Informazione



L'umanità diventi consapevole della necessità della pace mondiale

14 Gennaio 2014

di Socorro Gomes, presidente del Consiglio Mondiale della Pace | da www.vermelho.org.br

Traduzione di Milena Fiore per Marx21.it


È questo l’eloquente titolo dell’intervento della compagna Socorro Gomes, presidente del Consiglio Mondiale della Pace, che ha partecipato alla 19ª Conferenza Rosa Luxemburg (Berlino, 11 gennaio 2014), organizzata dai movimenti pacifisti e da altri movimenti sociali tedeschi, a cui hanno preso parte tra gli altri Denis Goldberg, attivista per i diritti sociali e compagno di lotta dell'ex presidente Nelson Mandela, Michel Chossudovsky, l’ex il Ministro degli Affari Esteri jugoslavo Zivadin Jovanovic, Bernd Riexinge, esponente del Partito della Sinistra tedesca (Die Linke), Monty Schädel, leader dell'Associazione tedesca per la Pace, e Jamal Hart, fratello del giornalista detenuto politico statunitense Mumia Abu-Jamal che ha letto un messaggio indirizzato alla conferenza.

L’intervento della compagna Gomes è un appello alla mobilitazione contro il militarismo, i piani aggressivi ed espansionistici dell’imperialismo e le tendenze alla guerra che, in corrispondenza con l’aggravarsi della crisi economica, si fanno sempre più preoccupanti.


La costruzione di una lotta di massa è nella nostra epoca particolarmente complessa, poiché – come ha affermato Socorro – “riflette la complessità del mondo contemporaneo, i cambiamenti nella relazioni delle forze politiche suscitati dai cambiamenti geopolitici degli ultimi due decenni. Riflette anche i cambiamenti sociali ed economici, lo sviluppo delle forze produttive e i nuovi fenomeni della società contemporanea.”

Allo stesso tempo si estende il campo delle forze sociali e dei popoli colpiti dalle politiche imperialistiche. L’insieme di queste due condizioni rende necessaria e possibile una lotta per la pace vasta e unitaria che coinvolga sul piano internazionale interi paesi e popoli e settori sempre più vasti della società.

Segue il testo integrale della dichiarazione di Socorro Gomes:


Compagne e compagni, signore e signori,

Quest’anno ricorre il centenario di uno dei più sanguinosi conflitti militari della storia, che ha fatto pagare un altissimo prezzo all'Umanità. Cento anni fa, il 31 luglio 1914, è stata dichiarata la Prima guerra mondiale, una carneficina che ha provocato la morte di circa 10 milioni di persone, un numero triplo di feriti, e ha generato un grande danno economico, con la devastazione dei campi e la distruzione delle industrie. In Germania, due grandi rivoluzionari ebbero il coraggio di denunciare la guerra e si rifiutarono di sostenerla. Erano Karl  Liebknecht e Rosa Luxemburg.

Per Rosa, la Prima guerra mondiale fu il risultato di un conflitto interimperialisticico, che poteva portare a due risultati diversi: la fine del capitalismo o la regressione della civiltà umana, per cui divenne famosa la sua frase: “socialismo o barbarie”.

Quella guerra fu la conseguenza dei gravi problemi economici, sociali e geopolitici nelle principali nazioni europee, in un’epoca in cui il capitalismo raggiungeva una nuova fase, l'imperialismo, caratterizzato dal capitalismo monopolistico, dal dominio del capitale finanziario, dall'esportazione di capitali, dal saccheggio di materie prime, dall’accaparramento dei mercati, da una sempre più intensa concorrenza e da una lotta feroce tra le potenze politiche e militari per la spartizione del mondo.

Le classi dominanti dell’epoca, a fronte di diversi nazionalismi, competevano per il dominio delle risorse, dei mari, dei continenti e dei popoli del pianeta.

Più i paesi  europei erano industrializzati, più forte era la lotta tra loro, non solo per il dominio dell'Europa, ma anche per modernizzare le proprie economie a scapito delle altre nazioni.

Una competizione feroce per le fonti di materie prime e il mercato mondiale ha portato i paesi imperialisti a investire ingenti risorse nella tecnologia di guerra e nella produzione di armi, costruendo così potenti eserciti. Queste potenze svilupparono le cosiddette politiche delle alleanze, la diplomazia segreta e firmarono trattati politici e militari che divisero i paesi in blocchi. La divisione vedeva da un lato la Germania, l'Italia e l'Impero Austro-ungarico, che formavano un primo blocco, e un altro blocco fra Inghilterra, Francia e Russia, che crearono la Triplice Intesa.

“Lottare  per la pace è la più sacra delle lotte”, disse Jean Jaurés, uno dei leader più vivaci del movimento per la pace del 20esimo secolo, assassinato il giorno stesso in cui fu dichiarata la Prima guerra mondiale. Ricordando la sua azione pacifista e il suo martirio nel preludio dello scoppio della Prima guerra mondiale, riaffermiamo il nostro impegno e la nostra concezione quanto alla priorità di questa lotta per il destino dell'umanità.

Incessantemente, come Consiglio Mondiale della Pace e organizzazioni affiliate, sommiamo i nostri sforzi - e dobbiamo farlo sempre di più - a quelli di tutte le donne e gli uomini progressisti, di tutti gli attivisti sociali e politici nel condannare gli atti di guerra, interventismo, gli attacchi, l'uso della forza, il militarismo, le alleanze politiche tra paesi imperialistici contro le nazioni più deboli. Siamo solidali con i popoli e le nazioni attaccate, difendiamo la cooperazione internazionale, l'autodeterminazione dei popoli, il principio della sovranità nazionale e del non-intervento, la risoluzione pacifica dei conflitti e delle differenze tra gli Stati e l’esercizio di un ruolo attivo in questa direzione da parte di istituzioni internazionali credibili, democratiche, multilaterali e veramente legate al diritto internazionale.

Non illudiamoci, però. La vera pace non sarà raggiunta, finché perdureranno le relazioni di dominio e di oppressione, di classi e tra nazioni, finché vivrà e crescerà il sistema imperialista, che impone relazioni sociali ed economiche ingiuste, come politiche basate sulla forze e sulle aggressioni. La pace può solo prendere forma solo con la vittoria della lotta dei popoli di tutto il mondo un nuovo ordine politico, economico e sociale con caratteri profondamente diversi da quelli oggi prevalenti, ossia con la costruzione di una nuova società.

L'esperienza storica, non solo della Prima guerra mondiale che ho citato qui, ma anche della Seconda guerra mondiale, scoppiata pure in un contesto di conflitti interimperialistici e nel tentativo di distruggere il socialismo in Unione Sovietica, dimostra che le guerre non sono frutto del caso o della decisione personale di presidenti, generali, sovrani e dittatori.

Le guerre derivano dallo sviluppo di leggi economiche e sociali oggettive, sono un fenomeno connesso con l'imperialismo. Tuttavia, non siamo fatalisti. La guerra non è inevitabile, nonostante le tendenze aggressive delle potenze imperialiste. È possibile invertire il corso degli eventi ed evitare tragedie ulteriori se i lavoratori e i popoli lotteranno per i propri diritti, per l’autodeterminazione e la pace, e quindi impediranno il concretizzarsi dei piani imperialisti.

La dominazione imperialista, volta a ottenere il massimo profitto a favore dei monopoli e dell'oligarchia finanziaria, comporta necessariamente l'uso della forza bruta, la conquista di nuovi territori, fonti di materie prime e mercati per l'esportazione di capitali e merci. Nell'epoca dell'imperialismo, dopo che le grandi potenze capitaliste si sono divise tra loro il dominio del mondo, qualsiasi modifica dei rapporti di forze tra loro porta alla lotta per una nuova spartizione del mondo, che in genere produce la guerra.

Compagne e compagni, signore e signori,

Il mondo di oggi vive una situazione completamente diversa dai periodi della prima e della seconda guerra mondiale, ma l'essenza dell'imperialismo non cambia.

L'attuale congiuntura internazionale è fortemente segnata da una profonda crisi economica, che mette in evidenza la natura predatrice e oppressiva del sistema capitalista-imperialista.

La grande borghesia monopolistica-finanziaria e governi al suo servizio muovono una brutale offensiva  contro i diritti dei lavoratori e dei popoli e saccheggiano  sfrenato della ricchezza dei paesi.

La crisi ha dei costi inestimabili per le masse, il cui tenore di vita e i cui diritti vengono attaccati. La disoccupazione, la fame e la miseria rappresentano uno scenario dantesco nei paesi capitalistici sviluppati o meno.

La crisi rende più acute le contraddizioni e la lotta tra le potenze imperialiste per i mercati, le materie prime, il controllo dei mari e degli oceani e delle regioni strategiche, che può essere ottenuto solo con l'aumento del militarismo, con la moltiplicazione delle basi militari, con gli interventi e gli atti di aggressione contro paesi e popoli sovrani. In questo contesto, è fondamentale notare che la crisi del sistema capitalista-imperialista aumenta il rischio di guerra, sia di guerre locali, sia di scontri su più vasta scala.

Compagne e compagni, signore e signori,

le minacce alla pace mondiale e all'autodeterminazione dei popoli provengono da una offensiva imperialista, militarista e antidemocratica brutale condotta dall'imperialismo degli Stati Uniti e di altre potenze, in particolare quelle che egemonizzano l'Unione europea e compongono la NATO.

Ci sono molte componenti di questa offensiva, così come sono diversi i focolai di guerra.

Esattamente tre anni fa, una coalizione di potenze imperialiste ha attaccato la Libia con il pretesto della democratizzazione del paese. Nuovi conflitti sono sorti nella regione a seguito della disgregazione causata dall'intervento in Libia, che, a sua volta, viene utilizzata come pretesto per nuovi interventi nel nord-ovest dell'Africa. Nel contesto dell'apertura di questi nuovi fronti di guerra in Africa, i paesi imperialisti sono impegnati nella creazione di AFRICOM, il Comando Africano per coordinare le ingerenze e le aggressioni militari. 

La situazione in Medio Oriente continua a essere il principale obiettivo della strategia militarista e interventista degli Stati Uniti. Un bilancio dei principali problemi del Medio Oriente include, inevitabilmente, il ruolo di questa potenza come responsabile per le violenze e l’instabilità nella regione.

Continua il genocidio perpetrato dai sionisti israeliani contro il popolo martire della Palestina, vittima della lunga occupazione. Persiste l’aggressione imperialista contro la Siria, destabilizzando e alimentando il pericolo di un conflitto in tutta la regione; prosegue di fatto l’occupazione dell'Iraq, ora lacerata da un terribile guerra civile; l'Afghanistan e l'Iran continuano a essere sotto i riflettori dell'imperialismo.

Nel conflitto tra Israele e i palestinesi, nell'accordo nucleare con l'Iran, nel conflitto in Siria e nell'uso di droni per gli attacchi in Asia centrale, gli Stati Uniti sono attivamente coinvolti nelle questioni di maggiore rilevanza nella regione, giocando sempre un ruolo interventista e schierandosi sempre contro gli interessi dei popoli.

L'instabilità che domina la regione è chiaramente determinata dalle relazioni statunitensi, attraverso la loro alleanza incrollabile col sionismo e lo Stato aggressivo di Israele, così come con le monarchie autocratiche della regione, tra cui l'Arabia Saudita.

In Afghanistan, più di un decennio è passato dall'invasione criminale guidata dal governo dell’ex presidente George W. Bush.

La smilitarizzazione e l'indipendenza afghana sono le condizioni fondamentali per lo sviluppo di questo paese centro-asiatico. Il paese sta vivendo una situazione di estrema povertà e vulnerabilità. Eppure, gli Stati Uniti fanno pressione sul governo afghano per mantenere le loro truppe nel Paese oltre il 2014, termine concordato per il ritiro completo, al punto che il presidente del paese, Hamid Karzai, certo non sospetto di essere anti-imperialista, ha detto che gli Stati Uniti hanno atteggiamento colonialista.

In Egitto, le forze armate sono tornate al potere. La relazione delle classi dominanti egiziana con gli Stati Uniti, malgrado le contraddizioni, è un'eredità dagli accordi di Camp David del 1970, con Israele, che assicurarono all’Egitto il miliardario bilancio militare annuale degli Stati Uniti. Nelle prossime settimane, l’attuazione di un referendum per approvare la Costituzione - redatta da una commissione del governo ad interim, sostenuto dall'esercito - avrà ancora molti ostacoli da superare.

La dominazione e la spartizione colonialista in tutta la regione hanno lasciato segni profondi e hanno fatto sì che le divisioni settarie prevalessero, politicamente manipolate e strumentalizzate dalle potenze. L'amministrazione del presidente Barack Obama segue la tradizione, la lunga scia dell’ingerenza politica, “sottile” o aggressiva, che era stata intensificata dal presidente George W. Bush nella sua "guerra contro il terrorismo”.

Obama è stato attivamente impegnato nelle sanzioni contro l'Iran - una politica iniziata nel 1979, quando la Rivoluzione islamica rovesciò la monarchia autocratica sostenuto dagli Stati Uniti – e nel provocare un intervento militare contro la Siria, entrambe operazioni miseramente fallite, ma che hanno segnato un periodo importante dell’anno scorso. Obama rimase isolato mentre invocava un intervento militare in Siria, come i suoi sostenitori, il Regno Unito e la Francia; l’intervento militare è stato impedito dai loro stessi Parlamenti e dalle proteste civili, cui si sono aggiunte potenze come la Russia e la Cina che hanno esercitato pressione politica e diplomatica.

È stato in questo contesto che tanto nella questione del conflitto siriano quanto nel programma nucleare iraniano, il presidente degli Stati Uniti è stato costretto a sedersi al tavolo dei negoziati.

In Siria, come in Libano, le tensioni etniche sono intensificate. Diventa sempre più evidente che i conflitti armati sono qualcosa di costruito dall'esterno, da molti attori: gli Stati Uniti, Regno Unito, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Israele. L'ingerenza straniera nel paese è evidente su più fronti: politico, militare, finanziario e dei media. 

La manipolazione delle informazioni, l'invio di mercenari, armi ed estremisti religiosi sono le strategie più evidenti, ma lo diventano ancora di più con l'aggressività dei discorsi di Obama e dei capi di Stato di Regno Unito e Francia e dei rappresentanti della monarchia saudita e del sionismo.

L'evento non ancora chiarito dell’attacco chimico nella regione di Ghutta, vicino a Damasco, che ha ucciso numerosi civili, sembrava il pretesto perfetto per le grandi potenze per intervenire con discorsi infuocati e messe in scena su una "linea rossa", con l'uso di armi chimiche; e resta un attacco la cui paternità non è ancora stata stabilita, nemmeno dagli ispettori internazionali, che indagano nel Paese su invito del governo.

Con un gesto diplomatico, la Siria ha ratificato la Convenzione per la proibizione delle armi chimiche, ha invitato gli ispettori internazionali per indagare e per accompagnare la distruzione del suo arsenale e della capacità di produrre armi chimiche, e ha poi proseguito, sollecitando l’opposizione a sedersi al tavolo delle trattative, definendo, con la partecipazione fondamentale di Russia, una data per la conferenza internazionale di Ginevra 2. Nel frattempo, i gruppi armati subiscono continue sconfitte militari.

Dall’altra parte, Israele mantiene uno stock di testate nucleari non dichiarate, si rifiuta di adottare la Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche e il Trattato di non proliferazione nucleare e continua a impedire la visita degli ispettori dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA).

C'è più di un esempio di quello che praticamente solo l'alleanza con gli Stati Uniti è in grado di garantire allo Stato sionista: intraprendere discorsi e azioni aggressive, possedere armi nucleari e chimiche - e, in questo caso, usarli senza conseguenze, come è successo in Libano e nella Striscia di Gaza nelle guerre più recenti - e continuare così indisturbato.

L'allargamento del conflitto in Siria è evidente anche in Libano. Il paese tenta di rinnovare un governo dai contorni complessi, distribuito secondo la Costituzione tra le diverse linee religiose, ma le tensioni interne e l'instabilità regionale rendono questo un obiettivo impegnativo. Le forze destabilizzatrici, secondo la sinistra libanese, hanno impegnato sforzi decisivi per disgregare il paese, acuendo le principali divisioni politiche interne.

Il militarismo è inseparabile dalla strategia politica dell'imperialismo. I principali paesi membri della NATO hanno aumentato le loro spese militari. La NATO, dal tempo delle guerre che distrussero la ex Jugoslavia, ha accresciuto il suo ruolo e rafforzato il suo carattere di braccio armato dell'imperialismo USA e dell'Unione europea per consentire gli interventi armati nel continente europeo e fuori di esso, rafforzando intanto la militarizzazione dei blocchi politici ed economici.

La strategia militare dell'amministrazione di Barack Obama mantiene l'obiettivo di installare un sistema di difesa antimissilistico e di rafforzare il patto militare aggressivo della NATO. Questa strategia prevede la persecuzione e l’assassinio di persone "sospettate di praticare o di pianificazione atti terroristici". Ultimamente, il Pentagono ha accresciuto le motivazioni invocate in precedenza per intensificare le sue azioni militari col pretesto delle "minacce informatiche".

La "Dottrina Obama" conferma i piani di attacchi militari preventivi o le rappresaglie militari contro le minacce per la "sicurezza nazionale", i "diritti umani" e la “democrazia”.

Inoltre, l'imperialismo statunitense ha installato basi militari in tutti i continenti. Domina i mari, i continenti e lo spazio aereo, oltre ad essere la più grande potenza nucleare al mondo.

La militarizzazione è uno dei principali aspetti della situazione internazionale ed è l'aspetto essenziale della politica imperialista per opprimere i popoli e garantire i propri interessi. La NATO ha aumentato il numero dei suoi membri e ha ampliato la sua area di operazioni, aumenta costantemente la sua spesa militare e investe nella creazione di nuove armi. Partecipa a numerose operazioni militari in varie regioni. Pretesti come la "lotta al terrorismo" e l’instaurazione della "democrazia" sono stati ampiamente utilizzati nel tentativo di legittimare l'espansione delle operazioni militari della NATO in nuove aree geografiche.

L’America Latina e i Caraibi sono inclusi in queste concezioni e azioni militariste della Dottrina Obama e nell’obiettivo della sua offensiva destabilizzante. La Quarta Flotta della Marina di Guerra degli Stati Uniti, le 76  basi militari, la crescita delle forze armate e degli arsenali degli Stati Uniti per intervenire in qualunque parte della regione, il sabotaggio sistematico dei governi progressisti, il blocco a Cuba e i tentativi di sconfiggere la Rivoluzione Bolivariana, tutto questo è incluso nella Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Le provocazioni contro la Repubblica popolare democratica di Corea; le crescenti tensioni nei territori dell'ex Unione Sovietica contro la Federazione Russa, la militarizzazione del Sud Pacifico e le crescenti provocazioni rivolte contro la Cina - sono anche essi elementi della strategia aggressiva ed espansionista dell'imperialismo.

Compagne e compagni, signore a signori,

65 anni fa, quando l'umanità usciva dal buio del fascismo e conquistava la democrazia con la vittoria dei popoli e delle forze antifasciste nella Seconda guerra mondiale, il Consiglio Mondiale della Pace fu istituito per organizzare la lotta contro le minacce di una nuova guerra e la minaccia di catastrofe nucleare.

In quel momento, quando poi le forze oscurantiste dell'imperialismo rivelavano le loro mire egemoniche e la loro volontà di giungere fino alle estreme conseguenze per garantire i loro obiettivi, gli intellettuali e gli operai progressisti di tutto il mondo si riunirono per scongiurare i nuovi pericoli con cui si confronta l'umanità.

Meno di cinque anni prima sorsero le Nazioni Unite, il cui obiettivo principale era quello di creare e mettere in atto meccanismi che consentivano la sicurezza internazionale, lo sviluppo economico, la definizione del diritto internazionale, il rispetto dei diritti umani e il progresso sociale. Assicurare la pace globale, opporsi a qualsiasi conflitto armato, dirimere pacificamente le controversie tra Stati nazionali e garantire la piena sovranità nazionale e l'autodeterminazione dei popoli, sono stati e sono tuttora i nobili principi, gli ideali e gli obiettivi a cui aderiscono tutti gli amanti della pace nel mondo.

Nel corso della sua storia, il Consiglio Mondiale della Pace ha sostenuto questi principi e si è opposto con parole e azioni alle guerre imperialiste, alle violazioni del diritto internazionale, all'interventismo che tradisce e svia l'autodeterminazione dei popoli.

Il Consiglio Mondiale della Pace, con ancora maggiore ragione oggi e in considerazione della complessa situazione internazionale qui esposta, esprime la sua profonda e radicale opposizione alla crescente aggressività dell'imperialismo, un sistema che provoca guerre, miseria e distruzione per garantire i profitti del grande capitale e dei monopoli transnazionali.

È nostro principio inalienabile la completa solidarietà con i popoli che lottano contro tutti i tipi di minacce e interventi imperialisti, con i popoli sotto occupazione e con tutti i popoli che lottano per il diritto di determinare liberamente e democraticamente il proprio futuro.

Il Consiglio Mondiale della Pace sostiene in via di principio l'abolizione di tutte le armi nucleari e denuncia coloro che ammettono il loro utilizzo in un primo attacco. Facciamo nostro il motto dei nostri fondatori secondo cui in qualunque circostanza l'attacco nucleare dovrebbe essere evitato e l'uso delle armi nucleari è un crimine contro l'umanità.

Difendiamo la pace mondiale, così come la giustizia sociale, la distribuzione del reddito e della ricchezza, la democrazia, la sovranità nazionale e lo sviluppo.

Lottiamo per la pace nel mondo, contro le guerre di occupazione, in difesa della sovranità di tutti i popoli e di tutte le nazioni.

Denunciamo i crimini di guerra, i massacri di civili, la pratica aberrante della tortura e difendiamo i diritti umani;

Offriamo la solidarietà a tutti i popoli che lottano per i loro diritti sociali e politici e per la loro autodeterminazione.

Nel nome di questi principi e di questi impegni, il Consiglio Mondiale della Pace invita tutti a unire i loro sforzi per la pace come condizione per la libertà, la lotta alla povertà, la protezione della natura, lo sviluppo nazionale, la democrazia e l'indipendenza, rafforzando lo spirito di solidarietà con l'umanità intera.

L'umanità deve prendere coscienza della necessità urgente della pace nel mondo in modo da poter organizzare la vita delle persone e godere delle conquiste scientifiche che hanno arricchito la conoscenza umana.

In tutto il mondo i popoli manifestano contro le guerre, la violenza e le ingiustizie che sono state provocate da oligarchie che detengono il potere assoluto sul pianeta attraverso la concentrazione delle risorse economiche, politiche e militari. In difesa della democrazia, i popolo condannano l'autoritarismo crescente che li trasformano in schiavi dei diktat imperialisti.

La lotta per la pace è una lotta di tutti i popoli, una lotta dei lavoratori, dei giovani, delle donne, degli intellettuali, indipendentemente dalle ideologie, le organizzazioni politiche, le filosofie e i credi religiosi. Il Consiglio Mondiale della Pace si considera uno degli strumenti di questa lotta ed è disposto a lavorare con tutti coloro che si mobilitano per organizzare la lotta contro la guerra e i suoi fautori.

Una lotta di massa oggi è complessa, riflette la complessità del mondo contemporaneo, i cambiamenti nella relazioni delle forze politiche suscitati dai cambiamenti geopolitici degli ultimi due decenni. Riflette anche i cambiamenti sociali ed economici, lo sviluppo delle forze produttive e i nuovi fenomeni della società contemporanea.

La lotta per la pace si sviluppa in questo contesto ed è trasversale fra le altre lotte politiche, economiche e sociali. Il suo successo dipende dalla mobilitazione e dall’unità delle forze progressiste e di tutti i settori sociali suscettibili di unirsi e mobilitarsi, poiché il nemico è potente.

È per questa unione che ci rivolgiamo e facciamo appello a tutti, nella certezza che, nonostante la sua brutalità e la sua forza l'imperialismo non è invincibile e sarà sconfitto dall’unione e dalla lotta dei popoli.




L'INTERVISTA


Mihajlovic: «Vi racconto la mia Serbia, 
prima bombardata e poi abbandonata»


L'intervento Nato dieci anni fa. Sinisa: dagli americani soltanto morte


Non rinnega, perché è fiero. Non ha vergogna, perché non c’è paura. Parlare di forza del gruppo, spogliatoio coeso non è il suo rifugio. Per star comodamente al mondo, anche in quello del calcio, basta dire ovvie banalità. Si fa così, è il protocollo da conferenza stampa. Racconta niente, ma basta a sfamare tutti. Sinisa Mihajlovic no. Non la prende mai alla larga, non ci gira attorno. Va dentro il problema, lo spacca, lo analizza. Poi lo ripone daccapo, con un’altra domanda e una nuova ancora, finché sei tu a cercare risposte e a dover ricomporre certezze sgretolate. Mihajlovic è una persona forte, cresciuto sotto il generale Tito, svezzato da due guerre, indurito dall’orgoglio della sua Serbia. Gli storici sogni di grandezza del Paese sono scomparsi, resta a mala pena la voglia di farcela a sopravvivere. L’allenatore del Bologna è un «privilegiato», almeno così dice chi guarda da fuori. E in fondo è vero. Aveva notorietà e miliardi in tasca quando sulla sua casa piovevano bombe. Aveva tutto, ha ancora l’umiltà di non dimenticare da dove viene e chi è.


Il 24 marzo 1999 la Nato cominciò i bombardamenti sulla Federazione Jugoslava. Quando l’hai saputo? Dov’eri? 
«In ritiro con la nazionale slava. La notte prima ci avvisarono che la guerra sarebbe potuta cominciare. Eravamo al confine con l’Ungheria, la Federazione ci trasferì in fretta a Budapest. La mattina dopo sulla Cnn c’erano già i caccia della Nato che sventravano la Serbia». 

Qual è stata la tua prima reazione? 
«Ho contattato i miei genitori, stavano a Novi Sad. Li ho fatti trasferire a Budapest, ma papà non voleva. Da lì siamo partiti per Roma (ai tempi giocava nella Lazio, ndr), ma dopo due giorni mio padre Bogdan ha voluto tornare in Serbia. Mi disse: "Sono già scappato una volta da Vukovar a Belgrado durante la guerra civile. Non lo farò ancora, non potrei più guadare i vicini di casa quando i bombardamenti finiranno". Prese mia madre Viktoria e se ne andarono. Ero preoccupato, ma fiero di lui». 

Dieci anni dopo come giudichi quella guerra? 
«Devastante per la mia patria e il mio popolo. A Novi Sad c’erano due ponti sul Danubio: li fecero saltare subito. Ci misero in ginocchio dal primo giorno. Prima della guerra per andare dai miei genitori dovevo fare 1,4 km, ma senza ponti eravamo costretti a un giro di 80 chilometri. Per mesi la gente ha sofferto ingiustamente. Bombe su ospedali, scuole, civili: tutto spazzato via, tanto non faceva differenza per gli americani. Sul Danubio giravano solo delle zattere vecchie. Come la giudico? Ho ricordi terribili, incancellabili, inaccettabili». 

Ma la reazione della Nato fu dettata dalla follia [sic] di Milosevic. La storia dice [sic] che fu lui a provocare [sic] quella guerra. 

«Siamo un popolo orgoglioso. Certo tra noi abbiamo sempre litigato, ma siamo tutti serbi. E preferisco combattere per un mio connazionale e difenderlo contro un aggressore esterno. So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta». 

L’hai conosciuto? 
«Ci ho parlato tre-quattro volte. Aveva una mia maglietta della Stella Rossa di Belgrado e mi diceva: Sinisa se tutti i serbi fossero come te ci sarebbero meno problemi in questa terra». 

Il tuo rapporto con gli americani? 
«Non li sopporto. In Jugoslavia hanno lasciato solo morte e distruzione. Hanno bombardato il mio Paese, ci hanno ridotti a nulla. Dopo la Seconda Guerra Mondiale avevano aiutato a ricostruire l’Europa, a noi invece non è arrivato niente: prima hanno devastato e poi ci hanno abbandonati. Bambini e animali per anni sono nati con malformazioni genetiche, tutto per le bombe e l’uranio che ci hanno buttato addosso. Che devo pensare di loro?». 

Rifaresti tutto ciò che hai fatto in quegli anni, compreso il necrologio per Arkan? 
«Lo rifarei, perché Arkan era un mio amico: lui è stato un eroe per il popolo serbo. Era un mio amico vero, era il capo degli ultras della Stella Rossa quando io giocavo lì. Io gli amici non li tradisco né li rinnego. Conosco tanta gente, anche mafiosi, ma non per questo io sono così. Rifarei il suo necrologio e tutti quelli che ho fatto per altri». 

Ma le atrocità commesse? 
«Le atrocità? Voi parlate di atrocità, ma non c’eravate. Io sono nato a Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza lì. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. È come se oggi i bolognesi decidessero di far piazza pulita dei pugliesi che vivono nella loro città. È giusto? Arkan venne a difendere i serbi in Croazia. I suoi crimini di guerra non sono giustificabili, sono orribili, ma cosa c’è di non orribile in una guerra civile?» 

Sì, ma i croati... 
«Mia madre Viktoria è croata, mio papà serbo. Quando da Vukovar si spostarono a Belgrado, mia mamma chiamò suo fratello, mio zio Ivo, e gli disse: c’è la guerra mettiti in salvo, vieni a casa di Sinisa. Lui rispose: perché hai portato via tuo marito? Quel porco serbo doveva restare qui così lo scannavamo. Il clima era questo. Poi Arkan catturò lo zio Ivo che aveva addosso il mio numero di telefono. Arkan mi chiamò: "C’è uno qui che sostiene di essere tuo zio, lo porto a Belgrado". Non dissi niente a mia madre, ma gli salvai la vita e lo ospitai per venti giorni». 

Hai nostalgia della Jugoslavia? 
«Certo, di quella di Tito. Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani: solo il generale è riuscito a tenere tutti insieme. Ero piccolo quando c’era lui, ma una cosa ricordo: del blocco dei Paesi dell’Est la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Andavano a fare spese a Trieste delle volte. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e popolo. Quando è morto la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando». 

Sei un nazionalista? 
«Che vuol dire nazionalista? Di sicuro non sono un fascista come ha detto qualcuno per la faccenda di Arkan. Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti. Se nazionalista vuol dire patriota, se significa amare la mia terra e la mia nazione, beh sì lo sono». 

È giusta l’indipendenza del Kosovo?
«Il Kosovo è Serbia. Punto. Non si possono cacciare i serbi da casa loro. No, l’indipendenza non è giusta per niente». 

Dieci anni dopo la guerra cos’è la Serbia? 
«Un paese scaraventato indietro di 50-100 anni. A Belgrado il centro è stato ricostruito, ma fuori c’è devastazione. E anche dentro le persone. Oggi educare un bambino è un’impresa impossibile». 

Perché? 
«Sotto Tito t’insegnavano a studiare, per migliorarti, magari per diventare un medico, un dottore e guadagnare bene per vivere bene, com’era giusto. Oggi lo sapete quanto prende un primario in Serbia? 300 euro al mese e non arriva a sfamare i suoi figli. I bimbi vedono che soldi, donne, benessere li hanno solo i mafiosi: è chiaro che il punto di riferimento diventa quello. C’è emergenza educativa in Serbia. L’educazione dobbiamo far rinascere». 

Sei ambasciatore Unicef da dieci anni e hai aperto una casa di accoglienza per gli orfani a Novi Sad. 
«Sì è vero, ce ne sono 150, ma non ne voglio parlare. So io ciò che faccio per il mio Paese. Una cosa non ho mai fatto, come invece alcuni calciatori croati: mandare soldi per comprare armi». 

L’immagine peggiore che hai della guerra? 
«Giocavo nella Lazio. Apro Il Messaggero e vedo una foto con due cadaveri. La didascalia diceva: due croati uccisi dai cecchini serbi. Uno aveva una pallottola in fronte. Era un mio caro amico, serbo. Lì ho capito, su di noi hanno raccontato tante cose. Troppe non vere».


Guido De Carolis
23 marzo 2009(ultima modifica: 25 marzo 2009)




In merito alle affermazioni di Simone Cristicchi

1) Cristicchi su IL TEMPO parla di CNJ-onlus: la nostra replica e diffida

2) Sulla "tessera onoraria" a Simone Cristicchi: la LETTERA APERTA e le reazioni dell'ANPI


=== 1 ===

Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
Oggetto: In merito alle affermazioni di Simone Cristicchi
Data: 09 gennaio 2014 22:22:38 CET
A: redazione  @iltempo.it, cronache  @iltempo.it, teatro  @iltempo.it

Spett.le Redazione de Il Tempo - con preghiera di pubblicazione: 


Nell'intervista a voi rilasciata da Simone Cristicchi, pubblicata in data 8/1/2014 (*), il cantante reitera una accusa sulla quale va insistendo da settimane pubblicamente in internet - spec. sul suo profilo Facebook - secondo cui la nostra onlus Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia avrebbe commesso una azione illegale pubblicando sul proprio sito presunte "corrispondenze private" del cantante.
Come può verificare chiunque abbia interesse, nella pagina del nostro sito cui si riferisce Cristicchi (**) non è stata pubblicata alcuna corrispondenza "privata" o tale per cui possa configurarsi violazione della privacy di chicchessia. Viceversa, il segretario della nostra associazione ha in quella sede manifestato il suo pensiero, limitandosi a trattare, proprio sul sito della associazione, di fatti storici controversi, esercitando legittimamente un diritto di critica. Critica cui il sig. Cristicchi non può sottrarsi in via generale, a meno che essa non sia ovviamente, per toni o contenuti, lesiva della sua persona. 
Peraltro, nello scambio di opinioni da noi reso pubblico, non è contenuta alcuna informazione, relativa al sig. Cristicchi, che possa essere qualificata come "dato personale". 

Viceversa, nella stessa vostra intervista Cristicchi pone CNJ-onlus in relazione con "episodi di violenza e intimidazione", "insulti e una sospetta ruota squarciata", e qualcuno che indosserebbe "le magliette I love foiba". Tali riferimenti ledono gravemente l'immagine della nostra Onlus, il cui scopo statutario "è la continuazione ed il rilancio di (…) attività culturali, di difesa dei diritti civili e di solidarietà (…) Tali attività hanno finalità di solidarietà sociale e sono dirette ad arrecare beneficio esclusivamente a soggetti svantaggiati" (***).

Diffidiamo il signor Cristicchi dal reiterare accuse diffamatorie infondate nei nostri confronti e/o dal mettere la nostra associazione in relazione con fatti a noi estranei di intolleranza e violenza - che siano essi veri, verosimili, presunti o puramente immaginari.

Per CNJ-onlus, il Direttivo
9 gennaio 2014



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08/01/2014 06:04

LA REPLICA

Cristicchi: «Io e la mia compagnia siamo stati insultati»

Il cantante parla dalla sua pagina Facebook e risponde a chi contesta il suo spettacolo «Magazzino 18»


Simone Cristicchi prende la parola in prima persona. E lo fa dalla sua pagina Facebook. Il cantautore romano risponde a chi lo contesta. A chi contesta il suo spettacolo «Magazzino 18» (che dovrebbe andare in onda in seconda serata il 10 febbraio su Rai1) perché colpevole di essere antipartigiano.
Cristicchi è un artista coraggioso e non si fa intimorire dalle minacce. Neppure da chi ha chiesto la sua espulsione dall’Associazione Nazionale Partigiani. «La tessera mi è stata donata dall’Anpi stessa nel 2010 come attestato di riconoscenza per lo spettacolo con il Coro dei Minatori di Santa Fiora - ha scritto Cristicchi sul suo Facebook - A quanto mi risulta, qualche mese fa la richiesta è già pervenuta all’Anpi, che ha risposto "No" al ritiro della tessera. Ora un’oceanica folla (un centinaio di firmatari) ci sta riprovando, con la benedizione del CNJ, che continua a violare leggi sulla privacy pubblicando mie corrispondenze private sul loro sito».
Ma Cristicchi denuncia anche veri e propri episodi di violenza e intimidazione subìti negli ultimi mesi. «Senza pensare al fatto che io e la mia compagnia abbiamo subìto insulti e una sospetta ruota squarciata durante il tour in Istria - conferma il musicista - Bel modo di esporre le proprie idee! Complimentoni».
Alla lunga prende il sopravvento la rabbia e la voglia di mettere in luce le contraddizioni del movimento. «Detto questo, se da una parte è deludente constatare cotanta presunzione, sono quasi contento che stiano uscendo allo scoperto questi atteggiamenti, le loro critiche campate in aria e la valanga di menzogne sul mio spettacolo. Così mostrano il loro vero volto, in fondo non così diverso dagli estremisti di destra che loro si vantano di "combattere". Si. Indossando le magliette "I love foiba". Da antifascista, sono schifato da tutto ciò. La tessera gliela rispedisco io! In posta prioritaria. Altrimenti, senza tante chiacchiere, si facciano loro uno spettacolo con la loro "sacrosanta" verità. In fondo, ma molto in fondo, siamo un paese democratico, no?»

Carlo Antini


=== 2 ===

LETTERA APERTA ALL’ANPI SUL CASO DELLA “TESSERA ONORARIA” DI SIMONE CRISTICCHI

Da: Appello Anpi <sam.letteranpi(a)gmail.com>
Oggetto: Lettera Aperta all'ANPI sul caso della "tessera onoraria" di Simone Cristicchi
Data: 08 gennaio 2014 15:27:05 CET
A: info(a)anpi.it, Comitato Nazionale ANPI, Segreteria ANPI, Ufficio Stampa ANPI, “Patria Indipendente”, Redazione “Patria”
Cc: CNJ-onlus, Redazione Diecifebbraio.info


Di seguito il testo della nostra Lettera Aperta, già anticipata dalla stampa nazionale. In allegato, in formato PDF, lo stesso testo e l'elenco dei sottoscrittori. Per contatti: sam.letteranpi @ gmail.com
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Cari Voi tutti, Membri del Comitato Nazionale ANPI, Membri dei Comitati Provinciali, Regionali e Soci dell’Associazione Nazionale PARTIGIANI d’Italia, con i suoi 120.000 iscritti,

in qualità di iscritti all’ANPI e quali antifascisti, figli e nipoti di antifascisti, democratici rispettosi della memoria storica della Resistenza, manifestiamo la nostra preoccupazione ed il nostro stupore nell’apprendere che il Sig. Simone Cristicchi (secondo quanto lui stesso sostiene) è membro onorario dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Il Sig. Simone Cristicchi, nell’ambito del suo spettacolo teatrale “Magazzino 18”, che ha come tema la TRASPOSIZIONE di alcuni vissuti drammatici degli esuli d’Istria, di Fiume e Dalmazia, supportato da una direzione artistica, manageriale e da una regia di promozione istituzionale, sembra alimentare a livello mediatico e diffusivo a mezzo web una propaganda politica antipartigiana, che ancor più gravemente si mostra priva di analisi storica, riportando interpretazioni che riteniamo falsino fatti e circostanze, con un esito di palese natura strumentale. La strumentalizzazione delle vicende umane a supporto di idee nazionaliste è resa ancora più insopportabile per il coinvolgimento di minori in scene di violenza, che ci appare presunta ed esagerata.
Evidenziamo inoltre che le tesi, le congetture, i toni delle polemiche, l’accettazione di messaggi e manifestazioni di scherno ed offesa rivolte alla memoria storica della Resistenza sia italiana che jugoslava, presenti nel profilo facebook e in altri siti gestiti dal cantautore, non ci appaiono politicamente ed ideologicamente espressioni vicine alla storia e rispettose dei principi ispiratori dell’ANPI.

Il rifiuto di un confronto scientifico, manifestato da Cristicchi in diverse occasioni e nei diversi spazi di dialogo con il pubblico, molti dei quali gestiti dallo stesso in piena discrezionalità (facilmente reperibili e noti) e il suo apprezzamento verso personaggi quali Maria Pasquinelli* contrapposto ad una continua opera di criminalizzazione della lotta di liberazione del popolo jugoslavo dall’oppressore nazifascista in particolare, costituiscono un’offesa all’Associazione stessa, lo Statuto della quale, nel suo oggetto sociale (art. 2) e soprattutto nel profondo rispetto ed in virtù dell’art. 22 e dell’art. 23, recita:

Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta:
a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni;
b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio;
c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche.
Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, IN QUALITÀ DI ANTIFASCISTI, sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, CON IL PROPRIO IMPEGNO CONCRETO ALLA REALIZZAZIONE E ALLA CONTINUITÀ NEL TEMPO DEGLI SCOPI ASSOCIATIVI, CON IL FINE DI CONSERVARE, TUTELARE E DIFFONDERE LA CONOSCENZA DELLE VICENDE E DEI VALORI CHE LA RESISTENZA, CON LA LOTTA E CON L’IMPEGNO CIVILE E DEMOCRATICO, HA CONSEGNATO ALLE NUOVE GENERAZIONI, COME ELEMENTO FONDANTE DELLA REPUBBLICA, DELLA COSTITUZIONE E DELLA UNIONE EUROPEA E COME PATRIMONIO ESSENZIALE DELLA MEMORIA DEL PAESE.

Per questo, auspichiamo che sia ritirata la tessera di socio ANPI al Sig. Simone Cristicchi, il cui operato e la cui espressione politica non sono riconoscibili in alcun modo nell’essenza dei valori e della cultura della Resistenza partigiana, di ieri e di oggi.

Fraterni saluti



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08/01/2014 06:04

LA POLEMICA

Cristicchi «infoibato». I partigiani si dividono

Sullo show degli esuli istriani l’Anpi nel caos. Si punta a ritirare la tessera al cantautore


La «guerra civile culturale» in Italia non è mai finita. Se intorno a un cantante che mette in scena la «verità storica» sull’esodo istriano, giuliano e dalmata che «condannò» migliaia di italiani alla fame, alla sete e alla morte, si produce ancora uno «squarcio storico», allora siamo ancora lontani da una «storia condivisa». Con «Magazzino 18» andato in scena a Trieste, Simone Cristicchi racconta la verità stabilita dai documenti storici. La verità di italiani, non di fascisti, in fuga dalle «speciali purghe» titine e in cerca dell’agognata libertà. Una verità che a quanto pare può essere raccontata solo dopo una preventiva revisione del «copione» da parte dei «depositari» della verità. E se da una parte la onlus Cnj ha annunciato di aver raccolto qualche centinaio di firme di aderenti all’Anpi per chiedere che a Cristicchi venga ritirata la tessera onoraria dell’associazione dei partigiani, dall’altra c’è chi, fra i rappresentanti dei partigiani, nello spettacolo storico-teatrale di Cristicchi vede una ventata di verità. È il caso di Elena Improta, vicepresidente Anpi Roma, a cui abbiamo chiesto un commento sulla vicenda.

La vicenda Cristicchi ha riaperto una ferita che in realtà non si era mai chiusa. Che posizione ha l’Anpi sulla polemica innescata da «Magazzino 18»?

«Le posizioni nell’associazione non sono univoche. Mi sono informata, ho letto tutto e poi ho parlato con persone che hanno visto lo spettacolo di Cristicchi. Si tratta di iscritti al Partito democratico, persone che hanno avuto parenti deportati ad Auschwitz. Gente, insomma, vicina alla Resistenza e alla lotta di Liberazione. Ebbene, tutti mi hanno riferito che in quello spettacolo non hanno trovato assolutamente nulla di sconvolgente e che si tratta di una polemica assolutamente ideologica. Cristicchi ha solo voluto evidenziare che vanno condannate tutte le forme di violenza che hanno segnato la nostra storia. Non ci possiamo più nascondere».

Qualcuno, come la onlus Cnj, vorrebbe addirittura togliere la tessera onoraria dell’Anpi al cantante per aver ricordato le foibe e il destino di quegli esuli.

«Quelle associazioni e quegli esponenti territoriali dell’Anpi che hanno sottoscritto l’appello contro Cristicchi per il ritiro della tessera perché nel suo spettacolo ha ricordato le foibe, mi sembrano fuori dal mondo. Non c’è nulla di sconvolgente in quelle dichiarazioni. Ricordare quello che furono le foibe non è uno scandalo e nulla toglie al valore della Resistenza e alla lotta partigiana. Se memoria dev’essere, si ricordi tutto. È arrivato il momento di riconoscere che chi scappava da Tito non era fascista, ma cercava la libertà come la cercavano i nostri partigiani. Mi chiedo se chi ha rilasciato certe dichiarazioni abbia realmente visto lo spettacolo di Cristicchi. Il "negazionismo" va condannato a 360 gradi, anche quello sulle foibe».

C’è chi nell’Anpi ha una posizione molto rigida e si accoda alla richiesta di Cnj.

«Le opinioni di chi persegue rigidamente i valori dell’Anpi sono univoche nel senso che ricordano solo la violenza fascista, riconoscono e condannano solo quella, non quella delle foibe. Sto parlando della parte "conservatrice" che fa riferimento o che è vicina ai Comunisti italiani e a Rifondazione comunista. Sbagliano e lo ripeto. Ricordare le foibe non vuol dire negare la Resistenza o la lotta partigiana».

Accanto a Elena Improta c’è Mario Bottazzi, ex combattente partigiano ora nel comitato provinciale dell’Anpi romana. Va oltre, Bottazzi, e si chiede perché non si debbano ammettere nell’Anpi anche persone legate alla destra più moderna e antifascista. Sul «caso Cristicchi» abbiamo sentito anche Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell’Anpi che si chiede: «Chi, come e quando ha deciso di dare la tessera ad honorem a Cristicchi? In ogni caso l’Anpi toglie le tessere solo in casi eccezionali, solo in presenza di gravissimi fatti di indegnità». Sottolinea, il presidente dell’Anpi, che «si occuperà della cosa, lo farà la sezione locale, per verificare di che spettacolo parliamo e di questa tessera ad honorem. Sarà una verifica seria e non improvvisata». E poi prosegue: «In genere sono per rispettare le manifestazioni d’arte, prenderle per quelle che sono e poi discutere. Certe cose non si affrontano a picconate, vanno rispettate. Se poi uno fa uno spettacolo per negare l’esistenza delle camere a gas, allora ci si arrabbia. Se invece affronta qualcosa che è ancora oggetto di discussione, è diverso». Infine Smuraglia ammette che su quegli esuli italiani in fuga da una dittatura perché in cerca della libertà e non in quanto fascisti, «è arrivato il momento di discutere seriamente, di affrontare l’argomento nelle sedi opportune».


Luca Rocca

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Da: Vito Francesco Polcaro
Oggetto: Caso Cristicchi
Data: 09 gennaio 2014 16:51:10 CET

Cari amici,
ho ricevuto la vostra lettera relativa al “caso Cristicchi”.
Pur se non è costume dell’ANPI dare seguito a “lettere aperte” ed “appelli” che tendano ad influenzarne la linea politica, dato che L’ANPI è una struttura organizzata, con le proprie regole democratiche di formazione delle decisioni e le proprie strutture che sono perfettamente in grado di farle rispettare, rispetto al caso in questione mi preme informarvi che:

1) Il Sig. Cristicchi NON risulta iscritto all’ANPI nella Provincia di Roma
2) La “tessera onoraria” non è mai stata prevista dallo Statuto dell’ANPI. In passato, questa forma è stata in alcune occasioni utilizzata come riconoscimento per una qualche iniziativa che ha dato un contributo alla memoria della Resistenza e della Guerra di Liberazione, ma doveva essere intesa solo come una sorta di premio relativo all’iniziativa in questione e non come una prova di effettiva appartenenza all’Associazione, se ad essa non avesse poi fatto seguito una regolare richiesta di una tessera ordinaria, approvata dal Comitato Provinciale competente per territorio. In ogni caso, il Regolamento Nazionale entrato in vigore nel 2012 non prevede tali riconoscimenti e quindi le “tessere onorarie” concesse in precedenza non esistono più. Non esistendo, non possono neppure essere ritirate.
3) L’UNICA POSIZIONE UFFICIALE DELL’ANPI riguardo al caso in questione è quella espressa dal Presidente Nazionale dell’ANPI, Prof. Carlo Smuraglia, nell’intervista rilasciata al “Tempo” in data 8 gennaio 2014.

Cordiali saluti
Vito Francesco Polcaro
Presidente del Comitato Provinciale ANPI di Roma



 

----Messaggio originale----
Da: Daniel Salvatore Schiffer
Data: 06/01/2014 14.04
Ogg: ma tribune sur BHL et Sarajevo

Bonjour,

J'ai le plaisir de vous informer que le site du magazine "BH Info.fr", publié en France mais lié aux informations en provenance de la Bosnie-Herzégovine, a mis très objectivement à la "une" de sa dernière édition hebdomadaire la tribune, intitulée "La Bosnie rêvée, plus que réelle, de Bernard-Henri Lévy", que le site de la RTBF (Radio-Télévision Belge Francophone) m'a fait l'honneur de publier le 23 décembre dernier. 

Par ailleurs, les sites des journaux en ligne français "Mediapart" et "Agoravox" ont également publié, les jours derniers, cet article, qui se trouve aussi sur mon blog ("La Vérité des Masques") du Nouvel Observateur. Cet article, apparemment, fait du bruit!

Bonne année à vous!
Daniel Salvatore Schiffer
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IDEES - TRIBUNE

Le discours de Sarajevo : "truffé d’erreurs de jugement et d’inexatitudes"

dimanche 5 janvier 2014 par BH Info

Le site Internet de la RTBF a publié le 23 décembre 2013 un article signé Daniel Salvatore Schiffer, considéré comme pro-serbe, critiquant fortement le discours prononcé lors de la dernière visite à Sarajevo par Bernard-Henri Lévy qui l’a consacré citoyen d’honneur. Un discours que le philosophe juge "truffé d’erreurs de jugement et d’inexactitudes" et "emplie d’approximation et de contre-vérités".

Le 25 novembre dernier, il y a donc un mois presque jour pour jour, Bernard-Henri Lévy se voyait décerner le titre de citoyen d’honneur de Sarajevo, en guise de remerciement, selon les autorités politiques et administratives de cette ville, pour ses " témoignages des souffrances du peuple bosnien pendant la guerre intercommunautaire de 1992-1995 ". Soit : tant mieux pour Lévy, qui se trouve ainsi gratifier, fût-ce de manière exagérée, de cette prestigieuse récompense. Le discours qu’il prononça, lors de cette très protocolaire cérémonie, était d’ailleurs assez beau, empli des plus nobles idéaux de l’humanisme quoique truffé d’inexactitudes et même si son ego hypertrophié ne put certes l’empêcher d’en profiter, une fois de plus, pour mettre sa propre personne en évidence, tout en écornant, par la même occasion, celle de François Mitterrand, dont il ne craignit pas de déclarer là, au mépris de toute réalité, qu’il avait en fait " voté contre la Bosnie-Herzégovine et contre Sarajevo asphyxiée par un siège de plus de mille jours. "

Révisionnisme historique

Il est vrai que BHL, philosophe aussi médiatisé que discrédité en France, n’en est plus, n’en déplaise aux autorités de la ville de Sarajevo, à une imposture près. Car il faut avoir une bien frauduleuse vision de l’histoire, doublée d’un encore plus retors sens de la vérité, pour oser affirmer, comme il le fit lors de ce discours, que la Bosnie-Herzégovine est " l’héritière ", depuis les " années 1940 ", des " partisans ", et Sarajevo, la " mémoire ", aujourd’hui, des " antifascistes ". C’est en effet là pur, bien que paradoxalement du plus mauvais aloi, révisionnisme historique !

Devrais-je donc rappeler à cet amnésique Lévy que ces partisans qu’il glorifie à juste titre furent le glorieux lot, au contraire de ce que son manichéisme caractérisé soutient ici de manière éhontée, de la Serbie, laquelle fut la plus héroïque et résolue, au sein de ce magnifique ensemble multiethnique et pluriconfessionnel que constitueront ensuite les républiques de l’ex-Yougoslavie, dans son combat, aux côtés de la France et des Alliés, contre les nazis, qui avaient alors envahi aussi bien la Croatie, dont les tristement célèbres oustachis d’Ante Pavelic s’avérèrent les disciples les plus zélés des Allemands, que la Bosnie-Herzégovine, où sévissaient, en plein cœur de Sarajevo, la division SS " handzar ", que dirigeait alors, d’une main de fer, le grand Mufti de Jérusalem ? C’était, en cet obscur temps-là, l’impitoyable et très cruelle alliance, au point qu’elle effraya parfois jusqu’aux nazis eux-mêmes, entre le fascisme noir et le fascisme vert, contre les résistants serbes et monténégrins.

C’est, du reste, pour ce même motif, pour rendre justice à la résistance serbe, que le chef des partisans, le maréchal Tito (lequel était par ailleurs d’origine croate), fit de Belgrade, et non de Zagreb ou de Sarajevo, la capitale de la Yougoslavie.

Davantage : c’est en mémoire de ces Résistants, précisément, que l’un des plus grands clubs de foot et de basket de la Serbie contemporaine s’appelle, encore aujourd’hui, " Partizan Belgrade " !

Mystification

Mais il y a pis encore, si cela est possible, dans le révisionnisme historique, concernant ce passé bien peu reluisant de la Bosnie, de Bernard-Henri Lévy. Il a trait, cette fois, à ce portrait dithyrambique que ce mystificateur hors pair n’a jamais cessé de dresser, comme il le fit encore tout récemment dans un de ses " bloc notes " (intitulé Le Discours de Sarajevo, paru le 24 octobre dernier) de l’hebdomadaire " Le Point " , d’Alija Izetbegovic, premier Président de la Bosnie indépendante, mais, surtout, fondamentaliste musulman dont la fameuse " Déclaration Islamique ", parue à Istanbul dès 1970 avant que d’être republiée à Sarajevo en 1990, affirme textuellement, niant là les valeurs de nos sociétés laïques, qu’ " il n’y a pas de paix ni de coexistence entre la religion islamique et les institutions sociales et politiques non islamiques ". Et encore, ces mots terribles, dignes de l’intégrisme religieux le plus dangereux pour la sauvegarde de nos démocraties mêmes, sinon du sens de la fraternité entre les peuples : " Avant le droit de gouverner lui-même et son monde, l’islam exclut clairement le droit et la possibilité de la mise en œuvre d’une idéologie étrangère sur son territoire. Il n’y a donc pas de principe de gouvernement laïc, et l’Etat doit être l’expression et le soutien de concepts moraux de la religion ". Édifiante, cette étrange et contradictoire conception de la tolérance chez BHL !

C’est dire si ce que soutient BHL, dans son Discours de Sarajevo, se révèle tout simplement faux lorsqu’il y écrit qu’Alija Izetbegovic fut " l’infatigable héraut " de l’ " islam modéré " et que, plus ahurissant encore, il " refusa " les " brigades internationales " et autres " fous de Dieu " que " certains de ses amis lui proposaient " pour venir en aide à son armée. Une preuve irréfutable en est le documentaire, remarquable d’objectivité journalistique et de déontologie professionnelle, que France 3 diffusa, le 12 novembre 2012, dans le cadre de ses reportages ayant pour très emblématique titre " Docs Interdits ". J’écrivis d’ailleurs à ce à propos, dans la foulée, une chronique, intitulée " Bosnie-Kosovo, quand Allah s’en allait en guerre ".

Erreur de jugement

Conclusion ? J’ai bien peur que cette Bosnie dont Bernard-Henri Lévy s’évertue, depuis maintenant plus de vingt ans, à nous vanter les prétendus mérites historiques, après avoir en outre passé son temps à diaboliser aussi systématiquement qu’outrageusement les Serbes (dont les chefs politiques et militaires, lors de cette sanglante guerre en ex-Yougoslavie, ne furent certes pas eux non plus, la nuance étant ici de mise, des anges), ne soit rêvée plus que réelle, comme surgie des fantasmes d’une subjectivité toute narcissique : ce séduisant mais illusoire miroir cérébral déformant toute perspective et, comme tel, induisant les faits à se plier, comble du narcissisme, au gré de son propre et seul imaginaire personnel. Le résultat, extrêmement dommageable pour la raison, en est une énorme erreur de jugement.

Aux philosophes épris d’honnêteté intellectuelle (ce nécessaire mixte de ce que le grand sociologue allemand Max Weber nomma jadis, dans un essai intitulé Le Savant et le Politique, " l’éthique de conviction " et " l’éthique de responsabilité ") de rétablir donc, à ce douloureux et important sujet, la vérité historique !

 

par Daniel Salvatore Schiffer, philosophe

*Philosophe, auteur de plusieurs ouvrages dont " Requiem pour l’Europe – Zagreb, Belgrade, Sarajevo " L’Âge d’Homme, 1993 et " Critique de la déraison pure – La faillite intellectuelle des " nouveaux philosophes " et de leurs épigones " François Bourin Editeur, 2010 est un intellectuel engagé qui est intervenu à plusieurs reprises lors de la guerre en ex-Yougoslavie. Considéré à l’époque comme un défenseur des positions serbes, il dénonce régulièrement les crimes des différents camps.


 ===  Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS https://www.cnj.it/ http://www.facebook.com/cnj.onlus/  === * ===


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Un fantasma si aggira per l'Europa…

1) La “dolce vita” jugoslava fa il tutto esaurito a Belgrado (Stefano Giantin - Il Piccolo)
2) Altro che Europa: ora a Est rimpiangono il comunismo (Fausto Biloslavo - Il Giornale)


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La “dolce vita” jugoslava fa il tutto esaurito a Belgrado

La mostra nostalgica sugli oggetti quotidiani di un tempo riapre a furor di popolo mentre il 45% dei rumeni rimpiange Ceausescu e Praga rilancia la Cecoslovacchia

di Stefano Giantin, 24 dicembre 2013

BELGRADO. Il viale del passeggio è come al solito affollato. Bancarelle di souvenir di dubbio gusto, suonatori di strada, gente che va di fretta. Ma negozi e boutique sono mezzi vuoti, in quel di Belgrado. Belgrado che, come tutta la Serbia, aspetta il 2014 senza grandi entusiasmi. Il Pil cresce ma è anemico, la disoccupazione e la povertà non calano, sale il costo della vita. E allora non stupisce quell’assieparsi di persone davanti al numero 14 della centralissima via Knez Mihailova, dove da una settimana si presentano in centinaia ogni giorno. Centinaia di persone che pagano 250 dinari, poco più di due euro, per avviare il motore della macchina del tempo di “Ziveo Zivot”, mostra che promette di riportare indietro tutti i visitatori «ai bei tempi, quelli tra il 1950 e il 1990».
Dolce vita jugoslava, quando «l’uomo medio si alzava alle sei, si lavava i denti con dentifricio nazionale, faceva colazione in un appartamento che odorava di latte caldo, poi andava al lavoro» con la Zastava «nuova di zecca», illustrano i materiali dell’esposizione. Esposizione in pure stile “Good Bye Lenin”, dove i protagonisti sono gli oggetti della vita quotidiana della Jugoslavia socialista, provenienti da collezioni private, spettri di un passato che manca a molti, nei Balcani. Sedili di un vecchio aereo della da poco defunta Jat che nell’anno del massimo splendore, il 1987, volava su «22 rotte interne e 256 internazionali». Le storiche scarpe Borovo, modelli in scala 1:1 di un ufficio standard e di un salotto jugoslavo. Profumi e visioni del Paese che non c’è più. E perfino sapori, con il bar che serve il “C Kafa” a 45 dinari o gli hot dog autarchici venduti al tipico chioschetto modulare “K67” ideato nel 1966 dal designer sloveno Sasa Mächtig, incluso dal MoMA negli oggetti cult di design del XX secolo. Una botta di nostalgia che piace tantissimo, in Serbia, e che ha imposto il bis all’iniziativa. Quarantamila i visitatori di “Ziveo Zivot” al debutto, la scorsa estate, tantissimi altri ora, alla seconda uscita, iniziata poco prima di un Natale che si annuncia assai malinconico.
Nostalgia comune anche ad ampie porzioni dell’Est. Un sondaggio ha appena rivelato che il 45% dei rumeni, malgrado la durezza del regime e la povertà endemica, confessa di aver vissuto meglio sotto Ceausescu. Percentuali che salgono al 60% tra i russi, orfani del comunismo. Praga e Bratislava intanto pensano di rilanciare il marchio “made in Cecoslovacchia”, più conosciuto e apprezzato sui mercati asiatici e africani di quello ceco o slovacco. E telefilm sui “gloriosi” anni Ottanta comunisti vanno di moda a Mosca, Riga e Tallinn.
Nostalgia, viste le asprezze del presente, «normale» anche in Serbia. «Io faccio parte della generazione dei fortunati, sono nata nel 1953», ammette alla mostra di Belgrado Ljilja Stojcevic, indicando «quel passaporto rosso» con la scritta “Sfrj” «che ci faceva viaggiare ovunque». Nostalgia, «orgoglio» per i tempi che furono e «tristezza per quelli attuali», le fa eco Marina, nata tre anni dopo la morte di Tito. Due persone che rappresentano il visitatore tipo. «La metà sono giovani», venuti a vedere i prodotti della Nazione che fu e a toccare con mano quanto sentito in casa a proposito della Jugoslavia. Il resto sono anziani, «e solo qualcuno, una piccolissima parte, ci accusa di aver fatto un’apologia di Tito», spiega davanti alla cassa della mostra la guida Djordje Maletkovic. Un altro Maletkovic, Zivko, fra gli organizzatori della mostra, lo raggiunge subito dopo.
Perché quel titolo? Perché ha letteralmente «un doppio senso, celebra la vita di quei tempi, sicuramente migliore di quella di oggi, e ricorda all’uomo comune come aveva vissuto» pienamente, «un tempo». Cosa manca alla mostra? «Mi sembra fantascienza ascoltare certi ricordi degli anziani», risponde la “Pr”, Tanja Kovac. «Che noia, facciamo un viaggetto all’estero, partiamo subito», dicevano da giovani. E potevano farlo, senza immaginare i futuri problemi economici e di visti dei giorni nostri. E allora gli organizzatori, seppur in ritardo, stanno pianificando pure una sezione dove si ricostruirà anche quello che è rimasto nell’immaginario collettivo balcanico del mercato di Ponte Rosso a Trieste. Trieste, città dove ai “bei tempi” «si andava a fare shopping». E dove la mostra, questo il desiderio degli organizzatori, vorrebbe presto sbarcare.


=== 2 ===

da www.intopic.it   (www.ilgiornale.it)

Altro che Europa: ora a Est rimpiangono il comunismo

Grande successo a Belgrado di una mostra di oggetti della defunta Jugoslavia. Ma anche in altri Paesi orientali c'è chi ricorda volentieri quando si stava peggio

Fausto Biloslavo - Sab, 04/01/2014

La mitica Zastava, il glorioso passaporto rosso scuro della Federativa, una banconota da 5mila dinari con il faccione di Tito occhialuto sono alcune chicche della Yugonostalgia, in mostra a Belgrado.

Alla faccia dell'Europa unita e della globalizzazione i serbi si sono messi in coda, nella centralissima Kneza Mihailova, per rivivere i quarant'anni di socialismo dal 1950 al 1990. Nostalgia canaglia che sta emergendo anche in altri paesi dell'ex Cortina di ferro dalla Romania che sembra rimpiangere il «Conducator» Ceausescu, all'Ostalgia della Germania Est fino al rilancio del marchio «made in Cecoslovacchia». Per non parlare del successo delle serie televisive sugli anni Ottanta del comunismo che vanno di moda a Mosca, ma pure in Bulgaria e addirittura nei Paesi baltici.

Crisi economica, disoccupazione galoppante e pensioni da fame spingono molti nell'Europa dell'Est a rimpiangere i tempi andati. La mostra Yugonostalgica di Belgrado, che ha aperto i battenti prima di Natale, si intitola «Ziveo zivot», «viva la vita». Titolo discutibile, che ti riporta ai tempi di Tito e della bandiera nazionale con la stella rossa in mezzo.

Un'utilitaria Zastava, la 600 del socialismo, è esposta assieme ad una confezione di biscotti Plazma, i Plasmon jugoslavi. Un visitatore ha commentato: «Faccio parte dei fortunati nati nel 1953, quando il nostro passaporto rosso ci permetteva di viaggiare ovunque». Altri pezzi forti sono le magliette ed i ricordi dei campioni di basket della Federativa socialista ai vertici della pallacanestro mondiale.

Non mancano i sedili azzurrini della Jat, la compagnia aerea di Stato, da poco defunta, che volava «su 22 rotte interne e 256 internazionali». I prodotti alimentari dei «Paesi non allineati» si mescolano alle riviste dell'epoca. In copertina sorridono le donnine socialiste, ma con la permanente all'occidentale. Gli hot dog autarchici vengono serviti ad un vero chiosco dell'epoca e si può gustare un caffè socialista al bar spartano del socialismo.

La nostalgia canaglia del passato si sta espandendo a macchia d'olio in molti Paesi dell'Europa orientale. Il 44,7% dei romeni, secondo un recente sondaggio, pensa che il comunismo non era poi così male. Il palazzo più visitato dai turisti a Bucarest è la marmorea «casa del popolo», reggia di Nicolae Ceausescu e signora. Addirittura l'ex caserma di Targoviste, dove il Conducator è stato sbrigativamente fucilato con la moglie, sta diventando un'attrazione turistica. A Praga e Bratislava si riesuma il marchio di esportazione della Cecoslovacchia, preferito dai Paesi africani e asiatici. Lo scorso anno il 32% dei cechi si sono detti convinti che il regime comunista fosse meglio dell'attuale democrazia. In Slovacchia le percentuali sono ancora più alte.

Ostalgie è un neologismo tedesco che indica il rimpianto per la Germania Est e la sua memorabilia. Molte imprese ripropongono marchi obsoleti del periodo comunista come la bevanda Vita-Cola e l'automobile Trabant.

In Ungheria sono tornati di moda l'aperitivo socialista Bambi e i sandali del passato regime. Film come «Goodbye Lenin» sono stati surclassati da serie nostalgiche, che vanno forte grazie al boom delle pay tv nell'Europa dell'Est. In Russia ha grande successo «Gli Ottanta», una commedia sull'ultimo decennio sovietico con la musica occidentale proibita, le lavanderie a vapore ed il mercato nero dei jeans. La serie viene trasmessa anche in Ucraina, Lettonia ed Estonia. In Bulgaria va in onda «Sette ore di differenza», una serie su un ex agente segreto comunista.

La nostalgia del comunismo è alimentata dalla delusione dell'Europa unita e dei governi democratici spesso corrotti o malfunzionamenti come nel passato. Il settimanale Economist lancia l'allarme: il rischio di disordini sociali e rivolte nell'Europa dell'Est, nel 2014, non ha mai raggiunto livelli così alti dalla caduta del comunismo.




(srpskohrvatski / italiano)

Sul centenario della Prima Guerra Mondiale

1) Nove činjenice o Velikom ratu (Mirjana Nikolić - Međunarodni radio Srbija)
2) Ristabilire l'ordine delle cose (Gianmarco Pisa)


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Nove činjenice o Velikom ratu

Pon, 06/01/2014 - Teorija da je u krhkim međunarodnim odnosima 1914. godine kap koja je prelila čašu bio Sarajevski atentat, te da je zbog toga počeo sukob koji je odneo 15 miliona života, uskoro bi mogla biti potpuno promenjena. Iz Arhiva Srbije ponovo je na svetlo dana izneto pismo koje dokazuje da su planovi za početak Prvog svetskog rata postojali 13 meseci pre atentata.

U susret stotoj godišnjici početka Prvog svetskog rata, sve su češći pokušaji revidiranja istorije, kako bi se kompletan teret za početak Velikog rata prebacio na Srbiju i Rusiju. Poznato je da je na Vidovdan 28. Juna 1914. godine, organizacija „Mlada Bosna“ tačnije njen pripadnik Gavrilo Princip, ubio Austrougarskog prestolonaslednika Franca Ferdinanda. Dolazak princa u Sarajevo na veliki srpski praznik Vidovdan, trebalo je da bude uvreda za Srbe, a tako je Austrougarska htela da pokaže Srbiji, a i celom svetu da je Bosna njen deo i da će tako i ostati. Cilj „Mlade Bosne“ bio je ujedinjenje sa Srbijom i Crnom Gorom, i taj je atentat kroz srpsku istoriju prikazan kao čin borbe za slobodu.

Istoričari podsećaju na do sada prećutkivano pismo tadašnjeg guvernera Bosne i Hercegovine Oskara Poćoreka ministru Austrougarske monarhije Bilinskom, 28. maja 1913. a koje dokazuje da su planovi za Prvi svetski rat postojali više od godinu dana pre atentata u Sarajevu.

Dokument koji je prvi put objavljen još 1928. godine, do sada nije korišćen u naučnim radovima, jer se nije uklapao u stereotip o istoriji početka rata, a početkom godine ga je u Andrićgradu predstavio direktor Arhiva Srbije Miroslav Perišić. On je objasnio da pismo otkriva ne samo namere ratnih krugova Beča da povedu rat, već i stavove prema Srbima, Hrvatima i muslimanima kao i politiku Beča prema pobornicima ideje ujedinjenja Južnih Slovena. "Pismo se završava rečima da se ne sme dozvoliti da dođe do približavanja Zagreba i Beograda, odnosno da Zagreb treba da predstavlja protivtežu Beogradu", naveo je Perišić.

Planovi za rat objašnjavaju donekle ultimatum koji je upućen Srbiji mesec dana posla atentata, a iz kasnijih događaja poznavaocima prilika je jasno da bi do rata došlo, čak i da je Srbija pristala na sve što se od nje tražilo. Član Odbora Andrićevog instituta za obeležavanje godišnjice Prvog svetskog rata Miroslav Jovanović kaže da sarajevski atentat nije bio presudan, nego je bio samo povod za izbijanje velikog svetskog krvoprolića. Austroguarska je povod za početak Prvog svetskog rata stavila na teret Srbije i Rusije, što su kasnije podržali brojni poznati istoričari.

Proslavljeni reditelj i idejni tvorac Kamengrada Emir Kusturica rekao je da ponovno objavljivanje ovog pisma u "Istorijskim sveskama" Andrićevog instituta treba da popravi istorijsku i medijsku sliku o početku rata. "Sarajevski atentat je zloupotrebljen i iskorišćen za progon srpskog naroda i za početak Velikog rata", rekao je Kusturica.
On kaže je da je Gavrilo Princip ubio okupatora Franca Ferdinanda, "rasistu i antisemitu, na kućnom pragu, u zemlji Gavrila Principa, a ne u Beču ili nekom Ferdinandovom letnjikovcu ". Objavljivanje dokumenta o planovima Austrougarske, početak je nastojanja Andrićevog instituta da javnosti stavi na uvid dokumente koji skreću pažnju javnosti sa koloseka propagande, ali i organizovanog zaborava.

Da će se o Velikom ratu pisati puno ove godine nagoveštavaju novinski tekstovi u kojima se podseća da je 1941. godine za svoj rođendan Adolf Hitler dobio na poklon jedini ratni trofej donet iz raskomadane Jugoslavije. Kažu da mu je na lični zahtev iz okupiranog Sarajeva donesena spomen-ploča Gavrilu Principu. Fotografije svedoče da je Hitler dobio ploču na kojoj piše „Na ovom istorijskom mjestu se Gavrilo Princip izborio za slobodu Srbije.“

Svakako, 2014. godina biće cela u znaku obeležavanja stote godišnjece Velikog rata, pa ćemo se detaljima o ovoj temi baviti cele godine. Već su objavljena istraživanja javnog mnjenja koja nam govore da mladi ljudi malo znaju o Prvom svetskom ratu, da Principa polovina građana doživljava kao heroja, a četvrtina kao teroristu, a da jako mali broj ljudi zna koja se zemlja borila sa čije strane. Godina posvećena godišnjici biće prilika da se i ova statistika promeni.

Pripremila Mirjana Nikolić


=== 2 ===

Ristabilire l'ordine delle cose.

Il centenario della prima guerra mondiale e il “Sarajevo 2014”.


Gianmarco Pisa


È difficile pensare che il casus belli della prima guerra mondiale, l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando ad opera di Gavrilo Princip a Sarajevo, sia stato il vero motivo scatenante il conflitto. Soprattutto quando nuovi documenti storici e importanti fonti primarie vengono portati in luce a smentire quello che sempre più si è andato e si va affermando come luogo comune, piuttosto strumentale e pretestuoso.


I piani per scatenare quella che si sarebbe rivelata la prima guerra mondiale possono essere datati a 13 mesi prima dell'assassinio di Sarajevo, vale a dire ben 14 mesi prima della dichiarazione di guerra ufficiale dell'Austria-Ungheria e, di conseguenza, degli Imperi Centrali contro la Serbia, come ha messo in luce il ritrovamento ad Andricgrad, nella Repubblica Serba di Bosnia, di una lettera con i “piani di guerra”.


Si tratta della lettera, adesso nelle disponibilità del Dipartimento di Storia di Kamen-grad, spedita dal Governatore, per conto dell'Austria-Ungheria, della Bosnia e della Erzegovina, Oskar Potiorek, al ministro asburgico Bilinski, il 28 Maggio 1913, nella quale risultano evidenti non solo le intenzioni dei circoli asburgici di dare inizio al conflitto, ma, in particolare, l'atteggiamento della corona e del circuito imperiale nei confronti degli Slavi del Sud: sia in relazione ai rapporti reciproci tra Serbi, Croati e Musulmani, sia, in particolare, nei confronti dei Serbi, di Serbia e di Bosnia, particolarmente invisi all'Impero, quali sostenitori dell'idea dell'unificazione degli Slavi del Sud in quella che sarebbe poi diventata, tempo dopo, la Jugoslavia.


È stato lo stesso Miroslav Perisic, direttore dell'Archivio di Serbia, in occasione della presentazione pubblica del prezioso documento, lo scorso 5 Gennaio, a segnalare l'importanza del testo, quale fonte storica primaria ai fini dell'accertamento delle concause e delle responsabilità dello scoppio del conflitto mondiale, e del suo valore politico, considerando, del resto, quanto possa essere facile immaginare le ragioni per cui, al di là della “fortuita ricorrenza” del centenario della dichiarazione di guerra (1914-2014), sia trascorso tanto tempo dal ritrovamento della lettera, essendo il suo contenuto molto lontano dalla vulgata “ufficiale”, occidentale, di quel conflitto.


Secondo una dichiarazione di Perisic, d'altra parte: «questo documento così importante non era sino a questo momento a disposizione degli storici e non è stato preso in considerazione, di conseguenza, dalla comunità scientifica, sebbene sia stato pubblicato per la prima volta nel 1928 nel giornale Vecernja Posta di Sarajevo». Come riferito da un altro studioso, Miroslav Jovanovic, dell'Istituto Andric, i «fatti di Sarajevo», in particolare, l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando ad opera di Gavrilo Princip, non possono essere considerati, come troppo spesso le cancellerie e le opinioni pubbliche “occidentali” tendono a fare, l'evento-chiave, ma solo il pretesto per dare corso a un piano di guerra che sarebbe poi diventato un tragico e devastante bagno di sangue, con nove milioni di soldati e cinque milioni di civili uccisi.


Gli Imperi Centrali, Austria-Ungheria e Germania, in primo luogo, le stesse potenze che si apprestano adesso a sponsorizzare o promuovere il cosiddetto “forum di pace” del Sarajevo 2014, hanno voluto attribuire le responsabilità di quel bagno di sangue in particolare alla Serbia e alla Russia, mobilitando schiere di storici a supporto di tale tesi, da Chris Clark a diversi altri, ma i fatti, semplicemente, non stanno così. 





Segnaliamo che l'iniziativa di inviare una Lettera collettiva all'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia -ANPI-, per la verifica e l'eventuale ritiro della "iscrizione onoraria" di Simone Cristicchi alla associazione, sta avendo uno straordinario riscontro. 
All'appello hanno aderito partigiani e figli di partigiani, antifascisti, operai, sindacalisti da tutte le regioni del Paese, che in molti casi hanno anche voluto commentare inviando parole di indignazione per l'ondata montante di demagogia revanscista e per il continuo dileggio cui è sottoposta la memoria della Resistenza, e della Resistenza jugoslava in particolare.

Fra pochi giorni il testo sarà inviato agli indirizzi ufficiali dell'ANPI con un lungo elenco di firme.
Invitiamo chi non lo avesse ancora fatto a sottoscrivere, ma anche a diffondere fra i propri contatti l'invito all'adesione, che - ricordiamo - va comunicata all'indirizzo: sam.letteranpi@... 
specificando NOME, COGNOME, CITTA', e indicando eventualmente la appartenenza all'ANPI o il ruolo svolto nell'associazionismo antifascista.

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
Oggetto: [JUGOINFO] Richiesta di adesione alla Lettera Aperta all'ANPI su Cristicchi
Data: 31 dicembre 2013 15:43:32 CET


Inoltriamo il seguente messaggio, ricevuto dai promotori della Lettera Aperta riprodotta più sotto, alla quale hanno già aderito un centinaio di firmatari.
Per aderire scrivere a: sam.letteranpi@... 
specificando NOME, COGNOME, CITTA', e indicando eventualmente la appartenenza all'ANPI o il ruolo svolto nell'associazionismo antifascista.
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Cari  tutti, questa in allegato è una lettera che speriamo possa ricevere la vostra attenzione e conseguente adesione.

 

Riguarda la vicenda del cantautore Simone Cristicchi e dello spettacolo “Magazzino 18” di cui è co-autore.

L’iniziativa specifica è partita in seno a CNJ onlus, ma raccoglie adesione di singoli.

L’obiettivo è politico e culturale. E’ importante, per la storia partigiana dell’Italia, della Jugoslavia e dell’Europa tutta.

 

Lo spettacolo di questo cantautore e del suo co-autore, lo storico Jan Bernas, sta già ricevendo tra il pubblico le scuole dell’Istria e sta proseguendo il suo giro per la penisola.

Le rappresentazioni di "Magazzino 18" in Istria sono state realizzate con il contributo del ministero degli Affari Esteri italiano e probabilmente anche della FederEsuli.

Non vorremmo trovarci questo “spettacolo dei sentimenti” o delle “emozioni” (definizione dell’autore) come bibliografia o come capitolo dei libri di storia dei nostri figli di oggi e di domani, dove fascisti e antifascisti si minestrano troppo superficialmente, favorendo distorsioni storiche e politiche gravi. Le distorsioni alimentano non verità e conflittualità.

 

Sulla pagina facebook di “Magazzino 18”, Cristicchi stesso si esprime e fa conversazione sul tema. Molti soci CNJ, ma anche altri, hanno postato commenti e tentato di aprire un confronto storico-scientifico, con il risultato di vedere i propri post cancellati. Il suo biasimo verso Pertini, che ha riconosciuto sempre i meriti della resistenza partigiana jugoslava, è una delle “perle” espresse dal cantautore, che riserva repliche talvolta d’effetto, ma che dimostrano poca capacità e/o volontà di argomentazione.

 

Riepiloghiamo di seguito una breve ma non esaustiva rassegna sulla questione, in parte già circolata, all’origine della lettera.

 

Questo è uno dei primi scambi ad agosto 2013, tra Cristicchi ed il CNJ, ma sulla questione si sono mossi anche altri. Cristicchi ha intimato al CNJ la rimozione della pagina, attraverso il suo avvocato:

https://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/cristicchi.htm

 

L’Unione degli Istriani ha approvato il copione modificato andato in scena il 21/10/2013 nelle prove generali, pare con una sorta di ricatto:

http://www.unioneistriani.it/news/comunicati-stampa/200-m18 

 

Di seguito il colloquio con Simone Cristicchi - in occasione del lancio del suo spettacolo "Magazzino 18", con Claudia Cernigoi e Carlo Oliva, RadioTre - trasmissione Fahrenheit di venerdì 1/11/2013

Il file audio (28'): http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/11/Fahrenheit-CRISTICCHI.mp3

 

Sul debutto a Trieste nel corrente mese di dicembre 2013:

http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2013/12/08/news/magazzino-18-di-cristicchi-sbarca-nei-teatri-dell-istria-1.8261697

 

Questo è un comunicato del partito socialista dei lavoratori croato nel merito, pubblicato da varie testate on line e girato in lista cnj:

http://www.marx21.it/internazionale/europa/23285-comunicato-del-partito-socialista-dei-lavoratori-croato-in-merito-allo-spettacolo-teatrale-magazzino-18-di-simone-cristicchi-in-programma-in-croazia-e-slovenia.html

 

Dal 17 al 22 dicembre lo spettacolo è stato rappresentato a Roma. Di seguito l’intervista pubblica a Cristicchi di una giornalista de Il Piccolo di Trieste, dura 4 minuti circa:

http://www.youtube.com/watch?v=cBLamBKxIyk

 

L’intervento ci sembra confermare le critiche mosse fino ad ora allo spettacolo: Cristicchi dichiara che è stato realizzato per far conoscere un pezzo di storia, ma allo stesso tempo, sostiene che non pretende di raccontare la storia ma di essere ascoltato attraverso la rappresentazione di alcuni drammi personali dell’epoca. Afferma inoltre una non verità, nel richiamare fonti storiografiche variegate di destra e di sinistra, a cui avrebbe fatto riferimento, ed invece la fonte principale citata è solo Jan Bernas. La confusione dei piani di lettura si rivela uno strumento di propaganda perfetto, che gioca sull’apparente ingenuità dell’ “artista” sfuggente ed ignaro, un po’ per davvero, un po’ per finta.

 

Ultima notizia, è uscito il libro + CD (si veda il link sotto, nel sito curato dal partito umanista di TS) http://www.freaksonline.it/freaks/magazzino-18-libro-e-cd.html

 

Contiamo che questa lettera, nella sua veste di appello, possa aprire un dibattito o chiarisca la posizione di certi soggetti anche istituzionali.

 

Per comunicare le vostre adesioni e tutte quelle che raccoglierete per la lettera in allegato, Vi preghiamo pertanto di rispondere a questo indirizzo sam.letteranpi@...   indicando:

NOME, COGNOME, CITTA’, EVENTUALE ISCRIZIONE ANPI (SI/NO e sezione), ALTRO (facoltativo: es. professione, qualifica, stato occupazionale etc…)

Grazie a tutti per la collaborazione e un grande saluto

 

Samantha


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LETTERA APERTA ALL'ANPI SU CRISTICCHI

Cari Voi tutti, Membri del Comitato Nazionale ANPI, Membri dei Comitati Provinciali, Regionali e Soci dell’Associazione Nazionale PARTIGIANI d’Italia, con i suoi 120.000 iscritti,

in qualità di iscritti all’ANPI e quali antifascisti, figli e nipoti di antifascisti, democratici rispettosi della memoria storica della Resistenza, manifestiamo la nostra preoccupazione ed il nostro stupore nell'apprendere che il Sig. Simone Cristicchi (secondo quanto lui stesso sostiene) è membro onorario dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.

Il Sig. Simone Cristicchi, nell’ambito del suo spettacolo teatrale “Magazzino 18”, che ha come tema la TRASPOSIZIONE di alcuni vissuti drammatici degli esuli d’Istria, di Fiume e Dalmazia, supportato da una direzione artistica, manageriale e da una regia di promozione istituzionale, sembra alimentare a livello mediatico e diffusivo a mezzo web una propaganda politica antipartigiana, che ancor più gravemente si mostra priva di analisi storica, riportando interpretazioni che riteniamo falsino fatti e circostanze, con un esito di palese natura strumentale. La strumentalizzazione delle vicende umane a supporto di idee nazionaliste è resa ancora più insopportabile per il coinvolgimento di minori in scene di violenza, che ci appare presunta ed esagerata.

Evidenziamo inoltre che le tesi, le congetture, i toni delle polemiche, l'accettazione di messaggi e manifestazioni di scherno ed offesa rivolte alla memoria storica della Resistenza sia italiana che jugoslava, presenti nel profilo facebook e in altri siti gestiti dal cantautore, non ci appaiono politicamente ed ideologicamente espressioni vicine alla storia e rispettose dei principi ispiratori dell’ANPI.

Il rifiuto di un confronto scientifico, manifestato da Cristicchi in diverse occasioni e nei diversi spazi di dialogo con il pubblico, molti dei quali gestiti dallo stesso in piena discrezionalità (facilmente reperibili e noti) e il suo apprezzamento verso personaggi quali Maria Pasquinelli* contrapposto ad una continua opera di criminalizzazione della lotta di liberazione del popolo jugoslavo dall'oppressore nazifascista in particolare, costituiscono un'offesa all'Associazione stessa, lo Statuto della quale, nel suo oggetto sociale (art. 2) e soprattutto nel profondo rispetto ed in virtù dell’art. 22 e dell’art. 23, recita:

Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta:
a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni;
b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio;
c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche.

Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, IN QUALITÀ DI ANTIFASCISTI, sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, CON IL PROPRIO IMPEGNO CONCRETO ALLA REALIZZAZIONE E ALLA CONTINUITÀ NEL TEMPO DEGLI SCOPI ASSOCIATIVI, CON IL FINE DI CONSERVARE, TUTELARE E DIFFONDERE LA CONOSCENZA DELLE VICENDE E DEI VALORI CHE LA RESISTENZA, CON LA LOTTA E CON L’IMPEGNO CIVILE E DEMOCRATICO, HA CONSEGNATO ALLE NUOVE GENERAZIONI, COME ELEMENTO FONDANTE DELLA REPUBBLICA, DELLA COSTITUZIONE E DELLA UNIONE EUROPEA E COME PATRIMONIO ESSENZIALE DELLA MEMORIA DEL PAESE.

Per questo, auspichiamo che sia ritirata la tessera di socio ANPI al Sig. Simone Cristicchi, il cui operato e la cui espressione politica non sono riconoscibili in alcun modo nell’essenza dei valori e della cultura della Resistenza partigiana, di ieri e di oggi.


Per aderire: sam.letteranpi@... 





NATO servants in the Balkans

1) Serbia: Chief of the Defence General Staff visits NATO JFC Naples (4.12.2013.)
2) Montenegro: Foreign Minister believes that "NATO has no alternative" (3.1.2014.)
3) Slovenia: Hungarian Gripens In Charge Of NATO Air Control (3.1.2014.)


Also worth to read / listen to:

“NATO is worse than an atavism, it is a threat to 21st century security” – Rick Rozoff
John Robles - Voice of Russia
December 4, 2013
Audio: http://voiceofrussia.com/2013_12_04/NATO-is-worse-than-an-atavism-it-is-a-threat-to-21st-century-security-Rick-Rozoff-3284/

NATO engaged in wars of aggression against small countries – Rick Rozoff
John Robles - Voice of Russia
Recorded on December 7, 2013
Audio: http://voiceofrussia.com/2013_12_11/NATO-engaged-in-wars-aggression-against-small-countries-Rick-Rozoff-0170/
http://voiceofrussia.com/2013_12_11/NATO-engaged-in-wars-aggression-against-small-countries-Rick-Rozoff-0170/

Source of the following texts is the Stop NATO newsletter: 

List home page with archives and search engine: http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Stop NATO website and articles: http://rickrozoff.wordpress.com


=== 1 ===

http://www.aco.nato.int/serbian-chief-of-the-defence-general-staff-visits-jfc-naples.aspx

North Atlantic Treaty Organization - Allied Command Operations
December 4, 2013

Serbian Chief of the Defence General Staff visits JFC Naples

Story by Allied Joint Force Command Naples Public Affairs Office 


Naples, Italy: The Chief of the Serbian Armed Forces General Staff, General Ljubiša Diković, paid an official visit to the Allied Joint Force Command Naples headquarters in Lago Patria on Tuesday 3 December till Wednesday 4 December 2013.  
  
The Commander of Allied Joint Force Command Naples, Admiral Bruce W. Clingan, met with Gen. Dikovic to highlight the cooperation between the Serbian Armed Forces and JFC Naples, as well as showcase the proficiency of the headquarters. The two officials discussed ways that NATO could further assist the Serbian Armed Forces in defense reform and implementation of the joint partnership goals. 

He also received a detailed orientation of the organization, tasks and missions of JFC Naples and a tour the new Lago Patria base. Furthermore, he obtained a firsthand impression of the members’ duties in a NATO multinational operations headquarters. Gen. Diković also met with the JFC Naples Assistant Chief of Staff for Civil Military Cooperation and military partnership, Brig. Gen. Richter, to discuss ways that JFC Naples could further assist the Serbian Armed Forces. He also visited the Senior Serbian National Representative, who has been serving in JFC Naples since August 2013.  
  
The visit of General Dikovic was in the framework of the efforts by the operational level command JFC Naples to foster mutual understanding and cooperation with NATO partner nations. 


=== 2 ===

http://rickrozoff.wordpress.com/2014/01/03/montenegro-natos-diminutive-outlet-on-the-adriatic/
http://www.b92.net/eng/news/region.php?yyyy=2014&mm=01&dd=02&nav_id=88861

Tanjug News Agency

January 3, 2014


Montenegrin FM: NATO has no alternative


“NATO today has no alternative. It is the guarantor of every kind of safety to a country and it is important that the citizens of Montenegro understand in the right way that this is the best way for our children and for future development,” Lukšić said.

Montenegro is currently in the Membership Action Plan (MAP), while full membership in NATO is considered to be the next step.

“Given our desire and ambition to be given an invitation for membership in 2014, we will continue with further fulfillment of obligations, and we actively contribute to global stability as a dedicated and reliable partner of the alliance,” he continued.

Lukšić also told the CDM website that the Montenegrin government will in the coming period “intensify the dialogue with citizens on the subject of integration in NATO and offer sufficient arguments so that they understand the benefits of membership in the alliance.”

Lukšić said that Montenegro, with the opening of negotiating chapters 23 and 24, “showed that it was a serious partner of the European Union,” but that it was also “capable of meeting the demanding obligations on the road of European integration.”

He pointed out that the policy of good neighborly relations also continues to be one of the priorities of Montenegro.

Commenting on relations within the Montenegrin ruling coalition, he said that there had been “better moments,” but that it was “quite normal that after a long joint performance of authority there should be friction and different views on certain issues.”



=== 3 ===

http://www.xpatloop.com/news/75506

Hungarian News Agency - January 3, 2014

Hungarian Gripens In Charge Of Nato Air Control Over Slovenia

From now on, Hungary’s Gripen fighters are in control of air space not only in Hungary but also in Slovenia, daily Magyar Nemzet said. Controlling air space is a shared task for NATO allies, and Slovenia has no fighters of its own.

Starting from this year, Hungary is taking over the task from Italy. If any violation of Slovenian air space is reported, Hungary’s Gripens will fly over to clarify the situation, it said. Defence Minister Csaba Hende said in July 2013 that the Hungarian army’s Gripens will join air control operations in Slovenia from 2014, and similar operations in Estonia, Latvia and Lithuania from 2015.

If all goes according to plan, Hungary will have to relocate four Gripens and their crew to Lithuania from 2015 on without compromising its capabilities to defend its own air space.




Recensioni a "Magazzino 18" di S. Cristicchi

1) Samantha Mengarelli
2) Stefano Crippa (Il Manifesto)


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Recensione sullo spettacolo “Magazzino 18”, rappresentazione del 22/12/2013 al teatro Sala Umberto di Roma


Lo spettacolo non è piaciuto, sotto vari punti di vista: artistico, storico-culturale e morale.

Ha confermato purtroppo in modo ancor più deludente le aspettative, senza dubbio influenzate dalla serie di impressioni ed opinioni maturate nel corso dei mesi scorsi, durante la promozione dello stesso. Promozione durante la quale si sono succedute corrispondenze e brevi confronti con Simone Cristicchi (coautore) ed altri suoi collaboratori, non sempre purtroppo adeguatamente argomentati.

Nonostante ciò, ci si è sforzati di assistere alla rappresentazione in modo “imparziale”, immersi nel coinvolgimento della sala e del momento. 

Lo spettacolo è risultato noioso, pesante e capzioso. In una scenografia statica che forse non rende il movimento proprio della drammaticità di una migrazione, qual vorrebbe raccontare. Apre e chiude la scena “lo spirito delle masserizie”, che piace evidentemente tanto agli autori, forse per il tocco di esoterismo e di indubbia matrice borghese, di cui viene accentuata una legittima nostalgia dei beni materiali a cui si da un’anima, che da un lato personalizza con un certo individualismo le perdite, però poi nello spettacolo la tragedia e la sfortuna di chiunque diventa la più grande tragedia di tutti. Una diffusa, abile e pericolosa arte della generalizzazione, che tradisce però il bisogno di obiettività storica, di cui lo spettacolo stesso intende farsi portavoce, come si evince in vari momenti della sua rappresentazione.

I testi dei dialoghi appaiono miseri, tendenti al patetico, inseriti in un monologo in cui il cantautore/attore si destreggia non male, con buona interpretazione, dei vari ruoli, ma dimostra più di un’ incertezza, specie laddove sembra siano state apportate modifiche, rispetto alle repliche in Istria e a Trieste. Con il tono sarcastico ed il tentativo di sdrammatizzare alcune vicende, il distratto archivista Persichetti dall’accento romano (e non romanesco) non alleggerisce nulla, ma ha l’effetto di rendere forse banali e riduttivi i delicati temi trattati. Non compaiono altri attori sulla scena. Stavolta non sono fisicamente sul palco i bambini che cantano “la buca” (testo violento, evocante le uccisioni nelle foibe, con il colpo in testa) e che accompagnano in coro, con un bastone in mano, “noi siam la classe operaia”, nel racconto della vicenda dei lavoratori Monfalconesi. L’immagine sfocata dei minori che cantano è proiettata su un grande schermo calato sullo sfondo. Sul palco fa ingresso soltanto una bambina, nella rievocazione della tragedia sulla spiaggia di Vergarolla, a seguito dello scoppio delle mine insabbiate in tempo di guerra (ma insabbiate da chi? non viene detto). La bambina è tenuta in braccio dal protagonista dopo la morte scenica, a mo’ di pietà religiosa. Il racconto di questa strage di civili nello spettacolo è in fila alle rappresaglie antifasciste per mano jugoslava, si richiama la sua natura di attentato, che si allude di origine partigiana. Nella realtà, non si conoscono i mandanti.

La Jugoslavia di Tito e dei “partigiani con la stella rossa” (così il protagonista li richiama spesso) ne escono demonizzati, non c’è alcun dubbio. Il peggior comunismo della storia appare quello di Tito. E’ dichiarato piuttosto esplicitamente quando si accenna all’uscita della Jugoslavia dal COMINFORM. Vicenda storico-politica complessa su cui lo spettacolo ironizza, semplifica e non argomenta abbastanza.

Tale lettura è dimostrata dal fatto che il protagonista riporta una “testimonianza storica” quale la presunta confessione di un collaboratore di Tito, Milovan Gilas, identificato come il suo braccio destro, che lo accusa di aver dichiaratamente fatto propaganda anti-italiana, ordinando la cacciata dalle terre d’Istria, per il progetto di invasione della grande Jugoslavia. Di qui, le accuse di pulizia etnica addossate ai partigiani di Tito, come gli unici colpevoli degli orrori delle foibe e delle stragi della rappresaglia antifascista, secondo un piano di strategia del terrore, ampiamente richiamato nello spettacolo. Ma quali sono le fonti?

E’ anche per questo, che l’obiettivo dello spettacolo, mascherato da una veste che pretende di essere equilibrata per il solo fatto di introdurre in non più di dieci minuti l’antefatto fascista, citando i campi di concentramento in Italia come Rab e richiamando con buonismo le vittime (come la bambina slovena) di tutte le guerre, risulta invece di evidente sapore nazionalista, antipartigiano e anticomunista. Non può pertanto vantare oggettività storica e imparzialità politica, poiché alcune delle parti in causa, ne escono offese e snaturate e questo può ricevere consensi, ma non è intellettualmente onesto

In questa rappresentazione a Roma, differendo da precedenti, all’antifascismo è fatta qualche concessione in più. Non è stato riproposto il commento di sdegno e di biasimo dato alla voce degli esuli, rivolto all’ex Presidente Sandro Pertini, in occasione del riconoscimento degli onori ai partigiani jugoslavi ed al Presidente e generale Tito. Sono state invece introdotte delle parti di testo, anche a seguito di corrispondenza polemica con membri dell’ANPI e dell’associazione CNJ onlus. Viene citata l’ invettiva di Mussolini: “Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche [”  parafrasando e rendendo il concetto di evidente razzismo con l’espressione: “per ogni dente italiano una testa slava” e poi ironizzando sul mito “Italiani Brava gente”, a cui si allude con un connotazione fortunatamente condivisibile. Verso la fine si parla dei “rimasti” in Istria, considerati le vittime per eccellenza sia degli italiani fascisti che degli slavi comunisti titini. Ma, il biasimo più grande viene reso a Tito, estrapolando e interpretando un suo discorso sull’accoglienza e sul rifiuto del riconoscimento della condizione di esuli ai “dirigenti fascisti”, additandolo di paradossale intolleranza, nutrita (e non è vero) verso tutti gli esuli. I “rimasti” in Istria, appaiano i disadattati nel regime comunista jugoslavo o gli accusati di fascismo; è proprio così?

E quindi accade che, anche la citazione sopra riportata di Mussolini riguardante gli Slavi, nel corso dello spettacolo sembra far gioco alla legittimazione del giudizio di barbarie e crudeltà delle truppe partigiane titine, che risultano incriminate di tutte le tragedie personali rappresentate, come la storia di Norma stuprata e buttata nelle foibe, la storia del postino, che risale la buca, la storia dell’attentato di Vergarolla, la storia della bambina che muore di freddo nel campo profughi di Patriciano, la storia dei Monfalconesi portati nel campo di prigionia di Goli Otok, le rappresaglie violente antifasciste, la storia dell’esodo della famiglia di Ferdinando Biasol e delle sue “cose” nel Magazzino 18, al Porto Vecchio di Trieste.

Uno degli azzardi più impropri è il paragone tra gli emigranti italiani del dopo guerra e gli esodati istriani, dove viene evidenziata la diversa condizione dei primi motivati secondo gli autori, solo dal sogno “dell’andar a cercare fortuna” e dei secondi, cacciati dalla loro terra dalle politiche di conquista della “Grande Jugoslavia”. Questa approssimazione non rende verità storica e umana ne’ agli uni ne’ agli altri; è infatti nota la disperazione, la povertà di base degli emigranti italiani del dopo guerra, e la realtà delle politiche di economia industriale del Piano Marshall. Così come è noto e documentato che le ondate degli esodi degli Istriani hanno avuto carattere diverso, e contava fascisti militanti, borghesi regnicoli e Italiani meno abbienti, spinti dalla miseria. Lo stesso protagonista dello spettacolo restituisce invece immagini di molti degli esuli che perdono le loro belle case con panorama sulle sponde dell’Adriatico dell’Istria, per migrare in Italia. Forse, i paragoni non sono così semplici… Le condizioni di partenza e le ragioni non sono sempre uguali e tanto meno i risvolti.

L’Istria viene commemorata come terra Italiana da sempre. E quindi trova consensi emotivi tra i molti disinformati (loro malgrado) che ascoltano e rivivono legittimamente vicende proprie o riportate. I vissuti sono preziosi, ma la storia non dovrebbe mentire e dovrebbe interpretarli con un certo distacco per rispettarli.

Lo spettacolo mostra quindi, purtroppo, ignoranza storica e politica, con vari momenti propagandistici.

Come la vicenda dei 2000 Monfalconesi che il protagonista definisce “in controesodo” ridicolizzati sulla scena, col fazzoletto rosso sventolato ironicamente ed il bastone…, perchè partono per la Jugoslavia mossi dall’ideale del socialismo comunista e poi invece vengono spediti a Goli Otok, per l’espulsione del “Tito eretico” dal Cominform: così viene definito dal protagonista interpretato da Cristicchi, in tono ambiguo tra il sarcastico e l’accusatorio.

E che ruolo viene dato ai numeri e alle fonti della storia? nello spettacolo si parla dell’importanza dei dati, ma si citano solo questi numeri: 350.000 esuli, 10 campi profughi, 28 morti a Vergarolla, 2000 Monfalconesi in controesodo, spediti a Goli Otok. Sui dati degli infoibati si ironizza, si sposta il piano del giudizio, evidenziando che gli storici giocano sui numeri, da cinquecento a svariate migliaia, ma che ciò non ha importanza, di fronte alle tragedie umane. Ma non è l’archivista Persichetti al telefono con l’Ufficio esuli del Ministero degli Interni ad affermare che i dati sono importanti? Si fa un uso molto scenico, di questi dati (ammesso che siano esatti), quando servono li diciamo, quando no, meglio tacere. Artisticamente è legittimo, storicamente no.

Perciò il rischio di mistificazione è facile e lo spettacolo non si esime, nella sua promiscuità di piani su cui viene affrontata una vicenda complessa e dibattuta. E così l’esodo degli Istriani è definito in esso come un fenomeno di proporzioni “bibliche”, varie volte, come “uno dei più grandi mai accaduti” e la violenza delle foibe un’atrocità di dimensioni improprie, perché non dimostrate.

L’ultima scena dello spettacolo: una decina di sedie in fila alla ribalta, dove vengono fatti sedere gli spiriti di alcuni personaggi famosi che appaiono anch’essi vittime dell’esodo, come il cantautore Sergio Endrigo, l’attrice Laura Antonelli, Alida Valli, perché ovviamente, qualche nome noto fa comodo spolverarlo per rafforzare il messaggio ed i consensi. Tali personaggi siedono accanto agli spiriti dei protagonisti delle storie più tragiche raccontate, vissuti per i quali non si ha la percezione di ciò che è “autentico” e di ciò che è romanzato.

Per concludere, lo spettacolo sembra sortire il suo scopo, che appare quello di un’operazione politica ben commercializzata, un’opera su commissione. Ma di chi e perché? Una propaganda demagogica poco intelligente ed alquanto populista, che fa leva sull’ignoranza ma soprattutto spera forse nella pigrizia di un pubblico variegato, anche di intellettuali di parte, che probabilmente non si andrà mai a verificare criticamente la storia rappresentata e qui giudicata, ma comodamente tornerà a casa e soprattutto nelle scuole, a dire ai propri figli che finalmente qualcuno racconta delle verità storiche nascoste dai comunisti per 70 anni. E non funziona così, proprio no.

Ma fortunatamente c’è anche chi, con un po’ più di senso critico, non vorrebbe trovarsi questo “spettacolo dei sentimenti” o delle “emozioni” (definizione dell’autore Cristicchi) come bibliografia o come capitolo dei libri di storia dei nostri figli di oggi e di domani, dove fascisti e antifascisti si minestrano troppo superficialmente, favorendo distorsioni storiche e politiche gravi. Le distorsioni alimentano non verità e conflittualità, e soprattutto non restituiscono di certo giusta commemorazione e rispetto ai vissuti dolorosi di chi non c’è più, o di chi è sopravvissuto ed in una storia più onesta può al limite sperare, per meglio elaborare e trovare un po’ di pace.

Samantha Mengarelli


=== 2 ===

Magazzino 18. Cristicchi e la storia secondo un archivista ‘distratto’

Stefano Crippa, 27.12.2013

Teatro. Il monologo, con la regia di Antonio Calenda, a rischio di revisionismo


Cen­ti­naia di sedie una sopra l’altra, vec­chi mobili, camere da letto, oggetti lasciati dagli esuli ita­liani nel Porto Vec­chio di Trie­ste. Tutti acca­ta­stati nel Magaz­zino 18, anche titolo dello spet­ta­colo di Simone Cri­stic­chi per la regia di Anto­nio Calenda, che ha debut­tato lo scorso otto­bre al Poli­teama di Trie­ste e sta girando i tea­tri della peni­sola. Al cen­tro l’esodo degli ita­liani dalle terre d’Istria, Fiume e Dal­ma­zia e il dramma delle foibe, uno spac­cato di sto­ria com­pli­cato e mai risolto che Cri­stic­chi — memore di sue espe­rienze pas­sate sul pal­co­sce­nico (come Li romani di Rus­sia), riprende in un mono­logo a metà fra il reci­tato e la canzone.

Nella mes­sin­scena Cri­stic­chi è un archi­vi­sta romano, inviato al Magaz­zino 18 dal mini­stero dell’interno per fare un grande inven­ta­rio. Anda­tura dinoc­co­lata, sopra­bito e vali­getta, un gua­scone che si rifà alla mito­lo­gia dell’uomo medio incar­nato da Sordi in tanti film: arruf­fone, egoi­sta, ma che nella fin­zione passa da un disin­te­resse totale a una più decisa con­sa­pe­vo­lezza. Un rac­conto inter­val­lato da una sorta di com­pen­dio veloce dei fatti sto­rici che scon­vol­sero quelle terre dai primi del Nove­cento al ’47, cer­cando di con­te­stua­liz­zarne le vicende. E qui Cri­stic­chi inciampa rovi­no­sa­mente, met­tendo in scena uno spet­ta­colo che si basa quasi esclu­si­va­mente sul testo di Ian Ber­nas Ci chia­ma­vano fasci­sti. Era­vamo Ita­liani, e pro­pone un’interpretazione di que­gli acca­di­menti par­ziale, se non univoca.

Così la sto­ria tutto ingoia e omo­loga, senza per­met­tere allo spet­ta­tore di valu­tare le ragioni e i com­por­ta­menti che sono stati alla base di que­gli eventi; avvi­ci­nando anzi peri­co­lo­sa­mente le due ideo­lo­gie con­trap­po­ste, comu­ni­smo e fasci­smo, per omo­lo­garle. E gene­rando con­fu­sione nel pub­blico: per­ché non si pos­sono dedi­care tre minuti tre di «rias­sunto» alle ter­ri­bili sof­fe­renze por­tate dal fasci­smo in Slo­ve­nia; lo ster­mi­nio di oltre 350 mila slo­veni, croati, serbi mon­te­ne­grini, slavi nelle regioni occu­pate e/o annesse dal 3 aprile 1941 al set­tem­bre del 43, le 35 mila vit­time uccise da fame e malat­tie in oltre 60 campi di inter­na­mento per civili sparsi dal nord al sud Ita­lia, che sono fon­da­men­tale per com­pren­dere la suc­ces­sione degli avvenimenti.
«Non mi inte­ressa la poli­tica — rac­conta in un’intervista al Pic­colo il can­tau­tore — Mi inte­res­sano le sto­rie, e mi inte­ressa con­ti­nuare a svi­lup­pare, sia a tea­tro che con le mie can­zoni un’operazione didat­tica della memo­ria». Ma per rico­struire una suc­ces­sione di eventi così com­plessa — e dichia­ra­ta­mente con «fini didat­tici» — serve un lavoro diverso. Non basta limi­tarsi a costruire can­zoni o, peg­gio, riu­ti­liz­zare uno strug­gente pezzo di Ser­gio Endrigo come 1947, facen­dolo pas­sare per un’irredentista. Altri­menti — e ci dispiace per­ché in pas­sato Cri­stic­chi ha dato prova di sen­si­bi­lità nel par­lare di disa­gio men­tale — si pre­sta solo il fianco al revi­sio­ni­smo sto­rico che avve­lena il tes­suto sociale di que­sto paese da troppo tempo.




Inoltriamo il seguente messaggio, ricevuto dai promotori della Lettera Aperta riprodotta più sotto, alla quale hanno già aderito un centinaio di firmatari.
Per aderire scrivere a: sam.letteranpi@... 
specificando NOME, COGNOME, CITTA', e indicando eventualmente la appartenenza all'ANPI o il ruolo svolto nell'associazionismo antifascista.
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Cari  tutti, questa in allegato è una lettera che speriamo possa ricevere la vostra attenzione e conseguente adesione.

 

Riguarda la vicenda del cantautore Simone Cristicchi e dello spettacolo “Magazzino 18” di cui è co-autore.

L’iniziativa specifica è partita in seno a CNJ onlus, ma raccoglie adesione di singoli.

L’obiettivo è politico e culturale. E’ importante, per la storia partigiana dell’Italia, della Jugoslavia e dell’Europa tutta.

 

Lo spettacolo di questo cantautore e del suo co-autore, lo storico Jan Bernas, sta già ricevendo tra il pubblico le scuole dell’Istria e sta proseguendo il suo giro per la penisola.

Le rappresentazioni di "Magazzino 18" in Istria sono state realizzate con il contributo del ministero degli Affari Esteri italiano e probabilmente anche della FederEsuli.

Non vorremmo trovarci questo “spettacolo dei sentimenti” o delle “emozioni” (definizione dell’autore) come bibliografia o come capitolo dei libri di storia dei nostri figli di oggi e di domani, dove fascisti e antifascisti si minestrano troppo superficialmente, favorendo distorsioni storiche e politiche gravi. Le distorsioni alimentano non verità e conflittualità.

 

Sulla pagina facebook di “Magazzino 18”, Cristicchi stesso si esprime e fa conversazione sul tema. Molti soci CNJ, ma anche altri, hanno postato commenti e tentato di aprire un confronto storico-scientifico, con il risultato di vedere i propri post cancellati. Il suo biasimo verso Pertini, che ha riconosciuto sempre i meriti della resistenza partigiana jugoslava, è una delle “perle” espresse dal cantautore, che riserva repliche talvolta d’effetto, ma che dimostrano poca capacità e/o volontà di argomentazione.

 

Riepiloghiamo di seguito una breve ma non esaustiva rassegna sulla questione, in parte già circolata, all’origine della lettera.

 

Questo è uno dei primi scambi ad agosto 2013, tra Cristicchi ed il CNJ, ma sulla questione si sono mossi anche altri. Cristicchi ha intimato al CNJ la rimozione della pagina, attraverso il suo avvocato:

https://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/cristicchi.htm

 

L’Unione degli Istriani ha approvato il copione modificato andato in scena il 21/10/2013 nelle prove generali, pare con una sorta di ricatto:

http://www.unioneistriani.it/news/comunicati-stampa/200-m18 

 

Di seguito il colloquio con Simone Cristicchi - in occasione del lancio del suo spettacolo "Magazzino 18", con Claudia Cernigoi e Carlo Oliva, RadioTre - trasmissione Fahrenheit di venerdì 1/11/2013

Il file audio (28'): http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/11/Fahrenheit-CRISTICCHI.mp3

 

Sul debutto a Trieste nel corrente mese di dicembre 2013:

http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2013/12/08/news/magazzino-18-di-cristicchi-sbarca-nei-teatri-dell-istria-1.8261697

 

Questo è un comunicato del partito socialista dei lavoratori croato nel merito, pubblicato da varie testate on line e girato in lista cnj:

http://www.marx21.it/internazionale/europa/23285-comunicato-del-partito-socialista-dei-lavoratori-croato-in-merito-allo-spettacolo-teatrale-magazzino-18-di-simone-cristicchi-in-programma-in-croazia-e-slovenia.html

 

Dal 17 al 22 dicembre lo spettacolo è stato rappresentato a Roma. Di seguito l’intervista pubblica a Cristicchi di una giornalista de Il Piccolo di Trieste, dura 4 minuti circa:

http://www.youtube.com/watch?v=cBLamBKxIyk

 

L’intervento ci sembra confermare le critiche mosse fino ad ora allo spettacolo: Cristicchi dichiara che è stato realizzato per far conoscere un pezzo di storia, ma allo stesso tempo, sostiene che non pretende di raccontare la storia ma di essere ascoltato attraverso la rappresentazione di alcuni drammi personali dell’epoca. Afferma inoltre una non verità, nel richiamare fonti storiografiche variegate di destra e di sinistra, a cui avrebbe fatto riferimento, ed invece la fonte principale citata è solo Jan Bernas. La confusione dei piani di lettura si rivela uno strumento di propaganda perfetto, che gioca sull’apparente ingenuità dell’ “artista” sfuggente ed ignaro, un po’ per davvero, un po’ per finta.

 

Ultima notizia, è uscito il libro + CD (si veda il link sotto, nel sito curato dal partito umanista di TS) http://www.freaksonline.it/freaks/magazzino-18-libro-e-cd.html

 

Contiamo che questa lettera, nella sua veste di appello, possa aprire un dibattito o chiarisca la posizione di certi soggetti anche istituzionali.

 

Per comunicare le vostre adesioni e tutte quelle che raccoglierete per la lettera in allegato, Vi preghiamo pertanto di rispondere a questo indirizzo sam.letteranpi@...   indicando:

NOME, COGNOME, CITTA’, EVENTUALE ISCRIZIONE ANPI (SI/NO e sezione), ALTRO (facoltativo: es. professione, qualifica, stato occupazionale etc…)

Grazie a tutti per la collaborazione e un grande saluto

 

Samantha


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LETTERA APERTA ALL'ANPI SU CRISTICCHI

Cari Voi tutti, Membri del Comitato Nazionale ANPI, Membri dei Comitati Provinciali, Regionali e Soci dell’Associazione Nazionale PARTIGIANI d’Italia, con i suoi 120.000 iscritti,

in qualità di iscritti all’ANPI e quali antifascisti, figli e nipoti di antifascisti, democratici rispettosi della memoria storica della Resistenza, manifestiamo la nostra preoccupazione ed il nostro stupore nell'apprendere che il Sig. Simone Cristicchi (secondo quanto lui stesso sostiene) è membro onorario dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.

Il Sig. Simone Cristicchi, nell’ambito del suo spettacolo teatrale “Magazzino 18”, che ha come tema la TRASPOSIZIONE di alcuni vissuti drammatici degli esuli d’Istria, di Fiume e Dalmazia, supportato da una direzione artistica, manageriale e da una regia di promozione istituzionale, sembra alimentare a livello mediatico e diffusivo a mezzo web una propaganda politica antipartigiana, che ancor più gravemente si mostra priva di analisi storica, riportando interpretazioni che riteniamo falsino fatti e circostanze, con un esito di palese natura strumentale. La strumentalizzazione delle vicende umane a supporto di idee nazionaliste è resa ancora più insopportabile per il coinvolgimento di minori in scene di violenza, che ci appare presunta ed esagerata.

Evidenziamo inoltre che le tesi, le congetture, i toni delle polemiche, l'accettazione di messaggi e manifestazioni di scherno ed offesa rivolte alla memoria storica della Resistenza sia italiana che jugoslava, presenti nel profilo facebook e in altri siti gestiti dal cantautore, non ci appaiono politicamente ed ideologicamente espressioni vicine alla storia e rispettose dei principi ispiratori dell’ANPI.

Il rifiuto di un confronto scientifico, manifestato da Cristicchi in diverse occasioni e nei diversi spazi di dialogo con il pubblico, molti dei quali gestiti dallo stesso in piena discrezionalità (facilmente reperibili e noti) e il suo apprezzamento verso personaggi quali Maria Pasquinelli* contrapposto ad una continua opera di criminalizzazione della lotta di liberazione del popolo jugoslavo dall'oppressore nazifascista in particolare, costituiscono un'offesa all'Associazione stessa, lo Statuto della quale, nel suo oggetto sociale (art. 2) e soprattutto nel profondo rispetto ed in virtù dell’art. 22 e dell’art. 23, recita:

Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta:
a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni;
b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio;
c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche.

Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, IN QUALITÀ DI ANTIFASCISTI, sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, CON IL PROPRIO IMPEGNO CONCRETO ALLA REALIZZAZIONE E ALLA CONTINUITÀ NEL TEMPO DEGLI SCOPI ASSOCIATIVI, CON IL FINE DI CONSERVARE, TUTELARE E DIFFONDERE LA CONOSCENZA DELLE VICENDE E DEI VALORI CHE LA RESISTENZA, CON LA LOTTA E CON L’IMPEGNO CIVILE E DEMOCRATICO, HA CONSEGNATO ALLE NUOVE GENERAZIONI, COME ELEMENTO FONDANTE DELLA REPUBBLICA, DELLA COSTITUZIONE E DELLA UNIONE EUROPEA E COME PATRIMONIO ESSENZIALE DELLA MEMORIA DEL PAESE.

Per questo, auspichiamo che sia ritirata la tessera di socio ANPI al Sig. Simone Cristicchi, il cui operato e la cui espressione politica non sono riconoscibili in alcun modo nell’essenza dei valori e della cultura della Resistenza partigiana, di ieri e di oggi.


Per aderire: sam.letteranpi@... 




SIRIA: TUTTE LE BUFALE CHE VI HANNO RACCONTATO NEL 2013








Ibai Trebiño: “El marxismo en un acto de antiimperialismo debe apoyar la soberanía nacional”


dic 3rd, 2013 | By Boltxe kolektiboa | Category: Albiste garrantzitsuenak


Ibai Trebiño es una de las personas que mejor conoce los conflictos que se dieron en la ex Yugoslavia, que como recordaremos, explosionó en los 90, dando lugar a varias guerras cuyas imágenes aun nos estremecen al recordarlas.

Yugoslavia fue un estado socialista la cual el socialismo no llegó exportado sino que los y las comunistas tomaron el poder tras una valerosa y heroica guerra de liberación, liderada por Tito y que logró expulsar de su territorio a los nazis y construir una experiencia socialista propia. Pero mejor que sea Ibai quien nos hable de estas cuestiones y de las guerras de los 90.

B- Ibai, no cabe duda que la experiencia socialista yugoslava, fue original y propia, es decir el socialismo no era calco de otros…algunos marxistas eso lo critican, porque afirman que el alejamiento de la entonces URSS favoreció objetivamente al imperialismo ¿Qué lecturas nos haces de estas opiniones?

I- Bueno esta es una cuestión absolutamente complicada. Tito rompe con la Unión Soviética en 1948 y desde entonces se le considera un traidor desde algunos paises del pacto de Varsovia involucrándole incluso en el plan Marshall. No voy a entrar a valorar dicha ruptura, pero si diré que cualquier división entre socialistas favorece al imperialismo y se puede o se debe interpretar así.

Desde mi posición de gran simpatía hacia la URSS y como yugoslavista convencido siento profundamente que se produjese esta ruptura, no sólo porque debilitó al socialismo sino porque además tambien afectó, por ejemplo, a la relación entre Albania y Yugoslavia o Bulgaria y Yugoslavia, lo que impidió que estas repúblicas fueran integradas en el proyecto yugoslavo -aunque los albaneses no sean eslavos, si en cambio los búlgaros- y creó una cierta tensión en la zona que hoy día afecta directamente a cuestiones como la kosovar.

A pesar de no ser un marxista-leninista de la vieja escuela como lo fue Enver Hoxha (quien también liberó Albania del yugo fascista italiano mediante la lucha guerrillera) Tito fue impulsor del movimiento de paises no-alineados y tejió grandes relaciones de amistad con otros pueblos como la Jamahiriya Libia, la Egipto de Nasser o la Siria de Hafez Al Assad, haciendo objetivamente una gran aportación al antiimperialismo mundial.

B- En Yugoslavia convivían 6 repúblicas y multitud de comunidades y religiones..¿Piensas que el socialismo yugoslavo solucionó la cuestión nacional en unos parámetros razonables?

I-Si, absolutamente. De hecho creo que fue uno de los mayores logros del socialismo yugoslavo y con el cual más identificado se siente, aunque pueda parecer extraño, un abertzale como yo.

Tenemos que pensar que los balcanes han sido lugar de paso para muchas civilizaciones, una zona en continuo conflicto que ha sufrido invasiones imperiales durante siglos. De ello se deriva una composición étnica muy particular y especial, y donde una república federal yugoslava daba solución, en parte, a esa complicada cuestión nacional. De hecho, fue en 1918 cuando los eslavos del sur consiguen el primer estado independiente y soberano de la historia tras expulsar definitivamente a los imperios otomanos y austrohúngaros que durante siglos había masacrado y saqueado a los pueblos eslavos del sur de Europa. Es en 1943, bajo el socialismo y tras expulsar a los nazis, cuando la soberanía e independencia nacional de los eslavos católicos, musulmanes y ortodoxos adquiere su mayor explendor, abordando además, la problemática de otras nacionalidades no-eslavas en el territorio (italianos, albaneses, húngaros, etc) y dando un estatuto de absoluta igualdad a todas las etnias y religiones independientemente de la república yugoslavas de origen.

Además por primera vez en la historia del territorio el adquiere una independencia politico-económica total.

B-Esta claro que el imperialismo durante los años de Tito y después instigó odios entre las republicas ¿No piensas que el gobierno de Yugoslavia estuvo poco atento a estos hechos?

I-En primer lugar debemos entender que luna manera eficaz de someter a un pais de semejantes características fue mediante el divisionismo y la sectarización (claro ejemplo de ello es la Siria de hoy en día) y el endeudamiento forzoso con el FMI. Todos estos elementos crean un cócktel de inestabilidad “made in USA”. Los imperialismos norteamericano y alemán armaron e instigaron una de las guerras más criminales del siglo pasado. Tambien debemos tener en cuenta la traición de algunos dirigentes políticos del Partido Comunista Yugoslavo como Franjo Tudjman y las diferentes disidencias internas que desde dentro del partido contribuyeron al colapso de Yugoslavia. Lo que me resulta indudable es que sin injerencia extranjera hubiera sido imposible dividir el pais.

B-Cuando Croacia y Eslovenia se separan ¿Piensas que existía una reclamación de independencia real en las masas o fue instigado por el imperialismo para destruir Yugoslavia?

I-Te respondo con otra pregunta, ¿Existia una demanda real de la población para el desmantelamiento de la URSS o fue una traición dirigida por los burócratas del PCUS? ¿Hubo algún referéndum donde se diera a elegir entre socialismo y capitalismo a los paises del este de europa?

La muerte de Josip Broz “Tito” (Croata de nacimiento) crea un clima de desconfianza entre las diferentes etnias y naciones que formaban Yugoslavia, que más tarde es aprovechado por los intereses extranjeros para crear el caldo de cultivo perfecto para poder desmembrar el pais.

Es innegable que en todos los paises del mundo existe disidencia política, pero no creo que existieran condiciones objetivas (misería, pobreza, etc) ni una demanda popular real para que se desarrollase un proceso sececionista. No fueron los croatas y los eslovenos quienes eligieron ser dependientes a Alemania, sino las élites económicas. Hoy dia la hegemonía política (y las imposiciones de ella derivadas) sigue estando en manos del nacionalismo “democrático” neo-ustacha, a pesar de que la gran mayoría de la población es contraria a la adhesión a la UE y añora abiertamente Yugoslavia (según las encuestas).

B-Desde los más-media siempre se ha tenido a Serbia como la gran culpable de las guerras balcánicas, pero quizás nos puedas rebatir esa tesis….

I-Serbia (junto a Montenegro) se llevó la peor parte por negarse a firmar el acuerdo de disolución de Yugoslavia. Es a raíz de su negativa a disolver la República lo que genera la demonización, sobretodo mediática, de los serbios. Para hacernos una idea, las grandes limpiezas étnicas en los balcanes son atribuidas a los serbios (Srebrenica en Bosnia o Racak en Kosovo) pasando por alto y legitimando incluso los crimenes de guerra croatas, albaneses o bosniacos instigados por occidente. Solo hace falta ver cuantos Serbios han sido juzgados y condenados en el Tribunal de La Haya y cuantos croatas o Albaneses.

No voy a negar que las tropas serbias (en referencia de las milicias serbias no al JNA -Ejercito Nacional Yugoslavo-) cometieran excesos, pero tambien otras etnias cometieron excesos y limpiezas étnicas que no solo no han sido juzgadas sino que además han sido aplaudidas por los políticos occidentales y silenciadas y/o manipuladas por los medios de comunicación occidentales (ej: operación tormenta, limpieza étnica contra los serbios del enclave croata de Krajina). Años despues hemos sabido que el bombardeo del mercado de Sarajevo (que motivó la participación de la ONU en el conflicto bosnio) no fue obra de los serbios, la masacre de Racak (pretexto utilizado por la OTAN para invadir Kosovo) fue farseada como lo es hoy día la supuesta masacre de Ghouta en Siria. Por suerte actualmente contamos con medios suficientes, redes sociales y otros sitios donde la información se maneja al instante.

Otro de los factores claves para comprobar el “odio antiserbio” es el lenguaje mediático hegemonista que utilizan los mass-media y cuyo único objetivo es difundir la idea y señalar a Serbia como único culpable y responsable de la guerra (lo que en Euskal Herria conocemos como vencedores y vencidos).

B-El colofón fue la guerra de Kosovo y los bombardeos contra Belgrado, vayamos por parte ¿Qué piensas acerca de Kosovo, sobre si es parte de Serbia o por el contrario parte de Albania y como valoras la imposición imperialista de crear ese estado títere y pro-yanquee?

I- El año pasado tuve la suerte de visitar Kosovo y conocer un poco in-situ la situación. En primer lugar debo decir que el principal banco del Kosovo “independiente” es un banco austriaco y eso llama bastante la atención. Una de las primeras cosas que hizo occidente al invadir Kosovo fue robar y saquear la industria nacional para luego privatizarla. Esto para daros una idea de cual ha sido la principal motivación para la fuerzas occidentales para seguir manteniendo bajo ocupación este maravilloso territorio. A los nortemericanos de la base de Camp-bondsteel les importa bien poco los propios albaneses de Kosovo. En Kosovo no existe un proceso de autodeterminación ni de independencia, sino por lo contrario un proceso de saqueo colonial y sometimiento.

Respondiendo a la cuestión de si Kosovo es Serbia o Albania, en primer lugar debo decir que Kosovo no es una nación y quisiera desmontar esta absurda teoría y matizar que tanto Albania como Serbia son naciones con estado propio. No vale por tanto la teoria basado en “los derechos de la nación kosovar” de la que tanto han alardeado los humanistas OTANistas, simplemente porque la nación kosovar no existe.

Otra cosa a matizar es que Serbia no ha sido una fuerza invasora en Kosovo, es decir, el esquema ocupado-ocupante que manejamos con otras cuestiones nacionales (la vasca o la irlandesa por ejemplo) no es válido para este caso porque Kosovo es un territorio multiétnico actualmente ocupado por la OTAN, e historicamente sometido a la invasión de los sucesivos imperios y cuya única independencia ha sido bajo la Yugoslavia de Tito. Podriamos, si acaso, calificar a Kosovo como un territorio en disputa entre Serbia y Albania (cada uno exgrime sus razones históricas), porque así lo fue durante la época yugoslava, pero tampoco sería muy exacto ya que excluiriamos al resto de etnias que historicamente han habitado Kosovo (gitanos, turcos, goranis, judios, etc) y que son igualmente legítimos pobladores de Kosovo.

Todas la etnias no-albanesas han sido desposeidas de sus derechos nacionales y civiles en el actual Kosovo, donde han pasado de ser ciudadanos de pleno derecho a ser ciudadanos de segunda en su propio pais. Para entender porque la mayoria de la población era etnicamente albanesa a finales del siglo XX, debemos atender a algunas circustancias demográficas y sociales como la emigración de la población serbia, o una elevada tasa de natalidad entre la comunidad Albanesa. Estos factores beneficiaron a los albaneses (Esto sin contar los planes expansionistas del nacionalismo albanés) rompiendo el equilibrio étnico existente y convirtiéndoles en mayoria con más de la mitad de la población. . Todo esto sucedió antes de la guerra de 1999.

Hoy en día los albaneses representan el 96% de la población kosovar, lo que demuestra que las fuerzas paramilitares nacionalistas albanesas han cometido una grave limpieza etnica en el territorio. Los serbios ahora sólo representan un 3% de la población y viven marginados por las instituciones de Pristina. Tambien los Goranis (eslavos musulmanes que habitan en las montañas) han denunciado un proceso de asimilación contra ellos, la imposición de la lengua albanesa contra su voluntad y la persecución a la que son sometidos por razones étnicas o culturales. No sólo ellos, tambien los propios albaneses (por motivos políticos o religiosos) han sido victimas del expansionismo y la imposición albanesa (a través de los fanáticos fascistas pro-occidentales del UCK). En Kosovo casi todas la expresiones culturas o religiosas no-albanesas han sido eliminadas.

Si abordamos la cuestión desde un punto de vista cultural, Kosovo representa para los serbios la cuna de su nación y su cultura. Podiamos definirla para lector vasco como la “nafarroa de los serbios”. Kosovo-Polje (cerca de Pristina) es para los serbios su particular orreaga o stalingrado, donde en 1389, tras una dura batalla contra el imperio otomano (que a la postre supuso el principio de la dominación otomana en los balcanes) los serbios, con menos efectivos y armas, y con el principe Lazar a la cabeza, cayeron derrotados tras una heroica resistencia. Esta legendaria batalla, junto a otras razones históricas y religiosas, hace que Kosovo sea para los serbios la cuna de su identidad nacional. Dicho esto, la invasión por parte de la OTAN de Kosovo representa para los serbios una humillación histórica sin precedentes.

En mi humilde opinión y asumiendo que Kosovo es un territorio multiétnico, la cuestión se tiene que abordar desde un punto de vista político, es decir, es necesario (tal y como exigimos para Euskal Herria) reconocer el derecho de Serbia a existir como nación -multiétnica-, su derecho a la soberanía e independencia nacional y que su territorialidad sea respetada. La invasión de Kosovo supuso una flagrante violación de la ley internacional. Ahí esta la clave del conflicto y es el principal motivo por el que creo que Kosovo pertenece al pueblo serbio y no a la OTAN.

B- ¿Qué lectura haces de la persona de Milosevic que todo apunta a que fue asesinado en prisión por el imperialismo? Obviamente no era comunista, dicho por el mismo….

I-No se trata de que Milosevic sea comunista o no para denunciar que haya sido asesinado por un tribunal criminal. Milosevic no era comunista, pero tampoco un nacionalista radical como vendió la prensa. La familia Milosevic era una familia comunista de origen humilde y “Slobo” fue puesto en el punto de mira del imperialismo por su negativa a disolver la Yugoslavia socialista.

Ahí la explicación a semejante campaña anti Milosevic: dicen que su discurso en Kosovo Polje fue el detonador étnico en kosovo, pero si se analiza bien ese discurso uno se da cuenta que en ningún momento hace alusiones de índole nacionalista, asi que partiendo de esta base creo que Milosevic es un “mártir” más del imperialismo. Milosevic seguramente tuviera fallos como todo ser viviente, pero tuvo que lidiar con decisiones difíciles, en primer lugar porque decidió suspender la autonomía de la república serbia de Kosovo que otorgaba plenos derechos a los albaneses de Kosovo, pero debemos entender en que situación se encontraba Yugoslavia para entender este tipo de decisiones.

Serbia y Montenegro fueron victimas de bombardeos criminales por parte de la OTAN, su economia resultó dañada por un embargo criminal, el presidente montenegrino Djukanovic le abandonó a su suerte en plenos bombardeos de la OTAN, la comunidad internacional le obligó a firmar tratados de paz (donde la república que presidía salía perdiendo) y que ni tan siquiera se han cumplido (perjudicando a los serbios) y por si esto fuera poco, la CIA a través del movimiento fascista OTPOR montó una “revolución” (de las que hoy en día estan montando en Ucrania) para desalojarle del poder en detrimento de fuerzas pro europeas y dar así vía libre al saqueo económico. La política económica de la serbia de Milosevic fue más progresista que cualquier pais “democrático” de Europa, como lo es hoy día la política de Yanukovich en Ucrania o Lukashenko en bielorrusia.

El marxismo revolucionario en un acto de antiimperialismo coherente debe apoyar sin fisuras la soberanía nacional y los gobiernos legítimos que la ejercen frente al golpismo made in CIA.

El final de Milosevic todos lo conocemos: fallece repentinamente mientras un tribunal de criminales al servicio de la OTAN le juzgaba por crímenes contra la humanidad. Por desgracia gran parte de la izquierda sigue en silencio frente a las farsas judiciales de un tribunal de excepción como es el Tribunal Pena Internacional de La Haya. Lo hemos visto tambien en Irak o Libia.

B-Sabemos que formas parte de una asociación que toma parte de este tipo de cuestiones, háblanos un poco de ella

I-Efectivamente estoy trabajando junto a otra gente en una asociación cultural llamada Ivo Andric, en homenaje al escritor yugoslavo, premio nobel de literatura en 1961.

Tenemos la idea de presentar la asociación muy pronto y de momento estamos trabajando en tema de comunicación, traducciones de documentales (“the weight of chains” de Boris Malagurski) o incluso hemos hecho una aportación económica para una pelicula del mismo Boris. En principio nuestra intención es difundir la cultura balcánica y yugoslava en Euskal Herria, es decir un trabajo única y exclusivamente cultural. Politicamente somos partidarios de la unión de los eslavos del Sur en forma de estado.

De todas formas podeis seguir nuestras actividades y conocer mejor la asociación a través de las redes sociales y de nuestro blog (http://ivoandricelkartea.wordpress.com/)

B- Para acabar si que te quisiéramos pedir que 20 años después de todo lo ocurrido nos digas, tu que conoces esa parte de Europa, cual es la realidad de allí, hoy día

I-De todos mis viajes a la ex-yugoslavia he vuelto con una sensación muy positiva en el plano emocional (los balcánicos son gente espectacular, amables y hospitalarios) y algo negativa y escéptica en el plano político, derivado de la situación actual.

En primer lugar porque la OTAN sigue presente y Alemania sigue saqueando sin piedad a los pueblos balcánicos. En segundo lugar porque las problemáticas de los serbios en Croacia, Kosovo o Bosnia siguen sin solucionarse debido a que los serbios son ciudadanos de segunda en terroritorios que llevan habitando desde hace siglos. Creo que cada etnia necesita un estatus de igualdad civil y nacional real y práctica en cada territorio que habitan y eso sólo existia bajo la República Socialista Federal de Yugoslavia. Hablas con la gente y te das cuenta lo querido que fue Tito y sus políticas sociales y nacionales. En Bosnia o Macedonia Tito sigue siendo un auténtico “ídolo de masas”.

Mi conclusión es que la unión de los eslavos del sur es más necesaria que nunca, desde un punto de vista étnico, cultural, político y social. Además la historia demuestra que el único periodo de independencia nacional del territorio fue bajo esa unidad. Los periodos anteriores y posteriores a Yugoslavia han sido y son parte de la historia de saqueo, dominación, asesinato y sometimiendo hacia los pueblos balcánicos.

Creo que la defensa de la unidad de Yugoslavia como estado multiétnico va ligado dialécticamente al concepto de derecho de autodeterminación de los pueblos y es bajo la falsa bandera del divisionismo y la secesión lo que es realmente antagónico a la independencia. Es un concepto que en Euskal Herria es difícil de entender, debido en parte al desconocimiento y tambien a la manipulación y a la simplificación política del conflicto que hacemos,. Cualquier paralelismo entre Euskal Herria y la ex-yugoslavia es un planteamiento erroneo .

El derecho de autodeterminación es un término muy amplio que puede implicar una unidad territorial entre diferentes naciones (por lo menos en el caso balcánico) no sólo se trata del hecho de tener una bandera y una moneda común europea.

Pues nada más…eskerrik asko por tus aclaraciones y un gusto haber charlado con tigo acerca de estos temas que tantas pasiones y debates crearon en la década de los 90

Un placer, gracias a vosotros