Informazione

[Sul bombardamento della sede della RTS e relativa strage commessa dalla NATO nell'aprile 1999 a Belgrado si vedano anche 
il Rapporto di Amnesty International: https://www.cnj.it/24MARZO99/criminale.htm#rts
e l'ulteriore documentazione al link: https://www.cnj.it/24MARZO99/criminale.htm#rts ]


I portabandiera della libertà 

di Manlio Dinucci 


Ha firmato il libro delle condoglianze per le vittime dell’attacco terroristico alla redazione di Charlie Hebdo e, definendolo «un oltraggioso attacco alla libertà di stampa», ha dichiarato che «il terrorismo in tutte le sue forme non può essere mai tollerato né giustificato». Parole giuste se non fossero state pronunciate da Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, l’organizzazione militare che usa come metodico strumento di guerra l’attacco terroristico contro le redazioni radiotelevisive.

 Quello contro la radiotelevisione serba a Belgrado, colpita da un missile Nato il 23 aprile 1999, provocò la morte di 16 giornalisti e tecnici. Lo stesso ha fatto la Nato nella guerra di Libia, bombardando nel 2011 la radiotelevisione di Tripoli. Lo stesso nella guerra di Siria, quando nell’estate 2012 combattenti addestrati e armati dalla Cia (negli stessi campi da cui sembra provengano gli attentatori di Parigi) hanno  attaccato stazioni televisive ad Aleppo e Damasco, uccidendo una decina di giornalisti e tecnici.

 Su questi attacchi terroristici è calato in Occidente un quasi totale silenzio mediatico, e praticamente nessuno è sceso in piazza con le foto e i nomi delle vittime. All’attentato contro Charlie Hebdo è stata invece data una risonanza mediatica mondiale. E, facendo leva sul naturale sentimento di condanna per l’attentato e di cordoglio per le vittime, Charlie Hebdo è stato assunto da un vasto arco politico a simbolo di lotta per la libertà. Ignorando il discutibile ruolo di questa rivista che, con le sue vignette «dissacranti», si collocherebbe «alla sinistra della sinistra». 

Nel 1999 il direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val, sostiene con una serie di editoriali e vignette la guerra Nato contro la Iugoslavia, paragonando Milosevic a Hitler e accusando i serbi di compiere in Kosovo dei «pogrom» simili a quelli nazisti contro gli ebrei. 

Stessa linea nel 2011 quando Charlie Hebdo (pur non essendoci più Philippe Val alla direzione) contribuisce a giustificare la guerra Nato contro la Libia, dipingendo Gheddafi come un feroce dittatore che schiaccia sotto gli stivali il suo popolo e fa il bagno in una vasca piena di sangue. 

Stessa linea dal 2012 nei confronti della Siria quando Charlie Hebdo, rappresentando il presidente Assad come un cinico dittatore che schiaccia donne e bambini sotto i cingoli dei suoi carrarmati, contribuisce a giustificare l’operazione militare Usa/Nato. 

In tale quadro si inserisce la serie di vignette con cui la rivista ridicolizza Maometto. Anche se essa fa satira allo stesso tempo su altre religioni, le vignette su Maometto equivalgono ad altrettante taniche di benzina gettate sul terreno già infuocato del mondo arabo e musulmano. 

E appaiono ancora più odiose agli occhi di grandi masse islamiche perché a ridicolizzare la loro religione e la loro cultura sono degli intellettuali parigini, immemori del fatto che la Francia assoggettò al suo dominio coloniale interi popoli, non solo sfruttandoli e massacrandoli (solo in Algeria oltre un milione di morti), ma imponendo loro la propria lingua e cultura. Politica che Parigi prosegue oggi in forme neocoloniali. 

Non c’è quindi da stupirsi se, nel mondo arabo a musulmano che ha in maggioranza condannato gli attacchi terroristici di Parigi, dilagano le proteste contro Charlie Hebdo. A coloro che in Occidente ne fanno la bandiera della «libertà di stampa», va chiesto: che cosa fareste se trovaste affisse per strada vignette porno su vostro padre e vostra madre? Non vi arrabbiereste, non la definireste una provocazione?  Non pensereste che dietro c’è la mano di qualcuno che cerca di aprire una guerra con voi?
 
(dalla rubrica "L'arte della guerra", su il manifesto del 20 gennaio 2015)  




I reportages di Vauro e Bertolasi dall'Ucraina

1) Vauro in Ucraina per Il Fatto Quotidiano
Il racconto a Giulietto Chiesa / Viaggio da Sloviansk a Kiev dove il diritto alla salute è negato / Al fronte di Lugansk con i ribelli filorussi. Tra fantasmi e ferite / La ‘Fede’ dei cosacchi: “Contro i nazisti, come i nostri padri” / Altri articoli

2) Eliseo Bertolasi dal Donbass
7/1: Una seconda Chernobyl minaccia l'Europa / 18/1: Ennesimo incidente tra le centrali nucleari / Reportage dall'aeroporto di Donetsk / La tragedia non raccontata / I volontari italiani


Sul pericolo nucleare in Ucraina si veda anche:

L'Ucraina diventerà una discarica nucleare? (4/7/2014)


Ukraine Crisis Goes Nuclear. The Storming of Zaporizhia Nuclear Power Plant by Neo-Nazis
By Tony Cartalucci - New Eastern Outlook / Global Research, May 17, 2014
La crisi ucraina diventa nucleare. L’assalto neonazista alla centrale nucleare di Zaporozhe (Tony Cartalucci – Global Research, 17 maggio 2014)

Kiev avrebbe nascosto la gravità dell'incidente alla centrale nucleare di Zaporizhzhya (22/12/2014)
Elespiadigital rivela che hacker ucraini hanno scoperto la scioccante verità circa l'incidente nella centrale nucleare di Zaporizhzhya, nel sud-est dell'ucraina: livelli di radiazione 14,6 volte superiori a quelli consentiti dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica.
Secondo i documenti sottratti dagli hacker, il giorno dell'incidente attorno alla centrale sono stati raggiunti livelli di radiazione 14,6 volte il limite consentito. Questo contraddice le dichiarazioni dei funzionari di Kiev e le relazioni dei media ucraini, che devono ancora far luce sulle vere cause che hanno indotto a disattivare il terzo reattore della centrale.
A peggiorare le cose, i documenti indicano che il governo ucraino avrebbe vietato alla stampa di parlare dell'incidente nucleare che potrebbe mettere in pericolo la popolazione di gran parte d'Europa. Una nuova "Chernobyl"?
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=11&pg=9900
Source: Hackers ucranianos revelan que Kiev ocultó la gravedad del accidente en la central nuclear de Zaporizhzhya (21/12/2014)
http://www.elespiadigital.com/index.php/noticias/historico-de-noticias/7878-hackers-ucranianos-revelan-que-kiev-oculto-la-gravedad-del-accidente-en-la-central-nuclear-de-zaporizhzhya


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Il racconto di Vauro a Giulietto Chiesa: “Ecco quello che ho visto nel Donbass”

18/01/2015 – Vauro racconta la prima parte del suo viaggio in Ucraina e Donbass. Regia di Adalberto Gianuario e Marcello Villari


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Guerra in Ucraina: viaggio da Sloviansk a Kiev dove il diritto alla salute è negato (di Alessandro Ferrucci, Lorenzo Galeazzi e Vauro, 12/12/2014)

Una volta a Slovianskteatro questa estate di feroci scontri fra le truppe regolari ucraine e i separatisti filorussi, sorgeva un polo ospedaliero all’avanguardia: una vera e propria città della salute che oggi è completamente distrutta. Quelle immagini, ancora mai mostrate dai media italiani, fotografano meglio di altre la grave situazione sociale nella quale versa l’Ucraina. Sì, perché dallo scoppio della rivolta di piazza Maidan, la guerra e la crisi economica hanno portato il sistema sanitario al collasso: sono 50 i nosocomi ridotti in macerie e il prezzo di molti farmaci salvavita è salito fino al 3200 per cento. Molti dei quali sono reperibili solo al mercato nero. Così anche nella capitale Kiev, lontano dal Donbass dove ancora si combatte, le strutture mediche non sono più in grado di fare fronte all’emergenza sanitaria che di giorno in giorno si aggrava: interi ospedali sono senza antidolorifici, analgesici e chemioterapici. A pagare il prezzo più alto sono i bambini malati di tumore, molti dei quali vittime dell’eredità avvelenata del disastro nucleare di Chernobyl. Se in Europa la media di sopravvivenza è del 75-80 per cento, in Ucraina sopravvive un bimbo su due. Come nel precedente lavoro sulla Costa D’Avorio, questo reportage è stato realizzato grazie al supporto tecnico-logistico di Soleterreorganizzazione non governativa che dal 2003 interviene in Ucraina nei diversi aspetti che contribuiscono alla guarigione dei piccoli pazienti: dalla fornitura gratuita di farmaci, all’assistenza psicologica, fino all’apertura di una casa accoglienza per ridurre il periodo di ospedalizzazione dei bimbi malati di cancro


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Viaggio in Ucraina: al fronte di Lugansk con i ribelli filorussi. Tra fantasmi e ferite (di Vauro Senesi | 19 gennaio 2015)

Seconda puntata del reportage nel paese dell’Europa orientale dilaniato ormai da mesi da un conflitto che, in barba alle tregue dichiarate, continua a mietere famemorte e distruzione. Dopo Slovianks e Kiev, ilfattoquotidiano.it ha visitato una delle due province ribelli che, in risposta alla rivolta di Euromaidan, hanno dichiarato unilateralmente la propria indipendenza scatenando la reazione militare del governo ucraino: la Repubblica popolare di Lugansk, proclamata tale il 27 aprile 2014. Dalla “Capitale” ai suoi sobborghi, come Novosvetlovka, fino alla linea del fronte a Pervomajsk lo scenario è sempre quello: distruzione sistematica di scuole, ospedali, abitazioni residenziali, acquedotti e linee elettriche. “E la chiamano operazione antiterrorismo”, accusa Anrej, soldato dell’Armata dei Cosacchi del Don, una delle milizie che sta combattendo contro le forze ucraine. Gli fa eco il suo generale, Pavel Drjomov: “Kiev vuole il nostro territorio, per questo sta facendo terra bruciata”. La prospettiva di una pacificazione e di una soluzione diplomatica alla crisi non viene nemmeno presa in considerazione. “Dopo i crimini commessi dagli ucraini è impossibile”, dicono tutti, militari e civili. Quindi avanti tutta verso l’indipendenza, con l’aiuto logistico, umanitario e militare della madrepatria: la Russia, che  nel Donbass è rimasta ancora Unione sovietica. Tant’è che il l’attuale conflitto viene percepito dai miliziani come una prosecuzione della “Grande guerra patriottica“, la Seconda guerra mondiale, combattuta “contro i nuovi nazisti“: non più tedeschi, ma, secondo loro, americani e ucraini. “Maidan è scoppiata all’inizio per avere un sistema sociale più giusto. Che però non è quello dell’Ue, ma è l’Urss“, ricorda malinconicamente Adrej... 

di Lorenzo Galeazzi e Vauro Senesi - un ringraziamento a Eliseo Bertolasi per la logistica e a Anna Lesnevskaya per le traduzioni


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Viaggio in Ucraina, la ‘Fede’ dei cosacchi: “Contro i nazisti, come i nostri padri” (di Vauro Senesi | 19 gennaio 2015)
Guardano con 'simpatia' agli inizi della rivoluzione di Maidan: "Poi sono state le oligarchie filo occidentali a strumentalizzarla trasformandola in scontro xenofobo e fascista". E il loro obiettivo è "ricominciare a ricostruire scuole, ospedali gratuiti"...

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Altri articoli:

VAURO: “IN UCRAINA SI COMBATTE CON LA SVASTICA”
18 dic 2014 – Non c’è solo il Medio Oriente, il vignettista ricorda un altro conflitto alle porte dell’Europa tra filorussi e truppe regolari ucraine. Anche in Ucraina sboccia il fondamentalismo, come tra le fila del battaglione Azov che combatte con la croce uncinata nazista…
I cosacchi del Don: “Resistiamo al fascismo” (di Vauro Senesi, Il Fatto Quotidiano 27/12/2014)
Per la comunità di combattenti gli assalti di oggi non sono che la prosecuzione della guerra patriottica di 70 anni fa…

Le vite bruciate nella neve di Lugansk (di Vauro Senesi, Il Fatto Quotidiano 27/12/2014)
Città e villaggi della Repubblica separatista nell’Est ucraino sistematicamente colpiti dall’esercito di Kiev: ospedali, scuole, centrali idriche ed elettriche in macerie. I pochi che non sono fuggiti in Russia sopravvivono con la morte nel cuore…


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http://www.vita.it/mondo/emergenze/una-nuova.html

07/01/2015

Una seconda Chernobyl minaccia l'Europa

di Eliseo Bertolasi

Lo scorso 30 dicembre Mosca, il sito ufficiale del Ministero degli Affari esteri, ha lanciato un allarme riguardo ai rischi di una possibile catastrofe nucleare in Ucraina: il Primo Ministro ucraino Jazenjuk ha firmato un accordo con una società americana per la fornitura di combustibile nucleare per le centrali nucleari ucraine. Combustibile che, a detta degli scienziati, sarebbe incompatibile con le centrali ucraine. Si prospetta una nuova Chernobyl, dicono da Mosca


Lo scorso 30 dicembre Mosca, sul sito ufficiale del Ministero degli Affari esteri, ha lanciato un allarme riguardo ai rischi di una possibile catastrofe nucleare in Ucraina: il Primo Ministro ucraino Jazenjuk ha firmato un accordo con la società americana Westinghouse per quanto riguarda la fornitura di combustibile nucleare per le centrali nucleari ucraine. La società Westinghouse nel corso degli anni ha cercato di affermarsi sul mercato dei combustibili nucleari anche per i reattori di progettazione sovietica VVER-1000.
Anche se tale accordo può sembrare motivato dal desiderio di diversificare le forniture energetiche che, secondo il Premier ucraino, non dovrebbero dipendere unicamente dai produttori russi, diventa però inaccettabile per i potenziali rischi in materia di sicurezza nucleare. 

Non tutto il combustibile è uguale

Il combustibile prodotto dalla Westinghouse ha frequentemente dimostrato la sua non conformità d’utilizzo nei reattori VVER-1000. I tentativi di utilizzarlo, ad esempio, nella centrale nucleare ceca di Temelin hanno già portato in passato ad un incidente  piuttosto grave.
Ad aggravare la situazione, anche il fatto che in Ucraina tutto questo sta accadendo su uno sfondo di grande instabilità, in un ambiente in cui l’allineamento politico ha la priorità sulle esigenze della sicurezza nucleare, inoltre la capacità di rispondere a questo tipo di emergenze, nel Paese, appare molto limitata.
Non si comprende la necessità, da parte di Kiev, d’interrompere l’approvvigionamento di combustibile nucleare dalla Russia. La società statale russa per l’energia atomica Rosatom effettua con regolarità e continuità consegne di combustibile nucleare alle centrali ucraine.

Un rischio sistemico

In queste condizioni la pericolosa scelta imbastita da Kiev rappresenta una minaccia per la sicurezza e la salute non solo dei cittadini ucraini, ma anche di tutti i popoli europei. Sembra che la lezione della tragedia di Chernobyl non abbia insegnato alle autorità di Kiev alcun approccio né responsabile né scientifico sull’uso dell’energia nucleare. Di fatto, in Ucraina, la sicurezza nucleare è subordinata all’adempimento di ambizioni politiche e forse di altri “tangibili” interessi. Le ripercussioni di possibili avarie o d’incidenti con le rispettive responsabilità, ricadranno totalmente sulla leadership ucraina e sul fornitore americano.
Alla seguente dichiarazione ufficiale del Ministero degli Affari esteri della Federazione Russa, l’Ente per l’Energia Atomica ucraino “Energoatom” ha risposto che l’Ispettorato statale per la regolamentazione nucleare dell’Ucraina (ГИЯРУ) in accordo con la soluzione tecnica per l’introduzione di combustibile nucleare della società Westinghouse ha solo ammodernato l’unità  № 3 della Centrale Nucleare Sud ucraina (ЮУАЭС) di Zaporozhye. Si tratterebbe di test per l’utilizzo del nuovo combustibile americano. Secondo Energoatom: “L’introduzione del combustibile nucleare della società Westinghouse si svolge senza problemi, e in stretta conformità con le norme e i regolamenti relativi al nucleare e alla sicurezza dalle radiazioni, definite dalla legislazione ucraina” [Fonte: qui].

Una vera emergenza

Purtroppo i dati riportati dalle relazioni del 28 e del 29 dicembre del Servizio Nazionale ucraino per le Situazioni di Emergenza (ДСНС) sulla situazione nei pressi della centrale nucleare di Zaporozhye, pubblicati da Life News, indicano dei dati per nulla rassicuranti.
[IMMAGINE: Relazione del 28 dicembre del Servizio Nazionale ucraino per le Situazioni di Emergenza]
Sulla base di tali relazioni, infatti, il livello massimo di radiazioni nei pressi della centrale nucleare è risultato 16 volte superiore rispetto alla norma accettabile: dai 4,76 µSv/h. del 28 dicembre, ai 4,91 µSv/h. del 29.
[IMMAGINE: Dettaglio della relazione del 28 dicembre]
In Ucraina non tutti si sono allineati alle decisioni governative, anzi, ci sono esperti che ritengono illegale e pericoloso l’uso del combustibile americano nelle centrali nucleari ucraine [Fonte: qui].
Secondo loro, infatti, serviranno ancora molti anni per arrivare a una diversificazione del combustibile nucleare in Ucraina, e solo dopo tutta una serie di test e di adattamenti strutturali. 

Voci critiche dall'Ucraina

Tra questi"non allineati" figura il segretario esecutivo della Società Nucleare Ucraina Sergej Barbashov, ritiene che la sconsiderata e pericolosa decisione di sostituire il combustibile russo senza riflettere sulle pericolose conseguenze risponda solo a logiche politiche. 
L’esperto sostiene inoltre che: “Non sono ancora stati completati tutti i test di questo combustibile nei nostri reattori, e sono necessari”; secondo le sue stime, questo processo può richiedere fino a cinque anni poiché, aggiunge: “Il carburante degli Stati Uniti non è idoneo per le nostre unità”.
Secondo il presidente del consiglio del Centro Internazionale “Energia e informatica XXI” Michail Vataghin, l’uso dei materiali della Westinghouse è pericoloso in quanto infrange il principio di “unità tecnica”, dove l’uso di componenti non-originali può compromettere il funzionamento del propulsore nel suo complesso. 
Dello stesso parere anche Gheorghij Kapchinskijmembro del consiglio consultivo internazionale per la sicurezza nucleare, ex capo del Dipartimento per l’energia atomica e l’industria del Consiglio dei Ministri dell’URSS: “Il reattore è una sorta di corpo di cilindro, al cui interno si trovano le barre. Tutto questo è avvolto da una singola tecnologia che per le centrali ucraine è russa. Un’intrusione di altre tecnologie in questo sistema può portare a rischi precisi, perciò difficilmente si può parlare di convenienza”.
[IMMAGINE: Relazioni del 29 dicembre del Servizio Nazionale ucraino per le Situazioni di Emergenza]
Anche le autorità della vicina autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, hanno già lanciato l’allarme: la fuoriuscita di radiazioni dalla più grande centrale nucleare ucraina (quella di Zaporozhye) potrebbe presto portare ad una “seconda Chernobyl nel centro dell’Europa.” [Fonte: qui].
Questo è ciò che ha affermato in un comunicato inviato a “Interfax” Dennis Pushilin, uno dei leader dell’autoproclamata Repubblica. Anche a questo grido d’allarme, Energoatom ha risposto assicurando che non vi è stato nessun incidente “né nucleare, né di altro tipo” e che non sussistono “conseguenze di radiazioni”.
[IMMAGINE: Dettaglio della relazione del 29 dicembre]
Pushilin ha avvertito che il rifiuto dell’Ucraina di cooperare con la Russia nel campo della tecnologia nucleare potrà portare a un’autentica catastrofe nucleare. In un prossimo futuro tali incidenti potrebbero verificarsi anche nella centrale nucleare di Khmelnitsky, anch’essa interessata nel programma di sostituzione del combustibile nucleare.
Fonte delle immagini: qui [ http://lifenews.ru/news/147890 ]

L'autore

Eliseo Bertolasi, ricercatore associato e analista geopolitico all'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma, c’informa dei rischi di una possibile catastrofe nucleare in Ucraina.

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18/01/2015

Ucraina: ennesimo incidente tra le centrali nucleari


di Eliseo Bertolasi


Nella notte del 15 gennaio, un incendio ha interessato la centrale nucleare sud-ucraina della città di Nikolaev. La notizia, data dall'ufficio stampa del Dipartimento di Stato ucraino è solo l'ultima di una lunga serie.Da quando la società statunitense Westinghouse sta cercando di utilizzare il proprio combustibile nucleare sui reattori di progettazione sovietica presenti in Ucraina, questi incidenti si succedono con inquietante frequenza

Sul territorio della centrale nucleare sud-ucraina della città di Nikolaev c’è stato un incendio nella notte del 15 gennaio. La notizia è riportata dal servizio stampa del Dipartimento di Stato ucraino per le Situazioni d’Emergenza della regione di Nikolaev.
Dai dati riportati, l’incendio è stato individuato alle 22.03 ed è stato estinto alle 23.43 ed ha interessato un’area di 100 mq.
Le sue cause sono presumibilmente dovute a dei problemi elettrici sull’autotrasformatore 1AT. In seguito il personale di turno ha interrotto l’alimentazione elettrica dal trasformatore. Secondo i risultati delle prime verifiche, sul sito della centrale e nelle sue immediate vicinanze le radiazioni di fondo non supererebbero la norma. Come indicato nel rapporto, per spegnere le fiamme sono intervenuti 16 mezzi e 125 persone. Presso il sito opera ora una commissione per stabilire con precisione le cause dell’incendio e le sue conseguenze.
Si tratta dell’ennesimo incidente. Negli ultimi tempi tali situazioni d’emergenza nelle centrali nucleari ucraine accadono con una certa frequenza. Va ricordato che nelle giornate del 28 e 29 dicembre la grande centrale nucleare di Zaporozhye è stata interessata da una significativa fuga di radiazioni (16 volte superiori alla norma).Tutto ciò nonostante le dichiarazioni, il 3 dicembre (in seguito ad un’altro incidente, il 28 novembre, sul reattore numero tre della stessa centrale di Zaporozhye), del premier Yatsenyuk e soprattutto del ministro dell’Energia e dell’Industria Demchishin, il quale ha assicurato che tutto è nella norma e che non sussiste alcuna minaccia.
Da quando la società statunitense Westinghouse sta cercando di utilizzare il proprio combustibile nucleare sui reattori di progettazione sovietica presenti in Ucraina, questi incidenti si rincorrono. Tuttavia, i media occidentali tacciono! La comunità internazionale fino ad ora non ha intrapreso alcuna azione per controllare o almeno monitorare la situazione tra le centrali nucleari ucraine. 
Come mai non è ancora stata organizzata una commissione internazionale con la partecipazione di esperti provenienti da Europa, Russia Ucraina?
In caso d’esplosione di un reattore nucleare ucraino le gravi conseguenze che ne deriverebbero, si percuoterebbero non solo sull’Ucraina ma su tutto il continente europeo.

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Altri articoli:

Reportage dall'aeroporto di Donetsk (Eliseo Bertolasi, 19/12/2014)
Vi offriamo un reportage del nostro corrispondente Eliseo Bertolasi dal cuore dell'aeroporto di Donetsk, scenario dei feroci combattimenti tra l'esercito ucraino e i miliziani. Immagini uniche che parlano da sé. Inoltre in esclusiva intervista ai miliziani presenti sul campo…

La tragedia non raccontata del Donbass (Tatiana Santi intervista Eliseo Bertolasi)

DONETSK: VOLONTARI ITALIANI CON I FILO-RUSSI DEL DONBASS (di Eliseo Bertolasi, 7 gennaio 2015)
Dall’aeroporto di Donetsk da mesi passa la linea del fronte. Da una parte le forze di Kiev costituite sia dall’esercito governativo che dalle varie unità della Guardia Nazionale, i volontari nazionalisti di estrema destra sostenitori dell’Euromaidan. Dall’altra i combattenti dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, la “opolcénie”, i cosiddetti “miliziani filorussi”...







(english / italiano)

NOME E COGNOME DELL'AVIERE UCRAINO CHE HA ABBATTUTO IL VOLO MH17
Malaysian Boeing hit by an Ukrainian pilot

Dmitro Jakazuz o Vladislav Voloshin? Non spererete mica che ve lo dica RaiNews24?!... (Rassegna a cura di Italo Slavo)


Sullo stesso tema si vedano anche i nostri post e collegamenti:

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Fonte: pagina FB di Giulietto Chiesa, 25/11/2014

Tenere nascosti gli autori dell'abbattimento del Boeing Malaysiano non sarà possibile a lungo.
"Momento della verità", trasmissione del canale 5 russo, condotta da Andrei Karaulov, ha aperto diverse pagine fino ad ora sconosciute. Da chi ha avuto le informazioni Karaulov non viene detto. Ma lui stesso sfida gli eventuali contestatori: "Che mi interroghi la Commissione Internazionale che indaga sull'abbattimento del Boeing". Affermazioni, dunque, da verificare, ma troppo nette per poter essere gettate nel cestino come dei "si dice". Vediamo se, da chi e come saranno smentite. Intanto eccole, qui riassunte: 
1) Quella mattina dei 17 luglio era in volo nello spazio aereo ucraino una intera squadriglia dell'aviazione ucraina. Se ne conosce il numero: la 229-esima, composta da numero quattro Sukhoi-25, di cui si conoscono i numeri dipinti sulla fusoliera: 06, 07,08, 38.
2) Il Boeing malaysiano è stato abbattuto dal Sukhoi-25 che portava il numero 08. 
3) Il pilota che lo guidava era il vice colonnello Dmitro Jakazuz. Che il giorno dopo il massacro è partito alla volta degli Emirati Arabi Uniti. Secondo le affermazioni di Karaulov, si trova ancora da quelle parti. Sempre che sia ancora vivo. 
4) Il controllore di volo che, da Kiev, seguiva gli eventi quella mattina si chiama Anna Petrenko. Dalle pagine Facebook che la riguardano si vedono le foto con il suo fidanzato, di Settore Destro. Ma questo è il meno. Il giorno 18 luglio, successivo all'abbattimento del Boeing, Anna Petrenko è partita per le ferie. Che continuano a tutt'oggi (sempre che sia ancora viva). Non risulta che la Commissione Internazionale d'inchiesta abbia cercato di interrogarla.
Conclusione provvisoria. Fin d'ora si può dire che l'Occidente sta superando se stesso nel vortice delle menzogne. In difesa di un gruppo di criminali portati al potere da un colpo di stato guidato da squadre naziste, finanziate dagli Stati Uniti d'America, e sostenute da alcuni paesi europei, come la Polonia e la Lituania.

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Fonte: pagina FB "Fronte Sud", 3/12/2014
https://www.facebook.com/southfrontital/posts/679491385503102

ecco finalmente il FAMOSO VIDEO della BCC Russia che dimostra che il volo MH17 e' stato ABBATTUTO DA I CACCIA DI KIEV.
CENSURATO IL GIORNO DOPO.
PandoraTv l'aveva mostrato e ora si sono presi una denuncia !!!
Ecco la spiegazione di Pandora Tv 
http://www.youtube.com/watch?v=f3UpgxLZDFE
Ecco il video integrale della BBC in Russo sottotitolato in inglese.
http://www.youtube.com/watch?v=rVdwUdlswOY
Qualche volta la BBC dice la verita' anche se solo per un giorno.

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MH17: l'agonia di una menzogna (di Giulietto Chiesa, giovedì 4 dicembre 2014)
La saga delle menzogne sulla 'Ustica ucraina' è sempre di più la metafora della fine della illusione democratica del mondo occidentale…
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=113082&typeb=0&MH17-l-agonia-di-una-menzogna

PTV News 10 dicembre 2014 – MH17. Cosa hanno da nascondere? / L’Europa può rinunciare al South Stream?
http://www.pandoratv.it/?p=2478
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=L6_5xZSaWYU

PTV News – speciale – MH17: spunta un testimone oculare
http://www.pandoratv.it/?p=2475
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=3s3yJgFxfhE

Hot news! Malaysian Boeing MH17 destroyed Ukrainian Su-25 pilot Captain Voloshin (23 dic 2014)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=yKigr2PRHeY

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Nei media russi pubblicate prove coinvolgimento Ucraina in abbattimento Boeing malese

23/12/2014 – L'aereo di linea della Malaysian Airlines sarebbe stato abbattuto nei pressi di Donetsk dal bombardiere ucraino “Su-25”.
Lo ha riferito al quotidiano Komsomolskaya Pravda un militare in servizio nella base aerea di Dnepropetrovsk che secondo il suo racconto avrebbe visto decollare l'aereo con missili "aria-aria" nella zona dell'operazione antiterrorismo nella regione di Donetsk nello stesso giorno dello schianto del Boeing malese.
Nel pomeriggio, circa un'ora prima dell'abbattimento del "Boeing", erano stati fatti decollare 3 bombardieri. Non ricordo l'ora precisa. Un aereo era dotato di missili "aria-aria". Era un Su-25", - ha detto la fonte rimasta nell'anonimato al giornale.
Quel giorno tornò alla base solo il bombardiere dotato dei suddetti missili, mentre gli altri 2 aerei da guerra erano stati abbattuti. Il bombardiere non aveva munizioni e il pilota, che il testimone ha indicato con le generalità Vladislav Voloshin, era "molto spaventato". "Aveva forse paura di essere punito per aver abbattuto il "Boeing", confuso probabilmente per un aereo militare nemico, "- ha dichiarato la fonte.
Il testimone ha inoltre raccontato che i missili installati sul “Su-25” in precedenza erano stati disattivati, ma una settimana prima dello schianto del "Boeing" erano stati rimessi in funzione "con urgenza".
L'interlocutore del giornale non esclude che il pilota possa aver confuso il "Boeing" con un caccia. "La distanza era grande, non era in grado di vedere esattamente che tipo di aero fosse," - ha detto, spiegando che questo tipo di missili hanno una gittata fino a 10 chilometri.
Il Boeing 777 della compagnia aerea Malaysia Airlines, partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur, si è schiantato il 17 luglio nei pressi di Donetsk. A bordo si trovavano 298 персоне: non c'è stato alcun superstite. Le autorità di Kiev hanno accusato le milizie separatiste di aver provocato il disastro, a loro volta i filorussi hanno dichiarato di non aver mai avuto armi per abbattere un aereo di linea in quota di volo.

Fonte: http://italian.ruvr.ru/news/2014_12_23/Nei-media-pubblicate-prove-coinvolgimento-Ucraina-in-abbattimento-Boeing-malese-4149/

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Fonte: pagina FB di GIULIETTO CHIESA, 23/12/2014

Un testimone parla con i giornalisti della Komsomolskaja Pravda. Ha visto il pilota che ha abbattuto il Boeing malaysiano. Lo conosceva e ne conosce il nome: un capitano, di nome Voloshin. Ha visto il Su-25 che prendeva il volo con missili aria-aria sotto le ali, tornare a terra senza quei missili. Aeroporto di partenza: vicino a Dnepropetrovsk. Lo ha sentito dire: "non era l'aereo giusto". E molte altre cose. Un'altra versione della tragedia, ma anche questa è una versione che parla della responsabilità ucraina nell'incidente. Il nome del testimone (ucraino) non viene rivelato "per ragioni di sicurezza". E' fuggito in Russia ma ha lasciato i parenti in Ucraina. 
La Commissione d'inchiesta russa lo interrogherà al più presto. Vedremo se la Commissione Internazionale farà altrettanto. Intanto il mondo dell'informazione internazionale ha dimenticato il Boeing abbattuto. Adesso che i sospetti si addensano sull'Ucraina, è meglio non parlarne. 


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В украинских ВВС нашли летчика, которого источник «КП» обвинил в гибели Boeing (23/12/2014)
Пока Следственный комитет России проверяет показания о том, как украинский штурмовик сбил малайзийский Boeing, журналистам удалось найти в составе ВВС Украины летчика по фамилии Волошин. Именно о нем, по всей видимости, и говорил свидетель на встрече с главным редактором и журналистами «Комсомолки»…

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Malaysian Boeing hit by an Ukrainian pilot - captain Voloshin

Nicolai VASERGOV , Dmitry STESHIN, Vladimir SUNGORKIN
25 Декабря 2014 14:50

A “secret witness” has appeared in the “Malaysian Boeing” case; his evidence drop all the charges against opolchenye – militia and Russia. And also explain the mysterious behaviour of Western experts [“Кomsomolskaya Pravda” exclusive]

This man came to the “Кomsomolskaya Pravda” Editorial office just on his own. We checked his papers – he is not an actor and not a man of straw. We cannot yet reveal the real data of the witness –our interlocutor’s relatives still are in Ukraine and he is afraid of revenge and blackmail. Judging by the facts Alexandr told us (let us name him so) – his concerns are quite real. Here is the transcript of our conversation almost without any cuts.
BOMBER RETURNED WITHOUT MISSILES 
- Where were you on July 17, 2014, onwards, the day when the Malaysian Boeing was shot down? 
- I was on the territory of Ukraine, in the city of Dnepropetrovsk, Aviatorskoe settlement. That is a usual airport. At that time, there were fighter jets and helicopters. Air jets performed regular flights, bombed; the Su-25 hedgehoppers bombed Donetsk, Lugansk. This went on for a long time.
- Did air jets flew every day? 
- Daily.
- Why did you assume that those aircraft could be related to the loss of Boeing? 
- For several reasons. Eight aircraft were stationed there, and only two of them had “air-to-air” missiles. They were hanged.
- Why? Were there any air battles in the air? 
No, the missiles were hanged onto the aircraft to cover themselves in the air. Just in case. Mainly ammo on sling for operation towards earth. Non-guided missiles, bombs.
- Tell us about July 17. 
- The air jets flew on a regular base. Starting with the morning and all day long. By the second half of the day, approximately an hour before the shooting down of the Boeing, three hedgehoppers took off into the air. I do not remember the specific time. One of the three air jets was fitted with such missiles. It was a Su-25.
- Did you see it personally? 
- Yes.
- Where was your observation point? 
- In the territory. I cannot say specifically.
- Did you have the opportunity to watch specifically what was hung to the air jet pylons? Could you mix up air-to-air and air-to-earth missiles? 
- No, I could not mix them up. They differ in sizes, empennage, and color. The guidance head. It is so easy to recognize it. Actually, after some time only one jet returned, and two had been shot down. Somewhere in the East of Ukraine, I was told so. Only one jet returned, which had those suspended missiles.
- So, did it return already without missiles? 
- Without any missiles. And the pilot was very frightened.
- Are you familiar with that pilot, did you see him? 
- Yes.
- And can you tell us his name? 
- Voloshin last name.
- Was he alone in the aircraft? 
- Yes. The aircraft is designed for one person.
- Do you know his first name? 
- It was like Vladislav. I am not so sure. A captain.
- So captain Voloshin returned. What was next? 
- He returned with the empty ammunition load.
- Were there no missiles? 
- Yes.
“THE AIRCRAFT, IT WAS NOT THE ONE” 
- Tell us, Alexandr, the aircraft returned from the combat mission, you do not yet know about the loss of Boeing, but still you somehow are surprised by the fact that there are no more “air-to-air” missiles. Why? 
- Those missiles “air-to-air” are not part of the basic ammunition load. They are hung according to a special order. Usually, they tried not to rise into air such jets with such missiles. Because it is not allowed to transport such a missile along in the air. Only two missiles of this type may be carried by such a jet. And it was never for them to be applied before. They were amortized beforehand. But just a day before, in a week time before this incident (loss of Boeing. - Editor), the use of these missiles has been urgently extended. And they were again delivered as ammunition. They have not been used for many years.
- Why? 
- Their effective resource ended. Too old, yet Soviet production. But it was an emergency order and their resource was extended.
- And was it that day when they were hung to the air jet? 
- They stood all time long with those missiles.
- But still they did not fly? 
- They tried to let them fly as rare as possible – each flight reduces the resource. But this was the day when the jet to departure.
- And did it return without them? 
- Yes. Knowing a little bit that pilot... (quite possible that the other two jets were shot down in front of him), and he had some scared reaction, inadequate. He might be frightened or as a revenge run the missiles into the Boeing. May be he just took it for some other combatant air jet.
- Are these missiles with self-guided heads? 
- Yes.
- When he pushed them, did they begin to search for the target? 
- No. The pilot himself fixes the target. Then he launches the missile, and it flies to the target.
- Could the pilot use these missiles at ground targets? 
- That is pointless.
- What else did you remember that day? What did the pilot say? 
- The phrase he said after he was taken out of the jet: “The aircraft, it was not the one”. And in the evening there was a phrase, a question from a pilot for him, to the same Voloshin: «What about the aircraft?». And he answered: «The aircraft got on a wrong time to a wrong place”.
“AND THE DEPARTURES CONTINUED AFTER THE TRAGEDY” 
- How long did that pilot serve there? How old is he? 
- Voloshin is about 30 years old. His regiment is based in Nikolayev. They were sent to Dnepropetrovsk. Just before that, they had a mission to Chuguev, near Kharkov. And for all that time they bombed Donetsk and Lugansk. Moreover, according to the information from one of the servicemen in the regiment in Nikolayev, they still continue to do that.
- Did the pilots have a good combat experience? 
- Those who were there, they had experience. The Nikolayev regiment was the best regiment of Ukraine for 2013, as I know.
- Was the story with the Boeing somehow discussed among the pilots? 
- All the attempts to discuss were suppressed immediately. And the pilots mainly communicated among them, they are, you know, so ... proud.
- After everybody learned of this Boeing, - what happened to that pilot, to captain Voloshin? 
- Departures continued afterwards. Moreover, the pilots were not changed. There were the same faces.
“THERE WERE NO FLIGHTS... BUT THEY WERE SHOT DOWN” 
- Let’s try to simulate events. How could they develop? Three aircraft flew on a combat mission. They were roughly in that area, where the Boeing was. Two aircraft were shot down. This captain Voloshin got nervous, was scared, and perhaps he took the Boeing for a warplane? 
- It is possible. It was a big distance, he just could not see specifically what type of aircraft it was.
- Which is the distance these missiles are launched? 
- They may fix the target from some 3 - 5 kilometers.
- And what is the difference of speeds in a warplane and a Boeing? 
- There is no difference: a missile has a pretty good speed. It’s a very fast missile.
- Does it catch up anyway? And what is the height? 
- He may properly do it at his maximum lift - at 7 thousand meters – quite easy fix the target.
- Can reach it upwards? 
- Yes. The aircraft cam simply uplift the snoot, and it is not a problem to fix that and launch the missile. The range of this missile is over 10 kilometers.
- What is the distance from the target where the missile explodes? Can it hit the hull of the craft and explode? 
- Depending on the modification. Literally, it can hit the hull from the distance of 500 meters.
- We worked at the disaster place and we noticed that the fragments hit the hull very closely. The feeling was that the explosion was literally in some two meters from the Boeing. 
- There exists such a missile. It is the principle of pellets – the missile explodes and the pellets disperses. Afterwards the main warhead of the missile hits.
- Ukraine declared that on that day they had no combat flight missions. We have controlled different consolidated sources on downed aircraft; Ukraine denies everywhere that its warplanes made flights that day. 
- I know that. Ukraine also stated that the two aircraft were downed on the July 16th, and not on the 17th. And the date was modified for several times. But in reality the departures were on a daily basis. I have seen that myself. Departures had place even during the armistice, however less frequently.
PROHIBITED BOMBS 
- What kind of weapons was on the aircraft from your airport? Were there used phosphorous bombs, incendiary mixtures? Ukrainian artillery used them on ground very actively. 
- I did not see any phosphorous (bombs). But still fuel-air bombs were used.
- Are they prohibited? 
- Yes. The bomb was specially assigned for Afghanistan. It has been prohibited and they did not use it until recently. It is prohibited by some convention, I do not remember, I will not say. This bomb is unhuman, it burns everything. It burns absolutely everything.
- Did they hang them on and use during the combat missions? 
- Yes. Also there have been the prohibited cluster bombs. Aviation cluster bomb – it depends on the size – can hit a very dimensioned target. One bomb can cover an athletic field. And that is completely, all the surface absolutely, the entire area of two hectares.
- Why did they decide to use such weapon? 
- All of them executed the order. And it was unclear who gave that order.
- What is the sense of such a weapon - intimidation? 
- A maximum destruction of manpower.
THEY CAN BEAT YOU FOR ANY CARELESS WORD 
- Why did you leave for Russia, why did you take the decision to speak about that? Why, finally, no one knew about that earlier? For you are not the only witness! 
- Everybody is frightened by the SBU(Security service of Ukraine. – Editor.) and the national guard. People can be beaten for any careless word, arrested for any tiny suspicion of being sympathetic towards Russia or to the opolchenye/militia. While I was from the very begging against this “anti-terrorist operation”. I do not agree with the policy of the Ukrainian state. The civil war is a wrong thing. It is not normal to you’re your own people. And I do not agree initially to participate somehow or be on the side of Ukraine, being partially involved in that!
THE REFERENCE FROM “КOMSOMOLSKAYA PRAVDA” 
What weapons were used by the Ukrainian aviation in Donbass sky 
R60 missile – guided, close-in slugfest “air-to-air” 
Developed in 1967. Has a specific empennage and solid-propellant engine. Infrared self-guide head. R60 is equipped with proximity fuzes, the blasting of the missile takes place at a distance of 5 to 2,5 meters from the target. Projectiles – wolfram wire or bars. Practical flight range makes 10 - 12 kilometers. Starting with 1973 used on all the types of fighter jets and on hedgehoppers. For the last 10 years this armament is not in service with the Russian army, the manufacturing of missile is shut, the special pylons for the missile sling are not used and are not manufactured. Delivered for export.
ODAB-500 - Fuel-air aviation bomb 
This type of bomb is the most prevailing in the post-Soviet space. It is designed for the damage of manpower, industrial constructions, easy-vulnerable equipment, light engineering construction; for antipersonnel and antitank minefields clearing. Used from heights of 200 - 1000 meters. The bomb contains 193 kilograms of piperylen – a flammable liquid, which in blasting transforms into aerosol and is blasted by a second charge. The effective casualty radius makes 30 meters. It is considered a non-conventional ammunition.
Used as well in hedgehoppers Su-25.
RBK – Single cluster bomb 
The most prevailing variant in the post-Soviet space. The representation depends on the type; a container equipped with aircraft bombs of small caliber, which disperses in the blast of the charge combat elements over the target. It is considered a non-conventional ammunition. Used in most types of Soviet and Russian aircraft.
The editor office of the “Кomsomolskaya Pravda” will continue the research on this topic, including the facts, on which our collocutor asked us no to public anything now, for example, on the possible role of the Air Defense of Ukraine in the disaster with the Malaysian Boeing.
Translated by Anna Dinuts

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Il pilota che ha abbattuto il Boeing malese del volo MH-17 (DICEMBRE 26, 2014)
Capitano Vladislav Valerevich Voloshin: “l’aereo era nel posto sbagliato al momento sbagliato“. Vladimir Sungorkin, Dmitrij Steshin e Nikolaj Varsegov, Komsomolskaja Pravda (kp.ru) – Fort Russ
Nel “caso del Boeing malese” un testimone “segreto” ha fatto un passo avanti eliminando ogni accusa su milizia e Russia, e spiegando il comportamento misterioso degli esperti occidentali. Quest’uomo è venuto nella redazione di “Komsomolskaja Pravda“. Abbiamo controllato le sue carte, non è un attore e una persona fittizia. Non possiamo ancora rivelare i suoi dati personali, ha parenti in Ucraina e ha paura di vendette e ricatti. A giudicare da quello che Aleksandr (il suo nome) ci ha detto, la paura è sufficientemente motivata. Forniamo una trascrizione della nostra conversazione praticamente integrale…

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Fonte: pagina FB di GIULIETTO CHIESA, 25/12/2014

PER COSA E' STATO PREMIATO IL PILOTA VOLOSHIN?

Sul sito del Presidente dell'Ucraina, Petro Poroshenko, è presente un decreto presidenziale (numero 599/2014) che concede al pilota Voloshin l'ordine "Per il coraggio", di terzo grado. La data in cui è stato firmato è quella del 19 luglio 2014, due giorni dopo l'abbattimento del Boeing malaysiano nei cieli dell'Ucraina. Il nome di Voloshin è apparso sulla Komsomolskaja Pravda e in diversi canali tv russi come quello del pilota del Sukhoi 25 che avrebbe abbattuto l'aereo malaysiano con 298 persone a bordo il 17 luglio scorso.

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Aereo malese abbattuto in Ucraina, un testimone: “è stato un caccia di Kiev”

Redazione Contropiano, 25 Dicembre 2014

Continua a distanza di mesi lo scambio di accuse tra governo russo e regime ucraino sull’abbattimento il 17 luglio scorso di un Boeing della Malaysian Airlines che provocò la morte di tutti i passeggeri e dell’equipaggio, episodio che contribuì ampiamente a rafforzare le sanzioni già imposte contro Mosca da parte di Stati Uniti e Unione Europea. 

Stavolta ad accusare il regime ultranazionalista di Kiev è un militare ucraino - di cui però non sono state fornite le generalità - che ha disertato, consegnandosi alle autorità russe, e che avrebbe raccontato alla speciale commissione di inchiesta istituita da Mosca che ad abbattere il volo di linea MH17 della Malaysian Airlines sarebbe stato un caccia ucraino SU-25 pilotato dal capitano Voloshyn delle forze aeree di Kiev.
"Secondo il resoconto fornito da questo uomo, che ora viene trattato come testimone e al quale è stato assegnato uno pseudonimo per garantire la sua sicurezza, il Boeing 777 (…) potrebbe essere stato abbattuto il 17 luglio di quest'anno da un jet ucraino ", ha detto il portavoce del comitato d'inchiesta russo Vladimir Markin.
Già nell’agosto scorso alcuni media malesi di lingua inglese, citando fonti dei servizi segreti statunitensi, avevano diffuso questa versione dei fatti in controtendenza con la grande stampa internazionale che, senza alcuna prova, continuava ad accusare indifferentemente i guerriglieri del Donbass oppure direttamente le forze armate russe, anche se poi le perizie sulla fusoliera del velivolo hanno rivelato che a causare l’abbattimento furono proiettili di piccole dimensioni sparati da una distanza ravvicinata, escludendo così sia l’ipotesi di un missile a spalla – di quelli in possesso dei ribelli – sia del missile terra-aria presuntamente usato dalle forze armate di Mosca.
Secondo la versione fornita dal quotidiano russo Komsomolskaya Pravda nei giorni scorsi, basata sulle presunte rivelazioni del militare ucraino disertore, il 17 luglio nella zona di guerra sorvolata dal boeing malese erano stati abbattuti due aerei militari ucraini e il pilota di un terzo velivolo di Kiev, "spaventato", avrebbe mirato al volo civile per errore, sparando anche un missile aria-aria, forse confuso dai colori della compagnia di bandiera malesiana simili a quelli della bandiera russa.
Nessuna traccia di questa versione – tutta da confermare, ovviamente – sulla stampa italiana mentre a pochi giorni dall’entrata in vigore di una nuova tregua, che per ora sembra tenere, i rappresentanti della Giunta ucraina e quelli delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk sono impegnati in un nuovo ciclo di negoziati che potrebbe sfociare in un nuovo incontro tra le due delegazioni già nelle prossime ore. 

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MH17: La risposta pasticciata dei servizi segreti (di Giulietto Chiesa, 25 dicembre 2014)
O tempora, o mores! I servizi segreti europei paiono essere in piena decadenza. Forse a causa del fatto che sono delle semplici filiali della CIA…

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Ustica ucraina: anche l'Australia conferma che esiste l'accordo segreto

Sono sempre di più le conferme ufficiali che vengono via via strappate ai patron dell'indagine: sul volo MH17 c'è un diritto di omissis. Cosa copre? 

di Enrico Santi
lunedì 19 gennaio 2015


«Stabilire una piena, approfondita e indipendente indagine internazionale» sull'abbattimento in Ucraina del volo MH17 della Malaysia Airlines: questa era l'esigenza espressa dal Consiglio di sicurezza dell'ONU con la risoluzione n. 2166 approvata il 21 luglio 2014, cioè quattro giorni dopo il tragico evento:
I fatti, però, hanno dimostrato che sin dall'inizio le indagini sono state organizzate e costruite senza dare prova di indipendenza e trasparenza.

La delega al Dutch Safety Board
Il 23 luglio 2014 l'Ucraina ha delegato all'Olanda, precisamente al Dutch Safety Board, il compito di condurre le indagini sulle cause del disastro, sulla base di un accordo pubblicato anche su un sito istituzionale olandese.
Il paragrafo 3 dell'accordo indica chiaramente che lo scopo delle indagini delegate è solo quello di prevenire incidenti e non anche quello di attribuire colpe o responsabilità.

Il 9 settembre il Dutch Safety Board ha pubblicato il rapporto preliminare, che, però, come evidenziato da Megachip, porta a confermare le perplessità sulla trasparenza delle indagini (per via dell'errore nella traduzione fra il testo in inglese e il testo in olandese e del successivo tentativo maldestro di rimediare).

Il JIT e l'assenza della Malesia
Nella riunione dell'Eurojust del 28 luglio 2014 è stato istituito un gruppo di investigazione internazionale sul disastro dell'MH17, costituito da quattro Stati: Ucraina, Olanda, Belgio e Australia. L'esclusione della Malesia ha destato molto stupore. Non si comprende perché il Belgio (con 4 cittadini fra le vittime) sia stato preferito alla Malesia, considerando la nazionalità della compagnia aerea (Malaysia Airlines), la destinazione del volo (Kuala Lumpur) e il numero dei cittadini malesi morti (43). In seguito alla riunione del 4 dicembre, l'Eurojust ha comunicato che la Malesia diventerà membro del JIT (Joint Investigation Team), omettendo però di precisare che la partecipazione diventerà effettiva solo quando la Malesia firmerà uno specifico accordo (finora non ancora ufficializzato), come invece rivelato dalla polizia malese.

L'accordo segreto dell'8 agosto
Il 30 agosto 2014 Giulietto Chiesa e Pino Cabras hanno rivelato su Megachip e su PandoraTV.it l'esistenza di un accordo dell'8 agosto 2014 fra i quattro Stati (Paesi Bassi, Ucraina, Australia e Belgio) che compongono il JIT, che prevede un diritto di veto sulla divulgazione delle notizie e dei risultati delle indagini. In merito all'esistenza di questo patto segreto, a metà novembre le autorità olandesi hanno respinto le richieste di renderne pubblico il contenuto, presentate da due parlamentari della Camera Bassa degli Stati Generali dell'Aia (il cristiano-democratico Pieter Omtzigt e il social-liberale Sjoerd Wiemer Sjoerdsma). Il Ministero di giustizia olandese ha motivato il diniego con l'esigenza di preservare la stabilità delle relazioni internazionali. Ma, successivamente, il governo olandese ha iniziato a rivelare alcuni dettagli sul contenuto dell'accordo. Infatti, il 22 dicembre, in

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(english / italiano)

Soros e l'Ucraina / 2


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Vedi anche: 

Soros e l'Ucraina

Ecco come funziona la democrazia in Ucraina (di Fort Rus, 8 dic 2014)
Il 2 dicembre 2014 è stato varato il nuovo governo filo-occidentale dell'Ucraina. Come in ogni paese democratico che si rispetti i ministri sono stati votati in blocco e praticamente senza discussioni. Inoltre i ministeri chiave del paese economia,finanza e sanità sono andati a degli stranieri scelti da un privato, il miliardario americano George Soros". - videocommento del giornalista ucraino Anatolij Sharij...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=9jZGVYbM4sw

Soros candidato alla Presidenza della Banca Nazionale d’Ucraina (VdR, 22/12/2014)
http://italian.ruvr.ru/news/2014_12_22/Soros-candidato-alla-Presidenza-della-Banca-Nazionale-d-Ucraina-0906/

E se il futuro capo della Banca Nazionale di Ucraina fosse George Soros in persona? (23/12/2014)

George Soros makes hush-hush trip to Kiev — RT Business 

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http://www.nrcu.gov.ua/en/148/587044/

National Radio Company of Ukraine - January 13, 2015

Ukrainian Parliament Speaker Volodymyr Hroisman meets with George Soros

Ukrainian Parliament Speaker Volodymyr Hroisman met with American business magnate, investor, and philanthropist George Soros in Kyiv on January 12 to discuss the need of reforms in Ukraine with the involvement of experts and civil society activists.The sides also agreed on the importance of the National Council of Reforms as a platform for the discussion of the most important bills in Ukraine, the Ukrainian parliament's press service reported.
Hroisman informed Soros that he had initiated the development of a recovery plan for Ukraine for 2015-2017, which has already been sent to the National Council of Reforms and is now being finalized by the government.This is the document that together with the 2020 Reform Program and the Ukraine-EU Association Agreement should become the basis for systemic reforms in Ukraine, Hroisman said.

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Magnate ricevuto con tutti gli onori. Usa offrono 2 mld dollari
(ANSA) - MOSCA, 14 GEN - Il controverso magnate George Soros ha incontrato a Kiev il presidente ucraino Petro Poroshenko dopo che ieri gli Usa si sono detti pronti a concedere 2 miliardi di dollari alla disastrata repubblica ex sovietica a patto che segua le indicazioni del Fmi. Soros, ritenuto a Mosca un dei burattinai delle cosiddette 'rivoluzioni colorate', ha visto pure deputati della nuova maggioranza filo-occidentale ucraina per discutere di "lotta alla corruzione" e di tutele per gli investitori esteri.

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[N.B. segnaliamo che il seguente articolo di Ennio Remondino, nelle didascalie delle foto ripetutamente scambia/confonde il nome dell'ex presidente filoamericano Juscenko con quello del recentemente deposto presidente filorusso Janukovic... Per il resto, l'articolo è fondamentalmente corretto]



Soros da Padrino a Kiev dopo decenni di trame. Vi sveliamo i segreti 

Soros per Mosca uno dei burattinai delle 'rivoluzioni colorate' a Kiev parla di "lotta alla corruzione" 

di Ennio Remondino – 15 gennaio 2015

Soros personaggio ‘controverso’ dice l’ANSA. Dunque ‘Il controverso magnate George Soros ha incontrato a Kiev il presidente ucraino Petro Poroshenko dopo che gli Usa hanno promesso 2 miliardi di dollari alla disastrata repubblica ex sovietica a patto che segua le indicazioni del Fmi

Oggi

Partiamo da una asettica ANSA che comunque usa un aggettivo audace: ‘Il controverso magnate George Soros ha incontrato a Kiev il presidente ucraino Petro Poroshenko dopo che ieri gli Usa si sono detti pronti a concedere 2 miliardi di dollari alla disastrata repubblica ex sovietica a patto che segua le indicazioni del Fmi. Soros, ritenuto a Mosca uno dei burattinai delle cosiddette ‘rivoluzioni colorate’, ha visto pure deputati della nuova maggioranza filo-occidentale ucraina per discutere di “lotta alla corruzione” e di tutele per gli investitori esteri’. Il ritorno dell’investimento Usa e Soros.
  
Un anno fa

Fu lo stesso miliardario americano, dicembre 2013,a rivelare alla CNN di essere responsabile della fondazione Ucraina che ha contribuito al colpo di Stato contro il presidente Ianukovitch e all’ insediamento di un governo anti Russo. «Molte persone sostengono che lei durante le rivoluzioni del 1989 ha finanziato le attività di gruppi dissidenti della società civile in Europa orientale, in Polonia, nella Repubblica ceca. Lo sta facendo anche in Ucraina?” «Well, I set up a foundation [.] Ho creato una fondazione in Ucraina prima che il paese diventasse indipendente dalla Russia”.
 
Sulla Maidan

Poi la vanità straripa. “Questa fondazione ha continuato a operare sino ad oggi e ha avuto un ruolo importante negli eventi recenti”, ha rivendicato Soros. Del resto la prima interferenza di Soros in Ucraina è datata e risale alla poi fallita “Rivoluzione arancione”. E’ noto che George Soros ha lavorato in collaborazione con l’USAID, la National Endowment for Democracy, l’International Republican Institute, il National Democratic Institute for International Affairs e la Freedom House per sostenere e far scoppiare rivoluzioni non cruente nell’Esteuropa e in Asia centrale ex sovietica.
 
Dieci anni fa

Ora un altro salto all’indietro, più consistente: reportage Tg1 poi su il Manifesto del dicembre 2004. Intervista a Stanko Lazendic per le strade di Novi Sad, in Voivodina, al nord della Serbia, quasi in Ungheria. Stanko aveva allora di 31 anni ma nella vita ne aveva già viste molte, a cominciare dalla galera di Milosevic. Diciassette arresti non sono male per un semplice leader studentesco, se mai Stanko è stato soltanto quello. Stanko quel 2004 non fu presente ai festeggiamenti dell’opposizione filo occidentale ucraina sulla piazza di Kiev che aveva contribuito a organizzare e a far vincere.
 
Shevardnadze e Yanukovic

Stanko Lazendic fu uno degli «Istruttori», uno dei «Trainers», che ha allenato la piazza arancione ad opporsi e a rovesciare il regime. Un po’ per idealità, sostiene Stanko, ma certo anche per soldi, da buon professionista. Socio fondatore della Ong serba «Center of not violent resistence». Accrediti professionali, la caduta dell’ex presidente georgiano Eduard Shevardnadze e allora del premier ucraino filo russo Viktor Yanukovic. I committenti delle prestazioni di destabilizzazione più o meno non violenta, prima di Soros fu la ‘Us Aid’, l’Istituto Internazionale Repubblicano di Bush, eccetera.
 
Istruzioni Cia

Dalla memoria di Stanko esce il nome di almeno un «docente» e le molte sigle di chi pagava i conti di quelle trasferte di «studio». Marzo del 2000, uno dei docenti di Stanko all’Hilton di Budapest, fu Robert Helvi, già colonnello della Cia, operativo a Rangoon e Burma. Helvi gli aveva insegnato la tecnica del Colpo di Stato col Guanto di Velluto. Tra i pagatori, oltre ai già citati, la Freedom House, le tedesche ‘Friedrich Ebert’ e ‘Konrad Adenauer’, la britannica ‘Westminster’. Ad esempio, ricorda Stanko: ‘In Georgia, contro Shevarndnadze, pagava Soros’. Quanto è strano il mondo, non è vero?
 
Ennio Remondino




(Sulla infame chiusura del Memoriale degli Italiani di Auschwitz, rispetto alla quale nessuna istituzione italiana ha proferito verbo, si veda:

MARTEDI' 27 GENNAIO 2015 ORE 9,00 
ACCADEMIA DI BRERA SALA NAPOLEONICA

 CONFERENZA

L’INSEGNAMENTO DELLA MEMORIA
STORIA, ARTE, RAZZISMO, DIRITTI UMANI
 

Il Memoriale Italiano ad Auschwitz rappresenta la deportazione e lo sterminio ed è un baluardo, con i suoi simboli, della Resistenza contro il razzismo. La Conferenza è dedicata allo studio e all’ insegnamento della Memoria, al di fuori delle consuete celebrazioni. La Memoria è il tessuto connettivo da cui si prende spunto per riflessioni a livello scientifico, un’occasione per approfondire le ragioni e le responsabilità del razzismo e dell’antisemitismo, per contrastare ogni forma di revisionismo e di manipolazione della storia, per riaffermare il valore dei diritti umani e per superare l’indicibilità della Shoà con il linguaggio evocativo dell’arte.

Franco Marrocco, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera 
Presentazione

Massimo Pieri, Fisico, Matematico bioeconomista, Presidente di COBASE Associazione Tecnico Scientifica di Base (ECOSOC)
Introduzione critica “Da Stalingrado ad Auschwitz”

Sandro Scarrocchia, Docente di Metodologia della Progettazione e di Teoria e storia del restauro, Accademia di Belle Arti di Brera 
“Superare l’indicibilità della Shoà con il linguaggio dell’arte”

Manlio Frigo, Prof. O. di Diritto dell’Unione europea e della
Comunità internazionale, Università Statale di Milano
“La questione giuridica del memoriale e della memoria”

 Valentina Sereni, Architetto, restauro architettonico, Presidente di Gherush92 Committee for Human Rights (ECOSOC)
“Storia della Shoà

Delfina Piu, Docente Scuola Ebraica di Roma, project director Gherush92 Committee for Human Rights (ECOSOC)
“Dalla Shoà ai Diritti Umani”

On.le Serena Pellegrino, Gruppo parlamentare SEL
“Un’interrogazione parlamentare sul Memoriale”

Elisabetta Ruffini, Direttrice Istituto per la Storia della Resistenza 
e dell'Età Contemporanea
 “Il Razzismo e la Resistenza”


  10,50 Coffee break 

Angelo d’Orsi, Prof. O. di Storia del pensiero politico,
Dipartimento di Studi Storici Università di Torino
“Fra  Storia e Memoria”

Felice Besostri, Avvocato, docente di Diritto Pubblico Comparato
già  Senatore della Repubblica
“La discriminazione dei Roma”

Stefano Pizzi, Docente di Pittura, Accademia di Belle Arti di Brera, delegato alle Relazioni Esterne
“Le avventure del revisionismo”

Cesare Ajroldi, Prof. O. di Composizione Architettonica Università di Palermo
“Il Memoriale di Auschwitz e il restauro del moderno”

Chiara Palandri, Docente di Restauro dei manufatti cartacei  
Accademia di Belle Arti di Brera
“Conservazione dei materiali della Donazione Samonà” 

Marco Dezzi Bardeschi, Prof. O. di Restauro Architettonico 
Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e direttore di Ananke 
“Auschwitz: salvare la testimonianza materiale”

Gregorio Carboni Maestri, Dottorando in Progettazione Architettonica
Università di Palermo
“Progetto di integrazione del Memoriale” 

Mauro Manzoni, Dipl. Spec. in Restauro dell’arte contemporanea
“Didattica del Memoriale” 

Stefano Mannacio, Economista project director di COBASE
Associazione Tecnico Scientifica di Base (ECOSOC)

Domande e risposte.  

Concludono
Valentina Sereni, Sandro Scarrocchia, Stefano Mannacio

Presiedono
Massimo Pieri e Sandro Scarrocchia

Comitato Scientifico
Valentina Sereni, Franco Marrocco, Sandro Scarrocchia, Massimo Pieri

Informazioni e adesioni
Cell. +39 
339 6938361

gherush92@...  ; relazioniesterne@...

 

Gherush92, Committee for Human Rights è un'organizzazione che gode dello status di consulente speciale con il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), partecipa ai lavori del UN Human Rights Council e di  diversi programmi e convenzioni internazionali, come World Conference Against Racism (WCAR), ed è un Major Group nei programmi sullo sviluppo sostenibile.

Accademia di Belle Arti di Brera è una delle più antiche accademie italiane, che conserva la tradizione illuminista austriaca, francese e italiana, l’eredità risorgimentale e il dialogo artistico industriale della costruzione della Nazione, il lascito delle drammatiche vicende novecentesche, l’impegno resistenziale e l’appoggio militante allo sviluppo dell’arte contemporanea in tutte le sue espressioni. Dal 2008 sostiene la conservazione integrale del Memoriale italiano di Auschwitz.







[Il presidente russo Putin non è invitato alle celebrazioni per il 70.mo della Liberazione del lager di Auschwitz. Sarà invece presente il presidente tedesco Gauck, che in un libro del 2009 ("Winter im Sommer, Frühling im Herbst") descriveva i soldati dell'Armata Rossa come "puzzolenti di vodka", ladri e stupratori sistematici...

Sul revisionismo/rovescismo storico della UE su Auschwitz e nazismo si veda anche:

Chiuso il Memoriale degli Italiani ad Auschwitz
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8184

Lo Stato italiano in tema di nazismo è neutrale
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8183

Sul nazismo la UE si astiene / Evropska Unija na strani nacizma
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8171

L'Anti-antifascismo di UE e USA
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8166

Il premier euro-golpista ucraino Jazenjuk ritiene che l'Unione Sovietica invase la Germania e l'Ucraina

Da: Y&K Trümpy 
Oggetto: Europa immer wie verrückter
Data: 16 gennaio 2015 19:57:45 CET

Europa immer wie verrückter (die NATO konnte nicht in die Krim einmarschieren, und das wird nicht verziehen):
- Auschwitz wurde am 27 Januar 1945 von der Roten-Armee befreit. Wladimir Putin ist aber nicht zu den Feierlichkeiten zum Gedenken des 70. Jahrestages der Befreiung des Vernichtungslagers eingeladen worden!
Und weiter :
- Der ukraunische Ministerpräsident Jazenjuk zum II.WK: „Wir können uns alle sehr gut an den sowjetischen Einmarsch in die Ukraine und nach Deutschland erinnern“.
- Der Deutsche Bundespräsident Gauk zu den Soldaten der Roten Armee, die Deutschland befreiten: „Wesen mit asiatischen Gesichtszügen“, die „nach Wodka gerochen“ sowie „requiriert und geklaut“ hätten. Auch hätten sie „systematisch Frauen vergewaltigt“.
 

http://www.rtdeutsch.com/9601/headline/geschichtsrevisionimus-3-0-auschwitz-gedenken-ohne-die-befreier/

16. Januar, 2015

In einer Zeit, in der Ministerpräsidenten europäischer Staaten revisionistische Geschichtsdeutungen gegen Russland salonfähig machen, ist es nur konsequent, dass zum Gedenken des 70. Jahrestages der Befreiung des Vernichtungslagers Auschwitz der Präsident jenes Landes, das dieses am 27. Januar 1945 befreit hatte, nicht eingeladen ist. Bundespräsident und Kalter Krieger Gauck wird jedoch bei der Veranstaltung teilnehmen und spricht in Erinnerung an Sowjetsoldaten von „Wesen mit asiatischen Gesichtszügen die nach Wodka rochen.“

Mit beißendem Sarkasmus reagierten Nutzer der sozialen Netzwerke auf die faktische Ausladung des Präsidenten der Russischen Föderation, Wladimir Putin, von der bevorstehenden offiziellen Gedenkfeier zum 70. Jahrestag der Befreiung des von deutschen Hitlerfaschisten betriebenen Vernichtungslagers Auschwitz am 27. Januar. Putins Sprecher hatte zuvor erklärt, dass der russische Präsident keine Einladung zur diesjährigen Gedenkveranstaltung erhalten habe.

„Wenn es so weitergeht, steht in zehn Jahren in europäischen Schulbüchern, dass Deutschland und die Ukraine Auschwitz von den Russen befreit hätten“, hieß es unter anderem in den Sozialen Netzwerken. Viele Nutzer verwiesen auch darauf, dass die „Suworow-These“, wonach der Überfall der Hitlerwehrmacht auf die Sowjetunion ein legitimer präventiver Akt gewesen wäre, demnächst in Europa bald zum Konsens werden würde.

Schuldabwehr und Täter-Opfer-Umkehrung sind von jeher Kernpunkte des Geschichtsrevisionismus. Dies illustrierte kürzlich auch der ukrainische Premierminister Arsenij Jazenjuk im deutschen Fernsehen als er wörtlich und unwidersprochen von einer „sowjetischen Invasion in der Ukraine und in Deutschland“ im Zusammenhang mit der Niederschlagung der faschistischen Barbarei durch die Sowjetarmee gesprochen hatte.

Und in einem Europa, in dem rassistische Hetze gegen Muslime, Juden sowie Sinti und Roma mittlerweile wieder salonfähig ist und in dem man keine Scheu mehr davor empfindet, neonazistische Kräfte in der Ukraine zu hofieren, darf natürlich die Erinnerung an deutsche Kriegsverbrechen und den Holocaust an den Juden der „größeren Verantwortung“, die Deutschland nach Meinung der westlichen Eliten wieder in der Welt übernehmen soll, nicht länger im Wege stehen.

Der heutige deutsche Bundespräsident Joachim Gauck hat bereits lange vor seiner Wahl ins Amt der Relativierung der historischen Schuld des Hitlerfaschismus und der deutschen Aggressionspolitik verbal den Weg bereitet.

In seinen Memoiren will Gauck in den Soldaten der Roten Armee, die Deutschland befreiten, „Wesen mit asiatischen Gesichtszügen“ bemerkt haben, die „nach Wodka gerochen“ sowie „requiriert und geklaut“ hätten. Auch hätten sie „systematisch Frauen vergewaltigt“. 2010 warf er die Frage auf, „wie lange wir Deutschen unsere Kultur des Verdrusses noch pflegen wollen“.

„Das Geschehen des deutschen Judenmordes“ werde, so äußerte Gauck vor einigen Jahren, „in eine Einzigartigkeit überhöht“, weil „bestimmte Milieus postreligiöser Gesellschaften“ nach einem „Element des Erschauerns vor dem Unsagbaren“ suchten, und würdigte das Holocaustgedenken auf diese Weise zu einer bloßen Ersatzreligion für areligiös gewordene Gesellschaften herab.

Am 1. September 2014 nutzte er seine Gedenkrede in Gdańsk (Danzig)  zum 75. Jahrestag des deutschen Überfalls auf Polen ebenfalls, um gegen Russland Stimmung zu machen und durch aberwitzige historische Vergleiche deutsche Schuld zu relativieren. Davon fühlten sich prompt auch polnische Nationalisten dazu ermutigt, die Rote Armee der Hitlerwehrmacht gleichzustellen und die Präsenz von Repräsentanten der Russischen Föderation, insbesondere ihres Präsidenten Vladimir Putin, anlässlich des 70. Jahrestages der Befreiung von Auschwitz in Frage zu stellen. Versuche des Präsidenten Bronisław Komorowski, diesen Tendenzen entgegenzutreten, brachten keinen Erfolg.

Mehr als eine Million Todesopfer hatte die Sowjetarmee alleine bei der Befreiung des Deutschen Reiches – die für Gauck in seinen Memoiren  zufolge als „Schreckensnachricht“ gekommen war – und der von den Hitlerfaschisten besetzten Teilen Polens zu verzeichnen. Die Sowjetunion hat im Zuge der Wiederherstellung der territorialen Einheit des geteilten Deutschlands im Jahre 1990 die Anerkennung der Oder-Neiße-Friedensgrenze zur Voraussetzung einer Zustimmung zum 2+4-Vertrag zur Wiederherstellung deutscher Souveränität gemacht. Noch kurz vor dem Umbruch in der damaligen DDR hatten revanchistische Scharfmacher in Westdeutschland die „Grenzen von 1937“ beschworen, die bedeutet hätten, dass Deutschland auch Ansprüche auf die heute zu Polen und zur Russischen Föderation gehörigen früheren Reichsgebiete angemeldet hätte.

In der deutschen Ausgabe des „Schwarzbuch des Kommunismus“ hatte Gauck übrigens geschrieben, dass sich die deutschen Kommunisten mit ihrer Forderung nach Anerkennung der polnischen Westgrenze „unbeliebt gemacht“ hätten.

Das Simon-Wiesenthal-Zentrum hat sich für eine Einladung des russischen Präsidenten Wladimir Putin zum 70. Jahrestag der Befreiung von Auschwitz nach Polen ausgesprochen.

Wenn es jemand verdient, bei der Gedenkfeier zur Befreiung anwesend zu sein, ist es Wladimir Putin”, schrieb Efraim Zuroff, Direktor der israelischen Abteilung des Zentrums in Jerusalem. Die Rote Armee habe Auschwitz am 27. Januar 1945 befreit und dem Massenmord im größten deutschen Vernichtungslager ein Ende gesetzt.”


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http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59033
Befreiung ohne Befreier
 
16.01.2015
BERLIN/WARSCHAU
 
(Eigener Bericht) - Mit einer faktischen Ausladung verhindern EU-Staaten die Teilnahme des russischen Präsidenten an den Feierlichkeiten zum 70. Jahrestag der Befreiung von Auschwitz. Damit bleibt der höchste Repräsentant desjenigen Landes, dessen Armee dem Massenmord in dem deutschen Vernichtungslager am 27. Januar 1945 ein Ende setzte, von der Gedenkveranstaltung ausgeschlossen. Anwesend sein wird hingegen der Präsident Deutschlands. Joachim Gauck hat schon seine Rede zum 75. Jahrestag des deutschen Überfalls auf Polen genutzt, um massiv gegen Moskau Stimmung zu machen und das Gedenken an die NS-Verbrechen in einen Appell zum Schulterschluss gegen Russland zu transformieren. In seinen Memoiren äußert Gauck über die Soldaten der Roten Armee, die Deutschland befreiten, sie seien Wesen "mit asiatischen Gesichtszügen", die "nach Wodka" gerochen sowie "requiriert und geklaut" hätten. Vor wenigen Jahren hat er darüber hinaus beklagt, "das Geschehen des deutschen Judenmordes" werde "in eine Einzigartigkeit überhöht", weil "bestimmte Milieus postreligiöser Gesellschaften" nach einem "Element des Erschauerns vor dem Unsagbaren" suchten. 2010 wurde er mit der Äußerung zitiert, er "frage" sich, "wie lange wir Deutschen unsere Kultur des Verdrusses noch pflegen wollen".

"Gleich wie die Nazi-Truppen"
Die Feierlichkeiten zum 70. Jahrestag der Befreiung des deutschen Vernichtungslagers Auschwitz sind bereits im vergangenen Jahr Gegenstand politischer Machenschaften geworden. Zum 60. Jahrestag der Befreiung hatte der russische Präsident Wladimir Putin noch selbstverständlich an dem Gedenken teilgenommen: Es war schließlich die sowjetische Armee, die am 27. Januar 1945 - nach schwersten eigenen Kriegsverlusten - Auschwitz erreichte und dem bestialischen Morden der Deutschen dort ein Ende setzte. Im Sommer 2014 kam es zu den ersten öffentlichen Vorstößen in Polen; dort wurde ein Parlamentsabgeordneter mit den Worten zitiert, die Rote Armee sei im Zweiten Weltkrieg "Aggressor gewesen", "gleich wie die Nazi-Truppen", weshalb Russlands Präsident nur zu einem "Bußgang" nach Polen kommen dürfe.[1] Meinte der polnische Präsident Bronisław Komorowski damals noch, Putins Teilnahme am Auschwitz-Gedenken stehe nichts entgegen, so haben sich nun antirussische Kräfte durchgesetzt und den Moskauer Präsidenten auf diplomatischem Wege ausgeladen. Polens Ministerpräsidentin Ewa Kopacz hat sich zudem Berichten zufolge dafür stark gemacht, dass Putin auch an einer Parallel-Gedenkveranstaltung in Prag nicht teilnehmen kann. Damit wird der Präsident des Landes ausgeschlossen, dessen Armee alleine bei der Befreiung des Deutschen Reichs und der deutsch besetzten Teile Polens mehr als eine Million Todesopfer zu beklagen hatte.

Gegen Russland gewendet
Mit Putins faktischer Ausladung schreitet die antirussische Instrumentalisierung der Erinnerung an die deutschen Menschheitsverbrechen voran. Schon am 1. September 2014 hatte Bundespräsident Joachim Gauck seine Gedenkrede in Gdańsk zum 75. Jahrestag des deutschen Überfalls auf Polen genutzt, um gegen Russland Stimmung zu machen. Gauck warf Moskau mit Blick auf den Konflikt um die Ukraine vor, "dem Machtstreben" Vorrang vor der "Wahrung von Stabilität und Frieden" einzuräumen. Die westliche Unterstützung für Umsturz und Bürgerkrieg in der Ukraine gänzlich ausblendend und zudem sämtliche westlichen Kriege von Jugoslawien über den Irak bis Libyen glatt ignorierend, unterstellte Gauck Russland, "internationales Recht [zu] brechen" und "fremdes Territorium [zu] annektieren".[2] Auf die Billigung der deutschen Okkupation von Teilen der Tschechoslowakei durch Großbritannien und Frankreich im Oktober 1938 anspielend, erklärte Gauck, gegen Russland zielend: "Die Geschichte lehrt uns, dass territoriale Zugeständnisse den Appetit von Aggressoren oft nur vergrößern." Das Gedenken an die NS-Verbrechen war damit in einen Appell zum Schulterschluss gegen das einst von Deutschland überfallene Russland gewendet worden.

Eine "Kultur des Verdrusses"
Gauck, der - im Unterschied zu Russlands Präsident Putin - am 27. Januar nach Auschwitz reisen wird, hat sich vor seinem Amtsantritt als Bundespräsident mehrfach öffentlich über sein Bild von der Befreiung Deutschlands 1945 und über seine Ansichten zur Shoah geäußert. Über die Befreiung Deutschlands schrieb er in seinen Lebenserinnerungen, sie sei als "Schreckensnachricht" gekommen; die Soldaten der Roten Armee nannte er Wesen "mit asiatischen Gesichtszügen", die "nach Wodka" gerochen, "requiriert und geklaut" und systematisch Frauen vergewaltigt hätten.[3] 2006 hat Gauck bedauernd behauptet, es gebe "eine Tendenz der Entweltlichung des Holocausts", die darin bestehe, dass "das Geschehen des deutschen Judenmordes in eine Einzigartigkeit überhöht wird, die letztlich dem Verstehen und der Analyse entzogen ist". "Bestimmte Milieus postreligiöser Gesellschaften" suchten beständig "nach der Dimension der Absolutheit, nach dem Element des Erschauerns vor dem Unsagbaren"; dieses könne auch durch "das absolute Böse" ausgelöst werden und sei "paradoxerweise ein psychischer Gewinn".[4] Gauck hat mehrfach geäußert, "die Deutschen" täten gut daran, ihren Umgang mit der Vergangenheit zu ändern: "Ich frage mich, wie lange wir Deutschen unsere Kultur des Verdrusses noch pflegen wollen", teilte er im Herbst 2010 mit.[5] Bereits zuvor hatte er auf die Frage, ob "die Mehrheit der Deutschen" reif sei für eine "Hinwendung zu den eigenen Opfern, die Hinwendung zum Patriotischen", bejahend erklärt: "So sehe ich das."[6]

Grobe Raster
Vor Gaucks Amtsantritt waren in der deutschen Öffentlichkeit durchaus noch kritische Stimmen zu seiner Geschichtsauffassung zu hören. So hieß es etwa mit Blick auf Äußerungen des heutigen Bundespräsidenten in der deutschen Ausgabe des "Schwarzbuch des Kommunismus", er neige "zu groben Rastern".[7] Gauck hatte geschrieben: "Unbeliebt machten sich die Kommunisten auch, als sie ... die Westverschiebung Polens und damit den Verlust der deutschen Ostgebiete guthießen." Und weiter: "Einheimischen wie Vertriebenen galt der Verlust der Heimat als grobes Unrecht, das die Kommunisten noch zementierten, als sie 1950 die Oder-Neiße-Grenze als neue deutsch-polnische Staatsgrenze anerkannten."[8] Gauck hatte sich zudem im Streit um das "Zentrum gegen Vertreibungen" auf die Seite der damaligen BdV-Präsidentin Erika Steinbach geschlagen, die vor allem in Polen wegen revisionistischer Äußerungen scharf kritisiert wurde. Ein "Zentrum gegen Vertreibungen" sei in Berlin ganz gewiss am richtigen Platz, ließ sich Gauck auf einer Website des BdV zitieren: Dorthin passe es, denn in Berlin sei es "am Ort verschiedener 'Topografien des Terrors', dem Ort der Wannseekonferenz und der Stasizentrale, dem einstigen Regierungssitz brauner und roter Despoten".[9]

Jazenjuks "sowjetische Invasion"
Gaucks Auschwitz-Reise und die Ausladung Putins fallen in eine Zeit, in der Berlin, um in Kiew einen prowestlichen Umsturz durchzusetzen, offen mit faschistischen Nachfolgern einstiger NS-Kollaborateure zu kooperieren begonnen hat (german-foreign-policy.com berichtete [10]). Deren antirussische Haltung ist inzwischen in die Kiewer Regierungspositionen eingegangen und findet zunehmend auch Anschluss an die deutsche Debatte, wo sie auf alte, ebenfalls antirussische Ressentiments trifft. Erst kürzlich hat ein Interview mit dem ukrainischen Ministerpräsidenten Arsenij Jazenjuk im deutschen Fernsehen Aufsehen erregt. Jazenjuk behauptete wörtlich: "Wir können uns alle sehr gut an die sowjetische Invasion in der Ukraine und in Deutschland erinnern."[11] Die Äußerung blieb unwidersprochen.

[1] Streit in Polen über Einladung Putins zu Auschwitz-Gedenken 2015. www.tt.com 09.05.2014.
[2] Gedenkfeier zum deutschen Überfall auf Polen 1939. www.bundespraesident.de 01.09.2014.
[3] Joachim Gauck: Winter im Sommer, Frühling im Herbst. München 2009. S. auch Hans-Rüdiger Minow: Der Zug der Erinnerung, die Deutsche Bahn und der Kampf gegen das Vergessen.
[4] Joachim Gauck: Welche Erinnerungen braucht Europa? www.robert-bosch-stiftung.de. S. dazu Der Konsenspräsident.
[5] "Mutige Politiker ziehe ich vor". www.sueddeutsche.de 30.09.2010.
[6] Gauck: Erinnerung an Vertreibung leugnet nicht den Nazi-Terror. www.dradio.de 31.08.2006.
[7] Daniela Dahn: Gespalten statt versöhnt. www.sueddeutsche.de 10.06.2010.
[8] Stéphane Courtois et al.: Das Schwarzbuch des Kommunismus. Unterdrückung, Verbrechen und Terror. München 1998.
[9] www.z-g-v.de.
[10] S. dazu Vom Stigma befreit
[11] www.facebook.com/tagesschau/posts/10152968920374407




INTERESSA A QUALCUNO?

Il decreto per il rifinanziamento delle missioni militari all'estero dal 1 gennaio 2015 non è stato ancora varato e in Afghanistan il 28 dicembre 2014 è finita la missione Isaf della Nato. Dal 1 gennaio 2015 i militari italiani sono nel paese senza essere autorizzati. E' una prassi  normale per il nostro parlamento, però in ogno decreto missioni è presente questo articolo riportato di seguito che riguarda le disposizioni in materia penale. Io, assolutamente ignorante in tema di diritto, ho letto però che le norme penali non possono essere retroattive. La mia domanda è quindi:
 "In questo momento, prima del varo del decreto, i militari italiani sono coperti giuridicamente per le azioni che fanno in territorio non italiano ?"

Art. 6 
Disposizioni in materia penale 
 
 1. Alle missioni internazionali di cui al presente decreto, nonche' al personale inviato in supporto alle medesime missioni si  applicano le disposizioni di cui all'articolo 5 del decreto-legge  30  dicembre 2008, n. 209, convertito, con modificazioni, dalla legge 24  febbraio 2009, n. 12, e successive  modificazioni,  e  all'articolo  4,  commi 1-sexies e 1-septies, del decreto-legge  4  novembre  2009,  n.  152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 2009, n. 197. 

[Marco P- – dalla lista "ComitatoNoNato" su Googlegroups.com]





NON SCHERZAVA AFFATTO

Edi Rama: le imprese italiane investono da noi perché non ci sono i sindacati. Renzi: scherza

DALLA NOSTRA INVIATA TIRANA È alto come un pivot della pallacanestro il premier albanese Edi Rama. Matteo Renzi sembra addirittura basso accanto a lui, in questa parata delle grandi occasioni che ieri ha chiuso il semestre italiano di presidenza della Ue e ha spalancato all'Albania le porte sull'Unione. (...) E se non fosse stato per la tragedia del traghetto Norman Atlantic che aleggiava nell'aria, la conferenza stampa congiunta a Tirana sarebbe stata un ping pong di battute, e di cortesie, ma anche di serrate e improvvise alleanze fra i due premier amici davanti a quelle domande da respingere al mittente, con decisione. Una domanda, in particolare, arriva a turbare l'armonia e giunge per bocca di un giornalista albanese. Matteo Renzi ascolta la domanda con l'auricolare e aspetta la traduzione. Edi Rama la capisce in viva voce. Ma è Renzi che risponde per primo. «Scusate tanto, volevo chiedere al mio premier ma anche al premier italiano: è vero che voi due, presidenti del Consiglio di sinistra, fate riforme che sono di destra?». Il sorriso sparisce dal volto di Renzi: «No, non è vero», la risposta secca che non ammette repliche. Edi Rama si adegua su tutta la linea: «No, non è vero». (...) Rama ha poi preso la palla al balzo per un affondo ironico: «Non voglio mettere in difficoltà il mio amico Matteo dicendo agli imprenditori italiani di venire ad investire in Albania perché qui da noi non ci sono i sindacati e perché le tasse sono al 15 per cento». Questa volta il sorriso di Renzi non si è spento. Questa volta è facile per lui parare il colpo, arrivato dal fuoco amico: «It's a joke. Sta scherzando». 

di Arachi Alessandra
Corriere della Sera, 31 dicembre 2014

*** Norman Atlantic: muoiono anche due lavoratori albanesi (30/12/2014)
Due marinai del rimorchiatore albanese Illiria sono morti durante le manovre per l'aggancio del traghetto Norman Atlantic, al largo di Valona. I due sono stati colpiti da un cavo che si è spezzato durante le manovre di aggancio. Si chiamavano Petrit Jahja, 59 anni ed Edmond Ilia, 57 anni.

*** Norman Atlantic: albanesi incaricati da nonsisachi tentano lo "scippo" del relitto (30-31/12/2014)
Il procuratore distrettuale di Bari, avvisa: “Temiamo che qualcuno sia interessato al relitto. Ma adesso nessuno può impossessarsene senza commettere un reato penalmente rilevante”. Attorno alla Norman ci sono altri due rimorchiatori albanesi, di ignota provenienza. (...) “Si tratta di mezzi non attrezzati e con personale poco preparato”, dichiara Volpe. Infatti è nel corso delle operazioni condotte da queste due navi che stamattina sono morti due marinai albanesi, colpiti da un cavo d’acciaio spezzato.  
"Non sappiamo a chi rispondessero i rimorchiatori che hanno cercato di portare la nave verso l'Albania. Certamente non a noi", dice il portavoce della società olandese Smit Salvage, leader mondiale nel soccorso di navi in difficoltà. "Quelle imbarcazioni non lavorano per noi. Sono arrivati dall'Albania, forse sono stati coinvolti dalla guardia costiera di quel Paese, anche se non ne siamo sicuri. Di certo non hanno niente a che fare con la Smit". E i due operai albanesi di un rimorchiatore morti? "Non avevano niente a che fare con noi. Non porteremmo di certo la nave verso l'Albania di nostra iniziativa. Noi ci muoviamo rispettando le disposizione che arrivano dalle autorità italiane e dal proprietario del traghetto".



(srpskohrvatski / italiano)

L'Occidente baluardo di libertà e diritti?

1) D. Losurdo: Dopo Parigi, l'Occidente come baluardo della libertà di espressione e dei diritti individuali?
2) FLASHBACK: Kaotičan svijet Ezia Maura – direktora novina „Repubblica“. Smjesta dajte oružje toj novini!


Si vedano anche, sulla strage del Charlie Hebdo e reazioni conseguenti :

Quando Israele volò fino a Londra per sparare ad un vignettista… (10 gennaio 2015)

La firma dei killer, noti alla polizia e ai servizi segreti (Manlio Dinucci,  8.1.2015)
http://ilmanifesto.info/la-firma-dei-killer-noti-alla-polizia-e-ai-servizi-segreti/

Da tempo Charlie Hebdo non faceva più ridere, oggi fa piangere (Quartiers libres, 8 Gennaio 2015)

Un colpo alla Francia e all'Europa (Giulietto Chiesa, mercoledì 7 gennaio 2015)
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=114319&typeb=0&Un-colpo-alla-Francia-e-all-Europa

Charlie Hebdo: la guerra e la guerra santa (di Francesco Santoianni, 7/1/2015)
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2839

Il Punto di Giulietto Chiesa: Parigi, trappola sanguinosa (07/01/2015)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=p9mpDJgmncg


=== 1 ===


Dopo Parigi: l'Occidente come baluardo della libertà di espressione e dei diritti individuali?

di Domenico Losurdo (10/1/2015)

Sull’onda dell’attacco terroristico di Parigi, i media occidentali in coro si atteggiano a campioni della libertà di espressione. Che ipocrisia ripugnante! Riporto qui una pagina dal mio libro: «La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra»  [DL].

... Vediamo quale sorte nel corso della guerra contro la Jugoslavia è stata riservata alla libertà di stampa e di espressione. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1999, a conclusione di un’azione preordinata e rivendicata dai più alti comandi, gli aerei statunitensi ed europei distruggevano l’edificio della televisione serba, uccidendo e ferendo gravemente decine di giornalisti e impiegati che vi lavoravano. Non si tratta affatto di un caso isolato: «Nel momento probabilmente più difficile per il fronte dei ribelli, la NATO torna a bombardare pesantemente l’area di Tripoli nel tentativo di frenare la propaganda di Gheddafi»; le bombe colpivano questa volta la televisione libica, messa a tacere mediante la distruzione delle strutture e l’uccisione dei giornalisti (Cremonesi 2011d). Oltre a violare la Convenzione di Ginevra del 1949, che vieta gli attacchi deliberati contro la popolazione civile, tali comportamenti calpestavano la libertà di stampa e la calpestavano sino al punto di condannare a morte i giornalisti televisivi jugoslavi e libici colpevoli di non condividere l’opinione dei vertici della NATO e di ostinarsi a condannare l’aggressione subita dal loro paese. 
È nota la risposta che a tutto ciò amano fornire i vertici politici e militari dell’Occidente nonché i difensori d’ufficio dell’Impero: schierandosi a favore di Milosevic o di Gheddafi (e indirettamente della loro politica «genocida») i giornalisti serbi e libici non si limitavano a esprimere un’opinione ma istigavano a un reato e quindi commettevano un crimine. Avrebbe potuto essere l’occasione per un dibattito sul ruolo della stampa e dei media in generale: qual è il confine che separa la libertà di opinione e di informazione dall’incitamento al crimine? Per fare solo un esempio, non c’è dubbio che le testate giornalistiche, le radio, le televisioni cilene, alla vigilia dell’11 settembre messesi al servizio della CIA e da essa lautamente finanziate, hanno svolto un ruolo golpista e criminale, si sono rese corresponsabili dei crimini perpetrati dal regime imposto da Augusto Pinochet e dai governanti di Washington (Chierici 2013, p. 39). Questo dibattito non ha mai avuto luogo. Se si fosse svolto, prima di essere assassinati, i giornalisti serbi avrebbero potuto obiettare ai loro accusatori: quali responsabili di crimini dovevano essere bollati, nella loro stragrande maggioranza, i giornalisti occidentali; essi giustificavano o celebravano l’azione della NATO (scatenata contro la Jugoslavia senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e quindi contraria al diritto internazionale) e i suoi bombardamenti (spesso all’uranio impoverito), che sistematicamente distruggevano infrastrutture civili e non risparmiavano persone innocenti e donne e bambini. E in modo analogo, con qualche piccola variante, prima di essere assassinati, avrebbero potuto argomentare i giornalisti libici. 
Al dibattito è stato preferito il ricorso alle bombe, in ultima analisi il ricorso al plotone di esecuzione. A decidere sovranamente cos’è un’opinione e cos’è un reato sono l’Occidente e la NATO, coloro che dispongono dell’apparato militare (e multimediale) più potente; i più deboli possono esprimere la loro opinione solo a loro rischio e pericolo. Cosa pensare di una «libertà di espressione» che può essere sovranamente cancellata dai padroni del mondo proprio quando essa sarebbe più necessaria, in occasione di guerre e di aspri conflitti? 
In tema di libertà di espressione e di stampa c’è una circostanza che dà da pensare: fra i giornalisti ai giorni nostri più famosi sono da annoverare Julian Assange, che con WikiLeaks ha portato alla luce fra l’altro alcuni crimini di guerra commessi dai contractors statunitensi in Irak, e Gleen Greenwald, che ha richiamato l’attenzione sulla rete universale di spionaggio messa in piedi dagli USA: il primo, tempestivamente accusato di violenza sessuale e timoroso di essere estradato oltre Atlantico, si è rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra; il secondo, pur non essendo sottoposto ad alcun provvedimento giudiziario, sembra terrorizzato e a Rio de Janeiro «vive cambiando in continuazione tetto, numeri di telefono ed e-mail» (Molinari 2013b). È da aggiungere che la fonte del primo giornalista (Bradley Manning) è in carcere, dove rischia di trascorrere il resto della sua vita, mentre la fonte del secondo (Edward Snowden), pur rifugiato a Mosca, non si sente affatto al sicuro e vive in una sorta di clandestinità. 
I media occidentali in coro esprimono la loro indignazione per il comportamento dell’ISIS. E di nuovo ripugnante risulta loro ipocrisia. Il fondamentalismo islamico non solleva obiezioni quando infuria contro la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad, cioè contro i paesi presi di mira dall’Occidente. Sempre dal mio libro «La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra» riprendo un paragrafo: 


Il ritorno delle donne di conforto» e della schiavitù sessuale 

Proprio a tale proposito la barbarie del sussulto neocolonialista attualmente in corso si rivela con particolare evidenza. In Medio Oriente le rivoluzioni anticoloniali hanno comportato un netto avanzamento dell’emancipazione femminile, imposta però a una società civile ancora largamente egemonizzata da costumi patriarcali e maschilisti tanto più pervicaci in quanto santificati da una secolare tradizione religiosa. È su questa cultura e questi ambienti che l’Occidente ha fatto leva per riaffacciarsi prepotentemente su un’area da esso a lungo dominata. I risultati sono devastanti: in Libia «la sezione costituzionale della Corte suprema di Tripoli reintroduce la poligamia in nome della legge musulmana». Non si tratta di una svolta inaspettata. Nel «discorso della vittoria» da lui pronunciato il 28 ottobre 2011, il leader imposto dagli aerei NATO e dai miliziani e dal denaro delle monarchie del Golfo si era affrettato «ad annunciare che nella “nuova Libia” ogni uomo avrebbe avuto il diritto di sposare sino a quattro mogli nel pieno rispetto del Corano». Sì: 

«A suo dire, era questo uno dei tanti provvedimenti mirati a cancellare per sempre il retaggio della dittatura di Gheddafi. Quest’ultimo, specie nella prima fase più socialista e “nasseriana” del suo quarantennio al potere, aveva cercato di concedere alcune migliorie allo status delle donne, introducendole massicciamente nel mondo del lavoro e appunto limitando, per quanto era possibile in una società tribale come quella libica, la poligamia» (Cremonesi 2013a). 

Socialismo, nasserismo? È quello che di più odioso vi può essere agli occhi dell’Occidente neoliberista e neocolonialista; sennonché, la controrivoluzione neocoloniale è al tempo stesso la controrivoluzione antifemminista. 
Tra la massa di profughi, a soffrire in modo tutto particolare sono le donne, spesso destinate a essere vendute quali «spose». Vediamo quello che avviene in Giordania: «Tanti tassisti di Amman ormai si sono industriati. Attendono i ricchi sauditi e dei paesi del Golfo all’aeroporto o di fronte agli hotel a cinque stelle. Basta poco per capire cosa vogliono». Le ragazze e le donne siriane sono ricercate per la loro bellezza. E per di più: 

«Costano poco, bambine di 15 o 16 anni cedute dalle famiglie per cifre che possono restare nei limiti dei 1. 000 o 2. 000 euro. Una quisquilia, noccioline per gli uomini d’affari del Golfo. Sono abituati a spendere ben di più. Una notte in compagnia di prostitute ucraine in un albergo a Dubai può costare anche il doppio» (Cremonesi 2012b). 

E così, i membri dell’aristocrazia corrotta e parassitaria al potere nei paesi del Golfo, da sempre appoggiata dall’Occidente, possono trarre un duplice vantaggio dalla politica di destabilizzazione da loro perseguita in Siria: indeboliscono un regime laico e anzi blasfemo per il fatto di promuovere l’emancipazione delle donne; possono procurarsi a prezzi di svendita donne, ragazze e bambine di bellezza fuori del comune. Va da sé che, nelle aree della Siria conquistate dai «ribelli», le donne sono costrette a subire il ritorno all’Antico regime: esse devono coprire interamente il loro corpo e sono condannate alla segregazione e alla schiavitù domestica. 
Ma la tragedia delle donne medio-orientali non ha ancora toccato il suo culmine. Lo scoppio e l’aggravarsi della crisi in Siria hanno fatto emergere la terribile realtà della «jihad del sesso», che qui conviene descrivere a partire sempre dalle corrispondenze della più autorevole stampa occidentale. Convinte da autorità religiose e da predicatori fondamentalisti, soprattutto in Tunisia «prostitute bambine» e «ragazze di famiglie povere, minorenni e spesso analfabete» raggiungono clandestinamente la Siria per offrirsi ai guerrieri islamisti e allietarli tra una battaglia e l’altra, in modo da garantirsi l’accesso al Paradiso. Il lavoro delle «schiave tunisine» è duro: «Molte di loro hanno avuto rapporti sessuali anche con venti, trenta, cento mujaheddin». Alcune restano incinte, e la tragedia così si aggrava: «Nel Maghreb rurale, nei villaggi del Sud tunisino, una madre senza marito è solo una prostituta», per questa ragione spesso non più riconosciuta e rinnegata dagli stessi genitori. Ma chi sono i responsabili di tutto ciò? Non si tratta solo del fondamentalismo tunisino: a incitare alla «guerra santa del sesso» è anche uno «sceicco» dell’Arabia saudita (il paese che non bada a spese per armare i ribelli). D’altro canto, come i guerrieri, cosi le bambine e la ragazze chiamate a offrir loro conforto sessuale raggiungono la Siria «via Libia o Turchia»; e, «secondo un rapporto dell’ONU», a provvedere alle spese di trasporto sono i «soldi del Qatar» (Battistini 2013). 
Dunque, oltre ai guerrieri islamici veri e propri, che provengono da ogni angolo del mondo e dallo stesso Occidente, a destabilizzare e a tentare di rovesciare il regime siriano, protagonista di un importante processo di emancipazione della donna, sono ragazze e bambine (soprattutto tunisine) che subiscono una totale de-emancipazione. Siamo portati a pensare alle comfort women, alle donne coreane e cinesi nel corso della seconda guerra mondiale costrette a prostituirsi ai militari dell’esercito di occupazione giapponese bisognosi di «conforto». Se le comfort women propriamente dette erano commiserate dal popolo di appartenenza, le protagoniste o meglio le vittime della «guerra santa del sesso» sono disprezzate e persino ripudiate dal loro stesso popolo. Non c’è dubbio che l’Occidente è corresponsabile di questa infamia, promossa da predicatori e autorità dell’Arabia saudita, finanziata dal Qatar, resa possibile dalla complicità di Turchia e Libia. Si tratta di paesi che godono del sostegno politico o per lo meno della benevola tolleranza di Washington e di Bruxelles. La Turchia fa persino parte della NATO, e il suo governo «mantiene aperto il confine della Siria e consente ai combattenti [islamici] di avere un porto franco nel Sud del paese, mentre armi, denaro contante e altri rifornimenti affluiscono sul campo di battaglia» (Arango 2013). Tra questi «rifornimenti» rientrano evidentemente anche le ragazze e le bambine destinate alla prostituzione sacra e bellica. 
Se in questo caso, ad alimentare la «jihad del sesso» sono in teoria delle «volontarie», in altri casi emerge in tutta chiarezza la violenza della schiavizzazione sessuale. Leggiamo ancora sul «Corriere della Sera»: 

«I miliziani delle brigate islamiche in Siria hanno un sistema tutto loro per scegliere le donne curde. In genere avviene ai posti di blocco. Salgono sui bus civili con i mitra puntati, si fanno consegnare la lista dei passeggeri dal conduttore e cercano i nomi non arabi. Individuate le più giovani e carine le obbligano a scendere, le fanno genuflettere e poggiando il palmo della mano sulla loro testa le dichiarano “halal”, che nella tradizione indica la carne macellata secondo la legge coranica, così vengono “islamizzate”, purificate, pronte per congiungersi carnalmente con i cavalieri della guerra santa. Violenza di uno solo o di gruppo: le ragazze sono considerate “spose temporanee”. Possono essere trattenute per poche ore, oppure settimane. Alcune tornano a casa, altre alla fine vengono uccise […] A detta di Ipek Ezidxelo, 30 anni, attivista del Partito di Unione Democratica (Pyd), il più importante movimento armato nelle regioni curde siriane, gli estremisti qaedisti, specie gli afgani, ceceni e libici, farebbero a gara per catturare vive le combattenti curde» (Cremonesi 2013b). 

Ora più che mai siamo portati a pensare alle comfort women, ora più che mai la realtà della schiavitù sessuale è sotto i nostri occhi in tutta la sua ripugnanza! E di nuovo emerge il ruolo poco lusinghiero dell’Occidente, scarsamente interessato a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla tragedia delle donne curde e ancora meno interessato a bloccare l’afflusso in Siria degli stupratori provenienti dalla Libia «liberata» dalla NATO...


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Orig.: Il mondo caotico di Ezio Mauro. Presto, armi a Repubblica (Tommaso Di Francesco, Il Manifesto del 6.9.14)

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KAOTIČAN SVIJET EZIA MAURA – DIREKTORA NOVINA „REPUBBLICA“. SMJESTA DAJTE ORUŽJE TOJ NOVINI!


Posted by Novi Plamen on September 11, 2014 [Prevela Jasna Tkalec]

Kome sve danas Italija isporučuje oružje? Nakon što ga je davala Kurdima i slala ga u Libiju i u Siriju (što je sve nepovratno zavrsilo u rukama džihadista), nakon što smo pročitali udarni članak Ezia Maura, više nema nikakvih sumnji, treba smjesta isporučiti oružje novinama „Repubblica“! Bilo je zaista teško čitati jedan toliko smušen članak urednika, i što je najgore, članak što se naginje nad zaista opasnu prazninu. U jednom momentu posumnjali smo da se radi o nekom virusu ili o pogrešnoj upotrebi „kopiraj-priljepi”  koja je upala u ovo važno razmišljanje iz posljednjeg tužno dugačkog napisa Oriane Fallaci te da se radi o ko zna kojoj po redu pohvali „civiliziranog“ Zapada, kojeg opsjeda barbarski pakao sa svih strana, počevši sa islamom i završivši sa ostatkom cijelog postojećeg svijeta.
piše Tommaso di Francesco
Dakle za Ezia Maura započelo je Treće razdoblje Atlantskog pakta, nakon Prvog razdoblja, u vrijeme Hladnog rata te drugog razdoblja nakon Pada zida, kad je „izgledalo da će se otvoriti dugo stoljeće u kojem više neće biti neprijatelja demokracije, pošto je ova konačno pobijedila u dvadesetom stoljeću“.
Pa ipak, datumi ne odgovaraju: prvi NATO pakt nastaje preventivno godine 1949 (a Varšavski pakt tek 1951), a druga sezona Atlantskog pakta krenula je 1999 (deset godina nakon 1989!) u Washingtonu, u punom „humanitarnom“ ratu sa 78 dana avionskih napada odnosno bombardiranja bivše Jugoslavije.
Ta druga faza Nato-a rođena je u ekspanzivnom ratu: ni govora o bilo kakvoj „odbrani“.
No zar nije bila pobijedila demokracija? Zar nije trebalo napraviti reviziju tog zlosretnog Saveza, umjesto što je zadržana ideologija nužnog postojanja neprijatelja?
A sada ova treća faza, jučer rođena u Wallesu, zaista je neophodna: ma pogledajte samo Islamski Kalifat, sa njegovom scenografijom smrti.
No tko je koristio ove mesare i koljače u svim istinskim ratnim teatrima, od Afganistana do Bosne, ako to nije činio upravo Zapad, kako bi došao do pobjede u ratu protiv realnog socijalizma na umoru i za svoje vlastite geostrategije moći te za atlantsku ideologiju prvenstva u civiliziranosti? Koji odnos postoji sada između islamskog krvavog noža i i izraelskih i američkih kasetnih bombi ?
Nema nikakve sumnje. Sada je već postalo opće prihvaćeno da i demokracija „isključuje“, ona služi samo onima, koji imaju garancije, jer ona „nije više garancija za governance“, budući da su nacionalne države poslane dovraga u svim nadnacionalnim sjedištima. Svijet je „izvan kontrole“ i „nemoguća“ je razmjena između građana i države, između prava i „sigurnosti“. Naravno, vojne sigurnosti. Pa da li smo još, pita se Ezio Mauro, raspoloženi braniti demokraciju, koja je napadnuta?
Iako je iscrpljen i lišen sadržaja, Zapad se, po mišljenju Ezia Maura, mora braniti „pod svaku cijenu“. Pa i Putin – koji predstavlja kaos – mora odgovoriti na islamski izazov (kao da je Mauro smtenuo s uma Belan i to tri dana prije njegove godišnjice).
Dakle hajdemo u nove „humanitarne“ ratove i stvorimo još mnogo baza u Trećoem slavnom razdoblju Tri faze NATO-a, koji se našao uz samu Rusiju. Još jedan novi vojni zid. Stoga, pod svaku cijenu, dajte brže bolje oružje novinama „Repubblica“.
Izvor: „il Manifesto“



(english / srpskohrvatski / italiano)

Prossime iniziative su Ucraina e Donbass

1) Bologna 16/1: UCRAINA. LA SITUAZIONE ATTUALE
2) Rep. di San Marino, 23/1: LA ASTENSIONE DI SAN MARINO E DEI PAESI U.E. SULLA MOZIONE ONU IN MERITO ALLA GLORIFICAZIONE DEL NAZISMO
3) Novorossija, 9 Maggio: LA PROSSIMA CAROVANA DELLA BANDA BASSOTTI

4) FLASHBACK: Dichiarazione delle FARC-EP sulla Resistenza in Donbass


Leggi anche:

Controsemestre. Ai fascisti ucraini non piace che si parli di pace (Redazione Contropiano Nordest, 18 Novembre 2014) 
http://contropiano.org/politica/item/27586-controsemestre-ai-fascisti-ucraini-non-piace-che-si-parli-di-pace


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Bologna, venerdì 16 gennaio 2015
dalle ore 20 c/o Sala Polivalente GRAF
Piazza Spadolini n. 3 – Quartiere San Donato – Bologna

ANPPIA Bologna                                                                                                        

ANPI 
Com. prov. Bologna
Sezione Barca - Bologna
Sezione Lame - Bologna
Sezione Pratello - Bologna
Sezione San Donato – Bologna


UCRAINA: Situazione Attuale

Saluto di Renato Romagnoli - Presidente Anpi Provinciale Bologna
Saluto di Massimo Meliconi - Presidente Anppia Comitato di Bologna

Intervengono

Dr. ANDREA CATONE
co-direttore della rivista “MarxVentuno”, studioso di Storia Contemporanea

Prof. FRANCESCO BENVENUTI
Università di Bologna

Coordina
Dr. ANDREA MARTOCCHIA


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Repubblica di San Marino, 23 gennaio 2015, ore 17,30
Sala Conferenze - Hotel I-DESIGN - Via del Serrone, 124 - Murata 

Fonte: profilo FB di Epifanio Troìna, 5/1/2014

<< 23 gennaio a San Marino - si terrà conferenza sul voto di ASTENSIONE di San Marino e dei paesi dell’UE sulla mozione che condanna i tentativi di glorificazione dell’ideologia del nazismo e la conseguente negazione dei crimini di guerra commessi dalla Germania nazista. La Risoluzione dell'ONU esprime "profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell'organizzazione "Waffen SS", anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l'organizzazione di manifestazioni pubbliche". 
Alla luce dei continui rigurgiti fascisti e nazisti ai quali si assiste sempre più spesso in diverse parti del mondo, l'astensione sulla risoluzione dell' ONU, approvata a maggioranza, è un atto grave e inaccettabile e dimostra la subalternità alla volontà usa. Questo è inaccettabile e deplorevole. Tale voto umilia la nostra storia democratica e offende la Resistenza, i suoi protagonisti e i suoi valori.
Si parlerà anche del Donbass e della guerra civile in atto per contrastare la giunta nazifascista di kiev. Interverrà Viktoria Shilova.
SIETE INVITATI ! >>

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Sullo stesso tema si leggano:

I neo-Nazi imperversano in Ucraina, ma il Nazismo non è più il "male assoluto"(per l'Occidente) (di M.G. Bruzzone, su La Stampa del 30/11/2014)
Una settimana fa l’assemblea generale dell’ONU ha approvato una mozione presentata dalla Russia che condanna i tentativi di glorificazione dell’ideologia nazista (...) ad astenersi sono stati i paesi dell’ Unione Europea...
http://www.lastampa.it/2014/11/30/blogs/underblog/i-neonazi-imperversano-in-ucraina-ma-il-nazismo-non-pi-il-male-assolutoper-loccidente-zftkpiBxOsdKkyAKDoZupI/pagina.html?refresh_ce

Sulla neutralità (sic) dello Stato italiano in tema di nazismo
I comunicati dell'ANPI / Sul nazismo la UE si astiene (Italo Slavo)

L'Anti-antifascismo di UE e USA
US, Canada & Ukraine vote against Russia’s anti-Nazism resolution at UN



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PTV News – Speciale – Intervista Banda Bassotti (27/12/2014)
Lo storico gruppo romano, dopo il ritorno dalla Russia, non rinuncia all’idea di una seconda Carovana antifascista verso il Donbass…
http://www.pandoratv.it/?p=2496
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=gguKcFOSTxQ

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Comunicato della Banda Bassotti (28 dic 2014)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=oeAq3a6uYJI

Con questo Comunicato rispondiamo all'invito ufficiale da noi ricevuto il 20 ottobre 2014 a firma del Primo Ministro della Repubblica Popolare di Lugansk. L’invito ci chiedeva di tornare in Donbass per un concerto antifascista a Lugansk.

COMUNICATO DELLA BANDA BASSOTTI

Dal nostro ritorno a Roma, vediamo che continua in Donbass una falsa tregua fatta di bombardamenti su civili. Come prima muoiono civili, bambini, anziani e partigiani della Novarussjia. Vengono bombardate scuole, autobus. Impedita la vita normale dove i bambini possano tornare a scuola, dove le famiglie possano tornare ad una vita normale. Esattamente come prima della cosiddetta tregua, l'unione europea, sponsorizzata dagli usa, invia carri armati, materiale da guerra al regime di Kiev.
Riteniamo un dovere per tutti noi Antifascisti sostenere la lotta del Popolo della Novarossija.
Siamo molto legati alla Storia dell'URSS e della attuale Russia, per questo abbiamo deciso come data di una nostra visita al Donbass il 9 maggio 2015 che in tutti i Paesi figli dell'Unione Sovietica è la Festa del Giorno della Vittoria.
Con questo Comunicato annunciamo pubblicamente che la Banda Bassotti organizzerà una Carovana Antifascista per prendere parte alla Festa del Giorno della Vittoria.
In Italia festeggeremo il 25 aprile, Giorno della Liberazione e in Novarossjia il 9 maggio rendendo omaggio a tutti quei patrioti che hanno combattuto il Nazifascismo. Porteremo con noi ancora una volta le nostre canzoni, la Falce ed il Martello e la Bandiera Rossa.
Chiediamo agli Antifascisti di contribuire alla costruzione della Carovana Antifascista.

BANDA BASSOTTI - ROMA - PIANETA TERRA - dicembre 2014
NO PASARAN!

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Italian punk band to organize an “antifascist caravan” (Jan 03, 2015 - by ZugNachPankowin)
Italian punk band “Banda Bassotti” is ready for a second Carovana Antifascista…
http://www.southfront.eu/italian-punk-band-to-organize-an-antifascist-caravan/


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IN ENGLISH: FARC-EP STATEMENT ON UKRAINE
True to our anti-imperialist and anti-fascist commitment, the Revolutionary Armed Forces of Colombia-People’s Army, FARC-EP, strongly condemns the vile aggression unleashed by the Kiev regime against the workers and dissident population of Ukraine. The Ukrainian people have been caught in the crossfire by the United States and the European Union…
http://workers.us5.list-manage.com/track/click?u=40da4c2268de414b49fa829df&id=083e529502&e=6386bdc711

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http://www.nuovacolombia.net/Joomla/documenti-analisi/5665-il-fascismo-e-la-nato-non-passeranno-solidarieta-alla-resistenza-antifascista-del-donbass.html
SOLIDARIETA’ ALLA RESISTENZA ANTIFASCISTA DEL DONBASS

Fedeli alla loro vocazione antimperialista e antifascista, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo, FARC-EP, condannano categoricamente la vile aggressione scatenata dal governo di Kiev contro i lavoratori e la popolazione insubordinata dell’Ucraina.
Il popolo ucraino è bersagliato dal fuoco incrociato di Stati Uniti e Unione Europea, i primi in un’escalation guerrafondaia di accerchiamento e provocazione nei confronti della Russia, e la seconda nella sua smania di annettersi l’Ucraina. Entrambi bramano un’ulteriore espansione della NATO verso l’est, certamente con il proposito, assai mal dissimulato, di impadronirsi dei corridoi e dei giacimenti minerari ed energetici.
Nessuno, sano di mente, può dubitare che dietro le cosiddette “rivoluzioni arancioni” prima, ed il golpe dei Maydan poi, ci siano i lupi imperialisti camuffati da pecorelle democratiche e difensori dei diritti umani.
Il suddetto golpe ha portato al potere una cricca oligarchica con settori neonazisti, che ha scatenato un’impressionante e violenta caccia alle streghe non soltanto contro i comunisti, ma anche ai danni degli oppositori e degli abitanti russofoni in generale.
Nonostante l’assalto, la risposta popolare si è ingigantita a partire dalla resistenza antifascista delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, contro le quali il governo dell’oligarca Poroshenko, telediretto da Washington e Bruxelles, ha lanciato un’operazione di accerchiamento e sterminio con ogni tipo di armamento e decine di migliaia tra soldati e mercenari. Operazione che ha ucciso o ferito gravemente migliaia di persone innocenti, e che fustiga la popolazione civile del Donbass che i fascisti vogliono annichilire non solo con bombardamenti, ma anche attraverso la fame e la sete.
Nelle ultime settimane stiamo assistendo alla controffensiva armata delle milizie antifasciste capeggiate dal Fronte Popolare di Liberazione dell’Ucraina, della Novorossja e dei Subcarpazi russi, la cui lotta per la libertà e la giustizia sociale sta propinando duri colpi ai contingenti di Kiev, diversi dei quali finiscono per sbandare.
Manifestiamo la nostra solidarietà internazionalista al popolo ucraino ed ai combattenti antifascisti ed antioligarchici del Donbass, e chiamiamo i popoli del mondo a mobilitarsi per contrastare qualsiasi tentativo dell’imperialismo di imporre ulteriori guerre neocoloniali e regimi antidemocratici.
Oggi come ieri, il fascismo non passerà!

Commissione Internazionale delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo, FARC-EP
15 settembre 2014




(english / srpskohrvatski / deutsch / italiano)

Voci dissenzienti dalla Repubblica Ceca

1) Czech president Zeman calls Yatsenyuk ‘Premier of war’ / Il presidente ceco compara la marcia di Capodanno 2015 a Kiev a quella dei nazisti / Nationalisten-Aufmarsch in Kiew: Zeman sieht Parallele zu Hitler-Deutschland 
2) Ufficiale di Praga Marek Obrtel rifiuta le medaglie Nato / Češki veteran s KiM odbija NATO odlikovanje: « Stidim se Zapada » / ‘Ashamed to have served criminals’: Czech veteran returns NATO medals / Oberstleutnant Obrtel gibt vier Medaillen an “kriminelle Vereinigung” N.A.T.O. zurück


Vedi anche,

sulla marcia nazista-europeista del Capodanno 2015 a Kiev:

Ukraine nationalists march in Kiev to honour Bandera
Erneut Angriff auf russische Journalisten in Kiew

sulla recente polemica del presidente ceco Zeman contro le "Pussy Riot":

Czech President Faces Live Radio Ban for Use of Swearwords: Spokesperson (29.11.2014)
Czech president could face live radio ban after ‘Pussy Riot are c**ts’ remark (1/12/2014)
Tschechien: Rundfunkrat will Präsident Zeman’s Reden zensieren (von PetraPez, 2/12/2014)


=== 1 ===

‘Premier of war’: Czech president says Yatsenyuk not seeking peaceful solution for E. Ukraine (RT, January 03, 2015)
Czech President Milos Zeman has slammed Ukrainian Prime Minister Arseny Yatsenyuk, calling him “a prime minister of war” because he is unwilling to peacefully solve the civil conflict in the country...


"Premier di guerra": il presidente della Repubblica Ceca dice Yatsenyuk non cerca una soluzione pacifica per l'Ucraina orientale

Il presidente ceco Milos Zeman ha condannato il primo ministro ucraino Arseny Yatsenyuk. Zeman dice che è "un primo ministro della guerra", perché non è disposto a risolvere pacificamente il conflitto civile, anche se Commissione europea ha raccomandato.
Yatsenyuk vuole risolvere il conflitto ucraino "con l'uso della forza", ha aggiunto il leader ceco.
Secondo Zeman, l'attuale politica di autorità di Kiev ha due "facce".
Il primo è il "volto" del presidente del paese, Petro Poroshenko, che "può essere un uomo di pace."
La seconda "volto" è quello di Yatsenyuk, che ha una posizione intransigente verso le forze di autodifesa in Ucraina orientale.
Zeman ha detto di non 'crede che il colpo di Stato di febbraio, durante la quale l'allora presidente Viktor Yanukovich è stato deposto dal potere, è stata una rivoluzione democratica a tutti.
"Maidan non era una rivoluzione democratica. Credo che l'Ucraina è in uno stato di guerra civile", ha detto Zeman.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, almeno 4.317 persone sono state uccise e 9.921 feriti nel conflitto in Ucraina orientale, da aprile, quando le autorità di Kiev hanno lanciato una cosiddetta operazione antiterrorismo nella regione.
(trad. Peter Iiskola)

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Tschechiens Präsident spricht von "Bürgerkrieg" in der Ukraine (03.01.15)
...Während der ukrainische Präsident Petro Poroschenko ein „Mann des Friedens“ sein könnte, sei der Premier Arsenij Jazenjuk „eher ein Mann des Krieges“, der die Krise in dem Land mit Gewalt lösen wolle...
http://www.tt.com/home/9447324-91/tschechiens-pr%C3%A4sident-spricht-von-b%C3%BCrgerkrieg-in-der-ukraine.csp   
  
Tschechiens Präsident Zeman nennt Jazenjuk „Premier des Krieges“ (03.01.15)
...Zeman räumte ein, dass seine Ukraine-Äußerungen seiner eigenen Popularität in Tschechien geschadet haben, führte dies jedoch darauf zurück, dass viele Tschechen über die Ereignisse vom vergangenen Jahr in Kiew sehr schlecht informiert seien...
http://de.sputniknews.com/politik/20150103/300499346.html  

‘Something wrong with Ukraine, EU’: Czech leader condemns ‘Nazi torchlight parade’ (RT, January 04, 2015)
The chilling slogans and a flagrant demonstration of nationalist symbols during the neo-Nazi march in Kiev reminded the Czech President Milos Zeman of Hitler's Germany. He said something was “wrong” both with Ukraine and the EU which didn’t condemn it…

Falsche "Idealisierung" der Ukraine (05.01.15)
...Tschechiens Präsident Milos Zeman hat sich gegen eine »Idealisierung« der Ukraine ausgesprochen. »Viele schlecht informierte Leute idealisieren die Ukraine. Sie glauben, dass sich etwas wie eine Samtene Revolution ereignet habe«...
http://www.neues-deutschland.de/artikel/957331.falsche-idealisierung-der-ukraine.html
 
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Il presidente ceco compara una marcia dei nazionalisti ucraini per Bandera a quella dei nazisti

5/1/2015

Il presidente della Repubblica ceca, Milos Zeman, ha criticato la processione con le torce organizzata il primo gennaio scorso in Ucraina e si è dichiarato preoccupato della totale assenza di posizione dell'Ue al riguardo.
Miloš Zeman, in un'intervista alla radio Frekvence 1, ha chiamato all'attenzione sull'”estetica nazista” della processione dei nazionalisti ucraini che si è tenuta il primo gennaio. La marcia è stata organizzata in onore del leader nazionalista ucraino Stepán Bandera, figura che, secondo il presidente, era il referente di Reinhard Heydrich, capo della Gestapo e Luogotenente della Boemia e della Moravia durante la seconda guerra mondiale.  
Secondo Zeman, la processione con le torce è stata “organizzata assolutamente nella stessa maniera che le marce dei nazisti nella Germania governata da Hitler”. “Qualcosa di molto grave sta avvenendo in Ucraina. Ma è ancora peggiore il fatto che sta il tutto continui senza che l'Ue esprima la minima protesta contro queste azioni”, ha concluso.

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Nationalisten-Aufmarsch in Kiew: Zeman sieht Parallele zu Hitler-Deutschland 

05.01.2015 – Der tschechische Präsident Milos Zeman hat den jüngsten Fackelzug der Rechtsextremen in Kiew mit Aufmärschen während der Diktatur des Nationalsozialismus in Deutschland verglichen. 
„Es stimmt etwas nicht mit der Ukraine: Am 1. Januar wurden dort Aufmärsche zum Andenken an Stepan Bandera organisiert, der nebenbei gesagt wie Reinhard Heydrich (von 1941 bis 1942 stellvertretender Reichsprotektor in Böhmen und Mähren – Red.) aussieht“, sagte Zeman dem Radiosender Frekvence 1.
Der Fackelaufmarsch am 1. Januar 2015 in Kiew sei „genauso wie die Nazi-Aufmärsche zu Zeiten Hitlerdeutschlands organisiert“ worden. „Dann habe ich zu mir selbst gesagt, dass mit dieser Ukraine etwas Schlimmes passiert“, so Zeman. „Etwas Schlimmes passiert aber auch mit der Europäischen Union, von der es keinen Protest gegen diese Aktion gegeben hat.“
Am 1. Januar haben mehrere tausend Anhänger der Swoboda-Partei und des „Rechten Sektors“ in Kiew einen Fackelmarsch zum 106. Geburtstag des umstrittenen Nationalistenchefs Stepan Bandera abgehalten.


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Ufficiale di Praga rifiuta le medaglie Nato

Sta facendo molto discutere in Repubblica ceca una storia che ha come protagonista Marek Obrtel, ex ufficiale medico dell'esercito di Praga, impegnato in passato in missioni di peacekeeping in Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Afghanistan. Obrtel che, in una lettera aperta, ha chiesto nei giorni scorsi al ministero della Difesa di Praga di riprendersi le medaglie da lui guadagnate durante le operazioni all'estero compiute nell'ambito di operazioni Nato. Un coinvolgimento di cui oggi Obrtel «si vergogna profondamente», ha scritto l'ex tenente colonnello. Questo perchè l’Alleanza atlantica si sarebbe trasformata in una «organizzazione criminale, guidata dagli Usa e dai suoi perversi interessi», la giustificazione di Obrtel, che ha poi chiarito ai media di Praga che l'impulso a riconsegnare le onorificenze è nato «dai recenti sviluppi politici» e dalla sua opposizione alle «politiche Usa verso la Russia, l'Ue e tutti i Paesi liberi». (m. man.)

03 gennaio 2015

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Na srpskohrvatskom:

Češki veteran s KiM odbija NATO odlikovanje: « Stidim se Zapada » (Ponedeljak 29.12.2014. - Beta)
Bivši češki vojni lekar, veteran iz misija na Kosovu, u BiH i Avganistanu, zatražio je od češkog ministra odbrane da mu oduzme odlikovanja NATO jer se ne slaže s politikom Zapada prema Rusiji i jer se stidi zapadnog vojnog saveza kao « zločinačke organizacije »…

Zakasnela pravda za Srbe (Sreda 31.12.2014.- J. Arsenović)
Bivši češki vojni lekar Marek Obrtel zatražio je od ministra odbrane svoje zemlje da mu oduzme NATO odlikovanja zato što se ne slaže s politikom Zapada prema Rusiji i jer se stidi Alijanse kao « zločinačke organizacije »…

Češki potpukovnik: Vraćam ordenje zločinačkoj NATO alijansi (E. V. N. | 03. januar 2015.)
Bivši češki vojni lekar, potpukovnik Marek Obrtel, koji je služio na Kosovu, u BiH i Avganistanu zatražio je u otvorenom pismu ministru odbrane da mu se ordenje oduzme…

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In english:

‘Ashamed to have served criminals’: Czech veteran returns NATO medals (RT, December 30, 2014)

Army doctor to return medals in protest against NATO (Czech News Agency / Prague Post, December 30, 2014)
Former Czech military doctor and reserve Lieutenant Colonel Marek Obrtel called on Defense Minister Martin Stropnický to strip him of the medals he received for taking part in NATO operations in protest against the U.S. policy on Russia, daily Právo writes today…
http://www.praguepost.com/czech-news/43556-monday-news-briefing-dec-30-2014

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Oberstleutnant gibt vier Medaillen an “kriminelle Vereinigung” N.A.T.O. zurück


Von PETRAPEZ  31. DEZEMBER 2014

Offener Brief an den Verteidigungsminister und die Regierung der Tschechischen Republik – Antrag auf Widerruf der Auszeichnungen in militärischen Operationen der AČR unter der Schirmherrschaft der N.A.T.O.


Es gibt sie noch, Menschen mit Gewissen, die nicht nur voller Groll in der Zimmerecke vor sich hin grummeln, sondern offen ihre Missbilligung mit einem grossen Paukenschlag über einen Militärapparat zum Ausdruck bringen, dem sie ihr Einkommen und Karriere verdankten.

Mit dieser guten Nachricht beenden wir das alte Jahr und starten zuversichtlich in das kommende. Möge dem guten Beispiel von Oberstleutnant Marek Obrtel so viel wie möglich folgen.

Marek Obrtel war tschechischer Militärarzt. Seine Einsatzgebiete waren die Kriege in Kosovo und Bosnien-Herzegovina und anderen Ländern des ehemaligen Jugoslawien sowie in Afghanistan. In Afghanistan war Obrtel Leiter des 11. tschechischen Militärkrankenhauses.

In einem dreiseitigen Brief an die tschechische Regierung und das Verteidigungsministerium, den er als Offenen Brief gleichzeitig an das Parlament weiterleitete um die Öffentlichkeit darüber in Kenntnis zu setzen, zeigte sich der Oberstleutnant tief beschämt darüber, an den internationalen Friedensmissionen der Nordatlantischen Allianz teilgenommen zu haben. Eine der Überschriften des in Abschnitte gegliederten Briefes heisst “Frost kommt aus dem Weissen Haus, das heisst von der N.A.T.O.” 

Marek Obrtel nannte darin die N.A.T.O. eine kriminelle Vereinigung mit grausamen Interessen und erbat den Modus zur Rücknahme seiner ihm verliehenen N.A.T.O.-Medaillen. Die von der U.S.A. geführte Allianz verfolge perverse Interessen und eine imperialistische Politik in künstlichen Konflikten auf der ganzen Welt auf der höchsten Stufe der Verderbtheit und des Machtrausches.

Weiter schrieb Obrtel, dass er seinen Dienst im guten Glauben mit allen ihm zur Verfügung stehenden Kräften ausführte und sein Bestes gegeben hatte, denn einen solchen Einsatz übt man nicht nur halb aus. “Aber immer mehr, besonders in Zusammenhang mit dem Kosovo-Konflikt, begann ich zu erkennen, dass unser Weg nicht richtig ist.”

Der Militärarzt schrieb weiter in dem Brief, dass jedes freie Land, das sich den Machtinteressen der U.S.A. widersetzt und seine Identität, die Ökonomie und Souveränität verteidigt, von der Landkarte getilgt werden müsse.

Der Militärarzt führte aus, dass er die Möglichkeit hatte, mit den Einheimischen zu sprechen. Dadurch wurde er in die Lage versetzt, eine Analyse und Bewertung der Situation aus allen möglichen Blickwinkeln führen zu können. 

“Immer, wenn ich das Gefühl bekam, dass “etwas nicht stimmt”, tröstete ich mich durch die Arbeit als Arzt und das es meine Aufgabe ist, den Kranken, Verletzten und Betroffenen, einschliesslich der lokalen Bevölkerung, wo unsere Truppen sie sahen, zu helfen.”

In den Gesprächen wurde Obrtel die “Absurdität” der Schritte der N.A.T.O. und die jüngsten Entwicklungen, die er als einen neuen Kalten Krieg bezeichnete, bewusst.

Das Verteidigungsministerium der Tschechischen Republik hat auf diesen Brief geantwortet, dass es kein Gesetz gibt, verliehene Medaillen wieder zurückzunehmen, aber er kann sie jederzeit zurückgeben, wenn er sie aufzugeben wünscht.

Der vollständige Brief, der auch auf die Rolle der C.I.A. und die Entwicklung der N.A.T.O. seit ihrer Gründung eingeht, wurde zwei Tage vor Weihnachten, am 22. Dezember 2014, auf der Parlamentwebsite PARLAMENTNI Liszty.cz unter “Marek Obrtel: Hluboce se stydím za zločineckou organizaci, jakou je NATO. Vracím vyznamenání” veröffentlicht.

In der Republik Tschechien wird seit Veröffentlichung des Briefes eine heftige Diskussion geführt. Dabei outen sich die Politiker, die als Kriegstreiber den Kurs der N.A.T.O. vehement verteidigen. Unter dem Artikel Veterán, který vrátil medaile a mluvil o „zločinném” NATO: Do debaty se zapojil generál a exministr obrany. A šlo se až na dřeň vom 30.Dezember 2014 kann die spannende Diskussion der Politiker in unserem Nachbarland verfolgt werden. 

Wir wünschen allen Leserinnnen und Leser ein gutes neues Jahr. Möge es uns mit vereinten Kräften gelingen, den Kriegsmoloch zu stoppen und die Verantwortlichen endlich zur Rechenschaft zu ziehen.





(fonte: mailing-list del Comitato NO NATO - vedi anche:
Sul volume "Se dici guerra" – Kappa Vu, aprile 2014 – vedi anche:
M. Dinucci è anche membro del Comitato Scientifico del Coord. Naz. per la Jugoslavia - onlus



Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda / 2

Manlio Dinucci


La Nato alla conquista dell’Est
Nel 1999 inizia l’espansione della Nato nel territorio dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex Unione Sovietica. L’«Alleanza Atlantica» ingloba  i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Repubblica iugoslava). Al vertice di Bucarest, nell’aprile 2008, viene deciso l’ingresso di Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e Croazia (già parte della Repubblica iugoslava). Viene inoltre preparato l’ingresso nell’Alleanza dell’ex repubblica iugoslava di Macedonia e di  Ucraina e Georgia, già parte dell’Urss. Si afferma infine che continuerà la «politica della porta aperta» per permettere ad altri paesi ancora di entrare un giorno nella Nato. 
Gli Stati Uniti riescono così nel loro intento: sovrapporre a un’Europa basata sull’allargamento della Ue un’Europa basata sull’allargamento della Nato. Entrando nella Nato, i paesi dell’Europa orientale, comprese alcune repubbliche dell’ex Urss, vengono a essere più direttamente sotto il controllo degli Stati Uniti che mantengono nell’Alleanza una posizione predominante. Va ricordato che il Comandante supremo alleato in Europa è, per una sorta di diritto ereditario, un generale statunitense nominato dal presidente, e che tutti gli altri comandi chiave sono controllati direttamente dal Pentagono. 
Per di più, i nuovi paesi membri devono riconvertire gli armamenti e le infrastrutture militari secondo gli standard Nato: ciò avvantaggia l’industria bellica statunitense, dato che l’acquisto di armi statunitensi viene posto da Washington quale condizione per l’ammissione alla Nato. In tal modo gli Stati uniti  si assicurano una serie di strumenti militari ed economici, e quindi politici, per tenere questi paesi in posizione gregaria all’interno della Nato alle dirette dipendenze di Washington. Non solo: poiché Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia, Romania e Bulgaria entrano nella Ue tra il 2004 e il 2007, Washington si assicura notevoli strumenti di pressione all’interno della stessa Unione europea per orientare le sue scelte politiche e strategiche. 

La Nato  in Afghanistan
La costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza) viene autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu con la risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001. Suo compito è quello di assistere l’autorità ad interim afghana a Kabul e dintorni. Secondo l’art. VII della Carta delle Nazioni unite, l'impiego delle forze armate messe a disposizione da membri dell’Onu per tali missioni deve essere stabilito dal Consiglio di sicurezza coadiuvato dal Comitato di stato maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Anche se tale comitato non esiste, l’Isaf resta fino all’agosto 2003 una missione Onu, la cui direzione viene affidata in successione a Gran Bretagna, Turchia, Germania e Olanda. 
Ma improvvisamente, l’11 agosto 2003, la Nato annuncia di aver «assunto il ruolo di leadership dell’Isaf, forza con mandato Onu». E’ un vero e proprio colpo di mano: nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad assumere la leadership, ossia il comando, dell’Isaf. Solo a cose fatte, nella risoluzione 1659 del 15 febbraio 2006, il Consiglio di sicurezza «riconosce il continuo impegno della Nato nel dirigere l’Isaf».
A guidare la missione, dall’11 agosto 2003, non è più l’Onu ma la Nato: il quartier generale Isaf viene infatti inserito nella catena di comando della Nato, che sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo dell’Isaf. Come sottolinea un comunicato del giugno 2006, «la Nato ha assunto il comando e il coordinamento dell’Isaf  nell’agosto 2003: questa è la prima missione al di fuori dell’area euro-atlantica nella storia della Nato». La missione Isaf viene quindi di fatto inserita nella catena di comando del Pentagono. Nella stessa catena di comando sono inseriti i militari italiani assegnati all’Isaf, insieme a elicotteri e aerei, compresi i cacciabombardieri Tornado. 
Il «disegno di ordine e pace» della Nato in Afghanistan ha ben altri scopi di quelli dichiarati: non la liberazione dell’Afghanistan dai taleban, che erano stati addestrati e armati in Pakistan in una operazione concordata con la Cia per conquistare il potere a Kabul, ma l’occupazione dell’Afghanistan, area di primaria importanza strategica per gli Stati Uniti. Lo dimostrano le basi permanenti che installano qui, tra cui quelle aeree di Bagram, Kandahar e Shindand. 
Per capire il perché basta guardare la carta geografica: l’Afghanistan è al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. In quest’area (nel Golfo e nel Caspio) si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo. Si trovano tre grandi potenze – Cina, Russia e India – la cui forza complessiva sta crescendo e influendo sugli assetti globali. Come aveva avvertito il Pentagono nel rapporto del 30 settembre 2001, «esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse». Da qui la necessità di «pacificare» l’Afghanistan per disporre senza problemi del suo territorio. Ma, impegnati su troppi fronti, gli Usa non ce la fanno. Ecco quindi il coinvolgimento degli alleati Nato sotto paravento Onu, sempre agli ordini di un generale statunitense.
 
Il sostegno Nato a Israele 
Nell’aprile 2001 Israele firma al quartier generale della Nato a Bruxelles l’«accordo di sicurezza», impegnandosi a proteggere le «informazioni classificate» che riceverà nel quadro della cooperazione militare.
Nel luglio 2001 il Pentagono dà il nullaosta per la fornitura a Israele dei primi 1000 kit Jdam, realizzati dalla Boeing in collaborazione con la joint-venture italo-inglese Alenia Marconi Systems: questo nuovo sistema di guida rende «intelligenti» le bombe aeree «stupide» permettendo agli F-16 israeliani di colpire simultaneamente più obiettivi a oltre 50 km di distanza.
Nel giugno 2003 il governo italiano stipula con quello israeliano un memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore militare e della difesa, che prevede tra l’altro lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema di guerra elettronica. 
Nel gennaio 2004 un aereo radar Awacs della Nato atterra per la prima volta a Tel Aviv e il personale israeliano viene addestrato all’uso delle sue tecnologie.
Nel dicembre 2004 viene data notizia che la Germania fornirà a Israele altri due sottomarini Dolphin, che si aggiungeranno ai tre (di cui due regalati) consegnati negli anni ‘90. Israele può così potenziare la sua flotta di sottomarini da attacco nucleare, tenuti costantemente in navigazione nel Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico. 
Nel febbraio 2005 il segretario generale della Nato compie la prima visita ufficiale a Tel Aviv, dove incontra le massime autorità militari israeliane per «espandere la cooperazione militare». 
Nel marzo 2005 si svolge nel Mar Rosso la prima esercitazione navale congiunta Israele-Nato: il comando del gruppo navale della «Forza di risposta della Nato» è affidato alla marina italiana che vi partecipa con la fregata Bersagliere.
Nel maggio 2005, dopo essere stato ratificato al senato e alla camera, il memorandum d’intesa italo-israeliano diviene legge: viene così istituzionalizzata la cooperazione tra i ministeri della difesa e le forze armate dei due paesi riguardo l’«importazione, esportazione e transito di materiali militari», l’«organizzazione delle forze armate», la «formazione/addestramento». 
Nel maggio 2005 Israele viene ammesso quale membro dell’Assemblea parlamentare della Nato.
Nel giugno 2005 la marina israeliana partecipa a una esercitazione Nato nel Golfo di Taranto.
Nel luglio 2005 truppe israeliane partecipano per la prima volta a una esercitazione Nato «anti-terrorismo», che si svolge in Ucraina. 
Nel giugno 2006 una nave da guerra israeliana partecipa a una esercitazione Nato nel Mar Nero allo scopo di «creare una migliore interoperabilità tra la marina israeliana e le forze navali Nato».
Nell’ottobre 2006, Nato e Israele concludono un accordo che stabilisce una più stretta cooperazione israeliana al programma Nato «Dialogo mediterraneo», il cui scopo è «contribuire alla sicurezza e stabilità della regione». In tale quadro, «Nato e Israele si accordano sulle modalità del contributo israeliano all’operazione marittima della Nato Active Endeavour» (Nato/Israel Cooperation, 16 ottobre 2006). Israele viene così premiato dalla Nato per l’attacco e l’invasione del Libano. Le forze navali israeliane, che insieme a quelle aeree e terrestri hanno appena martellato il Libano con migliaia di tonnellate di bombe facendo strage di civili, vengono integrate nella operazione Nato che dovrebbe «combattere il terrorismo nel Mediterraneo». Le stesse forze navali che, bombardando la centrale elettrica di Jiyyeh sulle coste libanesi, hanno provocato una enorme marea nera diffusasi nel Mediterraneo (la cui bonifica verrà a costare centinaia di milioni di dollari), collaborano ora con la Nato per «contribuire alla sicurezza della regione».
Il 2 dicembre 2008, circa tre settimane prima dell’attacco israeliano a Gaza, la Nato ratifica il «Programma di cooperazione individuale» con Israele. Esso comprende una vasta gamma di campi in cui «Nato e Israele coopereranno pienamente»: controterrorismo, tra cui scambio di informazioni tra i servizi di intelligence; connessione di Israele al sistema elettronico Nato; cooperazione nel settore degli armamenti; aumento delle esercitazioni militari congiunte Nato-Israele; allargamento della cooperazione nella lotta contro la proliferazione nucleare (ignorando che Israele, unica potenza nucleare della regione, ha rifiutato di firmare il Trattato di non-proliferazione).
 
La Nato «a caccia di pirati» nell’Oceano Indiano   
Nell’ottobre 2008, un gruppo navale della Nato, lo Standing Nato Maritime Group 2 (Snmg2) attraversa il Canale di Suez, entrando nell’Oceano Indiano. Ne fanno parte navi da guerra di Italia, Stati uniti, Germania, Gran Bretagna, Grecia e Turchia. Lo Snmg2 è il successore della Standing Naval Force Mediterranean (Stanavformed), la forza navale permanente del Mediterraneo, costituita nel 1992 dalla Nato in base al «nuovo concetto strategico». Questo gruppo navale (il cui comando è assunto a rotazione dai paesi membri) fa parte di una delle tre componenti dello Allied Joint Force Command Naples, il cui comando è permanentemente attribuito a un ammiraglio statunitense, lo stesso che comanda le Forze navali Usa in Europa. L’area in cui opera lo Snmg2 non ha ormai più confini, in quanto esso costituisce una delle unità della «Forza di risposta della Nato», pronta a essere proiettata «per qualsiasi missione in qualsiasi parte del mondo».
Scopo ufficiale della missione dello Snmg2 nell’Oceano Indiano è condurre «operazioni anti-pirateria» lungo le coste della Somalia, scortando i mercantili che trasportano gli aiuti alimentari del World Food Program delle Nazioni Unite. In questo «sforzo umanitario», la Nato «continua a coordinare la sua assistenza con l’operazione Enduring Freedom a guida Usa». Sorge quindi il dubbio che, dietro questa missione Nato, vi sia ben altro. In Somalia, la politica statunitense sta subendo un nuovo scacco: le truppe etiopiche, qui inviate nel 2006 dopo il fallimento del tentativo della Cia di rovesciare le Corti islamiche sostenendo una coalizione «anti-terrorismo» dei signori della guerra, sono state costrette a ritirarsi dalla resistenza somala. 
Washington prepara quindi altre operazioni militari per estendere il proprio controllo alla Somalia, provocando altre disastrose conseguenze sociali. Esse sono alla base dello stesso fenomeno della pirateria, nato in seguito alla pesca illegale da parte di flotte straniere e allo scarico di sostanze tossiche nelle acque somale, che hanno rovinato i piccoli pescatori, diversi dei quali sono ricorsi alla pirateria. Nella strategia statunitense e Nato, la Somalia è importante per la sua stessa posizione geografica sulle coste dell’Oceano Indiano.  Per controllare quest’area è stata stazionata a Gibuti, all’imboccatura del Mar Rosso,  una task force statunitense.  L’intervento militare, diretto e indiretto, in questa e altre aree si intensifica ora con la nascita del Comando Africa degli Stati uniti. E’ nella sua «area di responsabilità» che viene inviato il gruppo navale Nato.
Esso ha però anche un’altra missione ufficiale: visitare alcuni paesi del Golfo persico (Kuwait, Bahrain, Qatar ed Emirati arabi uniti), partner Nato nel quadro dell’Iniziativa di cooperazione di Istanbul. Le navi da guerra della Nato vanno così ad aggiungersi alle portaerei e molte altre unità che gli Usa hanno dislocato nel Golfo e nell’Oceano Indiano, in funzione anti-Iran e per condurre, anche con l’aviazione navale, la guerra aerea in Afghanistan.  
 
(2 – continua)


Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda / 3

Manlio Dinucci


La strategia di demolizione degli Stati 
La strategia Usa/Nato consiste nel demolire gli Stati che sono del tutto o in parte fuori del controllo degli Stati uniti e delle maggiori potenze europee, soprattutto quelli situati nelle aree ricche di petrolio e/o con una importante posizione geostrategica. Si privilegiano, nella lista delle demolizioni,  gli Stati che non hanno una forza militare tale da mettere in pericolo, con una rappresaglia, quella dei demolitori. 

L’operazione inizia infilando dei cunei nelle crepe interne, che ogni Stato ha. Nella Federazione Iugoslava, negli anni ’90, vengono fomentate le tendenze secessioniste, sostenendo e armando i settori etnici e politici  che si oppongono al governo di Belgrado. Tale operazione viene attuata facendo leva su nuovi gruppi dirigenti, spesso formati da politici passati all’opposizione per accaparrarsi dollari e posti di potere. 
Contemporaneamente si conduce una martellante campagna mediatica per presentare la guerra come necessaria per difendere i civili, minacciati di sterminio da un feroce dittatore. 

Si chiede quindi l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, motivando l’intervento con la necessità di destituire il dittatore che fa strage di inermi civili (nel caso della Iugoslavia, Milosevic). Basta il timbro con scritto «si autorizzano tutte le misure necessarie» ma, se non viene dato (come nel caso della Iugoslavia), si procede lo stesso. La macchina da guerra Usa/Nato, già approntata, entra in azione con un massiccio attacco aeronavale e operazioni terrestri all’interno del paese, attorno a cui è stato fatto il vuoto con un ferreo embargo. 
 
La guerra contro la Libia
Dopo essere stata attuata contro la Federazione Iugoslava, tale strategia viene usata contro la Libia nel 2011. 
Vengono finanziati e armati i settori tribali ostili al governo di Tripoli e anche gruppi islamici fino a pochi mesi prima definiti terroristi. Vengono allo stesso tempo infiltrate in Libia forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani facilmente camuffabili. L’intera operazione viene diretta dagli Stati uniti, prima tramite il Comando Africa, quindi tramite la Nato sotto comando Usa. 

Il 19 marzo 2011 inizia il bombardamento aeronavale della Libia. In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettua 30mila missioni, di cui 10mila di attacco, con impiego di oltre 40mila bombe e missili. A questa guerra partecipa l’Italia con le sue basi e forze militari, stracciando il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra i due paesi. «Nel ricordo delle lotte di liberazione e del 25 aprile – dichiara il presidente Napolitano il 26 aprile 2011 – non potevamo restare indifferenti alla sanguinaria reazione del colonnello Gheddafi in Libia: di qui l'adesione dell'Italia al piano di interventi della coalizione sotto guida Nato».

Molteplici fattori rendono la Libia importante agli occhi degli Stati uniti e delle potenze europee. Le riserve petrolifere – le maggiori dell’Africa, preziose per l’alta qualità e il basso costo di estrazione – e quelle di gas naturale. Dopo che Washington abolisce nel 2003 le sanzioni in cambio dell’impegno di Gheddafi a non produrre armi di distruzione di massa, le grandi compagnie petrolifere statunitensi ed europee affluiscono in Libia con grandi aspettative, rimanendo però deluse. Il governo libico concede le licenze di sfruttamento alle compagnie straniere che lasciano alla compagnia statale libica (National Oil Corporation of Libya, Noc) la percentuale più alta del petrolio estratto: data la forte competizione, essa arriva a circa il 90%. Per di più la Noc richiede, nei contratti, che le compagnie straniere assumano personale libico anche in ruoli dirigenti. Abbattendo lo Stato libico, gli Stati uniti e le potenze europee mirano a impadronirsi di fatto della sua ricchezza energetica. 

Oltre che all’oro nero, mirano all’oro bianco libico: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana (stimata in 150mila km3), che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità di sviluppo essa offra lo ha dimostrato il governo libico, costruendo una rete di acquedotti lunga 4mila km per trasportare l’acqua, estratta in profondità da 1300 pozzi nel deserto, fino alle città costiere e all’oasi al Khufrah, rendendo fertili terre desertiche. Su queste riserve idriche, in prospettiva più preziose di quelle petrolifere, vogliono mettere le mani – attraverso le privatizzazioni promosse dal Fmi­ – le multinazionali dell’acqua, che controllano quasi la metà del mercato mondiale dell’acqua privatizzata.

Nel mirino Usa/Nato
 ci sono anche i fondi sovrani, i capitali che lo Stato libico ha investito all’estero. I fondi sovrani gestiti dalla Libyan Investment Authority (Lia) sono stimati in circa 70 miliardi di dollari, che salgono a oltre 150 se si includono gli investimenti esteri della Banca centrale e di altri organismi. Da quando viene costituita nel 2006, la Lia effettua in cinque anni investimenti in oltre cento società nordafricane, asiatiche, europee, nordamericane e sudamericane: holding, banche, immobiliari, industrie, compagnie petrolifere e altre. Tali fondi vengono «congelati», ossia sequestrati, dagli Stati uniti e dalle maggiori potenze europee. 

L’assalto ai fondi sovrani libici ha un impatto particolarmente forte in Africa. Qui la Libyan Arab African Investment Company ha effettuato investimenti in oltre 25 paesi, 22 dei quali nell’Africa subsahariana, programmando di accrescerli soprattuttto nei settori minerario, manifatturiero, turistico e in quello delle telecomunicazioni. Gli investimenti libici sono stati decisivi nella realizzazione del primo satellite di telecomunicazioni della Rascom  (Regional African Satellite Communications Organization) che, entrato in orbita nell’agosto 2010, permette ai paesi africani di cominciare a rendersi indipendenti dalle reti satellitari statunitensi ed europee, con un risparmio annuo di centinaia di milioni di dollari.

Ancora più importanti sono stati gli investimenti libici nella realizzazione dei tre organismi finanziari varati dall’Unione africana: la Banca africana di investimento, con sede a Tripoli; il Fondo monetario africano, con sede a Yaoundé (Camerun); la Banca centrale africana, con sede ad Abuja (Nigeria). Lo sviluppo di tali organismi potrebbe permettere ai paesi africani di sottrarsi al controllo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, strumenti del dominio neocoloniale, e potrebbe segnare la fine del franco Cfa, la moneta che sono costretti a usare 14 paesi africani, ex-colonie francesi. Il congelamento dei fondi libici assesta un colpo fortissimo all’intero progetto
.

Importante, per gli Usa e la Nato, la stessa posizione geografica della Libia. all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Va ricordato che re Idris, nel 1953, aveva concesso agli inglesi l’uso di basi aeree, navali e terrestri in Cirenaica e Tripolitania. Un accordo analogo era stato concluso nel 1954 con gli Stati uniti, che avevano ottenuto l’uso della base aerea di Wheelus Field alle porte di Tripoli. Essa era divenuta la principale base aerea statunitense nel Mediterraneo. Abolita la monarchia, la Repubblica araba libica aveva costretto nel 1970 le forze statunitensi e britanniche a evacuare le basi militari e, l'anno seguente, aveva nazionalizzato le proprietà della British Petroleum  e costretto le altre compagnie a versare allo Stato libico quote molto più alte dei profitti.

Con la guerra Usa/Nato del 2011, viene demolito lo Stato libico e assassinato lo stesso Gheddafi, attribuendo l’impresa a una «rivoluzione ispiratrice» che gli Usa si dicono fieri di sostenere, creando «una alleanza senza eguali contro la tirannia e per la libertà». Viene demolito quello Stato che, sulla sponda sud del Mediterraneo di fronte all’Italia, manteneva «alti livelli di crescita economica» (come documentava nel 2010 la stessa Banca mondiale), con un aumento medio del pil del 7,5% annuo, e registrava «alti indicatori di sviluppo umano» tra cui l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e, per il 46%, a quella di livello universitario. Nonostante le disparità, il tenore di vita della popolazione libica era notevolmente più alto di quello degli altri paesi africani. Lo testimoniava il fatto che trovavano lavoro in Libia oltre due milioni di immigrati, per lo più africani.

In Libia le prime vittime sono proprio gli immigrati dall’Africa subsahariana che, perseguitati, sono costretti a fuggire. Molti, spinti dalla disperazione, tentano la traversata del Mediterraneo verso l’Europa. Quelli che vi perdono la vita sono anch’essi vittime della guerra con cui la Nato ha demolito lo Stato libico.
 
L’inizio della guerra contro la Siria
Nell’ottobre 2012 il Consiglio atlantico denuncia «gli atti aggressivi del regime siriano al confine sudorientale della Nato», pronto a far scattare l’articolo 5 che 
impegna ad assistere con la forza armata il paese membro «attaccato», la Turchia. Ma è già in atto il «non-articolo 5» – introdotto durante la guerra alla Iugolavia e applicato contro l’Afghanistan e la Libia – che autorizza operazioni non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza. Eloquenti sono le immagini degli edifici di Damasco e Aleppo devastati con potentissimi esplosivi: opera non di semplici ribelli, ma di professionisti della guerra infiltrati. Circa 200 specialisti delle forze d’élite britanniche Sas e Sbs – riporta il Daily Star – operano in Siria, insieme a unità statunitensi e francesi. 

La forza d’urto è costituita da una raccogliticcia armata di gruppi islamici (fino a poco prima bollati da Washington come terroristi) provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi. Nel gruppo di Abu Omar al-Chechen – riferisce l’inviato del Guardian ad Aleppo – gli ordini vengono dati in arabo, ma devono essere tradotti in ceceno, tagico, turco, dialetto saudita, urdu, francese e altre lingue. Forniti di passaporti falsi (specialità Cia), i combattenti affluiscono nelle province turche di Adana e Hatai, confinante con la Siria, dove la Cia ha aperto centri di formazione militare. Le armi arrivano soprattutto via Arabia Saudita e Qatar che, come in Libia, fornisce anche forze speciali. 

Il comando delle operazioni è a bordo di navi Nato nel porto di Alessandretta. A Istanbul viene aperto un centro di propaganda dove dissidenti siriani, formati dal Dipartimento di stato Usa, confezionano le notizie e i video che vengono diffusi tramite reti satellitari. La guerra Nato contro la Siria è dunque già in atto, con la motivazione ufficiale di aiutare il paese a liberarsi dal regime di Assad. Come in Libia, si è infilato un cuneo nelle fratture interne per far crollare lo Stato, strumentalizzando la tragedia delle popolazioni travolte. 

Una delle ragioni per cui si vuole colpire e occupare la Siria è il fatto che Siria, Iran e Iraq hanno firmato nel luglio 2011 un accordo per un gasdotto che, entro il 2016, dovrebbe collegare il giacimento iraniano di South Pars, il maggiore del mondo, alla Siria e quindi al Mediterraneo. La Siria, dove è stato scoperto un altro grosso giacimento presso Homs, potrebbe divenire in tal modo un hub di corridoi energetici alternativi a quelli attraverso la Turchia e altri percorsi, controllati dalle compagnie statunitensi ed europee. 
 
(3 - continua)