Informazione



Patria Indipendente (mensile dell'ANPI), aprile 2013, p.40

Intere divisioni del “Regio Esercito” passarono ai partigiani

Migliaia i soldati italiani morti per la libertà della Jugoslavia

La scelta nell’ottobre del 1943. La decisione del Generale Oxilia e dei suoi 12 mila soldati. Anche la divisione “Taurinense” decise di battersi contro i nazisti. Via via la scelta giusta di tanti altri. I partigiani della “Garibaldi”. La bandiera italiana a Belgrado liberata

di Giacomo Scotti

Ufficialmente, la data di nascita del nuovo Esercito Italiano, quello cioè risorto dopo la caduta del fascismo, si fa risalire all’8 dicembre 1943, giorno in cui il Primo Raggruppamento Motorizzato, con circa 6.000 uomini, venne impiegato al fianco della 36a Divisione americana nell’azione per la conquista di Monte Lungo a sud di Cassino. Cinque mesi dopo, il 18 aprile 1944, quel Raggruppamento si trasformava nel Corpo Italiano di Liberazione che raggiungeva nel periodo del suo massimo potenziamento una forza complessiva di circa 24.000 uomini. Secondo me, la vera data di nascita del nuovo esercito italiano inteso come esercito democratico, antifascista e parte integrante della coalizione antihitleriana nella seconda guerra mondiale dovrebbe essere anticipata al 9 ottobre 1943, giorno in cui il generale Giovanni Battista Oxilia, comandante della Divisione di fanteria da montagna “Venezia”, firmò a Berane, in Montenegro, un documento con il quale dichiarava che la Divisione “Venezia”, forte di 12.000 uomini, “al completo, con tutte le armi, equipaggiamenti, vettovagliamenti e magazzini di cui dispone” restava nel territorio jugoslavo per combattere contro i tedeschi al fianco dei partigiani, coordinando le azioni militari con il comando del II Korpus dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (EPLJ), i cui uomini entrarono a Barane il mattino del 10 ottobre.
Quasi contemporaneamente, nel settore di Nikšić, sempre in Montenegro, l’esempio della “Venezia” venne seguito dalla Divisione alpina “Taurinense” al comando del generale Giovanni Vivalda. Questa Divisione, nel frattempo, era stata più che dimezzata in una serie di combattimenti contro i tedeschi, contro i filofascisti cetnici e contro gli stessi partigiani, nell’inutile tentativo di raggiungere la costa per l’imbarco, ma al tempo stesso nel generoso sforzo di portare aiuto alla Divisione “Marche” in Erzegovina e alla Divisione “Emilia” nelle Bocche di Cattaro.
Gli uomini della “Marche” furono quasi completamente catturati dai tedeschi; gli uomini dell’«Emilia» riuscirono in parte a raggiungere l’Italia. I superstiti della “Taurinense” – che erano stati attaccati perfino da reparti della Divisione “Ferrara” passata ai tedeschi – divennero tuttavia la punta di diamante della nuova unità di combattimento affiancatasi all’esercito di Tito.
Il 12 ottobre, quasi a inaugurare il nuovo capitolo della storia dell’esercito italiano, due aerei Macchi 205 partiti dalle Puglie raggiunsero il cielo di Berane, lanciarono il cifrario e stabilirono un collegamento radio regolare fra le due Divisioni e il Comando Italiano insediato a Brindisi. Questo nuovo esercito regolare italiano affiancatosi ai partigiani jugoslavi contava circa 14.000 uomini. Alcune altre migliaia di soldati italiani, tuttavia, inseriti direttamente in varie Brigate jugoslave, già combattevano da un mese contro i tedeschi nel vasto scacchiere del Montenegro, delle Bocche di Cattaro e del Sangiaccato, avendo compiuto autonomamente e con notevole anticipo sulle decisioni dei generali Oxilia e Vivalda, la scelta della lotta partigiana. Mi riferisco, in particolare, al Battaglione “Italia” comandato dal capitano Mario Riva della “Venezia” e alla Brigata di artiglieria alpina “Aosta”, comandata dal maggiore Carlo Ravnich, il quale diventerà poi comandante della Divisione partigiana “Garibaldi” sorta nel dicembre dalla fusione delle Divisioni “Venezia” e “Taurinense” e dalla loro ristrutturazione secondo le norme dell’esercito partigiano jugoslavo.
Erano stati proprio gli uomini di una batteria del Gruppo “Aosta”, la sesta batteria del tenente Francesco Perello, a impegnare i tedeschi nel primo scontro in terra jugoslava, alle ore 8 del mattino del 9 settembre. Una colonna autocarrata tedesca, avvistata all’inizio della piana di Nikšić mentre scendeva da Šavnik, venne fermata e costretta a ripiegare a colpi di cannone. Il maggiore Ravnich premiò i suoi uomini con un bigliettone da 500 lire e una lettera di encomio: “Bravi artiglieri!”. Sarebbe qui lungo raccontare la storia della Divisione partigiana italiana “Garibaldi”, le aspre battaglie sostenute dalle sue Brigate sulle aspre montagne del Montenegro e nei boschi della Bosnia, nei comprensori dei fiumi Piva, Tara, Drina, Lim, da Pljevlja ad Andrijevica, da Kolašin a Gacko, fino a Dubrovnik dove per i suoi uomini la guerra terminò l’8 marzo 1945. Nel mio volume “Ventimila Caduti” ho dedicato a questa Divisione circa 300 pagine e non sono riuscito che a dare una sintesi della sua dura e gloriosa odissea. L’epilogo è questo: su 19.000 soldati e ufficiali, rientrarono alle loro case soltanto 12.567 uomini. In combattimento ne caddero 3.272, altri 3.072 furono dati per dispersi, 128 morirono nella prigionia tedesca. Totale delle perdite, 6.472 uomini, un terzo degli effettivi.

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Nei giorni in cui i superstiti della Divisione “Garibaldi” s’imbarcavano a Dubrovnik diretti a Bari, nel marzo 1945, un’altra Divisione partigiana italiana, l’«Italia», inserita nel Primo Corpo d’armata, sotto il comando del generale Koča Popović, combatteva strenuamente sul fronte del Danubio, nella pianura dello Srem, avanzando verso Zagabria. La Divisione “Italia”, sia detto subito, fu l’espressione del più genuino volontarismo dei soldati antifascisti italiani sorpresi dall’armistizio in terra jugoslava. La sua genesi ci riporta a due Battaglioni; il “Garibaldi” costituitosi ufficialmente a Spalato l’11 settembre 1943 con circa 400 uomini in maggioranza carabinieri e fanti, ed il “Matteotti” inquadratosi con 250 uomini a Livno, in Bosnia, all’inizio di ottobre.
Quasi tutti venivano dalla Divisione “Bergamo” i cui uomini avevano difeso strenuamente, insieme ai partigiani, i passi montani attraverso cui, dopo circa un mese di strenui combattimenti, i tedeschi riuscirono a penetrare nel capoluogo della Dalmazia. Sia il “Garibaldi” che il “Matteotti” furono inseriti nella Prima Divisione proletaria, la più agguerrita formazione dell’esercito di Tito. Questi Battaglioni presero parte alle più epiche battaglie della guerra di liberazione jugoslava dalla Dalmazia alla Bosnia, dal Sangiaccato alla Serbia, fino alla liberazione di Belgrado avvenuta il 20 ottobre 1944.
Nella capitale jugoslava, dove gli italiani gareggiarono in eroismo con le migliori unità di Tito e con i reparti corazzati sovietici del maresciallo Tolbuhin, furono essi a innalzare la prima bandiera dell’Italia democratica sull’edificio dell’Ambasciata italiana e fu il commissario politico dell’«Italia», Innocente Cozzolino, a svolgere provvisoriamente le funzioni di console italiano nella nuova Jugoslavia. Il Maresciallo Tito volle che i due Battaglioni italiani sfilassero in prima fila nella rivista che gli passò ai reparti liberatori.
Sempre a Belgrado, in seguito alla liberazione di alcune migliaia di soldati italiani che avevano sofferto la prigionia tedesca, nacquero altri due Battaglioni, “Fratelli Bandiera” e “Goffredo Mameli”. Nacque così la Brigata “Italia”, divenuta poi Divisione con l’afflusso continuo di nuovi volontari, che sbucavano da ogni parte lungo il cammino di guerra. L’8 maggio 1945 i combattenti dell’«Italia», dopo altri duri combattimenti sostenuti a Tovarnik, a Pleternica, sul monte Slijem, entravano vittoriosi a Zagabria. Erano circa 5.000 uomini ormai, strutturati su 12 Battaglioni, al comando di Giuseppe Maras, ex sottotenente dei bersaglieri; commissario politico Carlo Cutolo, ex tenente di fanteria; vice comandante e capo di stato maggiore il tenente Aldo Parmeggiani; vice commissario Attilio Mario Ceccarelli, ex soldato semplice; capo dei servizi stampa, cultura e propaganda Innocente Cozzolino, ex sottotenente; commissario di collegamento l’ex sergente Mario Gatani Tindari, siciliano, il quale era passato ai partigiani fin dal 1942.
Nel cimitero di Zagabria, dove riposano le ossa degli ultimi caduti della Divisione “Italia”, sorge un monumento sul quale si leggono queste parole: «Compagno, quando vedrai mia madre dille di non piangere. Non sono solo. – Giace al mio fianco un compagno jugoslavo. Che nessuno ardisca gettare fango sul sangue sparso nella lotta comune. Trovammo qui fede madre pane fucile. I morti lo sanno. I vivi non lo dimenticheranno. Fiumi di sangue divisero due popoli. Li unisce oggi il sacrificio dei compagni migliori».

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Le Divisioni “Garibaldi” e “Italia” non furono gli unici reparti italiani che combatterono nelle file dell’esercito popolare di liberazione della Jugoslavia. Minori reparti italiani, della forza di Battaglioni e compagnie, fecero parte di numerose Brigate e Divisioni jugoslave; altri combattenti italiani, si aggregarono individualmente alle unità partigiane. Sta il fatto, evidenziato anche da uno scritto del generale Kosta Nadj, che «dopo la capitolazione italiana, ma in parte già prima, oltre quarantamila soldati dell’esercito italiano di occupazione passarono nelle file dell’Armata di liberazione di Tito». Le fonti ufficiali jugoslave affermano che nell’EPLJ militarono ben 50 formazioni di italiani della forza di compagnie, Battaglioni, Brigate e Divisioni.
Gli italiani per il loro numero, superarono la metà degli effettivi totali di tutte le formazioni volontarie composte da non jugoslavi. Il contributo è evidenziato anche dal fatto che ben ventimila sacrificarono la vita in terra jugoslava, praticamente la metà di tutti i combattenti. La cifra era stata evidenziata dallo stesso Tito in un messaggio agli ex combattenti italiani dell’aprile 1969. Di alcune di queste formazioni, i cosiddetti “reparti dispersi”, ho scritto nel libro “Il Battaglione degli straccioni”. Ricorderò qui, rapidamente, il Battaglione “Mameli” sorto nel retroterra di Zara nella seconda metà di settembre del 1943, e distintosi nelle file del Distaccamento “PIavi Jadran”; il “V Battaglione Italiano” della II Brigata Banjiska; il Battaglione “Ercole Ercoli” che militò nella III Brigata dalmata e poi nella IV Brigata di Spalato; varie compagnie italiane inserite nella V e nella IV Brigata Krajska della Bosnia; una compagnia “Garibaldi” che divenne il nucleo della I Brigata macedone kosovana nel Kosovo e in Macedonia; un gruppo di artiglieria composto di oltre 300 uomini nella XIII divisione croata del Gorski Kotar. E si potrebbe continuare. Ecco, fra tanti altri dati citabili quelli inerenti la composizione nazionale delle unità dell’XI Corpo d’armata della Croazia nel dicembre 1944: su 11.000 combattenti, 482 sono italiani; oppure le statistiche dell’VIII Corpo d’Armata, sempre in Croazia, alla data del 28 gennaio 1945: vi militavano 1.685 combattenti italiani (di cui 76 ufficiali), suddivisi in sei Divisioni, nelle Brigate carristi e di artiglieria.
Alcuni reparti ebbero una storia breve e drammatica, come il Battaglione “Garibaldi” formato da 800 soldati del I Battaglione di Guardie di Frontiera nel Gorski Kotar e inquadratosi il 12 settembre 1943 nel Distaccamento Fiume-Sušak. Questi uomini sostennero l’urto principale della grande offensiva tedesca sferrata in ottobre sulle posizioni partigiane che dominavano il Golfo del Quarnero e più della meta caddero in combattimento. I superstiti raggiunsero in parte l’Italia, dove continuarono a combattere nelle file della Resistenza, e in parte la Slovenia dove si inserirono nei Battaglioni e Brigate di quella regione.

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A questi combattenti partigiani italiani venuti dalle file di un esercito che per circa trenta mesi, dall’aprile 1941, avevano sostenuto il disonorevole compito di occupatori, vanno aggiunti i volontari civili nelle terre dell’Istria e del Quarnero. In quelle terre, dominate per oltre cento anni dall’Austria e poi cedute all’Italia, dopo la prima guerra mondiale, la maggioranza della popolazione slava aveva visto negli italiani non il nemico ma il fratello nella sventura. Il vero nemico era il fascismo che aveva perseguitato per venti anni gli antifascisti sia slavi che italiani. Gli antifascisti italiani, anzi, erano sempre stati in testa nella lotta contro gli sfruttatori e gli oppressori, pagando con la galera e le persecuzioni.
Già in precedenza, fin dall’agosto del 1942, numerosi italiani combattevano nelle file della Prima Compagnia partigiana dell’Istria, ed oltre 300 avevano varcato il vecchio confine per raggiungere i partigiani in Slovenia e in Croazia. Nel settembre 1943, l’Istria poté formare reparti partigiani con 12.000 combattenti, italiani e croati. Migliaia di operai, pescatori, contadini, studenti e intellettuali di Pola, Rovigno, Parenzo, Fiume e di altre località costituirono speciali reparti della minoranza italiana nelle Brigate e Divisioni slave della stessa regione. Il reparto più famoso di quelle terre fu e resta il Battaglione “Pino Budicin” nelle cui file passarono oltre 2.000 combattenti e che ha dato due riconosciutissimi eroi. Del suo cammino di lotta, e della lotta condotta dagli altri italiani dell’Istria nelle formazioni armate di Tito si parla diffusamente nel libro “Rossa una stella”.

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Un altro aspetto del contributo italiano alla guerra popolare di liberazione della Jugoslavia è costituito dalla presenza di grosse unità partigiane italiane, della forza di Battaglioni, Brigate e alla fine di un’intera divisione, nel territorio della Slovenia. Solo parzialmente quei reparti furono formati da ex militari dello sciolto esercito di occupazione. La maggior parte degli effettivi era di civili: migliaia di volontari affluiti dalle terre d’oltre Isonzo, soprattutto dai territori di Trieste e del Friuli.
Non a caso il primo reparto della Resistenza armata in Italia, il Distaccamento “Garibaldi” costituitosi nel Friuli nel marzo del 1943, parecchi mesi prima della caduta del fascismo e dell’armistizio, dunque, nacque dall’unione di uomini che avevano militato nell’esercito partigiano sloveno o che furono calamitati sulle montagne in quel periodo dagli appelli dell’esercito di Tito che già operava nella Venezia Giulia dal 1942, cacciando i fascisti dalla Selva di Tarnova, un vasto altipiano ad est e a nord-est di Gorizia, costituendovi una propria “Zona libera”. Allorquando i tedeschi, nel settembre-ottobre del 1943, investirono con le loro truppe di rincalzo le terre della Venezia Giulia per dilagare a Gorizia, a Trieste e verso l’Istria, furono i partigiani sloveni ad accogliere nelle loro file i combattenti partigiani italiani della “Brigata Proletaria” e della “Brigata Trieste” che si erano sbandate dopo aver sostenuto per alcune settimane l’urto tremendo delle Divisioni hitleriane. Nacquero allora, e in seguito, in territorio sloveno, i Battaglioni “Triestino d’Assalto”, “Giovanni Zol”, “Alma Vivoda”, “Mazzini” e altri, poi via via le Brigate “Garibaldi-Trieste”, “Fratelli Fontanot” e nell’estate del 1944 la gloriosa divisione “Garibaldi-Natisone” che militò nei ranghi del IX Corpo d’armata sloveno fino alla liberazione della Slovenia e dell’intera Venezia Giulia. Oltre che a entrare vittoriosi a Gorizia ed a Trieste con i reparti jugoslavi, i partigiani italiani presero parte anche alla liberazione di Lubiana, il 9 maggio 1945. Il contributo di sangue dato dagli italiani fu altissimo anche in Slovenia: soltanto nelle operazioni dell’aprile 1945 caddero un migliaio di combattenti.

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Nel glorioso capitolo del volontarismo italiano in Jugoslavia, che venne a ricomporre nella seconda guerra mondiale il filo della tradizione garibaldina – per tutto l’Ottocento e gli inizi del nostro secolo, centinaia di volontari italiani si erano infatti recati in Balcania, dal Montenegro alla Macedonia, dalla Bosnia alla Serbia, a combattere al fianco di quei popoli nelle loro lotte insurrezionali contro il giogo ottomano – una pagina particolarmente luminosa fu scritta da quei combattenti che varcarono spontaneamente l’Adriatico per unirsi ai partigiani jugoslavi. Giunsero soprattutto nel periodo marzo 1944-aprile 1945 dalle regioni meridionali della penisola, arruolandosi nelle cosiddette “Brigate d’Oltremare” che andavano formandosi nelle Pugile con l’adesione di ex prigionieri e detenuti politici, deportati dalla Dalmazia, dal Montenegro e dalla Venezia Giulia. Insieme a circa 30 mila jugoslavi, si arruolarono alcune migliaia di italiani. Ci fu un Battaglione, l’«Antonio Gramsci», forte di 800 uomini, composto esclusivamente da giovani volontari italiani, in parte ex militari e in parte civili: siciliani, pugliesi, calabresi e di altre regioni del Mezzogiorno che preferirono raggiungere la Jugoslavia piuttosto che attendere le lungaggini burocratiche opposte dagli Alleati e dallo stesso Governo Badoglio alla loro volontà di combattere subito e con durezza contro i tedeschi. Di quel Battaglione, 300 uomini non tornarono.

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Nelle formazioni di Tito militarono antifascisti d’ogni regione d’Italia, umili contadini e professori universitari, medici e cappellani, antifascisti di vecchia data ed ex fascisti ravveduti e tante donne. Nelle mie ricerche ho incontrato addirittura due fanfare militari, composte in prevalenza da italiani, nella 50a Divisione partigiana serba e nella II Brigata d’assalto dalmata. Ho rintracciato italiani che fecero parte dei più delicati corpi dell’EPLJ: i reparti dell’antiterrorismo che davano la caccia alle spie e sabotatori ed ai collaborazionisti; i reparti commandos della Marina partigiana che operavano fra le isole dell’arcipelago dalmato nei compiti più rischiosi e perfino nell’aviazione. Basti per tutti il caso del tenente pilota Luigi Rugi, l’unico italiano partigiano del cielo nella seconda guerra mondiale. Fuggito nel settembre 1943 dall’aeroporto di Gorizia a bordo di un aereo-scuola che era stato catturato dai tedeschi, fece un atterraggio di fortuna in Slovenia, di lì passò in Croazia e poi in Bosnia. A Livno, dove per ordine di Tito si costituì la Prima squadriglia aerea partigiana, Rugi ne fu uno dei fondatori. Quella squadriglia ebbe 7 Caduti fino alla fine della guerra; l’ultimo a sacrificare la vita fu proprio l’italiano. Cadde il 30 aprile 1945, nel giorno del suo ventiquattresimo compleanno, a pochi giorni dalla liberazione. Qualche mese prima, sull’isola di Vis, era stato insignito personalmente da Tito dell’Ordine al Valore.


[ LE FOTO:
La Brigata italiana “Fontanot” appena formata in Slovenia si dirige verso le postazioni
Il Battaglione “Garibaldi” in marcia da Valjevo verso Lajkovac nel 1944
Un reparto della Divisione “Italia” in Jugoslavia
Inverno 1944-45: la Divisione “Italia-Matteotti” in un momento di sosta
Il generale Dapcevic e i combattenti della Divisione “Garibaldi-Berane” nel dicembre 1943
Il Battaglione “Garibaldi” della Brigata “Italia” durante i combattimenti per le strade di Belgrado nell’ottobre del 1944



(francais / italiano)

Appunti sull'annessione della Croazia alla UE

1) Croazia, da UE “benvenuto” poco convinto (tmnews.it) / Croazia: UE in dirittura d’arrivo, tra crisi e indifferenza (ANSA)
2) La Croazia europea a rischio sanzioni. Appena entrata subito bocciata (Il Piccolo)
3) Istria, turisti russi “in fuga” dai visti (Il Piccolo)
4) Croatie : sur les chantiers navals de Split, on licencie tout le monde !
5) Allargamento UE, Lubiana punta a fermare i lavoratori croati (Il Piccolo) / Slovenia chiude mercato lavoro per 2 anni  (ANSA)

LINKS:

Botta e risposta sulla Croazia nella U.E. (gennaio-febbraio 2012)
Il presidente del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Ivan Pavičevac, è ritornato all'inizio del 2012 sulla questione della adesione della Croazia alla Unione Europea con una lettera di protesta inviata a titolo personale a Bruxelles. Un simile intervento lo aveva tentato già un paio di anni prima, ricevendo come risposta un evasivo "La Croazia non è ancora formalmente candidata all'adesione...". Ecco, dopo due anni la Croazia è formalmente candidata, ed il 1/7/2013 se ne celebra infine la adesione, benché la sanguinosa storia recente della sua "indipendenza" sia nota a tutti, ed ai funzionari UE meglio che agli altri.

Elementi sul neo-ustascismo e sulla vera natura della "Guerra Patriottica" in Croazia 

La cancellazione della Repubblica Serba di Krajina: crimini di guerra e desaparecidos 

Intervista al prof. Aldo Bernardini sul carattere del nuovo Stato indipendente croato dal punto di vista del Diritto Internazionale

A Maastricht il ricatto tedesco: se volete l'Unione Europea dovete uccidere l'unità jugoslava 

e dalla newsletter JUGOINFO:

Pulizia etnica in Croazia

Croazia, si stringe il cappio UE-FMI al collo dei lavoratori 

Croatia: EU accession and social massacre 

Referendum u Hrvatskoj 

e inoltre:

Croazia, il nuovo membro "euro-indifferente"
di Francesco Martino - OBC 24 giugno 2013

Croazia nell'UE, ma a pezzi
di Matteo Tacconi - OBC 27 giugno 2013


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Croazia, da UE “benvenuto” poco convinto

www.tmnews.it 24 maggio 2013 - Da una settimana un enorme cartellone sulla sede di rappresentanza della commissione europea dà il “benvenuto alla Croazia” che il primo luglio diventa ufficialmente il 28esimo membro dell'Unione. Ma Zagabria si unisce al club europeo in una fase di difficoltà economiche sedimentate e di scarso interesse, a dir poco, per la causa del continente unito. Un rapporto pubblicato da Bruxelles lo scorso 29 maggio mette in guardia a chiare lettere: l'esecutivo comunitario potrebbe avviare in tempi brevi una procedura per deficit eccessivo contro la Croazia, per sforamento del tetto sul deficit di bilancio.
Il debito croato rappresenta al momento il 54% del Pil, ma, secondo la Commissione, supererà ampiamente la soglia del 60% nel 2014, oltre i limiti fissati dall'Ue. Zagabria prevede per quest'anno una crescita economica dello 0,7% e del 2,4% l'anno prossimo, mentre la Commissione mette in conto un arretramento del Pil croato dell'1,0% nel 2013 e una debole ripresa l'anno prossimo, a +0,2%. Il deficit di bilancio dovrebbe arrivare quest'anno al 4,7% del Pil e rischia di salire nel 2014 al 5,6%, ben al di sopra del tetto del 3% previsto dall'Ue.
Quanto alla disoccupazione, è arrivata oltre il 20% e solo venerdì scorso la Slovenia si è affrettata a votare l'estensione delle restrizioni all'accesso del suo mercato del lavoro per i cittadini croati, che saranno considerati de facto extra-comunitari per almeno altri due anni.

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Croazia: UE in dirittura d’arrivo, tra crisi e indifferenza 

Franko Dota
www.ansa.it 4 giugno 2013

A meno di quattro settimane dall’ingresso nell’Unione europea, il primo luglio prossimo, la Croazia sembra oggi un Paese quasi indifferente verso questa importante tappa storica, considerata in passato come il culmine del processo di indipendenza e di democratizzazione, iniziati ventidue anni fa. Il governo di centro-sinistra, in carica dal novembre del 2011, ha subito un rovescio alle amministrative di domenica scorsa, perdendo la guida della capitale Zagabria dopo 13 anni di amministrazione socialdemocratica, seppur vincendo nelle altre maggiori città. I forti tagli alla spesa pubblica, inclusa la riduzione degli stipendi degli statali, e la mancata promessa di attirare nuovi investimenti esteri e avviare alcuni grandi progetti infrastrutturali pubblici, sono alla base del calo di consensi del governo.

Ma un più largo scontento sociale, che questa settimana potrebbe sfociare in una prima grande ondata di scioperi nel settore pubblico, è dovuto alla profonda crisi economica e alla disoccupazione che ormai da un anno è costantemente sopra il 20 per cento della forza lavoro (a circa il 40 per cento quella giovanile). L’economia è in recessione per il quinto anno consecutivo, nonostante la politica di austerità il debito estero continua a crescere e la produzione industriale a calare. Il turismo, che rappresenta quasi il 20 per cento del Pil del Paese, rimane l’unico settore a non risentire della crisi. Ma le notizie negative che continuano ad arrivare dell’eurozona e i problemi interne alla Ue non contribuiscono a smorzare l’atmosfera di apatia. Dalla prima fase dopo l’adesione non ci si attende molto.

Paesi come Germania e Austria hanno già annunciato che useranno il diritto di limitare l’ingresso dei croati al loro mercato del lavoro. Per quanto i prodotti croati avranno accesso al mercato unico, molti temono che l’ingresso nell’Ue potrebbe tramutarsi in un altro colpo all’industria croata, soprattutto quella agroalimentare, dato che i prodotti europei avranno il libero accesso ai supermercati in Croazia. Inoltre, dal primo luglio il Paese è costretto a uscire dalla Cefta, l’associazione di libero scambio tra i Paesi dei Balcani non-membri dell’Ue, zona in cui la Croazia tradizionalmente, sin dal periodo jugoslavo, realizza una enorme fetta del suo interscambio commerciale, sempre con un avanzo a suo beneficio. D’altro canto, come importane stimolo allo sviluppo del Paese, viene indicato che nell’ambito del quadro finanziario pluriennale UE 2014-2020, Zagabria potrà contare su 11.7 miliardi di euro, e già nella seconda metà del 2013 avrà a disposizione circa 665 milioni di euro, di cui 450 milioni di fondi strutturali e di coesione.

A prescindere dal quadro economico, l’adesione alla Ue ha comunque per la Croazia un fortissimo valore simbolico, e rappresenta la conclusione di un lungo processo di transizione dall’esperienza jugoslava e socialista, conclusasi con la sanguinosa guerra per l’indipendenza negli anni Novanta, verso l’appartenenza alla famiglia delle nazioni europee. I negoziati di adesione sono stati lunghi e più severi di quelli degli altri Paesi dell’est europeo. Nella prima fase l’ostacolo maggiore era costituito dalla non soddisfacente cooperazione con il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (Tpi), mentre negli ultimi anni Bruxelles ha insistito sulla democratizzazione del quadro legislativo e delle istituzioni, come anche sulla lotta al crimine organizzato e alla corruzione.

L’esempio più visibile degli sforzi fatti da Zagabria sono i tre processi per corruzione contro l’ex primo ministro Ivo Sanader, e una sua condanna in primo grado a dieci anni di carcere. Ma per ironia della sorte, proprio Sanader sarà ricordato nei libri di storia come il leader politico croato che, governando dal 2004 al 2009, ha avviato una serie di riforme che hanno portato la Croazia nella Ue. Il 30 giugno è in programma a Zagabria e in altre città croate una grande festa per l’adesione, e sono attesi i massimi dirigenti delle istituzioni europee, leader di una ventina di Paesi dell’Ue, incluso il presidente Giorgio Napolitano e il presidente del consiglio Enrico Letta, come anche i dirigenti dei Paesi vicini, come la Serbia e la Bosnia. Con l’ingresso della Croazia, secondo Paese della ex Jugoslavia a entrare nell’Unione dopo la Slovenia, per l’Ue non cambierà molto, dato che il Paese rappresenterà lo 0,85 per cento dell’intera popolazione, l’1,33 per cento del territorio e lo 0,53 per cento del Pil. A livello simbolico invece l’adesione dei croati rappresenta la conclusione della prima fase della stabilizzazione e integrazione dei Balcani, dopo le guerre degli anni Novanta, e una piccola spinta alla fiducia nell’Europa unita nella presente situazione di crisi.


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La Croazia europea a rischio sanzioni 

di Stefano Giantin
su Il Piccolo del 5 giugno 2013

Croazia, appena entrata nell’Ue e subito “bocciata” da Bruxelles. Potrebbe essere questo il destino di Zagabria, il prossimo primo luglio. Un destino, ha rivelato ieri l’agenzia di stampa Reuters, provocato dalle pessime condizioni di salute del prossimo 28esimo membro dell’Unione. Unione che, ha specificato Reuters, potrebbe – quasi contemporaneamente all’adesione di Zagabria – aprire «misure disciplinari» contro la Croazia a causa del deficit e del debito pubblico in crescita costante.

La previsione è corroborata dai contenuti di un documento di lavoro della Commissione europea, pubblicato a fine maggio, che mette a nudo i punti deboli dell’economia croata. Economia che «continua a dibattersi in una recessione» che proseguirà almeno fino al 2014 e che dura ormai da cinque anni.

Da quel 2009, annus horribilis della crisi, «amplificata» in Croazia dalle «debolezze strutturali» del sistema economico. Ma il problema maggiore per Zagabria è il deficit. «Le autorità si sono impegnate a ridurlo a meno del 3% del Pil entro il 2016», segnala l’analisi della Commissione, ma per ora risultati positivi non si vedono. Le previsioni di primavera di Bruxelles sull’economia croata evidenziano un disavanzo nel 2013 al 4,7% del Pil, che salirà al 5,6% nel 2014. Male anche il debito pubblico croato, quasi raddoppiato dal 2008, che l’Ue prevede «supererà il limite del 60% del Pil nel 2014», a causa del deficit crescente. Da qui le previsioni di Reuters, che suggerisce di leggere tra le righe il rapporto della Commissione.

E leggendo tra le righe si comprende che Zagabria potrebbe – come accadde ad esempio all’Ungheria nel 2004 – entrare nell’Ue e al contempo venire iscritta tra i Paesi sotto osservazione a causa del deficit superiore ai parametri europei, ossia «il 3% di rapporto deficit/Pil e il 60% di rapporto debito pubblico/Pil». Nel caso in cui uno Stato membro sfori la soglia prevista per il disavanzo, dall’Unione scatta la procedura per disavanzo eccessivo», ricorda la Commissione. Una procedura che comprende «diverse fasi, giungendo fino a eventuali sanzioni». Un modo per fare pressioni sui Paesi membri Ue affinché adottino «misure correttive».

E potrebbe essere questo il di verdetto per Zagabria.

Difficile infatti che in poche settimana la Croazia riesca a tornare a essere virtuosa, evitando l’onta della procedura d’infrazione. E per Zagabria si prospettano anche anni di scelte lacrime e sangue, come suggerito dalla Commissione. Zagabria che dovrà aumentare le tasse, si legge nel rapporto, «combattere evasioni e frodi fiscali», abbandonare ogni velleità di sostegno alle grandi imprese pubbliche, «altamente indebitate e a rischio per le finanze statali», leggi nuove privatizzazioni, migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione e agire contro «la rigidità del mercato del lavoro».


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Istria, turisti russi “in fuga” dai visti

di Andrea Marsanich
su Il Piccolo del 14 giugno 2013

I primi cinque mesi dell’anno hanno regalato grosse soddisfazioni in Croazia quanto a risultati turistici, ma è giugno a preoccupare gli operatori del settore. L’estate tarda ancora ad arrivare, i Paesi dell’Europa Centrale sono colpiti da gravi alluvioni e a peggiorare il quadro è la situazione sorta dallo scorso primo aprile, quando Zagabria ha dovuto uniformarsi all’Unione europea, introducendo il regime di visti per i cittadini russi ed ucraini.

Tutto ciò sta erodendo i dati positivi registrati nel periodo da gennaio a maggio, con la Croazia, dove oltre il 90% degli arrivi di villeggianti riguarda le regioni adriatiche, che è stata visitata da 1 milione e 900mila vacanzieri, che hanno fatto totalizzare agli operatori 6 milioni e 700mila pernottamenti. Rispetto all’identico periodo di un anno fa, l’incremento è molto consistente, rispettivamente del 9 e dell’11 per cento. Tenendo conto di quanto avviene nella stragrande maggioranza dei Paesi mediterranei la Croazia può – o potrebbe – dirsi nella tradizionale “botte di ferro”. In realtà non è tuttavia così, perché il mese corrente sta continuando a sfornare giornate di tempo instabile, con poco sole, tante nuvole e temperature del mare che oscillano ancora tra i 19 e i 20 gradi.

Fa eccezione Pola, dove giorni fa la temperatura marina ha toccato i 23 gradi, di sicuro più gradita ai bagnanti. La nuvolosità variabile ha inciso negativamente soprattutto sui viaggi last minute, con gli interessati che preferiscono restare a casa invece di trascorrere le vacanze con l’ombrello aperto o tappati nelle strutture ricettive. «Le alluvioni all’estero - sostengono i lavoratori turistici croati - hanno avuto un contraccolpo negativo per l’industria turistica, con i potenziali vacanzieri che preferiscono non mettersi in viaggio». Non almeno fino a quando la situazione non si sarà normalizzata e il pericolo superato. A peggiorare il tutto sono i visti per l’ingresso in Croazia per i cittadini russi e ucraini. Il ministro del Turismo, l’istriano Darko Lorencin, ha visitato a tale scopo la Russia, proponendo una soluzione che è piaciuta alle autorità di Mosca. In 18 città della Russia con almeno un milione di abitanti, sono stati aperti uffici per i visti, che contribuiscono a snellire il rilascio degli stessi. Dal primo aprile l’ambasciata croata a Mosca ha rilasciato poco più di 13mila visti, mentre quotidianamente riceve da 1.000 a 1.500 richieste. L’anno scorso a soggiornare in Croazia sono stati circa 200mila villeggianti russi, l’8% in più rispetto all’anno precedente.

È dunque sempre più consistente la quota del mercato turistico croato formata dai vacanzieri della Russia. Stando agli addetti ai lavori, i visti costringeranno non pochi russi a rinunciare alla trasferta croata e a dirigersi verso i lidi del Montenegro, Paese che non prevede invece questo tipo di permesso.


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Croatie : sur les chantiers navals de Split, on licencie tout le monde !


index.hr - 31 mai 2013

Plus de 3 000 salariés des chantiers navals de Split vont être licenciés. Le fleuron industriel croate, bradé en début d’année pour une bouchée de pain, doit être « restructuré ». Le repreneur, DIV, promet de réembaucher 1 500 à 2 000 personnes - ceux qui satisferont à un ensemble assez flou de critères. Syndicalistes s’abstenir.

Par Me. M. - Traduit par Persa Aligrudić

L’entreprise DIV, qui a racheté à l’Etat en mars dernier la quasi-totalité des actions de l’entreprise pour une bouchée de pain, annonce qu’elle emploiera au départ environ 1 500 personnes en CDI et 500 autres en CDD. A terme, entre 2 000 et 2 500 personnes seront employées dans la nouvelle structure. Les patrons de DIV s’engagent à puiser dans le vivier des employés licenciés lors des futures embauches.

« Plus de 3 000 employés de Brodosplit percevront une prime de licenciement au montant de 4 000 kunas (530 euros) par année de carrière pour les 20 premières années et 1 500 kunas (200 euros) par année au delà de 20 ans passés chez Brodosplit », a annoncé la direction. Le programme a été approuvé par l’Agence croate pour l’emploi dans le cadre de la restructuration de Brodosplit.

« La Direction a dû procéder immédiatement au licenciement d’un certain nombre de salariés. Ces mesures étaient indispensables dans le cadre du processus de restructuration, ainsi que pour la mise en place d’une structure adaptée aux véritables besoins de Brodosplit. C’est la conséquence de la gestion irresponsable conduite par le passé, de la mauvaise politique commerciale, des mesures de restructuration qui n’ont pas été prises au moment voulu et l’accumulation des pertes durant plusieurs années, qui ont mené la compagnie au bord de la faillite », précise le communiqué officiel de la Direction.

Le programme de sélection des employés est actuellement en cours et de nouveaux contrats de travail seront proposés. On espère que tout sera prêt dans le courant du mois de juin, au plus tard en juillet. « La réembauche dépendra en grande partie du choix des collaborateurs, des résultats des examens d’embauche et des décisions des futurs cadres », annonce la direction, en ajoutant que les travailleurs auxquels un nouveau contrat de travail ne sera pas proposé pourront bénéficier de consultations pour les aider à trouver un nouvel emploi.


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Allargamento UE, Lubiana punta a fermare i lavoratori croati

s.g. su Il Piccolo del 31 maggio 2013

Cari amici croati, bravi e benvenuti nell’Ue. Sì, benvenuti. Non fatevi però neppure venire in mente – almeno per un paio d’anni – di fare le valigie, attraversare il confine a Bregana, a Pasjak o a Rupa per venire liberamente a lavorare in Slovenia. Sarà questo, salvo sorprese, l’augurio-ordine che la Slovenia rivolgerà il primo luglio ai croati appena diventati cittadini Ue a tutti gli effetti. Cittadini che potrebbero non poter accedere liberamente al mercato del lavoro di Lubiana, senza richiedere un apposito permesso.

La Slovenia sta infatti alacremente lavorando a una legge che renda efficace il “regime transitorio” previsto dal trattato di adesione di Zagabria nell’Ue, che prevede la possibilità di introdurre restrizioni all’accesso al mercato del lavoro sloveno per i croati. «La misura temporanea» dovrebbe «entrare in vigore» proprio dal 1° luglio e rimanere valida «fino al 30 giugno 2015», secondo la bozza di legge preparata dal ministero del Lavoro di Lubiana.

Questa legge, se adottata dal governo e approvata dal Parlamento, obbligherà per due anni la Slovenia «a trattare i cittadini croati», nell’accesso all’impiego in Slovenia, «come cittadini di Stati non membri» dell’Unione, spiega l’agenzia di stampa “Sta”. Un modo per arginare un’assai improbabile “invasione” di croati, affamati di lavoro e diretti in Slovenia. E per «proteggere un mercato del lavoro», quello di Lubiana, le cui condizioni «potrebbero deteriorarsi» ulteriormente. Come potrebbe deteriorarsi anche il fronte della spesa pubblica, da rimettere sotto controllo anche con tagli alle pensioni, ha annunciato ieri il ministro delle Finanze sloveno, Uros Cufer.

Ma non tutti sembrano convinti che sbarrare le porte del mercato del lavoro sloveno sia una buona idea. Prima di muoversi bisogna capire se la mossa «non faccia più male che bene», ha detto nei giorni scorsi il ministro degli Esteri sloveno, Karl Erjavec, che ha specificato che per ora solo i Paesi Bassi hanno ufficialmente imposto restrizioni simili nei confronti di Zagabria. Le orme di Amsterdam saranno presto ufficialmente calcate però anche da Berlino, Londra, Vienna, e forse appunto Lubiana, dove nel consiglio dei ministri della settimana prossima la legge di “blocco” dovrebbe essere adottata e poi passata all’esame del Parlamento per una rapida approvazione.

Altri stati membri non vedono invece alcun pericolo nell’aprire le frontiere ai cittadini di Zagabria in cerca d’impiego. Ultimo in ordine cronologico, l’Irlanda, che ha assicurato che non sceglierà la via del “regime transitorio” dato che vari studi segnalano «la bassa propensione» dei croati «a emigrare» in cerca di lavoro. Dublino è così entrata nel club dei membri Ue meno preoccupati per “un’invasione” da Zagabria. Un club ristretto, formato per ora da Cechia, Slovacchia, Danimarca, Finlandia, Estonia e Lituania.

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Croazia in UE, Slovenia chiude mercato lavoro per 2 anni 

www.ansa.it 7 giugno 2013 - La Slovenia limiterà l’accesso al suo mercato del lavoro per un periodo transitorio di due anni ai cittadini della Croazia, che il primo luglio entrerà in pieno nell’Unione europea. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro sloveno Anja Kopac, precisando che il governo ha inviato al parlamento il relativo ddl, che dovrebbe essere approvato prima dell’ingresso di Zagabria nella Ue. La moratoria è prevista dal Trattato di adesione della Croazia come opzione per tutti i Paesi dell’Ue. La decisione slovena comporta che i croati, sebbene cittadini europei, per lavorare regolarmente in Slovenia dovranno ottenere un permesso di lavoro identico a quello previsto per i cittadini di Paesi non comunitari.

Il ministro ha spiegato che il governo ha deciso di attivare il diritto alla moratoria “per l’alto tasso di disoccupazione in Slovenia, dettato dalla difficile situazione economica”. “I senza lavoro sono molti anche nella vicina Croazia, e solo nelle regioni limitrofe alla Slovenia ce ne sono circa 100 mila”, ha aggiunto Kopac, spiegando che si tratta di “una decisione razionale che mira a dare la priorità ai disoccupati sloveni, e non è in nessun modo diretta contro la Croazia”. Il tasso di disoccupazione in Slovenia ha raggiunto il 13 per cento, mentre in Croazia i senza lavoro sono 330 mila, pari al 20 per cento della forza lavoro.

Zagabria, in base al principio di reciprocità, ha diritto a introdurre la stessa limitazione per i cittadini sloveni. I Paesi membri dell’Ue possono chiudere il proprio mercato del lavoro ai croati per un periodo transitorio fino a un massimo di sette anni. Secondo al stampa di Zagabria, simili limitazioni per i croati varranno anche nel Regno Unito, in Austria e in Germania, in quest’ultimo Paese con l’eccezione dei professionisti con laurea e i lavoratori stagionali. La Francia starebbe ancora valutando se introdurre o meno la moratoria, mentre non ci saranno limitazioni per i croati in Danimarca, Finlandia, Estonia e Lituania.

Nei giorni scorsi il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, Enrico Letta, invitandolo a esaminare la questione dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, preoccupato delle conseguenze che questo potrà avere sul piano del mercato del lavoro, in particolare in Veneto.





SINDACATI DI REGIME

Croazia, celebrazione sindacati italiani croati e sloveni 

ANSA 21 giugno 2013 - I sindacati italiani, croati e sloveni, riuniti nei due Consigli Sindacali Interregionali (C.S.IR.) Friuli Venezia Giulia/Veneto/Croazia Sudoccidentale e Friuli Venezia Giulia/Slovenia Nord Est si troveranno giovedì 27 giugno 2013 in un doppio appuntamento sui confini italo-sloveno di Rabuiese e sloveno-croato di Castelvenere, per celebrare l'ingresso della Croazia nell'Unione europea.
La giornata prevede momenti celebrativi e conferenze stampa, saranno sottolineate le ragioni della storica importanza dell'ingresso della Croazia nell'Unione europea.




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

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19 Giugno 2013
di Pascual Serrano | da www.rebelion.org
traduzione a cura di Marx21.it

I paesi dell'Unione Europea, non dimentichiamo premiata con il Nobel della Pace, non hanno sostenuto il 13 giugno al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU, a Ginevra, la risoluzione sulla promozione del diritto alla pace, patrocinata da sedici paesi membri del Consiglio.

In totale, la proposta è stata appoggiata da trenta paesi, la maggioranza del Terzo Mondo, mentre le nazioni europee, insieme a Stati Uniti, Giappone e India si sono astenute (8) o hanno votato contro (9). Tra gli europei astenuti Polonia e Italia, oltre alla Svizzera che non appartiene all'UE. La Spagna, insieme a Germania, Repubblica Ceca e Austria, ha votato No.

La risoluzione è un'iniziativa di Cuba, in seguito assunta dalla Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), che, per raccogliere il maggior consenso possibile, si limita a chiedere che si collabori con il gruppo di lavoro e un comitato consultivo già esistente perché, mediante la consultazione con gli Stati membri, la società civile, il mondo accademico e tutti gli altri operatori di rilievo, si prepari un progetto di Dichiarazione sul Diritto dei popoli alla pace.

Il citato Comitato Consultivo ha presentato lo scorso anno un progetto di dichiarazione che raccoglie la maggior parte dei suggerimenti ricevuti da esperti, governi e società civile. Questo comitato ha suggerito di cambiare la formulazione originale “Diritto dei popoli alla pace” con la più breve “Diritto alla pace”, considerandola più opportuno in quanto permette di includere tanto la dimensione individuale quanto quella collettiva di tale diritto. Ad opinione di Micol Savia, rappresentante nel Consiglio dei Diritti Umani dell'Associazione Internazionale dei Giuristi (link), “il progetto supera la tendenza restrittiva a considerare la pace principalmente come un diritto collettivo e a metterla in relazione esclusivamente con temi come guerra e disarmo. Il diritto alla pace è un diritto inerente a tutti gli esseri umani senza alcuna distinzione o discriminazione” (art. 1). E la pace non è solo assenza di violenza: 'ogni persona ha diritto a vivere senza paura e senza miseria' e 'vivere senza miseria implica il godimento del diritto allo sviluppo sostenibile e ai diritti economici, sociali e culturali' (art. 2)”.

Secondo Savia, “la Dichiarazione si occupa di varie questioni relative alla pace e alla sicurezza internazionale (disarmo, educazione e realizzazione della pace, diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare, imprese militari e di sicurezza privata, resistenza e opposizione all'oppressione, conservazione della pace, ecc.). Ma, riconoscendo che 'la disuguaglianza, l'esclusione e la povertà generano violenza strutturale che è incompatibile con la pace e devono essere eliminate', il testo include anche standard di pace in ambiti come sviluppo, ambiente, rifugiati e migranti, ecc”.

Quando nel giugno del 2012 il Comitato Consultivo presentò il progetto al Consiglio dei Diritti Umani, la grande maggioranza degli Stati e la società civile reagirono con entusiasmo. L'UE si limitò a prendere nota, ribadendo la sua posizione di non includere il diritto alla pace nel diritto internazionale.

Il progetto votato lo scorso 13 giugno conta sull'appoggio di numerose organizzazioni della società civile, capeggiate dalla Fondazione Pace senza Frontiere (link) copresieduta dal cantante spagnolo Miguel Bosé e dal colombiano Juanes. Lo stesso Bosé ha partecipato a una manifestazione pubblica organizzata dai paesi latinoamericani nel Consiglio. In una conferenza stampa a Ginevra ha affermato di non capire perché esistano nazioni che resistono al fatto che la pace venga codificata come un diritto umano, quando rappresenta insieme alla sicurezza la garanzia fondamentale per lo sviluppo, uno dei quattro fondamenti del lavoro delle Nazioni Unite (link).

A parere della Missione Permanente di Cuba a Ginevra (link), “in un mondo in cui determinate potenze promuovono guerre e interventi in varie regioni, risulta imprescindibile la codificazione del diritto alla pace, che costituisce la condizione fondamentale per la fruizione di tutti i diritti umani, in particolare il diritto alla vita. In virtù della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ogni persona ha diritto ad un ordine in cui tutti i diritti possano essere pienamente realizzabili. La pace, senza alcun dubbio, è una componente essenziale di questo ordine”.

Ci si attende che il gruppo di lavoro, presieduto dal Costa Rica, concluda i suoi lavori nel 2014 affinché il progetto di dichiarazione possa essere approvato nel Consiglio dei Diritti Umani e, in seguito, dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Fonte: www.publico.es



(srpskohrvatski / francais / italiano)

Il TPIJ dell'Aia assolve spie e servi della NATO

A seguito della recente assoluzione della famigerata coppia Stanisic-Simatovic, che hanno reso in passato i loro servigi al "Tribunale ad hoc" testimoniando contro Milosevic, si apre la polemica sugli agenti segreti al servizio dell'Occidente che ricevono trattamenti di favore da parte del "Tribunale". Il giudice danese Harhoff ha accusato il presidente  Meron di avere "effettuato pressioni sui suoi colleghi". Harhoff sospetta che gli ordini a Meron siano arrivati dall'establishment militare americano e israeliano.
Sul carattere illegittimo, servile e fazioso del "Tribunale ad hoc" si veda anche la documentazione raccolta al nostro sito: https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm


1) Giudice Harhoff accusa: “assoluzioni su pressioni Usa-Israele” / 
Haški sudac Harhoff: Natjerali su nas da oslobodimo ratne zločince Gotovinu i Markača! / 
Acquittements en série au TPIY : une justice sous influence ?

2) FLASKBACK - TPI : Comment la France a défendu ses « amis » inculpés par la justice internationale
Les cas Gotovina, Perišić, Stanišić, Simatović, Legija... (2011)

3) ЧАСНИ ВИТЕЗ ИЛИ ПРОВОКАТОР? (Скандал у Међународном трибуналу за бившу Југославију)
Александар МЕЗЈАЈЕВ - srb.fondsk.ru

4) Amerikanci minimalno špijuniraju srpski internet, hrvatski i kosovski češće
(i casi di Stanisic, Perisic, e degli altri al servizio degli USA)


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TPI ex Jugoslavia: per giudice “assoluzioni su pressioni Usa-Israele”

www.ansa.it - 13 giugno 2013

Attraverso una lettera confidenziale inviata a una cinquantina di colleghi, pubblicata a stralci dal quotidiano di Copenhagen BT, un giudice danese in servizio al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, Frederik Harhoff, ha duramente criticato la Corte dell’Aja in relazione a recenti controverse sentenze d’assoluzione, in primis quelle del generale croato Ante Gotovina e del serbo Momcilo Perisic, dovute alle pressioni di Usa e Israele, in vista di futuri processi in cui sono coinvolti esponenti dei due Paesi.

BT riporta passaggi in cui il giudice sostiene che ‘‘alcuni verdetti’’ del Tpi hanno provocato in lui ‘‘profondi dilemmi morali e professionali, mai sperimentati prima’’. ‘‘Il peggiore’’, continua la missiva ‘‘riguarda il sospetto che alcuni miei colleghi’’ ‘‘siano stati esposti a pressioni politiche perché indirizzassero verso l’assoluzione alcuni processi-chiave come quello di appello contro Gotovina e quello contro il generale serbo Perisic’’. Pressioni, scrive Harhoff, operate dall’ “establishment militare di alcune potenze straniere, Usa e Israele in testa’’. Nella missiva, riporta il tabloid danese, Harhoff specifica inoltre che ‘‘l’opinione pubblica non saprà mai dei sospetti circolanti al Tpi sulle presunte sollecitazioni per la liberazione dei due ex alti ufficiali esercitate da parte del giudice americano Theodor Meron, presidente del Tpi. Meron che, nel caso di Gotovina, avrebbe saputo ‘‘persuadere all’ultimo minuto l’anziano giudice turco (Mehmet Guney, nda) a cambiare opinione’’ sulla colpevolezza di Gotovina, sovvertendo così la sentenza.

Sentenze, quelle di assoluzione nei confronti di Gotovina e Perisic, che avrebbero così creato un ‘‘precedente’’ importante nel caso di futuri processi internazionali contro alti leader militari ‘‘americani (e israeliani) che potranno tirare un sospiro di sollievo’’. Harhoff, infine, ha criticato anche le ‘‘presunte pressioni di Meron sul giudice Alphons Orie in relazione alla recente sentenza di assoluzione’’ che ha rimesso in libertà due alti papaveri dei servizi di sicurezza serbi, Jovica Stanisic e Franko Simatovic, sospettati di aver coordinato e coadiuvato l’azione dei paramilitari di Belgrado in Croazia e in Bosnia. Per Harhoff, il mutamento di rotta del Tpi sarebbe avvenuto nel 2012 ‘‘stravolgendo la consuetudine di considerare i comandanti militari in servizio al tempo della guerra nell’ex Jugoslavia responsabili dei crimini di guerra compiuti dai loro sottoposti’’.

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http://www.index.hr/vijesti/clanak/haski-sudac-harhoff-natjerali-su-nas-da-oslobodimo-ratne-zlocince/683169.aspx

Haški sudac Harhoff: Natjerali su nas da oslobodimo ratne zločince Gotovinu i Markača!

Piše: P.V.
četvrtak, 13.6.2013.

KLJUČNI PODACI
• Haški sudac Harhoff tvrdi da je predsjednik suda Meron vršio pritisak
• Harhoff tvrdi da su suci bili prisiljeni oslobađati ratne zločince

HAŠKI sud ne dijeli pravdu, već provodi političke odluke, napisao je Frederik Harhoff, jedan od sudaca na međunarodnom tribunalu u Haagu, u pismu svojim kolegama. Sadržaj pisma objavio je danski dnevni list BT. 
U pismu se Harhoff posebno osvrnuo na nedavne oslobađajuće presude Anti Gotovini, Mladenu Markaču, Momčilu Perišiću, Franku Simatoviću i Jovici Stanišiću. "To je protivno svakoj vrsti pravde", napisao je Harhoff referirajući se na oslobađajuću presudu hrvatskim generalima Gotovini i Markaču. 

"Amerikanac Meron vršio pritisak na suce da oslobode Gotovinu"

"Američki predsjednik Haškog suda Theodor Meron vršio je pritisak na svoje kolege u slučajevima Gotovine i Perišića. Bilo mu je jako stalo da dođe do oslobađajuće presude i imao je sreće kada je u zadnji čas uspio nagovoriti ostarjelog turskog suca da promjeni mišljenje", piše Harhoff. 
"Ostarjeli turski sudac" na kojeg se Danac poziva je Mehmet Guney, 77-godišnjak koji je glasao da se Gotovinu i Markača oslobodi. Podsjećamo, do oslobađajuće presude hrvatskim generalima došlo se preglasavanjem; troje sudaca bilo je za (Meron, Guney i Patrick Robinson), a dvoje protiv (Fausto Pocar i Carmel Agius). 
"Recentne presude izazvale su kod mene duboku profesionalnu i moralnu dilemu, koju nisam do sada iskusio. Najgora od svega je sumnja da su neki moji kolege izloženi političkom pritisku. To sasvim mijenja premisu moga posla, koji bi trebao služiti principima razuma i pravde", piše Harhoff. 

Pritisak iz SAD-a i Izraela?

U svom dramatičnom pismu danski sudac ističe da su haški suci prisiljeni svjesno puštati ratne zločince na slobodu. Kao izvor takvih pritisaka Harhoff je istaknuo predsjednika suca, Amerikanca Merona, koji je bio šef sudskog vijeća koje je oslobodilo Gotovinu i Markača. 
"Čini se da se vojni establišment u moćnim državama poput SAD-a i Izraela prestrašio da se Haški sud previše približava najviše rangiranim vojnim dužnosnicima. Jesu li izraelski ili američki dužnosnici izvršili pritisak na američkog predsjednika Haškog suda da promjeni tijek sudskih postupaka?", pita se Harhoff u svom pismu.

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http://balkans.courriers.info/article22728.html


Sense Agency
Mise en ligne : lundi 17 juin 2013

Acquittements en série au TPIY : une justice sous influence ?


Traduit par Stéphane Surprenant


Le Tribunal pénal international, machine à acquitter ? Oui, et pas sans raison. Les USA et Israël auraient fait pression sur le TPIY, craignant que l’extension du principe de responsabilité de commandement ne crée un précédent universel... C’est ce qu’écrit le juge danois Frederik Harhoff, qui met nommément en cause le président du Tribunal, Theodor Meron.


Le juge Frederik Harhoff s’étonne des changements intervenus dans le fonctionnement et la jurisprudence du Tribunal, craignant qu’ils ne soient le résultat de pressions exercés par les milieux militaires de pays très influents, à savoir les États Unis et Israël.

Les « instances militaires » de ces pays auraient estimé que la jurisprudence créée par le TPIYl dans l’application du principe de la responsabilité du commandement allait trop loin, et que cela pouvait mettre en péril leurs propres militaires dans de tout autres régions que dans les Balkans, explique le juge Harhoff.

Le juge évoque ces soupçons dans une lettre privée envoyée à 56 de ses collègues et amis. Cette lettre est parvenue dans les bureaux du quotidien de Copenhague BT. Le journal a publié la lettre dans sa totalité à la une, estimant que les questions abordées dans la lettre étaient « sans aucun doute d’intérêt public ».

Les récents jugements ayant mené à l’acquittement des généraux Gotovina, Markač et Perišić, ainsi que des deux anciens chefs de la police secrète serbe Stanišić et Simatović, « ont provoqué un profond dilemme professionnel et moral » chez le juge Harhoff, d’une ampleur à laquelle il n’avait jamais été confronté auparavant. Le pire, affirme le juge Harhoff dans sa lettre, ce sont les « soupçons qui planent sur certains de mes collègues, qui auraient cédé à des pressions politiques à courte vue. Cela transforme complètement les postulats qui fondent mon travail au service des principes de justice et de raison ».

Dans sa lettre, le juge Harhoff pense que personne « ne saura probablement jamais » si ses soupçons sont vrais. Il craint que le Président américain du Tribunal n’ait exercé une forte influence sur Mehmet Guney, le « juge turc vieillissant », pour qu’il change d’idée à la dernière minute et se joigne à la petite minorité qui estimait que l’acquittement des généraux Gotovina et Markac était justifié.

Frederik Harhoff assure que, d’après ses conversations avec des collègues dans les « couloirs du Tribunal », il avait appris que le président Meron avait exercé des pressions sur le juge Orie afin qu’il rende son jugement contre les policiers Stanišić et Simatović avant la fin du mois de mai 2013 et le discours de Theodor Meron au Conseil de sécurité de l’ONU. Aussi, la Cour n’aurait pas eu le temps nécessaire pour examiner en détails la preuve de la culpabilité des accusés. Comme le raconte le juge Harhoff, le juge Picard, dont l’avis a été battu par la majorité des voix à la Cour, n’avait eu que quatre jours pour élaborer une opinion dissidente et expliquer pourquoi l’accusé aurait plutôt dû être jugé coupable et condamné.

Il reste à voir si la lettre du juge Harhoff ébranlera le Tribunal et si oui, de quelle manière. Des collègues appuieront-ils ses dires ? Plusieurs juges ont déjà exprimé des inquiétudes sur la nouvelle façon de faire du Tribunal, mais seulement dans les « couloirs » du TPIY...


=== 2 - FLASHBACK ===


Mediapart / Le Courrier des Balkans

TPI : Comment la France a défendu ses « amis » inculpés par la justice internationale


Une enquête de Jean-Arnault Dérens et Laurent Geslin

Mise en ligne : mardi 19 avril 2011
Les carnets du général Rondot, l’ancien coordinateur des services de renseignements, révèlent comment la France essaya de protéger Ante Gotovina, ancien légionnaire et ancien braqueur, devenu général croate. Ces carnets montrent aussi comment Paris accorda sa protection à d’autres acteurs des « sales guerres » yougoslaves, au nom des « services » qu’ils auraient rendu. Parmi ces « amis de la France », on retrouve Momčilo Perišić, Jovica Stanišić et même Milorad Ulemek « Legija »...


Avant même que le général serbe Momčilo Perišić ne soit inculpé, les autorités françaises se préoccupaient d’organiser sa défense devant le Tribunal de La Haye ! L’homme aurait en effet joué un rôle crucial dans l’affaire de la libération des pilotes français pris en otage en Bosnie en 1995.

Dans les notes du général Rondot, un autre inculpé du TPIY est cité à plusieurs reprises : le général Momčilo Perišić. Lorsque la guerre éclata, en 1991, ce Serbe dirigeait l’École d’artillerie de l’Armée populaire yougoslave à Zadar, en Croatie. En janvier 1992, il fut nommé commandant du 13e régiment de Bileća de l’Armée de la Republika Srpska de Bosnie-Herzégovine, basé à Mostar. Surnommé par la presse nationaliste serbe le « chevalier de Mostar », il participa activement au siège de la capitale de l’Herzégovine, ce qui lui valut d’être inculpé par le TPIY de crimes contre l’humanité et violations des lois et coutumes de la guerre. Entre temps, le général était revenu en Serbie, où il a poursuivi sa carrière militaire, comme commandant du IIIe Corps d’armée de Niš, puis chef d’État-major. A ce titre, c’est l’officier serbe le plus gradé à avoir été inculpé par la justice international.

Cette affaire des pilotes se trouve en effet au cœur des « relations troubles » établies par la France avec plusieurs inculpés de haut rang du TPIY. Le 30 août 1995, alors que le siège de Sarajevo touche à sa fin et que les forces croates et bosniaques ont déjà reconquis de larges secteurs du territoire bosnien occupé par les forces serbes, le Mirage 2000 du capitaine Frédéric Chiffot et du lieutenant José Souvignet est abattu au-dessus de la Bosnie. Les deux militaires parviennent à s’extraire de l’appareil et sont détenus durant quatorze semaines par les forces serbes. Les négociations qui permirent leur libération furent menées par Jean-Charles Marchiani, qui a rencontré Slobodan Milošević et Radovan Karadžić, faisant des promesses au contenu toujours inconnu en échange de la libération des deux hommes.Le 23 février 2005, « l’affaire Perišić » va beaucoup occuper le général Rondot. A 20 heures, il reçoit un coup de téléphone de Philippe Marland, l’avertissant de l’inculpation du général. Ou plus exactement de l’inculpation imminente. En effet, l’acte d’accusation initial n’a été établi que le lendemain, le 24 février, et rendu public seulement le 7 mars. Philippe Marland est néanmoins informé de l’imminence de cet acte d’accusation. Philippe Rondot note que le directeur de cabinet a reçu Samuel Pisar, qui lui a certainement communiqué ces précieuses informations. Survivant du Ghetto de Varsovie, avocat franco-américain, Samuel Pisar joue fréquemment ce rôle « d’intermédiaire » entre La Haye et les autorités françaises. En tout cas, les conclusions que tire Rondot sont énergiques : il « faut assurer la défense, devant le TPIY, du Gal Perišić. Et il évoque « un dossier laissé avec des témoignages de satisfaction de la DGSE au Gal Perišić », renvoyant à « Casques bleus otages en Bosnie. Affaire des pilotes ».


Jovica Stanišić, un agent multi-carte ?

Jovica Stanišić a intégré les services secrets yougoslaves dès la fin de ses études. Il aurait fait ses premières armes en jouant un rôle actif dans le piège tendu au fameux terroriste Ilich Ramírez Sánchez, alias Carlos, arrêté dans l’hôtel Métropol de Belgrade en 1975, mais presque aussitôt relâché par les autorités yougoslaves. Il joua ensuite un rôle essentiel dans la prise de pouvoir de Slobodan Milošević, facilitant, tout au long des années 1980, sa montée en puissance au sein des structures de la Ligue des communistes de Serbie.Dès le 27 juin 2003, une réunion chez Philippe Marland permet de faire le point sur les dossiers concernant les criminels de guerre, et le général Rondot note le « souci du DIRCAB » : « affaire des pilotes->rôle de JC.Marchiani ? ». Le 24 février 2005, le général Rondot s’inquiète également du sort du général Jovica Stanišić, ancien chef de la Sécurité d’État serbe (DB), un homme clé du système Milošević, inculpé par le TPIY et arrêté par les autorités serbes le 13 mars 2003. Il note que Philippe Marland lui remet « le dossier du Gal Stanišić (mis en accusation devant le TPIY) transmis par Samuel Pisar pour témoignage de services rendus->demander des éléments d’appréciation à la DGSE ». L’informateur, Samuel Pisar, est le même que dans le cas du général Perišić.

Par la suite, dans les années 1990, les agents de Stanišić jouèrent un rôle essentiel pour diviser l’opposition démocratique. En somme, quand Milošević guerroyait en Croatie et en Bosnie, Stanišić avait la haute main sur les affaires « intérieures », en pilier essentiel à la stabilité du régime. Avec son complice Franko Simatović, dit « Frenki », il s’occupa aussi de la fourniture en armes des nationalistes serbes de Croatie et de Serbie. C’est également lui qui assurait le lien avec les réseaux criminels qui contribuèrent directement au financement du régime, notamment le « clan de Zemun », acteur majeur du trafic de l’héroïne à l’échelle européenne.

L’étoile de Stanišić aurait commencé à faiblir à Belgrade dès 1995, après la conclusion des accords de Dayton. L’homme clé de la Sécurité d’État était notamment en butte à l’hostilité ouverte de Mira Marković, l’influente épouse du dictateur. Il aurait néanmoins contribué à des négociations secrètes, en 1998, entre le régime de Milošević et les Albanais du Kosovo.

La chute du maître de Belgrade, en octobre 2000, ne remit pas directement en cause sa position. L’homme connaissait trop de dossiers pour que les nouveaux dirigeants démocratiques serbes puissent le mettre sur la touche. Avant même la révolution, il aurait d’ailleurs commencé à pactiser secrètement avec Zoran Djindjić, le chef du Parti démocratique. Ce dernier aimait à dire que Jovica Stanišić « avait des amis au paradis et en enfer » .

Après son arrestation, en 2003, Jovica Stanišić a assuré qu’il aurait collaboré avec la CIA américaine, tout au long de ses années passées à la tête de la DB. Il n’a jamais publiquement évoqué les liens qu’il aurait pu entretenir avec les services français, mais notre pays a sûrement, lui aussi, « des amis au paradis et en enfer ».

Au nom des « services rendus » par plusieurs figures du régime Milošević, la France se trouve donc être « moralement débitrice » de plusieurs inculpés du TPIY. Les plus hautes sphères de l’État se préparent donc à organiser leur défense. On est bien loin de la « coopération pleine et entière avec la justice internationale », que la France officielle réclame de la part des États des Balkans...


Les anciens de la Légion

Tout au long de l’année 2003, le général Rondot fait état de demandes de renseignements émanant de Belgrade. Le 17 octobre, il précise que « MAM va en parler au MI » (ministre de l’Intérieur, à savoir Nicolas Sarkozy), ajoutant « traiter ce dossier avec la DST ». Le 30 octobre, l’affaire prend de l’ampleur : le ministre de l’Intérieur « n’était pas au courant de la demande serbe », alors que le Président aurait été informé. Rondot précise : « Ph.Marland en parlera à M.Guéant », alors directeur de cabinet de Nicolas Sarkozy. On ignore toujours quelles informations la France pouvait communiquer à la Serbie sur Milorad Ulemek, dit Legija. Beaucoup d’autres anciens Légionnaires ont également été impliqués dans les conflits yougoslaves. L’un des plus célèbres d’entre eux, Milorad Ulemek, justement surnommé « Legija », fut le commanditaire du meurtre du Premier ministre démocrate Zoran Djindjić, abattu à Belgrade le 12 mars 2003. Ulemek s’est engagé dans la Légion le 10 avril 1986, à l’âge de 18 ans. Il a servi au Tchad, à Beyrouth et en Irak durant la première guerre du Golfe, mais n’aurait pas effectué le temps de service lui permettant de prétendre à la nationalité française. Il revient également au pays au début des guerres yougoslaves, mais naturellement côté serbe. Il prit en 1996 la tête des « Bérets rouges », les Unités spéciales de la police serbe, qui se rallièrent à l’opposition démocratique en octobre 2000, au moment de la chute de Milošević, avant d’entrer en conflit avec le gouvernement de Zoran Djindjić.



=== 3 ===

http://www.beoforum.rs/forum-prenosi-beogradski-forum-za-svet-ravnopravnih/493-casni-vitez-ili-provokator.html

http://srb.fondsk.ru/news/2013/06/19/chasni-vitez-ili-provokator-skandal-u-medzhunarodnom-tribunalu-za-bivshu-iugoslaviiu.html



ЕЛЕКТРОНСКО ИЗДАЊЕ

19.06.2013 | 08:56

Александар МЕЗЈАЈЕВ
srb.fondsk.ru

ЧАСНИ ВИТЕЗ ИЛИ ПРОВОКАТОР? (Скандал у Међународном трибуналу за бившу Југославију)


У Међународном трибуналу за бившу Југославију је 13.јуна дошло до још једног скандала, али овога пута – уз учешће судије.[1] Званична прича је следећа. Судија Фредерик Хархоф[2] из Данске написао је мејл, у коме је својим пријатељима испричао тужну причу. Тужна  прича је у томе, да председник МТБЈ Т.Мерон врши врло јак притисак на рад судија Трибунала како би их натерао да донесу одлуку о невиности више лица. Ради се о невиности Готовине и Маркача, генерала М.Перишића, као и Ј.Станишића и Ф.Симатовића. Судија Ф.Хархоф сматра да тај притисак амерички судија врши како би  променио постојећу праксу МТБЈ јер је постојећа,  како он сматра, постала превише опасна за америчка и израелска војна лица. Судија не објашњава у чему је та опасност, али  његова идеја може да се схвати: пресуде МТБЈ се последњих година разматрају као   преседани. Зато оне у будућим могућим процесима против војних лица наведених земаља могу да се користе као правне норме.

Судија Хархов је растужен толико да је писмо завршио следећим речима: „Последње пресуде су ме довеле у дубоку професионалну и моралну  дилему коју никада до тог тренутка нисам осећао.“[3]

Треба да се призна да је наведено писмо овог судије МТБЈ стварно већ само по себи скандалозно. Али у том скандалу има и много вештачког и неприродног, што тера да се размисли о стварним разлозима и циљевима које је оно требало да постигне.

Прво, сама чињеница слања наведеног писма је врло зачуђујућа. Тешко је и помислити да судија Хархоф није схватао да,  слањем својим пријатељима информације о противправним поступцима председника Трибунала,  он крши унутрашње корпоративне прописе. Моралан човек би започео борбу са самим Мероном, а не би кришом причао лицима са стране о томе шта се дешава. Тешко је поверовати и да је судија Хархоф толико наиван  да је био сасвим сигуран да једно такво писмо неће доспети у руке јавности. Уосталом, то је тим интересантније, што је већ постојао један скандал који је имао везе са саопштењима у светским медијима о томе колико су приватне информације обичних људи на интернету доступне тајним службама.[4] Пажња  треба да се поклони и томе, да је писмо Хархофа усмерено не само против председника Мерона већ и против других судија МТБЈ који нису могли или нису хтели да се супротставе његовом притиску (Турчина М.Гунеја, Холанђанина А. Орија и низа других). Најзад, неопходно је и да се схвати да је, у ствари, писмо Хархофа усмерено не толико против појединца, колико против држава. Јер Хархоф директно пише да циљ Мероновог притиска представља покушај да се заштите војна лица САД и Израела.[5]

Ако се то све зна, тешко је поверовати  да писмо судије  Хархофа представља његову омашку. Све говори да је оно написано управо како би било растурено. Осим  тога – „растурено“ лично писмо  представља идеалан начин да не може  да се сматра ни за какав доказ... Па какви су то, у конкретном случају, стварни циљеви организовања скандала? Нама се чини да се највероватније ради о руковођењу Међународним трибуналом за бившу Југославију. У Трибуналу и изван њега постоје снаге које не желе да дозволе да Т.Мерон буде реизабран за још један  период, обзиром да  су избори предвиђени за крај ове године. У вези са тим треба обратити пажњу на чињеницу да је Т.Мерон већ биран за председника МТБЈ други пут. Та чињеница је сама по себи необична. Јер МТБЈ има 18 судија, и сви они имају право да претендују за место председника.[6] Међутим, поново бирају Мерона који је већ био председник у периоду 2003. – 2005.година. Зашто? Зар међу тих 18 судија нема ни једног достојнијег од Мерона, те њега морају  да „нам  га врате  опет, да управља нама, неразумнима“?

Ако се поглед како је вршен избор руководиоца МТБЈ, може се запазити јасно смењивање представника Европе и Америке. Место председника МТБЈ су заузимали представници следећих земаља, по овом реду: Италија, САД, Француска, САД, Италија, Јамајка, САД. И сада су опет  нови избори на којима Мерон жели да остане на свом досадашњем месту. Јасно је да се то не свиђа свим државама, посебно оним, ко би требало да се у складу са ротацијом Европа - САД нађу на том месту,   установљеном  двадесетгодишњим  постојањем.[7] Не може, а да се не примети да се  поновни избор Мерона на место председника МТБЈ поклапа са његовим постављењем и на место председника Међународног механизма за преостале предмете  међународних кривичних трибунала (МОМУТ).[8] При том ћемо подвући  – Мерона нису изабрали, већ баш поставили, и то постављење је извршио лично генерални секретар УН Бан Ки Мун. Зато не можемо, а да не закључимо да је некоме врло важно да и МТБЈ, и МОМУТ  води управо судија Мерон.

Постоји још једна чињеница која говори у корист тога да писмо судије Ф.Хархофа представља само добро организован повод за скандал. То је   аргументација писма. Хархоф тврди да је као разлог за притисак на друге  судије Мерон изабрао концепцију „директне намере  за чињење злочина“. Међутим, та концепција представља основни принцип кривичног права и ту нема ничег новог. Сумњиво ј друго: Хархоф је помешао   три потпуно различите ствари, као да је једна: предмет Готовина и други, предмет Перишић и предмет Станишић – Симатовић. Како он тврди – разлог оправдања у сва три поступка је то, да је трибунал увео сасвим нову концепцију „директне намере“ (specific direction). А то нема везе!

Прво, концепција „директне намере“ у МТБЈ је почела да се користи још у поступку против Тадића, када Мерон још није био у Трибуналу. После тога је коришћена у пресудама по предметима Купрешкића, Васиљевића, Благојевића  и Јокића. Коришћена је и у Међунродном трибуналу за Руанду и у Специјалном суду за Сијера Леоне. И – најинтересантније – коришћена је и у пресуди по предмету М.Станишића и Жупљанина, односно – користио је лично Хархоф![9] Значи, треба да се утврди у чему су се састојали радикални разлози за ослобађајуће пресуде оптуженим. Они су очигледни. Разлог за ослобођење Перишића су биле његове везе са америчком обавештајном службом. А разлог за ослобођење Готовине је потреба да се хрватске власти оправдају за  масовне злочине против Срба уопште и Републике Српска Крајина конкретно. Да се то није десило – то би стварно представљало противуречност са већ формираном праксом МТБЈ! А последице би биле озбиљније.

Што се тиче брзог завршетка предмета Станишић – Симатовић – и за то постоји образложење. За МТБЈ је од изузетне важности да продужи свој живот што је могуће више, и због тога је неопходно да се обезбеди подношење приговора у вези са овим предметом до 1.07 2013. У том случају ће  апелациони суд МТБЈ наставити да постоји,   радиће  још неколико година, и то  истовремено са МОМУТ-ом који,  ко бајаги, треба да заврши незавршене послове МТБЈ. У ствари, МТБЈ (макар и у облику „само“ његовог Апелационог суда) ће постојати паралелно са МОМУТ-ом. Ето како се вешто изврдава идеја  о „скорашњем престанку рада МТБЈ“!

Осим тога, брзи вердикт у предмету Станишић – Симатовић је био врло згодан за Т.Мерона пред његово извештавање Савету безбедности УН. И – треба да се призна – он је успео: успело му је да обмане руску дипломатију која га је похвалила због ослобађајуће пресуде. Сада ће тај предмет да се разматра у Апелационом суду (на чијем је челу – опет – овај исти Т.Мерон) и после свих похвала које је добио вердикт слободно може да се у потпуности преиспита.

Све у свему- писмо судије Хархофа изгледа очигледно намештено и неискрено. Сама лексика писма и организација текста показују да писмо није писано за стручна лица, већ за јавност (тако, на пример, у писму се објашњавају ствари које сви стручњаци добро знају, али за широке масе је потребно посебно објашњење). Не можемо а да не скренемо пажњу и на цинизам писма: политички притисак у МТБЈ је познат још откако он постоји, а Хархоф свој текст гради тако, да се понашање Мерона представи као нешто врло необично и као да се тек сада први пут десило. А ништа није тако. Можемо да се присетимо како је тадашњи председник МТБЈ А.Касезе, и он кршећи Статут, протерао концепцију „заједничких злочиначких дејстава“. И Хархоф је свим оним,  што се до сада дешавало у Трибуналу,  био потпуно задовољан: и потпуним ослобођењем НАТО-а због бомбардовања Југославије, и потпуним ослобођењем од одговорности Харадинаја и његових саучесника, потпуним оправдањем Делића и Халиловића, потпуним ослобођењем лица која су организовала убиства најмање три окривљена у затвору МТБЈ и суђењем по очигледно лажним оптужницама. Ништа од тога за Хархофа није представљало ни професионалну, ни моралну дилему!

Тако да у искреност Хархофа може да поверује само стварно наиван човек. Политички притисак у МТБЈ је уобичајена ствар и уопште није нова. Једино што бисмо хтели да сазнамо какве је то тачно начине притиска користио Мерон како би судије МТБЈ натерао да гласају онако, како му је требало. И не само да гласају, већ да то образложе на више стотина страница. Стварно, хајде да размислимо: чиме је то било могуће натерати „уважене и искусне судије“  да они, обзиром да су сигурни у кривицу оптуженика, одлучeда оптужене ослободе кривице и да их отпусте директно из суднице?..



[1]
 Раније су скандале правили главни тужиоци (К.дел Понте) и секретари за штампу (Флоранс Хартман), које су написале раскринкавајуће књиге, као и творац Викиликса Џ.Асанж објављивањем шифрованих порука амбасаде САД  које су се тицале рада Хашког трибунала.

[2] Ф.Хархоф је у овом  тренутку судија на процесу против В.Шешеља. Пре тога је био један од судија у већима на процесима М.Станишићу и С.Жупљанину.

[3]The latest judgements here have brought me before a deep professional and moral dilemma, not previously faced. Потпуни текст писма судије Хархофа: http://www.bt.dk/sites/default/files-dk/node-files /511 /6/ 6511917 -letter -english.pdf

[4] Погл. например: http://www.ft.com/cms/s/0/87532b6a-d085-11e2-a050-00144feab7de.html#axzz2WHoMJvBp.

[5] Спомињање Израела има везе са чињеницом да је Т.Мерон постао амерички држављанин тек 1978 г, пошто је у САД емигрирао из Израела. До тада је он радио у израелском МИП-у. Мада му то, уосталом, уопште није представљало сметњу да после „емиграције“ почне да ради у стејт департменту САД.

[6] Осим тога, у саставу МТБЈ  су судије ad litem, које поседују мањи број права и не могу да се нађу у руководству МТБЈ. Судија Хархоф је један од њих.

[7] Детаљније о борби између англосаксонских и европских кланова у МТБЈ – погл. Књигу К.дел Понте „Лов. Ја и ратни злочинци“.

[8] International Residual Mechanism for Criminal Tribunals – нови међународни кривични трибунал  који, као, треба да заврши разматрање свих предмета који остану незавршени после завршетка рада МТБЈ и МТР.

[9] Погл. Решење по предмету „Тужилац против М.Станишића и С.Жупљанина: http://www.icty.org/x/cases/zupljanin_stanisicm/tjug/en/130327-1.pdf.



=== 4 ===

La NSA americana spia la Serbia meno delle altre repubbliche ex-JU... L'articolo conclude menzionando le collaborazioni di Stanisic e Perisic con i servizi USA, oltre che i molti ancora sconosciuti che rivelavano i segreti di stato agli USA, spiegando dunque il poco interesse USA per la Serbia con "ne čudi me što Srbija nije interesantna, oni o nama već sve znaju" (a cura di A.D. per CNJ-onlus)

http://www.seebiz.eu/amerikanci-minimalno-spijuniraju-srpski-internet-hrvatski-i-kosovski-cesce/ar-65737/

ŠPIJUNAŽA 

Amerikanci minimalno špijuniraju srpski internet, hrvatski i kosovski češće

Autor/izvor: SEEbiz / Blic 
Datum objave: 10.06.2013. - 08:38:00 
Zadnja izmjena: 10.06.2013. - 11:07:02 

NEW YORK - Američka Nacionalna agencija za bezbednost presrela je samo u toku marta oko 97 biliona digitalnih podataka. U Srbiji minimalno prikuplja informacije.
Srbija je jedina zemlja na planeti koja je na mapi NSA obeležena crnom bojom, što znači da je najmanje špijunirana i s minimalnim brojem presretanih i snimljenih informacija.
Britanski Guardian došao je u posed mape o nadzoru agencije NSA u zemljama sveta u kojima prikuplja informacije o svim vrstama komunikacija koje se dostavljaju ostalim obaveštajnim agencijama, od elektronske pošte do telefonskih poziva, što uključuje i razmenu poruka na društvenim mrežama Facebook, Twitter i drugima. Obaveštajne agencije tako dobijaju telefonske brojeve, dužinu trajanja poziva, jedinstveni serijski broj mobilnog telefona i potencijalnu lokaciju učesnika u razgovoru. Na taj način, bezbednosne službe povezuju potencijalno opasne osobe i nadziru s kim, koliko i odakle razgovaraju ili se dopisuju.
Američka agencija je Srbiju, jedinu na mapi sveta, označila crnom bojom. Istovremeno, Bosna i Hercegovina, Crna Gora, Hrvatska označene su zelenom, što znači veći stepen špijunaže od NSA, dok je Kosovo izdvojeno iz Srbije i obeleženo narandžastom bojom, što je u rangu sa Indijom, Kinom i Egiptom, iz kojih je NAS presrela ubedljivo najviše podataka. Prema rečima Dragana Jovanovića, zamenika šefa Odeljenja za visokotehnološki kriminal SBPOK-a, označavanje Srbije kao „neinteresantne zemlje" može da znači samo dve stvari.
"Prvo i osnovno je da Amerikanci o Srbiji znaju dovoljno toga, pa im nije neophodno naknadno praćenje i špijuniranje. S druge strane, ovo presretanje informacija tiče se pitanja nacionalne bezbednosti SAD, pa je moguće da su Amerikanci snimali Srbiju, videli da od nas nema potencijalne opasnosti i obustavili dalji nadzor ", ističe Jovanović.
Kriminolog Igor Pešić kaže da je Srbija poznata kao zemlja-saradnik američkih službi i da nema potrebe za elektronskim nadzorom.
"Poznati su slučajevi izuzetno bitnih državnih funkcionera poput Jovice Stanišića i njegovih sastanaka sa američkim agentima, ili Momčila Perišića, koji je zbog saradnje sa CIA uhapšen na Ibarskoj magistrali. I dalje nisu otkriveni ljudi koji su od raspada Jugoslavije konstantno odavali državne tajne Amerikancima. Zbog toga, ne čudi me što Srbija nije interesantna, oni o nama već sve znaju", kaže Pešić.




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

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(intervista a Vladimir Kapuralin, presidente del Partito Socialista Operaio di Croazia, pubblicata sulla rivista settimanale del quotidiano Glas Istre lo scorso 15 giugno 2013)

Interview je objavljen u revijalnom broju Glasa Istre u subotu 15. juna 2013.

http://www.srp.hr/intervju-s-predsjednikom-srp-a-vladimirom-kapuralinom-nema-amnestije-za-radnicku-klasu-zbog-napustanja-klasne-borbe/

Intervju s predsjednikom SRP-a, Vladimirom Kapuralinom: „Nema amnestije za radničku klasu zbog napuštanja klasne borbe“



Razgovarao Bojan ŽIŽOVIĆ

Snimio Danilo MEMEDOVIĆ

 

U posljednjoj kampanji za lokalne izbore potrošili su nula kuna. I ponosni su na svoju skromnost. Stranka SRP osnovana je 1997., a njezin predsjednik je od konca prošle godine Vladimir Kapuralin iz Pule. Jedni su to od rijetkih preostalih istinskih ljevičara. O tome što se događa s ljevicom kod nas i u Europi razgovarali smo s Kapuralinom.

 

Ljevičarske stranke kod nas nisu ni blizu prelaska izbornog praga na parlamentarnim izborima, dok se na lokalnima gotovo i ne pojavljuju. Što se to događa s ljevicom u Hrvatskoj? Postoji li ikakva perspektiva za takve stranke?

Ne znam koliko ljevičarskih stranaka vidite u Hrvatskoj. Pritom smatram neophodnim naglasiti da je pojam pod kojim se kod nas kolokvijalno percipira ljevica vrlo rastezljiv. Prvenstveno se tu misli na oportunističku socijaldemokraciju, ali i puno šire. Prema našoj definiciji, pod autentičnom ljevicom podrazumijevamo samo one političke subjekte koji u svom programu i političkom djelovanja zastupaju interese rada, a ne kapitala. To znači da se zauzimaju za socijalističko društveno uređenje, što podrazumijeva društveno vlasništvo nad sredstvima za proizvodnju i raspolaganje viškom vrijednosti onih koji ga stvaraju. Prema toj definiciji u Hrvatskoj u ovom trenutku nema druge stranke osim SRP-a koji ispunjava te kriterije, ako izuzmemo Socijalističku partiju koja je nastala izdvajanjem jedne manje grupacije iz SRP-a 2006. godine. Od te frakcije, koliko je meni poznato, ostala je samo organizacija u Splitu.

 

Igramo utakmicu na protivničkom terenu

Zaključak je da je SRP u ovom trenutku na političkoj sceni kapitalističke Hrvatske remetilački faktor, koji igra utakmicu na protivničkom terenu, prema pravilima igre koje je odredila protivnička strana, i uspjeli smo se održati na tom skliskom terenu usprkos svim potiskivanjima. Suština nije u tome postoji li perspektiva za stranku autentične ljevice u Hrvatskoj, već postoji li perspektiva za oslobođenje rada, da radni čovjek postane gospodar uvjeta i rezultata svoga rada. Za postizanje tog cilja neophodan je potrebni minimum društvene svijesti, zrelosti i samopouzdanja radnika, koji od secesije ‘90-ih pa do danas još nije postignut. U takvim okolnostima iluzorno je očekivati da će netko radnicima donijeti emancipaciju na pladnju. Građanske stranke neće jer se to kosi s njihovim klasnim interesima, a mi to nismo u mogućnosti bez podrške tih istih radnika.

 

Stranke desnice, s druge strane, imaju stabilnu potporu kod hrvatskih birača. U čemu je njihova prednost pred vama?

Jačanje desnice, pa i one fašističke, u kriznim razdobljima nije nepoznata pojava, a Hrvatska je u dubokoj krizi, kao uostalom i većina evropskih zemalja. Osim toga, desnica je po svojoj prirodi agresivna, uživa podršku klera, pogoduje joj niža obrazovna razina društva i niži stupanj informiranosti, ima slobodan pristup medijima i njihovu pažnju, a raspolaže i s dovoljnim financijskim sredstvima za realizaciju svojih planova. Primjera radi, SRP je u Puli u kampanji na nedavnim izborima za Gradsko vijeće Pule potrošio nula kuna.

 

Smatrate li da je ljevica kod nas negativno obilježena teretom iz bivšeg sistema?

Ne znam na koji teret mislite. Većina građana Hrvatske dva desetljeća preživljava na tekovinama ostvarenim u samoupravnom razdoblju, a neki još i danas. A i sam oportunistički SDP, koji se odrekao svih političkih, idejnih i ideoloških veza sa svojom prošlošću iz bivšeg sistema od koje bježi k’o vrag od tamjana, nije se odrekao materijalnog naslijeđa koje mu ne pripada. Ali da je situacija dovedena do apsurda, to stoji. S jedne strane prisutno je većinsko raspoloženje građana da su prije živjeli bolje i da su imali zadovoljavajuća socijalna, zdravstvena, obrazovna i ostala prava iz radnog odnosa, a s druge strane plasira se stigma da se nije radilo i da se tako dalje nije moglo. Na pitanje kako se nije radilo ako su i danas, mada u tragovima, još prisutni ostaci tada ostvarenog, a postoje i realizirani investicijski projekti na inozemnim gradilištima koji su dobiveni na međunarodnim natječajima, umotvorci nemaju odgovora. Na upit zašto se tako dalje nije moglo, odgovaraju da smo bili prezaduženi. Pred raspad Jugoslavije iznos vanjskog duga bio je 800 dolara per capita. Današnji vanjski dug je davno prešao 10.000 eura per capita. Uzimanjem u obzir valutne promjene u razdoblju od dva desetljeća, razlika je evidentna. Tada nijedan industrijski objekt nije bio prodan stranim vlasnicima, nijedan segment komunikacijske infrastrukture, financijskog potencijala, turistički objekt, nijedan pedalj zemlje, nezaposlenost je bila osjetno manja, postojalo je tržište i industrija je radila punom parom. Slijedom logike to naslijeđe bi trebalo biti teret za desne retrogradne političke subjekte, a za vrijednosti autentične ljevice bi trebalo biti poticajno.

 

Koji je razlog da desnica nije ispaštala zbog svega što se dogodilo ‘90-ih – pljačke u privatizaciji, osiromašenja građana, bogaćenja pojedinaca…?

Jer desnica nema kome podnositi račune, ona stanuje u svojoj kući. Pa sve što se tada i danas događa je njenih ruku djelo. Jedan njen dio je nakon poraza u Drugom svjetskom ratu preživio hibernaciju u inozemstvu, a drugi se prilagodio novonastaloj situaciji u zemlji. Nakon tektonskih geopolitičkih poremećaja ‘90-ih te su snage ocijenile da je nastupilo njihovo vrijeme za revanš, i to su iskoristili na za njih najbolji način. Kako su politički i ekonomski ciljevi nerazdvojivi, da bi postigli zacrtane ciljeve i interese trebalo je ukinuti socijalističko društveno uređenje i samoupravljanje te uvesti kapitalističko. Za postizanje cilja trebalo je prethodno demontirati zajedničku državu, što nije bilo moguće bez oružanog sukoba. I kao što je Đorđe Balašević prije nekoliko godina na koncertu u Sarajevu metaforički okarakterizirao događaje rekavši: “Najprije se pojave popovi, pa topovi, pa lopovi”. Tako su se nekako događaji i odvijali. Što se tiče ispaštanja desnice zbog pljačke društvenog dobra, osiromašenja građana koje ste spomenuli, ali i zločina prema ljudima i stvarima, ono će biti moguće isključivo nakon promjene društvenopolitičkog uređenja i uvjeren sam da će biti puno manjeg intenziteta od ispaštanja nedužnih nakon secesije ‘90-ih do danas.

 

U Kumrovcu se na obilježavanju rođendana Josipa Broza Tita okupi mnoštvo štovatelja njegovog lika i djela? Jesu li to zapravo i jedini glasači koje okuplja ljevica?

Nismo pravili nikakve ankete, ali pouzdano znamo da oni nisu naši jedini glasači, oni nisu niti naši reprezentativni glasači, jer da jesu, davno bismo prešli izborni prag u mnogim sredinama. Ali ne samo oni, već to nisu niti pripadnici nekadašnjih boračkih a današnjih udruga antifašista. I za to ne postoji racionalno objašnjenje, to je još jedan hrvatski politički paradoks i specifikum, jer su boračke i antifašističke organizacije Italije, Grčke, Rusije, Ukrajine, Bjelorusije, Češke vjerni glasački resursi njihovih komunističkih partija.

 

Što je s radničkom klasom koja bi trebala, u svojoj vječitoj potlačenosti, biti taj stup ljevičarskog promišljanja? Kako je ušutkana?

Pojavu je vrlo plastično prikazao Michael Moore u jednom od svojih dokumentarnih filmova. Kada je upitao jednog građanina kako sistem uspijeva držati ljude u pokornosti i poslušnosti, dobio je odgovor: “Ništa jednostavnije, potrebno je prvo ljude zastrašiti i zatim iz njih izbiti osjećaj da mogu išta promijeniti”. To je univerzalni recept koji funkcionira i u Hrvatskoj. Na takvo ponašanje utječe i čitav niz objektivnih okolnosti. Sve veći udio servisnog rada u odnosu na onaj proizvodni nepovoljno utječe na nivo revolucionarne svijesti zaposlenih. Rast nezaposlenosti, pad broja radnih mjesta, sve veći udio zapošljavanja na odreeno radno vrijeme, obnavljanje radnih ugovora na vrlo kratke intervale, stečajni postupci, višemjesečne neisplate plaća… sve to uzrokuje trajnu nesigurnost radnika i dovodi do neprestanog smanjenja broja organiziranih radnika. Društvene mreže i često vrlo masovne akcije očajnih radnika i nezadovoljnih građana nisu dovoljna zamjena za nedostatak svijesti i radničke solidarnosti, koji su danas na puno nižoj razini od one prije jednog stoljeća. Objektivne okolnosti, međutim, ne mogu amnestirati radničku klasu zbog njenog napuštanje klasne borbe za vlastite interese prihvaćanjem mrvica s trpeze svojih izrabljivača.

 

Kakav je položaj ljevice u Europi? Jesu li Vaše europske kolege optimistične u pogledu eventualnog jačanja ljevice na Starom kontinentu u skoroj budućnosti?

Snaga autentične evropske ljevice je u permanentnom opadanju od pojave tzv. eurokomunizma, koji su inicirale krajem 60-ih i početkom 70-ih godina prošlog stoljeća komunističke partije Italije, Španjolske i Francuske, do tada najjače komunističke partije Zapada. Taj proces tada još nije direktno ugrozio tzv. welfare state ili državu blagostanja. To će se dogoditi tek nakon ‘90-ih urušavanjem socijalizma u istočnoj Evropi i samoupravljanja u Jugoslaviji, čime su nestale mnoge energije iz kojih je snagu crpio radnički i sindikalni pokret evropskog zapada. Nakon pada Berlinskog zida svjedočimo drugom političkom paradoksu, ovog puta na evropskom nivou: nestankom socijalizma  koji je do tada na Zapadu stigmatiziran i optuživan za sve dotadašnje nedaće, za nizak životni standard i nedostatak ljudskih prava – rapidno se počeo smanjivati životni standard građana na Zapadu, ali i njihova stečena socijalna, pa i građanska prava. Taj proces se produbljuje, ali i potiče autentičnu ljevicu na nove aktivnosti. Suočeni s alternativom koju je još prije jednog stoljeća definirala Rosa Luxemburg, da je budućnost svijeta socijalizam ili barbarstvo, razumljivo je da moramo razvijati optimizam.

 

Kakve akcije danas provode ljevičarske organizacije protiv sadašnjeg načina društvenog upravljanja?

Za razliku od oportunističke socijaldemokracije, koja je najvjerniji i najpouzdaniji partner neoliberalnog kapitalizma u borbi protiv radničkih prava, od Evropske ljevice, do grčke Syrize, nadu pobuđuje praksa nekih komunističkih i radničkih partija, koje postižu dobru suradnju s klasno orijentiranim sindikatima u svojim zemljama. Na tom je području izuzmemo li Rusiju, Ukrajinu i Bjelorusiju, najbolje rezultate postigla Komunistička partija Grčke, KKE. Njihove organizacijske veze s nacionalnom sindikalnom organizacijom P.A.M.E. funkcioniraju na sljedeći način: KKE ustupa mjesto na svojim izbornim listama članovima sindikata, sindikati u tvornicama agitiraju za izborne liste KKE, sindikalisti, odnosno radnici na taj način ulaze u tijela lokalne uprave i u parlament, a KKE jača veze s radništvom i ostvaruje bolje rezultate. Evo, u trenutku dok razgovaramo KKE je povukla briljantan politički potez, ustupivši svoj TV kanal za emitiranje programa nacionalne televizije koji je vlada ukinula zbog štednje.

 

Podržavate li prosvjede u Turskoj? Je li represija koju pokazuje tamošnji državni aparat slična kao kod nas, s tom razlikom što ljudi ovdje ne izlaze na ulice?

Demonstracije u Turskoj podržavamo u onoj mjeri u kojoj podržavamo sve antikapitalističke akcije i u okvirima u kojima ih podržavaju naši drugovi iz Komunističke partije Turske (TKP) i Radničke partije Turske (IP). Postupanje policije u obrani poretka u pravilu nikad nije nježno, u što sam se i osobno uvjerio u sindikalnim demonstracijama u Zagrebu 1998., a imam i međunarodnog iskustva s postupanjem policijskog stroja. Tu bih istaknuo učešće u velikim anti-NATO demonstracijama na rijeci Rajni za vrijeme održavanja NATO-summita u Strasbourgu 2009., na poziv Svjetskog mirovnog vijeća, WPC-a. Ali informacije koje stižu iz Turske svjedoče o brutalnosti policije koja po intenzitetu i širini nadilazi nivo na koji smo navikli u Evropi. Demonstracije u Turskoj su nam interesantne po još jednoj osnovi. Mišljenja smo da one ometaju logističku podršku iz Turske pobunjenicima i stranim plaćenicima koji se bore protiv regularne sirijske vojske, što je kompatibilno s recentnim uspjesima regularne vojske.

 

U obrani demokracije ne biraju se sredstva, ali kada netko drugi želi obraniti svoj sistem, onda je to režim. Je li takav pristup pošten?

Naravno da nije, a posljedično nije ni ispravan. Među ostalima, i vaš list je 27. svibnja objavio Hininu informaciju o novinarki sirijske TV stanice koju su iz zasjede ubili teroristi. U nastavku Hina objašnjava čitateljima da u frazeologiji režima terorist označava ustanika. Izjavu u kojoj polemiziram s takvim pristupom poslao sam Hini, svim dnevnim novinama u Hrvatskoj i nekolicini e-medija. Koliko znam, objavio je samo portal Advance.hr.

 

Zapadna propaganda piše o zvjerstvima u siromašnim komunističkim zemljama, poput kanibalizma, recimo u Sjevernoj Koreji i nekad u Kini. Svojevremeno se vjerojatno isto pričalo i za Jugoslaviju. Zašto kapitalističke zemlje udaraju na tako, rekli bismo, proziran način i kako to da građani uspijevaju progutati takvo što?

Propaganda jako dobro prati i poznaje filozofiju masa, prilagođena je mentalnom sklopu te dosezima onih kojima je namijenjena. I zato se špekulacijama o kanibalizmu u Koreji nemam razloga baviti. Ali svjedoci smo nedavnog kanibalističkog rituala jednog terorista koji je izvadio srce sirijskom vojniku i pojeo ga pred kamerama. Takve teroriste podržavaju vlade u Evropi i kukavna hrvatska podanička Vlada.

 

Jeste li u posljednje vrijeme putovali u neku od preostalih komunističkih država u svijetu? Kako se tamo živi?

Nisam putovao u te zemlje pa se moja saznanja o njima sastoje od informacija dobivenih na međunarodnim skupovima. O načinu života na Kubi i Venezueli moglo se iz prve ruke čuti iz nadahnutog govora Aleide Guevara, kćerke legendarnog revolucionara Ernesta Che Guevare, na Subversive festivalu u Zagrebu. Govorila je kako živi kubanski narod u uvjetima brutalnog, nepravednog i ničim izazvanog embarga SAD-a već gotovo 60 godina. No, svaki Kubanac vjerojatno nema pet pari cipela, ali ima jedan par i prema tvrdnjama upućenih najbolje zdravstveno osiguranje na svijetu. Prosječni Kubanac nema ni pet pari hlača, ali ima jedan od najboljih obrazovnih sistema na svijetu.

 

Čini mi se da su jedino Južnoamerikanci istinski ljevičari, po rođenju, odgoju, načinu života, dok su, recimo, kod nas salonski. I Vas sam znao čuti kako s istomišljenicima čitate referate koji zanimaju samo uzak krug ljudi. Ne želim Vas uvrijediti, ali po meni je to salonsko ljevičarstvo.

U formiranju ličnosti bitne komponente čine genetika i odgoj, ali revolucionarnost određuju povijesni i socijalni uvjeti u kojima ljudi žive, a ti uvjeti su u ovom trenutku za ljevicu najpovoljniji u Južnoj Americi. Što se, pak, tiče definicije ili pripadnosti salonskoj ljevici, ta je kvalifikacija ipak rezervirana za oportunističku socijaldemokraciju i ne odnosi se na politički subjekt koji u svom programu i djelovanju zastupa maksimalističke zahtjeve, promjenu društvenog sistema sa zadiranjem u vlasničku strukturu, a to je SRP. Na pitanje, pak, koje se odnosi na mene ne mogu odgovoriti, bilo bi subjektivno; o meni ocjenu moraju dati oni koji poznaju moje djelovanje, pa i vi novinari. Ono što mogu reći je da imam, zajedno s drugovima iz stranke, u nogama dosta utakmica na otvorenom prostoru.

  

Glas Istre 15. 06. 2013.





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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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(srpskohrvatski / italiano)

22.mo Seminario Comunista Internazionale a Bruxelles

31/05 - 02/06/2013

1) Lista partecipanti, Conclusioni generali e lista firmatari
2) NKPJ na Međunarodnom Komunističkom Seminaru u Briselu


=== 1 ===

http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcdf14-013004.htm
www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 14-06-13 - n. 458

ICS 2013 - 22° Seminario Comunista Internazionale

Bruxelles, 31/05 - 02/06/2013
www.icseminar.org - info@...

Gli attacchi ai diritti democratici e alle libertà nella crisi capitalista mondiale. Strategie e azioni di risposta.

Lista dei partecipanti

ICS 2013 | icseminar.org

1. Afghanistan, People's Party of Afghanistan
2. Algeria, Parti Algérien pour la Démocratie et le Socialisme (PADS)
3. Azerbaijan, Communist Party of Azerbaijan
4. Belarus, Belarussian Communist Workers' Party
5. Belgium, Workers' Party of Belgium (PTB)
6. Bénin, Parti Communiste du Bénin
7. Brazil, Communist Party of Brazil (PCdoB)
8. Brazil, Partido Patria Livre (PPL)
9. Bulgaria, Party of Bulgarian Communists
10. Colombia, Colombian Communist Party
11. Cuba, Communist Party of Cuba
12. Cyprus, Progressive Party of the Working People (AKEL)
13. Denmark, Communist Party of Denmark
14. Denmark, Danish Communist Party
15. France, Union des Révolutionnaires Communistes de France (URCF)
16. France, Pôle de Renaissance Communiste en France (PRCF)
17. Germany, German Communist Party (DKP)
18. Greece, Communist Party of Greece (KKE)
19. Hungary, Hungarian Workers' Party
20. Iran, Tudeh Party of Iran
21. Ireland, Workers' Party of Ireland
22. Laos, Lao People's Revolutionary Party
23. Latvia, Socialist Party of Latvia
24. Lebanon, Lebanese Communist Party
25. Lithuania, Socialist People's Front
26. Luxembourg, Communist Party of Luxembourg (KPL)
27. Malta, Communist Party of Malta
28. Mexico, Partido Popular Socialista de México
29. Netherlands, New Communist Pary of Netherlands (NCPN)
30. Palestine, Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP)
31. Palestine, Palestinian Communist Party
32. Philippines, Communist Party of the Philippines
33. Portugal, Portuguese Communist Party
34. Russia, Communist Party of the Russian Federation (CPRF)
35. Russia, Communist Party of the Soviet Union
36. Russia, Russian Communist Workers' Party - CPSU
37. Serbia, New Communist Party of Yugoslavia
38. South Sudan, Communist Party of South Sudan
39. Spain, Communist Party of Spain
40. Spain, Spanish Communist Workers' Party (PCOE)
41. Spain, Communist Party of the Peoples of Spain (PCPE)
42. Sri Lanka, People's Liberation Front - JVP
43. Sweden, Communist Party (KP)
44. Switzerland, Parti Suisse du Travail
45. Tunisia, Parti des Patriotes et Démocrates Uni
46. Turkey, Communist Party of Turkey (TKP)
47. Turkey, Labour Party (EMEP)
48. Ukraine, Union of Communists
49. United Kingdom, Communist Party of Great-Britain - Marxist-Leninist
50. USA, Freedom Road Socialist Organization (FRSO)
51. Venezuela, Communist Party of Venezuela (PCV)
52. Vietnam, Communist Party of Viet Nam

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http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcdf18-013013.htm

www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 18-06-13 - n. 458

ICS 2013 - 22° Seminario Comunista Internazionale

Bruxelles, 31/05 - 02/06/2013
www.icseminar.org - info@...

Gli attacchi ai diritti democratici e alle libertà nella crisi capitalista mondiale. Strategie e azioni di risposta.

Conclusioni generali

ICS 2013 | icseminar.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

A. L'importanza della lotta per i diritti democratici e le libertà
  
1. Marx, Engels e Lenin consideravano la "democrazia" sulla base dei criteri di classe, distinguendo tra una democrazia borghese e una democrazia della classe operaia. Consideravano la lotta per i diritti democratici e le libertà necessaria affinché le contraddizioni degli interessi tra la classe operaia e la borghesia apparissero chiaramente, per creare condizioni più favorevoli al completo sviluppo della lotta politica della classe operaia. I comunisti si pongono alla testa delle lotte per i diritti democratici.

2. Le aspirazioni democratiche dei lavoratori non possono realizzarsi pienamente e in modo durevole sotto il capitalismo, dove solo la borghesia esercita il potere. I progressi democratici strappati alla borghesia sono limitati e insufficienti e possono essere ridotti e revocati in qualsiasi momento, soprattutto nei periodi di crisi del sistema capitalistico.

3. E' per questa ragione che i comunisti inquadrano la loro azione per i diritti democratici in una più lunga prospettiva di lotta strategica contro il capitalismo e per il socialismo, unica via che conduce ad un'autentica democrazia per le masse popolari, in quanto detentrici del potere. Questo potere rende "... effettiva per le classi lavoratrici, cioè per la stragrande maggioranza della popolazione, la possibilità di esercitare i diritti e le libertà democratiche, possibilità che non è mai esistita, nemmeno approssimativamente, nelle repubbliche borghesi migliori e più democratiche." (1).

B. Il carattere ed il ruolo dello Stato borghese

4. Lo Stato si trasformò in una necessità ad un certo momento dello sviluppo economico, quando la società si divise in classi, in sfruttatori e sfruttati.

5. Lo Stato non costituisce un organo neutro intorno alla società, bensì un organo del dominio di classe, per l'oppressione di una classe da parte di un'altra. La funzione essenziale dello Stato borghese è di obbligare le classi oppresse a rispettare la proprietà privata e il dominio di classe, di evitare i conflitti di classe acuti e, se necessario, di reprimerli in maniera violenta, per evitare che superino il quadro della sua legalità e possano abbattere lo stato borghese. A questo proposito, lo Stato dispone dei servizi di polizia, ufficiali e segreti, di un apparato giudiziario e delle forze armate. Lo Stato ha anche un suo corpo di alti funzionari che nei gabinetti, nelle amministrazioni, gestiscono la "continuità" dello Stato, indipendentemente dai cambiamenti della maggioranza politica.

6. L'oppressione è una necessità concomitante allo sfruttamento di classe. L'intensificazione della repressione e l'escalation degli attacchi ai diritti democratici e sindacali e alle libertà da parte della classe borghese nell'intero mondo capitalista, è l'altra faccia dell'intensificazione dello sfruttamento, della concentrazione e centralizzazione del capitale. Quindi è nella natura stessa della borghesia al potere attaccare i diritti democratici e le libertà della classe lavoratrice e del popolo pur di preservare il sistema di sfruttamento.

7. Il regime di dominio di classe non utilizza solamente la repressione ma anche l'ideologia: la classe che dispone di mezzi di produzione materiali dispone contemporaneamente dei mezzi di produzione culturali. Le idee dominanti in ogni società ed in ogni epoca sono le idee della classe dominante. I grandi media, l'educazione ed altri mezzi e forme di cultura e di educazione, tanto pubblici che privati, sono strumenti nelle mani della classe dominante per mantenere le sue posizioni a discapito della massa dei lavoratori. La borghesia cerca anche di imporre la sua ideologia attraverso il controllo su certe Ong, sindacati ed altre associazioni.

8. Infine, lo Stato borghese gioca un considerevole ruolo internazionale: conquista per i suoi capitalisti nuovi mercati o difende quelli esistenti, se necessario, con le armi. A questo scopo, utilizza la gestione delle relazioni internazionali, delle ambasciate, dei servizi di esportazione e, soprattutto, di un esercito offensivo, legato ad alleanze internazionali imperialiste (come la Nato).

9. Rispetto allo Stato feudale, lo Stato borghese costituisce un progresso considerevole. Lo Stato, nel sistema capitalista, può assumere varie forme. Ma finanche nella sua forma più sviluppata, la repubblica democratica, rimane all'interno della stretta cornice dello sfruttamento capitalista. Il vero potere risiede nel dominio dei capitalisti sul lavoro salariato. Molto presto, dopo la caduta degli ancien régime, la borghesia restrinse l'esercizio della democrazia ed escluse le classi inferiori. I diritti dell'immensa maggioranza sono così limitati, monchi, addirittura palesemente assenti. Lo Stato borghese utilizza anche leggi d'eccezione che possono essere adoperate per annullare i diritti democratici in caso di "necessità".

10. Sotto la repubblica democratica, il potere è esercitato in maniera indiretta dalla borghesia. Lenin scrisse: "Nella repubblica democratica - continua Engels - "la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in maniera tanto più sicura", in primo luogo con la "corruzione diretta dei funzionari", in secondo luogo con "l'alleanza tra governo e Borsa" [...] La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo;  per questo il capitale, dopo essersi impadronito (...) di questo involucro - che è il migliore - fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell'ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo." (2).
Le decisioni prese dai governi borghesi sono allineate alle priorità delle grandi imprese, banche, fondi speculativi e istituzioni imperialiste come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la Banca centrale europea ed altre.

C. Un rapido sguardo storico

11. Nel XIX secolo, il mondo operaio si confrontò con la contraddizione tra la proclamazione dei diritti umani e la loro mancata applicazione pratica. Il movimento operaio riprese per suo conto la lotta per la democrazia, col passaggio dal suffragio censitario a quello universale, con il diritto ad organizzarsi in sindacati ed in partiti operai…

12. L'apparizione del movimento operaio e del suffragio universale spinse la borghesia a spostare il vero potere sull'esecutivo. Il parlamento si muta così sempre di più in una macchina per votare, ratificando le decisioni antipopolari già prese in un altro luogo.

13. Mentre la repubblica democratica è la forma di Stato privilegiata dalla borghesia in ascesa, lo Stato nell'imperialismo tende ad assumere tratti sempre più autoritari. Lenin scrisse: "[...] «il capitale finanziario aspira alla supremazia e non alla libertà». La reazione politica su tutta la linea è propria dell'imperialismo." (3).
Lo Stato tende a limitare in maniera crescente i diritti dei lavoratori, attaccando i diritti sindacali e i partiti comunisti. Esso aumenta il suo carattere autoritario, repressivo e militare. Diffonde un'ideologia sciovinista, religiosa fondamentalista, razzista e diffonde il corporativismo.

14. I paesi socialisti, dall'Ottobre 1917, fecero nascere o amplificarono i diritti e le libertà democratiche, generalmente in condizioni economiche difficili. Una delle innovazioni imprescindibili del socialismo, basato sui nuovi rapporti di produzione, è di avere esteso il concetto dei diritti fondamentali delle libertà individuali ai diritti sociali fondamentali, come il diritto al lavoro, all'abitazione, alla previdenza sociale, alla gratuità dell'educazione e di avere trasformato i principi della pace e della giustizia sociale in diritti universali dell'uomo. In particolare, le realizzazioni storiche del socialismo sul piano dei diritti della donna non hanno finora trovato uguali.

15. Nei paesi capitalisti, la classe operaia ha rivendicato l'applicazione dei suoi diritti fondamentali collettivi che sono contraddittori rispetto la natura stessa del capitalismo. Obbligati e forzati, sotto l'influenza della Rivoluzione d'Ottobre e della vittoria dell'Unione sovietica nella Seconda guerra mondiale, per paura del "pericolo comunista" e grazie alla persistente lotta della classe operaia, la borghesia dell'Europa occidentale dovette concedere la proclamazione di alcuni diritti sociali ed economici e la loro parziale realizzazione: il sistema della previdenza sociale, il riconoscimento dei diritti sindacali, la riduzione dell'orario di lavoro, le migliori condizioni di lavoro, i giorni di vacanza pagati, una certa democratizzazione dell'educazione e della cultura, ecc.

16. Sotto l'influenza dei paesi socialisti e delle lotte anticoloniali a livello internazionale, i diritti individuali, (civili e politici) e i diritti collettivi (sociali, economici e culturali) sono arricchiti dai diritti dei popoli (all'autodeterminazione, alla sovranità, alla pace, allo sviluppo, alla protezione ambientale, ecc.)

17. Sin dall'inizio, la borghesia ha fatto di tutto per limitare la portata delle concessioni fatte. In periodi di crisi acuta, potenzialmente minacciato dal movimento operaio, lo Stato borghese può rovesciare la repubblica democratica (o la monarchia costituzionale) verso il fascismo, che è la dittatura aperta, la forma di dominazione della frazione più aggressiva e reazionaria del capitale monopolistico. Ma la borghesia usa forme intermediarie di dominio, nelle quali gli aspetti formali della democrazia si accompagnano alle politiche e metodi fascisti.

18. Dal 1973, il capitalismo mondiale è in crisi di sovrapproduzione e di sovraccumulazione di capitale. A livello economico, a partire dagli anni '80 la borghesia mondiale lancia un'offensiva in tutti i campi, sottomettendo ancora di più i lavoratori ed i popoli alla dittatura dei monopoli, con l'aiuto del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale, dell'Organizzazione mondiale del commercio e di altri strumenti imperialisti come l'Unione europea. L'obiettivo strategico è di aumentare la quota di profitto (con manodopera più a buon mercato, ristrutturazioni, privatizzazioni, ecc.) e contrastare la tendenza alla diminuzione del saggio di profitto medio, adattandosi contemporaneamente alle condizioni attuali di intensificata internazionalizzazione dell'economia capitalista e del mercato del lavoro. A livello politico, quest'offensiva si accompagna a più forti violazioni dei diritti democratici. Sono i lavoratori e i paesi sottosviluppati a soffrire maggiormente di queste condizioni di depressione e oppressione globale.

19. Durante lunghi anni, l'Unione sovietica e l'insieme dei paesi socialisti furono le uniche forze a fare da contrappeso all'onnipotenza del capitalismo e dell'imperialismo. La caduta del socialismo in Unione sovietica e negli altri paesi socialisti dell'Europa orientale, rappresenta un arretramento qualitativo nella correlazione di forze a livello mondiale. Dagli anni '90, la borghesia mondiale ha campo libero per consolidare la sua politica ed estendere gli attacchi, in casa e all'estero.

20. Lo Stato capitalista si prepara a disdire i diritti economici e sociali acquisiti dai lavoratori. I governi abbandonano innumerevoli regolamentazioni e legislazioni che garantiscono condizioni di lavoro corrette o che proteggono i lavoratori in caso di malattia e licenziamento. I diritti alla previdenza sociale (disoccupazione, pensione, malattia) sono minacciati, limitati o aboliti.

21. La borghesia si prepara costantemente ad affrontare rivolte popolari che potrebbero mettere in questione il suo potere sulla società. Gli apparati legislativi e materiali di repressione si sono considerevolmente estesi. Il combattimento contro il nemico esterno si confonde con la lotta contro quello "interno", le guerre all'esterno servono ad attaccare i diritti democratici all'interno. Dopo l'11 settembre, questa dinamica si è rafforzata in maniera significativa con la guerra "al terrore".

22. La "democrazia" borghese mostra il suo vero volto antidemocratico nella politica di dominio mondiale applicata dall'imperialismo statunitense e dalle altre potenze imperialiste con la militarizzazione, gli interventi, le guerre e l'appoggio alle dittature. Stati uniti, Unione europea e Nato, applicano il terrorismo di Stato nel mondo e lanciano guerre di aggressione, anche calpestando quella legalità internazionale che loro stessi invocano, spesso e cinicamente con il pretesto di "proteggere i diritti umani" o "promuovere la democrazia", come in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria.

D. Gli attuali attacchi contro i diritti democratici e le libertà.
  
23. Con la nuova fase della crisi economica del capitalismo mondiale, dal 2008 si intensificano nuovamente gli attacchi ai diritti democratici. Si tratta di un attacco generale contro la classe operaia, con l'obiettivo essenziale di rafforzare la competitività del capitale in ogni paese a spese dei lavoratori. Per ottenere ciò, il capitale monopolistico cerca di ridurre il costo del lavoro ed estrarre maggiore plusvalore dai lavoratori, aumentando il trasferimento della ricchezza dalla classe operaia alla borghesia. Sul posto di lavoro, ogni capitalista impone una vera dittatura, le sue regole e le sue leggi ai lavoratori.

24. Il primo diritto ad essere minacciato, limitato o completamente annullato, è il diritto al lavoro. Il tasso di disoccupazione, che soprattutto tra i giovani ha livelli molto elevati, mette in pericolo il tenore di vita e la dignità di milioni di lavoratori e delle loro famiglie come delle generazioni future.

25. Le conquiste ottenute dalla classe operaia nei rapporti di lavoro vengono smantellate. Il capitale ricorre ai licenziamenti di massa, ai ribassi salariali. In tutto il mondo capitalista, si amplificano gli attacchi al diritto di sciopero e ai sindacati, la liquidazione dei contratti di lavoro collettivi, la degradazione delle condizioni lavorative, la repressione delle lotte operaie e delle manifestazioni, la precettazione dei lavoratori in caso di sciopero, la cacciata delle famiglie dai loro alloggi, ecc. In vari paesi, militanti sindacali, comunisti, difensori dei diritti umani e altri attivisti sono assassinati, rapiti, molestati o minacciati. Per lasciare posto alle multinazionali e ai grandi proprietari terrieri, milioni di contadini sono espulsi violentemente. Le forze della repressione responsabili di queste violazioni e crimini generalmente rimangono nell'impunità.

26. Lo Stato capitalista cerca anche di "disciplinare" e controllare la popolazione, ancora più in tempi di crisi. Azioni di protesta e di solidarietà nell'ambito di diversi temi (per esempio giustizia sociale, democrazia, pace, ecologia, uguaglianza di diritti) sono minacciati, proibiti, criminalizzati, soffocati o soggetti a multe esorbitanti. C'è un controllo generale sulla popolazione. Il controllo generalizzato sulla popolazione è un elemento essenziale, la libertà personale - vita privata e dati personali - non è oramai più rispettata. Si disciplinano i lavoratori tramite l'attivazione dei disoccupati (con misure obbligatorie, forzandoli ad accettare qualunque impiego, sotto la minaccia di sanzioni e di espulsione) e dei pensionati (con misure che obbligano a lavorare più tempo) e con leggi che facilitano il licenziamento. Ma c'è anche una volontà di "condannare" le vittime per la condizione in cui si trovano, di "punire" i poveri, che sono accusati di essere i responsabili e non le vittime. Lo Stato incita i "comportamenti antisociali", le "inciviltà" per disciplinare la popolazione, i giovani in particolare. L'offensiva del capitale è ideologica in tutti i campi.

27. Lo Stato capitalista diminuisce ancora di più i diritti dei rifugiati e dei sans papiers, già minimi, e intensifica la repressione contro di loro, per mezzo di leggi repressive, la loro esclusione dai servizi sociali e l'espulsione del paese. Sono tuttavia lo sfruttamento crudele delle multinazionali e gli interventi imperialisti di Nato, Stati Uniti e Unione europea all'origine delle ondate di rifugiati in Europa, Medio oriente e Africa. Sono questi stessi Stati imperialisti a massacrare i popoli, a spingerli alla miseria e all'esilio, moltiplicando i campi di concentramento per rifugiati e sans papiers.

28. C'è una stretta relazione tra la crisi capitalista e l'aumento della resistenza popolare, da una parte, e l'incremento dell'ideologia e delle forze reazionarie, dall'altra. La borghesia sviluppa, utilizza e promuove le correnti scioviniste, fondamentaliste religiose, comunaliste, etniciste, razziste e fasciste per deviare l'attenzione delle masse dall'origine della crisi, per dividere i lavoratori ed evitare che prendano la via della resistenza e della rivoluzione.

29. Si sviluppano anche i meccanismi di provocazione lanciati dagli apparati di Stato per screditare il movimento operaio e giustificare la repressione. L'ascesa di partiti di estrema destra fa parte di questa operazione. In varie occasioni i loro membri sono utilizzati per spezzare gli scioperi, seminare il terrore tra gli immigrati, ecc. Questa violenza ha anche l'obiettivo di spaventare i lavoratori per fargli abbandonare la lotta.

30. L'anticomunismo è utilizzato per calunniare ogni riferimento alle alternative proposte dal partito comunista e dalla prospettiva socialista. La borghesia internazionale associa e perfino paragona il comunismo, i movimenti rivoluzionari ed i sindacati militanti col terrorismo, al fine di reprimerli. La falsa teoria degli "opposti estremismi" è utilizzata per battere il movimento operaio ed i comunisti. In numerosi paesi dell'Europa orientale, le campagne anticomuniste sono servite e servono per imporre misure antidemocratiche e repressive, per proibire ed escludere i partiti comunisti ed i loro simboli.

31. L'imperialismo diventa sempre più aggressivo per ottenere manodopera a buon mercato, per controllare le risorse naturali, le vie commerciali ed il mercato mondiale. La Nato e particolarmente l'esercito statunitense, hanno come funzione principale il garantire la riproduzione capitalistica nel pianeta. I militari statunitensi sono presenti in 130 paesi. L'imperialismo ha buttato a mare il corpus del diritto internazionale uscito dalla Seconda guerra mondiale. I paesi che si oppongono al dominio imperialista sono oggetto di minacce, di sanzioni e di blocchi economici da parte delle grandi potenze imperialiste. Esse utilizzano tutta la gamma di ingerenze, azioni terroristiche realizzate dai gruppi che loro stesse creano, addestrano, finanziano ed armano, guerre di bassa intensità e per procura, interventi diretti, bombardamenti e guerre aperte. Dove possono, insediano regimi fantoccio, completamente sottomessi ai loro interessi economici e geostrategici. In alcuni paesi spingono il separatismo ad unico interesse dell'imperialismo.

32. Gli stessi diritti e libertà considerate fondamentali nella legge borghese sono soppressi con il pretesto della lotta contro il terrorismo. Negli Stati uniti, l'amministrazione Bush ha legittimato la tortura e il presidente Obama si è arrogato il diritto di ammazzare in giro per il mondo senza alcuna forma di processo, decidendo in gran segreto ogni settimana le esecuzioni extragiudiziali praticate per mezzo di droni in paesi come Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia.

E. Le azioni e le strategie di risposta

33. Con l'intensificazione della crisi del capitalismo, molte sono nel mondo le manifestazioni, mobilitazioni, scioperi e sollevazioni, tumulti sociali, tumulti politici e altre forme di resistenza con cui i lavoratori e i popoli rifiutano di pagare per la crisi del capitalismo. I comunisti guardano con ottimismo allo sviluppo delle lotte dei lavoratori e dei popoli per i loro diritti. Stanno rendendo le condizioni più favorevoli alla rinascita e rafforzamento del movimento della classe operaia contro il capitalismo e per il socialismo. Analizzando correttamente il programma politico ed il carattere di classe di questi movimenti e lotte, i comunisti intervengono in maniera attiva affinché si allontanino dall'influenza borghese e per volgerli verso una prospettiva di classe e socialista.

34. Il movimento operaio lotta in prima linea per la conquista, l'affermazione o la restaurazione dei diritti e delle libertà democratiche. I lavoratori esigono misure per migliorare le loro necessità immediate d'impiego, di un salario degno, di migliori condizioni di lavoro e di vita e di servizi sociali.

35. I comunisti appoggiano il movimento operaio nelle sue rivendicazioni immediate per diritti e libertà democratiche, nella cornice necessaria di lotta contro il capitalismo e l'imperialismo, maggiori ostacoli alla loro completa e duratura realizzazione, e nella prospettiva del socialismo, l'unica garanzia per una vera democrazia popolare.

36. Nella misura in cui ha radici profonde nelle grandi masse, il partito comunista è capace di guadagnare l'adesione dei lavoratori e di rafforzarsi, cosa che aumenta la sua capacità di dirigere le lotte popolari per i diritti democratici. Questa grande base di massa costituisce contemporaneamente la prima linea di difesa e la migliore protezione contro ogni attacco anticomunista e contro ogni attentato all'esistenza e al funzionamento del partito comunista.

37. I comunisti stimolano e tentano di dirigere un lavoro di fronte su differenti terreni, inclusivo nell'area dei diritti democratici e delle libertà. Operano per riunire le forze popolari in alleanze che raggruppino i lavoratori e gli altri strati sociali della popolazione toccati dalla crisi sistemica del capitalismo. Agiscono in primo luogo con e dentro i sindacati e le altre organizzazioni popolari di massa. In secondo luogo, possono associarsi a certe organizzazioni e iniziative di altri strati della popolazione che sono sensibili e si mobilitano per i diritti democratici.

38. I comunisti, i lavoratori ed i popoli sviluppano l'internazionalismo e la solidarietà contro ogni tendenza sciovinista, fondamentalista religiosa, etnicista, comunalista, razzista e fascista.

39. Sviluppano la lotta contro gli interventi, le guerre e la militarizzazione imperialista in tutte le sue forme.

40. Nei paesi sotto la dominazione imperialista, dove la questione dell'indipendenza politica, della sovranità nazionale e dei diritti democratici elementari sono ancora all'ordine del giorno, i comunisti si uniscono e dirigono il popolo, legando la sua lotta per la liberazione nazionale e la democrazia alla lotta per il socialismo.

F. I diritti democratici e le libertà sotto il socialismo

41. I diritti democratici e le libertà non possono essere maggiormente e pienamente sviluppati da e per i lavoratori ed i popoli che nel quadro della completa liberazione sociale, nel quadro della società socialista, basata sulla proprietà collettiva dei grandi mezzi di produzione e sulla pianificazione dell'economia.

42. Non c'è continuità tra la democrazia capitalista e la democrazia socialista. La classe operaia deve sviluppare la propria democrazia, il dominio dalla classe operaia, il governo diretto dal popolo. Il compito principale e la cosa importante della democrazia socialista è la costruzione, l'istituzione e lo sviluppo dei nuovi rapporti di produzione. La classe operaia deve creare e dirigere uno Stato che realizzi e difenda fino alla fine i suoi diritti e libertà fondamentali e che impregni la società con i nuovi valori socialisti.

43. La partecipazione delle masse è alimentata dalla fioritura della democrazia, soprattutto attraverso gli organi del potere popolare e in secondo luogo attraverso le organizzazioni di massa come i sindacati, le organizzazioni della gioventù e delle donne. Questo significa che i lavoratori, come padroni dello Stato e della società, decidono delle cose essenziali dell'organizzazione della società a tutti i livelli: posto di lavoro, quartiere, provincia, paese. Partecipano alla pianificazione dell'economia, alla soluzione delle contraddizioni e delle illegalità sociali, al controllo e all'amministrazione delle unità di produzione, ai servizi sociali ed amministrativi, a tutti gli organi di potere, all'organizzazione dell'educazione, del sapere e della tecnica. Discutono sulle grandi questioni della società: la creazione o la modificazione della costituzione, le scelte di bilancio, l'organizzazione della sanità, dell'educazione, della tutela ambientale, le questioni etiche…

44. In una visione socialista, i diritti individuali, collettivi e dei popoli non possono essere visti separatamente: sono indivisibili. Solo il socialismo può gettare le basi per realizzare l'insieme di questi diritti.

45. I diritti democratici e le libertà sotto il socialismo, sono, tra gli altri:
- Il diritto alla partecipazione democratica nella gestione dello Stato e dell'economia a tutti i livelli (dal locale al nazionale, dall'impresa alla pianificazione nazionale);
- Il diritto alla vita; la proibizione della schiavitù, della tortura e della minaccia all'integrità fisica;
- I diritti al lavoro, all'educazione, alla casa e alla salute; il diritto al riposo e al tempo libero; il diritto allo sport; il diritto alla cultura;
- I diritti alla libertà d'espressione, di stampa, di riunione e associazione, di pensiero e di coscienza, nel quadro della legalità socialista;
- L'uguaglianza dei diritti civili, politici, sociali, economici e culturali per tutta la popolazione, indipendentemente dalla nazionalità, sesso, colore della pelle, convinzione religiosa o filosofica, ecc.;
- Il diritto alla pace;
- Il diritto a lottare per la transizione al comunismo e costruire una società senza sfruttamento dell'uomo all'uomo, con l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, della contraddizione tra città e campagna, e tra il lavoro manuale e intellettuale.

46. Lo Stato socialista è necessario anche per evitare che la borghesia - la borghesia di casa, in connivenza con la borghesia internazionale - riprenda il potere e smantelli i diritti fondamentali ristabilendo il capitalismo.

47. La democrazia della società socialista è legata alla democrazia all'interno del partito comunista. Il partito deve applicare correttamente il centralismo democratico, conservare e diffondere uno stile di lavoro duro e di vita semplice, al servizio del popolo, avere una linea ed uno spirito rivoluzionario. Deve concentrarsi sullo sviluppo della democrazia socialista, costruendo un sistema di giustizia socialista ed aiutare le organizzazioni di massa a giocare il loro specifico ruolo.

Note:

1) Lenin, Tesi e rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato presentate al primo Congresso dell'Internazionale comunista, 1919, Opere complete, vol. 28, pag 468
2) Lenin, Stato e rivoluzione, capitolo 1.
3) Lenin, L'imperialismo e la scissione del socialismo (1916) - www.resistenze.org/sito/ma/di/cl/mdcl6f09.htm



Lista dei firmatari al 17 giugno 2013

ICS 2013 | icseminar.org

1. Afghanistan, People's Party of Afghanistan
2. Algeria, Parti Algérien pour la Démocratie et le Socialisme (PADS)
3. Azerbaijan, Communist Party of Azerbaijan
4. Belarus, Belarussian Communist Workers' Party
5. Belgium, Workers' Party of Belgium (PTB)
6. Bénin, Parti Communiste du Bénin
7. Brazil, Communist Party of Brazil (PCdoB)
8. Brazil, Partido Patria Livre (PPL)
9. Bulgaria, Party of Bulgarian Communists
10. Denmark, Communist Party of Denmark
11. France, Union des Révolutionnaires Communistes de France (URCF)
12. France, Pôle de Renaissance Communiste en France (PRCF)
13. Germany, German Communist Party (DKP)
14. Greece, Communist Party of Greece (KKE)
15. Hungary, Hungarian Workers' Party
16. Iran, Tudeh Party of Iran
17. Ireland, Workers' Party of Ireland
18. Latvia, Socialist Party of Latvia
19. Lebanon, Lebanese Communist Party
20. Lithuania, Socialist People's Front
21. Luxembourg, Communist Party of Luxembourg (KPL)
22. Mexico, Partido Popular Socialista de México
23. Palestine, Palestinian Communist Party
24. Philippines, Communist Party of the Philippines
25. Russia, Communist Party of the Russian Federation (CPRF)
26. Russia, Russian Communist Workers' Party - CPSU
27. Russia, Communist Party of the Soviet Union
28. Serbia, New Communist Party of Yugoslavia
29. South Sudan, Communist Party of South Sudan
30. Spain, Communist Party of Spain (PCE)
31. Spain, Spanish Communist Workers' Party (PCOE)
32. Sri Lanka, People's Liberation Front - JVP
33. Switzerland, Parti Suisse du Travail
34. Turkey, Communist Party of Turkey (TKP)
35. Ukraine, Union of Communists
36. United Kingdom, Communist Party of Great-Britain - Marxist-Leninist
37. Venezuela, Communist Party of Venezuela (PCV)
38. Vietnam, Communist Party of Viet Nam


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NKPJ NA MEĐUNARODNOM KOMUNISTIČKOM SEMINARU U BRISELU


Sekretar za međunarodne odnose Nove komunističke partije Jugoslavije (NKPJ) drug Marijan Kubik učestvovao je 1. i 2. juna na 22 Međunarodnom komunističkom seminaru (ICS) u Briselu koji se od 1992. godine održava u organizaciji Partije Rada Belgije (PTB).



ICS je nastao nakon razbijanja SSSR-a i istočnoevropskih socijalističkih zemalja kao jedan od prvih pokušaja reorganizovanja komunističkih i radničkih partija, odnosno njihovog organizacionog i idejnog jedinstva. ICS je bio prvi organizovani odgovor na krupne geo-političke lomove nastale posle rušenja Berlinskog zida i pokušaj prevazilaženja nastale krize u komunističkom pokretu. Skupovi ICS organizovani u periodu od 1992. do 1995. godine bili su usesređeni na analizu uzroka restauracije kapitalizma u SSSR-u i Istočnoj Evropi i izvlačenje pouka za budućnost. ICS je posebnu podršku dao Saveznoj Republici Jugoslaviji 1999. godine u vreme NATO agresije kada je u jeku imperijalističkog bombardovanja, delegaciju NKPJ na tom seminaru u Briselu predvodio pokojni generalni sekretar Partije, drug, Branko Kitanović.

Ovogodišnjem 22-gom Međunarodnom komunističkom seminaru prisustvovalo je oko 60 delegacija komunističkih i radničkih partija iz celog sveta. Između ostalih na seminaru su bili i predstavnici komunističkih partija socijalističkih država, Kube, Vijetnama i Laosa koji su istakli da i pored svetske ekonomske krize koja pogađa svet socijalistička izgradnja u tim zemljama obezbeđuje stabilan kontinuirani ekonomski rast i socijalni prosperitet.

Na ovogodišnjem seminaru bilo je reči o borbi koju radnička klasa vodi kako bi sačuvala svoje pravo na rad, socijalnu sigurnost i dostojanstven život a na koju vladajuća buržoazija širom sveta odgovora brutalnom represijom jasno pokazujući da ne mari za prava radničke klase. Na seminaru je zaključeno da je svetsku krizu izazvao kapitalizam i njegovi predvodnici, te da oni moraju da plaćaju danak takve politike a ne radnička klasa.

Na ICS su usvojene četiri rezolucije, a posebnu solidarnost data je narodu Turske koji se nalazi pod surovom represijom pro-imperijalističkog buržoaskog režima. U svom nastupu pred učesnicima seminara drug Marijan Kubik je predstavio stavove NKPJ o svim ključnim pitanjima kako u zemlji tako i inostranstvu sa posebnim akcentom na okupaciju Kosova i Metohije od strane zapadnih imperijalista i njihovih albanskih separatističkih marioneta u Prištini. Učesnici ICS upoznati sa servilnim izdajničkim stavom pro-imperijalističke Vlade Srbije koja zarad ulaska Srbije u tamnicu naroda Evropsku uniju prihvata sve ultimatume zapadnog imperijalizma u cilju priznavanja “nezavisnosti” Kosova. Predstavnik NKPJ drug Kubik imao je prijateljske razgovore sa svim delegacijama koje su učestvovale na ICS. Poslednjeg dana drug Kubik je ima iscrpne razgovore sa predstvanicima domaćina, Radničke partije Belgije. U tim razgovorima istaknuta je obostrana želja za jačanjem saradnje, razmenom informacija i iskustva. Domaćini su druga Kubika informisali da Radnička partija Belgije poslednjih pet godina beleži rast popularnosti. Članstvo PTB je u značajnom porastu što se odrazilo na sveukupne anktivnosti te partije. Na prošlogodišnjim lokalnim izborima Radnička partija Belgije ukupno je osvojila 31 mandat na raznim nivoima a čelnici te partije očekuju da bi na sledećim izborima mogli da po prvi put izbore mandate u belgijskom parlamentu.






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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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Scarica il volantino di presentazione dell'iniziativa (PDF 1,1Mb): https://www.cnj.it/INIZIATIVE/namoreconamore/NaMoreConAmore.pdf


Segnalazione iniziativa


nA More Con AMore


19 giugno 2013



NA MORE CON AMORE vuol dire “al mare con amore” ed infatti è estate, finalmente! E’ anche tempo di mare, di sole e di vacanze per molti.

E noi ne abbiamo pensata un’altra… Un’altra iniziativa, con questo nome, che ci piacerebbe realizzare ancora con i nostri vicini Serbi, in particolare con bambini provenienti dalla regione jugoslava del Kosovo.

Le associazioni di volontariato “Non bombe ma solo caramelle Onlus” e “CNJ- Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – Onlus” ci aiuteranno in tutto ciò, insieme ad altri, amici e conoscenti preziosi e sensibili a queste iniziative ed al loro significato più ampio.

Stiamo organizzando una settimana di ospitalità estiva (fine agosto - prima settimana di settembre), per un piccolo gruppo di 7 studenti Serbi, di età compresa tra gli 11 e i 12 anni, più un’ accompagnatrice.

I ragazzi frequentano la Scuola Primaria "Sveti Sava", una piccola realtà che conta in tutto 29 studenti dal primo all’ultimo grado. Provengono da famiglie serbe residenti nel villaggio di Jasenovik, nella municipalità di Novo Brdo nell’area del Kosovo orientale. Il villaggio conta non più di 150 abitanti che vivono spesso ai limiti della povertà, della sussistenza, della frugalità. E soprattutto scontano il disagio di un certo isolamento territoriale, istituzionale e sociale, specialmente nell’ultimo periodo, a seguito delle difficoltà dei rapporti tra il governo di Belgrado e Pristina e nella riorganizzazione amministrativa del territorio, processi seguiti e pesantemente influenzati dalla Comunità Europea.

Il soggiorno dei ragazzi è previsto nella località di mare Santa Severa (RM), dove verrà messa a disposizione gratuitamente una struttura privata, abitazione adeguata per ospitare il gruppo. Parteciperanno all’iniziativa ragazzi ritenuti anche bravi studenti, che non presentano gravi problemi di salute in termini di idoneità a sostenere il viaggio previsto ed il programma di attività, che riguarderà un soggiorno balneare e una parte di visita culturale del territorio locale e magari anche una gita su Roma, che dista circa 60 km.

Accompagnatrice del gruppo sarà l’insegnante Valentina Ristic, che abbiamo conosciuto in passato e già ospite in Italia con altri ragazzi.

L’iniziativa, finalizzata in parte alla ricreazione dei ragazzi e in parte allo scambio culturale, auspica come sempre la creazione di relazioni tra comunità italiane e serbe, la reciproca conoscenza, a beneficio e come occasione di crescita psico-fisica soprattutto per i minori coinvolti, sperando ciò possa in qualche modo contribuire alla serenità dei ragazzi e servire da stimolo per la loro vita assai dura nella realtà attuale da cui provengono.


Il costo massimo previsto per l’iniziativa è di circa 2.000 euro. Dipenderà soprattutto dalle spese di viaggio, ancora in fase organizzativa. Partiamo con un minimo di disponibilità economica pari a 670 euro.

Con l’aiuto e la partecipazione di volontari, potremo assicurare anche il vitto per il periodo a costi contenutissimi.

Abbiamo però bisogno di raccogliere ulteriori fondi e quindi, per chi può e vuole, è possibile sottoscrivere l’iniziativa utilizzando le seguenti coordinate:

CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
(IBAN:  IT 40 U 07601 03200 000088411681)
causale: na more con amore




Per qualsiasi informazione in più o chiarimenti sulle modalità di sottoscrizione:

Samantha Mengarelli, e-mail:  s a m a n t h a . m e n g a r e l l i @ g m a i l . c o m - cell. 3 2 8 6 5 4 0 1 0 6


Vi aggiorneremo sul programma e sugli sviluppi dell’iniziativa.

Grazie per l’attenzione e un caro saluto


Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus


Non Bombe ma Solo Caramelle - onlus





(sul 440.mo anniversario del sacrificio di Matija Gubec, ribelle ed eroe popolare)


Povodom 440. godišnjice (1573.-2013.) Seljačke bune Matije Gupca


GUBEC MATIJA  – vođa seljačke bune u Hrvatskoj 1573. godine, za oslobođenje seljaka od hrvatskih i mađarskih feudalnih gospodara; pobijeđen i uhvaćen, strašno mučen od zagrebačkog feudalog suda i najzad ubijen u Zagrebu 15. veljače 1573. godine.; po većini izvora i podataka povjesničara, na glavu mu je stavljena užarena željezna kruna.

Seljačka buna 1573. u Hrvatskoj izbila je kao rezultat ekonomskog-društvenog položaja seljaka u feudalizmu sa svim oblicima njegovog ekonomskog i političkog ugnjetavanja, što je bilo pojačano vanjskim momentima.

Ona je bila izraz pobune kmetova protiv nepodnošljivih uvjeta života; centar bune bila je Donja Stubica; vođa je bio Matija Gubec, stubički kmet, a pored njega Ivan Pasanac i Ivan Mogaić; njih trojica činila su neku vrstu političkog rukovodstva bune, operacijski plan bio je povjeren Iliji Gregoriću, uz koga je bio izvjestan broj seljačkih kapetana. Pobuna je izbila na imanju feudalca Tahija zahvativši Hrvatsko zagorje i jedan dio Slovenije, gdje se kao vođa slovenskih pobunjenika ističe bravar Pavao Šterc; pobunjenika je bilo oko 20 000. Buna je trajala 12 dana. Ona je uzdrmala feudalizam u Hrvatskoj i utjecala na niz seljačkih buna u toku idućih stoljeća, doprinijevši konačnom ukidanju kmetstva 1848.g. Parola „za stara prava“ pod kojom su se vodile seljačke bune, bila je borba za napredak i više forme društvenog života.

Vlasti u Hrvatskoj ignoriraju Seljačku bunu Matije Gupca i već 1990. g. skinuli su veliku sliku Seljačke bune, koja se nalazila na zidu u predvorju Hrvatskog sabora. Povodom ove 440. godišnjice nije bilo u medijima nikakve vijesti o Seljačkoj buni i Matiji Gupcu. U riječkom Novom listu nisu htjeli tiskati ovaj članak.  O seljačkoj buni i Matiji  Gupcu postoji pjesma koju se nekada pjevalo, a koju narod nije zaboravio :

Matija  Gubec

Nema junaka, nema seljaka

Kao što je bio Gubec  Matija.

Njegovom grobu nigdje traga nema,

Ali duh mu žari srca seljačka.

Davno je tome što si se dig’o

Da skršiš borbom silnika vlast.

Kukom i motikom započeta borba,

Dokončat se mora sada je čas!

I ta tvoja crvena užarena kruna

Daje nam snagu za posljednji boj.

Ustajte braćo sela i grada,

Za slobodu cijelog radnog naroda!

Učiteljica Olga Bogner, SRP-Rijeka




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14 years since end of NATO's 1999 attacks on Yugoslavia

0) LINK e VIDEO segnalati
1) 14 years since end of NATO's attacks on Serbia
2) KOSOVO: STAMPA, CANCRO UCCIDE VETERANI PER URANIO RAID NATO (maggio 2013) / NATO bombe uzrok raka (Decembar 2012.)
3) Uranio impoverito, la storia infinita (Nicole Corritore, giugno 2013)
4) 14 година од рушења моста у Варварину. Промоција књиге Од агресије до сецесије - Београд, 31. мај 2013.


=== 0: LINK e VIDEO ===


АГРЕСИЈА ИМА ИМЕ!
(Presa di posizione del Circolo Ufficiali della Serbia sulla interpretazione giuridica dei bombardamenti NATO del 1999)


СУМРАК   ЗАПАДА
Агресија НАТО на Србију 1999. године је срамни чин о коме се, како би појединци и групе желели, не сме ћутати.
(iz aprilskog broja BORCA / dal numero di aprile 2013 del periodico del SUBNOR Borba)


1999. ОТИМАЊЕ - 2013. ЛЕГАЛИЗОВАЊЕ
Живадин Јовановић - Завршна реч на Округлом столу „Од агресије до сецесије“, 23. марта 2013. године
(Intervento di chiusura alla Tavola Rotonda "Dall'aggressione alla secessione", tenuta a Belgrado il 23/3 u.s.)


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Sulle stragi commesse dalla NATO contro la popolazione civile di Serbia e Montenegro nel 1999 si veda anche tutta la documentazione raccolta alle nostre pagine dedicate:


--- VIDEO:

BOMBARDEOS DE YUGOSLAVIA

Extraordinario documental de Teresa Aranguren, hecho durante los bombardeos de la OTAN contra Yugoslavia (1999). Emitido como parte del programa "30 Minutos" de Telemadrid en mayo de 1999.

VIDEO (27:00): http://vimeo.com/61867549

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GOOD MORNING PANČEVO

E' tra le città più inquinate d'Europa. Sede di un grande distretto industriale durante la Jugoslavia socialista ha poi subito le devastanti conseguenze dei bombardamenti NATO nel 1999. Ma ora, piano, si sta rialzando. Un videoreportage
Interviste: Nicole Corritore, Davide Sighele
Riprese: Andrea Pandini
Montaggio: Davide Sighele


Sullo stesso argomento si vedano anche:

PANČEVO CITTÀ MORTA / PANČEVO MRTAV GRAD - Un film di Antonio Martino (2007)

BOMBE SULLE INDUSTRIE CHIMICHE - di Sascha Adamek
La versione italiana del film è stata curata dal Prof. A.Tarozzi insieme al Laboratorio di Sociologia Visuale dell'Università di Bologna. 
Per averne una copia o per organizzare una presentazione:  alberto.tarozzi(a)gmail.com



=== 1 ===

(source: Stop NATO e-mail list
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages )

http://www.b92.net/eng/news/society.php?yyyy=2013&mm=06&dd=10&nav_id=86564

Beta News Agency - June 10, 2013

14 years since end of NATO's attacks on Serbia

BELGRADE: Monday marks 14 years since NATO's air campaign against the former Federal Republic of Yugoslavia ended after 78 days. 
A day earlier, representatives of the Yugoslav Army (VJ) and NATO signed a military-technical agreement which detailed the withdrawal of VJ troops from Kosovo, and deployment in the province of an international, NATO-led military mission. 
After several failed diplomatic attempts, the war ended with a deal reached through the mediation of former Finnish President Martti Ahtisaari and former Russian PM Viktor Chernomyrdin. 
The western military alliance launched air strikes against Serbia on March 24, 1999, and sustained the campaign for 11 weeks, killing between 1,200 and 2,500 people. 
The attacks - which the Yugoslav authorities, but also numerous legal experts considered an aggression - started after the failed talks in Rambouillet, France, which were called to resolve the Kosovo crisis. 
Beside the loss of lives, NATO's campaign also resulted in serious damage to the country's infracture, economy, educational, health-care, and media facilities, and historical and cultural monuments.


=== 2 ===

03-MAG-13 18:59 


KOSOVO: STAMPA, CANCRO UCCIDE VETERANI PER URANIO RAID NATO


DENUNCIATI OLTRE 100 MORTI IN TRE MESI IN REGIONE LESKOVAC (ANSA) - BELGRADO, 3 MAG - L'uranio impoverito contenuto nelle bombe sganciate dalla Nato durante i raid aerei contro la Serbia della primavera 1999 e' sott'accusa per l'impennata delle morti per cancro registrata nel sud del Paese ex jugoslavo. Come riferisce oggi il quotidiano Vecernje Novosti, negli ultimi tre mesi, nella regione meridionale serba di Leskovac, non lontana dal Kosovo, sono morti piu' di cento veterani delle guerre degli anni novanta nella ex Jugoslavia, in massima parte ex combattenti del conflitto armato in Kosovo. Le vittime sono uomini di eta' fra i 37 e i 50 anni, morti al 95% di cancro. ''Non passa giorno che la nostra organizzazione non perda uno dei suoi componenti'', ha detto al giornale il presidente dell'Associazione dei veterani di guerra Dusan Nikolic. Ai primi posti fra le cause di morte, ha precisato, figurano il cancro all'intestimo, all'esofago, ai polmoni, pochi i casi di infarto. Il quotidiano belgradese cita anche le ricerche effettuate al riguardo dall'autorevole Istituto specialistico sanitario 'Batut', secondo cui nei bombardamenti Nato sulla Serbia (dal 23 marzo al 10 giugno 1999) furono lanciate 15 tonnellate di uranio impoverito, e come conseguenza di cio' sarebbero morte finora 40 mila persone. La Nato intervenne nella primavera del 1999 per indurre l'allora leader serbo Slobodan Milosevic a porre fine alla politica di repressione e di pulizia etnica nel Kosovo a maggioranza albanese. Dopo 78 giorni di pesanti bombardamenti, con migliaia di vittime e profughi e pesanti distruzioni, Milosevic accetto' di ritirare le sue truppe dal Kosovo, che fu posto sotto il controllo internazionale. Il 17 febbraio 2008 Pristina si autoproclamo' infine indipendente dalla Serbia, con un atto sostenuto dalla maggioranza dei Paesi occidentali che Belgrado rifiuta invece di riconoscere come legittimo. (ANSA). 


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(sull'aumento dei tumori legato ai bombardamenti del 1999)


NATO bombe uzrok raka


B. R. - I. M. | 11. decembar 2012. 20:56 | Komentara: 140
Porast broja obolelih od malignih bolesti doveden u vezu sa NATO bombardovanjem. Čikarić: Učestalost obolevanja od leukemije i limfoma veći za 110 odsto

DRAMATIČAN porast broja obolelih od malignih tumora u Srbiji ne može da se zaustavi! Sledeće godine od karcinoma svih vrsta samo u centralnom delu Republike, ne računajući teritoriju KiM, moglo bi da oboli čak 40.000, a da umre od 22.000 do 23.000 ljudi. To bi bilo za 3.000 više obolelih, i za 1.000 do 2.000 više umrlih nego što je, prema poslednjim podacima, zvanično evidentirano 2010.

Profesor dr Slobodan Čikarić, predsednik Društva Srbije za borbu protiv raka i koautor u utorak predstavljene knjige ”Zločin u ratu, genocid u miru”, za ovu zastrašujuću ”prognozu” optužuje radioaktivnu municiju, kojom je tokom bombardovanja 1999. godine zasuta Srbija.

- Projekcije su užasne čak i ako učestalost tzv. solidnih tumora nastavi da raste godišnje, kao i dosad, za dva odsto, a kamoli ako se, što je mnogo verovatnije, bude povećavala - kaže profesor Čikarić, za ”Novosti”. - Eksploziju malignih tumora, nažalost, tek možemo da očekujemo, zato što je radioaktivni materijal ostao na našim prostorima. Oko 15 tona osiromašenog uranijuma, kao i plutonijum bačen na Srbiju, delovalo je, deluje, i delovaće naredne četiri i po milijarde godina!

Njegove pogubne posledice po zdravlje ljudi, tvrdi profesor Čikarić, već se očitavaju i kroz statistiku o broju obolelih i umrlih od raka. Od 2001. do 2010. godine broj novih slučajeva karcinoma povećan je za 20 odsto, a smrtnost od raka za 25 odsto.

- Leukemije i limfomi, koji čine pet odsto svih tumora, u drastičnom su povećanju - upozorava prof. Čikarić. - Od 2001. do 2010. godine njihova učestalost je povećana za 110 odsto, a smrtnost od ovih bolesti čak za 118 odsto. To znači da godišnje beležimo porast obolevanja od leukemija i limfoma za 11 odsto, a porast mortaliteta za 12 odsto. Njihova ekspanzija je počela 2006. godine, znači sedam i po godina posle bombardovanja, a porast obolevanja se i dalje beleži. Do ovih podataka nismo došli napamet, već na osnovu ozbiljnog istraživanja na uzorku od 5,5 miliona stanovnika centralne Srbije.

Poklapanje porasta obolevanja, prvo od leukemija i limfoma, a kasnije i od solidnih tumora, sa latentnim periodom posle bombardovanja, za profesora Čikarića je siguran znak da se 1999. godine dogodilo nešto što je zagadilo životni prostor.


[SLIKA / GRAFIK: Maligne bolesti u Srbiji 2001.--2010.

SMRTONOSNI OTPAD DONELI U BEOGRAD

OD bombardovanja je prošlo 13 godina, a i dalje se uglavnom konstatuje da nema dokaza koji bi u vezu doveli porast obolevanja od raka i upotrebu radioaktivne municije.

- Kod nas je zračenje 8.600 bekerela po stanovniku, a toleriše se godišnja doza od 80 bekerela - upozorava prof. Čikarić. 

- To što smo jedan deo tog materijala pokupili iz Pčinjskog okruga je dobro, ali loše je to što je on preseljen u Vinču, pa smo smrtonosni otpad smestili nadomak Beograda.


OD SREBRNOG METKA UMIRE SE DUGOKAKO objašnjava Slobodan Petković, general u penziji, 49 napada, ili 44 odsto, izvršeno je posle postignutog sporazuma o okončanju agresije - poslednjih deset dana bombardovanja. 
- Čak 112 udara na 119 lokacija bilo je municijom sa osiromašenim uranijumom - navodi Petković. 
- Takozvani ”srebrni metak” sigurno donosi smrt onom koga je pogodio, a onaj ko samo udahne njegovu prašinu, umiraće dugo i biće svedok nemogućnosti da se tome suprotstavi.


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Uranio impoverito, la storia infinita


Nicole Corritore
 10 giugno 2013



Il caso "Sindrome dei Balcani" scoppia dodici anni fa. Cominciano ad ammalarsi o a morire di cancro militari italiani di ritorno dalle missioni nei Balcani. Responsabili sarebbero i bombardamenti della Nato del 1995 e 1999 su Bosnia Erzegovina, Serbia e Kosovo, con proiettili all'uranio impoverito. Cosa sta accadendo oggi in Italia e oltre Adriatico?




Nel 2001 scoppia il caso “Sindrome nei Balcani”, con l’emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo. Due paesi che erano stati bombardati dalla Nato, nel 1995 e nel 1999, con proiettili all’uranio impoverito (DU). Da allora è una battaglia: tra chi nega l’esistenza di una correlazione tra esposizione al DU e malattia, e chi sostiene il contrario con numeri di morti e malati alla mano e sentenze di condanna a carico del ministero della Difesa.
L'uranio impoverito (Depleted Uranium) deriva da materiale di scarto delle centrali nucleari e viene usato per fini bellici per il suo alto peso specifico e la sua capacità di perforazione. Quando un proiettile al DU colpisce un bunker o un carro armato, vi entra senza incontrare alcuna resistenza e alla sua esplosione ad altissima temperatura rilascia nell'ambiente nano-particelle di metalli pesanti. Ad oggi, viene confermato dalla ricerca scientifica che questi proiettili sono pericolosi sia per la radioattività emanata sia per la polvere tossica che rilasciano nell'ambiente. Una “neverending story” anche per i cittadini di Bosnia, Serbia e Kosovo: nonostante il grande battage mediatico, poco si è fatto per analizzare in maniera approfondita le conseguenze di quei bombardamenti.


Battaglia giuridica e politica

Una sentenza dello scorso 18 marzo, emessa dalla Corte dei Conti della Regione Lazio, accoglie il ricorso presentato da un militare ammalatosi di tumore, al quale il ministero della Difesa aveva rigettato la richiesta di pensione privilegiata. Il ministero della Difesa ha rifiutato la richiesta in base al parere negativo del Comitato di verifica per le cause di servizio che ha definito la malattia del militare di tipo ereditario e non dipendente dal servizio svolto nei Balcani. Dalla sentenza della Corte laziale emergono invece due fatti: la diagnosi del Comitato è errata e la malattia è correlata alle condizioni ambientali in cui è stato prestato il servizio in Kosovo.
Il Caporal Maggiore dell’esercito italiano, recita il testo della sentenza, “(...) aveva soggiornato presso la base militare italiana vicino a Peć/Peja e aveva svolto attività di piantonamento (...), in ambiente esterno sottoposto a intemperie e devastato dai bombardamenti; (...), aveva svolto altri servizi tra cui quello di pulizia della zona antistante la caserma, sistemazione dei magazzini, scorta al personale civile, servizi di pattugliamento consistenti in perlustrazione del territorio con mezzi militari”. Al rientro dal Kosovo il militare viene ricoverato a Milano, poi messo in congedo illimitato e ricoverato in altro centro clinico: gli viene riscontrata una linfadenopatia in diverse parti del corpo e un adenocarcinoma intestinale.
Diverse perizie medico legali nominate nella sentenza, attestano che nei tessuti neoplasici del militare sono state trovate molte nano-particelle “estranee al tessuto biologico, che quindi testimoniano un’esposizione a contaminazione ambientale”. Tra le numerose sentenze vinte dall'avvocato Tartaglia, legale dell'Osservatorio Militare, questa è la prima che mette in correlazione la malattia ai pasti consumati nelle cucine delle mense sottoufficiali.
“Dagli atti risulta che tutti gli alimenti distribuiti alla mensa e allo spaccio della base ove prestava servizio il ricorrente, compresa l’acqua utilizzata sia per l’alimentazione sia per l’igiene personale, erano oggetto di approvvigionamento in loco, e che era stato consentito ai militari di acquistare autonomamente carne macellata e verdure coltivate in loco” e dunque “quei luoghi dichiaratamente inquinati da DU e dalle sue micro polveri sono da porsi in rapporto etiologico con l’insorgenza della neoplasia”. Un dato certo è che la zona del Kosovo posta sotto protezione del contingente italiano è quella che nel 1999 fu più bombardata (fonte Nato/Kfor ): 50 siti per un totale di 17.237 proiettili.
“Sono 307 i militari morti e oltre 3.700 i malati, per quanto riguarda i dati di cui siamo in possesso” ha dichiarato Domenico Leggiero - portavoce dell’Osservatorio Militare - a Osservatorio Balcani e Caucaso (Obc), raccontando di tutti i recenti sforzi per ottenere risposte dalle rappresentanze politiche ai diversi problemi irrisolti. Il 9 maggio, Leggiero ha incontrato un gruppo di  deputati e senatori del Movimento 5 Stelle e il 3 giugno è stato il turno dell’incontro della delegazione formata da Leggiero, familiari di militari deceduti e militari ammalati con Domenico Rossi, indicato da Scelta Civica quale parlamentare di riferimento per la questione uranio impoverito. Incontri importanti, dice Leggiero: “Perché per la prima volta abbiamo avuto incontri ufficiali con forze politiche che hanno deciso di affrontare a fondo la questione e proposto una strategia per chiarire definitivamente il nesso tra le malattie e il DU, oltre a lavorare su normative apposite per sostenere i malati dal punto di vista dell'assistenza sanitaria ed economica”.
L'intento degli incontri è anche risollevare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla "Sindrome dei Balcani" che, secondo i dati dell’Osservatorio, continua a mietere vittime. Per questo, lo scorso 5 giugno, davanti a Montecitorio, hanno manifestato quasi duecento persone tra militari ed ex-militari ammalati, familiari e rappresentanti di associazioni. Racconta Leggiero a Obc: “Un pomeriggio intenso. Abbiamo proiettato video del Pentagono, fatto conoscere al pubblico le sentenze e distribuito documenti sul tema DU, resi pubblici in tutto il mondo eccetto che in Italia". Aggiunge inoltre che non hanno ancora ottenuto l'incontro richiesto con la presidente della Camera, Laura Boldrini, e non hanno ottenuto risposta da PD, Pdl e Fratelli d'Italia. Ma Scelta Civica e Movimento 5 Stelle hanno assicurato che si terrà presto una seduta ad hoc in Commissione difesa. Presenti Ildeputato Domenico Rossi che ha ribadito il forte impegno personale e di Scelta Civica "per sciogliere i nodi fondamentali di questa vicenda", ma anche il deputato Matteo Dell'Osso del M5S, membro della Commissione affari sociali che ha incontrato alcune vittime del DU o loro familiari .
Concludeva in maniera netta il testo del comunicato stampa dell'iniziativa: “I loro diritti sono affidati alla magistratura e sono 17 le sentenze di condanna per l’amministrazione della Difesa in vari ordini di giudizio. Tar, tribunali civili, corte dei conti di varie zone d’Italia indicano l’uranio come colpevole delle malattie dei militari e condannano l’amministrazione perché sapeva ed aveva taciuto i pericoli”. I militari, ma anche civili che hanno operato nei Balcani, si sono rivolti agli avvocati per non aver ottenuto dallo stato il riconoscimento della causa di servizio e gli indennizzi per i quali era stato istituito un fondo di 30 milioni di euro con la legge finanziaria del 2008. Come emerge dalla relazione finale della terza Commissione d'inchiesta sul DU, approvata lo scorso 9 gennaio, ad oggi sono pochissime le domande prese in esame e accolte.


DU che appare e scompare

Hadžići, località a 27 km da Sarajevo, è uno dei siti bosniaci maggiormente bombardati dalla Nato con proiettili al DU nell'estate del 1995. Con la fine della guerra, circa 5.000 abitanti, tutti serbo-bosniaci, sfollano nella cittadina di Bratunac che gli accordi di pace di Dayton attribuiscono alla Republika Srpska, una delle due entità della Bosnia Erzegovina.
Agli inizi degli anni duemila la primaria dell’ospedale di Bratunac, Slavica Jovanović, aveva rilevato un allarmante numero di morti per tumore tra i cittadini provenienti da Hadžići. “Era stata inascoltata, aveva denunciato che in città i morti per tumore tra gli sfollati di Hadžići erano quattro volte superiore al resto della popolazione” ha dichiarato lo scorso 31 marzo, all'agenzia tedescaDeutsche Welle, Jelina Đurković. La Đurković, che nel 2005 presiedeva la Commissione di indagine governativa della Bosnia Erzegovina sulle conseguenze dei proiettili al DU, sottolinea infine che nel rapporto della Commissione erano stati inseriti i dati sulle conseguenze del DU e il dettaglio delle azioni da perseguire per risolvere alla radice il problema, ma nulla è stato messo in atto.
Riguardo agli sfollati di Hadžići è intervenuto sulla Deutsche Welle anche il vicesindaco di Bratunac: “Sono circa 800 i morti per tumore, in base ai dati che abbiamo ricevuto dalle autorità ospedaliere ed ecclesiastiche dove viene registrata la causa del decesso”. Di diverso avviso Irena Jokić, a capo del Servizio di medicina sociale dell’Istituto sanitario della Federazione della Bosnia Erzegovina, intervistata da Dnevni List lo scorso 19 aprile: “Nel 2008 abbiamo analizzato i dati sanitari degli abitanti di Hadžići per valutare se vi era un aumento di malattie neoplasiche. Non abbiamo rilevato un aumento significativo rispetto alla media nazionale”. La Jokić dichiara inoltre che l’analisi è stata ripetuta nel 2010 ed è emerso un aumento medio in linea con i due anni passati, che era stato dello 0.5% nel 2008 e 0.1% nel 2009. Conclude che non è possibile asserire con certezza il nesso tra affezioni tumorali ed esposizione all’inquinamento provocato dai proiettili al DU ma - aggiunge - che se con la fine della guerra si fossero avviate ricerche scientifiche ed epidemiologiche accurate, oggi avremmo la risposta alla domanda.
Sempre rispetto a Hadžići, durante recenti operazioni di sminamento sono stati ritrovati proiettili al DU nei pressi di una delle fabbriche dell'area pesantemente bombardata nel 1995. La notizia è stata data dal quotidiano bosniaco Dnevni Avaz il 18 maggio. E’ stato richiesto l’immediato intervento dell’Agenzia nazionale per la sicurezza radioattiva e nucleare (DARNS - Državna regulatorna agencija za radijacijsku i nuklearnu sigurnost), il cui direttore Emir Dizdarević ha dichiarato: “I nostri ispettori sono intervenuti subito sul luogo e dopo aver verificato con le apparecchiature l’esistenza dei proiettili hanno dato agli sminatori tutte le istruzioni su come raccoglierli, poi li abbiamo stoccati”.
Anche Bećo Pehlivanović, professore ordinario di Fisica dell’Università di Bihać, ha parlato del problema del territorio contaminato. Sulle pagine del Dnevni Avaz dello scorso 27 maggio ha dichiarato: “Purtroppo non è mai stata fatta un’analisi accurata, perché mancano i fondi e le necessarie attrezzature”. Pehlivanović ha inoltre aggiunto che sono stati ritrovati di recente resti al DU in territori non inclusi nelle liste Nato: “Abbiamo indizi che il territorio sia contaminato anche nella regione della Krajina bosniaca, vicino alla città di Ključ”. Un problema che oltretutto si trascinerà nel tempo: "I resti di queste munizioni al DU sono tossici e con un’emivita, cioè tempo di dimezzamento, di circa 4.5 miliardi di anni” ha concluso.


Montagne di scorie e tumori in aumento

Anche in Serbia il tema degli alti quantitativi di scorie raccolte negli interventi di bonifica dei terreni bombardati dalla Nato nel 1999, è stato al centro dell'attenzione dei media di quest'anno. Oltre a questo, sono emerse denunce delle associazioni di ex-militari dell’esercito serbo che si trovavano nei pressi dei siti bombardati, di alti numeri di mortalità tra i reduci. Mentre alcuni media, come il quotidiano Politika, continuano ad offrire notizie sull'andamento dei procedimenti giudiziari avviati dai militari italiani.
Il 29 marzo sul media online Srbija Media viene pubblicata la lista delle località bombardate nel 1999 e poi bonificate, rese note dal generale in pensione e specialista in difesa da attacchi atomico-biologico-chimici, Slobodan Petković. “Erano zone pericolose per l’eco-sistema e per le persone, così nei primi cinque anni dopo il bombardamento è stata fatta la decontaminazione di cinque zone: a nord di Vranje, a sud e sudovest di Bujanovac, a Bratoselce e Reljan entrambi nella zona della città di Preševo”.
La mappatura dei luoghi contaminati era stata fatta, subito dopo il conflitto, dall'esercito serbo in collaborazione con altre istituzioni del paese, come l’Istituto di scienze nucleari Vinča di Belgrado. Il direttore dell’ente nazionale di stoccaggio JP Nuklearni objekti, Jagoš Raičević, spiega i motivi: “Considerata la pericolosità, si doveva iniziare subito la bonifica. Ma all’inizio la Nato ci mandò delle mappe, non so se per volontà o meno, sbagliate. Alcuni dei siti da loro segnalati non erano stati toccati dai bombardamenti, mentre abbiamo trovato proiettili al DU in luoghi che non risultavano nella lista della Nato”.
Il generale Slobodan Petković racconta che quei territori sono stati ripuliti, i resti di proiettili radioattivi sono stati stoccati e le decine di tonnellate di terra contaminata sotterrate in luoghi posti sotto sorveglianza. Un “cimitero” di DU che allarma: “I resti dei proiettili sono stati inseriti in sacchi di plastica e container appositi, poi messi nel deposito di materiale radioattivo dell’Istituto Vinča”. Esattamente nei sotterranei del palazzo numero 4 a soli 12 chilometri da Belgrado. Risale solo alla fine del 2011 lo spostamento delle scorie in luogo più sicuro, quando è stato aperto nelle vicinanze un deposito costruito in base a standard europei, definito dal media serbo Radio B92 il più grande deposito di materiale radioattivo d’Europa. Slobodan Čikarić - presidente dell’Associazione nazionale contro il cancro - conclude allarmato, sulle pagine di SMedia: “E’ materiale che ha bisogno di miliardi di anni per divenire inerte. In caso di terremoto, alluvione o incendio di grandi proporzioni... siamo a poca distanza dalla capitale, abitata da due milioni di abitanti!”.
Ad aprile l’attenzione dei media viene attratta anche da altri due aspetti: il dato nazionale sui malati di tumore e l’alto numero di reduci dell’esercito che, secondo alcune associazioni, si sarebbero ammalati a causa dell’esposizione al DU. Il quotidiano serbo Blic del 14 aprile ha aperto con i dati dell’Istituto per la Salute pubblica Batut : nell’ultimo decennio i malati di leucemia e linfoma sono aumentati del 110 per cento, mentre il numero dei morti per le stesse affezioni è salito del 180%. Sullo stesso giornale è intervenuto Slobodan Čikarić, presidente dell’Associazione nazionale contro il cancro: “Abbiamo analizzato l’andamento dei tumori maligni nel paese tra il 2010 e il 2011. Oltre al dato denunciato dall’Istituto Batut, posso aggiungere che c’è stato un aumento di tumori solidi del 20%”. E prevede un aumento nel prossimo anno: “Perché il tempo di latenza delle affezioni cancerogene solide da uranio impoverito è di 15 anni, mentre è di 8 anni per le leucemie e i linfomi. Infatti, questi ultimi hanno avuto un picco nel 2006”.
Il 2 maggio, il quotidiano Večernje Novosti apre con il titolo “L’uranio della Nato uccide i veterani”. La denuncia è di Dušan Nikolić, presidente dell'associazione degli ex-militari della città di Leskovac: ”Solo negli ultimi tre mesi, nella nostra municipalità sono morti più di cento reduci della guerra. Si tratta per lo più di militari che hanno operato in Kosovo, di un’età che va dai 37 ai 50 anni. Il 95% è morto di cancro”. Nikolić spiega che ha scoperto i dati grazie alle denunce dei familiari degli ex-militari deceduti, i quali si sono rivolti all’associazione per cercare di ottenere il riconoscimento della causa di servizio. Saša Grgov, primario di medicina interna del Servizio sanitario della città, aggiunge: “E’ possibile, considerato che il numero di tumori in città è in crescita. Sebbene il Servizio sanitario non stia facendo un monitoraggio specifico sulla categoria dei reduci che hanno operato in zone contaminate da DU”.
Secondo Predrag Ivanović, presidente dell’Unione delle vittime militari di guerra, la situazione dei reduci di Leskovac è stata pompata per interessi interni all'associazione che li rappresenta. Sebbene dichiari, per il quotidiano Vesti del 4 maggio, che il problema esiste: “Anche le nostre informazioni indicano che è in crescita il numero dei malati di cancro tra coloro che hanno partecipato al conflitto. Ma purtroppo non abbiamo un numero nazionale esatto, perché ancora oggi nessuno sta facendo una specifica raccolta dei dati“.
In sintesi, dall'Italia ai Balcani, un panorama di cui non si vede ancora l'orizzonte. Né per i militari italiani - e le centinaia di civili volontari delle organizzazioni umanitarie - né per i cittadini di Bosnia Erzegovina, Serbia e Kosovo.

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea

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Per approfondire 

Guarda la videoanimazione sul DU realizzata dall'ICBUW - International Coalition to Ban Uranium Weapons

Sui risultati della cosiddetta Commissione Mandelli, la prima incaricata dal ministro della Difesa di far luce sui tumori che hanno colpito i soldati italiani nei Balcani, leggi l'articolo "Sindrome dei Balcani: terza relazione Mandelli "

Sulle tre Commissioni parlamentari di indagine sull'uranio impoverito, vai alla pagina dedicata sul sito del Senato

Guarda il servizio tv su "Il Fatto quotidiano" sulla manifestazione del 5 giugno a Roma

Vai alla sezione "Uranio impoverito" di Osservatorio Balcani e Caucaso


=== 4 ===


14 година од рушења моста у Варварину

Београд, 31. мај 2013.


АГРЕСИЈА НАТО ЗЛОЧИН ПРОТИВ МИРА И ЧОВЕЧНОСТИ


Промоција књиге Од агресије до сецесије

У Дому културе у Варваринуодржана је промоција књиге Београдског форума за свет равноправних „Од агресије до сецесије“. Говорили су Професор Зоран Миленковић, председник општине Варварин, Живадин Јовановић, председник Београдског форума за свет равнорпавних, Проф. др Радован Радиновић, генерал у пензији, Сандра Давидовић и Ненад Узелац, чланови Управног одбора Београдског форума. Повод је 14 година од 30. маја 1999. године када су авиони НАТО пакта у два наврата бомбардовали мост преко Велике Мораве код Варварина којом приликом је убијено десеторо, а рањено више десетина грађана. Међу жртавама је била и Сања Миленковић, ученица Математичке гимназије у Београду, победница у многим националним и међународним такмичењима из математике.


Свештеници у публици

У излагањима учесника је истакнуто да је оружани напад НАТО пакта на Србију (СРЈ) 1999. године представљао агресију на суверену и независну европску државу, јер је седамдесетосмодневни напад извршен кршењем основних принципа међународног права и међународних односа, без сагласности Савета безбедности УН, који је једини орган надлежан да одобрава употребу силе у међународним односима. Говорници су истакли да агресија НАТО, људске жртве, економска разарања и загађење природне околине коришћењем муниције са осиромашеним уранијумом, представљају злочин против мира и човечности и да никада не смеју да се забораве. Они су такође нагласили да нема никаквог оправдања да се одговорност тадашњих влада и лидера земаља чланица НАТО за тај злочин умањује или да се повлађује покушајима њиховог амнестирања.

Током промоције, на интересовање присутних, гости из Београда су говорили и о напорима српског расејања да се обнови рад Фонда за стипендирање талената из математике и техничких наука који носи име по младој математичарки Сањи Миленковић, погинулој на мосту приликом његовог бомбардовања 1999. године.
На место старог моста, порушеног 30. маја 1999. године, саграђен је нови, знатно шири мост, у чију су изградњу Срби који живе и раде у Швајцарској, уложили 1,7 милиона швајцарских франака. На варваринској страни моста истовремено је саграђен с�

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HEROJI NERETVE I SUTJESKE SE NE ZABORAVLJAJU

Navršilo se 70 godina od završetka herojskih bitaka na Neretvi (januar-mart 1943. god.) i Sutjesci (15. maj – 15. jun 1943. god.), 70 godina od sloma Četvrte i Pete neprijateljske ofanzive koju su fašistički okupatori zajedno sa svojim domaćim slugama – ustašama i četnicima vodili protiv partizanskih jedinica.


Ove slavne partizanske epopeje odigrale su se u najsudbonosnijoj godini rata protiv fašizma koji je vođen u Evropi i bile su herojski i neodvojivi deo ratnih napora antifašitičke koalicije. Na sovjetsko-nemačkom i na afričkom frontu armije Nemačke i Italije pretrpele su teške poraze kod Staljingrada i El Alemejna. U Zapadnoj Africi (Alžir i Maroko) iskrcale su se sveže i dobro opremljene američke i britanske armije. Postalo je jasno da anti-fašistička koalicija preuzima punu inicijativu i da je potpuni slom fašizma na pomolu.

Bitke na Neretvi i Sutjesci postale su herojski simbol zbog izuzetnog požrtvovanja, hrabrosti i moralne čvrstine u najtežim iskušenjima. Iskustva koja su stečena u ovim sudbonosnim bitkama u toku narodno-oslobodilačkog rata bila su od izuzetnog značaja. Uprkos ogromnim ljudskim gubicima partizana ove pobede su ojačale moralno partizanske jedinice koje su poput feniksa iz vatre i dima bitaka izašle sa još jačom verom u pobedu stalno jačajući i oslobađajući nove teritorije porobljene zemlje.

Sa gledišta ratne prakse, treba istaći da su bitke na Neretvi i Sutjesci bile bitke u kojima su se trupe iz operativnog okruženja uspele probiti sopstvenim snagama, bez ikakve neposredne pomoći spolja, i naneti poraz neprijatelju. One su bez sumnje, najznačajnije i najpresudnije u našem narodnooslobodilačkom ratu i revoluciji. Cilj neprijatelja bio je da likvidira narodnooslobodilački pokret i uništi Narodnooslobodilačku vojsku Jugoslavije. U tom velikom i odlučujućem polilitičko-strategijskom neprijateljskom poduhvatu učestvuju, zajedno sa okupatorskim nemačko-italijanskim snagama: glavne snage domaćih izdajnika — četnika, ustaša i domobrana — svi pod operativnom komandom nemačko-italijanskih štabova. To je prvi put od početka narodnooslobodilačkog rata da se u jednoj takvoj velikoj i otvorenoj bici nađu zajedno sa okupatorskim trupama udružene glavne snage kontrarevolucije da bi ostvarile zajednički političko-strategijski cilj: uništenje glavne Narodnooslobodilačke vojske. Zahvaljujući nadčovečanskom herojstvu i veri u pobedu nije se ostvarila želja neprijatelja. Pobeda je pripala mladoj revolucionarnoj narodnoj vojsci koja se već od tada, kao značajan faktor opšte savezničke strategije, sve više ističe na balkanskoj ratnoj pozornici. Tada Narodnooslobodilačka vojska i Nova Jugoslavija ulaze u red priznatih i poznatih faktora antihitlerovske koalicije.

Posle bitaka na Neretvi i Sutjesci kao rezultat velikih i istorijskih pobeda, u konkretnoj međunarodnoj ratnoj situaciji došlo je do Drugog zasedanja AVNOJ-a — na kome su udareni temelji nove narodne socijalističke države — bratske zajednice svih jugoslovenskih naroda. Prema svemu tome, pobede u ovim bitkama predstavlja ne samo najblistavije moralno-političko i vojničko ostvarenje, već i najpresudniju i najsudbonosniju političko-ratnu prekretnicu posle koje se (nakon Drugog zasedanja AVNOJ-a) mogao jasno i određeno sagledati krajnji ratno-revolucionarni cilj: nacionalno i socijalno oslobođenje naših naroda. Zato će ove pobede večno ostati naša gordost i naša slava. Mnogi tragični i herojski momenti iz te borbe danas su malo poznati. Kontrarevolucionarni procesi na prostoru SFRJ doveli su do gaženja i bacanja u zaborav svega što je imalo veze sa narodno-oslobodilačkom borbom i socijalističkom revolucijom naroda Jugoslavije. U manjoj ili većoj meri sve vlasti republika bivše SFRJ odnose se ignoranstki i podcenjivački prema slavnoj NOB.

Upravo mlade generacije treba da se napajaju vrlinama mladića i devojaka koji su se gladni, slabo odeveni i do smrti iznureni borili i umirali herojskom smrću, sa verom da svojom borbom i žrtvom doprinose lepšem i srećnijem životu novih generacija. Mlade generacije treba da slede primer herojskih partizana, da gaje one ideale za koje su pale stotine hiljada boraca Narodnooslobodilačke borbe, da produže upornu borbu za ostvarenje socijalizma.

Sekretarijat NKPJ,

Beograd,

15.06.2013


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СУТЈЕСКА  ВЕЧНО  ХУЧИ

У котлини Тјентишта уоквиреног Зеленгором и Волујком и осталим зимзеленим планинама на чијим стазама је исписана и историја ослободилачке борбе у којој је створена славна и уважавана држава, поред легендарне Сутјеске и на каменом платоу где се издижу гранитне громаде симбола страдања и победе храбрих партизана, одржан је импозантан народни скуп у част седме деценије титанске битке.

Свечаност су организовали СУБНОР и Влада Републике Српске, а међу цењеним гостима налазила се и делегација СУБНОР-а Србије.

Меморијални комплекс на Сутјесци, на простору изузетно раскошне природе, грађен је у негдашњој Југославији годинама у знак сећања на драматичне битке током Пете непријатељске офанзиве у Другом светском рату.


УДРУЖЕНИ  ФАШИСТИ  СВИХ  БОЈА

У јуну 1943. удружене немачке и италијанске и бугарске беспрекорно увежбане и наоружане трупе, уз готово патолошко садејство четника Драже Михаиловића, усташа и муслиманске милиције, хтеле се да униште главнину Народноослободилачке војске која се, заједно са Врховним штабом и командантом Титом, кретала према истоку после успеха у Четвртој непријатељској офанзиви и пробоја на Неретви.

Немци и њихови савезници имали су 127 хиљада војника, а дејстовала је и авијација, осам артиљеријских пукова и безброј тенкова. Хитлеров Вермахт је одвојио 67.000 солдата, Италијан Мусолини 43.000, Бугари 2.000. У редовима квислинга налазило се око 15.000 активних јуришника.

Огромна бескомпромисна сила навалила је на Сутјеску. Циљ је био да се уништи 19.700 партизанских бораца који су бранили и преко четири хиљаде рањеника и тешко оболелих од тифуса. Задатак фашистичких јуришника био је и да уништи Врховни штаб, који је заједно са својим борцима и командатном Титом учествовао у биткама и пробоју.


ТИТО  СА  СВОЈИМ  ПАРТИЗАНИМА

У Другом светском рату друг Тито је био једини који је у савезничкој коалицији против фашиста са челне позиције учествовао у борбеним редовима и чак том приликом, на планини изнад Сутјеске, задобио од непријатеља теже ране.

Јединице наше ослободилачке народне војске водиле су у обручу Сутјеске у јуну 1943. најтежу, по оцени зналаца, најжешћу борбу у току Другог светског рата. Извојевана је, обруч пробијен, вишеструко надмоћнији непријатељ онемогућен, али је и 7.356 јуначких бораца дало живот на олтар слободе и у корист потлаченог окупираног народа који ће позније добити и своју државу.

У част хероја и сада бљешти на Тјентишту истим сјајем бели монумент. Одолева деценијском протоку и реваншистичкој руци и идеолошкој и историјској одмазди. Гигантску победу партизана чува и народ, достојно и баш онако како прогресивни свет, који се дигао у годинама Другог светског рата против немачке солдатеске, цени улогу и допринос партизанског јединог и неприкосновеног антифашистичког покрета.

Врхови око Сутјеске су и овог 14. јуна одзвањали од речи и песме захвалног народа, хук се ширио у част титана који су сачували част, име и слободу непокореног народа.

О славном времену, али и о завету за будућност говорили су и председник СУБНОР-а Републике Српске Благоје Гајић и министар у Влади Републике Српске Петар Ђокић.


ОБАСЈАН  ПУТ  У  БУДУЋНОСТ

А председник СУБНОР-а Србије, проф.др Миодраг Зечевић, поздравио је борце из негдашње Југославије и бурно прихваћен нагласио, поред осталог, да се у нашој средини, у Србији, јубилеји Сутјеске и Неретве са пијететом прослављени:

”Дошли смо на Тјентиште да се заједно поклонимо величанственом подвигу партизана којима су сабијеним у непријатељском гротлу, пре седам деценија, остали нада и вера у победу. Одважност, спремност, јасни циљеви осветлили су пут коме су стремили и остали светионик за многе будуће генерације”.

На споменик херојима Сутјеске положени су венци и цвеће. Вијориле су заставе, ратне и оне док је још постојала поштована Југославија, црвене, са петокраком звездом, многи учесници скупа носили су слике маршала Тита.

На Тјентиште је донета и импозантна застава СУБНОР-а Србије. Под њом су били чланови организације, поштоваоци и пријатељи, потомци партизана. Али и активни борци, припадници храбрих јединица народне ослобидилачке војске из окршаја на Сутјесци.

Проф.др Миодраг Зечевић је на споменик положио ловоров венац, на црвеној ленти је написано: ХЕРОЈИМА СУТЈЕСКЕ – СУБНОР СРБИЈЕ.

У делегацији са председником Зечевићем били су и чланови Председништва Душан Чукић и Пуниша Јовановић.

Борачка организација Србије је достојанствено и ове године обележила  велику епопеју – више десетина наших чланова из Крагујевца, Београда, Аранђеловца, Пријепоља и других места учествовало је у свечаностима на Тјентишту.

Чланови СУБНОР-а Србије посетили су и гроб народног хероја команданта Саве Ковачевића, положили су цвеће на споменик у Фочи и обишли музеј у том граду на Дрини.


ВРЕМЕ  ПРАВА  И  ЗАКОНА

Током 1942. Фоча је 110 дана била слободна територија и то време је у историји обележено као Фочански период народноослободилачке борбе.

У веома занимљивом, у сваком смислу, градићу онда је боравио и друг Тито са Врховним штабом. У музеју су изложени документи који на упечатљив начин доказују на који начин су припрамани услови за функционисање будуће народне државе.

У Фочи су донети нормативи за правно и законско деловање, а можда је за данашње време посебно занимљиво (нарочито за оне који неће или не знају на научно прихватљив и тачан начин да тумаче историју) како су партизански експерти те 1942. формулисали поједине обавезе.

Једна одредба је, рецимо, овако гласила:

”Народноослободилачки одбори нису и не смеју бити органи појединих политичких странака и организација. Они се бирају демократским путем. У њих треба да уђу, без обзира на своја политичка уверења, веру или храброст, сви они честити родољуби који су примером и на делу показали да су добри синови свог народа, да никад неће издати отаџбину…”.

Музеј у Фочи је и даље место које мора да упозорава и усмерава. У то су се уверили, ових јунских дана 2013, посетиоци из наше садашње државе, чланови СУБНОР-а Србије.

У Устипрачи, где се наш караван кратко зауставио, уприличена је мала свечаност. Инжењеру Благоју Церовићу из Рудог је председник СУБНОР-а Србије, проф.др Миодраг Зечевић, уручио признање ”Велико хвала” за делатност и унапређење и неговање традиције. Церовић је и члан руководства секције Прве пролетерске бригаде.


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A CONFRONTO


Inizio messaggio inoltrato:

Da: "sitoti@libero  .it"
Data: 14 giugno 2013 11:44:39 CEST
Oggetto: I: gent.dott Sergio Romano
Rispondi a: "sitoti@..." <sitoti@...>



Inviata stamane al dottor Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera.

Precetto dal vangelo secondo Matteo:

Non giudicate, per non essere giudicati. Perchè con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurerete sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: "Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio", mentre nel tuo occhio c'è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. 



Gent. Dottor Sergio Romano, 

se non fosse per il titolo (Iran, un regime e il voto manipolato IL TERMOMETRO DI TEHERAN), leggendo il suo fondo sul Corriere della Sera del 14 giugno verrebbe spontaneo pensare che si stia parlando dell'Italia. 

Per accorgersene, basta sostituire i personaggi iraniani citati con i loro corrispondenti  italiani. Ad esempio il leader supremo Alì Khamenei con l'ayatollah Giorgio Napolitano, il Consiglio dei Guardiani con le cosiddette "parti sociali", Confindustria e i sindacati di regime CGILCISLUIL. 

"Nella fase che precede il voto esistono pur sempre comizi, incontri televisivi, candidati che si contrappongono, programmi elettorali che lasciano trasparire diverse linee politiche ed economiche, dichiarazioni di notabili che esprimono pubblicamente le loro preferenze … Tutti ragionano e agiscono come se le elezioni fossero libere e il loro risultato potesse avere grande importanza per il modo in cui il Paese sarà governato nei prossimi anni".  Di chi si sta parlando se non dell'Italia, del PDL e del PDMENOELLE con i loro piccoli satelliti?  PDL e PDMENOELLE si addossano reciprocamente tutte le responsabilità per la grave situazione economica in cui versano le classi meno abbienti di questo nostro paese, fanno finta di proteggere il loro elettorato di riferimento (IMU per il centrodestra, esodati per il centrosinistra)  e promettono di andare a battere i pugni sul tavolo della Troika, salvo inginocchiarsi sempre ai voleri del maggiordomo Monti , del cameriere Letta e del loro datore di lavoro di riferimento, il club Bilderberg.

Tutti costoro sanno benissimo che l'Italia è ormai un paese economicamente in caduta libera e quindi tentano solo più di evitare che la piazza insorga. Tutti i provvedimenti presi vanno in questa direzione: l'inasprimento delle pene per chi tenta di contrastare gli interessi delle varie mafie di centrodestra e centrosinistra come quella del TAV; leggi tampone per il lavoro giovanile perché è chiaro che una rivolta la possono mettere in piazza solo giovani arrabbiati e non i vecchi pensionati come il sottoscritto; un sistema elettorale sempre più blindato che eviti di far entrare nelle istituzioni movimenti non coinvolgibili nel sistema.

Se infine si entrasse nel merito mettendo a confronto i problemi economici e democratici che affliggono i due paesi, penso che l'Italia ne uscirebbe con le ossa rotte.

Potrebbe anche succedere che questa lettera sia pubblicata dal Corriere della Sera per dimostrare la totale infondatezza delle mie affermazioni, in particolare quella dell'Italia ormai paese largamente post-democratico. Non credo che succederà, ma non si sa mai, le vie della propaganda di regime sono infinite. 

Cordiali saluti.

Cesare Allara

Torino, 14 giugno 2013