che c'erano 144 campi, prigioni segrete, solo in Kosovo Metohija.

Da 25 anni i familiari dei rapiti cercano la verità. Una di questi è Gordana Ristic, da oltre 20 anni nostra referente di fiducia per i Progetti di solidarietà. Gordana è di Kosovo Polje, sta ancora cercando suo figlio Davor, scomparso il 22 giugno 1999 sulla strada tra Kosovo Polje e Pristina.

In piena disperazione e sperando di ritrovare suo figlio, aveva dato 8.000 marchi a un “mediatore” albanese, che gli aveva promesso di restituirle Davor, ma dopo aver preso i soldi è poi scomparso, è poi arrivata a offrire la sua casa in cambio dei resti del figlio. Ha chiesto aiuto a KFOR, UNMIK, Croce Rossa Internazionale, ma invano: Davor non è mai tornato a casa. “…Cerchiamo solo giustizia e vogliamo solo conoscere il destino dei nostri cari, non abbiamo bisogno nemmeno più di condanne, voglio solo sapere dove sono le ossa di mio figlio per poterlo seppellire, poterci piangere sopra e trovare la pace nell’anima e poi morire serena…”. 

Il dolore di questa madre, ormai per me una cara sorella e compagna di impegno, come quello di ogni familiare di rapiti, non si mitiga per un solo secondo:  “…Stava andando a Pristina da Kosovo Polje ed è stato rapito lungo il percorso. Non so cosa gli sia successo, c'erano tante voci su dove fosse stato portato: Lapusnik, Prizren... Fino ad oggi non ho scoperto la verità. Un giovane è stato riportato a Kosovo Polje ai suoi genitori, che avevano anche loro dato dei soldi, ma a differenza di me, forse i loro erano contatti migliori.  Ora ho anche ricevuto una lettera dal Tribunale Speciale dell’Aja, in cui è stata respinta la mia richiesta di parte civile contro Thaci e gli altri, per includere il caso di mio figlio nel processo in corso… Ho anche avuto un incontro con il capo della Commissione per le persone scomparse del Kosovo, Andin Hoti. Ci ha detto che hanno nuove informazioni sui luoghi in cui potrebbero trovarsi i resti dei nostri cari, ma che senza l'approvazione di Kurti non possono rivelare quei luoghi o avviare una ricerca… Chiedo ai rappresentanti degli stati e delle organizzazioni umanitarie di mettersi nella mia posizione e nella posizione di tutte le madri, non passa un minuto senza che io pensi a mio figlio. Perché non mi dicono dov'è, il corpo è stato portato in Albania? Dico a coloro a cui ho dato soldi, solo di dirmi dov'è mio figlio, concedermi solo di trovare i suoi resti, tutto il resto non mi importa più. Sono solo una madre che aspetta da 25 anni di seppellire un figlio, così avrò qualcuno che giacerà accanto a me nella tomba quando arriverà il mio momento…”, dice l'inconsolabile Gordana.