Informazione

(francais / italiano)

I profughi siriani scappano da noi

1) Siria: l'Occidente ha fatto uccidere l'archeologo (M. Correggia)
2) Le guerre imperialiste distruggono il patrimonio culturale mondiale (G. Raccichini)
3) François Hollande continue d’ouvrir la route de Damas aux coupeurs de têtes (S. Cattori)


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Palmyra. L'Occidente ha armato la mano degli assassini. Ipocrisia del Pd e di tutti gli altri sostenitori di guerre

Dopo l’ennesimo indicibile orrore, l’esecuzione a Palmyra dell’82enne archeologo siriano Khaled al Asaad, per mano dei terroristi del sedicente Stato islamico, in Occidente è una corsa da parte di tutti – governi, giornalisti, politici - a fregiarsi della sua memoria.  Strumentalizzando la sua morte. Ad esempio il martire sarà commemorato alle feste del Pd, ha comunicato il premier Renzi.
Peccato che molte delle organizzazioni e persone che ora si dichiarano commosse e indignate, in testa a tutti il Pd, da anni sostengano in vario modo la guerra in Siria e nel 2011 abbiano appoggiato la guerra Nato in Libia. A questi smemorati va ricordato quanto segue:
-          Il sedicente Stato islamico (nato in Iraq dopo il 2003 grazie alla guerra di Bush) è cresciuto perché in Libia la Nato (Italia compresa) è stata la forza aerea delle milizie terroriste e razziste che hanno distrutto il paese e poi sono dilagate in Africa subsahariana e in Siria;
-          In Siria lo Stato islamico è cresciuto (espandendosi dal 2014 anche in Iraq) con l’arrivo di combattenti stranieri grazie al flusso di aiuti materiali e all’appoggio politico dei paesi della Nato e delle petro-monarchie del Golfo, uniti nel cosiddetto gruppo di “Amici della Siria” (ora “Gruppo di Londra”), a vantaggio dei vari gruppi armati di opposizione. Questo ha alimentato – anche a colpi di propaganda e menzogne - una guerra che ha ucciso la Siria. E ha boicottato la pace. 
-          Eppure già dal 2012, come dimostrano documenti Usa desecretati e come tutti sapevano, l’opposizione armata era dominata da gruppi che miravano alla formazione di un califfato in Siria.
-          Gli aiuti Nato/Golfo all’opposizione armata sono aiuti a gruppi estremisti, perché sono evidenti le porte girevoli fra le diverse formazioni, che sul campo o si alleano o cedono armi e uomini ai più forti. Il cosiddetto Esercito siriano libero è un guscio vuoto. 
-          L’appoggio a estremisti presenti o futuri continua: Usa e Turchia sono impegnati nel programma di addestramento e fornitura militare alla “Nuova forza siriana” (i cui adepti poi rifiutano di combattere contro l’Isis o si arrendono ad Al Nusra); Arabia saudita e Qatar continuano nell’appoggio finanziario perché la guerra vada avanti. 
-          L’Italia sta zitta. Pochi giorni fa il ministro  Gentiloni ha accolto l’omologo saudita, impegnato anche a distruggere lo Yemen con la connivenza internazionale.

Marinella Correggia, Torri in Sabina


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Le guerre imperialiste distruggono il patrimonio culturale mondiale

25 Agosto 2015 – di Giorgio Raccichini, PCdI Fermo
da pdcifermano.wordpress.com

La recente brutale esecuzione di Khaled al Assad, anziano ed eroico archeologo siriano, ha generato un’indignazione in Occidente e in Italia a dir poco ipocrita. Da una parte si compiange lo scienziato morto per difendere la cultura, in quanto ha celato alla furia devastatrice dello Stato islamico i tesori dell’antica Palmira, dall’altra ci si è resi responsabili nel determinare una situazione che sta mettendo a rischio sia le vite umane e l’esistenza e l’indipendenza della Siria, sia un patrimonio storico-artistico e culturale di ineguagliabile importanza. Infatti, dal momento in cui i l’Occidente – insieme ad Israele, alla Turchia, all’Arabia Saudita e alle monarchie del Golfo – ha posto nel suo mirino l’obiettivo di cancellare la sovranità di un Paese troppo indipendente, non ha fatto altro che armare e finanziare organizzazioni antigovernative, costituite in gran parte da guerriglieri islamici provenienti spesso dall’estero, i quali hanno finito per alimentare il fenomeno dell’Isis.
Così questa organizzazione ha avuto la possibilità di agire e conquistare vasti territori distruggendo molte testimonianze storiche del passato dell’umanità, comportandosi come il califfo Omar, quando nel VII secolo d.C. venne conquistata Alessandria d’Egitto; dovendo decidere il destino della famosa biblioteca, come ricorda Luciano Canfora nel suo libro “La biblioteca scomparsa” (Sellerio, 2009), il califfo si pronunciò nel seguente modo: “Se il loro contenuto si accorda con il libro di Allah, noi possiamo farne a meno, dal momento che, in tal caso, il libro di Allah è più che sufficiente. Se invece contengono qualcosa di difforme rispetto al libro di Allah, non c’è alcun bisogno di conservarli. Procedi e distruggili”. Nel caso dell’approccio dell’ISIS alle testimonianze della storia e della cultura, sospetto tuttavia che entri in gioco, oltre ad un funesto e arcaico bigottismo, una più moderna volontà di guadagnare attraverso la vendita sul mercato nero dei reperti. E non mi meraviglierei che gli acquirenti si trovassero proprio in Occidente!

Il ministro Franceschini urla impotente: “Questo orribile atto non può rimanere senza risposta”. Renzi annuncia che Khaled al Assad verrà ricordato in tutte le feste dell’Unità, perché “non bisogna rassegnarsi alla barbarie”. Eppure il Partito Democratico fin dagli inizi del conflitto siriano ha diffuso la favola secondo la quale la guerra siriana sarebbe stata una rivolta degli oppressi dal regime sanguinario di Bashar al Assad, non denunciando, quindi, ma appoggiando le manovre internazionali che destabilizzavano la Siria e facevano emergere l’ISIS. Le stesse posizioni del PD sono in realtà condivise dalla maggior parte delle testate giornalistiche e delle forze politiche italiane, tanto che SEL, invece di prendere apertamente posizione o contro o a favore dell’imperialismo, nel pieno della recrudescenza del conflitto faceva appello ad un presunto movimento non violento e nella sostanza equiparava aggressori ed aggrediti.

Se poi spostiamo il nostro sguardo alla Libia, dove era chiaro fin dall’inizio che il rovesciamento violento del regime di Gheddafi avrebbe provocato solo un tremendo caos, possiamo constatare che altri siti archeologici di importanza mondiale sono a rischio distruzione, come quello dell’antica Leptis Magna, città natale di Settimio Severo. Pure in questo caso gran parte della politica italiana, anche di sinistra, esultava più o meno esplicitamente per la fine del “dittatore”, dimostrando di essere o serva cosciente delle logiche imperiali o incapace di abbozzare una riflessione storica riguardo alle caratteristiche di un dato Paese.

Le guerre imperialiste, anche quelle per procura come è quella in Siria, hanno tra le loro conseguenze il saccheggio dei beni culturali. Chi si ricorda della guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003? Sì, proprio quella che, come nei casi più vicini a noi della Libia e della Siria, è stata giustificata con una serie di vili e assurde menzogne. In particolare, ci si ricorda, in aggiunta alle distruzioni causate dalle bombe occidentali, del saccheggio dell’Iraq Museum di Baghdad, avvenuto senza che le truppe degli invasori facessero nulla per evitare che i beni lì esposti fossero depredati. È risaputo che, quando si vuole cancellare una nazione, è necessario distruggerne anche la memoria storica e le testimonianze culturali. È ciò che è avvenuto nel Kosovo, dove i guerriglieri albanesi dell’UCK, alleati della NATO nella guerra scatenata da quest’ultima nel 1999 in seguito alla messa in scena del finto massacro di Racak, cominciarono una massiccia distruzione delle chiese e dei monasteri serbo-ortodossi, alcuni patrimonio dell’UNESCO, in un territorio che vide svolgersi nel 1389 la battaglia della Piana dei Merli, un evento molto importante per la storia serba e, in generale, per il cristianesimo europeo.

I pochi esempi addotti dimostrano quanto le aggressioni imperialiste della NATO siano all’origine delle distruzioni e dei saccheggi del patrimonio culturale dei popoli aggrediti e della morte di coloro che, come Khaled al Assad, si sono battuti per preservarlo.

L’imperialismo, però, non produce solo la distruzione o il saccheggio del patrimonio culturale attraverso la guerra; in quanto risorse sempre più lucrative i beni culturali diventano appetibili per il grande capitale, come sta accadendo in Grecia, dove il ricatto finanziario viene agitato per costringere a privatizzare, in primis a favore del capitale tedesco, tutto il patrimonio pubblico, tra cui i beni culturali. Se ciò non è saccheggiare, poco ci manca. Graecia capta ferum victorem cepit: il capitale moderno è molto più brutale dei Romani e il patrimonio culturale della Grecia moderna gli interessa solo ed esclusivamente per i profitti che può trarne.

Piuttosto che piangere lacrime di coccodrillo di fronte alla morte di Khaled al Assad, magari mettendo inutilmente le bandiere a mezz’asta, bisognerebbe denunciare le guerre per le risorse e i mercati scatenate dall’Occidente a guida statunitense e far uscire l’Italia da quell’Alleanza atlantica che è un’organizzazione chiaramente contraria al rispetto dei tanto decantati diritti umani, tra i quali rientra anche la salvaguardia della cultura mondiale.


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François Hollande continue d’ouvrir la route de Damas aux coupeurs de têtes 

Par Silvia Cattori le 26 août 2015

En entendant le chef de l’Etat français, François Hollande, le mardi 25 août, dire qu’une solution politique à la crise en Syrie implique la « neutralisation » de Bachar el-Assad on pouvait se demander quel sens il donne à ce mot.
« Nous devons réduire les emprises terroristes sans préserver Assad. Les deux ont partie liée. »
« En même temps, il nous faut chercher une transition politique en Syrie, c’est une nécessité. 
La première, c’est la neutralisation de Bachar el-Assad ».
La diplomatie française a toujours mis comme préalable à toute solution le départ du « boucher Assad » [*] qui « ne mériterait pas d’être sur la terre » [**].
Elle aurait voulu le liquider. Elle n’a pas réussi. Sa « neutralisation » n’est-elle qu’une variante de la liquidation ?
Par ailleurs, comment Hollande peut-il faire une symétrie entre les groupes terroristes et Bachar el-Assad qui – fort de son gouvernement et du soutien de la grande majorité des Syriens – les combat depuis quatre ans et demi ?
Comment peut-il se contenter de « réduire les emprises terroristes » ?
Les Syriens qui les craignent et subissent leurs atrocités ont-ils leur mot à dire?
Quoi qu’il en soit, par son obstination à écarter Assad, la France continue d’ouvrir la route de Damas aux coupeurs de têtes d’al-Nosra et compagnie[***].
Silvia Cattori | 26 août 2015
* François Hollande et Manuel Valls ont qualifié Bachar el-Assad de « boucher« .
**  Laurent Fabius a déclaré le 17 août 2012: «Le régime syrien doit être abattu et rapidement... Bachar ne mériterait pas d’être sur la terre».
 ***  Exécutions et décapitions de soldats de l’armée gouvernementale syrienne bien avant l’arrivée de l’EI
FOTO: Le New York Times a mis en ligne une vidéo tournée dans le nord de la Syrie au printemps 2012 montrant des « rebelles » exécutant sept soldats de l’armée régulière syrienne
FOTO: Décapitations de soldats de l’armée régulière en 2014





Civitavecchia, Giovedì 27 agosto 2015

alle ore 18:30 al Parco dell'Uliveto – nell'ambito della festa dell'Unità


PIETRO BENEDETTI

in

DRUG
GOJKO

REGIA DI

ELENA MOZZETTA


TRATTO DAI RACCONTI 
DEL PARTIGIANO NELLO MARIGNOLI
IDEATO DA GIULIANO CALLISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A NELLO MARIGNOLI



Drug Gojko (Compagno Gojko) narra, sottoforma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco - albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, Combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.


«QUELLO CHE DICO, DICO POCO»
Note di Antonello Ricci sullo spettacolo Drug Gojko di Pietro Benedetti

L’inizio è sul dragamine Rovigno: una croce uncinata issata al posto del tricolore. Il finale è l’abbraccio tra madre e figlio, finalmente ritrovati, nella città in macerie.
Così vuole l’epos popolare. Così dispiega la sua odissea di guerra un bravo narratore: secondo il più convenzionale degli schemi, in ordine cronologico.
Ma mulinelli si aprono, di continuo, nel flusso del racconto. Rompono la superficie dello schema complessivo, lo increspano, lo fanno singhiozzare magari fino a contraddirlo: parentesi, divagazioni, digressioni, precisazioni, correzioni, rettifiche, commenti, esempi, sentenze, morali.
Così, proprio così Nello racconta il suo racconto di guerra. Nello Marignoli da Viterbo: gommista in tempo di pace; in guerra, invece, prima soldato della Regia Marina italica e poi radiotelegrafista nella resistenza jugoslava.
Nello è narratore di straordinaria intensità. Tesse trame per dettagli e per figure, una dopo l’altra, una più bella dell’altra: la ricezione in cuffia, l’8 settembre, dell’armistizio; il disprezzo tedesco di fronte al tricolore ammainato; l’idea di segare nottetempo le catene al dragamine e tentare la fuga in mare aperto; il barbiere nel campo di prigionia: «un ometto insignificante» che si rivela ufficiale della Decima Brigata Herzegovaska; le piastrine degli italiani trucidati dai nazisti: poveri figli col cranio sfondato e quelle misere giacchette a -20°; il cadavere del soldato tedesco con la foto di sua moglie stretta nel pugno; lo zoccolo pietoso del cavallo che risparmia i corpi senza vita sul sentiero; il lasciapassare partigiano e la picara«locomotiva umana», tutta muscoli e nervi e barba lunga, che percorre a piedi l’Italia, da Trieste a Viterbo; la stella rossa sul berretto che indispettisce i camion anglo-americani e non li fa fermare; la visione infine, terribile, assoluta, della città in macerie.
Ma soprattutto un’idea ferma: la certezza che le parole non ce la faranno a tener dietro, ad accogliere e contenere, a garantire forma compiuta e un senso permanente all’immane sciagura scampata dal superstite (e testimone). «Quello che dico, dico poco».
Da qui riparte Pietro Benedetti col suo spettacolo Drug Gojko. Da questa soglia affacciata su ciò che non si potrà ridire. Da un atto di fedeltà incondizionata al raffinato artigianato del ricordo ad alta voce di Nello Marignoli. Il racconto di Nello è ripreso da Pietro pressoché alla lettera, con tutti gli stigmi e i protocolli peculiari di una oralità “genuina” e filologica, formulaica e improvvisata al tempo stesso. Pausa per pausa, tono per tono, espressione per espressione. Pietro stila il proprio copione con puntiglio notarile, stillandolo dalla viva voce di Nello.
Questa la scommessa (che è anche ipotesi critica) di Benedetti: ricondurre i modi di un canovaccio popolare entro il canone del copione recitato, serbando però, al massimo grado, fisicità verace del narrare e verità delle sue forme.
Anche per questo la scena è scarna. Così da rendere presente e tangibile il doppio piano temporale su cui racconto e spettacolo si fondano (quello dei fatti e quello dei ricordi): sul fondo un manifesto antipartigiano firmato Casa Pound, che accoglie al suo ingresso Nello-Pietro in tuta da lavoro; sulla sinistra un pneumatico da TIR in riparazione; al centro il bussolotto della ricetrasmittente.
Andiamo a cominciare.

Sulla testimonianza di Nello Marignoli, partigiano italiano in Jugoslavia, si vedano anche:
* il libro "Diario di guerra" (Com. prov. ANPI, Viterbo 2004)
* il documentario-intervista "Mio fratello Gojko" (di Giuliano Calisti e Francesco Giuliani - DVD_60’_italia_2007) 

Lo spettacolo è ora anche un libro per i tipi di Davide Ghaleb Editore



(srpskohrvatski / deutsch / francais / italiano)

Bosnia ieri e oggi

1) Сви учесници Дејтонског споразума (Ж. Јовановић)
2) Kravica: una strage impunita e obliata (E. Vigna)
3) Erinnerungen – ein Serbe erzählt. Alexander Dorin über das Massaker in Kljevci bei Sanski Most, 1941
4) U Sarajevu je najmanje ubijeno 8.255 Srba u periodu od 1992. do 1995. godine, a mogućnost greške je tri odsto
5) Daesh (ISIS) se niche au plein cœur de l’UE / Trois camps de Daesh en Bosnie


A lire aussi:

ISLAM RADICAL EN BOSNIE-HERZÉGOVINE : L’ATTRAIT PUISSANT DE LA GUERRE EN SYRIE (CdB, 20 août 2015)
Un nouveau rapport vient d’être publié par l’Atlantic Initiative sur les ressortissants bosniens qui se sont rendus en Syrie et en Irak depuis 2012. L’étude révèle pour la première fois le nombre de citoyens partis au front : 217 personnes, dont 25 enfants et 36 femmes...


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ОПАСНО ОМАЛОВАЖАВАЊЕ ДЕЈTОНСКОГ СПОРАЗУМА

Сви учесници Дејтонског споразума

 

Из разговора Председника Београдског форума за свет равноправних Живадина Јовановића, са новинарком Новинске агенције СРНА Миленом Гачевић, 5. августа 2015.

Необично је да препоруке о уређењу БиХ и уставној реформи, као услову ЕУ, саопштава амерички амбасадор. Правно посматрано то личи на «неовлашћено обављање туђих послова», а политички на мешање у унутрашње послове ЕУ и БиХ - оцјењује бивши министар спољних послова СР Југославије Живадин Јовановић.

Дејтонски мировни споразум је нормативни међународни правни акт трајног значаја и није временски ограничен, па су покушаји његовог омаловажавања неосновани и опасни.
Коментаришући недавну колумну америчког амбасадора у БиХ Морин Кормак, Јовановић оцјењује да су "покушаји омаловажавања тог споразума опасни и не доприносе стибилности нити учвршћивању мира на Балкану. На једној, бошњачкој страни, то подгрејава тежњу за унитарном БиХ, на другој, српској, подстиче страховања од укидања равноправности и стечених права".

Кормакова је у ауторском тексту за "Независне новине" навела да
је првобитни циљ Дејтона био да се оконча рат и да се сада
поставља питање његове улоге. Она је, у име евроинтеграција, писала како би требало да буде уређена БиХ, а поједини аналитичари у Србији њено писање протумачили су као признање да Америка никада није жељела Дејтонски споразум какав је постигнут компромисом и потписан, већ су га сматрали само фазом у наметању онога за што је по вољи Сарајева.

Живадин Јовановић за Срну напомиње да "Дејтонски споразум није дело једне земље, макар она била иницијатор, посредник, или домаћин преговора који су довели до његовог прихватања. У Дејтону где је парафиран 21. новембра 1995., а потом и у Паризу где је потписан 14. децембра 1995., овај Спорзум су потврдиле све чланице Контакт групе, сталне чланице Савјета безбједности УН (изузев Кине), као и сама Европска унија. Посебан значај има чињеница да је Савет безбедности УН једногласно прихватио и потврдио Дејтонски споразум својом резолуцијом број 1031, од 15. децембра 1995. Нема, дакле, никакве сумње да је тај међународни уговор, вољом уговорних страна, великих сила и Саавета безбедности УН, постао трајни интегрални део међународног правног поретка заснованог на Повељи УН.
У погледу трајности и правне снаге Дејтонски споразум се не разликује од сличних споразума у систему међународног права. Свако ко би тај Споразум релативизовао, омаловажавао или накнадно временски ограничавао доводио би у питање кредибилитет међународног преговарања, међународног права и правног поретка у целини. У конкретном случају, то би озбиљно угрожавало мир и стбилност на Балкану и у Европи.
Када је ријеч о притисцима на Српску, треба их такође посматрати у светлу заоштравања глобалних односа Истока и Запада. САД не желе да у Европи, па ни на Балкану, постоји ни једна самостална држава или ентитет изван њихове пуне контроле. Када је реч о притисцима за унитаризацију Босне и Херцеговине уз обезбеђивање доминације Бошњака, треба имати у виду и сталну потребу САД да се конзервативним режимима муслиманских земаља покажу као «принципијелни» заштитници мусиламана на Балкану не би их придобили у сузбијању антиамеричког расположења на Блиском Истоку и у муслиманском свету уопште.
Јовановић сматра да је необично да препоруке о уређењу БиХ и уставној реформи, као услову ЕУ, саопштава амерички амбасадор.
"Ако постоје неки услови за чланство у ЕУ нормално је да их саопшти легитимно тело Европске уније – Савет, Комисија, или њихов представник, а не амбасадор земље нечланице"- примећује Јовановић. 
Притисци изван БиХ, а пре свега, из Вашингтона, да се промени уставни поредак у БиХ, да се наруше основни принципи Дејтонско-париског споразума, као што су равноправност три констутивна народа и два ентитета, као и принцип консенсуса, обично се образлажу тезом да је улога Дејтона била «само» да оконча рат, да успостави мир. А шта су циљеви притисака да се омаловажава и напушта Дејтон? Зар поштовање и доследна примена тог споразума не чува мир и безбедност данас и у будуће? Може ли се мир очувати рушењем темеља на коме почива? У свету апсурда у коме живимо, вероватно би се нашао неко коме би користила још једна «контролисана» дестабилизација дела Европе? У таквом свету, можда, неко верује да се Срби, Република Српска и Србија, морају данас одрећи статуса и права стечених пре 20 година? Ако су притисци били делотворни да се Србија практично одрекне резолуције СБ УН 1244 да би се удовољило Албанцима на Косову и Метохији, Ердутског споразума да би се задовољила Хрватска, зашто је непритиснути да сарађује у у збацивању Милорада Додига и развлашћивању Републике Српске у корист Бошњака? То је и тако практично проглашено као «европски» стандард. 
Када се добро размисли ко и шта све захтева од Србије, Републике Српске, српског народа уопште, шта су стварни циљеви уставних промена у БиХ, (па и у Србији), онда није далеко од памети да се човек упита – да ли Империја уопште жели Србију и српски народ као политички фактор на Балкану, или чини све да се он раздроби, утопи и претвори у пуку монету за поткусуривање у исцртавању увек нове «просторне ситуације»? Ако слаби и разара географску осу и центар Балкана, да ли уопште има интереса за напретком, миром и стабилношћу, или њеним геостратешким нацртима, можда, више одговара продужена дестабилизација овог дела Балкана и држање Србије на још краћем поводцу? Империја има све сложеније проблеме у односима са Русијом, Кином, Латинском Америком... На Блиском Истоку и Северу Африке даље се распламсавају сукоби, хаос, убијање. Масовне миграције избеглица и азиланата произведених њеним агресивним ратовима све више притискају Европу и Балкан, а воље за стварно решавање нема на видику. Да ли би нова дестабилизација Балкана могла да скрене пажњу са свега тога? Захваљујући недавном руском вету у Савету безбедности, Република Српска, Србија и српски народ нису жигосани као геноцидни. Неће ли, ако већ није почела, англо-саксонска осовина ненавикнута на праштање, тражити «асиметричне» одговоре? Порука од априла 2000. да Србију треба трајно држати изван европског развоја није орочена!



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Bosnia, Kravica 1993-2013: una strage impunita e obliata, ed un Natale di dolore e solitudine per i serbi di Enrico Vigna

 

Banja Luka, Rep. Srpska di Bosnia, 5 gennaio 2013 

Nel villaggio di Kravica nei pressi di Bratunac si è celebrato con una funzione funebre, il 20° anniversario, del ricordo delle 49 vittime massacrate nel Natale ortodosso del 1993; una strage efferata commessa da unità dell’Armija Bosniaca musulmana secessionista, sotto il comando di Naser Oric,.
La cerimonia funebre è stata officiata nella chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (che fu vandalizzata) , e poi corone e fiori sono stati posti presso il monumento centrale in Kravica.

Nel Natale ortodosso di 20 anni fa, membri dell'esercito secessionista della BH, sotto il comando di Naser Oric uccisero a Kravica e nella vicina Kravica Zasa, 49 serbi, 80 civili e soldati furono feriti; sette persone furono rapite, di cinque delle quali ancora non sono stati ritrovati i corpi.

Due giorni dopo il Natale del 1993, furono trovati e sepolti sette corpi di civili serbi, mentre i resti delle altre 42 vittime sono stati trovati,  identificati e sepolti dopo due mesi.
In quel giorno furono saccheggiate e bruciate 688 case serbe, circa 200 imprese ed edifici ausiliari  e 27 edifici pubblici. Circa 1.000 persone rimasero senza casa. 101 Bambini persero uno o entrambi i genitori. Gli uccisi in quei giorni, compresi altri villaggi vicini attaccati, furono 158 serbi; in questa regione, i serbi uccisi documentati, furono 3267.

"…Alle famiglie delle vittime fa male la dura verità che nessuno è stato ritenuto responsabile dei crimini contro i serbi in quel giorno di Natale 1993…. ", ha detto il presidente dell'Organizzazione delle famiglie dei soldati e civili uccisi o scomparsi, di Bratunac, Radojka Filipovic .
Oltre al dolore per i familiari, per i vicini e amici caduti, gli abitanti sono indignati che per questo crimine di Kravica, anche dopo 20 anni, nessuno ne ha risposto.

In un primo momento Naser Oric fu mandato al TPI dell’Aja ( poi prosciolto e rimandato a casa, oggi vive tranquillo e ricco in Bosnia…), e tra le decine di accuse di omicidi, stupri, mutilazioni, saccheggi, vi era anche quella per questa strage; così recitava l'atto di accusa contro di lui da parte del Tribunale dell'Aia:  "…Un massacro brutale di civili nel villaggio di Kravica, nel Natale ortodosso il 7 gennaio dell’anno  1993…”.In una seduta del Tribunale egli disse: “…Abbiamo fatto crimini, sono stati commessi  crimini. Ma chi può giudicare chi ha commesso più crimini ?...”.

Esiste un video che mostra l’orrore perpetrato:  all'ingresso del villaggio, due teschi umani furono messi per terra ad uso dei pneumatici delle automobili dei terroristi che andavano e venivano; per le strade del villaggio: mucchi di corpi mutilati collocati uno  accanto all'altro. Il più giovane aveva 20 anni: Risto Popovic gli spararono in bocca;  dentro la scuola primaria 'Kravica' ... Ljubica Baskić, aveva settant’anni, ucciso con un colpo di pistola sotto il torace e poi un colpito con un oggetto contundente sulla destra  della testa .... Lazzaro Veselinovic, gli mozzarono la testa ... Corpi pugnalati, percossi a morte, mutilati atrocemente…  Animali bruciati o impiccati, come i maiali… Sui muri graffiti con scritto “ Naser, Turchia, Bosnia, Ali, Srebrenica ". .. Per la Corte Internazionale, materiale  non sufficientemente importante da farlo vedere in aula…

Nessun rappresentante di alcuna istituzione della Comunità Internazionale europea, del mondo della cosiddetta “società civile” o umanitaria (presenti in centinaia di sigle e ONG in Bosnia), ha partecipato, e nemmeno esponenti della Bosnia-Erzegovina.

Ancora una volta persa, da parte di tutti (… soprattutto dei “tifosi” occidentali di questa Bosnia) , un occasione per condividere il dolore della gente e lanciare un segno che indichi la denuncia ed il rifiuto degli orrori e dei crimini, la di là di religioni o etnie, da qualsiasi parte siano commessi. Invece il “razzismo” culturale e politico contro i serbi come etnia, ha ancora una volta avuto la meglio; ed un processo per una riconciliazione e un avvicinamento tra i popoli…è ancora più lontano.

Essere presenti per testimoniare in un luogo memoriale della miseria e della sofferenza di questo angolo della terra e sostenere il diritto alla verità, alla giustizia soprattutto verso coloro che hanno perso la vita in quella guerra fratricida. Per dire Gloria eterna a tutti i morti ed eterno rispetto per chi è caduto innocente, di qualsiasi parte esso sia. 

Ma forse per certi “tifosi”, è troppo difficile sentire nell’anima questi valori e questa coscienza civile, sono troppo impegnati a soddisfare proprie peculiarità esistenziali ed il dolore non lo conoscono, non nella loro carne ed anima, ma solo “mediaticamente” o professionalmente.

 “…Poi i dominanti inventeranno misere bugie, per scaricare le colpe su chi viene attaccato, ed ogni persona del reame sarà felice di quelle falsità che gli alleviano la coscienza, e le studierà accuratamente, e si rifiuterà di esaminare qualsivoglia loro confutazione. E così ringrazierà Iddio per i sonni migliori che potrà dormire, in seguito a questo grottesco processo  auto ingannatore…” .    (M. Twain)



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[Mit dem folgenden, sehr informativen und eindruecksvollen Text stimmen wir fast voellig ueberein, wenn es nicht für die Beurteilung um die Haltung sozialistischer Jugoslawien gegenueber den Genozid der Serben: die Tatsache, dass das Kljevci-Denkmal, das in den Fotos gezeigt wird, in der Zeit Titos-Jugoslawien errichtet worden war, spricht allein. Italienische Koord. fuer Jugoslawien]



Erinnerungen – ein Serbe erzählt

August 11, 2015


Als ich zum ersten Mal von den Büchern des Autors Alexander Dorin hörte, war ich misstrauisch, weil er gebürtiger Serbe ist. Dann geriet ich in einen Konflikt, denn ich wollte doch nie ein Rassist sein – vorurteilsfrei erzog ich schließlich auch meine Kinder. Zwei Jahre zuvor hatte ich zwar schon kritische Bücher über die Balkankriege gelesen, jedoch von deutschsprachigen Autoren. Hier war es anders und das Thema Srebrenica galt schließlich auch für mich bis Ende 2010 als unumstößliches und bewiesenes Massaker an Tausenden moslemischen Männern. Also begann ich gegen mein entdecktes Vorurteil anzukämpfen, ohne eine Ahnung zu haben woher dieses kollektive Misstrauen gegen die serbische Bevölkerung entstanden war.

Das Buch „Jasenovac – das jugoslawische Auschwitz und der Vatikan“ von Vladimir Dedijer, ein Kampfgefährte und Biograph Titos (Josip Broz), habe ich erst vor zwei Jahren gelesen. Im Vorwort erzählt Alexander Dorin seine Erinnerungen:


Ich schaue oft zurück und erinnere mich mit etwas Wehmut an die zahlreichen Aufenthalte in Bosnien während meiner Kindheit. Meine Eltern nutzten jede Gelegenheit, um mit mir ihre alte Heimat zu besuchen. Das Leben als Gastarbeiter in der Schweiz hatte bei ihnen die Sehnsucht nach ihren Wurzeln genährt.

Ich kann es ihnen nachempfinden, denn wenn ich heute an das »alte« Bosnien denke, so erinnere ich mich an grüne Hügel, Wälder und Wiesen, wie auch an quirlige Bäche und Flüsse, und überall zierten die Heuhaufen der Bauern die malerische Landschaft. Anstelle von Traktoren zogen noch oft Pferde die Wagen mit den verschiedenen Gütern und verliehen dem Land einen Hauch von einer längst vergangenen Zeit. Viele Male ritt ich mit Freunden und Bekannten durch die schöne Gegend, vorbei an Quellen mit Trinkwasser und Wäldern voller essbarer Pilze, die wir oft einsammelten. Ich erinnere mich auch an den weit verbreiteten Duft, wenn mich die Dorfbewohner auf die Felder mitnahmen, um mit ihnen während warmen Sommertagen das Heu auf die Wagen zu laden. Es war aber nicht nur das Heu, das diesen Duft ausmachte, sondern auch das bosnische Basilikum, das oft wild wuchs, von den Bewohnern »Bosiljak« genannt wird und das zusammen mit dem Heu zum »Duft Bosniens« verschmolz.

Es führten damals noch keine Straßen zum Geburtsdorf meines Vaters, so dass wir uns den Zugang dorthin mit dem Auto nur mühsam und über holperige Stein- und Schlammwege bahnen konnten, vorbei an schlichten, weiß getünchten Häusern und an verwitterten Holzschuppen. Die Dorfbewohner waren sehr nett und für ihre Gastfreundschaft bekannt. Tagelang wurde gekocht, gegessen und getrunken, wenn ich mit meinen Eltern zu Besuch war. Von morgens bis abends rief uns jemand ins Haus auf ein Getränk, zum Essen oder auch nur zum Plaudern. Oft streiften wir auch mit Pferdewagen durch die Wälder und überquerten Flüsse, wenn Ausflüge und Essen in der freien Natur organisiert wurden. Begleitet wurden diese Feierlichkeiten natürlich von lebendiger Musik und Tanz. Einige Male konnte ich auch alte Bräuche miterleben, während denen die Dorfbewohner nachts mit brennenden Fackeln ausgestattet durch die Gegend zogen.

Ich genoss damals als Kind diese Atmosphäre und Aufmerksamkeit, die einem von diesen Menschen entgegengebracht wurden. Erst mit der Zeit stellte ich mir die Frage, weshalb ich eigentlich nur so wenige Verwandte besaß. Wo waren denn die Großeltern, Onkel, Tanten und andere Verwandte, die meine gleichaltrigen Schulkollegen in der Schweiz besaßen. Weshalb hatte ich nur eine Großmutter, während der Rest der Familie, bis auf einige Halbverwandten, nicht vorhanden war? Zur gleichen Zeit fiel mir auf, dass überall dieser Harmonie und Liebenswürdigkeit auch eine tiefe Trauer schwebte, die sich vor allem in den Augen der älteren Menschen spiegelte. Oft sah ich meine Großmutter, wie sie, auf einer Bank vor dem bescheidenen Häuschen sitzend, mit glänzenden Augen sehnsüchtig in die Ferne schaute. Wo waren ihr Mann, ihre Kinder und ihre Verwandten geblieben?

Eines Tages – ich war schon viele Male nach Bosnien gereist – stellte ich meiner Mutter die Frage, wo denn die anderen Familienmitglieder aus Vaters Familie geblieben sind. Der ansonsten immer liebliche Gesichtsausdruck meiner Mutter veränderte sich schlagartig zu einer seltsam versteinerten, von tiefer Betroffenheit gezeichneten Miene, und es folgte längeres Schweigen, bis sie schließlich leise und zögerlich antwortete: »Es war während des letzten Krieges, als böse Menschen hier eindrangen und schlimme Verbrechen verübten.« »Ja aber wer denn? «, wollte ich wissen. »Die Nazis, mein Junge, die Nazis«, antwortete sie und atmete dabei tief durch. Erst viele Jahre später sollte ich erfahren, dass das nur die halbe Wahrheit gewesen ist.

[Der Journalist Zoran Jovanovic erklärte mir im August 2011, als wir in Vlasenica einen Friedhof besuchten, auf dem serbische Opfer aus den Neunzigern bestattet sind und sich Gedenksteine der serbischen Opfer aus WWII befinden, dass die Verbrechen im Zweiten Weltkrieg, die von kroatischen und moslemischen Nazi-Kollaborateuren an Serben verübt worden sind, Tabuthemen waren. Man kannte nur die deutschen Faschisten.]

Ich befragte auch meinen Vater zu den damaligen Ereignissen, doch er wollte noch weniger dazu sagen. Er wandte sein Gesicht von mir ab, und ich begriff, dass ihn irgend etwas an meiner Frage tief erschütterte und alte Wunden aufgerissen hatte. Was um Himmels willen war nur geschehen? Und wieso wollte niemand darüber reden?

Erst einige Jahre vor Ausbruch der jüngsten jugoslawischen Kriege – ich war so um die zwanzig Jahre alt – erhielt ich endlich von einem entfernten Verwandten die lang ersehnte Antwort. 1941 waren deutsche Truppen in Bosnien eingedrungen und hatten Massenmorde an serbischen Zivilisten verübt. Bosnien gehörte damals – so erfuhr ich – zum großkroatischen Staat, der, nebst Kroatien, auch Bosnien und Teile Serbiens umfasste. In diesem großkroatischen Staat wüteten kroatische Soldaten besonders grausam und übertrafen an Sadismus die Soldaten der Wehrmacht, die die Serben, Zigeuner und Juden meist erschossen, während die faschistische kroatische Ustascha sich durch besonders abscheuliche Folterungen und Massaker hervortat. Ich las später, dass diesen Verbrechen Hunderttausende Serben, Zigeuner und Juden zum Opfer fielen. Ich erfuhr weiter, dass in Jasenovac das berüchtigtste war und in denen die Opfer dermaßen brutal gequält und ermordet wurden, dass sogar einige Nazis dagegen protestierten.

Den kroatischen Ustaschen und den Nazis schlossen sich auch viele bosnisch-moslemische Einheiten an, die sich an den Greueltaten beteiligten. Und so trieben im Jahr 1941 deutsche Soldaten, unterstützt von moslemischen Bewohnern aus der Region, im Dorf Kljevci (nahe der Stadt Sanski Most) 280 serbische Zivilisten zusammen und erschossen sie an Ort und Stelle. Unter den Opfern waren auch mein Großvater, drei ältere Brüder meines Vaters und weitere Verwandte. Meine Großmutter und mein Vater mussten sich das grausige Geschehen aus einiger Entfernung anschauen. Oft ergötzten sich die Täter, so berichtete mir mein Gesprächspartner, am Leid der Familienmitglieder, die sich diese Verbrechen an ihren Verwandten anschauen mussten, und ließen einige von ihnen völlig gebrochen zurück. Und so wurde auch meine Großmutter mit ihrem jüngsten Sohn zurückgelassen.

Für diese Opfer wurde beim Dorf Kljevci ein Denkmal errichtet, das 1995 während des jüngsten Bosnienkrieges von der moslemischen Armee fast völlig zerstört wurde. Ein Halbcousin von mir (meine Großmutter heiratete nach dem Krieg noch einmal) erzählte mir eines Tages, dass mein Vater während jedes Besuches regelrecht zum Denkmal geschoben werden musste und anschließend für mindestens einen Tag nicht mehr ansprechbar war. Ab 1992 verstarb er aufgrund des hohen Alkoholkonsums im Alter von einundsechzig Jahren.

Meine Mutter erging es 1941 als Zweijährige noch ein wenig schlechter als meinem Vater. Die Deutschen und die Ustascha überfielen ihr Dorf Devetaci bei Novi Grad nahe der Grenze zu Kroatien. Dabei wurden viele ihrer Verwandten und Bekannten verschleppt und ermordet, darunter auch ihre beiden Eltern. Sie selber wurde von einer Großtante kurz vor dem Angriff weggebracht. Sie verbachte eine gewisse Zeit mi den Partisanen von Josip Broz »Tito« im Kozara-Gebirge, geriet jedoch während der Kriegshandlungen in deutsche Gefangenschaft. Sie wurde für einige Zeit in ein kroatisches Konzentrationslager gesperrt, bevor sie, zusammen mit ihrer Großtante, als Kriegsgefangene nach Deutschland transportiert wurde (2004, ein Jahr vor ihrem Tod und ihrem sechsundsechzigsten Geburtstag, erhielt meine Mutter von der deutschen Bundesregierung als Entschädigung für Deportation, Unterbringung in einem Konzentrationslager und Zwangsarbeit 7669 Euro und 36 Cent, ausbezahlt von der »International Organisation for Migration« [IOM] aus Genf im Rahmen des »German forced labour compensation«. Nicht ganz 7670 Euro für eine zerstörte Kindheit und eine fast ausgerottete Familie! Serbisches Leben scheint nicht so teuer zu sein). Nach Kriegsende wurde sie wieder nach Jugoslawien gebracht, wo sie als Kriegswaise aufwuchs. Später, als junger Mensch – sie lebte und arbeitete mittlerweile in Belgrad -, lernte sie meinen Vater kennen, der mit ihr das gleiche Schicksal teilte.

Meine Eltern redeten kaum jemals über diese traumatischen Ereignisse, wie die meisten serbischen Kriegsopfer aus dem Zweiten Weltkrieg im ehemaligen Jugoslawien. Im einstigen jugoslawischen Vielvölkerstaat unter Josip Broz »Tito« war es verpönt, über diese Verbrechen zu reden. Eine Geschichtsaufarbeitung fand im Interesse der »Brüderlichkeit und Einigkeit« nicht statt. Es wurde ganz einfach ein Deckel über den zweiten Völkermord am serbischen Volk innerhalb weniger Jahrzehnte gelegt. Auch die Tatsache, dass der Vatikan damals während des an den Serben verübten Massenmords im katholischen Großkroatien maßgeblich beteiligt war, wurde nach Kriegsende bis heute in der Weltöffentlichkeit nahzu tabuisiert, ganz zu schweigen von der Tatsache, dass der Vatikan ab 1991 dem kroatischen Staat wieder tatkräftig unter die Arme griff.

Meine Mutter fing erst zu Beginn der jüngsten jugoslawischen Kriege über die Schrecken des Zweiten Weltkrieges an zu reden, als sie mitansehen musste, wie in ihrer alten Heimat wieder der Krieg tobte. Doch wie schon damals, so hörte auch dieses Mal niemand die Stimmen der serbischen Opfer. Was nach dem Ende des Zweiten Weltkrieges im Namen der »Brüderlichkeit und Einigkeit« verschwiegen wurde, wurde während der jüngsten Kriege erneut tabuisiert, dieses Mal von den führenden westlichen Massenmedien. In einem Anfall von völligen Tatsachenverdrehungen, zrückgehaltenden Fakten und auch schamlosen Lügen Kreierten »unsere« Medien bewusst ein völlig verzerrrtes Bild der letzten Balkankriege. Die Serben wurden kollektiv zu einem Volk von nationalistischen Verbrechern und Massnemöprdern erklärt, während man die anderen Völker Ex-Jugoslaweiens quasi zu heiligen Unschuldslämmern und Opfern des »großserbischen« Wahns erklärte. Es wurde die Perversion vollbracht, die einstigen serbischen Völkermordopfer zu Faschisten umzulügen. Damit wurden die ehemaligen Opfer der Achse Nazideutschland/Großkroatien gleich zweimal getötet.

Ich erinnere mich daran, wie sich meine Mutter, im Sterbebett liegend, weinend darüber beklagte, dass sie ihre Eltern nie kennenlernen durfte und als Serbin von ihrem Umfeld bis kurz vor ihrem Tod angegriffen und schlechtgemacht wurde. Worin lag ihre Schuld für das erlebte Unglück und das Schweigen in der Weltöffentlichkeit über solche Schicksale? Was haben Menschen wie sie den NATO-Staaten und den westlichen Massenmedien angetan, dass diese sich ab 1991 das Recht herausnahmen, Millionen von Serben in einer beispiellosen Hetz- und Desinformationskampagne zu demütigen, zu denunzieren und niederzumachen? War es ihre orthodoxe Religionszugehörigkeit? Oder war es ihr serbischer Name? Ist jemand schuldig, zu sein? Wird uns seit dem Ende Nazideutschlands nicht immer und immer wieder eingetrichtert, dass die Zeit des Rassenhasses vorbei sei? Sind unsere »Neuzeithumanisten« tatsächlich der Meinung, dass diese Regel in bezug auf alle Völker gilt, mit Ausnahme des serbischen Volkes?

Gegenwärtig scheint die Weltherrschaft der USA ohne Konkurrenz und von unabsehbar langer Dauer zu sein. Möge das vorliegende Buch eines Tages, wenn sich die politische Situation weltweit zuungunsten der momentan einzigen Weltmacht und all ihrer negativen Begleiterscheinungen wie z.B. Aggressionskriege gegen »Schurkenstaaten«, totalitäre Massenmedien und Angriffe gegen Andersdenkende – was ja von vielen europäischen Staaten vom großen »US-Bruder« dankbar übernommen und auch angewandt wurde – dazu beigetragen, dass die serbischen Opfer wiederholter Völkermorde während des letzten Jahrhunderts späte Gerechtigkeit erfahren. Und man mag auch zaghaft hoffen, dass der Westen in der Zukunft nicht noch einmal von der letzten Großmacht und den von ihr beeinflussten Massenmedien erzeugten Sturm des antiserbischen Rassenhasses heimgesucht wird.

Alexander Dorin


[FOTOS: Diese Fotos sind der Facebookseite von Alexander Dorin entnommen: Das Denkmal befindet sich auf dem Weg in das Dorf Kljevci. Es ist 300 Serben gewidmet, die 1941 getötet worden sind, darunter befand sich ein großer Teil der Familie von Alexander Dorins verstorbenen Vater.
Das Monument wurde während des Krieges in den Neunzigern zerstört. ]


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O OVOM GENOCIDU NAD SRBIMA SVI ĆUTE
уторак, 14 јул 2015 

Evo koliko srpskih civila su BOŠNJACI BRUTALNO UBILI u Sarajevu!

U Sarajevu je najmanje ubijeno 8.255 Srba u periodu od 1992. do 1995. godine, a mogućnost greške je tri odsto

Najmanje 8.255 Srba ubijeno je u Sarajevu od 1992. do 1995. godine, popisao je Institut za istraživanje srpskih stradanja u 20. veku iz Beograda. Još 860 osoba vodi se kao nestalo, a iz Instituta navode da je mogućnost greške u popisu tri odsto i da se spisak još proverava.
Saradnici Instituta podatke su prikupljali uz pomoć svedoka koji su bili po logorima, ljudi koji su živeli u Sarajevu za vreme rata i članova porodice koji su preživeli zločine, a tamo gde su pobijene čitave porodice, svedočili su njihove komšije i prijatelji.
Jedan od saradnika Instituta, Strahinja Živak, rekao je da se spisak još proverava i da će za svaku žrtvu sadržati ime i prezime, godinu rođenja i smrti.
– U tako velikom spisku može biti oko tri odsto greške, zato što su neki ljudi posle razmenjeni ili pobegli iz logora, a mi te kasnije podatke nismo našli. Moguće su greške, ali 97 odsto podaci su provereni i tačni – rekao je Živak za "Novi reporter".
On je najavio da će uskoro biti objavljena knjiga "Srpska stratišta Sarajeva".


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Daesh se niche au plein cœur de l’UE


19 juil. 2015


Daesh achète en secret des terrains entourés de forêt près du village d’Osve en Bosnie. Les agences de renseignement bosniaques sont persuadées que l’EI cherche à créer une base à partir de laquelle l’organisation terroriste attaquera l’UE.

Les terrains achetés par l’EI ont un atout sans précèdent : leur proximité avec la mer Méditerranée. Cela signifie que les terroristes peuvent facilement y arriver depuis la Syrie, l’Irak et l’Afrique du Nord en traversant illégalement la Grèce, la Turquie, la Macédoine et la Serbie.

Le village d’Osve est situé sur une colline à 96 kilomètres de Sarajevo. On ne peut pas trouver ce village sur les cartes GPS et il est plus commode d’y arriver à pied car les routes sont trop sinueuses et étroites pour les voitures. Les services de sécurité de la Bosnie croient que Daesh utilise ces territoires pour y entraîner ses nouvelles recrues loin des yeux de la communauté internationale.

Un autre atout de la Bosnie pour Daesh, c’est la vente illégale d’armes qui dure depuis le conflit des années 1990. 

L'Etat islamique appelle au djihad dans les Balkanshttp://francais.rt.com/international/2982-daesh-appelle-jihad-dans-BALKANS 

Il y a cinq mois, les forces anti-terroristes bosniaques ont aperçu pour la première fois le drapeau de Daesh sur les maisons d’un autre village, celui de Gornja Maoca.

L’extrémisme a toujours été un sujet sensible pour les Bosniaques. Selon les estimations des services de renseignements, depuis 2012, environ 200 de ses ressortissants sont partis rejoindre les rangs de Daesh en Syrie et en Irak. Une trentaine seraient morts et quarante environ, rentrés en Bosnie.

En septembre dernier, la police fédérale bosniaque (SIPA), a procédé à l’arrestation de deux leaders salafistes Bilal Husein Bosnić et Nusret Imamović. Mais malgré ces arrestations, des centaines de fidèles à travers le pays se sont ralliés à trois autres dirigeants. Il s’agit de Harun Mehicevic, qui était parti en Australie dans les années 1990 mais qui poursuit aujourd’hui ses activités en Bosnie, Jasin Rizvic et Osman Kekic, qui, selon les rumeurs, se battent maintenant en Syrie et Irak. Ils sont soupçonnés d’avoir acheté ces terrains.

Selon l’enquête menée par le Mirror, les résidents des villages voisins entendent régulièrement des tirs et voudraient bien quitter la région le plus rapidement possible.

«Je m’inquiète pour l’éducation de mes enfants ici. Il vaudrait mieux partir maintenant mais il n’est pas si facile de vendre la maison», a déclaré un habitant interrogé par le journal britannique.


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Trois camps de Daesh en Bosnie

RÉSEAU VOLTAIRE  | 23 JUILLET 2015

En 2012, des jihadistes ont acquis des terres en Bosnie-Herzégovine, à Gornja Maoča, Ošve et Dubnica, pour y installer des camps de formation, sous le commandement de Nusret Imamović.
D’abord affilié à al-Qaïda, Nusret Imamović est devenu le numéro 3 de sa branche syrienne, le Front al-Nosra. Il a ajourd’hui rejoint l’Émirat islamique (Daesh) et les communautés jihadistes bosniaques l’ont suivi dans sa démarche.
Les jihadistes bosniaques se divisent en deux groupes :
 d’une part les anciens combattants de la Légion arabe d’Oussama Ben Laden qui participèrent à la guerre de Bosnie de 1992 à 1995 (on se souvient qu’à l’époque Ben Laden était conseiller militaire du président Alija Izetbegović, qui avait également comme conseiller politique Richard Perle et comme conseiller en communication Bernard-Henri Lévy). 
 d’autre part de nouveaux convertis, généralement de moins de 30 ans.
Depuis les Accords de Dayton, la Bosnie-Herzégovine est dirigée par un Haut Représentant international, actuellement l’Autrichien Valentin Inzko, représentant les intérêts de l’union européenne, assisté de l’ambassadeur états-unien David M. Robinson. Ce dernier, après avoir été impliqué dans le soutien aux Contras du Nicaragua a été chargé d’influer sur les élections vénézuéliennes de 2008, puis a poursuivi sa carrière en Afghanistan. Il devrait prendre prochainement d’importantes fonctions au département d’État.







Itinerari
Suggerimenti per gli escursionisti...




Lettera inviata a Montagne360, periodico del Club Alpino Italiano

Gentile Redazione,
 
L'interessante articolo di Gillian Price apparso su Montagne360 di Luglio 2015, dedicato ai sentieri percorsi dai prigionieri alleati [POW] in fuga dai campi di prigionia, opportunamente integrando le recenti iniziative editoriali dedicate ai sentieri partigiani nel 70.mo della Liberazione, ci porta a conoscenza di quella che è in effetti solo la punta di un iceberg. Gli storici hanno iniziato in tempi recenti a ricostruire quello che fu l' "universo concentrazionario" italiano: si parla di 876 tra luoghi di internamento, prigionia, lavori forzati o confino, sul solo territorio nazionale (cfr. http://www.campifascisti.it/ )... In questi luoghi, i prigionieri anglosassoni erano solo una delle presenze, e nemmeno maggioritaria: tra i prigionieri stranieri erano soprattutto numerosi gli jugoslavi. In Appennino centrale oltre ai campi marchigiani di Servigliano e Sforzacosta menzionati nell'articolo, se ne contavano numerosi altri, e al confine con l'Umbria nell'incantevole altipiano di Colfiorito sorgono tuttora le "Casermette", dove erano rinchiusi migliaia di montenegrini che in gran parte evasero da un varco nella recinzione nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1943. Erano invece soprattutto sloveni i reclusi del campo della Motina a Renicci, presso Anghiari, che presero la fuga il 14 settembre 1943. Ancora in Umbria, oltre alle numerose destinazioni per i lavori forzati dove gli jugoslavi erano impiegati in grande numero, vale la pena di ricordare soprattutto il carcere della Rocca di Spoleto, da cui centinaia di detenuti evasero in maniera rocambolesca e romanzesca a più riprese dopo l'8 Settembre. Più a sud, in Abruzzo, confluirono dai campi di Corropoli, Tossicia, Civitella ed altri ancora quegli stranieri – tra cui 60 inglesi e 45 jugoslavi – che ebbero un ruolo centrale nei fatti di Bosco Martese, dove si svolse "la prima battaglia in campo aperto della Resistenza italiana" (Ferruccio Parri).
Proprio in Abruzzo furono tanti gli antifascisti slavi che, nel tentativo di passare le linee e recarsi nell'Italia meridionale sotto controllo alleato, rimasero bloccati sulle montagne dove spesso trovarono la protezione delle famiglie locali, ma talvolta – come nel caso di Radusinović e Radonjić – perirono drammaticamente per assideramento.

Diversamente dagli inglesi, che hanno curato la memoria creando enti dedicati, gli antifascisti jugoslavi sono stati vittime di un oblio che trova spiegazione nelle note vicende politiche passate e presenti. Il ricordo delle loro imprese è sopravvissuto solo grazie alla passione di alcuni singoli, tra i quali meritano riconoscenza Vlado Vujović e Drago Ivanović. Eppure, ripercorrendo i destini di tutti loro, è possibile tracciare itinerari di grande interesse escursionistico e storico. 
Una direttrice fondamentale è quella del crinale appenninico tra Umbria e Marche: in particolare, da Colfiorito lungo il versante ovest dei Sibillini fino ai Monti della Laga e al Gran Sasso; con una possibile variante, storicamente importante, sul versante opposto dei Sibillini, fino a Sarnano.
Da Spoleto si possono invece idealmente seguire le sorti degli evasi della Rocca salendo alla Forca di Cerro per poi attraversare la Valnerina e risalire sul Monte Coscerno, teatro della prima grande strage nazifascista in quel comprensorio (Mucciafora 29/11/1943), per eventualmente proseguire verso gli altri luoghi che videro protagonista la locale Brigata Gramsci, in cui gli slavi confluirono: Norcia, Cascia, Monteleone, Leonessa, Polino.
Da Anghiari possiamo "seguire" gli sloveni verso nord, in montagna, o verso sud, lungo la valle del Tevere.
In tutti i casi, ripercorrere quelle direttrici ci riporta ad un mondo sul quale non solo le vicende storiche del secondo dopoguerra, o i devastanti terremoti, ma soprattutto i cambiamenti socio-economici (urbanizzazione in primis) hanno infierito come vere schiacciasassi. L'escursionista attento può comunque riconoscere su quei sentieri non solo i segni oramai labili dei valori di un tempo, tra giustizia sociale e pietas rurale, ma anche l'opera super-storica della Natura, che si è trionfalmente riconquistata ampie porzioni del nostro Appennino.
 
Andrea Martocchia, 6 agosto 2015




Itinerari partigiani sulla montagna abruzzese

A L'Aquila, "l’assessorato alla Cultura del Comune ha sposato in pieno il progetto, ideato dalla sezione dell’Aquila dell’ANPI e realizzato grazie alla collaborazione del CAI, dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea e del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga. Il percorso, di circa 60 chilometri, si articola in sei tratti:
1. L’Aquila–San Sisto–Collebrincioni, inaugurato l’anno scorso con il cippo in memoria dei 9 Martiri,
2. Collebrincioni–Fonte Nera–Arischia, zona operativa del gruppo partigiano di Antonio D’Ascenzo e luogo di fucilazione dei pescaresi Vermondo Di Federico e Renato Berardinucci, medaglie d’oro al valor militare,
3. Arischia–Casale Cappelli, luogo di scontro armato tra il gruppo di Giovanni Ricottilli e i tedeschi, in cui perse la vita il partigiano Giovanni Vincenzo,
4. Casale Cappelli–Assergi–Filetto, luogo d’azione dei partigiani del gruppo Aldo Rasero e della strage dei civili del 7 giugno ’44, quando Filetto fu dato alle fiamme,
5. Filetto–Monte Archetto, luogo di insediamento del gruppo di Aldo Rasero nella primavera del ’44,
6. Monte Archetto–Onna, luogo della strage nazista dell’11 giugno ’44."

All'interno del percorso è possibile rintracciare la presenza della compagine slava sulle montagne abruzzesi. 
Nella tappa n.1 il 23 settembre 1943 le truppe tedesche, alla ricerca dei POWs fuggiti dalle casermette, alleati e slavi, dettero luogo a Collebrincioni ad uno dei primi scontri a fuoco della Resistenza nel corso del quale morirono due prigionieri inglesi e "9 martiri giovinetti" aquilani furono catturati e giustiziati.
Nella tappa n.2 ad Arischia operava, all'interno della banda partigiana locale, Blagoje Popović,che i locali ricordano ancora col nickname italianizzato di Biagio, ardimentoso studente universitario di diciannove anni, figlio dell’ambasciatore jugoslavo a Londra, ricordato dal suo comandante come «ragazzo coraggioso e battagliero che cadrà vittima dei tedeschi per la sua eccessiva temerarietà»,  catturato ed impiccato il 17 maggio 1944 ad un pilone della teleferica.
Nella tappa n.4 a Casale Cappelli truppe naziste attaccano il casale dove si era asserragliato il gruppo composto da sei partigiani, uccidendone uno e catturandone altri quattro, fra i quali gli slavi Badonić e Basević, quest’ultimo ferito.

Riccardo Lolli
, agosto 2015

Per maggiori informazioni si veda la ricerca dedicata ai partigiani jugoslavi in Abruzzo




(hrvatskosrpski / italiano.
En francais: « BIBLIOCIDE » : QUAND LA CROATIE METTAIT SES LIVRES À L’INDEX (Bilten 30.06.2015.)
Le changement de régime en Croatie au début des années quatre-vingt-dix s’est manifesté en politique, dans l’économie du pays mais également dans les bibliothèques, par la « radiation » exceptionnelle de certains livres, que ce soit à cause de la nationalité ou d’autres détails biographiques de leurs auteurs, de leur lieu d’édition ou de leur contenu. Un collectif d’artistes a entrepris de scanner ces livres mis à l’index, et appelle les citoyens à participer en apportant leurs exemplaires...


--- ITALIANO

http://www.bilten.org/?p=7977


Il ricordo della "dismissione": la distruzione dei libri negli anni '90

Igor Lasić
30.06.2015.


Il cambio di regime in Croazia all'inizio degli anni Novanta ha avuto, accanto alla sua accezione politica ed economica, anche una dimensione bibliotecaria, prima di tutto attraverso la "dismissione" straordinaria dei libri, ovvero una sistematica e pedante eliminazione di tutti i libri che il nuovo regime riteneva inadatti, sia a causa della nazionalità ed altri dettagli bibliografici degli autori, che del luogo di edizione del libro, che del suo contenuto.

Lo scarico inventariale dei libri è un procedimento standard nella prassi bibliotecaria. Esso comporta la dismissione di edizioni e titoli malandati o obsoleti, i quali vengono normalmente sostituiti con nuove copie o traduzioni, se disponibili. Nel ramo bibliotecario si prescrive una quota di dismissione, ovvero la massima percentuale annuale permessa per la riduzione di un fondo bibliotecario. Tuttavia, i dati ufficiali delle librerie di Zagabria dell'ultimo decennio del XX secolo – e cosa simile successe allora anche altrove in Croazia – ci rivelano che per diversi anni, lo scarico fu fino a tre volte e mezzo maggiore di quanto permesso.
Dei motivi di questo scarto inventariale organizzato di due volte e mezzo più ampio di quanto prescritto dai requisiti della professione, parla in queste settimane il progetto "I dismessi – In occasione del ventesimo anniversario dell'Oluja[Operazione Tempesta, ndt]" del collettivo curatore WHW ("Che cosa, come e per chi") e dell'Istituto Multimediale mi2 nella Galerija Nova di Zagabria. Su questo ritorneremo, ma per ora prestiamo attenzione a una sola componente del progetto che ci dà una panoramica della selezione dei titoli dell'argomento: ovvero alla scannerizzazione dei libri eliminati – disprezzati e scomunicati – con l'appello ai cittadini alla collaborazione nel consegnare tali volumi. Perché molte copie venivano in quel tempo salvate da benefattori e da chi passava, ad esempio,  accanto a discariche nei pressi delle biblioteche pubbliche.
Già da tale esposizione, che al momento della stesura del presente articolo conta una novantina di libri, diviene piuttosto chiaro quali criteri seguissero gli architetti della degradazione dei fondi librari. Ne furono vittime principalmente le opere di scrittori serbi e montenegrini, più i rari dissidenti croati di allora. Se la passarono altrettanto male le edizioni stampate nella variante ekava e nel cirillico [tipici della cultura di matrice serba, ndCNJ]. Inoltre, bastava che l'editore fosse di Belgrado o Novi Sad, a volte anche di Sarajevo – città evidentemente considerate estremamente indesiderabili. Ma un posto speciale venne occupato dai libri scartati per motivi tematici, indipendentemente dalla lingua, dalla variante dialettale, dal luogo di edizione o dalla nazionalità degli autori.

L'Index librorum prohibitorum nazionale

Un'enorme quantità di opere di questa categoria sono appunto marxiste, rivoluzionarie, socialmente impegnate, di sinistra in generale. Bisognava dunque dissociarsi e disconnettersi velocemente dalla realtà sociale in voga fino ad allora, la quale prevedeva la coesistenza dei Croati con gli altri Slavi del Sud e una vita socialista-autogestita. Questa esperienza aveva portato con sé anche un imponente lascito dialettico sotto forma di intere collane, i cui fondamenti teorici rigettavano recisamente la minaccia mortale della guerra mossa sulle basi dell'intolleranza interetnica.
Era tra l'altro pure necessario che la presidentessa croata e l'arcivescovo – ma anche molti socialdemocratici [del partito al governo SDP, ndt] – ci dicessero oggi che accanto al fascismo e nazismo dobbiamo ripudiare anche il comunismo, il suo passato e soprattutto il suo futuro. La contemporanea coltivazione della ristretta mentalità della proprietà privata ed in generale il ragionamento basato sugli elementi nazione, famiglia e individuo, rispetto alla preminenza del pubblico, alla dimensione internazionale e solidale, ha preso decisamente piede in larga parte grazie all'efficace soppressione della memoria e all'eliminazione della sua ulterioreriproduzione attiva. E per qualche tempo la tattica descritta è riuscita benissimo, compensando l'opposizione di determinate roccaforti sociali ed economiche con mitologie identitarie, come quella della classe media o quella esclusivamente confessionale.
Il processo è in parte rallentato solo negli ultimi anni, in virtù del notevole crollo della base materiale della società e comunque della maggioranza dei suoi singoli membri. La ribalta creata da WHW e mi2 potrebbe solo ora, sembra, avere terreno fertile. Ma esaminiamo ancora come questa folle, specifica disinfezione bibliotecaria, ha operato tecnicamente in questi ultimi due decenni. Non si tratta ovviamente di una particolarità croata, e molto di questa storia rimanda alla figura e opera di Wolfgang Herrmann, bibliotecario nazista tedesco all'inizio degli anni '30 del secolo scorso, autore del documento storico "Principi della pulizia delle biblioteche pubbliche".

Gli igienisti della controrivoluzione

Questo scritto, il preferito di Joseph Goebbels, ha classificato in modo sistematico i testi che negli anni seguenti sarebbero scomparsi nelle fiamme dalle quali nasceva il costrutto politico della sovra-razza ariana. Il caso croato fu meno trasparente, ma ha comunque avuto molti elementi ideologici simili. Ricorderemo vari istanti noti, sebbene non in ordine cronologico, ma piuttosto in base alla loro influenza e importanza concettuale. Il primo posto lo merita Borislav Škegro, vicepresidente del Consiglio croato dal 1993 al 2000.
Da ministro delle finanze e uno dei fondatori più eminenti della dottrina neoliberale, in seguito al cambio della matrice economica e all'accumulazione primitiva del capitale avvenuta con le privatizzazioni, fu proprio Škegro ad introdurre in Croazia l'imposta sul valore aggiunto. Uno dei più rilevanti effetti negativi dell'IVA fu subito proprio per l'industria letterario-editoriale, e il ministro delle finanze sottolineerà che i fondi resi disponibili dall'introduzione dell'IVA verranno utilizzati, tra l'altro, per "la pulizia delle biblioteche dai libri in serbo e simili lingue". A causa dell'appassionato conflitto etno-igienico e controrivoluzionario, tuttavia, molti hanno chiuso gli occhi di fronte al sarcasmo che l'idioma più simile al serbo è... il croato, e viceversa, se si può affatto parlare di lingue diverse.
Anche prima di questa sortita esplicita, la "pulizia" delle biblioteche aveva per anni funzionato regolarmente, e due eccezionali atti ufficiali del 1992 testimoniano indiscutibilmente che questa purtroppo non era solo un'odiosa attività senza sorveglianza. Uno porta la firma della ministra della cultura Vesna Girardi-Jurkić ed il titolo "Direttiva obbligatoria per l'uso del fondo librario nelle biblioteche scolastiche", caratterizzandosi con formulazioni piuttosto contorte come "adeguamento dei programmi d'insegnamento alla nuova realtà" o "eliminazione dalle biblioteche di quei libri che apparivano negli elenchi dei testi didattici precedenti".

Un libricidio documentato

Dieci anni più tardi, Girardi-Jurkić dichiarerà: "... Ritengo che ciò fosse la cosa più morbida che si poteva in quel momento firmare; di certo sapete che periodo era. Mi telefonavano ogni giorno per fare questo e quello". E non molto prima di lei, Veronika Čelić-Tica e Ranka Javor della Biblioteca Nazionale e Universitaria, ovvero la Biblioteca della Città di Zagabria, composero una "Direttiva per il lavoro con le biblioteche delle scuole elementari" la quale elencava principi precisi sul riordino del fondo librario secondo il nuovo, rigido parametro bibliografico nazionale, e vi ricordava l'obbligo della revisione regolare e la dismissione scrupolosa dei libri.
Preziosa, in senso storiografico, è la trascrizione della seduta del Consiglio Comunale di Korčula, nella quale non si esitò nemmeno a festeggiare l'esempio meglio documentato di distruzione dei libri indesiderati. Lo scarto inventariale della biblioteca cittadina nel 1997, che andava addirittura oltre la procedura prescritta – come verrà stabilito dalle autorità conteali competenti – fu diretto dalla bibliotecaria Izabel Skokandić. Questo caso, come altri a Zagabria, Fiume e Spalato, fino a Slatina, Orsera e Velika Gorica, per menzionarne solo alcuni, verrà poi trattato dal docente di economia Ante Lešaja nella vasta opera Knjigocid – uništavanje knjiga u Hrvatskoj devedesetih ("Libricidio – la distruzione dei libri nella Croazia degli anni '90").
L'opera inestimabile di Lešaja contiene un decennio e mezzo di ricerche e analisi, lui che fu il fondatore della biblioteca cittadina di Korčula e il cronista della scuola estiva del movimento jugoslavo di Praksis a Korčula. Ed è facile ritenere che la vasta maggioranza dei casi in cui i libri vennero distrutti in Croazia sarebbe rimasta, senza il suo impegno, non documentata, come sconosciuta sarebbe altrimenti rimasta questa prassi in generale. Ma non ci sarebbe stata nemmeno la sua opera, senza l'aiuto dei molti bibliotecari coscienziosi e di altri individui che salvarono i libri scomunicati e la loro verità nascosta.
Proprio i loro preziosi contributi potrebbero assumere un posto centrale nell'iniziativa "I dismessi"; saranno soprattutto loro a rianimare il tesoro, proprio e sociale, attraverso lo scanner, e a far ritornare in circolazione questi libri in formato digitale. Accanto alla inseparabile revisione dell'eredità del Domovinski rat [Guerra patriottica, nome ufficiale in Croazia per la guerra civile jugoslava, ndt] cui si riferisce l'estensione del titolo dell'iniziativa – "in occasione del XX anniversario dell'Oluja" –, l'iniziativa è svolta in collaborazione con il progetto anti-commercializzazione "Biblioteche pubbliche" dell'Istituto Multimediale mi2. Nello stesso ambito, all'inizio di luglio, una serie di artisti nazionali dedicheranno le proprie esibizioni ai libri tragicamente scomunicati, e c'è ora un più ampio desiderio di renderli nuovamente pubblici, di distribuirli e leggerli. Per quel che concerne il rapporto tra le parole scritte e le idee progressiste, non c'è miglior pegno per la salute pubblica di domani, di quello che ci era destinato ieri.

(Trad. di AD per CNJ-onlus)


--- HRVATSKOSRPSKI


Sjećanje na “otpis”: uništavanje knjiga devedesetih

Igor Lasić
30.06.2015.

Smjena režima u Hrvatskoj počekom devedesetih je uz politički i ekonomski imala i svoj bibliotekarski izraz, prije svega kroz izvanredne “otpise” knjiga, odnosno sustavno i pedantno izbacivanje svih knjiga koje je novi režim smatrao nepoćudnima, bilo zbog nacionalnosti i drugih biografskih detalja autora, mjesta izdavanja knjige ili naposljetku njenog sadržaja.

Otpis knjiga standardni je postupak u bibliotečnoj praksi, a podrazumijeva rashodovanje dotrajalih ili oštećenih ili zastarjelih izdanja i naslova koji se obično mijenjaju novim primjercima ili prevodima, ako su takvi dostupni. S obzirom na prosječne okolnosti u branši propisuje se otpisna kvota, odnosno najviši postotak godišnjeg smanjivanja zatečenog knjižnog fonda. No službeni podaci o knjižnicama u Zagrebu posljednje decenije 20. stoljeća, a slično je tad bilo i drugdje po Hrvatskoj, otkrivaju nam da je kroz više godina otpisivanje bilo pak do tri i pol puta veće od zacrtanog.

O razlozima organiziranog bibliotekarskog izlučivanja dodatne dvije i pol knjige na onu jednu koja je predviđena zahtjevima struke, kazuje ovih tjedana projekt “Otpisane, povodom 20. godišnjice Oluje” kustoskog kolektiva WHW (“Što, kako i za koga?”) i Multimedijalnog instituta mi2 u zagrebačkoj Galeriji Nova. Njemu ćemo se još vratiti, ali zasad obratimo pažnju tek na jednu projektnu komponentu koja omogućuje uvid u predmetnu selekciju naslova; posrijedi je akcija skeniranja otpisanih – prezrenih te izopćenih – knjiga uz poziv građanima na sudjelovanje i donošenje takvih svezaka. Jer mnoge primjerke spašavali su u ono vrijeme (dobro)namjernici u prolazu pokraj npr. smetlišta u blizini javnih knjižnica.

Već iz takvog izloga koji u trenutku pisanja ovog članka broji devedesetak knjiga, biva prilično jasno kojim su se kriterijima vodili arhitekti razgradnje knjižničnih fondova. Stradavala su primarno djela srpskih i crnogorskih pisaca te rijetkih aktualnih hrvatskih disidenata. Također su jednako loše prolazila izdanja tiskana na ekavici i na ćirilici, tj. ona koja su zadovoljavala jedno od ta dva mjerila. Štoviše, bilo je dovoljno da nakladnik bude iz Beograda ili Novog Sada, ponekad i Sarajeva – takva se građa očito smatrala krajnje nepoželjnom. No posebno mjesto zauzimaju knjige koje su odbacivane s motiva tematskih, bez obzira na pismo, tretman dugog i kratkog jata, mjesto objave i nacionalnost autora.

Nacionalni Index librorum prohibitorum

Upravo golema količina djela iz te skupine jest literatura marksistička, revolucionarna, socijalno angažirana, općenito ljevičarska. Valjalo se dakle ubrzano ograditi i izolirati od dotadašnje društvene stvarnosti koja je uključivala zajednički život Hrvata s ostalim južnim Slavenima i život socijalističko-samoupravni. Potonje iskustvo nosilo je sobom i raskošnu dijalektičku zaostavštinu u vidu čitavih knjižnih edicija, a pripadajući teorijski fundamenti znatno su se lakše iz svake upotrebe odstranjivali kroz smrtnu prijetnju ratom pokrenutim po principu međunacionalne netrpeljivosti.

Bilo je to uostalom potrebno i da bi nam danas predsjednica države i nadbiskup zagrebački – ali i mnogi socijaldemokrat – poručivali kako se uz fašizam i nacizam moramo odreći i komunizma, njegove prošlosti i osobito budućnosti. Simultani uzgoj skučenog privatno-posjedničkog mentaliteta i uopće rezona baziranog na instancama nacije, obitelji i pojedinca, u odnosu na prioritete javnog, međunarodnog i solidarnog, uzeo je tako maha uvelike zahvaljujući djelotvornom brisanju zatečene memorije i onemogućavanju njezine daljnje aktivne reprodukcije. I neko je vrijeme opisana taktika izuzetno uspijevala, kompenzirajući određena društvena i ekonomska uporišta identitetskim mitologemima poput onoga srednjeklasnog ili ekskluzivno konfesionalnog, itd.

Proces je donekle usporen tek posljednjih godina, s osjetnijim kriznim te recesijskim urušavanjem materijalne osnove društva i svakako većine pojedinaca. Prevrat koji su osmislili WHW i mi2 tek bi sad mogao, čini se, pasti na iole plodno tlo, ali pogledajmo još i kako je tehnički djelovala ta specifična bibliotečna sanitarna ludnica unatrag svega dva desetljeća. Nije dakako riječ o hrvatskom specifikumu, pa mnogo što u priči podsjeća na lik i djelo Wolfganga Hermanna, nacističkog bibliotekara iz Njemačke početkom tridesetih godina prošlog stoljeća, autora povijesnog dokumenta “Principijelno o čišćenju javnih knjižnica”.

Higijeničari kontrarevolucije

Taj omiljeni spis Josepha Goebbelsa sustavno je klasificirao literaturu koja će narednih godina nestajati u plamenu iz kojeg se rađao živi politički konstrukt arijevske nadrase. Hrvatski je slučaj bio manje transparentan, no ipak je za sobom ostavio dosta traga ideološke srodnosti s historijski relevantnim biblioklastima. Podsjetit ćemo ovdje na nekoliko poznatih momenata, premda ne formalno kronološki, nego se ponaprije ravnajući po njihovoj utjecajnosti i koncepcijskoj važnosti. Na prvom bi se mjestu zaslužio stoga naći Borislav Škegro, potpredsjednik Vlade RH od 1993. do 2000. godine.

S pozicije ministra financija i jednog od viđenijih domaćih rodonačelnika neoliberalne ekonomske doktrine nakon promjene ekonomskog uređenja i privatizacijske prvobitne akumulacije kapitala, upravo Škegro uveo je porez na dodanu vrijednost u Hrvatskoj. Među istaknutijim lošim efektima PDV-a bio je spočetka baš onaj na književno-izdavačku industriju, pa će se ministar financija uto pozvati na krunski argument. Naglasio je naime da će sredstva namaknuta od netom uvedenog poreza biti iskorištena, među ostalim, za “čišćenje knjižnica od knjiga na srpskom i sličnim jezicima”. Uslijed strasnog sraza etnohigijeničarskog i kontrarevolucionarnog impulsa, doduše, mnogi su zatvorili oči pred sarkastičnom činjenicom da je srpskom najsličniji – hrvatski, kao i obrnuto, ako pritom uopće možemo govoriti o različitim jezicima.

I prije tog eksplicitnog ispada, čišćenje knjižnica je godinama regularno funkcioniralo, a na valu dvaju iznimnih oficijelnih akata iz 1992. godine koji neprijeporno svjedoče da ovdje nažalost ipak nije bila posrijedi tek odiozna stihijska aktivnost. Jedan nosi potpis ministrice kulture Vesne Girardi-Jurkić i naslov “Obvezatni naputak o korištenju knjižnog fonda u školskim knjižnicama” te se odlikuje donekle uvijenim formulacijama kao što je “prilagođavanje nastavnih programa novoj stvarnosti” ili “izlučivanje iz knjižnice onih knjiga koje su bile u ranijim popisima lektire”.

Dokumentirani knjigocid

Desetak godina kasnije, Girardi-Jurkić izjavit će: “(…) Držim da je ovo nešto najmekše što se u tom trenutku moglo potpisati, znate valjda kakvo je to bilo vrijeme. Svaki dan imala sam pozive da napravim ovo i ono”. A nedugo prije nje, Veronika Čelić-Tica i Ranka Javor iz Nacionalne i sveučilišne knjižnice, odnosno Knjižnica Grada Zagreba, sastavile su “Naputak za rad s knjižnicama osnovnih škola” koji donosi egzaktna načela o preuređivanju knjižnog fonda prema nacionalnom i rigidnom novolektirnom parametru, i podsjeća na obavezu redovne revizije i marljivog otpisa.

Dragocjen je u istom historiografskom smislu i transkript sjednice Gradskog Vijeća Grada Korčule na kojoj se nije prezalo ni od slavljenja najdokumentiranijeg primjera uništavanja nepoćudnih knjiga. Otpisa dakle u korčulanskoj Gradskoj knjižnici 1997. godine, koji je čak mimo propisane procedure – kako će ustanoviti nadležne županijske službe – provela bibliotekarka Izabel Skokandić. Taj slučaj, kao i druge od Zagreba i Rijeke i Splita do Slatine i Vrsara i Velike Gorice, da istaknemo samo neke, obradit će na koncu sveučilišni profesor ekonomije Ante Lešaja u obimnoj studiji “Knjigocid – uništavanje knjiga u Hrvatskoj devedesetih”.

Desetljeće i pol istraživanja i politološkog analiziranja sabrao je Lešaja, inače utemeljitelj Gradske knjižnice u Korčuli te kroničar praksisovske Korčulanske ljetne škole, u svom neprocjenjivom tekstu. I lako se može ustvrditi kako bi golema većina navedenih spoznaja o uništavanju knjiga u Hrvatskoj ostala bez njegova zalaganja nezabilježena, kao što bi nedosegnutima ostali i politički zaključci o toj kardinalnoj praksi. Ali tu dolazimo također do fakta da niti njegova djela ne bi bilo bez pomoći mnogobrojnih savjesnih knjižničara i raznih vanstrukovnih individua koje su spašavale anatemizirane knjige i potiskivanu istinu o njima.

Upravo njihovi vrijedni prilozi mogli bi zauzeti središnje mjesto u akciji “Otpisane”; prvenstveno njih ćemo vidjeti kako donose svoje i općedruštveno blago na reanimaciju skenerom i digitalni povrat u javni opticaj. Uz neodvojivu reviziju nasljeđa Domovinskog rata, o čemu govori nastavak imena te inicijative – “povodom 20. godišnjice Oluje” – dio je to šire projekcije u suradnji s antikomercijalizacijskim projektom “Javne knjižnice” Multimedijalnog instituta mi2. U istom okviru početkom srpnja niz domaćih umjetnika posvetit će nastupe knjigama koje su bile tragično prokazane, a sad je pokrenuta šira volja da konačno budu opet javno pokazane, dijeljene i čitane. Nema boljeg zaloga, što se tiče odnosa spram pisane riječi i progresivne misli, za društveno sutra zdravije od onoga što nam je bilo namijenjeno koliko jučer.





By the same Author on similar issues:

Kosovo “Freedom Fighters” Financed by Organised Crime (Covert Action Quarterly 10 April 1999)

NATO's War of Aggression against Yugoslavia (Jackson Progressive, 1999)
http://globalresearch.ca/articles/CHO309C.html  or  https://www.cnj.it/24MARZO99/chossu1999.htm

The Criminalization of the State: "Independent Kosovo", a Territory under US-NATO Military Rule (Global Research, February 4, 2008)



The History of “Humanitarian Warfare”: NATO’s Reign of Terror in Kosovo, The Destruction of Yugoslavia


Global Research, August 05, 2015

The following text was written in the immediate wake of the 1999 NATO bombings of Yugoslavia and the invasion of Kosovo by NATO troops. 

It is now well established that the war on Yugoslavia was waged on a fabricated humanitarian pretext and that extensive war crimes were committed by NATO and the US. 

In retrospect, the war on Yugoslavia was a “dress rehearsal” for subsequent US-NATO sponsored humanitarian wars including Afghanistan (2001), Iraq (2003), Libya (2011), Syria (2011), Ukraine (2014).

Who are the war criminals? In a bitter irony, the so-called International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) in The Hague is controlled by those who have committed extensive war crimes. 

US-NATO started the war on Yugoslavia. President Milosevic was indicted on charges of war crimes. He was poisoned in his prison cell under the auspices of the ICTY. 

According to Nuremberg jurisprudence, the ultimate war crime consists in starting a war. According to William Rockler, former prosecutor of the Nuremberg War Crimes Tribunal:

“The [1999] bombing war violates and shreds the basic provisions of the United Nations Charter and other conventions and treaties; the attack on Yugoslavia constitutes the most brazen international aggression since the Nazis attacked Poland to prevent “Polish atrocities” against Germans. The United States has discarded pretensions to international legality and decency, and embarked on a course of raw imperialism run amok.”

According to Nuremberg jurisprudence, NATO heads of State and heads of government are responsible for the supreme crime: “the crime against peace.”

Reagan’s NSDD 133 (1984) “Secret and Sensitive”

There is evidence that the US administration in liason with its allies took the decision in the early 1980s to destabilise and dismantle Yugoslavia.

The decision to destroy Yugoslavia as a country and carve it up into a number of small proxy states was taken by the Reagan adminstration in the early 1980s. 

A “Secret Sensitive” National Security Decision Directive (NSDD 133) entitled “US Policy towards Yugoslavia.”  (Declassified) set the foreign policy framework for the destabilization of Yugoslavia’s model of market socialism and the establishment of a US sphere of influence in Southeastern Europe.

Yugoslavia was in many regards “an economic success story”. In the two decades before 1980, annual gross domestic product (GDP) growth averaged 6.1 percent, medical care was free, the rate of literacy was 91 percent, and life expectancy was 72 years.

While NSDD 133 was in itself a somewhat innocous document, it provided legitimacy to the free market reforms. A series of covert intelligence operations were implemented, which consisted in creating and supporting secessionist paramilitary armies, first in Bosnia then in Kosovo.

These covert operations were combined with the destabilization of the Yugoslav economy. The application of strong economic medicine under the helm of the IMF and the World Bank ultimately led to the destruction of Yugoslavia’s industrial base, the demise of the workers’ cooperative and the dramatic impoverishment of its population.

Kosovo “Independence”

The record of US-NATO war crimes is important in assessing recent developments in Kosovo.

From the outset of their respective mandates in June 1999, both NATO and the UN Mission to Kosovo (UNMIK)  have actively supported the KLA, which has committed numerous atrocities.

It is important to understand that these atrocities were ordered by the current and former prime ministers of the Kosovo “government”.

Since 1999, State terrorism in Kosovo has become an integral part of NATO’s design.

The present government of prime minister Hashim Thaci (a former KLA Commander), is an outgrowth of this reign of terror. It is not a government in the common sense of the word. It remains a terrorist organization linked to organised crime. It is instrument of the foreign occupation. 

Michel Chossudovsky, 23 February 2008, 5 August 2015



NATO HAS INSTALLED A REIGN OF TERROR IN KOSOVO

by Michel Chossudovsky

10 August 1999

This text was presented to the Independent Commission of Inquiry to Investigate U.S./NATO War Crimes Against The People of Yugoslavia, International Action Center, New York, July 31, 1999.

PART I: MASSACRES OF CIVILIANS IN KOSOVO

While the World focusses on troop movements and war crimes, the massacres of civilians in the wake of the bombings have been casually dismissed as “justifiable acts of revenge”. In occupied Kosovo, “double standards” prevail in assessing alleged war crimes. The massacres directed against Serbs, ethnic Albanians, Roma and other ethnic groups have been conducted on the instructions of the military command of the Kosovo Liberation Army (KLA).

NATO ostensibly denies KLA involvement. These so-called “unmotivated acts of violence and retaliation” are not categorised as “war crimes” and are therefore not included in the mandate of the numerous FBI and Interpol police investigators dispatched to Kosovo under the auspices of the Hague War Crime’s Tribunal (ICTY). Moreover, whereas NATO has tacitly endorsed the self-proclaimed KLA provisional government, KFOR the international security force in Kosovo has provided protection to the KLA military commanders responsible for the atrocities. In so doing both NATO and the UN Mission have acquiesced to the massacres of civilians. In turn, public opinion has been blatantly misled. In portraying the massacres, the Western media has casually overlooked the role of the KLA, not to mention its pervasive links to organised crime. In the words of National Security Advisor Samuel Berger,

“these people [ethnic Albanians] come back … with broken hearts and with some of those hearts filled with anger.”1

While the massacres are seldom presented as the result of “deliberate decisions” by the KLA military command, the evidence (and history of the KLA) amply confirm that these atrocities are part of a policy of “ethnic cleansing” directed mainly against the Serb population but also against the Roma, Montenegrins, Goranis and Turks.

Serbian houses and business have been confiscated, looted, or burned, and Serbs have been beaten, raped, and killed. In one of the more dramatic of incidents, KLA troops ransacked a monastery, terrorized the priest and a group of nuns with gunfire, and raped at least one of the nuns. NATO’s inability to control the situation and provide equal protection for all ethnic groups, and its apparent inability or unwillingness to fully disarm the KLA, has created a serious situation for NATO troops…2

The United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), confirms in this regard that:

“more than 164,000 Serbs have left Kosovo during the seven weeks since… the NATO-led Kosovo Force (KFOR) entered the province… A wave of arson and looting of Serb and Roma homes throughout Kosovo has ensued. Serbs and Roma remaining in Kosovo have been subject to repeated incidents of harassment and intimidation, including severe beatings. Most seriously, there has been a spate of murders and abductions of Serbs since mid-June, including the late July massacre of Serb farmers.”3

POLITICAL ASSASSINATIONS

The self-proclaimed Provisional Government of Kosovo (PGK) has also ordered assassinations directed against political opponents including “loyalist” ethnic Albanians and supporters of the Kosovo Democratic League (KDL). These acts are being carried out in a totally permissive environment. The leaders of the KLA rather than being arrested for war crimes, have been granted KFOR protection.

Madeleine Albright and Hashim Thaci

According to a report of the Foreign Policy Institute (published during the bombings):

“…the KLA have [no] qualms about murdering Rugova’s collaborators, whom it accused of the `crime’ of moderation… [T]he KLA declared Rugova a `traitor’ yet another step toward eliminating any competitors for political power within Kosovo.”4

Already in May [1999], Fehmi Agani, one of Rugova’s closest collaborators in the Kosovo Democratic League (KDL) was killed. The Serbs were blamed by NATO spokesperson Jamie Shea for having assassinated Agani. According to Skopje’s paper Makedonija Danas, Agani had been executed on the orders of the KLA’s self-appointed Prime Minister Hashim Thaci.5 “If Thaci actually considered Rugova a threat, he would not hesitate to have Rugova removed from the Kosovo political landscape.”6

In turn, the KLA has abducted and killed numerous professionals and intellectuals:

“Private and State properties are threatened, home and apartment owners are evicted en masse by force and threats, houses and entire villages are burned, cultural and religious monuments are destroyed… A particularly heavy blow… has been the violence against the hospital centre in Pristina, the maltreatment and expulsion of its professional management, doctors and medical staff.”7

Both NATO and the UN prefer to turn a blind eye. UN Interim Administrator Bernard Kouchner (a former French Minister of Health) and KFOR Commander Sir Mike Jackson have established a routine working relationship with Prime Minister Hashim Thaci and KLA Chief of Staff Brigadier General Agim Ceku.

ATROCITIES COMMITTED AGAINST THE ROMA

Ethnic cleansing has also been directed against the Roma (which represented prior to the conflict a population group of 150,000 people). (According to figures provided by the Roma Community in New York). A large part of the Roma population has already escaped to Montenegro and Serbia. In turn, there are reports that Roma refugees who had fled by boat to Southern Italy have been expelled by the Italian authorities.8 The KLA has also ordered the systematic looting and torching of Romani homes and settlements:

“All houses and settlements of Romani, like 2,500 homes in the residential area called `Mahala’ in the town of Kosovska Mitrovica, have been looted and burnt down”.9

With regard to KLA atrocities committed against the Roma, the same media distortions prevail. According to the BBC: “Gypsies are accused by [Kosovar] Albanians of collaborating in Serb brutalities, which is why they’ve also become victims of revenge attacks. And the truth is, some probably did.”10

INSTALLING A PARAMILITARY GOVERNMENT

As Western leaders trumpet their support for democracy, State terrorism in Kosovo has become an integral part of NATO’s postwar design. The KLA’s political role for the post-conflict period had been mapped out well in advance. Prior to Rambouillet Conference, the KLA had been promised a central role in the formation of a post-conflict government. The “hidden agenda” consisted in converting the KLA paramilitary into a legitimate and accomplished civilian administration. According to US State Department spokesman James Foley (February 1999):

“We want to develop a good relationship with them [the KLA] as they transform themselves into a politically-oriented organization, …[W]e believe that we have a lot of advice and a lot of help that we can provide to them if they become precisely the kind of political actor we would like to see them become.’”11

In other words, the US State Department had already slated the KLA “provisional government” (PGK) to run civilian State institutions. Under NATO’s “Indirect Rule”, the KLA has taken over municipal governments and public services including schools and hospitals. Rame Buja, the KLA “Minister for Local Administration” has appointed local prefects in 23 out of 25 municipalities.12

Under NATO’s regency, the KLA has replaced the duly elected (by ethnic Albanians) provisional Kosovar government of President Ibrahim Rugova. The self-proclaimed KLA administration has branded Rugova as a traitor declaring the (parallel) Kosovar parliamentary elections held in March 1998 to be invalid. This position has largely been upheld by the Organisation for Security and Cooperation in Europe (OSCE) entrusted by UNMIK with the postwar task of “democracy building” and “good governance”. In turn, OSCE officials have already established a working rapport with KLA appointees.13

The KLA provisional government (PGK) is made up of the KLA’s political wing together with the Democratic Union Movement (LBD), a coalition of five opposition parties opposed to Rugova’s Democratic League (LDK). In addition to the position of prime minister, the KLA controls the ministries of finance, public order and defence. The KLA also has a controlling voice on the UN sponsored Kosovo Transitional Council set up by Mr. Bernard Kouchner. The PGK has also established links with a number of Western governments.

Whereas the KLA has been spearheaded into running civilian institutions (under the guidance of the OSCE), members of the duly elected Kosovar (provisional) government of the Democratic League (DKL) have been blatantly excluded from acquiring a meaningful political voice.

ESTABLISHING A KLA POLICE FORCE TO `PROTECT CIVILIANS’

Under NATO occupation, the rule of law has visibly been turned up side down. Criminals and terrorists are to become law enforcement officers. KLA troops which have already taken over police stations will eventually form a 4,000 strong “civilian” police force (to be trained by foreign police officers under the authority of the United Nations) with a mandate to “protect civilians”. Canadian Prime Minister Jean Chretien has already pledged Canadian support to the formation of a civilian police force.14 The latter which has been entrusted to the OSCE will eventually operate under the jurisdiction of the KLA controlled “Ministry of Public Order”.

US MILITARY AID

Despite NATO’s commitment to disarming the KLA, the Kosovar paramilitary organisation is slated to be transformed into a modern military force. So-called “security assistance” has already been granted to the KLA by the US Congress under the “Kosovar Independence and Justice Act of 1999″. Start-up funds of 20 million dollars will largely be “used for training and support for their [KLA] established self-defence forces.”15 In the words of KLA Chief of Staff Agrim Ceku:

“The KLA wants to be transformed into something like the US National Guard, … we accept the assistance of KFOR and the international community to rebuild an army according to NATO standards. … These professionally trained soldiers of the next generation of the KLA would seek only to defend Kosova. At this decisive moment, we [the KLA] do not hide our ambitions; we want the participation of international military structures to assist in the pacific and humanitarian efforts we are attempting here.” 16

While the KLA maintains its links to the Balkans narcotics trade which served to finance many of its terrorist activities, the paramilitary organisation has now been granted an official seal of approval as well as “legitimate” sources of funding. The pattern is similar to that followed in Croatia and in the Bosnian Muslim-Croatian Federation where so-called “equip and train” programmes were put together by the Pentagon. In turn, Washington’s military aid package to the KLA has been entrusted to Military Professional Resources Inc. (MPRI) of Alexandria, Virginia, a private mercenary outfit run by high ranking former US military officers.

MPRI’s training concepts which had already been tested in Croatia and Bosnia are based on imparting “offensive tactics… as the best form of defence”.17 In the Kosovar context, this so- called “defensive doctrine” transforms the KLA paramilitary into a modern army without however eliminating its terrorist makeup.18 The objective is to ultimately transform an insurgent army into a modern military and police force which serves the Alliance’s future strategic objectives in the Balkans. MPRI has currently “ninety-one highly experienced, former military professionals working in Bosnia & Herzegovina”.19 The number of military officers working on contract with the KLA has not been disclosed.

PART II. FROM KRAJINA TO KOSOVO. A FORMER CROATIAN GENERAL APPOINTED KLA CHIEF OF STAFF

The massacres of civilians in Kosovo are not disconnected acts of revenge by civilians or by so-called “rogue elements” within the KLA as claimed by NATO and the United Nations. They are part of a consistent and coherent pattern. The intent (and result) of the KLA sponsored atrocities have been to trigger the “ethnic cleansing” of Serbs, Roma and other minorities in Kosovo.

KLA Commander Agim Ceku referring to the killings of 14 villagers at Gracko on July 24, claimed that: “We [the KLA] do not know who did it, but I sincerely believe these people have nothing to do with the KLA.”20 In turn, KFOR Lieutenant General Sir Mike Jackson has commended his KLA counterpart, Commander Agim Ceku for “efforts undertaken” to disarm the KLA. In fact, very few KLA weapons have been handed in. Moreover, the deadline for turning in KLA weaponry has been extended. “I do not regard this as noncompliance” said Commander Jackson in a press conference, “but rather as an indication of the seriousness with which General Ceku is taking this important issue.”21

Yet what Sir Mike Jackson failed to mention is that KLA Chief of Staff Commander Agim Ceku (although never indicted as a war criminal) was (according to Jane Defence Weekly June 10, 1999) “one of the key planners of the successful `Operation Storm’” led by the Croatian Armed Forces against Krajina Serbs in 1995.

General Jackson who had served in former Yugoslavia under the United Nations Protection Force (UNPROFOR) was fully cognizant of the activities of the Croatian High Command during that period including the responsibilities imparted to Brigadier General Agim Ceku. In February 1999, barely a month prior to the NATO bombings, Ceku left his position as Brigadier General with the Croatian Armed Forces to join the KLA as Commander in Chief.

FROM KRAJINA TO KOSOVO: THE SHAPE OF THINGS TO COME

According to the Croatian Helsinki Committee for Human Rights, Operation Storm resulted in the massacre of at least 410 civilians in the course of a three day operation (4 to 7 August 1995).22 An internal report of The Hague War Crimes Tribunal (leaked to the New York Times), confirmed that the Croatian Army had been responsible for carrying out:

“summary executions, indiscriminate shelling of civilian populations and “ethnic cleansing” in the Krajina region of Croatia….”23

In a section of the report entitled “The Indictment. Operation Storm, A Prima Facie Case.”, the ICTY report confirms that:

“During the course of the military offensive, the Croatian armed forces and special police committed numerous violations of international humanitarian law, including but not limited to, shelling of Knin and other cities… During, and in the 100 days following the military offensive, at least 150 Serb civilians were summarily executed, and many hundreds disappeared. …In a widespread and systematic manner, Croatian troops committed murder and other inhumane acts upon and against Croatian Serbs.” 24

US `GENERALS FOR HIRE’

The internal 150 page report concluded that it has “sufficient material to establish that the three [Croatian] generals who commanded the military operation” could be held accountable under international law.25 The individuals named had been directly involved in the military operation “in theatre”. Those involved in “the planning of Operation Storm” were not mentioned:

“The identity of the “American general” referred to by Fenrick [a Tribunal staff member] is not known. The tribunal would not allow Williamson or Fenrick to be interviewed. But Ms. Arbour, the tribunal’s chief prosecutor, suggested in a telephone interview last week that Fenrick’s comment had been `a joking observation’. Ms. Arbour had not been present during the meeting, and that is not how it was viewed by some who were there. Several people who were at the meeting assumed that Fenrick was referring to one of the retired U.S. generals who worked for Military Professional Resources Inc. … Questions remain about the full extent of U.S. involvement. In the course of the three yearinvestigation into the assault, the United States has failed to provide critical evidence requested by the tribunal, according to tribunal documents and officials, adding to suspicion among some there that Washington is uneasy about the investigation… The Pentagon, however, has argued through U.S. lawyers at the tribunal that the shelling was a legitimate military activity, according to tribunal documents and officials”.26

The Tribunal was attempting to hide what had already been revealed in several press reports published in the wake of Operation Storm. According to a US State Department spokesman, MPRI had been helping the Croatians “avoid excesses or atrocities in military operations.”27 Fifteen senior US military advisers headed by retired two star General Richard Griffitts had been dispatched to Croatia barely seven months before Operation Storm. 28 According to one report, MPRI executive director General Carl E. Vuono: “held a secret top-level meeting at Brioni Island, off the coast of Croatia, with Gen. Varimar Cervenko, the architect of the Krajina campaign. In the five days preceding the attack, at least ten meetings were held between General Vuono and officers involved in the campaign…”29

According to Ed Soyster, a senior MPRI executive and former head of the Defence Intelligence Agency (DIA):

“MPRI’s role in Croatia is limited to classroom instruction on military-civil relations and doesn’t involve training in tactics or weapons. Other U.S. military men say whatever MPRI did for the Croats and many suspect more than classroom instruction was involved it was worth every penny.” Carl Vuono and Butch [Crosbie] Saint are hired guns and in it for the money,” says Charles Boyd, a recently retired four star Air Force general who was the Pentagon’s No. 2 man in Europe until July [1995]. “They did a very good job for the Croats, and I have no doubt they’ll do a good job in Bosnia.”30

THE HAGUE TRIBUNAL’S COVER UP

The untimely leaking of the ICTY’s internal report on the Krajina massacres barely a few days before the onslaught of NATO’s air raids on Yugoslavia was the source of some embarrassment to the Tribunal’s Chief Prosecutor Louise Arbour. The Tribunal (ICTY) attempted to cover up the matter and trivialise the report’s findings (including the alleged role of the US military officers on contract with the Croatian Armed Forces). Several Tribunal officials including American Lawyer Clint Williamson sought to discredit the Canadian Peacekeeping officers’ testimony who witnessed the Krajina massacres in 1995.31

Williamson, who described the shelling of Knin as a “minor incident,” said that the Pentagon had told him that Knin was a legitimate military target… The [Tribunal's] review concluded by voting not to include the shelling of Knin in any indictment, a conclusion that stunned and angered many at the tribunal”…32

The findings of the Tribunal contained in the leaked ICTY documents were downplayed, their relevance was casually dismissed as “expressions of opinion, arguments and hypotheses from various staff members of the OTP during the investigative process”.33 According to the Tribunal’s spokesperson “the documents do not represent in any way the concluded decisions of the Prosecutor.” 34

The internal 150 page report has not been released. The staff member who had leaked the documents is (according to a Croatian TV report) no longer working for the Tribunal. During the press Conference, the Tribunal’s spokesman was asked: “about the consequences for the person who leaked the information”, Blewitt [the ICTY spokesman] replied that he did not want to go into that. He said that the OTP would strengthen the existing procedures to prevent this from happening again, however he added that you could not stop people from talking”.35

THE USE OF CHEMICAL WEAPONS IN CROATIA

The massacres conducted under Operation Storm “set the stage” for the “ethnic cleansing” of at least 180,000 Krajina Serbs (according to estimates of the Croatian Helsinki Committee and Amnesty International). According to other sources, the number of victims of ethnic cleansing in Krajina was much larger.

Moreover, there is evidence that chemical weapons had been used in the Yugoslav civil war (1991-95).36 Although there is no firm evidence of the use of chemical weapons against Croatian Serbs, an ongoing enquiry by the Canadian Minister of Defence (launched in July 1999) points to the possibility of toxic poisoning of Canadian Peacekeepers while on service in Croatia between 1993 and 1995:

“There was a smell of blood in the air during the past week as the media sensed they had a major scandal unfolding within the Department of National Defense over the medical files of those Canadians who served in Croatia in 1993. Allegations of destroyed documents, a coverup, and a defensive minister and senior officers…”37

The official release of the Department of National Defence (DND) refers to possibility of toxic “soil contamination” in Medak Pocket in 1993 (see below). Was it “soil contamination” or something far more serious? The criminal investigation by the Royal Canadian Mounted Police (RCMP) refers to the shredding of medical files of former Canadian peacekeepers by the DND. In other words did the DND have something to hide? The issue remains as to what types of shells and ammunitions were used by the Croatian Armed Forces ie. were chemical weapons used against Serb civilians?

OPERATION STORM: THE ACCOUNT OF THE ROYAL CANADIAN REGIMENT

Prior to the onslaught, Croatian radio had previously broadcasted a message by president Franjo Tudjman, calling upon “Croatian citizens of Serbian ethnicity… to remain in their homes and not to fear the Croatian authorities, which will respect their minority rights.”38 Canadian peacekeepers of the Second Battalion of the Royal 22nd Regiment witnessed the atrocities committed by Croatian troops in the Krajina offensive in September 1995:

“Any Serb who had failed to evacuate their property were systematically “cleansed” by roving death squads. Every abandoned animal was slaughtered and any Serb household was ransacked and torched”.39

Also confirmed by Canadian peacekeepers was the participation of German mercenaries in Operation Storm:

“Immediately behind the frontline Croatian combat troops and German mercenaries, a large number of hardline extremists had pushed into the Krajina. …Many of these atrocities were carried out within the Canadian Sector, but as the peacekeepers were soon informed by the Croat authorities, the UN no longer had any formal authority in the region.”40

How the Germans mercenaries were recruited was never officially revealed. An investigation by the United Nations Human Rights Commission (UNHRC) confirmed the that foreign mercenaries in Croatia had in some cases “been paid [and presumably recruited] outside Croatia and by third parties.”41

THE 1993 MEDAK POCKET MASSACRE

According to Jane Defence Weekly (10 June 1999), Brigadier General Agim Ceku (now in charge of the KLA) also “masterminded the successful HV [Croatian Army] offensive at Medak” in September 1993. In Medak, the combat operation was entitled “Scorched Earth” resulting in the total destruction of the Serbian villages of Divoselo, Pocitelj and Citluk, and the massacre of over 100 civilians.42

These massacres were also witnessed by Canadian peacekeepers under UN mandate:

“As the sun rose over the horizon, it revealed a Medak Valley engulfed in smoke and flames. As the frustrated soldiers of 2PPCLI waited for the order to move forward into the pocket, shots and screams still rang out as the ethnic cleansing continued. …About 20 members of the international press had tagged along, anxious to see the Medak battleground. Calvin [a Canadian officer] called an informal press conference at the head of the column and loudly accused the Croats of trying to hide war crimes against the Serb inhabitants. The Croats started withdrawing back to their old lines, taking with them whatever loot they hadn’t destroyed. All livestock had been killed and houses torched. French reconnaissance troops and the Canadian command element pushed up the valley and soon began to find bodies of Serb civilians, some already decomposing, others freshly slaughtered. …Finally, on the drizzly morning of Sept. 17, teams of UN civilian police arrived to probe the smouldering ruins for murder victims. Rotting corpses lying out in the open were catalogued, then turned over to the peacekeepers for burial.”43

The massacres were reported to the Canadian Minister of Defence and to the United Nations:

“Senior defence bureaucrats back in Ottawa had no way of predicting the outcome of the engagement in terms of political fallout. To them, there was no point in calling media attention to a situation that might easily backfire. …So Medak was relegated to the memory hole no publicity, no recriminations, no official record. Except for those soldiers involved, Canada’s most lively military action since the Korean War simply never happened.”44


(francais / english / italiano)

Gheddafi lo aveva detto

0) Ciliegina
1) 2011, Gheddafi da Tripoli: «Il Mediterraneo sarà invaso. La scelta è tra me o Al Qaeda» 
2) Daniel S. Schiffer: La France bafoue ses droits de l'homme. Pitoyable et déshonorant !


See also:

I'm Sorry Libya - Marcel Cartier & Agent of Change (with lyrics) (Marcel Cartier, 11 ago 2015)

Migrants morts : on paie le désastre de la politique de Sarkozy et BHL en Libye (D.S. Schiffer, 21-04-2015)


=== 0: CILIEGINA ===

Angelino Alfano (Ministro dell'Interno): << L'Italia sta pagando due volte il conto alla comunità internazionale, la prima l’ha pagato in Libia quando è finito il regime di Gheddafi e la seconda la sta pagando adesso sull’inerzia della comunità internazionale... La crisi libica rappresenta un vulcano acceso davanti all’Europa. >>


=== 1 ===

La versione originale francese di questa intervista, censurata e condita di insulse ridicolaggini tipiche del giornalismo di guerra dei paesi colonialisti, appare online con il titolo:

Kadhafi: "C'est moi ou Al-Qaïda" (par Laurent Valdiguié - Le Journal du Dimanche - dimanche 06 mars 2011)
En exclusivité mondiale, deux journalistes du JDD ont pu rencontrer Mouammar Kadhafi, samedi, sous la tente du dictateur, à Tripoli. Récit...

A voir aussi:

Laurent Valdiguié (JDD): "Mon interview avec Kadhafi (leJDDfr, 5 mar 2011)
Envoyé spécial du JDD à Tripoli, Laurent Valdiguié raconte au JDD.fr sa rencontre avec Mouammar Kadhafi. Propos recueillis par Laurent Guimier...

et aussi:

Interview exclusive de Mouammar Kadhafi sur FRANCE 24 (FRANCE 24, 7 mar 2011)
Dans une interview à FRANCE 24, Mouammar Kadhafi accuse de nouveau Al-Qaïda d'être à l'origine de la "crise" libyenne et dénonce l'ingérence de la communauté internationale après le soutien de Paris au Conseil national libyen formé par les insurgés. http://www.france24.com/fr/
L'interview a été réalisée à Tripoli, Libye, le soir du dimanche 6 mars. Elle a été diffusée lundi 7 mars au matin sur les antennes de FRANCE 24 en français, en anglais et en arabe...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=teY6ChozpzI

English version: Exclusive - Libya : Muammar Gaddafi speaks to FRANCE 24 (FRANCE 24 English, 7 mar 2011)
In an exclusive interview with FRANCE 24, Libyan leader Muammar Gaddafi repeated his claim that al Qaeda was responsible for plunging the country into chaos and denied media reports of mass killings...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=mCuZeKB19iQ


http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_07/o-me-o-al-qaeda-l-europa-tornera-ai-tempi-del-barbarossa_db774cfc-4884-11e0-b2f1-0566c0fae1de.shtml#.VOBavrucSAR.facebook

«Il Mediterraneo sarà invaso»


Gheddafi da Tripoli: «La scelta è tra me o Al Qaeda. L'Europa tornerà ai tempi del Barbarossa»


TRIPOLI - Qual è la situazione oggi?

«Vede... Sono qui...».

Cosa succede?
«Tutti hanno sentito parlare di Al Qaeda nel Maghreb islamico. In Libia c'erano cellule dormienti. Quando è esplosa la confusione in Tunisia e in Egitto, si è voluto approfittare della situazione e Al Qaeda ha dato istruzioni alle cellule dormienti affinché tornassero a galla. I membri di queste cellule hanno attaccato caserme e commissariati per prendere le armi. E' successo a Bengasi e a Al-Baida, dove si è sparato. Vi sono stati morti da una parte e dall'altra. Hanno preso le armi, terrorizzando la gente di Bengasi che oggi non può uscir di casa e ha paura».

Da dove vengono queste cellule di Al Qaeda?
«I leader vengono dall'Iraq, dall'Afghanistan o anche dall'Algeria. E dal carcere di Guantanamo sono stati rilasciati alcuni prigionieri».

Come possono convincere i giovani di Bengasi a seguirli?
«I giovani non conoscevano Al Qaeda. Ma i membri delle cellule forniscono loro pastiglie allucinogene [si tratta del Fénétylline chlorhydrate o Captagon, cfr. http://www.theguardian.com/world/shortcuts/2014/jan/13/captagon-amphetamine-syria-war-middle-east http://www.voltairenet.org/article183119.html prodotto nella Bulgaria sotto il controllo della NATO, ndCNJ], vengono ogni giorno a parlare con loro fornendo anche denaro. Oggi i giovani hanno preso gusto a quelle pastiglie e pensano che i mitra siano una sorta di fuoco d'artificio».

Pensa che tutto questo sia pianificato?
«Sì, molto. Purtroppo, gli eventi sono stati presentati all'estero in modo molto diverso. E' stato detto che si sparava su manifestanti tranquilli... ma la gente di Al Qaeda non organizza manifestazioni! Non ci sono state manifestazioni in Libia! E nessuno ha sparato sui manifestanti! Ciò non ha niente a che vedere con quanto è successo in Tunisia o in Egitto! Qui, gli unici manifestanti sono quelli che sostengono la Jamahiriya».

Quando ha visto cadere, in poche settimane, i regimi di Tunisia e Egitto, non si è preoccupato?
«No, perché? La nostra situazione è molto diversa. Qui il potere è in mano al popolo. Io non ho potere, al contrario di Ben Ali o Mubarak. Sono solo un referente per il popolo. Oggi noi fronteggiamo Al Qaeda, siamo i soli a farlo, e nessuno vuole aiutarci».

Quali opzioni le si offrono?
«Le autorità militari mi dicono che è possibile accerchiare i gruppuscoli per lasciare che si dileguino e per portarli pian piano allo sfinimento. Questa è gente che sgozza le persone. Che ha tirato fuori i prigionieri dalle carceri, distribuendo loro le armi, perché andassero a saccheggiare le case, a violentare le donne, ad attaccare le famiglie. Gli abitanti di Bengasi hanno cominciato a telefonare per chiederci di bombardare quella gente».

Le inchieste delle organizzazioni umanitarie parlano di 6.000 morti. Contesta questa cifra?
(Risata). «Le porto un esempio. C'è un villaggio abitato da meno di mille persone, compreso il segretario del comitato popolare. E' stato detto che lui era in fuga verso l'estero. Invece, era qui, con me, sotto la mia tenda! E' stato detto che c'erano stati 3.000 morti in questo villaggio che ne conta 1.000, e resta un luogo tranquillo, dove la gente non guarda nemmeno la tv».

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha preso una risoluzione contro la Libia...
«Non è competente per gli affari interni di un Paese. Se vuole immischiarsi, che invii una commissione d'inchiesta. Io sono favorevole».

Dal 1969 lei ha conosciuto 8 presidenti americani. L'ultimo, Barack Obama, dice che lei deve «andarsene» e lasciare il Paese...
«Che io lasci cosa? Dove vuole che vada?».

La Cirenaica è una regione dove lei ha sempre avuto dei detrattori. Non c'è richiesta di una più grande autonomia, di federalismo?
«E' una regione poco popolata, che rappresenta il 25% della popolazione. Nel piano attuale, le abbiamo accordato 22 miliardi di dollari di investimenti. E' una regione della Libia un po' viziata».

Cosa si aspetta oggi?
«Che Paesi come la Francia si mettano al più presto a capo della commissione d'inchiesta, che blocchino la risoluzione dell'Onu al Consiglio di sicurezza e che facciano interrompere gli interventi esterni nella regione di Bengasi».

Quali interventi?
«So che esistono contatti semi-ufficiali, dei britannici o di altri europei, con personaggi di Bengasi. Abbiamo bloccato un elicottero olandese atterrato in Libia senza autorizzazione».

I piloti sono vostri prigionieri?
«Sì, ed è normale».

A sentir lei, tutto va bene».
«Il regime qui in Libia va bene. E' stabile. Cerco di farmi capire: se si minaccia, se si cerca di destabilizzare, si arriverà alla confusione, a Bin Laden, a gruppuscoli armati. Migliaia di persone invaderanno l'Europa dalla Libia. Bin Laden verrà ad installarsi nel Nord Africa e lascerà il mullah Omar in Afghanistan e in Pakistan. Avrete Bin Laden alle porte».

Lei agita lo spettro della minaccia islamica...
«Ma è la realtà! In Tunisia e in Egitto c'è il vuoto politico. Gli estremisti islamici già possono passare di lì. Ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo. La Sesta Flotta americana sarà attaccata, si compiranno atti di pirateria qui, a 50 chilometri dalle vostre frontiere. Si tornerà ai tempi di Barbarossa, dei pirati, degli Ottomani che imponevano riscatti sulle navi. Sarà una crisi mondiale, una catastrofe che dal Pakistan si estenderà fino al Nord Africa. Non lo consentirò!».

Lei sembra pensare che il tempo giochi in suo favore...
«Sì, perché il popolo è frastornato per quel che accade. Ma voglio farle capire che la situazione è grave per tutto l'Occidente e tutto il Mediterraneo. Come possono, i dirigenti europei, non capirlo? Il rischio che il terrorismo si estenda su scala planetaria è evidente».

Alle democrazie non piacciono i regimi che sparano sulla propria popolazione...
«Non ho mai sparato sulla mia gente! E voi non credete che da anni il regime algerino combatte l'estremismo islamico facendo uso della forza! Non credete che gli israeliani bombardano Gaza e fanno vittime fra i civili a causa dei gruppi armati che si trovano lì? Non sapete che in Afghanistan o in Iraq l'esercito americano provoca regolarmente vittime fra i civili? Qui in Libia non abbiamo sparato su nessuno. Sfido la comunità internazionale a dimostrare il contrario».

Gli americani minacciano di bloccare i suoi beni bancari...
«Quali beni? Sfido chiunque a dimostrare che io possegga un solo dinaro! Questo blocco dei beni è un atto di pirateria, fra l'altro imposto sul denaro dello Stato libico. Vogliono rubare denaro allo Stato libico e mentono dicendo che si tratta di denaro della Guida! Anche in questo caso, che ci sia un'inchiesta, affinché sia dimostrato a chi appartengono quei soldi. Quanto a me, sono tranquillo. Posseggo solo questa tenda».


Laurent Valdiguié 
Journal du Dimanche
(traduzione di Daniela Maggioni)


07 marzo 2011



=== 2 ===

Aussi dans http://www.agoravox.fr/tribune-libre/article/la-tragedie-des-migrants-libyens-170862

http://leplus.nouvelobs.com/contribution/1408473-migrants-libyens-la-france-bafoue-ses-droits-de-l-homme-pitoyable-et-deshonorant.html

Migrants libyens : la France bafoue ses droits de l'homme. Pitoyable et déshonorant !

Par Daniel Salvatore Schiffer, Philosophe
Publié le 16-08-2015

137 000 personnes, tel est l'astronomique chiffre des migrants afflués, durant les seuls six premiers mois de cette année 2015 (un nombre presque deux fois supérieur à celui de 2014), sur les îles méditerranéennes, dont celle désormais tristement célèbre de Lampedusa, du sud de l'Italie.

 

Ainsi, ce samedi 15 août 2015, jour de fête chrétienne pour nos sociétés occidentales, sont-ce encore près de 350 migrants, presque tous en provenance de Libye, que l'héroïque marine italienne, dont on ne sait si c'est la générosité d'âme ou le sens du devoir qu'il faut vanter le plus, a sauvé de la noyade au large des côtes de la Mer Méditerranée.

 

Il faut saluer la solidarité italienne

 

Horreur, par-delà cet énième acte de bravoure, toutefois ! Car, dans l'hermétique et nauséabonde cale de ce modeste bateau de pêche auquel elle prêtait ainsi vaillamment secours, ce sont 40 cadavres d'hommes et de femmes entassés les uns sur les autres, tous morts par asphyxie, faute de pouvoir respirer à l'air libre, que cette même marine italienne, comble d'un spectacle particulièrement macabre, a découverts.

 

D'où, dépité, scandalisé en même temps qu'indigné, cette juste et opportune déclaration, pas plus tard que ce même 15 août, du Ministre italien de l'Intérieur, Angelino Alfano :

 

"quand les pays de l'Union Européenne, sinon l'ONU elle-même, se décideront-ils donc à se pencher enfin sérieusement, afin de la solutionner, sur la question libyenne ?"

 

A cet appel, aussi pressant qu'urgent, je ne peux, bien sûr, que m'associer. Et ce d'autant plus solennellement que, bien que de culture française, je suis moi-même, de naissance et de passeport, un citoyen de nationalité italienne.

 

Mais que fait la France ? Nous devons aider

 

Ainsi, nombreux sont aujourd'hui mes compatriotes à m'appeler, depuis Rome ou Milan, Venise ou Palerme, pour me demander avec raison, mais également aussi déçus qu'inquiets face à l'indifférence générale, ce que mon pays d'adoption, la France, fait concrètement, ne fût-ce que par solidarité européenne, pour alléger ce fardeau, par-delà même cette immense tragédie humaine.

 

Un fardeau que porte pratiquement à elle seule en ce moment, quoique depuis quelques années déjà et quasi quotidiennement désormais, l'Italie. La Grèce, autre important pays européen du bassin méditerranéen, est en train de se voir confronté, par ailleurs, à ce même genre de drame.

 

Cette question que n'ont de cesse de me poser mes concitoyens italiens, ils me l'adressent d'autant plus légitimement, à moi qui ai fait de Paris ma ville de prédilection, et du Siècle des Lumières ma période de référence sur le plan intellectuel, qu'ils considèrent la France, précisément, comme le principal responsable, par le rôle que l'ancien président de la République, Nicolas Sarkozy (aiguillonné en cela par l'inénarrable Bernard-Henri Lévy), joua dans la chute de Kadhafi, de l'actuel chaos libyen et,  partant, de ses désastreuses conséquences, y compris donc pour l'Italie, quant à la nécessaire mais difficile gestion de l'aide humanitaire à apporter à ces désespérés.

 

L'Europe paie le naufrage de Sarkozy

 

Ainsi, s'il est exact que le naufrage de ces miséreux se révèle être effectivement "le naufrage de l'Europe", comme bon nombre d'observateurs vont le proclamant à longueur de tribunes dans la presse internationale, il est encore bien plus vrai qu'il s'avère être tout d'abord, par cette manifeste imprévoyance, le naufrage de Sarkozy dont le bellicisme alors mené tambours battant, afin de déloger Kadhafi de son tyrannique pouvoir, ne se préoccupa jamais, parallèlement, de la reconstruction d'un pays aussi instable, politiquement, que la Libye.

 

D'où, en guise de conclusion à ce tragique et pourtant implacable constat : combien de temps l'Italie, et le reste de l'Europe, devront encore payer sur le plan économique et social, bien que l'Italie ne rechigne certes pas pour autant à accomplir jusqu'au bout son devoir moral (sorte d'"impératif catégorique kantien" qui s'ignore) en matière d'aide humanitaire, pour cette coupable irresponsabilité de la France ?

 

Et les droits de l'homme dans tout ça ? 

 

La moindre des choses, en l'occurrence, serait que le pays de Voltaire vienne enfin véritablement en aide, sinon à la Libye elle-même (dont elle se fout apparemment, après cette catastrophe annoncée mais qu'elle a pourtant causée, comme d'une guigne), du moins à la patrie de Dante !

 

Mais non, bien au contraire : la France, pour aggraver son cas, se cantonne là, ajoutant ainsi la lâcheté, sinon l'infamie, à l'irresponsabilité, de bloquer ces mêmes clandestins libyens (et autres) à sa frontière, comme elle le fit récemment du côté de Menton, les laissant ainsi macérer, pendant de longues et cruelles heures, sous le soleil cuisant d'Italie, à même les plages rocailleuses et peu hospitalières de Vintimille.

 

Et là, toute honte bue, c'est ce sacro-saint principe des "droits de l'homme" dont elle s'enorgueillit tant, depuis que les Lumières en firent l'illustre quoique illusoire dépositaire, que la France trahit ainsi, au mépris de toute humanité, bafouant ses propres valeurs morales, en premier lieu. Pitoyable et déshonorant !






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Era l'ex Jugoslavia Oggi è l'oro del calcio

Dai croati ai bosniaci, in Serie A comandano loro: sono 47! Più di argentini e brasiliani

di Ettore Intorcia – mercoledì 12 agosto 2015

ROMA - La Storia ha insegnato che non potevano e non potranno mai più essere uniti sotto la stessa bandiera. Né sullo stesso campo di calcio, luogo per eccellenza dove esaltare i nazionalismi. Ma se il calcio è un gioco, dopo tutto, si può usare anche un po’ di fantasia, prendere la base della Croazia, la più forte delle sei nazionali nate dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia, e metterci dentro i gol di Dzeko e la fantasia di Pjanic, ragazzi della Bosnia, la spinta di Basta e colpi di Ljajic, figli della Serbia, l’esperienza di Pandev, dalla Macedonia, i guizzi di Jovetic, il montenegrino, e le mani di Handanovic, gigante sloveno: non ne verrebbe fuori uno squadrone?

Se fossero uniti tutti insieme - serbi e bosniaci, croati e macedoni, montenegrini e sloveni - da noi in Italia sarebbero il partito di maggioranza: la più grande colonia straniera del nostro campionato. Su 296 (finora) calciatori della nostra Serie A nati all’estero, il contingente della ex Jugoslavia è quello che conta più tesserati: 47 calciatori. Varrebbe, cioè, più di Brasile (40) e Argentina (33) che nell’immaginario pallonaro sono da sempre il luogo del calcio, la più grande riserva di talenti, una miniera inesauribile di dribbling e giocate sopraffine. La tendenza. Comanda, tra le sei nazionalità slave, quella croata, e non è un caso: dal 2013 Zagabria è entrata nell’Unione Europea spalancando definitivamente la frontiera, senza più bisogno di affannarsi per rispettare la norma sugli extracomunitari. Non che la questione dello status sia poi un ostacolo, anzi. La tendenza dell’estate è molto chiara: andiamo sempre più a prendere i calciatori al di là dell’Adriatico, in quella che una volta chiamavamo Jugoslavia. In Serie A sono entrati, finora, un argentino (Vadalà, arrivato alla Juve nell’ambito dell’affare Tevez) e cinque brasiliani: Cassini al Palermo, Fernando alla Samp, Gilberto a Firenze, Wallace (un ritorno, in realtà) a Carpi e Winck a Verona. I nuovi slavi, invece, sono in tutto otto: Dzeko e Krunic dalla Bosnia, Mandzukic dalla Croazia, Pandev (altro ritorno) e Trajkovski dalla Macedonia, Jovetic (ancora lui) dal Montenegro, Milinkovic e Lazovic dalla Serbia, mentre il contingente sloveno è rimasto com’era. Le ragioni. «La realtà è che chi compra da noi, e intendo noi ex jugoslavi, sa di andare sul sicuro, anche più che con brasiliani e argentini. Poi c’è anche una questione di costi: a parità di livello, un giocatore slavo costa la metà di un italiano, parlo di atleti medi presi spesso per completare le rose», spiega Marko Naletilic, procuratore croato e grande esperto del mercato slavo.

L’ingresso nell’Unione Europea ha alimentato il flusso dalla Slovenia ai grandi campionati nell’ultimo decennio e ha fatto impennare i trasferimenti dei croati. Ma a cascata ha fatto bene anche a serbi e bosniaci: non si vanno più a pestare i piedi sulle poche caselle da extracomunitari per venire in Italia. «E poi - aggiunge Naletilic - si tratta di ragazzi molto flessibili sul piano culturale, che sanno ambientarsi rapidamente data la facilità con cui imparano le lingue». Pjanic, per esempio, ne parla sei. Del resto, questa è la generazione nata o quasi sotto le bombe: in tanti sono cresciuti all’estero, dalla Svizzera alla Germania per esempio. La Croazia ha la nazionale più forte, la Bosnia (con la storica qualificazione ai mondiali 2014) è quella che è cresciuta più in fretta di tutte. La Dinamo Zagabria, passando ai club, la società che sa vendere meglio i propri gioielli: Modric al Tottenham per 22 milioni il riferimento. Il prossimo affare? Cedere Marco Pjaca, classe ‘95: dall’Italia si erano informate Milan, Juve e Roma.

@ettoreintorcia



(srpskohrvatski / deutsch / francais / english / italiano)


Kosmet, istituito un nuovo Tribunale-truffa ad hoc

0) Nouveau livre: Daniel S. Schiffer, Le Testament du Kosovo - Journal de guerre
1) Sevim Dagdelen (Die Linke): Kfor: Zurück zum Völkerrecht / Poslanica u Bundestagu optužila Albance za terorizam i stala na stranu Srbije
2) Auf die Flucht getrieben / Forced to Flee (IV) (Germany and refugees from Kosovo)
3) Il Kosovo come laboratorio della jihad filo-occidentale:
– Michael Giffoni, ex "ambasciatore italiano in Kosovo", sospeso e poi reintegrato per uno scandalo visti ad alcuni jihadisti
– Brevi: In Kosovo arrestato membro del gruppo terroristico protagonista degli scontri a Kumanovo (FYROM) / Uniformi, esplosivo e volontari dal Kosovo per l'ISIS


Vedi anche:

IL KOSOVO APPROVA IL NUOVO TRIBUNALE PER I CRIMINI DI GUERRA (Violeta Hyseni Kelmendi | Pristina, 10 agosto 2015)
Dopo mesi di stallo il parlamento kosovaro ha approvato una legge che istituisce un Tribunale speciale per giudicare i crimini dell'UÇK. I commenti in Kosovo e all'estero..

KOSOVO : LE PARLEMENT APPROUVE LA CRÉATION DU TRIBUNAL SPÉCIAL (CdB, 4 août 2015)
Après des mois de débats, le Parlement du Kosovo a voté, lundi, les amendements constitutionnels qui devaient permettre la création du Tribunal spécial chargé de juger les crimes imputés à l’UÇK...

KOSOVO, TUTTI I PARADOSSI DELLA CORTE SPECIALE (Andrea Lorenzo Capussela, 1 luglio 2015)
... Andrea Capussela, in un commento,  solleva tutti i paradossi della vicenda legata alla creazione di questo tribunale ad hoc...
ENG: The six paradoxes of Kosovo’s special court (Andrea Lorenzo Capussela, 1 July 2015)
http://www.balcanicaucaso.org/eng/Regions-and-countries/Kosovo/The-six-paradoxes-of-Kosovo-s-special-court-162735


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à paraître le 10 septembre 2015:

Daniel S. Schiffer

Le Testament du Kosovo - Journal de guerre

Paris: Editions du Rocher, 2015

512 pages, 21 euro
ISBN-13: 978-2268079165

http://www.amazon.fr/Kosovo-journal-dune-guerre-oubli%C3%A9e/dp/2268079163

1999. La Serbie est bombardée par l aviation de l OTAN, sans mandat de l ONU. Seul intellectuel étranger à être présent sur le terrain, dans ce que l on appelait alors l ex-Yougoslavie, durant toute la durée de cette intervention militaire (du 24 mars au 10 juin 1999), Daniel Salvatore Schiffer offre, par ce document exceptionnel, un témoignage unique. L auteur, qui parcourt sans relâche, au péril de sa vie, le pays en guerre, ne se limite cependant pas à y analyser, en philosophe et en humaniste, la cruelle réalité du conflit. Il l étaye aussi, preuves à l appui, par une
impressionnante série de constats matériels, d échanges directs avec les survivants et de photos inédites, récoltés aux quatre coins de la Serbie, dont le Kosovo faisait encore partie intégrante. Daniel Salvatore Schiffer, qui fut aussi blessé par un de ces raids aériens de l Alliance atlantique, n a pas souhaité publier ce livre jusqu ici. Car ce journal de guerre contient en effet des révélations qui auraient été auparavant inaudibles, voire irrecevables, au vu du contexte de diabolisation dans lequel une grande partie de l intelligentsia européenne et des médias internationaux en leur ensemble avaient alors décidé, sans esprit critique ni effort d'analyse, de jeter unilatéralement, systématiquement à de rares exceptions près, les Serbes, sans nuances ni distinctions.
Ainsi est-ce la vérité historique, concernant cette dernière guerre, en Europe, du xxe siècle, que Daniel Salvatore Schiffer tente de rétablir, contre l opinion communément reçue, dans ce Testament du Kosovo.


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Sevim Dagdelen, DIE LINKE: Kfor: Zurück zum Völkerrecht (Fraktion DIE LINKE. im Bundestag, 19 giu 2015)
Doppelte Standards, deutsche Machtpolitik und die Heiligung von Völkerrechtsbrüchen schaffen keinen dauerhaften Frieden in Europa. Wir müssen zurück zum Völkerrecht und zu einer friedlichen Außenpolitik Willy Brandts auf das kein Krieg mehr ausgehe von deutschem Boden. Wir brauchen keine deutschen Soldaten auf dem Balkan, die Partei ergreifen und Völkerrechtsbrüche absichern. Wir brauchen eine Rückkehr zum Völkerrecht, denn nur dies kann die Basis für ein friedliches Zusammenleben in Europa...



ŠOK U BUNDESTAGU: Poslanica optužila Albance za terorizam i stala na stranu Srbije

среда, 01 јул 2015

Za govornicom je rekla da s Kosova odlazi najviše boraca za Islamsku državu Iraka i Sirije i to ispred nosa NATO i "vojske koju smo tamo poslali". Mislim da Nemačka ne može da nastavi s podrškom velikoalbanskom nacionalizmu i terorističkim centrima poput Kosova, bila je jasna poslanica turskog porekla

BERLIN - Poslanica nemačke levice (Die Linke) Sevim Dagdelen, članica Odbora za spoljnu politiku nemačkog saveznog parlamenta, digla je nezapamćenu prašinu kada je za govornicom Bundestaga rekla da kompletnu vladu u Prištini čine pripadnici bivše terorističke OVK kao i da je u senci nemačkih tenkova na Kosovu upravo ove 2015. godine obnovljena ista ta teroristička organizacija koja je terorom preplavila i susedne zemlje poput Makedonije.
Izlaganje nemačke poslanice turskog porekla u nekoliko navrata je izazvalo salve gromoglasnog aplauza posebno kada je govorila o tome šta je na Kosovu učinjeno u minulih 16 godina.

Iznevši ozbiljne i teške optužbe na račun vrha vlasti u Prištini, Dagdelenova je 19. juna na sednici nemačkog parlamenta rekla šta misli o zahtevu vlade Angele Merkel i NATO da se nemačkim vojnicima u sastavu Kfora odobri još 45 miliona evra! Podsetivši da su Nemci u sastavu Kfora na Kosovu prisutni već 16 godina, poentirala je rekavši da za sve to vreme nijedan od ciljeva - da Kosovo postane stabilno, multietničko i demokratsko - nije ostvaren.
Ona je podsetila i da pripadnici OVK, učesnici terorističkog napada nedavno likvidirani u Kumanovu, na Kosovu sahranjeni kao heroji, na groblju mučenika i u prisustvu visokih zvaničnika. Ona je za govornicom Bundestaga izrekla i da je Kosovo mesto odakle, kada je reč o Evropi, odlazi najviše boraca za Islamsku državu Iraka i Sirije i to ispred nosa NATO i "vojske koju smo tamo poslali".
"Mislim da Nemačka ne može da nastavi s podrškom velikoalbanskom nacionalizmu koji promoviše OVK i terorističkim centrima poput Kosova koji donose nasilje ne samo u region već i na Bliski istok.

Ona je naglasila i da je proteklih godina Kosovo napustilo na stotine hiljada Srba i Roma te je stoga ravnoteža u tom smislu potpuno uništena. Poslanica je podsetila nemačke kolege i na prošlogodišnju senzacionalnu izjavu bivšeg kancelara Nemačke Gerharda Šredera da je bombardovanje Jugoslavije bilo nezakonito.
- Ja vas pitam koje ste posledice vi izvukli iz te izjave. Bundesver je na Kosovu kao rezultat kršenja međunarodnog prava, a politika Nemačke tamo nikada nije bila neutralna. Nisu nam potrebni nemački vojnici na Balkanu koji će podržavati jednu ili drugu stranu i stajati u zaštitu kršenja međunarodnog prava... Treba nam povratak na međunarodno pravo, jer samo to može biti osnov za miran suživot u Evropi – kazala je Dagdelenova i dodala da zemlje EU koje nisu priznale nezavisnost Kosova - Kipar, Rumunija, Španija, Grčka i Slovačka - treba da upozore nemačku vladu na kršenje međunarodnog prava na Kosovu.
- Ovo je čisto licemerje - rekla je praćena burnim aplauzom.

Dagdelenova je na kraju poručila je ključ trajnog mira u Evropi politika bez dvostrukih standarda. Ona se založila i da Nemačka treba da se vrati miroljubivoj spoljnoj politici Vilija Branta kako njeni vojnici više nikada ne bi napustili nemačko tlo.
"Nadam se da Srbija neće podleći pritisku i uvesti sankcije Rusiji"
Sevim Dagdelen je nedavno postavila pitanje nemačkoj vladi kakav je stav Nemačke o odnosu Srbije prema sankcijama Rusiji. Ona je tada za Dojče vele rekla da se nada da Srbija neće podleći pritisku i uvesti sankcije Rusiji. "Nadam se da Srbija neće podleći pritisku Berlina niti se odreći dobrih odnosa sa Rusijom, rekla je i dodala da vreme diktata u spoljnoj politici mora da pripada prošlosti. "Oni koji ponovo barataju pretnjama zapravo stvaraju opasnost od rata u Evropi. To ne smemo da dozvolimo", istakla je nemačka poslanica.


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In english: Forced to Flee (IV) (Germany and refugees from Kosovo – GFP 13.08.2015)
Germany is significantly responsible for helping create the conditions causing tens of thousands to flee from Kosovo. This has been confirmed by an analysis of the development that seceded territory has taken since NATO's 1999 aggression, in which Germany had played a leading role. Prominent German politicians have also played leading roles in establishing Kosovo's subsequent occupation, helping to put the commanders and combatants of the mafia-type Kosovo Liberation Army (KLA) militia into power in Pristina. They created social conditions that have drawn sharp internationally criticism. In 2012, the European Court of Auditors (ECA) reported that organized crime continues at "high levels" in Kosovo. The Council of Europe even discerns some of the highest-ranking politicians, including a long-standing prime minister, as being members of the Mafia. Poverty is rampant. After 16 years of NATO and EU occupation, around one-sixth of the children suffer from stunted growth due to malnutrition. Germany has played an important role in organizing the occupation. If it were not for cash transfers refugees send home, many Kosovo families would not be able to survive. In the first semester of 2015 alone, more than 28,600 found themselves forced to apply for refugee status in Germany - with little chance of success. Berlin is now seeking more rapid ways for their deportation...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58873


http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59182

Auf die Flucht getrieben (IV)
 
13.08.2015
BERLIN/PRIŠTINA
 
(Eigener Bericht) - Deutschland trägt maßgebliche Mitverantwortung für die Ursachen der Flucht zehntausender Menschen aus dem Kosovo. Dies belegt eine Analyse der Entwicklung in dem Sezessionsgebiet seit dem NATO-Überfall im Jahr 1999, dessen Vorbereitung unter führender Mitwirkung der Bundesrepublik geschah. Auch die anschließende Besatzung des Kosovo haben deutsche Politiker in leitenden Positionen mitgestaltet. Dabei haben sie geholfen, Kommandeure und Kämpfer der Mafiamiliz UÇK in Priština an die Macht zu bringen, unter deren Herrschaft sich international scharf kritisierte soziale Verhältnisse herausgebildet haben. In einem Bericht des Europäischen Rechnungshofs hieß es etwa im Jahr 2012, die Organisierte Kriminalität bestehe im Kosovo auf "hohem Niveau" fort; im Europarat wurden sogar höchstrangige Politiker, darunter ein langjähriger Ministerpräsident, der Mafia zugerechnet. Die Armut grassiert; rund ein Sechstel aller Kinder leidet wegen Mangelernährung an Wachstumsstörungen - nach ungefähr 16 Jahren von NATO und EU geführter Besatzung, die maßgeblich von Berlin mitgestaltet wurde. Ohne Rücktransfers von Exil-Kosovaren könnten zahlreiche kosovarische Familien wohl nicht überleben. Allein im ersten Halbjahr 2015 haben mehr als 28.600 Kosovaren keine andere Chance gesehen, als in Deutschland Asyl zu beantragen - faktisch ohne Aussicht aus Erfolg. Berlin bemüht sich nun um Wege zu ihrer schnelleren Abschiebung.

Geostrategisch motiviert
Das Kosovo, aus dem die Menschen zuletzt in Scharen geflohen sind, ist in den vergangenen zwei Jahrzehnten ein Schwerpunkt der deutschen Außenpolitik gewesen. Dabei zielte die Bundesrepublik zunächst vor allem darauf ab, das Gebiet aus Jugoslawien bzw. Serbien zu lösen und es zu einem eigenen Staat zu machen. Dies schien geeignet, Belgrad - einen traditionellen Opponenten der deutschen Südosteuropa-Politik - dauerhaft empfindlich zu schwächen und zugleich mit einem kosovarischen Staat einen neuen loyalen Verbündeten in der südosteuropäischen Peripherie zu schaffen. Schon um das Jahr 1992 begann deshalb der Bundesnachrichtendienst (BND), wie der Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom berichtet [1], "erste Kontakte" zur "militanten Opposition" der Kosovaren aufzubauen. Bald entstanden enge Beziehungen inklusive Aufrüstung und Training der 1996 gegründeten Mafiaorganisation UÇK. Die UÇK diente dann, nachdem sie maßgeblich dazu beigetragen hatte, die südserbische Provinz 1998 durch bewaffneten Terror zu destabilisieren, als Bodentruppe der NATO nach deren Überfall auf Jugoslawien am 24. März 1999.

Unter deutscher Obhut
Dies ist vor allem deshalb von erheblicher Bedeutung, weil die UÇK entsprechend ihrer zentralen Rolle im Krieg gegen Jugoslawien nun auch in der anschließenden Zeit der Besatzung wichtige Funktionen im Kosovo für sich einforderte - und sie von den Besatzungsmächten auch bekam. Unter diesen hat die Bundesrepublik eine exklusive Position innegehabt. Sie entsandte nicht nur sieben der bislang 20 Kommandeure der NATO-Besatzungstruppe KFOR und damit mehr als jedes andere Land. Dem Berliner Polit-Establishment entstammten darüber hinaus mit Michael Steiner (2002 bis 2003) und Joachim Rücker (2006 bis 2008) zwei Leiter der UN-Verwaltung UNMIK, die jeweils wichtige Weichen für die Sezession des Kosovo stellten.[2] Unter ihrer Oberaufsicht amtierten ehemalige UÇK-Kämpfer (Bajram Rexhepi, 2002 bis 2004) und UÇK-Kommandeure (Agim Çeku, 2006 bis 2008; Hashim Thaçi, ab 2008) als Ministerpräsidenten des Kosovo. Steiner unterstützte zudem Thaçi, Rücker den berüchtigten Ex-UÇK-Kommandeur Ramush Haradinaj bei ihrem Kampf gegen justizielle Ahndung ihrer Taten (german-foreign-policy.com berichtete [3]). Wie die Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) bereits vor Jahren rückblickend resümierte, erlangten die "mit organisierter Kriminalität aufs Engste verflochtenen politischen Extremisten und gewalterprobten Untergrundkämpfer" der UÇK unter der UNMIK "als gewählte Volksvertreter oder neu gekürte Beamte ... unter internationaler Obhut politische Respektabilität".[4]

Berufswunsch "Mafiaboss"
Die Machenschaften der ehemaligen UÇK-Anführer, die das Kosovo ab 1999 maßgeblich prägten, haben immer wieder für internationales Aufsehen gesorgt. Über Hashim Thaçi etwa, der noch bis 2014 als Ministerpräsident in Priština amtierte, urteilten der BND und das Berliner "Institut für Europäische Politik" (IEP) bereits vor Jahren, er sei nicht nur Auftraggeber eines "Profikillers" gewesen, sondern verfüge auch "auf internationaler Ebene über weiter reichende kriminelle Netzwerke".[5] Thaçi ist zudem vom ehemaligen Sonderberichterstatter der Parlamentarischen Versammlung des Europarats, Dick Marty, beschuldigt worden, nicht nur jahrelang an führender Stelle in den Schmuggel von Waffen und Rauschgift involviert gewesen zu sein, sondern sich außerdem am Handel mit menschlichen Organen beteiligt zu haben.[6] Über die Organisierte Kriminalität im Kosovo erklärte das Institut für Europäische Politik Anfang 2007: "Aus früheren UCK-Strukturen ... haben sich unter den Augen der Internationalen Gemeinschaft mittlerweile mehrere Multi-Millionen-Organisationen entwickelt", die großen Einfluss besäßen; "Mafiaboss" stelle mittlerweile "den meistgenannten Berufswunsch von Kindern und Jugendlichen dar".[7]

Rechtsfreie Räume
Über die gesellschaftlichen Verhältnisse, die sich unter der Herrschaft ehemaliger UÇK-Strukturen und der Oberaufsicht auch deutscher UNMIK-Verwalter herausbildeten, äußerte sich das Institut für Europäische Politik bereits 2007 am Beispiel der im Kosovo nach wie vor üblichen Streitbeilegung per Gewohnheitsrecht. Letzteres schreibe "nicht nur die Vorherrschaft des Mannes fest", berichtete das Institut; es baue "darüber hinaus auf einem gewaltlegitimierenden Ehrkonzept auf", das nicht zuletzt die traditionelle "Blutrache" "in den Mittelpunkt eines pseudojuristischen Ordnungssystems stellt".[8] Deutliche Worte fand 2012 sogar der Europäische Rechnungshof. Es gebe trotz mehr als zehn Jahre währender Besatzungstätigkeit allenfalls "geringe Fortschritte im Kampf gegen das organisierte Verbrechen"; vielmehr bestehe die Organisierte Kriminalität auf "hohem Niveau" fort, hieß es damals in einem Bericht der Institution. Die Untersuchung selbst schwerster Verbrechen bleibe "immer noch unwirksam". Die OSZE habe sich ausdrücklich bestätigen lassen, dass zahlreiche Richter nicht bereit seien, "ihre Urteile auf der alleinigen Grundlage des Rechts" zu sprechen, sondern "dazu tendierten, in vorauseilendem Gehorsam gegenüber äußeren Einflüssen zu handeln".[9] Noch Anfang dieses Jahres urteilte die SWP, es gebe im Kosovo "ausgedehnte rechtsfreie Räume" - aufgrund einer "symbiotischen Beziehung zwischen weiten Teilen von Verwaltung und Politik mit der organisierten Kriminalität".[10]

Mangelernährung
Auch ökonomisch ist die Lage des Kosovo, das sich am 17. Februar 2008 nach intensiver deutscher Vorarbeit und unter Bruch des internationalen Rechts zum Staat erklärte, nach wie vor desolat. Das Bruttoinlandsprodukt pro Kopf beläuft sich auf 2.935 Euro im Jahr (EU: 25.700 Euro). Die Arbeitslosigkeit wird mit 40 bis 45 Prozent beziffert; die Jugendarbeitslosigkeit beträgt real bis zu 70 Prozent. Die Wirtschaft liegt - wie zu Beginn der Besatzungszeit 1999 - weitestgehend am Boden; die Investitionen aus dem Ausland gingen von rund 220 Millionen Euro in den ersten neun Monaten 2013 auf knapp 122 Millionen Euro im selben Zeitraum 2014 zurück. Das Kosovo musste 2014 Waren im Wert von rund 2,5 Milliarden Euro importieren, um über die Runden zu kommen; dem standen Exporte in Höhe von nur 325 Millionen Euro gegenüber. "Eine wichtige Triebkraft für den privaten Konsum stellen weiterhin die Überweisungen von im Ausland lebenden und arbeitenden Landsleuten an ihre Familien in der Heimat dar", berichtet die Außenwirtschaftsagentur Germany Trade and Invest (GTAI).[11] Ohne die Rücktransfers von Exil-Kosovaren könnte das Land, in dem 16 Prozent aller Kinder wegen Mangelernährung unter Wachstumsstörungen und 23 Prozent aller Schwangeren unter Anämie leiden [12], wohl nicht überleben.

"Drastisch reduzieren"
16 Jahre nach dem NATO-Krieg, der mit der Behauptung begründet wurde, man müsse das Kosovo befreien und seiner Bevölkerung zu einem menschenwürdigen Leben verhelfen, fliehen nun Zehntausende - und stellen damit den westlichen Staaten, die Verantwortung für den Krieg und die anschließende Besatzung tragen, ein verheerendes Zeugnis aus. Führend bei der Vorbereitung des Krieges und bei der Besatzung ist Deutschland gewesen. In Reaktion auf die steigende Zahl der Flüchtlinge bereitet Berlin nun die Einstufung des Kosovo als "sicheres Herkunftsland" vor, um die Menschen, die vor den auch von der Bundesrepublik zu verantwortenden Verhältnissen fliehen, umgehend abschieben zu können. Dass Flüchtlinge aus Südosteuropa sich nicht anders zu helfen wissen, als in der reichen Bundesrepublik Asylanträge zu stellen, sei "inakzeptabel und für Europa eine Schande", erklärt Bundesinnenminister Thomas de Maizière: "Das Wichtigste ist, deren Anzahl" - gemeint sind die Flüchtlinge - "drastisch zu reduzieren".[13]
[1] Erich Schmidt-Eenboom: Kosovo-Krieg und Interesse. www.geheimdienste.info. S. dazu Vom Westen befreit (IV).
[2] S. dazu Berliner BeuteDayton II und Politische Freundschaften.
[3] S. dazu Politische Freundschaften und Heldenfigur.
[4] Die Balkan-Mafia. Diskussionspapier der Stiftung Wissenschaft und Politik 09.12.2007. S. dazu Aufs Engste verflochten.
[5] S. dazu "Danke, Deutschland!".
[6] S. dazu Teil des Westens geworden.
[7], [8] Operationalisierung von Security Sector Reform (SSR) auf dem Westlichen Balkan. Institut für Europäische Politik 09.01.2007. S. dazu Aufs Engste verflochten.
[9] S. dazu Die Logik des Krieges.
[10] Dušan Reljić: Kosovo braucht einen Beschäftigungspakt mit der EU. www.swp-berlin.org 12.02.2015. S. dazu Vom Westen befreit (IV).
[11] Kosovo rechnet für 2015 mit Konjunkturschub. www.gtai.de 05.02.2015.
[12] Dušan Reljić: Kosovo braucht einen Beschäftigungspakt mit der EU. www.swp-berlin.org 12.02.2015. S. dazu Vom Westen befreit (IV).
[13] "Als reiches Land sind wir überhaupt nicht überfordert." Frankfurter Allgemeine Zeitung 19.07.2015.


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http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/salerno/cronaca/15_giugno_16/ex-ambasciatore-italiano-kosovo-reintegrato-tar-salernitano-d9854750-1409-11e5-867e-da55c2f4b9eb.shtml

IL CASO

Ex ambasciatore italiano in Kosovo reintegrato dal Tar: è salernitano

Michael Giffoni era stato sospeso dalla Farnesina dopo uno scandalo visti ad alcuni jihadisti che però non l’aveva coinvolto. Ora il Tribunale gli ridà l’incarico

di Lorenzo Peluso

Ci sono voluti ben 16 mesi, ma l’odissea dai contorni kafkiani che ha investito, travolgendolo, l’ex ambasciatore italiano in Kosovo, Michael Louis Giffoni, originario di Teggiano, nel Salernitano, sembra essersi avviata verso una positiva conclusione. Se non terminata del tutto, probabilmente, ha visto un vero e proprio “giro di boa”, fissando un punto fermo. Oltre un anno, poi l’udienza di merito del Tar del Lazio due mesi fa, e venerdì 12 giugno la sentenza che accoglie il ricorso presentato da Giffoni ed annulla il provvedimento di destituzione emesso a luglio dello scorso anno dal ministero degli Esteri, dopo 5 mesi di sospensione cautelare, dando ordine allo stesso dicastero di ottemperare alla sentenza, quindi probabilmente reintegrando l’ambasciatore Giffoni nei ranghi e nelle funzioni diplomatiche. 

La storia
Una vicenda complicata quella di Giffoni. Agli inizi dello scorso anno scoppiò lo scandalo dei visti falsi all’ambasciata di Pristina in Kosovo, con il coinvolgimento di alcuni funzionari dell’Ambasciata italiana che lì operavano, in primo luogo un impiegato a contratto locale. Era poi emerso che tra chi aveva ottenuto visti vi erano anche tre terroristi jihadisti, pericolosi islamisti di origine kosovara, entrati in Italia facendo poi perdere le tracce, tranne per uno fattosi saltare in aria in un attentato in Iraq. L’inchiesta nasce su impulso della polizia europea “Eulex” ed anche la Procura della Repubblica di Roma apre un fascicolo che vede coinvolti i contrattisti dipendenti dell’ambasciata. Finisce nel vortice anche l’ex ambasciatore italiano a Pristina, Michael Giffoni, che intanto dall’ottobre 2013 è rientrato a Roma per regolare avvicendamento dopo 5 anni e mezzo di servizio in Kosovo coronato da successi su tutti i fronti, nominato Capo della delicata Unità per il Mediterraneo e Nord Africa e impegnato principalmente sul difficile fronte libico. Sia Eulex, l’organo inquirente internazionale, sia la procura kosovara sia quella di Roma precisano però che Giffoni non è indagato né può essere considerato responsabile di ciò che è accaduto, palesandosi invece come una vera e proprio vittima di raggiro da parte di impiegati infedeli e collusi con la malavita locale. 

Il provvedimento
Tuttavia, la Farnesina lo sospende dalle attività e poi addirittura lo destituisce a luglio scorso: una decisione che ha provocato amarezza e sofferenza nel diplomatico di origini salernitane e anche sconcerto e incredulità in tutti coloro che in venti e più anni di carriera lo hanno visto operare efficacemente e lealmente in contesti diplomatici di grande difficoltà, dalla Sarajevo sotto assedio degli anni ’90, a Bruxelles prima per la presidenza europea di turno del 2003 e poi nella veste di direttore per i Balcani dell’Alto Rappresentante Ue Solana, incarico che apre le porte a quello di primo ambasciatore d’Italia in Kosovo, al momento della sua indipendenza nel 2008. Contro tale decisione, lo stesso Giffoni ha presentato subito ricorso al Tar del Lazio. Ora la sentenza che ristabilisce la verità almeno dal punto di vista della giustizia amministrativa.

Le prime parole
«Se non siamo già alla fine dell’incubo, siamo forse all’inizio della sua fine – riferisce Giffoni – ma sono felicemente sereno perché, forte della mia coscienza e della mia dignità, pur nell’amarezza e nella sofferenza non ho mai perso la fiducia nelle istituzioni cui ho lealmente dedicato una vita di lavoro e sacrifici, certo che prima o poi si sarebbero ristabilite verità e giustizia. Alla sentenza ho pianto, per la gioia; ho giocato e scherzato con il mio piccolo Adriano sentendomi finalmente leggero come una piuma e con mia moglie ci siamo detti: non abbiamo mollato per un anno e mezzo, continueremo a tenere duro, se necessario ancora. Ma intanto godiamoci questi giorni di luce e serenità». 

16 giugno 2015

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Fonte: www.glassrbije.org / italiano

In Kosovo è stato arrestato Sulejman Osmani Sulja, il membro del gruppo terroristico

08. 07. 2015. – In Kosovo è stato arrestato Sulejman Osmani Sulja, il membro del gruppo terroristico che era compossto di 40 membri, ha confermato la polizia kosovara alla Kosovo Press. Quel gruppo terroristico ha partecipato agli scontri militari con la polizia macedone nel quartiere Divo di Kumanovo nel maggio dell’anno corrente. Osmani è stato arrestato nei pressi di Vitina in Kosovo, su mandato di cattura che hanno spiccato le autorità della Macedonia.

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http://voiceofserbia.org/it/content/polizia-kosovara-ha-trovato-uniformi-lettera-arabo-ed-esplosivo

Polizia kosovara ha trovato uniformi, lettera in arabo ed esplosivo

20. 07. 2015. – La polizia kosovara ha trovato due borse vicino al lago Badovac, nei pressi di Pristina. Le borse sono state rinvenute vicino al luogo dove una settimana fa sono state arrestate alcune persone accusate di terrorismo. In una delle borse si trovavano le uniformi nere, una lettera in lingua araba e due kalasnikov. Nell’altra borsa si trova probabilmente l’esplosivo, hanno riportato i media di Pristina.

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http://voiceofserbia.org/it/content/circa-20-famiglie-kosovare-sono-andate-iraq-e-siria-combattere-nelle-file-dell’isis

Circa 20 famiglie kosovare sono andate in Iraq e Siria per combattere nelle file dell’Isis

20. 07. 2015. – Circa 20 famiglie kosovare sono andate in Iraq e Siria per combattere nelle file dell’Isis, scrive il quotidiano Zeri di Pristina. I giornalisti di quel quotidiano hanno parlato con alcune di quelle famiglie, includendo la famiglia Hasani di Klina. Dieci membri di quella famiglia sono andati in Siria all’inizio dell’anno corrente. Nella casa è rimasta soltanto la nonna con il nipote più giovane. La nonna ha detto ai giornalisti che tutti i membri della sua famiglia sono andati a combattere nel nome di Allah. Uno dei memnri di quella famglia Ekrem Hasani è stato uccisio nelle file dei jihadisti. Non si sa ancora che cosa è successo con sua moglie e i figli. L’imam della moschea a Podujevo Bakim Jasari ha detto che i vahabiti sono colpevoli della situazione attuale in Kosovo. A quella gente è stato lavato il cervello dalle persone che l’ha invitata e pesuasa a combattere a nome di Allah in Siria e Iraq, ha dichiarato Jasari.





(francais / italiano / deutsch / english / srpskohrvatski)

Oluja: Otvorena pisma pobjednicima i novinarima

1) Domagoj Margetic: Otvoreno pismo pobjednicima: FUJ!
2) Daniel Salvatore Schiffer: La Croatie commémore l'anniversaire de l'opération Tempête, c'est une honte pour l'Europe
3) Unione dei Serbi in Italia: Lettera ai giornalisti sull'Operazione Tempesta


A voir et lire aussi / Vedi e leggi anche:

THOMPSON - PROSLAVA OLUJE (Knin 5.8.2015.g.) *(HD/HQ)*
Il cantante rock nazista Thomson al centro dei festeggiamenti nel ventennale della pulizia etnica delle Krajine, Knin 5/8/2015

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CROATIE : FEUX D’ARTIFICE ET GROS CANONS POUR « OLUJA »(CdB, 5 août 2015)
La Croatie a fêté les 4 et 5 août l’opération Oluja en grande pompe, mais entre soi : aucune délégation étrangère n’a répondu présent aux festivités...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/croatie-feux-d-artifice-et-gros-canons-pour-feter-oluja.html

OLUJA, LA TEMPESTA CHE DIVIDE LA CROAZIA (di Drago Hedl | Osijek  6 agosto 2015)
La celebrazione del ventennale dell'operazione militare Oluja (Tempesta) non ha solo inasprito le relazioni tra Zagabria e Belgrado, ma ha persino creato delle divisioni all'interno della stessa Croazia...

OLUJA: LA “TEMPESTA” SUI BALCANI (di Antonela Riha | Belgrado  4 agosto 2015)
In Croazia il giorno in cui furono cacciati oltre 200.000 serbi si celebra con una parata militare, in Serbia invece è lutto nazionale. Se il governo di Zagabria tace sulle vittime, a Belgrado non è mai stato confermato ufficialmente il loro numero...

PARADE IM SIEGESTAUMEL (von Roland Zschächner, junge Welt, 5/8/2015)
Kroatien feiert die Zerschlagung der Republik Serbische Krajina und die Vertreibung von über 220.000 Menschen vor 20 Jahren
http://www.jungewelt.de/2015/08-05/020.php

VERITAS Statement on the Anniversary of Operation "Storm"


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Otvoreno pismo pobjednicima: FUJ!

Domagoj Margetic
, 3.8.2015.


A dok slavimo ratove, o kakvom to miru govorimo? Dok su nam zločini državni praznici, a zločinci nacionalni junaci, o kakvom mi pomirenju i s kim govorimo?

Pobjednici slave pobjede. A slobodni ljudi su jednostavno – slobodni. Slobodnima ne trebaju ni pobjede niti pobjednici, ne trebaju im masovne pompozne, bahate proslave tuđe nesreće. Ne razumiju pobjednici taj stav kontra njihove pobjede. Jer pobjednici su nekako, po definiciji, taoci svojih pobjeda. Ili su pobjednici – ili nisu ništa. Zato ta potreba veličanja njihovih pobjeda. Jer ako im uzmeš tu njihovu „pobjedu“, ne ostaje im više ništa. I nisu više ništa, ako nisu pobjednici. A slobodnima ne trebaju pobjede da bi bili nešto, ne treba im ta iskompleksiranost pobjedonosnim sindromom. Dok gledam te njihove perverzne pripreme za slavljenje još jednog od tolikih, nebrojenih, balkanskih pobjedničkih mitova, prisjetio sam se jedne moje kolumne iz 2010. godine: „Diferencijacija pameti – Odričem se Hrvatske!“.

A u ovih se pet godina, nažalost, nije promijenilo ništa zbog čega bih požalio što sam se tada odrekao zemlje, koju mi eto nameću kao domovinu. Kao što mi žele nametnuti svoju pobjedu. Kao što mi žele nametnuti, žele mi narediti zahvalnost što su nas „oslobodili“. Kakva ultimativna glupost! Tko uopće koga može ičega ili ikoga osloboditi?! Ne razumiju pobjednici da nas nisu „oslobodili“, nego su nas raspametili, razbaštinili ono malo ljudskosti koja nam je bila preostala, razbaštinili su nas one tri vrijednosti kroz koje smo odrastali i odgajani – sloboda, bratstvo i jedinstvo. Nije mi jasno kako ti naši suvremeni pobjednici misle da eto smiju paušalno to vrijednosti proglašavati jugonostalgičarskim floskulama! Jer kakve su tek floskule njihove priče o pobjedama, o oslobođenju, o nekakvoj nacionalnoj i apsurdnoj državnoj slobodi, kako nama tek neprihvatljivo zvuče te njihove floskule o domovinskom ratu, o svemu tome na čemu oni inzistiraju da im tko zna kako budemo zahvalni.

A ja, ovako slobodan, i oslobođen od svega, jednostavno ne razumijem na čemu i kome to bih trebao biti zahvalan. Nemaju što za jesti, nemaju čime školovati djecu, rade za crkavicu kojom ne mogu platiti niti osnovne mjesečne troškove života, rade a ne primaju plaću, oduzimaju im domove, blokirani su, nezaposleni, ali slave ratove! Još uvijek ih je moguće manipulirati i natjerati da mašu zastavama, da se kunu u grbove, da slave ratove za tamo nekakve „nacionalne interese“. Podilaziti tom njihovom kolektivnom ludilu za mene bi bila izdaja tog mojeg disidentstva kao osobnog životnog opredjeljenja, kao mojeg izbjeglištva savijesti pred njihovom pobjedničkom histerijom. Zamislite rulju koja slavi tamo nekakav „dan zahvalnosti“, a da pritom kao hipnotizirani nisu u stanju razmisliti na čemu to imaju biti zahvalni?

Na čemu biti zahvalan u zemlji u kojoj su ratni zločinci – heroji; u kojoj su ustaški kapelani – sveci; u kojoj su pljačkaši i ratni profiteri – ugledni tajkuni i biznismeni. Zar da demonstracijom ludog naroda pokazujemo koliko smo zahvalni ratnoprofiterskoj eliti što nas je opljačkala i otela nam sve, a mi još pjevamo, mašemo zastavama i plješćemo onima koji su nam to učinili? A ljuti ih kada im kažem – lud narod. No, ne vidim kako bih drugačije sam sebi mogao racionalizirati i argumentirati to njihovo ponašanje.

Oni su nas kao „oslobodili“, a žele mi uskratiti slobodu da kažem što mislim o tom njihovom „oslobođenju“, o toj njihovoj pobjedi. Ako vi imate pravo slaviti, imam vam pravo i moralnu obvezu reći – za mene ta vaša pobjeda, za mene Oluja, i proslava te vaše „pobjede“ i rata nije ništa drugo nego proslava ratnih zločina i ratnog profiterstva. I ništa više. Želite nam zabraniti da i nakon dvadeset godina stvari nazovemo pravim imenom. Zločine zločinima! Pljačku pljačkom! Želite nas kolektivno, prisilom na šutnju, u ovim dvadeset godina pretvoriti u svoje suučesnike u tom ratnom zločinu, pljački, kriminalu i ratnom profiterstvu.

Priznanje te vaše pobjede, za mene bi bio jedini konačni poraz.

Jer ako je to što vi ovih dana slavite – sloboda, onda ću glasno vikati – JEBEŠ SLOBODU! JEBEŠ SLOBODU! Ali vama ne dopire do mozga, niti nakon svih ovih godina, da sloboda i pobjeda nemaju baš puno toga zajedničkog. I upravo ta suštinska suprotstavljenost pobjede i slobode, ta sukobljenost slobode sa svakom pobjedom i svakim pobjednikom, otkriva o kakvom se ovdje ludilu radi. To je ta točka diferencijacije na kojoj se razilazimo – razlika između pobjednika i slobodnih. Vama toliko nejasna i neprimjetna. Vaša se pobjeda toliko razlikuje od moje slobode, upravo po tome što ćete vi zauvijek ostati zarobljenici svojih pobjeda. U jednom ste doduše, u pravu. Ta vaša pobjeda ima ime. Štoviše, više imena. Ta vaša pobjeda ima upravo onoliko imena – koliko je pobijenih i protjeranih u ime te vaše pobjede. Gadi mi se to vaše krvavo slavlje. Neka slave oni koji su na krvi, leševima i ruševinama profitirali. A vi koji im na paradama mašete zastavama i euforično kičete iz svojih gladnih usta, obični ste suučesnici tog njihovog gotovo neprekinutog krvavog, lešinarskog pohoda.

Ne pišem ovo da bih išta promijenio. Svjestan sam da je to nemoguće. Ali u vremenu dominantnih luđaka, možemo se barem distancirati i diferencirati od gomile koja im skandira.

Zato si uzimam lobodu javno reći – Oluja je zločin u kojem su jednu pobijeni, drugi protjerani, treći popljačkani. A vi mi sad pokušajte racionalno objasniti što se tu točno ima slaviti?

A dok slavimo ratove, o kakvom to miru govorimo? Dok su nam zločini državni praznici, a zločinci nacionalni junaci, o kakvom mi pomirenju i s kim govorimo? Protjerali ste organizirano oko 380 tisuća građana ove zemlje i to nazivate pobjedom? I nisu li te militantne proslave vaših pobjeda upravo jasna poruka onima koje ste protjerali da im slučajno ne padne na pamet vraćati se, da za njih ovdje više nema mjesta, da ovo nije njihova zemlja? Jer tko bi se normalan vratio u zemlju u kojoj je dan tog etničkog čišćenja državni praznik?

A tko ste vi, bijedo, da govorite i određujete što je čija zemlja, i što je kome domovina? Fuj!

Svojim ratnim pobjedama pokušavate nadomjestiti umrlu savijest, ako ste je ikada imali. Samo onima bez savijesti može biti tako lako pobjeđivati. I samo onima bez savijesti može biti tako lako slaviti takve pobjede i pobjednike.

Gadi mi se i ova država, i ovo društvo, i ova masa. Ne mogu vam dovoljno uopće uprizoriti koliko vas iskreno prezirem ovako kolektivno lude. Negdje u podsvijesti očito vam je jasno da ne postoji kolektivna sloboda, pa ste možda zato pobjegli u svoje kolektivno ludilo i proglasili ga slobodom, poput onih luđaka zatvorenih po ludnicama koji se proglase isusima, i tko zna kakvim povijesnim, stvarnim ili izmišljenim likovima.

Eto – to je ta vaša sloboda. Jedna velika masovna ludnica koju ste proglasili državom, i kolektivno ludilo koje ste proglasili nacionalnom slobodom. Zato se još jednom mogu samo odreći Hrvatske i uz sav taj prijezir i gađenje viknuti s ulice: Fuj! Vi ćete ionako nastaviti uživati u svojem ludilu, jer kao i svakom luđaku, vama samima sa sobom, tako ludima je baš savršeno dobro. Bez obzira što vas pljačkaju, bez obzira što nemate za život.

Samo, eto, ostaju žrtve te vaše pobjede. Žrtve kojima još uvijek nismo rekli obično, ljudsko, od srca – oprosti. Žrtve kojima ne dopuštamo niti da budu obilježena imena, jer se bojite ako negdje ispišemo imena tih žrtava ta će vaša pobjeda dobiti taj krvavi, lešinarski, prljavi identitet ratnog zločina. I ma koliko bježali od toga, vašu će pobjedu tada proganjati imena kojima ste ispisali taj svoj pobjednički pohod.

Zato za kraj samo mogu reći Oprosti, molim te – svakoj žrtvi tih pobjeda, ako su pobjeđivane i u moje ime. Oprosti. I moje je krivnje puno u tome. Jer kao mnogi, možda, nisam učinio dovoljno da pružim otpor toj njihovoj pobjedi. Oprosti. I samo se mogu bez riječi nakloniti onima koje ste pobijedili.

Nemate pojma koliko ste nas porazili tom svojom pobjedom.


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Aussi dans:



La Croatie commémore l'anniversaire de l'opération Tempête : c'est une honte pour l'Europe

Par Daniel Salvatore Schiffer
Philosophe

05-08-2015

Scandale au cœur de notre Europe moderne, dite libre et démocratique ! La Croatie, qui fait officiellement partie de l'Union européenne depuis deux ans, a célébré en grandes pompes, ce 5 août, le 20e anniversaire d'une opération militaire éclair, alors baptisée "Tempête" (Oluja en serbo-croate), qui se caractérisa, pendant de la guerre en ex-Yougoslavie, par le pire des nettoyages ethniques.

 

250.000 Serbes, tous civils, femmes et enfants compris, y furent en effet chassés sans pitié, bombardés sans relâche pendant quatre jours d'affilée, du 1er au 4 août 1995, de la Krajina, territoire situé au nord-ouest de la Bosnie, lors de ce que le président croate d'alors, Franjo Tudjman, nationaliste patenté, antisémite notoire et révisionniste chevronné, ne craignait pas d'appeler, au faîte d'un abominable cynisme, une "guerre de reconquête".

 

Une Europe indigne de ses valeurs morales

 

Ce fut là, de triste mémoire, le pire des exodes massifs en ex-Yougoslavie, au regard duquel pourtant, pour corser cette odieuse affaire, le responsable militaire en chef, le général croate Ante Govina, fut définitivement acquitté, lors du verdict prononcé le 16 novembre 2012, par le Tribunal pénal international (le fameux TPI) de la Haye !

 

Pis : la nouvelle et actuelle présidente, Kolinda Grabar-Kitarovic, de cette même Croatie, qui déclara son indépendance le 25 juin 1991, a osé parlé là aujourd'hui, face à la foule en liesse et une impressionnante parade militaire défilant à coups de canons dans les rues de Zagreb, la capitale du pays, d'"opération brillante, justifiée et légitime".

 

Et ce dans un silence assourdissant, sans qu'aucun de nos dirigeants politiques ne bronche, ni n'émette, fût-ce officieusement sinon encore officiellement, le moindre signe de réprobation en la matière.

 

Bref : une honte pour l'Europe, indigne là, plus que jamais, de ses valeurs morales et autres principes philosophiques, au premier rang desquels émerge le sacro-saint "devoir de mémoire", qu'elle ne cesse de brandir, du haut d'on ne sait quelle et hypothétique bonne conscience, afin de mieux faire la leçon, croit-elle, à la terre entière !

 

Un "deux poids, deux mesures" injustifiable

 

Quant à nos médias occidentaux, rares sont ceux, à quelques notables exceptions près, qui ont eu le courage professionnel, sinon l'élémentaire et équitable décence, de rappeler, comme ils le firent récemment, à juste titre, pour le 20e anniversaire du massacre de Srebrenica, cet innommable martyre des Serbes de Krajina.

 

Comme quoi, après cet énième et injustifiable "deux poids, deux mesures", fruit d'une déplorable et tout aussi répétitive indignation sélective, les Serbes sont encore victimes aujourd'hui, malgré le temps passé, de cette inique "diabolisation" que je n'hésite pas à qualifier, pour ma part, d'"antiserbisme" ! Quantité négligeable, donc, les morts serbes, au nombre de 10.000 pour cette seule opération "Tempête" en Krajina ?


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Fonte: rubrica "Una triestina a Roma" di Martina Seleni

"Lettera ai giornalisti" sull'Operazione Tempesta


Tra il 4 e l'8 agosto del 1995 si svolse l'operazione militare "Tempesta", coordinata dall'esercito croato. Nel corso di questa operazione più di 2.000 serbi furono uccisi ed altri 250.000 furono costretti ad abbandonare le proprie casedalla regione della Krajina. Fu uno dei grandi esodi del ventesimo secolo. L'"Unione dei Serbi in Italia", formata da dieci associazioni culturali serbe operanti nel Triveneto, di cui quattro in Friuli Venezia Giulia ("Nikola Tesla" e "Unità della diaspora serba" di Udine, "Pontes-Mostovi" e "Vuk Karadzic" di Trieste) ha pubblicato una lettera aperta ai giornalisti, chiedendo obiettività nell’informare i cittadini italiani di tutti gli avvenimenti dolorosi che sono accaduti durante il conflitto nei Balcani e rispettare tutte le vittime. (...)


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Lettera ai giornalisti 

Noi cittadini serbi, nella regione Veneto maggiormente presenti (secondo le statistiche sull’immigrazione), emigrammo dalle nostre terre in ex Jugoslavia in cui divampava guerra, pulizie etniche e  povertà, negli anni novanta. Eravamo migliaia, ma per avere un lavoro e una casa dovevamo nasconderci dietro il nome del luogo di provenienza, senza rivelare la nazionalità, tanto era forte la propaganda antiserba, scatenata dai media occidentali, in funzione alle politiche adottate dai loro paesi.

La maggior parte di noi veniva dalla Bosnia e Croazia, cacciati dalle nostre case che dovevamo abbandonare in fretta davanti ai feroci ustascia o mujahidin. La Serbia era diventata stretta per tutti i profughi che arrivarono dalla Slavonia, Krajina, Bosnia e Kosovo. Stremata dalle sanzioni e bombardamenti, quasi metà della sua popolazione emigrò e  tuttora continua ad emigrare. Ma di questo non scrisse la stampa occidentale. Le atrocità venivano attribuite solo ai soldati serbi. Le informazioni giunte agli italiani dai giornali e tv, volevano convincere che solo i politici serbi erano colpevoli del conflitto, solo i soldati serbi furono spietati e solo croati e musulmani erano vittime delle pulizie etniche. Ciononostante la propaganda, basata sulle bugie e semiverità, non è riuscita a convincere gli italiani che i serbi sono un popolo barbaro e crudele. Avevano molte occasioni di conoscere di persona i serbi come amici sinceri, ottimi lavoratori e  gente affidabile…

Con il tempo ci siamo organizzati in diverse associazioni, per far conoscere agli amici italiani la  nostra cultura basata sulle tradizioni della fede cristiana ortodossa. Recentemente si è costituita anche l’Unione dei serbi. Tutto questo nasce dal bisogno di trasmettere la nostra cultura e le nostre tradizioni alle generazioni che nascono e crescono lontano dalla Serbia. Abbiamo una grande ricchezza da trasmettere ai nostri figli, ormai cittadini italiani e non abbiamo niente da nascondere sulla guerra civile in cui era coinvolto il nostro popolo. Solo la verità ci permette di perdonare e farsi perdonare.

La verità sulla guerra in Jugoslavia è che i massacri, pulizie etniche, atrocità e vendette c’erano da parte di tutti tre gli eserciti coinvolti e  tutte le vittime sono ugualmente degne di pietà e commemorazione. Il popolo sebo non è genocida, siamo noi stessi stati vittime di esecuzioni di massa nella Croazia governata dagli ustascia ma anche nell’ultimo conflitto. Fra poco sarà triste anniversario della più grande pulizia etnica, dell’esodo biblico di 20 anni fa dalla Krajina in cui 250 000 serbi furono cacciati dalla regione in Croazia in cui vivevano da secoli, brutalmente ammazzati quelli che non volevano abbandonare i propri focolari. Invece di risoluzione e commemorazione, in Croazia si festeggia. Se solo noi ricordiamo quel triste esodo, mentre i nostri vicini festeggiano, se il nostro primo ministro va a Srebrenica  e viene aspettato con i sassi invece che con la mano tesa,  non ci sarà ne perdono ne conciliazione, ne  pace nei Balcani.

Questa lettera si rivolge ai giornalisti di buona volontà e che hanno voglia di capire davvero cosa è stata quella guerra. Aspettiamo solidarietà, onestà e coraggio di essere obbiettivi nell’ informare i cittadini italiani di tutti gli avvenimenti dolorosi che ricordiamo ogni anno,  rispettare tutte le vittime del recente conflitto nei Balcani e valorizzare l’impegno del nostro governo nel risolvere  i gravi problemi che oggi minacciano la stabilità e pace nei Balcani.

 
Unione dei Serbi in Italia
Via Cartiera 23,
36028 Rossano Veneto ( Vicenza )
unionedeiserbi @ savezsrba.it




(english / deutsch / russkij / italiano)

Nuove interviste ai comunisti del Donbass

1) Maxim Chalenko, Secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee
– Link
– Interview by Workers' World
2) Boris Litvinov, leader of the Communist Party of the Donetsk People’s Republic
– Links
– Interview by Newcoldwar.org, Nov 30, 2014
– Intervista di Veronika Yukhnina, 6 Agosto 2015
3) Ghost Brigade: July 29, one year since founding
– Links
– Ideological principles of the Ghost Brigade / Die Leitlinie der Brigade Prizrak
– July 1st: 40 days since the death of Ghost Brigade Commander Alexei Mozgovoi
– Ghost Brigade in solidarity with Greek people, Turkish & Kurdish comrades


Read also / Vedi anche:

Raising the Soviet flag on Donbass (Banda Bassotti Version – Voxkomm, 9 mar 2015)
Brigade Prizrak, Communist militiaman raising the Soviet flag on freed Debaltsevo
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=vdZ4R2mAX4U

Communists brought two special gifts to Brigade « Don » [sub ENG\SPA\POR\ITA] (Voxkomm, 23 dic 2014)
Communists of Workers’ Front organizzation, Association of Novorossia officers, brought two special gifts to Brigade « Don » that is fighting at the front…
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=ROsVn082giw

Victor Shapinov interview: Donbass uprising based in the 'Soviet world' (by Alexander Chalenko, Ukraina.Ru July 21, 2015)
Interview with Victor Shapinov, an active participant in the "Russian Spring" in Kharkov and Odessa, and coordinator of the Borotba (Struggle) movement...
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/08/victor-shapinov-interview-donbass.html

Ghost Brigade: Urgent Appeal for Humanitarian Assistance (By Darya Mitina, head of International Relations – United Communist Party of Russia, 22/7/2015)
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/06/ghost-brigade-urgent-appeal-for.html


=== 1: Maxim Chalenko ===

Read also:

Lugansk communist: ‘We fight first and foremost for peace’ (By Greg Butterfield – WW, June 17, 2015)
Workers World interviewed Ekaterina Popova, a leader of the Communist Party, Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic. Popova is a founding member of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces...
http://www.workers.org/articles/2015/06/17/lugansk-communist-we-fight-first-and-foremost-for-peace/

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27/7/2015


By Greg Butterfield

Workers World interviewed Maxim Chalenko, Secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic (LC). Chalenko is a founder of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces. He helped to organize the Donbass International Forum titled “Anti-Fascism, Internationalism, Solidarity” held on May 8 in Alchevsk. This is part 1 of the interview.

Workers World: Where did you grow up and go to school? How did you become involved in the communist movement?

Maxim Chalenko: I was born on June 30, 1980, in Severodonetsk, in the Lugansk region [then part of Soviet Ukraine]. I spent most of my youth in Lugansk city, where my family moved in 1990. I graduated from Lugansk School Number 57, then East Ukrainian State University with a degree in history and archiving. 

I’ve been active in the communist movement for 17 years. In 1997, I joined the Leninist Communist Youth Union of Ukraine (the youth organization of the Communist Party of Ukraine). I organized protests for the restoration of students’ rights in 2000-2003, and became a member of the Communist Party of Ukraine in 2000. 

In Kiev, I was active in the movement "Ukraine without Kuchma" in 2002, when police violently broke up our tent camp. Later I organized a series of protests of workers and miners in the Lugansk region. 

I was elected secretary of the Zhovtnevy District Committee of the Communist Party in Lugansk, then secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee, Secretary of the Lugansk Municipal Committee of the Communist Party, and as a deputy to the Lugansk Regional Council.

WW: As a young person, what it was like to live through the collapse of the Soviet Union?

MC: As the son of a Soviet soldier, the collapse of the USSR hit me very hard. The destruction of this great country, whose cornerstone was to protect the workers’ interests, made many in the military burn with a desire to defend the Soviet Union. But unfortunately, after the collapse, those actively serving in the military were forbidden to speak of the USSR. 

Many communists began to focus their efforts and energy on trying to build a just, socialist society within the framework of the national states formed after the collapse of the Soviet Union, including us in Ukraine. Perhaps this was one of the main reasons for our failures. 

In my opinion, the disintegration of the Soviet Union into national states, which each went into its own socio-political process, only sped up the transition from the socialist to the capitalist path. A powerful, ideologically cohesive communist movement was then split and disorganized. 

WW: Tell us about the activity of the communists in Lugansk following the U.S.-backed coup in Kiev in February 2014.

MC: After the anti-people coup in Kiev -- and even during it, at the end of 2013 -- we organized the first militia squadron to protect the civilian population of Lugansk from fascism. Our goals were to protect the population from aggression, provocations and attacks by neo-fascists, and to protect monuments related to our history and culture. We worked to block the arrival of neo-Nazi militants from the West. 

We also took on the important task of opposing attempts by the Lugansk authorities to negotiate the conditions for their surrender to the Kiev junta. After all, capitalists in power are indifferent to the problems of the people; all that is important is to preserve and increase their capital. We understood this, and moreover, saw it happening in practice. 

Powerful politicians, dominated by members of the Party of Regions, were negotiating the surrender of Lugansk to the neo-fascists. With the tacit consent of the Kiev junta, they appointed new regional heads of the Interior Ministry, Prosecutor's Office and Security Service of Ukraine, whose purpose was to suppress the anti-fascist resistance in Lugansk. 

We proposed to organize a broad anti-fascist front to stop the spread of fascism to the East and also raised the issue of geopolitical choice. At that time the issue of the restoration of the USSR came to the fore. 

In the face of resurgent fascist ideology, including aggressive nationalism, we must intensify international work to demand the restoration of the USSR. We believe that now more than ever we have the basis to do it.

WW: What organizing and activities have you conducted since the start of the war?

MC: In April and May 2014, Lugansk residents were very worried about Slavyansk [in neighboring Donetsk] and its inhabitants, who were subjected to Ukrainian military aggression. We organized the first collection and shipment of humanitarian aid from Lugansk to the defenders of Slavyansk. No one realized that in a month we ourselves would need help. 

Later, when the war came to our door, we actively engaged in the collection and transfer of humanitarian aid to Lugansk from Russia. We were really helped by the Communist Party committees of Rostov and Voronezh. These two areas border Lugansk, and even before the war we had established a wonderful comradeship with them. We appealed for help and they immediately responded, organizing the collection of food, medicine and clothing through their party structures. Almost every week throughout the summer, we brought this assistance into the LC. 

Then, in early September, when the ceasefire agreement was signed in Minsk, we held a re-registration of the party ranks and started to restore our party structures. Some people had left, some had disappeared and did not respond to phone calls. Several communists were killed. The secretaries of the party committees were scattered, mainly engaged in solving problems in their cities. At that time communication and transportation were restored, and within a few months, we restored ties with all local organizations.

WW: Why did you decide to organize an international solidarity forum this spring?

MC: There were two reasons: First, it was the landmark 70 anniversary of the victory of socialism over fascism [the Soviet defeat of Nazi Germany in World War II]; second, and most important, today the left-wing in Donbass is in great need of international support and assistance from allied organizations. 

In spite of high ideals, including our own, the movement of the People’s Republics along the socialist path has not been simple and unambiguous. Yes, at the initial stage, all the revolutionary movements of the streets and squares were associated with anti-fascism and the desire of the majority of the population to take the socialist path of development. But no one really voiced the slogans “factories to the workers” and “land to the peasants,” and the socialistic character of the republics remained only in form but not in essence.

The forum was significant in that it gave youth of Europe and the world an understanding of the conditions in which we are fighting today.



29/7/2015


By Greg Butterfield

Workers World interviewed Maxim Chalenko, Secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic (LC). Chalenko is a founder of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces. He helped to organize the Donbass International Forum titled “Anti-Fascism, Internationalism, Solidarity” held on May 8 in Alchevsk. This is the second part of the interview.


Workers World: The Donbass International Forum was hosted by the Ghost Brigade anti-fascist militia in Alchevsk. How did that come about?

Maxim Chalenko: Originally, we planned to hold the forum in Lugansk city, but due to the worsening military confrontation and internal political situation, we decided to hold it in Alchevsk, the second largest city in the region. An invitation was extended by Brigade Commander Alexei Mozgovoi, who was ideologically a communist though not a member of the party, and he played an important role. I think the decision was correct; we not only held the forum, but also supported our ideological comrades in Alchevsk. [Mozgovoi and four other Ghost Brigade members were assassinated on May 23.]

WW: What were your impressions of the forum? What was achieved?

MC: One of the main objectives was to consolidate the efforts of leftist and anti-war organizations of the world on the issue of Donbass. This goal must seem very romantic, given current geopolitical realities, but we have already achieved some important steps. 

The forum brought together a large number of left-wing organizations that are interested in the situation of the anti-fascist resistance in the Donbass. Generally, our situation is quite unusual, and I’m aware of the many contradictions and disputes among leftists around the world in relation to our assessment of events, and most importantly, how communists, internationalists and anti-fascists should operate in these conditions.

Even during the forum, on a par with the wishes for victories in the struggle against fascism in Ukraine, there were questions about the role of the left in the events in Ukraine and Donbass. What position should we take in a situation where the main question is which side to take in a geopolitical confrontation? The answer is very complex and the opinion of one person or national organization is not enough. 

By and large, this was the second key objective of the forum: to begin a dialogue about the role of the left in events spurred by the geopolitical confrontation in southeastern Ukraine.

WW: The forum also announced the creation of an international solidarity committee. What will this body do?

MC: We are working for the creation of an international solidarity movement with Donbass, which we hope will be a platform to define a unified ideological position on the situation in Donbass and the forms and methods of work for left-wing political forces in these conditions. 

To that end, we have initiated these projects:

1. Assist in the formation of a Committee for Solidarity with Donbass in every country of Europe and the world.
2. Analysis of the situation in the Donbass, preparation of reports, information, and messages about the social and political environment.
3. Preparation and holding of international seminars, round tables, presentations, conferences and meetings related to the current situation in the Donetsk and Lugansk People’s Republics of Donbass.
4. Organization of solidarity actions, like those which took place following the death of Brigade Commander Mozgovoi.
5. Publication of newspapers, pamphlets and books.
6. Struggle against political repression in Ukraine, informational pickets in support of demands to release political prisoners in Ukraine. Creating a list of repressions in Ukraine. Picketing of Ukrainian embassies in Europe. Protest rallies in Kiev.
7. Promoting media that openly and honestly cover the events taking place in Donbass.
8. Creation of online media resources to disseminate accurate information about the situation in the struggling republics.

WW: How do you see the role of communists in Lugansk today?

MC: Today the communists in Lugansk, as well as in Ukraine, are experiencing a serious systemic crisis. We were not prepared for a serious geopolitical confrontation here, could not give an ideological assessment as the events were occurring, or answers on how to proceed. 

In fact, this problem is not unique to Lugansk. Here the issues were thrust to the forefront by the acute confrontation and war on our territory. But a similar trend is weakening leftist movements with repression and splits throughout the former Soviet Union. I'm afraid that we may soon witness the failure of the last bastion of the Communist Party of the Soviet Union in Russia. 

It must be understood that the potential for progress envisioned by communists after the collapse of the USSR has already completely exhausted itself. If we do not find adequate answers and develop new ways of working, we will be excluded from the country’s political life for many years to come.

Therefore, in Lugansk, it is necessary to consolidate all communists around a unified organization, and then develop a new strategy and methods of work for its realization. We must search for new social bases for the party among the working class to enhance its capacity and size. And most importantly, develop a clear position on where we are going and what is the role of the left in the modern realities of the young Lugansk and Donetsk republics. 

Another important issue is establishing an international left movement that will develop a concept of a fighting left in the new "post-unipolar" world that is today being built by the actions we have actively participated in.

WW: What is your vision for the future of socialism in Donbass?

MC: In many respects, it depends on whether we communists find successful ways of working to ensure the movement of the republics along the path of socialism, rather than something that may appear socialist in form, but is essentially a neoliberal state. 

We are developing an organization to unite all supporters of socialism-communism under the name "Union of the Left of Donbass," and to the extent possible, to influence the political development of the republic.

Respect and revolutionary greetings to all comrades!


=== 2: Boris Litvinov ===

LINKS:

Pioneer youth organization established in Makeyevka, Donetsk (May 19, 2015)
On May 19 in Makeyevka, a solemn rally was held devoted to establishing the Pioneer organization of the Donetsk People's Republic (DNR). The initiator of the event was Deputy of the DNR National Soviet Boris Litvinov, reported the state media correspondent...
http://redstaroverdonbass.blogspot.it/2015/05/pioneer-organization-established-in.html?view=magazine 
В Макеевке создана пионерская организация (Министерство информации ДНР, 19 mag 2015)
19 мая в Макеевке состоялось торжественное собрание, посвященное основанию пионерской организации Донецкой Народной Республики. Инициатором мероприятия выступил депутат Народного Совета ДНР Борис Литвинов, сообщил корреспондент Государственного медиа-холдинга...
http://dnr-online.ru/news/v-makeevke-sozdana-pionerskaya-organizaciya/ 
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?t=16&v=aHrpFYkrIOA

Komsomol revived in Donetsk People’s Republic (June 8, 2015)
In Donetsk, the constituent congress of the Lenin Communist Youth League (LKSM) of the Donetsk People's Republic (DNR) was held June 7...
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/06/komsomol-revived-in-donetsk-peoples.html
VIDEO: Учредительный съезд Комсомола ДНР (Министерство информации ДНР, 8 giu 2015)
https://www.youtube.com/watch?v=HNi3wgtlR3k

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Interview with Boris Litvinov

January 7, 2015

Boris Litvinov was interviewed by Halyna Mokrushyna for New Cold War.org on November 30, 2014 about the political situation in Donetsk, the region’s relations with Ukraine and Russia, and the future of the Donetsk People’s Republic (DPR). Boris Litvinov is the former head of the Supreme Council of the DPR and is a deputy of the People’s Council of the DPR. He is the leader of the Communist Party of the Donetsk People’s Republic, founded in October 2014.

Is the project of the Donetsk People’s Republic supported by the population?

When we organized our referendum in May [referendum for the independence of the Donetsk People’s Republic], we thought that common sense would prevail. We have 3.2 million voters in Ukraine Donetsk and 2,700,000 thousand voted, of which 2,511,000 voted for the creation of Donetsk republic. We believed in people’s right to self-determination.

We are united in our aspirations. That’s why we wanted a negotiated, ‘civilized’ separation with Ukraine. And indeed, at the beginning, it was going this way.

We knew that negotiations with Kyiv would be long and difficult, but we wanted a separation. We would cooperate with Kyiv, since we have a common economy and a common transportation system. We would share it and pay for it. But Kyiv decided otherwise. They started bombing us already during the day of referendum. And it got worse. Now we have a full-blown civil war.

Do you see your future with Ukraine?

I support united Ukraine with both hands. I was born here, I live here, and I am an ethnic Russian. We are different mentally and spiritually [from Western Ukraine – HM]. Several hundred years under Polish-Lithuanian rule created a certain Polish-Lithuanian spirit.

We in Eastern Ukraine are very young. Our Ukraine has only 150 years – before that was Dikoe pole (the wild plains). Our land is international. With the beginning of industrialization, people of all nationalities came here. It did not matter what nationality you were. What mattered was your readiness to build, to create. It came out particularly strong during the Soviet period. Added to this was the ideology of internationalism. That is why we are internationalists.

We do not want Kyiv’s idea of building a mono-ethnic state, and particularly the methods which they have been using since Yushchenko came to power. [1] We are internationalists. We do not want a state for one nation. This is a contradiction, and I do not see how we can resolve it.

Another contradiction that we have with Kyiv is their drive to join the European Union, which is not in a hurry to accept Ukraine. It is a rupture of links with Russia. We do not like this, and we do not think that Kyiv will turn towards the Eurasian Union [2] any time soon.

A third contradiction is the image of Russia as the enemy, which has been formed and imposed during 23 years of Ukrainian independence. It has been formed through education, ideology, arts. If a state creates an enemy, it has to protect itself against this enemy, or to fight it. Because Ukraine is too weak, it appeals to NATO and other Western allies. We know quite well that NATO cannot be allowed here, because this would be a direct threat to us and to our brothers and sisters in Russia.

All these contradictions are very hard to resolve in the near future. Only time will resolve them and show who was right and who was wrong. With time we will reconcile. But still we continue killing each other…

We do not have the motivation to kill, we are defending ourselves. Those who come to our land do not have the motivation to kill, either. Who comes here? Workers and peasants. They come to kill their own people because they have a different opinion. We did not come to their land, they came to ours. Most of them have been forced. Of course, there are ideologically driven individuals among them. But most of them are soldiers, officers who fulfill their duty. They are forced to fight this civil war.

How did the ‘Anti-Maidan movement begin in Donetsk?

I was on Maidan Square three times – in November, when it all started, in December, and in early February. I saw how it all unfolded. In the second half of February, the wave reached us in Donetsk and Donetsk region. We stood up because we did not want Maidan ideology to invade our land.

The first confrontation happened on February 21, when Pravyi Sektor [3] planned to come to Donetsk to take by assault the regional administration building and to destroy monuments to Lenin and other symbols of Soviet epoch. We stood in front of the Lenin monument – communists, members of the Party of Regions, monarchists, other rightist and leftist movements – protecting it as a symbol of our land. We stood up and remained there till the end of May. Tents have been taken down, as nothing threatens our symbols anymore.



En francais: MONTÉNÉGRO : LA VENTE DES BIENS PUBLICS, SECRET D’ÉTAT
Monitor (Monténégro) | Traduit par Persa Aligrudić | jeudi 6 août 2015 – Toutes les informations sur les procédures de privatisation des entreprises monténégrines seront inaccessibles au public et considérées comme secrets d’État pour les cinq prochaines années....

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RASPRODAJA DRŽAVNE IMOVINE: KAD NEZNANJE I KORUPCIJA POSTANU SLUŽBENA TAJNA: Svi na pod - ovo je privatizacija

PETAK, 15 MAJ 2015
MONITORING - BROJ 1282

Svi podaci o bivšim i budućim postupcima tokom (pre)prodaje13 crnogorskih preduzeća iz aktuelnog talasa privatizacije ostaće nedostupni javnosti narednih pet godina, pošto su ih nadležni proglasili tajnom.

Odluka donijeta krajem januara obuhvata sledećih 13 kompanija (ili djelove njihove imovine): Institut Dr Simo Milošević, AD Montecargo, Montenegroerlajnz, Budvansku rivijeru, HTP Ulcinjska rivijera, Institut crne metalurgije Nikšić, Poliex AD Berane, Pošte Crne Gore, Novi du-vanski kombinat, fabriku oružja Montenegro defence industry, hotel Park u Bijeloj, fabrički krug nekadašnjeg Gornjeg Ibra u centru Rožaja i, konačno, ,,sve aktivnosti na definisanju budućih odnosa između Vlade i kompanije A2A u vezi sa ugovorom o dokapitalizaciji i djelimičnoj privatizaciji EPCG".

Odluku je, na prijedlog Tenderske komisije (njen predsjednik je Branko Vujović) usvojio Savjet za privatizaciju i kapitalne investicije (predsjednik Savjeta je premijer Milo Đukanović).

,,Cijenjeno je da bi objavljivanje ovih informacija izazvalo štetne po-sljedice za bezbjednost i interese Crne Gore, koje su od većeg značaja od interesa javnosti da zna tu informaciju. Imajući to u vidu, podaci sadržani u tenderskoj dokumentaciji i ponudama označavaju se tajnim podatkom sa stepenom tajnosti povjerljivo", navodi se u Odluci koju je potpisao sekretar Savjeta Aleksandar Tičić. Usvojeni dokument predviđa da će pristup podacima koji su označeni kao tajni imati samo članovi Tenderske komisije i Savjeta za privatizaciju ,,kada im je to potrebno u vršenju njihovih poslova i zadataka".

Prema zvaničnoj interpretaciji, ideja o uvođenju tajnosti u proces privatizacije stigla je iz Tenderske komisije, odnosno od njenog predsjednika. Branko Vujović objašnjava kako je prijedlog posljedica zahtjeva zainteresovanih partnera. Oni su, navodno, tražili da se zaštite njihovi komercijalni i finansijski podaci, pošto bi im to, kaže Vujović, ,,moglo nanijeti štetu".

Teško je zamisliti način na koji bi objavljivanje ,,komercijalnih i finansijskih podataka" iz nekog privatizacionog postupka moglo naškoditi Dojče Telekomu, Telenoru, Helenik Petroleumu, Iberostar Grupi, ili nekoj od stranih banaka iz Mađarske, Austrije, Francuske koje ovdje imaju svoje filijale. Ozbiljne kompanije, u ozbiljnim državama, imaju obavezu javnog objavljivanja podataka koje Vujović & company žele sakriti. Njihovu reputaciju može narušiti pokušaj da se nešto sakrije.

Nije li Njujorška berza kaznila Dojče Telekom zato što njihova akvizicija u Podgorici (Telekom CG) nije imala usvojen završni račun? Kao što je i Ministarstvo finansija SAD istoj kompaniji razrezalo skoro 100 miliona dolara kazne zbog koruptivnih radnji tokom privatizacije Telekoma. Za to vrijeme nadležni u Podgorici su bespogovorno izvršavali naređenja onih koju su u korupciju bili umiješani.

Otkud priča o šteti usljed objavljivanja poslovnih podataka? Odgovor bi bio mnogo lakši kada bi saznali ko se sve skrivao iza razno raznih of-šor firmi koje su dolazile ovdje da kroz proces privatizacije operu novac ili uzmu kredite zalažući friško privatizovane nekretnine – i pobjegnu odakle su i došli.

Velikodušno, Vujović u Vijestima insistira da će članovi skupštinske Komisije za kontrolu privatizacije moći da vide ,,sva dokumenta", ali će morati ,,poštovati oznaku povjerljivosti". To znači da ono što vide neće smjeti da podijele sa bilo kim. Ako iko, onda zna Branko Vujović: javnosti do danas nijesu prezentovana sva dokumenta nijedne crnogorske privatizacije. Iako njih ne čuva veo državne tajne, već samo lični interes aktera.

Uostalom, predsjednik Tenderske komisije nije stvarni autor ideje o uvođenju službene i državne tajne u proces privatizacije. Kao što ni Tičić nije adresa sa koje je stigla konačna odluka o tom pitanju.

Proces je započeo premijer. „Nećemo gušiti slobodu medija", širokogrud je bio krajem 2011. „Ali ono što moramo uraditi to je da zaštitimo investitore, da bi se oni ovdje osjetili sigurni, da bi nam pomogli da pokrenemo krupne razvojne projekte...". Potom je Đukanović pomenuo nekoliko investitora koje mediji, navodno, pokušavaju otjerati iz Crne Gore (iako su, izuzev jednog koji je bankrotirao, svi pomenuti i danas tu). Među pomenutima, iz nekog razloga, nijesu bila lica s potjernica: Taskin Šinavatra, Sergej Polanski, Oleg Deripaska, Muhamed Dahlan, Darko Šarić, Safet Kalić, Naser Keljmendi, niti vlasnici Timora, Akora, MMNS-a, CEAC-a i mnoštva drugih, manjih i većih of-šor kompanija koje su Crnu Goru ojadile za desetine i stotine miliona eura.

Iz opozicionih partija i NVO koje prate proces privatizacije konstatuju da usvojenom Odlukom nije ostavljena mogućnost da neko – parlament, recimo – ima pravo provjeriti zakonitost postupanja članova Tenderske komisije, Savjeta i Vlade.

Privatizacionim vlastima bi, dakle, trebalo vjerovati na riječ. Da li je to moguće?

Vladom i Savjetom za privatizaciju predsjedava Milo Đukanović, čovjek direktno infiltriran u makar tri velike privatizacione afere. Afera Telekom temelji se na tvrdnji administracije SAD (SEC – tamošnja komisija za kontrolu trgovine hartijama od vrijednosti) ,,da je Ana Kolarević primila mito u ime svog brata (Mila Đukanovića – prim. Monitora) u vezi sa kupovinom akcija Telekoma Crne Gore".

Temelji afere KAP udareni su u kafeu Grand u kome su Đukanović i Deripaska, dogovorili posao mimo propisanih tenderskih pravila. Koju godinu kasnije pravila su ponovo prekršena da bi se umjesto raskida ugovora na štetu stvarnih i fiktivnih Rusa (do danas je tajna ko stoji iza trećine vlasništva of-šor kompanije koja je kupila KAP) sklopio Ugovor o poravnanju koji su poreski obveznici pomogli sa nekoliko stotina miliona svog novca. Danas Crna Gora i Deripaska svoje račune izravnavaju na međunarodnoj arbitraži.

Konačno, afera Prva banka: tu je Vlada pod kontrolom Mila Đukanovića njegovom bratu Acu prodala kontrolni paket akcija tadašnje Nikšićke banke, kršeći procedure i pravila vezana za kvalifikovane vlasnike. Potom je i Milo Đukanović na krajnje netransparentan način postao suvlasnik banke. Kada je njihov menadžment doveo u opasnost novac klijenata i deponenata banke u pomoć je, sa 44 miliona eura priskočila Đukanovićeva Vlada. I taj novac je vraćen na krajnje problematičan način. Najvećim dijelom tek nakon što su Đukanović i Silvio Berluskoni, tadašnji premijer Italije, ugovorili rijetko viđen finansijski aranžman između države, A2A, EPCG i Prve banke. Danas, kada je – nakon petogodišnjeg partnerstva - vrijeme da se javnost upozna sa stvarnim efektima tog posla, Vlada poslove sa Italijanima stavlja na listu tajnih.

Potpis na spornu odluku Đukanovićevog Savjeta za privatizaciju stavio je Aleksandar Tičić, jedan od optuženih u aferi Košljun. Tičiću se sudi zbog optužbi da je, kao predsjednik Tenderske komisije za prodaju opštinskog zemljišta u Budvi, omogućio Vidu Rađenoviću i njegovim pomagačima (ili nalogodavcima) iz SO Budva da izvrše fiktivnu kupovinu zemljišta koje je kasnije preprodato po višestruko većoj cijeni.

Dokument kojim se predstojeće privatizacije proglašavaju tajnom predložio je Branko Vujović, čovjek kog će ekonomska misao pamtiti najviše po ugovoru koji je u julu 2009. potpisao sa zastupnicima MNSS (bivši vlasnici koji su Željezaru odvukli u stečaj): ,,Svaka strana je saglasna i garantuje da neće preduzeti bilo kakve pravne radnje protiv druge Strane i druga Strana neće biti ugrožena u vezi prethodnih kršenja ugovora, incidenata prevare, nemara ili bilo kakvih drugih pogrešnih radnji...", piše u Protokolu.

Vujović je i prvi crnogorski zvaničnik, uz Veselina Vukotića, kome se sudilo zbog nepoštovanja zakona u procesu privatizacije Jugopetrola. Nekada kotorskog – a danas podgoričkog. Vujović i Vukotić su, utvrdio je sud, kršili propise o privatizaciji ali su oslobođeni optužbi nakon što su njihove kolege iz Savjeta za privatizaciju posvjedočile da su u to bezakonje bili uključeni svi skupa. Iako je njihovo postupanje Crnu Goru koštalo 25 miliona njemačkih maraka, niko od nadležnih nije postavio pitanje odgovornosti Savjeta i Vlade za štetu. Umjesto toga, pokušavaju se sakriti buduća nepočinstva.

Hoćemo li zbilja, ostaviti koze da čuvaju kupus?


Al' se nekad dobro htjelo

Kakve su posledice nedostatka pravovremenih i objektivnih informacija na ekonomske performanse u jednoj zemlji, pita se dr Veselin Vukotić u radu Transparentnost u ekonomiji Crne Gore koji je objavio u junu 2001. godine. Poslovni partner premijera Đukanovića i suvlasnik UDG-ija tada je pisao kako "prljav novac neumitno proizvodi i prljavo društvo, prljave odnose među ljudima, povećanje stepena kriminalizacije i ugrožava ljudske slobode", objašnjavajući i najvažnije posljedice netransparentnosti:
- Potiskivanje konkurencije. Ukoliko je određeni broj ljudi i kompanija bliži izvoru informacija od drugih i ukoliko neprivilegovani uopšte nemaju dostup informacijama, tada se narušava energija koju proizvodi kompanija.
- Sakrivanje stvarne vlasničke strukture je takođe posledica netransparentnosti. Poslovanje pod tuđim imenom narušava primjenu zakona o kompaniji, odnosno proizvodi konflikt interesa u stvarnosti!
- Netransparentnost remeti ugled državne administracije i povjerenja u mjeri koju ona proizvodi u različitim oblastima, uključujući i mjere iz domena makroekonomske politike.
- Narušava se kvalitet poslovnih odluka, ukoliko postoji informacioni vakum.
- Netransparentna ekonomija stvara uslove za povećanje korupcije. Korupcija uvijek dovodi do nepredvidljive distribucije bogatstva, odnosno ona povećava pogrešnu alokaciju resursa u jednom društvu.
- Netransparentnost povećava zatvaranje društva, zatvaranje ekonomije i ekstra-rentu koju dobijaju oni koji su korisnici takvog zatvaranja.
- Netransparentnost je pogubna za strateške investitore, pogotovu za strane strateške partnere.
Rado bismo potpisali svaku od sedam teza profesora Vukotića. A da li bi i on to danas uradio?


Zoran RADULOVIĆ