Informazione


(Sulla disputa linguistica nell'area serbocroata si vedano anche i documenti e i video alla nostra pagina dedicata:



Sul serbo-croato, sulle traduzioni e su altre cose ancora

July 22nd, 2012balkanrock



Nel corso degli anni mi è capitato di fare il traduttore, collaborando occasionalmente con delle agenzie. Si trattava per lo più di documenti di vario genere, manuali o lettere commerciali. Tornava utile per tappare i buchi o per tenersi occupati quando si è senza lavoro, anche se i soldi guadagnati erano sempre pochi. Era più stimolante quando lo facevo volontariamente come ad esempio per la trasmissione Ostavka! di Radio Onda d’Urto condotta da Michelangelo Severgnini tra 1999 e 2001 o facendo da interpretere ad Aleksandar Zograf  quando venne a presentare una sua raccolta di fumetti a Milano sempre in quegli anni. Alcune esperienze erano anche deprimenti come quando feci da interprete in un tribunale durante il processo per direttissima a due rom accusati di tentato furto. Furono condannati ad alcuni mesi di carcere senza aver rubato nulla. Sotto banco uno dei due mi fece passare un biglietto con il numero di telefono di qualche parente in Germania e una scheda telefonica. Al primo tentativo non gli riuscì perché una guardia se ne accorse, ma al secondo a udienza finita quando tutti si alzarono finalmente me lo passò. Telefonai subito dopo e mi sentì un po’ riscattato per aver collaborato con un processo che trovavo imbarazzante. Ultimamente, considerate le difficoltà economiche mi sono messo di nuovo a mandare i curriculum alle agenzie di traduzione e qualcuna ha risposto. Una di queste, Easy Languages, per una sorta di selezione chiedeva un articolo sulle lingue e sul mestiere del traduttore, per essere ammessi al team dei collaboratori. Ho scritto sull’annosa questione che riguarda una lingua che tutti parlano nelle quattro delle sei repubbliche ex jugoslave, ma nessuno riconosce, cioè il serbo-croato.

 

Serbo-croato, quando una lingua diventa scomoda

Quando sono nato, nel 1977, in Jugoslavia si parlava il serbo-croato, la lingua considerata ufficiale e tre lingue utilizzate nelle singole repubbliche federali: sloveno, macedone e albanese. A queste si possono aggiungere le minoranze linguistiche parlate nelle zone di confine come l’ungherese, l’italiano, il valacco, e le lingue parlate dalle comunità rom e goranci. Naturalmente non mancavano i dialetti locali, molto meno numerosi che in Italia ma con  differenze altrettanto marcate, che nel corso del novecento sono stati uniformati e sostituiti dalle parlate regionali che si differenziavano per lo più per l’accento e il gergo. La situazione linguistica può apparire complicata ma in fin dei conti non ha mai rappresentato un problema, anche perché la maggioranza della popolazione parlava appunto il serbo-croato. la lingua “unificante”,  mentre le altre lingue avevano comunque i loro spazi nell’ambito scolastico, mediatico ed editoriale. Successivamente all’ascesa delle correnti politiche egemoniche o disgregazioniste è venuta a mancare questa peculiare pluralità e intercomprensibilità linguistica.

Semmai è oggi che regna la confusione  dato che il serbo-croato, parlato in Serbia, Croazia, Bosnia e Montenegro è stato diviso in serbo, croato, bosniaco e montenegrino, senza un valido fondamento linguistico-filologico ma principalmente su base politica. Quindi nell’area della ex Jugoslavia le lingue si sarebbero raddoppiate anche se un abitante di Podgorica può andare a Sarajevo ed instaurare una conversazione di qualsiasi tipo incontrando tutt’al più qualche decina di termini diversi, comunque conosciuti non solo a coloro che sono nati prima degli anni Ottanta. Lo stesso accade se un abitante di Zagabria va a Belgrado, dove al massimo troverà qualche difficoltà se si reca nei quartieri periferici dove si parla un particolare slang formatosi negli ultimi decenni, ma sono le stesse difficoltà che potrebbe trovare un milanese a zonzo per le borgate di Roma. Dunque oggi si può incorrere nel paradosso di dover tradurre un testo dal serbo al montenegrino, che sono tra l’altro le due varianti più vicine di serbo-croato considerando i fattori storici e culturali che hanno intrecciato le vicende dei due paesi. Infatti l’ultima separazione riguarda proprio queste due repubbliche, per fortuna avvenuta senza esiti  tragici e sanguinolenti come quelli che hanno caratterizzato la guerra civile degli anni novanta, ma comunque con ripercussioni abbastanza pesanti a livello politico e di conseguenza anche sociale ed economico, creando parecchi problemi ai cittadini comuni, abituati a viaggiare, condurre i propri affari, intrattenere rapporti familiari e di amicizia, trovandosi all’improvviso di fronte ai nuovi confini e ostacoli burocratici. Alla luce di questa situazione, come accennavo, vediamo emergere delle speculazioni nell’ambito linguistico. Per fare un esempio banale ma significativo, se guardiamo le etichette di un prodotto qualsiasi, ci tocca leggere gli ingredienti in quattro lingue diverse dove le differenze spesso non esistono o comunque sono minime. Nel maldestro tentativo di sottolineare le diversità si usano dei sinonimi o semplicemente si cambia una preposizione. Per chiunque e in particolare per un traduttore di professione può risultare un po’ scandaloso il fatto che qualcuno venga pagato per fingere di tradurre.

Senza essere dei filologi, ma servendosi solo del buon senso, possiamo, se non concludere che si tratta della stessa identica lingua, avere quanto meno dei fortissimi dubbi che la si possa smembrare in base ai nuovi confini politico-amministrativi. Eppure oggi, il serbo-croato non è più nemmeno oggetto di discussione, si finge che non esista anche se i tentativi di trasformarlo in neo-lingue accentuandone le differenze e puntando alla sovrapproduzione dei neologismi a volte ridicoli, non stanno avendo il successo sperato. Una lingua segue il proprio corso e si adatta alle esigenze umane di natura più pratica ed è ovviamente molto più longeva di una corrente politica che la vorrebbe viva o morta.



(srpskohrvatski / italiano)


=== srpskohrvatski ===


Manipulacija, balvanizacija, integracija?

NOVOSTI, Broj 655
Datum objave: 08.07.2012. Piše: Ranko Milosavljević

Drama preostalih Srba na Kosovu ulazi u završnicu. Nekoliko decenija politički vrh iz Beograda koristio je međuetničke sukobe u ovoj pokrajini za unutrašnju upotrebu. Kosovom su se bavili bukvalno svi. Na rečima. Rezultati su bili sve gori i gori. Konačno, Kumanovskim sporazumom Milošević je Srbima čestitao pobedu nad NATO-om, a Kosovo je stavljeno pod protektorat Ujedinjenih nacija. Pre dve godine, albanska većina je proglasila nezavisnost Kosova. Srbija je to smatrala kršenjem Rezolucije 1244. Stavljanje “svete srpske zemlje” u preambulu Ustava Srbije ništa nije značilo albanskoj većini, kao što nije sprečilo SAD i ogromnu većinu članica EU-a da priznaju nezavisnost Kosova.

Čak i prema izveštajima međunarodnih organizacija, stanje na Kosovu tokom mandata Ujedinjenih nacija nije se bitno popravilo. Srbima je i dalje onemogućeno slobodno kretanje, ugrožen im je goli život. Oteta imovina, u najboljem slučaju, mogla je da se preko stranih posrednika proda, za bagatelu. Nekadašnje društvene firme privatizovane su odlukom Kosovske poverilačke agencije, prema kriterijumima koje osporava Beograd; u bescenje su prodate fabrike u koje je Srbija decenijama ulagala, pomažući razvoj “nerazvijenog Kosova”. Tipičan primer je kragujevačka Zastava, koja je ostala bez Zastave Ramiz Sadiku u Peći, pošto ju je na aukciji kupio bivši liferant oružja Oslobodilačkoj vojsci Kosova (OVK). Pobednici se uvek naplaćuju!

“Maksimalno od mogućeg”

Prošlogodišnji nemiri Srba na severu Kosova zbog odluke Prištine da na graničnim prelazima (srpska strana uvek govori “administrativnim”) Jarinje (prema Leposaviću) i Brnjak (prema Novom Pazaru) postavi kosovsku carinu i policiju, uslovili su teške pregovore između Beograda i Prištine. Svaka strana dala je svoju verziju dogovora, a svoje je viđenje imao i Robert Kuper, evropski izaslanik u pregovorima timova koje su predvodili Borislav Stefanović i Edita Tahiri.

Prema onome što je saopštavala srpska strana, postignuto je “maksimalno od mogućeg”. Priština je pristala da na dva od 31 prelaza, koliko ima Kosovo, neće stajati kosovski carinici nego međunarodni predstavnici, uz prisustvo policije EULEKS-a, koji je preuzeo ovlašćenja UNMIK-a (civilne administracije Ujedinjenih nacija, ustanovljene 1999). Doduše, na ta dva prelaza nije moguć protok komercijalne robe, nego se kamioni iz Srbije koji ulaze na Kosovo usmeravaju na prelaz Merdare kod Podujeva ili na neki od preostalih 29 graničnih prelaza. Srbi sa severa Kosova na ovu su, kako su ocenili, izolaciju prištinskih vlasti i KFOR-a odgovorili probijanjem šumskih puteva prema centralnoj Srbiji. Dok ovaj tekst ide u štampu, u toku su nemiri na granici između Zubinog Potoka i Novog Pazara, jer je KFOR razrušio i postavio betonske zapreke preko puta kod sela Banje, kojim su lokalni Srbi (ali i brojni šverceri) zaobilazili granični prelaz u Brnjaku. Nekoliko dana pre nego što će italijanski pripadnici KFOR-a blokirati taj divlji prelaz, za sada još nepoznati počinici (svi ukazuju na lokalne Srbe) bacili su dve ručne granate na pripadnike KFOR na prelazu Brnjak, kada je lakše povređen jedan vojnik iz KFOR-ova kontingenta.

Od prvog juna, na osnovu dogovora Beograda i Prištine, kosovska policija počela je da oduzima automobilske tablice sa oznakama kosovskih gradova, koje izdaje MUP Srbije u nekoliko policijskih stanica u centralnoj Srbiji; ukazivanje da mogu da imaju samo tablice RKS-a (Republike Kosovo) ili stare tablice KS-a, koje su važile dok su na Kosovu bile privremene institucije i nadležnost UNMIK-a nad policijom, izazvalo je novo uznemirenje među Srbima.

- Mi smo se više od deset godina borili protiv registracija KS, koje su značile priznavanje suvereniteta Kosova, a sada nam Beograd nameće baš takve tablice – poručivalo se sa više protestnih skupova.

- Sporazum koji smo postigli je manjkav, ali je jedino moguć – odgovara Stefanović na optužbe da je beogradski tim izdao interese Srba na Kosovu i da u sporazumu postoje tajni sporazumi, čiji se delovi otkrivaju ovih dana.

- Sve što smo dogovorili dostavili smo Narodnoj skupštini. Problem sprovođenja sporazuma o slobodi kretanja na severu Kosova je u realnom stanju na terenu, gde živi srpska većina – kaže.

Ivica Dačić, lider Socijalističke partije Srbije (SPS) i ključni čovek u formiranju nove vlade, ovih dana bez uvijanja govori da pregovarači treba da kažu šta su još obaveze Beograda prema Brislu; naglašava da se od Beograda traži da u Prištini otvori kancelariju za saradnju sa kosovskom Vladom, kao i da to učini Priština u Beogradu.

- Otvaranje kancelarije nije uopšte bilo na dnevnom redu pregovora – kategoričan je Stefanović.

Lokalni izbori

Dok traje nadmudrivanje ključnih političkih aktera, zanetih kalkulacijama oko sakupljanja parlamentarne većine, iz Brisla stiže vest da je novoizabrani predsednik Srbije Tomislav Nikolić evropskim zvaničnicima izjavio da je spreman na razgovor sa svima iz Prištine osim sa Hašimom Tačijem, predsednikom Vlade koga srpsko tužilaštvo tereti za ratne zločine. Jelko Kacin, evropski izvestilac za Srbiju, u toj izjavi optimistički vidi spremnost srpskog predsednika da razgovara sa Atifetom Jahjaga, predsednicom Kosova.

Najveći nemir među Srbima na severu Kosova izazvala je nedvosmislena poruka Vlade Srbije, pred majske izbore, da ne podržava održavanje lokalnih izbora. Kosovska Vlada saglasila se, doduše posle pritiska međunarodnih faktora, da se republički izbori za predsednika Srbije i Narodnu skupštinu održe i na Kosovu, u organizaciji OEBS-a i uz nadgledanje EULEKS-a, ali uz uslov da se glasovi prebrojavaju van teritorije Kosova. Rukovodstva opština Zvečan i Zubin Potok, međutim, organizovala su lokalne izbore i tokom juna konstituisali opštinske organe, pravdajući to željom i pravom srpske većine, koja se prošle godine izjasnila protiv kosovskih institucija.

Doduše, srpski lokalni lideri, suočeni sa sve jačim pritiskom Prištine, sukobima sa međunarodnim predstavnicima i sve slabijom podrškom Beograda, naročito posle prošlogodišnjeg zahteva Angele Merkel Borisu Tadiću, tadašnjem srpskom predsedniku, da Beograd mora neodložno da prekine finansiranje “paralelnih srpskih institucija na Kosovu”, daju pomirljive izjave.

- Nastavićemo da sarađujemo sa UNMIK-om, OEBS-om, KFOR-om i EULEKS-om, ukoliko budu poštovali Rezoluciju 1244 Saveta bezbednosti UN-a i ukoliko budu statusno neutralni – kaže Dragiša Milović, predsednik Opštine Zvečan. – Održavanjem lokalnih izbora samo su ispoštovani Ustav, Zakon o lokalnoj samoupravi i volja građana.

Sa druge strane, lider Samoopredeljenja Albin Kurti okrivljuje “nesposobnu Vladu Kosova” da je “prodala interese albanskog naroda”. Kurti smatra da kabinet Hašima Tačija, kao i oni pre njega, vode politiku koji se ukapa u “kolonijalistički koncept” međunarodnih faktora, koji Kosovo žele da drže u stanju ni rata ni mira, kao siromašnu regiju, čijoj (albanskoj) većini ne dozvoljavaju da ima suverenitet na celoj teritoriji.

Suočen sa kritikama opozicije, ali i sa neusaglašenim izjavama svog ministra unutrašnjih poslova Bajrama Redžepija (“Na svakom graničnom prelazu biće kosovska policija”), premijer Kosova Tači poručuje da se Kosovo ne odriče suvereniteta, optužuje Beograd za destabilizaciju kroz finansiranje “paralelnih institucija”, u kojima vidi glavnog uzročnika krize.

- U dogovoru sa međunarodnom zajednicom, nećemo vući ishitrene poteze, a probleme ćemo rešavati strpljivo, uz puno uverenje da se ne odričemo celovitosti Kosova – kaže Tači.

Situacija je napeta

Srbi sa severa Kosova ovih su dana uputili pismo komandantu KFOR-a, generalu Erhardu Drevsu i šefu Misije EULEKS-a Gzavijeu de Marnjaku, u kome ih optužuju da su prekršili međunarodne standarde i ljudska prava. Podsećaju na obavezu poštovanja statusne neutralnosti. Kršenjem ljudskih prava smatraju nepoštovanje činjenice da Srbi sa severa Kosova ne priznaju kosovske institucije; smatraju da priznavanje kosovskih institucija vodi u asimilaciju i prinudnu integraciju ovog dela Kosova sa srpskom većinom. Srbi od EULEKS-a i KFOR-a traže da obezbede mir i sigurnost za sve građane Kosova i Metohije, “bez obzira na versku i nacionalnu pripadnost”, da se uzdrže od “jednostranih poteza, stvaranja dodatnih pritisaka i tenzija” te da probleme rešavaju mirnim putem i političkim sredstvima.

Radenko Nedeljković, načelnik Kosovskomitrovačkog okruga, ističe da u KFOR-u i EULEKS-u srpski narod na Kosovu vidi svoje partnere.

- Ali, ne možemo da prihvatimo da srpsku zajednicu stavljaju u geto, da nam KFOR zatvara puteve – dodaje Nedeljković.

Da će kosovsko leto biti vrelo, a jesen puna neizvesnosti, svedoči i Oliver Ivanović, državni sekretar u Ministarstvu za Kosovo i Metohiju, koji predviđa još “sporadičnih incidenata”.

- Dijalogom držimo pod kontrolom situaciju koja je napeta i može svakog momenta da eskalira i da se pretvori u nekakav incident, što nikome nije u interesu – kaže Ivanović.

Dok se javnosti serviraju manje ili više pesimistička predviđanja budućnosti severnog Kosova, prištinski zvaničnici ističu da je oko 37.000 Srba uzelo nove, kosovske lične karte i da je za 55 radnih mesta u novoj kancelariji u Kosovskoj Mitrovici, koja će obavljati poslove opštine, konkurisalo preko hiljadu mladih, među kojima je više od 70 posto iz srpske zajednice.

Srba kao na prvom turskom popisu 1455.

Crnohumorno zvuči da je današnji broj Srba na Kosovu gotovo ravan onome iz prvog turskog popisa 1455: precizni osmalijski popisivači zabeležili su na teritoriji današnjeg Kosova i Metohije 480 naseljenih mesta sa 13.057 srpskih domova, 75 vlaških, 17 bugarskih, jednim grčkim i 46 arbanaških (oko procenat stanovništva). Godine 1871. bilo je 64 procenta Srba i 32 odsto Albanaca, 1899. Albanaca je 48, a Srba 44 procenta. Prema popisu iz 1921. na Kosovu je živelo 439.000 stanovnika, od kojih je bilo 280.000 Albanaca (64 procenta), a prema onome iz 1931. bilo je 562.000 stanovnika (62 procenta su Albanci). Posle Drugog svetskog rata, Srba je svake decenije manje za sedam do osam procenata. Poslednji popis koji Albanci nisu bojkotovali, iz 1981, pokazao je da na Kosovu živi 1.956.196 stanovnika, od toga 1.596.072 Albanaca (81,6 procenata) i 214.555 Srba (11 procenata).

Popis iz aprila 2011. iznenadio je mnoge “procenitelje” demografskog buma, posebno one koji su govorili da u Prištini živi “čak 600.000 stanovnika”; registrovano je 1.733.872 stanovnika ili oko 700.000 manje od procena. Srbi su popis bojkotovali, pa Priština, koja je 1981. imala oko 250.000 stanovnika, ima 198.000 stanovnika. Doduše, u međuvremenu su se od nje odvojili Kosovo Polje i Gračanica, ali se 1999. iselilo i više od 40.000 Srba. Danas u Prištini živi samo 40 Srba!

Na Kosovu sada živi oko 130.000 Srba: u četiri opštine na severu (deo Kosovske Mitrovice, Zvečan, Zubin Potok i Leposavić) 60.000 (uključujući i one izbegle iz gradova i sela južno od Ibra i iz predela Metohije). U Kosovskom pomoravlju (Novo Brdo, Gnjilane, Kosovska Kamenica i Kosovska Vitina) u 73 naselja živi 35.000 Srba. U predelu oko Prištine živi oko 20.000 Srba, u Štrpcu 11.000, a u nekoliko enklava u Metohiji 4.000. U opštinama Kačanik, Mališevo, Dečane, Glogovac, Suva Reka i Štimlje ne živi nijedan Srbin ili Srpkinja! U Đakovici žive četiri srpske starice, Prizrenu 28, Peći 25, Klini 50, Uroševcu četiri, a u južnom delu Kosovske Mitrovice samo jedan (!) stanovnik srpske nacionalnosti.

Iako su i međunarodna zajednica i prištinske institucije obećavali da će pospešiti povratak izbeglih Srba, efekti su zanemarljivi. Broj iseljenih sa Kosova premašuje 220.000 Srba. Pred ovim podacima šuplje zvuči svaka priča o naporima koji se čine da Kosovo bude “multietnička sredina ravnopravnih građana koji, poštujući visoke standarde tolerancije, streme ka zajedničkom domu, Evropskoj uniji”.



=== italiano ===

Manipolazione, ostruzionismo, integrazione?

pubblicato da: Novosti – Samostalni srpski tjednik

http://www.novossti.com/2012/07/manipulacija-balvanizacija-integracija/

Numero 655

Data di pubblicazione 08/07/2012. Giornalista: Ranko Milosavljevic

 

 

 

Il dramma dei serbi rimasti nel Kosovo sta volgendo al termine. Per decenni la classe politica a Belgrado ha strumentalizzato gli scontri etnici di questa regione per i propri scopi e per il Kosovo si sono impegnati un po' tutti. A parole si intende, visto che nella realtà la situazione è andata via via peggiorando. Alla fine, con l'accordo di Kumanovo, l'ex presidente Slobodan Milosevic si è congratulato con i serbi per la loro vittoria sulla Nato e il Kosovo è rimasto sotto protettorato delle Nazioni Unite finché due anni fa la maggioranza albanese ne ha proclamata l'indipendenza del Kosovo. Un fatto considerato dalla Serbia una violazione della risoluzione 1244. Il fatto che l'espressione ”Terra santa serba” fosse stata inserita nel preambolo della Costituzione della Serbia, non ha avuto alcun significato per la maggioranza albanese, né ha potuto impedire agli Usa e a gran parte dei paesi dell'Unione Europea di riconoscere l'indipendenza del Kosovo.

 

Perfino secondo i rapporti delle organizzazioni internazionali, la situazione in Kosovo durante il mandato dell'Onu non è sostanzialmente migliorata. Ai serbi è ancora impedito di circolare liberamente e le loro vite sono costantemente minacciate. Nella migliore delle ipotesi i loro beni personali vengono venduti attraverso intermediari stranieri a prezzi stracciati. Inoltre le ex imprese sociali sono state privatizzate per decisione dell'Agenzia kosovara dei creditori (“Kosovo Trust Agency“ Kta) secondo criteri che Belgrado contesta;  le fabbriche in cui la Serbia ha investito per decenni per aiutare lo sviluppo del “Kosovo sottosviluppato”, sono state vendute a prezzi irrisori. L’esempio tipico è la Zastava di Kragujevac, privata della sua società “Zastava Ramiz Sadiku” a Pec, comprata all'asta dall'ex fornitore di armi dell'Esercito di liberazione del Kosovo (KLA). I vincitori si fanno pagare per le loro vittorie!

 

“Il massimo possibile”

 

Le agitazioni dei serbi lo scorso anno nel Kosovo settentrionale provocate dalla decisione delle autorità locali di stabilire dogane kosovare ai valichi di frontiera (la parte serba la definisce sempre  “amministrativa”) di Jarinje e Brnjak, avevano condizionato i difficili negoziati tra Belgrado e Pristina. Ognuna delle due parti ha dato la sua versione del trattato siglato, mentre ancora diversa era la visione di Robert Cooper, rappresentante UE al tavolo delle trattative dei team guidati da Borislav Stefanovic e Edita Tahiri.

 

Secondo quanto riportato sul fronte serbo, è stato raggiunto ”il massimo possibile”. Pristina ha accettato che in due dei 31 valichi  in Kosovo, non saranno messi funzionari kosovari, ma rappresentanti internazionali, in presenza della polizia Eulex che ha preso il posto dell'Unmik (amministrazione civile dell'Onu dal 1999). A dire il vero, su questi due valichi non è possibile il flusso di merci, quindi i camion che arrivano in Kosovo dalla Serbia, deviano al valico di Merdare vicino Podujevo, o verso uno degli altri 29 valichi. I Serbi del Kosovo settentrionale a questo arroccamento da parte delle autorità di Pristina e della Kfor, hanno risposto aprendosi le strade boschive verso la Serbia centrale. Mentre questo articolo va in stampa, sono in corso scontri al confine tra Zubin Potok e Novi Pazar, dopo che la Kfor ha distrutto e posizionato barriere di cemento lungo la strada nei pressi del villaggio di Banja, che i serbi locali e molti contrabbandieri utilizzano per oltrepassare il confine a Brnjak. Qualche giorno fa prima che il contingente italiano della Kfor interrompesse questo passaggio incontrollato, certe persone ancora non identificate, hanno lanciato due bombe a mano contro la Kfor a Brnjak ferendo un soldato.

 

Dal 1 giugno, in base a un accordo tra Belgrado e Pristina, in Kosovo la polizia ha iniziato a confiscare le targhe automobilistiche riportanti i nomi delle località in Kosovo, rilasciate dal Ministero dell'interno serbo in diversi commissariati di polizia nella Serbia centrale. Infatti, secondo la nuova normativa, sono ammesse solo targhe della Repubblica del Kosovo KSA, oppure le vecchie targhe kosovare KS in vigore fino a che sono rimaste in piedi le istituzioni provvisorie e l'autorità della Unmik sulla polizia. Un fatto che ha scatenato nuove preoccupazioni tra i serbi.

 

- Per più di dieci anni ci siamo battuti contro le immatricolazioni KS che significavano il riconoscimento ufficiale delle autorità kosovare, ovvero contro il riconoscimento della sovranità del Kosovo. Ora Belgrado ci impone proprio queste targhe - questo il messaggio delle varie proteste.

 

- L'accordo che abbiamo raggiunto è imperfetto, ma è l'unico possibile, ha risposto Stefanovic di fronte all'accusa di tradimento degli interessi dei serbi del Kosovo da parte del team belgradese, e dell'esistenza di clausole segrete, alcune delle quali stanno venendo alla luce in questi giorni.

 

- Tutto ciò che abbiamo sottoscritto lo abbiamo trasmesso al parlamento serbo. Il problema dell'attuazione degli accordi sulla libera circolazione nel Kosovo settentrionale, dipende dalla situazione effettiva in loco dove la maggioranza degli abitanti è serba, ha aggiunto.

 

Ivica Dacic, capo del Partito socialista serbo (Sps) e personaggio chiave della nuova compagine governativa, ha detto recentemente senza mezzi termini che chi ha partecipato ai negoziati, deve esporre apertamente quali siano gli obblighi di Belgrado nei confronti di Bruxelles, sottolineando che a Belgrado si chiede di  aprire una sua rappresentanza a Pristina e di collaborare con il governo del Kosovo, e che a Pristina si chiede di fare lo stesso.

 

- Tuttavia, secondo Stefanovic, l’apertura dell’ufficio non è mai stata all'ordine del giorno.

 

Elezioni locali

 

Mentre è in corso la farsa di astuzia dei principali attori politici, impegnati nei loro calcoli sulla creazione di una maggioranza parlamentare per il nuovo governo serbo, da Bruxelles arriva la notizia che il neo-eletto presidente serbo Tomislav Nikolic si è dichiarato pronto al dialogo con tutte le forze politiche di Pristina, tranne che con Hashim Taci, presidente del governo locale accusato di crimini di guerra dalla magistratura serba. Jelko Kacin, relatore europeo per la Serbia, nella dichiarazione di Nikolic, ottimisticamente scorge la volontà del presidente di parlare con Atifet Jahjaga, presidente del Kosovo.

 

La principale preoccupazione tra i serbi del Kosovo settentrionale è stata provocata dal chiaro messaggio del Governo della Serbia, di non dare il sostegno per l’organizzazione delle elezioni locali in Kosovo. Il governo kosovaro ha accettato, anche se a seguito di pressioni internazionali, che anche in Kosovo si potessero svolgere le elezioni presidenziali e parlamentari per il governo serbo. Organizzate dall'Osce e monitorate da Eulex, e a condizione che lo spoglio delle schede avvenisse in Kosovo. Le giunte comunali di Zvecan e Zubin Potok, intanto hanno organizzato le elezioni locali e a giugno hanno messo in piedi le autorità comunali, giustificando la mossa con il desiderio e il diritto della maggioranza serba locale, che lo scorso anno aveva votato contro le istituzioni kosovare.

 

Nondimeno i politici serbi locali hanno rilasciato dichiarazioni concilianti, messi alle strette dalle pressioni di Pristina, dai conflitti con la comunità internazionale e dal calo di sostegno per Belgrado, soprattutto dopo la richiesta dell'anno scorso di Angela Merkel all'ex presidente Boris Tadic di interrompere il finanziamento di ”istituzioni serbe parallele in Kosovo”.

 

- Continueremo a collaborare con Unmik, Osce, Kfor ed Eulex se rispetteranno la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e se saranno neutrali, ha detto Dragisa Milovic, sindaco di Zvecan. - Le elezioni locali rappresentano esclusivamente il rispetto per la Costituzione,la legge sull'autonomia locale e la volontà dei cittadini.

 

D'altra parte il capo del partito Autodeterminazione Albin Kurti, accusa il “governo incompetente del Kosovo” di aver “venduto gli interessi del popolo albanese”. Secondo lui, gli uomini di Hashim Taci, come chi li ha preceduti, adottano una linea politica pervasa dal “concetto colonialista” dei fattori internazionali, che vogliono tenere il Kosovo in uno stato di né pace né guerra, come una regione povera in cui alla maggioranza (albanese) non permettono di avere sovranità sul suo intero territorio.

 

Di fronte alle critiche dell'opposizione e dopo le dichiarazioni ambigue del suo ministro degli interni Bajram Rexhepi (“a ogni valico di frontiera ci sarà la polizia kosovara“), il primo ministro Taci ha detto che il Kosovo non rinuncerà alla sovranità, accusando Belgrado di destabilizzare il nuovo stato attraverso il finanziamento di ”istituzioni parallele”, per lui la principale causa della crisi.

 

- Nelle consultazioni con la comunità internazionale, non condurremo mosse avventate e risolveremo i problemi con la pazienza, nella piena determinazione a non cedere sull'integrità del Kosovo, ha detto.

 

Situazione tesa

 

In questi giorni i serbi del Kosovo settentrionale hanno inviato una lettera al comandante della Kfor, il generale Erhard Drevsu e al capo della missione Eulex Xavier de Marnhac, accusandoli di aver violato le leggi internazionali e i diritti umani e ricordando l'obbligo di rispettare lo status di forze neutrali. Tra le violazioni dei diritti umani annoverano la mancanza di considerazione per la posizione dei serbi del Kosovo settentrionale, che non riconoscono le istituzioni kosovare dal momento che riconoscerle, porterebbe all'assimilazione forzata di questa parte del Kosovo a maggioranza serba. I serbi chiedono a Eulex e Kfor di garantire la pace e la sicurezza di tutti gli abitanti del Kosovo e Metohija “a prescindere dall'appartenenza etnica o religiosa”, di astenersi da “azioni unilaterali che aggravano l’attuale pressione e tensione” e di risolvere i problemi con mezzi pacifici e politici.

 

Radenko Nedeljkovic, capo della municipalità di Kosovska Mitrovica, ha dichiarato che il popolo serbo considera Kfor ed Eulex suoi alleati.

 

- Ma non possiamo accettare che la comunità serba sia ghettizzata, che la Kfor ci blocchi le strade -  ha aggiunto.

 

L'estate in Kosovo sarà calda e l'autunno pieno di incertezze, osserva Oliver Ivanovic, Segretario di Stato nel Ministero per il Kosovo e Metohija, e prevede ancora incidenti sporadici.

 

- Teniamo la situazione sotto controllo con il dialogo, una situazione che di per sé è tesa e può degenerare in ogni momento trasformandosi in un incidente, il che non è nell'interesse di nessuno -  ha precisato.

 

Mentre all'opinione pubblica si formulano previsioni più o meno pessimistiche sul futuro del Kosovo settentrionale, i funzionari di Pristina fanno notare che circa 37.000 serbi hanno ottenuto nuove carte di identità kosovare, e che per l'assegnazione di 55 posti nel nuovo ufficio di Kosovska Mitrovica che avrà la funzione di giunta comunale, hanno partecipato più di mille giovani di cui più del 70% appartiene alla comunità serba.

 

 

Il numero dei serbi come nel primo censimento turco del 1455

 

Suona come umorismo nero che oggi il numero dei serbi in Kosovo, sia quasi uguale a quella del primo censimento turco 1455: i precisi registratori ottomani nel territorio del Kosovo e Metohija, avevano registrato 480 insediamenti con 13.057 case serbe, 75 dei vlasi, 17 dei bulgari, una grecs e 46 abitazioni degli albanesi (circa 1 percento della popolazione). Nel 1871 c’era 64 percento dei serbi e il 32 percento degli albanesi. N nel 1899, 48% degli albanesi e  44% dei serbi. Secondo il censimento del 1921, in Kosovo vivevano 439.000 abitanti, di cui 280.000 erano albanesi (64 percento) e secondo quello del 1931. ci sono stati 562.000 abitanti (62 percento degli albanesi). Dopo la seconda guerra mondiale, ogni dieci anni o meno, si registrava  7-8 percento in meno dei serbi. L'ultimo censimento che gli albanesi non avevano boicottato, quello del 1981, ha dimostrato che in Kosovo vivevano 1.956.196 abitanti, di cui 1.596.072 albanesi (81,6 percento) e 214.555 serbi (11 percento).

 

Il censimento dell’aprile 2011. ha sorpreso molti “stimatori” del boom demografico, in particolare quelli che dicevano che a Pristina, "vivono perfino 600.000 persone"; il censimento ha registrate 1.733.872 abitanti, ovvero circa 700.000 meno di stima. I serbi hanno boicottato il censimento. Pristina che nel 1981 contava circa 250.000 abitanti, ne aveva 198.000. Tuttavia, nel frattempo, dal comune di Pristina si erano separati i municipi di Gracanica e Kosovo Polje, ma nel 1999 da Pristina se ne sono andati più di 40.000 serbi. Oggi a Pristina vivono soltanto 40 serbi!

 

In Kosovo oggi vivono circa 130.000 serbi: in quattro comuni del nord (parte di Kosovska Mitrovica, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic) 60.000 (compresi quelli che sono fuggiti dalla città e villaggi a sud del fiume Ibar e dalle parti di Metohija). Nel Kosovsko Pomoravlje (Novo Brdo, Gnjilane, Kosovska Vitina e Kamenica) in 73 villaggi vivono 35.000 serbi. Nella zona di Pristina vivono circa 20.000 serbi: in Strpce 11.000, e in alcuni enclave in Metohija, loro 4000. Nei comuni di Kacanik, Malisevo, Decani, Glogovac, Suva Reka e Stimlje non c’è nessun serbo o serba! In Djakovica vivono quattro anziane donne serbe, a Prizren 28, a Pec 25, a Klina 50, a Urosevac quattro, mentre nella parte meridionale di Kosovska Mitrovica, un solo (!) abitante di nazionalità serba.

 

Sebbene la comunità internazionale e le istituzioni di Pristina promettessero di favorire il ritorno dei profughi serbi, gli effetti ne sono trascurabili. Il numero di rifugiati provenienti dal Kosovo supera i 220.000 serbi. Prima di questi dati, suona vuota ogni storia circa gli sforzi in corso per rendere il Kosovo un "ambiente multietnico di cittadini eguali, che  osservando elevati standard di tolleranza, si adoperano per la casa comune, l'Unione europea".


(segnalazione di Andrea D., traduzione di Carlotta C., revisione di Dragomir K. per CNJ-onlus)




Escalation militare italiana in Afghanistan: ma chi ne parla?


16 Luglio 2012

di Fausto Sorini, segreteria nazionale, responsabile esteri PdCI

“Dunque la guerra non va in vacanza, nemmeno per gli italiani – scrive Tommaso Di Francesco sul Manifesto di domenica 15 luglio. Ora è ufficiale: i nostri quattro cacciabombardieri Amx del 51esimo stormo dispiegati a Herat stanno bombardando a tappeto il nemico talebano”. 

La conferma ufficiale dell'escalation militare italiana in Afghanistan viene dalle dichiarazioni del generale Luigi Chiapperini, comandante del nostro contingente.

“Chi ha autorizzato l’entrata nella guerra aerea dell’Italia in Afghanistan? È stato il governo «tecnico», sostenuto da Pdl, Udc e Pd. E in particolare il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, il ministro che più tecnico non si può: è ammiraglio ed è stato comandante delle forze Nato. Lo stesso che in questi giorni muove lobby militar-industriali e schieramenti politici connessi per ottenere l’approvazione di ben 90 cacciabombardieri F-35, che ci costeranno 10 miliardi, nella finanziaria rivisitata dalla spending review, che taglia spese sociali, welfare e pensioni. Altro che conflitto d’interessi. È stato lui il 28 gennaio scorso, nel silenzio generale, a informare la Commissione difesa del parlamento della decisione di usare sul campo afghano «ogni possibilità degli assetti presenti in teatro, senza limitazione» armando gli Amx che fino a quel momento volavano senza bombe”.

Così dal 27 giugno i tremila soldati italiani impegnati a terra sono supportati dal cielo anche dagli Amx con armamento micidiale e sistemi sofisticati di precisione.

Ancora una volta è chiaro che l’Italia è in guerra, ma chi ne parla? Il Parlamento tace, non una sola voce critica si è levata. E all'Ammiraglio Di Paola è riuscito oggi, nel silenzio-assenso pressochè generale, quello che ieri non era riuscito al ministro Ignazio La Russa: che nel novembre del 2010 aveva proposto di armare gli aerei italiani in Afganistan, suscitando – all'epoca – una levata di scudi generale. Adesso nulla.

“I pantani di guerra in corso e quelli nuovi che si annunciano – scrive ancora De Francesco - aiutano le leadership occidentali a sostenere il «percorso di guerra» – parola di Monti – dentro la crisi del capitalismo globale, del loro modello di sviluppo. Perché sostengono la spesa militare e le caste collegate, stabiliscono gerarchie e irrobustiscono alleanze militari come la Nato, rendendole l’unico vero strumento attivo, criminale e «democratico», di intervento nella realtà”. 

Ora dal conflitto afghano tutti dichiarano di voler uscire (mentre si prepara la guerra alla Siria..), ma intanto l’obiettivo immediato delle forze NATO, Italia compresa, resta quello di vincere militarmente sul campo. Qualcuno dica che è ora di farla finita, qualcuno prenda la parola per le migliaia di civili straziati dalle bombe dei raid aerei ora anche «nostri».

Il PdCI denuncia l'escalation del coinvolgimento militare italiano nella guerra afghana, chiede il ritiro delle nostre truppe, invita tutte le forze di pace e fedeli al dettato costituzionale, dentro e fuori il Parlamento, a fare la loro parte e a non rendersi complici di questa ennesima barbarie ad utilizzare le risorse risparmiate per fronteggiare i problemi sociali più acuti, provocati dalla crisi capitalistica e da una politica governativa e dell'Unione europea che scarica il peso della crisi sulle spalle dei ceti popolari.




CON IL CUORE ERAVAMO TUTTI LI'


16 LUGLIO 2012

Egitto, Clinton contestata al grido di ''Monica, Monica''

Contestata ad Alessandria d'Egitto da manifestanti egiziani, il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, è stata accolta al grido di "Monica, Monica", con evidente allusione alla "stagista" Monica Lewinsky, e da un lancio di pomodori e scarpe sull'auto che la trasportava. La Clinton era stata contestata dagli attivisti anche al Cairo, che accusano gli Usa di "ingerenza" negli affari interni egiziani e di aver sostenuto i Fratelli musulmani




(english / italiano)

Chi fomenta i neonazisti in Europa

1) Neo-Nazi murders in Germany: What role did the intelligence agencies play?
2) Cosa c’è dietro le dimissioni di Heinz Fromm, capo dei servizi segreti tedeschi


=== 1 ===


Neo-Nazi murders in Germany: What role did the intelligence agencies play?


By Dietmar Henning 
16 July 2012


Every passing day brings new revelations confirming that the murder rampage carried out by the neo-Nazi organization “National Socialist underground” (NSU) would have been impossible without the active support of the German secret services.

The three members of the NSU, Uwe Mundlos, Uwe Böhnhardt and Beate Zschäpe, went underground in 1998 and were able to live undisturbed in East Germany until November last year. Between 2000 and 2007 they killed nine foreign workers and a police officer, carried out three bomb attacks and raided 14 banks—apparently under the noses of, or with the assistance of, the various federal and state secret service agencies.

The question is increasingly more sharply posed: What political and organizational role was played by the intelligence community, especially the Thuringia State Office for the Protection of the Constitution (LfV), as the state secret service is called?

This issue was notably not raised at the parliamentary committee of inquiry held in the East German state of Thuringia earlier this week. The inquiry heard testimony from several key figures, including the former Thuringia LfV president Helmut Roewer, but the conclusion drawn by the media and in political circles was merely that “chaos reigned” (Süddeutsche Zeitung).

In fact, what appeared as chaotic and eccentric behaviour by intelligence agents had a definite political content. Under Roewer’s presidency from 1994 to 2000, the LfV made available considerable sums of money to assist the organization of the neo-Nazi scene and the NSU in the state.

Nobody at the enquiry the question was posed how it was possible for Roewer, a former army tank commander, to take over the Thuringia LfV in 1994. At the enquiry, Roewer even claimed he had received his certificate of appointment from a stranger in a bar when he was drunk.

The state of Thuringia had been governed since 1992 by a coalition of social democrats and conservatives led by Bernhard Vogel (Christian Democratic Union, CDU). Previously, Vogel had been the long-time premier of the West German state of Rhineland-Palatinate. His interior minister was initially Franz Schuster (CDU), followed by Richard Dewes (Social Democratic Party, SPD) towards the end of 1994.

Roewer came as an undersecretary from the Interior Ministry run by Manfred Kanther (CDU). Kanther had grown up in Thuringia, and in 1957 fled to Hesse in West Germany. He was associated with the right wing of the CDU. In the state of Hesse, the CDU has traditionally distinguished itself by its anti-communism and extreme right-wing positions.

Roewer, who at the time was a member of the free-market Free Democratic Party (FDP), writes today for the extreme right-wing Austrian publishers Ares-Verlag. But even in the early 1990s he made no secret of his right-wing inclinations. A photo has been circulated in the German press showing the reigning domestic intelligence chief in 1999 at a Weimar cultural festival dressed in the costume of General Ludendorff, who participated in the Munich coup in 1923 alongside Adolf Hitler.

In the anti-communist euphoria that followed the collapse of Stalinist East Germany, even the most right-wing elements could apparently assume the highest state offices. A man such as Roewer, accordingly, was given control of the Thuringia intelligence service, where he operated without oversight and—contrary to the rules—undertook as department head to personally direct undercover agents active in building up the neo-fascist milieu in the state.

Roewer was forced to quit office in 2000 following irregularities in connection with the payment of his undercover agents, his creation of phony cover companies and the unmasking of one of his spies within the extreme right-wing milieu.

Roewer owed his six-year career at the top of the Thuringia intelligence agency to state premier Vogel, who personally signed his certificate of appointment; state Interior Minister Schuster, who proposed him; Secretary of State Michael Lippert, who protected him; and the social democratic state Interior Minister Dewes, who gave him a free hand and still stresses their close collaboration.

Dewes told the parliamentary committee of investigation that he had only heard the names Zschäpe, Mundlos and Böhnhardt “after the action in Eisenach”, i.e., on November 4, 2011. And he had not engaged with intelligence sources.

Dirk Adams, who represents the Green Party in the NSU-committee, told theSüddeutsche Zeitung: “There has been virtually no control. Roewer shut it down because he was very close to the then interior minister [Schuster].”

Under Roewer, vast sums of money flowed to the neo-Nazis. With Tino Brandt and Dienel, the intelligence agencies had the two most important neo-Nazis in Thuringia on their payroll.

Tino Brandt was an undercover agent of the Thuringia LfV from 1994 to 2004. During this period he received $200,000 from the secret service, which he claims was used to build up the right-wing organization “Thuringia Homeland Security”, in which the Zwickau killer trio Mundlos, Zschäpe and Böhnhardt were involved. The head at the time of the Thuringia section of the Nazi music network “Blood and Honour”, Marcel Dienel, received 25,000 deutsche marks, with which he financed the right-wing extremist scene. “Blood and Honour” supported the three terrorists in hiding to the end.

There were other informers in the environs of the later neo-NSU. From 1996 to 2003, as part of “Operation Rennsteig”, the secret service had recruited at least eight informants in the Thuringia neo-Nazi scene.

The Frankfurter Rundschau recently reported that the federal and state secret service agencies have recruited at least another two informants in the Thuringia neo-Nazi scene, under the operational name “Saphira”. This increases the number of right-wing undercover informants controlled by the federal secret service in Thuringia to 10 between 1997-2005. The state secret service agencies in Thuringia and Saxony, and the Military Counterintelligence MAD, also had their own spies in the right-wing scene.

The Bundestag (federal parliament) committee of investigation received a note from the federal secret service from the second half of 1998, reporting a conversation with the Thuringia neo-Nazi “N” from Jena. N was regarded as the link between the NSU trio and the Jena scene. N was cooperative and offered to provide information about the neo-Nazis Mundlos, Zschäpe and Böhnhardt in hiding. Whether his offer was accepted remains unclear.

According to a report by a commission appointed by the Thuringia Interior Ministry, headed by former federal judge Gerhard Schäfer, the leader of “Blood and Honour” in Saxony, Jan W., was apparently in telephone contact with the Saxony Interior Ministry in 1998. About half a year after the three NSU terrorists went underground, Jan W. sent his contact in the Saxony Interior Ministry a text message reading, “Hello, what about the bangs [Bums]”. Schäfer regards this as referring to weapons that W. had probably requested for the Zwickau trio.

The claim that the intelligence agencies and police authorities were unaware of the extreme right-wing series of murders—which the media parrot and explain away with references to “incompetence”, “breakdowns”, “sloppy working” and “chaos”—is absurd. All the evidence and warnings were ignored by the intelligence services, deliberately suppressed and brushed aside.

This also applies to the case of the Hesse state secret service agent Andreas T., who was at the scene of the Kassel Internet cafe where Halit Yozgat was murdered in April 2006, the ninth victim of the NSU. According to the official version, the presence of the intelligence operative, whose right-wing views earned him the nickname “Little Adolf” in his hometown, was “a coincidence”. Meanwhile, it is also known that he was in telephone contact with his undercover informant from the “Blood and Honour” network at the time of two other NSU murders in 2005: a Turk in Munich and a Greek retailer in Nuremberg.

It is likely that further evidence will surface of close cooperation between the secret services and the neo-Nazis and the Zwickau trio. Last week Reinhard Boos, the president of the Saxony LfV, resigned. Following Heinz Fromm, president of the federal secret service, and Thomas Sippel, chief of Thuringia LfV, Boos is the third domestic intelligence chief to step down because of the NSU murders.

The grounds for Boos’ resignation are wiretap transcripts of the extreme right in 1998, which the Saxony secret service held back for months. According to Spiegel Online, these involved intercepted telephone calls by Saxony “Blood & Honour” leader Jan W., from which it is apparent that he was in touch with Mirko H., an undercover agent of the federal secret service. Spiegel Onlinealso reported rumours that the resignation was related to files that have already been shredded by the Federal Office.

The resignation of Boos suggests that the contents of the files are relevant. Perhaps the records relate to André E., one of the three men in closest contact with the NSU murderers. Investigators found rail cards in the names of André E. and his wife Susann, which had been used by Zschäpe and Böhnhardt in the burned-out mobile home in which Böhnhardt and Mundlos were found dead last November.

The Frankfurter Rundschau had reported in February that the secret service had tried three times to recruit André E. as an undercover agent. At that time, Boos vehemently denied that these attempts were successful.

It is clear that the authorities have something to hide in the case of André E. Upon his arrest on November 24, 2011, his cell phone was seized and sent to a special department of the federal police by the Federal Criminal Police (BKA). After the data on the mobile phone had been downloaded and sent to the BKA, the BKA instructed the federal police by email to delete the data from the mobile phone held on their computers.

André E. was the first person Zschäpe rang on November 4, 2011, after she had set her apartment in Zwickau on fire and fled the scene. An evaluation of André E’s mobile phone could have provided clues about who he then called, including perhaps the secret service or police authorities.

What is certain is that Zschäpe had contact with the authorities. According to the Schäfer report, evaluation of the connection data of Zschäpe’s mobile phone on November 4 last year showed 15 attempted telephone calls originating from the Saxony Interior Ministry and the Southwest Saxony Police Department.

Just recently, Hartfrid Wolff, the FDP member in the Bundestag committee of inquiry, presented a secret file describing over several pages an attempt to recruit a young unemployed woman from Thuringia in the 1990s who owned a cat and had a close bond with her grandmother—a description that fits Beate Zschäpe.

On the same evening, after a review of the files, the committee chair Sebastian Edathy (SPD) said on behalf of all its members that the few women in the neo-Nazi scene at that time apparently included a second woman with the same characteristics as Zschäpe. Speculation about Zschäpe lacked “any foundation”, he said, but gave no reason for this assertion.

All of the political parties, with the media in their wake, are trying to play down the close relationship between the neo-Nazi scene and the secret services. It is increasingly evident that the secret services, or at least significant sections thereof, have participated actively in the development of right-wing organisations with the support or acquiescence of the very same political parties.



=== 2 ===


Protezione della Costituzione o dei neonazisti?

03 Luglio 2012 15:28 Internazionale Europa
di Giuseppe Zambon

Cosa c’è dietro le dimissioni di Heinz Fromm, capo dei servizi segreti tedeschi 

Mentre la corte berlusconiana celebrava le sue ultime e ributtanti cerimonie da tardo impero, la “severa e incorruttibile” Germania ci dava un’altra istruttiva lezione di quali siano i veri metodi di governo di un paese “democratico”. Sebbene il termine democrazia stia sempre più assumendo un significato negativo, mi attardo ad usare ancora le virgolette anche se oramai troppe rapine, colpi di stato, torture, esecuzioni mirate, massacri e stermini di massa sono stati compiuti nel suo nome. Siamo tutti ancora sgomenti di fronte alla notizia secondo cui, nel corso dell’ultimo decennio, un pugno di estremisti nazisti, ben noti alle autorità (vedremo poi i particolari) hanno scelto le proprie vittime e le hanno poi tranquillamente e impunemente assassinate. 

Quale colpa avevano ai loro occhi queste persone? 

Erano degli innocui “dannati della terra” che, per sfuggire alla fame ed alla miseria, avevano scelto di emigrare da qualche misero villaggio anatolico verso la Germania. In Germania erano riusciti a costruirsi un’effimera sicurezza economica vendendo Döner e bibite nei loro baracchini agli angoli delle strade.

Mentre tutti i partiti della borghesia parlano di voler limitare il numero degli immigrati, ecco che i nazisti si trasformano in esecutori della “volontà popolare” ed operano concretamente per combattere il fenomeno dell’immigrazione e dare un terribile e convincente monito a chi perseverasse nel “delitto” di voler restare in Germania.

Gli ispettori di polizia operano nel buio, e come hanno imparato alle loro scuole professionali, indagano solertemente negli ambienti dell’emigrazione, che –come tutti sanno- hanno importato in Germania mafia, droga, vendette d’onore e –orrore degli orrori- il “terrorismo islamico”.

Fu così che le famiglie delle vittime, ancora scosse e incredule di fronte ad un lutto tanto improvviso e crudele, furono sottoposte a stringenti interrogatori tendenti a vincere la loro “omertà” e costringerle così a rivelare i nomi dei responsabili. 

A nessuno venne il sospetto che potesse esistere una motivazione di tipo razzistico alla base dei crimini. E come avrebbero potuto? La Bild Zeitung non aveva mai pubblicato nulla che li potesse indirizzare sulla pista giusta…

Poi però qualcuno ha puntato il dito sugli informatori, cioè sugli agenti segreti infiltrati dal Verfassungsschutz nei movimenti estremisti.

È possibile –veniva chiesto- che questi informatori non fossero al corrente, o almeno non avessero avuto sentore che qualcosa stesse bollendo in pentola e non avessero passato l’informazione ai loro superiori?

Prima di affrontare l’argomento, bisogna spiegare chi sono questi informatori e come vengono scelti. Si potrebbe pensare che essi vengano allevati in serra in un ambiente asettico, apolitico e garantiscano quindi una imparzialità ed attendibilità a prova di bomba nel loro compito di “difendere la costituzione”, la libertà e l’incolumità dei cittadini.

Ma non è così: ogni persona –sotto sotto- ha effettuato nel suo intimo una scelta politica. Non si può quindi ritenere realistico che possano esistere degli individui “allevati in serra”.

Se così stanno le cose, bisogna allora presupporre che a spiare le organizzazioni sinistra vengano incaricati agenti con simpatie di estrema destra, e che il contrario succeda con chi viene incaricato di spiare le organizzazioni di destra.

Ma nemmeno questa ipotesi regge il confronto con la realtà: il Verfassungsschutz sceglie dei filonazisti per spiare le organizzazioni di destra!

Il caso del piccolo Adolfo. (Riportiamo un riassunto dalle notizie apparse sui quotidiani tedeschi)

“Durante una seduta del comitato di controllo parlamentare sono emerse gravi responsabilità a carico di un agente dell’antiterrorismo. Si tratta di un estremista di destra, meglio conosciuto nel suo paese col nomignolo “der kleine Adolf”. Sembra che egli, lungi dal controllare quei nazisti che era stato incaricato di spiare, li abbia invece sostenuti economicamente…

Dunque le cose stanno così: il Verfassungsschtz usa gli informatori per aiutare le organizzazioni di destra a sopravvivere economicamente!
Potrebbero esistere queste organizzazioni senza i contributi statali?
In realtà la destra eversiva costituisce l’ultimo baluardo in difesa del sistema capitalistico e bisogna quindi sostenerla in un modo o nell’altro.

Ma c’è di più!
Lo stesso personaggio era addirittura presente durante l’esecuzione di un cittadino turco (proprietario di un internet-café) avvenuta a Kassel nel 2006. 
La sua presenza in luogo venne denunciata da un testimone oculare.
Secondo altre informazioni non si tratta di un caso isolato. Pare che anche altri informatori abbiano assistito ad alcune delle esecuzioni avvenute ai danni di “extracomunitari”

“Gli informatori devono informare, non possono esporsi per tentare di impedire i crimini”, viene addirittura argomentato da qualche sciagurato.
E di rimando noi chiediamo:
quale uso hanno fatto i capoccia del Verfassungsschutz di queste informazioni?
Oppure gli informatori avevano solo il compito di assicurasi che tutto filasse liscio e senza intoppi?

(*) Polizia Segreta di Stato in Difesa della Costituzione 




Nuovi articoli di Claudia Cernigoi 

1) IL PARTITO COMUNISTA NEL CLN TRIESTINO (giugno 2012)
2) CERIMONIE PER I POLIZIOTTI “INFOIBATI” (19 giugno)
3) DA BUTTIGNON A SPADARO: I MAZZINIANI DEL VENTUNESIMO SECOLO (luglio 2012)

Claudia Cernigoi cura il periodico triestino La Nuova Alabardahttp://www.nuovaalabarda.org/


=== 1 ===


IL PARTITO COMUNISTA NEL CLN TRIESTINO

Nella propaganda nazionalista spacciata per informazione storica rispetto alle tematiche del confine orientale, uno dei concetti più ricorrenti è quello del Partito Comunista che non volle fare parte del CLN triestino in quanto si era schierato sulle posizioni jugoslave.
Così ad esempio leggiamo nel sito del Comune di Trieste:
“Il CLN a Trieste era costituito dal Partito Liberale, dalla Democrazia Cristiana, dal Partito d’Azione e dal Partito Socialista ma, a differenza di quelli operanti nell’Italia settentrionale, non poteva più contare sulla presenza dei comunisti in quanto costoro si erano orientati fin dall’autunno del 1944 sulle posizioni filojugoslave. Il CLN di Trieste era drammaticamente isolato dal CLN Alta Italia e i suoi appelli erano caduti nel vuoto in quanto per lo stesso CLN Alta Italia era chiaro che le truppe jugoslave dovevano essere considerate forze alleate alle quali non poteva essere opposta alcuna resistenza, restando come obiettivo prioritario la neutralizzazione delle truppe tedesche presenti in città e nel territorio circostante”.
(http://www.retecivica.trieste.it/triestecultura/new/musei/foiba_basovizza/default.asp?pagina=foibe_3)
Ma anche lo storico Roberto Spazzali scrive:
“nell’autunno 1944 con l’uscita del Partito comunista dal CLN di Trieste (unico caso del panorama resistenziale italiano)” (http://www.storiaestorici.it/index.asp?art=168&arg=16&red=4).
È quindi il caso di fare un po’ di chiarezza tramite dei documenti che possono spiegarci la situazione.
Il CLN triestino, abbiamo letto nella prima citazione, era isolato dal CLNAI, ma per un motivo ben chiaro e logico: il CLNAI, in quanto organo di governo dell’Italia antifascista riconosciuto dagli Alleati, aveva (giustamente) invitato il CLN triestino a collaborare con il Fronte di liberazione facente riferimento alla Jugoslavia di Tito, governo riconosciuto dalle nazioni alleate.
Pertanto il CLN di Trieste, se voleva avere un riconoscimento internazionale dalla compagine antinazifascista, doveva giocoforza collaborare con l’Esercito di liberazione jugoslavo e (a Trieste) con il Fronte di Liberazione – Osvobodilna Fronta sloveno.
La politica del CLNAI era stata fatta propria anche dal Partito comunista giuliano, e per questo motivo, nell’ottobre del 1944, un delegato comunista, il musicista Giuseppe (Pino) Gustincich, cercò un contatto con il CLN giuliano. Leggiamo ora, come informazione da fonte sicuramente non “slavo comunista”, quanto scrisse don Edoardo Marzari, presidente e tesoriere del CLN giuliano, rappresentante della Democrazia cristiana.
“... in settembre (1944, ndr) mi si presentò a Trieste un certo Pino Gustincich, dicendo di essere stato designato a rappresentare i comunisti però non solo italiani ma anche sloveni. Gli risposi che il CLN era italiano e che non era ammissibile una rappresentanza slava in seno ad esso, esistendo già per gli slavi un loro proprio organo. Egli replicò che le direttive erano state cambiate e che solo a quella condizione il PC poteva far parte del CLN. Risposi che allora il posto del PC sarebbe stato vacante e così di fatto avvenne in seguito e ogni cosa si svolse fino alla liberazione e oltre senza la partecipazione del PCI” (“I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco, Udine 1960, p. 30).
Cioè, stando alle affermazioni di don Marzari, non è stato il Partito comunista triestino a non voler entrare nel CLN giuliano, ma il CLN giuliano a rifiutare, dopo avere disatteso le direttive del CLNAI, l’adesione del Partito comunista.
Chissà come mai gli storici accademici non hanno mai preso in considerazione queste affermazioni di don Marzari...

Giugno 2012


=== 2 ===


CERIMONIE PER I POLIZIOTTI “INFOIBATI”



Sul “Piccolo” del 19 giugno leggiamo che il ministro della difesa austriaco, Norbert Darabos, ha deciso di togliere dall’elenco dei caduti di tutte le guerre conservati nella cripta della Burgtor di Vienna i nomi dei criminali nazisti. Ciò perché era invalso l’uso, da parte di nostalgici neonazisti, di approfittare di questo monumento per dare vita a manifestazioni apologetiche filonaziste.

Questa notizia segue di pochi giorni quella della cerimonia avvenuta nel famedio della Questura di Trieste il 12 giugno scorso, dove, su iniziativa dell’Unione degli istriani guidata da Massimiliano Lacota, è stata posta, alla presenza tra gli altri del questore Padulano, una corona “in memoria dei caduti della Polizia sequestrati ed infoibati”.

A questo punto è necessario fare alcune precisazioni storiche. Nel maggio 1945 la Polizia triestina, essendo forza armata, ed essendo la nostra città annessa al Reich germanico, era sottoposta direttamente al governo di Hitler, ed i suoi membri, per la maggior parte volontari, erano quindi militi nazisti, o, se vogliamo riconoscere loro delle attenuanti, quantomeno dei collaborazionisti.

Nell’elenco di “infoibati” (cioè degli scomparsi nel maggio 1945 e presumibilmente arrestati dagli Jugoslavi) presente nel famedio della Questura di Trieste vi sono molti nomi di agenti e funzionari di polizia che erano in forza presso l’Ispettorato Speciale di PS, la cosiddetta famigerata “banda Collotti” (dal nome del commissario Gaetano Collotti che era a capo della squadra operativa), corpo di repressione i cui dirigenti ed agenti si macchiarono di crimini efferati nei confronti dei prigionieri, torture e violenze carnali, arresti arbitrari e sequestri di persona, esecuzioni sommarie. Dei nomi presenti sulla lapide furono identificati in modo circostanziato come torturatori Mario Fabian (operò durante il rastrellamento di Boršt – S. Antonio in Bosco con la “macchina elettrica”), Alessio Mignacca (fece abortire una donna picchiandola, ed uccise almeno tre persone che tentavano la fuga), Bruno Luciani e Francesco Giuffrida.

Così come a Vienna il ministro Darabos ha deciso di giudicare “inaccettabile” l’atteggiamento di tolleranza nei confronti di coloro che onoravano nazisti “con il pretesto che erano riferiti a caduti in guerra”, quindi “persone degne di essere ricordate comunque al di là delle connotazioni ideologiche”, pensiamo sarebbe opportuno che anche in Italia si distinguesse tra le vittime e coloro che prima di diventare vittime erano stati carnefici.

 

Claudia Cernigoi

19 giugno 2012.



=== 3 ===


DA BUTTIGNON A SPADARO: I MAZZINIANI DEL VENTUNESIMO SECOLO.

“Gli italiani dell’Adriatico orientale” è l’ennesima raccolta di articoli coordinata da Stelio Spadaro in collaborazione con l’AVL (Associazione Volontari della Libertà, gli ex partigiani “bianchi” o “fazzoletti verdi” collegati con la Osoppo), dopo “La cultura civile della Venezia Giulia: un\'antologia 1905-2005. Voci di intellettuali giuliani al Paese (LEG, 2008) e, con Patrick Karlsen, “L\'altra questione di Trieste” (LEG, 2006).
La peculiarità di questo ultimo lavoro è che è stato presentato in forma ufficiale il 18/6/12 dal Comune di Trieste (nella persona del sindaco Roberto Cosolini, PD) con la partecipazione del deputato Roberto Menia (FL, già AN e prima MSI). Ciò naturalmente ci ha incuriosito ed abbiamo preso visione (ancorché rapida per motivi di tempo) del libro, prima di andare a sentire la presentazione.
In effetti, a prima vista si tratta di una serie di interventi di carattere storico dei quali non si era sentito finora troppo la mancanza, tesi in genere a dimostrare la necessità di un sentimento di identità italiano nelle popolazioni “dell’Adriatico orientale”. Ora, come ha detto giustamente Spadaro nella presentazione del libro, non sempre l’identità corrisponde ad un “dato biologico” ma si tratta piuttosto di una “scelta personale”: di conseguenza è perfettamente comprensibile come il portatore di un cognome non italiano (ad esempio uno slavo, come Menia) decida di essere italiano anche se di suo non lo sarebbe, e di conseguenza, per dimostrare la propria italianità innaturale perché auto-indotta ha bisogno di ribadirla continuamente, a differenza di chi è italiano di suo e non necessita di ricordarlo a sé ed agli altri.
Che non si tratti di un testo scientifico ma di un libro di propaganda risulta dall’intervento del collaboratore di Spadaro, lo storico dell’arte Lorenzo Nuovo: “non è un libro di storia”, ha detto ma “un’adesione militante” ai valori che Fabio Forti porta avanti da anni, cioè un “patriottismo democratico” e valori “repubblicani”. D’altra parte anche Spadaro ha sostenuto che il lavoro sarebbe stato presentato meglio dal rappresentante dell’AVL Forti, che sembra quindi essere l’eminenza grigia ispiratrice di questo progetto politico-editoriale. Parliamo dunque di Fabio Forti,, classe 1927, che fu (citiamo quanto pubblicamente asserito dall’interessato in più occasioni) per un periodo mobilitato nel Sonderauftrag Pöll (leggiamo nel libro di R. Spazzali, “Sotto la Todt”, LEG 1995, che il “Sonderauftrag Pöll” sorto dalla “necessità di costituire una linea difensiva dallo Stelvio al Quarnero” fu, secondo la testimonianza del Gauleiter Rainer, che si assunse la responsabilità dell’iniziativa e designò come proprio sostituto il comandante della SS Globotschnig, resa al Tribunale della IV Armata di Lubiana solo “un nome sotto cui si nascondeva un’azione militare” per la quale furono mobilitati trecento dirigenti politici dalla Carinzia, che assieme ai capi delle SS chiesero la collaborazione di prefetti e podestà, dove furono questi ultimi ad eseguire la mobilitazione della manodopera in seguito ad un’ordinanza di Rainer ); poi, sarebbe entrato nella Guardia civica (ciò è confermato nel libro \"La Guardia Civica di Trieste\" edito dal Centro Studi Guardia Civica nel 1994) ma non da Spazzali che inquadra Forti nella Pöll fino al 30/4/45) ed “automaticamente” inserito nella Brigata Venezia Giulia del CVL.
Questa Brigata, dipendente dalla Divisione Rossetti, era in collegamento con la Brigata friulana Osoppo, con il SIM e con la missione inglese a Udine comandata da Nicholson; il suo primo comandante fu Giuliano Dell’Antonio Guidi, già capitano degli alpini, ufficiale di collegamento con la Osoppo, nonché uno dei referenti per chi “in seno alla Guardia Civica ed alla X Mas” si aggregava al CLN portando con sé le armi (nel “Diario storico della Divisione Rossetti”, Archivio IRSMLT n. 1156). Il suo vice era Ernesto Carra e al momento dell’insurrezione Carra faceva parte del “triumvirato militare” designato per la direzione del Comando di piazza del CVL, assieme ad Antonio Fonda Savio ed Ercole Miani. Sia Dell’Antonio sia Carra si trovano nell’elenco dei “gladiatori” pubblicato dalla stampa nel 1991 (“La notte dei gladiatori”, curato da Scarso e Coglitore, Calusca 1992) e nel dopoguerra Carra fu anche uno dei referenti delle “armi per Trieste italiana”. Renzo Di Ragogna (uno di coloro che parteciparono alle esercitazioni delle squadre armate triestine) disse di essere stato contattato da Carra nel 1947 per riunioni nelle quali venivano istruiti all’uso di armi e sulle tecniche di guerriglia. Nel 1953 Carra lo “informava che bisognava creare vari depositi di armamento, bene celati e nascosti da impiegarsi in caso di necessità dettata dall’invasione di Trieste da parte delle truppe jugoslave”, Di Ragogna si occupò di costruire 6 nascondigli. Dopo la scoperta dei depositi, nel 1954, Di Ragogna ritenne di dover andare via da Trieste e Carra si offrì di organizzargli “l’esfiltrazione”, ma Di Ragogna preferì agire da solo. 
Anche Fonda Savio e Miani appaiono tra gli organizzatori delle squadre: da una testimonianza di Galliano Fogar, nel 1954 Fonda Savio sarebbe stato il referente per una Organizzazione di difesa antijugoslava, mentre Ercole Miani avrebbe avuto il compito di organizzare i gruppi d’azione armati (i dati sulle “squadre” sono tratti dall’istruttoria su Argo 16, Proc. pen. n. 318/87 A G.I. del Procuratore Carlo Mastelloni di Venezia).
Dopo Dell’Antonio (che trovandosi in missione presso il Battaglione “Alma Vivoda” nel momento in cui questo fu attaccato dai nazisti sarebbe stato da loro arrestato, ma rilasciato e poi si sarebbe nascosto a Milano), dai documenti appare che il comandante della Brigata fu Romano Meneghello, anche se Forti afferma che al comando vi sarebbe stato un non meglio identificato “maresciallo dei CC che apparteneva alla resistenza da sempre” (cioè da quando?). Un altro appartenente alla Venezia Giulia, Giuseppe Ferrara, ha affermato che aveva giurato il 16/1/45 “con tre dita” (nel filmato “Quel 30 aprile del 1945”, AVL 2005); nei ruolini di essa troviamo nomi degni di interesse, da Carlo Fabricci (fu per anni segretario della UIL, il suo nome è negli elenchi della P2), a Giuseppe Ferfoglia (già nella X Mas, uno degli irredentisti armati sotto il GMA), a Mario Cividin (nel dopoguerra titolare di una delle più importanti imprese edili triestine, processato per corruzione ed assolto); ma soprattutto compaiono i nomi di tre agenti dell’Ispettorato Speciale di PS che risultano arrestati dalle autorità jugoslave nel maggio ‘45: Gaetano Milano e Francesco Giuffrida, incarcerati a Lubiana e presumibilmente fucilati e Giuseppe Scionti, che risulta invece disperso.
Alla Brigata, leggiamo, “si affiancarono all’atto dell’insurrezione molti elementi della cittadinanza non inquadrati nelle formazioni clandestine del CLN, che vennero armati e forniti di bracciali. Tali elementi non sono compresi nei nostri ruolini” (nel citato “Diario storico della Divisione Rossetti”).
Può essere questo il motivo per cui il nome di Forti non appare nei “ruolini” ufficiali del CVL. La Venezia Giulia si ricostituì poi nel maggio 1945 in funzione antijugoslava, agli ordini di Redento Romano: alcuni membri della Brigata (tra cui Romano Meneghello, Mario Cumo, Giuseppe Stancampiano, Armido Bastianini, Luigi Tricarico, Antonio Franceschi, Stelio Fiabetti, Cesare Buscemi) furono arrestati dalle autorità jugoslave intorno al 23 maggio e condotti a Lubiana, dove presumibilmente subirono un processo; Arturo Bergera scrisse che Meneghello, Cumo, Stancampiano ed altri “si erano proposti di difendere l’italianità di Trieste dall’invadenza slava”. (Arturo Bergera ed il capitano di corvetta Luigi Podestà, membri di una missione del SIM, furono arrestati dagli Jugoslavi per essersi appropriati dei fondi della Marina militare all’arrivo dell’esercito jugoslavo. La relazione Bergera si trova in Archivio IRSMLT 866). E può essere questo lo stesso motivo per cui anche Forti sarebbe stato ricercato dagli Jugoslavi, che però non riuscirono ad arrestarlo in quanto avevano un indirizzo sbagliato, almeno stando a quanto lo stesso Forti ha affermato nel filmato citato prima.
Fin qui alcuni appunti storici. Vediamo ora come Fabio Forti ha illustrato il suo pensiero storico e politico, in svariate occasioni:
“siamo scomparsi nel nulla per 55 anni poi un presidente repubblica (Ciampi, ndr) ha voluto che tornassimo alla luce per scrivere la storia mancante al confine orientale d\'Italia (27/2/08);
“il nostro CLN è stato l’unico in Italia che rimase in clandestinità fino al 1954, anzi nel nostro spirito, siamo ancora oggi in clandestinità” (15/10/04);
“la resistenza a Trieste non era solo quella dei partigiani di Tito, che era più facile perché fatta nei boschi, la nostra era più difficile, eravamo in città dove eravamo controllati da tutti (21/6/07).
Ed ancora relativamente ai fatti storici Forti sostiene che “nell\'ottobre 1944 i comunisti abbandonarono il CLN e messi alle dipendenze dell\'OF sloveno” (7/7/09), quando fu invece il CLN giuliano a non voler ottemperare (al contrario del Partito comunista) alle direttive del CLNAI di collaborare con l’OF e con gli Jugoslavi (alleati); e fu lo stesso don Marzari ad impedire al rappresentante comunista Pino Gustincich di partecipare alle riunioni del CLN affermando che se il PC voleva rappresentare sia gli italiani che gli sloveni locali non c’era posto per esso nel CLN giuliano (si veda a questo proposito l\'articolo di don Marzari ne \"I cattolici triestini nella Resistenza\", Del Bianco 1960, p. 30).
Inoltre Forti ha anche affermato che “trenta volontari del CVL” sarebbero stati “infoibati”, ma “ne mancano duecento all’appello”, e che “non esistono più” né la Venezia Giulia né l’Istria, nomi che sarebbero stati “cancellati dalle carte geografiche” (?), mentre deriverebbero “dalla Decima Regio dell’imperatore Augusto”, e la loro cancellazione significa la “cancellazione di tutta la nostra cultura”. 
Questo il pensiero di Forti a cui Spadaro e Nuovo hanno aderito: del resto lo stesso Spadaro rivendica di essere stato sempre un convinto seguace degli “ideali mazziniani”: fu con la sua segreteria che la sede dei DS fu dedicata a Carlo Schiffrer e che esponenti sindacali della UIL (sindacato che prosegue il filone culturale e politico del Corpo Volontari della Libertà “fino allora emarginati dalla sinistra”, come affermò il 16/12/09 il futuro sindaco di Trieste presentando il libro autobiografico di Spadaro, \"L\'ultimo colpo di bora\", LEG 2009) entrarono per la prima volta nei DS. Ci risulta comunque oscuro il motivo per cui il professore Spadaro, se è sempre stato “mazziniano”, si sia iscritto al Partito comunista quando in Italia esisteva un Partito repubblicano a disposizione di chi professava ideali mazziniani. Va invece spiegato perché la UIL triestina (guidata per anni dal piduista Fabricci) fu emarginata dalla “sinistra”: secondo la descrizione dell’allora segretario Luca Visentini (le citazioni che seguono sono tratte da un intervento del sindacalista il 15/10/04), essa sarebbe stata il legittimo erede di quei Sindacati giuliani nati dal CLN triestino, costituiti in alternativa ai Sindacati unici, i quali avevano un atteggiamento anticapitalistico e quindi estraneo alla Camera del Lavoro che invece negoziava i diritti; ma che inoltre “facevano politica e non sindacato”, dato che indicevano scioperi per Trieste jugoslava. Visentini ha poi aggiunto, forse poco coerentemente, che la UIL indisse uno sciopero generale nel 1952, quando iniziarono le manifestazioni per Trieste italiana ed indisse quelle del 1953 (i morti in queste occasioni furono diversi, ricordiamo). Inoltre nel dopoguerra la UIL “iscrisse ex fascisti in funzione antijugoslava”, e verso la comunità slovena vi fu “una chiusura non etnica ma politica”. 
Senza commentare queste affermazioni, diciamo invece che ci ha colpito la coincidenza temporale di un’altra iniziativa di riscoperta del pensiero mazziniano, svoltasi solo un paio di settimane prima (6/6/12), organizzata dall’associazione “Strade d’Europa” (che pubblica la testata web “Stato e potenza”, dal titolo di un testo del comunitarista russo Zivganov). Moderata dal portavoce Lorenzo Salimbeni (già esponente della “Riva destra” di Azione giovani, del Direttivo della Lega Nazionale, collaboratore della rivista “Eurasia” del nazimaoista co-fondatore di Ordine nuovo Claudio Mutti), figlio del docente Fulvio Salimbeni, il cui assistente, Ivan Buttignon, è stato uno dei relatori ed ha dissertato sul mazzinianesimo come idea primigenia della sinistra in Italia, non marxista né socialista, spiritualista e non materialista, nazionalista e non internazionalista, solidale ma non collettivista. Secondo Buttignon sia il comunismo sia il capitalismo si sviluppano in uno sfruttamento dell’uomo sull’uomo, richiamandosi alla teoria di Massimo Fini che l’industrialismo è una moneta con due facce, da una parte il capitalismo e dall’altra il comunismo. Fini è il fondatore del Movimento Zero cui hanno aderito svariati esponenti di destra, l’ora defunto Paolo Signorelli (altro fondatore di Ordine nuovo, esponente del Fronte nazionale di Borghese, ideologo di Costruiamo l’azione, di Lotta popolare e di Terza posizione); Alain de Benoist; l’ex golpista mancato con Borghese Alberto Mariantoni; l’ex parlamentare di AN Antonio Serena (espulso dal partito dopo che aveva fatto girare in aula un appello di solidarietà a Priebke). Qui una parte del manifesto costitutivo:
“Levate la testa, gente. Non lasciatevi portare al macello docili come buoi, belanti come pecore, ciechi come struzzi che han ficcato la testa nella sabbia. In fondo non si tratta che di riportare al centro di Noi stessi l’uomo, relegando economia e tecnologia al ruolo marginale che loro compete. Chi condivide in tutto o in parte lo spirito del Manifesto lo firmi. Chi vuole collaborare anche all’azione politica, nei modi che preferisce e gli sono più congeniali, sarà l’arcibenvenuto. Abbiamo bisogno di forze fresche, vogliose, determinate, di uomini e donne stufi di vivere male nel migliore dei mondi possibili e di farsi prendere in giro. Forza ragazzi: si passa all\'azione”.
Buttignon, autore di “Compagno Duce” (Hobby and Work 2009), ha partecipato ad un convegno indetto da CasaPound Brescia “Linea Rossa su Sfondo Nero: Il Fascismo di Sinistra da Sorel a Salò” assieme a Simone Di Stefano, vice responsabile nazionale di CPI ed a Mirko Bortolusso del PD veneziano; ma è anche collaboratore dell’Accademia Ricerche Sociali di Trieste, il cui fondatore è Massimo Panzini, già capo di gabinetto del sindaco di Trieste Roberto Di Piazza, ed oggi sostenitore del sindaco di centrosinistra Roberto Cosolini. Altro relatore del convegno avrebbe dovuto essere Marco Costa, espulso da Rifondazione dopo avere pubblicato un libro sul “nazionalcomunismo” di Ceausescu per le edizioni All’insegna del veltro di Mutti. 
Di Mazzini scrive Wikipedia che “la sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante ed anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come Terza Via tra il modello capitalista e quello marxista”: si comprende quindi come tale teoria possa andare bene ai seguaci del “comunitarismo” di Jean Thiriart, come i Mutti ed i Signorelli, ed ai rossobruni che si riconoscono nelle varie pubblicazioni prima citate, ma è più difficile capire perché eserciti un tale fascino su esponenti del vecchio PCI come Stelio Spadaro.

luglio 2012




http://rickrozoff.wordpress.com/2012/07/12/the-template-nato-consolidates-grip-on-former-yugoslavia/

Stop NATO - July 12, 2012

The Template: NATO Consolidates Grip On Former Yugoslavia

Rick Rozoff


North Atlantic Treaty Organization chieftain Anders Fogh Rasmussen has spent much of the past week in the former Yugoslavia, visiting Slovenia and Croatia on July 5 and 6, respectively, then arriving in Kosovo with the 28 members of the North Atlantic Council on July 11.

Twenty years after NATO was unleashed as an active warfighting force with a naval blockade of Yugoslavia's Adriatic coast (Operation Maritime Monitor and Operation Maritime Guard, 1992), enforcement of a no-fly zone in Bosnia (Operation Deny Flight, 1993, which included shooting down Bosnian Serb jets) and large-scale bombing of Serb targets (Operation Deliberate Force, 1995, involving 400 alliance aircraft), NATO has returned to the Balkans to complete the absorption of former Yugoslavia as a base for operations elsewhere in the world and for the recruitment of expeditionary troops for wars abroad.

In the interim the Western military bloc conducted a savage 78-day bombing campaign against the Federal Republic of Yugoslavia in 1999 before expanding the scope of its wars and other military operations to include Afghanistan and Pakistan, Libya and the Horn of Africa.

NATO military intervention in former Yugoslavia brought about the total dissolution of that nation into its six federal republics and the secession of the Serbian province of Kosovo, which is the world's first NATO-created pseudo-state; a crime-ridden, ethnically-cleansed, economically unviable black hole which should serve, and for the past thirteen years should have served, as a stark, irrefutable warning of what the aftermath of NATO intervention portends for later victims of the same.

In his visit to Slovenia, the first former Yugoslav republic to be recruited into NATO, Rasmussen praised his hosts for contributing to the bloc's missions in war zones and post-conflict occupied territories in stating:

"Your contribution to our missions proves that despite tough economic times, Slovenia can be counted upon. That is why we greatly appreciate your participation in Kosovo and Afghanistan. You are showing a strong commitment to Kosovo and you are doing a great job in helping to advise and train Afghan security forces.”   

All former Yugoslav republics are now either full NATO members or partners. Slovenia joined the bloc in 2004 and Croatia in 2009. Macedonia would have been dragooned into the alliance along with Croatia except for the longstanding name dispute with Greece, but it has been granted a Membership Action Plan, the final stage before full NATO accession, as has Montenegro, with Bosnia to soon follow.

Montenegro, which became an independent micro-state in 2006 in no small part with NATO assistance, joined the alliance's Partnership for Peace program only six months after declaring independence, while the ink was hardly dry on the declaration. In the same month, December, Bosnia and Serbia, which had also become an independent nation in June after the breakup of the State Union of Serbia and Montenegro, also joined the Partnership for Peace. In October of that year the USS Anzio Ticonderoga-class guided missile cruiser docked in the Montenegrin port of Tivat, demonstrating the rapidity with which the Pentagon and NATO move to effect the military integration of newborn states it had not much earlier bombed. (As of earlier this year, Afghanistan and Iraq are members of NATO's new Partners Across the Globe military cooperation program.) The Associated Press reported of the above visit: "Montenegro is eager to join NATO's Partnership for Peace outreach
program, considered a stepping stone to alliance membership."

Bosnia, Croatia and Slovenia have provided NATO contingents for its Kosovo Force (KFOR), initially a 50,000-troop army that entered Kosovo in June 1999.

Montenegro didn't exist as a sovereign state at the time, but Bosnia, Croatia, Macedonia and Slovenia fulfilled their NATO obligations by deploying troops to Iraq from 2003 onward. Currently Bosnia, Croatia, Macedonia, Montenegro and Slovenia have troops serving with the NATO-led International Security Assistance Force in Afghanistan.

While in Slovenia last week, NATO's Rasmussen also lauded the nation's joint contribution with fellow Adriatic Charter members Albania, Bosnia, Croatia, Macedonia and Montenegro (and Slovenia) in training Afghan security personnel at the Military Police School in Kabul as part of the broader NATO program to create NATO-standard security structures in the war-afflicted country. 

The Adriatic Charter is an American initiative established in 2003 to recruit Adriatic Sea littoral and neighboring states into full NATO membership. The original four members were the U.S., Albania, Croatia and Macedonia. Albania and Croatia have since joined the bloc and Macedonia has not only for the reason mentioned above. In 2008 Bosnia and Montenegro became members and Serbia joined as an observer.

At a U.S.-Adriatic Charter defense ministers meeting in Macedonia this March, Celeste Wallander, Deputy Assistant Secretary of Defense for Russia/Ukraine/Eurasia, said the U.S. expects Kosovo and Serbia to join the group. Agim Ceku, minister of Kosovo's fledgling armed forces, the NATO-created Kosovo Security Force, participated in the meeting along with Defense Secretary Leon Panetta's representative Wallander and the defense ministers of Albania, Bosnia, Croatia, Macedonia and Montenegro.  

In Croatia on July 6 Rasmussen praised the nation's role in heading up the Adriatic Charter nations' training mission in Afghanistan: “Together, under Croatia’s leadership, those countries are building stability in Afghanistan – and cooperation between themselves. They are building security in the heart of Asia but also in the heart of Europe.”

Croatia's non-NATO partners in Afghanistan - Bosnia, Macedonia and Montenegro - are serving an apprenticeship for NATO membership, as Croatia and Slovenia did earlier in Iraq. In Rasmussen's words: “NATO is committed to the future of the whole region in the Euro-Atlantic family. And we are determined to help you along that path.” 

The self-serving flattery bestowed on Croatia and Slovenia was too much for the leading Slovenian newspaper Delo, which on July 7 urged the nation to leave NATO as the obligation to spend money on the "failed project" in Afghanistan is diverting resources desperately needed for retirees, young families, culture and education. [1]

Joining NATO, the daily continued, was the largest and most expensive mistake in the country's history, as it is not an alliance that protects its member states but one which intervenes around the world; in fact has waged wars in three continents.

On July 11 Rasmussen and the ambassadors of the 28 NATO member states, collectively constituting the North Atlantic Council, arrived in the Kosovo capital Pristina to meet with head of state Hashim Thaci, who like de facto defense minister Agim Ceku is a former leader of the so-called Kosovo Liberation Army.

Without a scintilla of irony, shame or qualification, he delivered himself of this statement:

"NATO is fully committed to the stability and security of the Western Balkans – nowhere more than in Kosovo. For the past 12 years, the NATO-led mission here has helped preserve a safe and secure environment for all people in Kosovo – firmly, fairly and impartially."

Practically as he spoke, two suspects were arrested for the murder of a Kosovo Serb, Sava Mojsić, and the wounding of two others last November. A raid conducted by EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) police also resulted in the arrests of two other men for possession of automatic rifles and hand grenades.

The Serbian mayor of Kosovska Mitrovica, Krstimir Pantić, said EULEX and KFOR had no intention of apprehending the murderers, although they knew who they were, stating, "There is evidence, the suspects are well-known and they are protected by the interior minister of the so-called Republic of Kosovo and the Kosovo secret police chief.” 

Over a quarter of a million Serbs, Roma, Gorani, Turks and other members of ethnic minorities have been driven out of Kosovo since NATO arrived thirteen years ago - several hundred, along with ethnic Albanians, have been murdered in cold blood - and the NATO chief can pontificate about "stability and security" and "a safe and secure environment for all people in Kosovo."

Having dispensed with such obligatory rhetoric - monstrous lies - Rasmussen got down to business at his press conference in Pristina, stating:

"Make no mistake. We will make sure KFOR remains robust and credible. We will make sure it has the support it needs for as long as it needs."

Because, and only because, "We are committed to the Euro-Atlantic future of this region." Which is to say, having bombed and occupied the former Yugoslavia for a generation, NATO is now conducting the final mopping-up operation.


1)  Slovenia’s leading newspaper calls for country to leave NATO
 http://rickrozoff.wordpress.com/2012/07/07/slovenias-leading-newspaper-country-must-leave-nato/




NOI TIREREMO DIRITTO (*)


Tav, il Nordest tira dritto: ''Noi andiamo avanti''

di Elisa Coloni - su Il Piccolo del 13 luglio 2012

«Noi andiamo avanti, perché la Tav è un’opera di modernizzazione fondamentale per lo sviluppo del Nordest, e perché i corridoi paneuropei rappresentano un tema chiave delle politiche comunitarie. Certo, se la Francia dovesse fare marcia indietro, significherebbe troncare incredibilmente un progetto già avviato, mettendo a rischio i risultati e gli effetti dell’intera infrastruttura». Bortolo Mainardi, commissario della Tav Venezia-Trieste, si dice “allibito” di fronte alla “bomba” scoppiata ieri a Parigi che, se confermata, avrebbe effetti imponenti anche in casa nostra, nel quadro dell’ex Corridoio quinto, oggi numero tre. Per il momento conferme non ci sono. 
Quel che è certo è che il governo Hollande sta facendo i conti con risorse ormai sottilissime e con un calo costante del traffico merci nella tratta in questione. Che la Francia decida di passare la mano sull’opera o che riveda piuttosto alcune scelte in chiave risparmio, spezzettando la realizzazione dell’infrastruttura in più fasi (il cosiddetto “fasaggio”) è ancora tutto da capire. La sola notizia che Parigi sta mettendo in discussione alcuni grandi cantieri, scatena però reazioni a pioggia. «I corridoi sono opere che l’Ue considera strategiche sia per motivi economici sia per ridurre il trasporto merci su gomma e i conseguenti impatti ambientali. Opere frutto di accordi internazionali dai quali non ci si può defilare da un giorno all’altro - prosegue Mainardi -. Credo sia più probabile che si vada verso una riconsiderazione di singole parti dell’opera, scelta normale per contenere i costi».
Sulla stessa linea l’europarlamentare del Pd Debora Serracchiani che, dalla sua postazione europea in Commissione trasporti, definisce “improbabile” un ripensamento della Francia, tirando in ballo a sua volta il cosiddetto “fasaggio”. «Come abbiamo fatto noi in Italia con l’Osservatorio - spiega -, anche Parigi sta probabilmente rivedendo alcuni aspetti della Tav, non più in linea con le attuali disponibilità finanziarie. Penso che la chiave di lettura giusta sia questa, anche perché stiamo parlando di un’opera che fa parte del Corridoio tre, riconfermato come prioritario dall’Ue. 
I singoli Stati membri hanno il diritto di riconsiderare le scelte strategiche, ma ricordo che in ballo ci sono accordi internazionali e impegni finanziari tra Italia e Francia che avrebbero evidenti conseguenze. Certo, se Parigi rinunciasse alla realizzazione della Tav, proseguire gli scavi in Italia risulterebbe inutile». E in casa nostra? Le grandi opere riusciranno a reggere la crisi? «Noi riteniamo strategica un’opera come la terza corsia della A4 - conclude -. Le nostre perplessità riguardano la gestione del piano finanziario, ma l’opera in sé non è in discussione».
  

Sulla posizione francese in merito al progetto TAV (Corridoio 5 o 3) si legga ad esempio:
"La Francia si allinea al fronte No Tav: opera costosa e inutile per le merci"
di Mauro Ravarino - da Il Manifesto, 13 Luglio 2012 

Sull'estremismo filo-TAV della signora Debora Serracchiani si legga ad esempio:
"Lettera Aperta A Debora Serracchiani Sul Progetto TAV"
La Nuova Alabarda (Trieste) - agosto 2011

(*) Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia, Roma 8 settembre 1935.



(italiano / english / francais / srpskohrvatski)

Još dvoje Srba ubijeni na KosMetu

0) LINK: video "Tempo di digiuno"
1) Wesley Clark torna a far danni in Kosovo / War criminal Wesley Clark back to Kosovo (for money, as usual)
2) Le notizie di Glas Srbije
3) Il TPI chiede 20 anni per Haradinaj, capo dell'Uck - ma chi crede più al TPI?? (25 Giugno 2012)
4) "Riaprite l'indagine insabbiata sui fondi neri". Repubblica è riuscita a visionare documenti che mettono sotto accusa la società elettrica e l'aeroporto internazionale di Pristina
5) J. Jatras: 'Washington backed jihadist elements in Kosovo, now in Syria'

6) ULTIMISSIME: I coniugi Jevtić ammazzati in casa loro, venerdì sera, perché serbi. 
- Zločini bez kazne / Kraljevo : Sahranjeni supružnici Jevtić sa Kosmeta
- Le meurtre d’un couple de Serbes remet en cause le fragile processus des retours


=== 0 ===

Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo @ uniroma2.it>
Data: 25 giugno 2012 15.12.43 GMT+02.00
Oggetto: video: Tempo di digiuno

cari tutti,
è disponibile su youtube il video "Tempo di digiuno":
http://www.youtube.com/watch?v=xkz7lzF08vg


Racconta della difficile vita di alcune famiglie di serbi nei villaggi intorno Gnjilane, in Kosovo e Metohija. Dell'impegno di monaci come padre Ilarion e di associazioni come Un Ponte per..., a creare veri e propri ponti di solidarietà, nell'indifferenza generale che avvolge tutto quello che è conseguenza della tragica guerra "umanitaria" del 1999, che la Nato scatenò contro la ex Jugoslavia e la Serbia.

Il video, presentato per la prima volta sabato scorso presso Agricoltura Capodarco, a Grottaferrata, nella notte di San Giovanni, è finalizzato a una raccolta fondi per una iniziativa di ospitalità da svolgersi a settembre ad Anzio, di ragazzini provenienti dalle zone oggetto del video e alla risistemazione delle loro case.
Buona visione.

Alessandro Di Meo


=== 1 ===

L' assassino torna sempre sul luogo del delitto!...

---

Clark ha intenzione di investire 5,6 miliardi in Kosovo

(www.glassrbije.org - 26. 06. 2012)

Il generale statunitense Wesley Clark che è stato pensionato, il quale commandava la NATO durante l’attacco contro la ex Jugoslavia nel 1999, ha intenzione di tornare in Kosovo per realizzare un business di alcuni miliardi di dollari, scrive il quotidiano viennese Wirtsatblat. La ditta canadese di Clark Envidity, la quale investe il suo capitale nell’energia, ha inviato la domada che le sia data la licenza per lo sfruttamento delle miniere di carbone in Kosovo occidentale. L’Envidity ha intenzione di investire 5,6 miliardi di dollari nei prossimi sei anni nella produzione del combustibile liquido. Le riserve del carbone in Kosovo si valutano a circa 14 miliardi di tonnellate, scrive Wirtsatblat. Alcuni giorni fa in Kosovo si trovava anche l’ex premier britannico Tony Blair. Il motivo della sua visita era uguale. Clark e Blair sono stati i fautori più convinti dell’attacco della NATO contro la Serbia nel 1999.

---

http://english.ruvr.ru/2012_06_28/79648685/

Voice of Russia - June 28, 2012

Kosovo for the general

Igor Siletsky and Timur Blokhin 

Kosovo’s economy is overfilled with investments.

True, the majority of investors are Americans who bore a relation to the “democratization” of Yugoslavia that was carried out at the end of the 90s of the last century. Among them is the former commander of NATO forces in Kosovo retired general Wesley Clark, who is determined to invest more than 5.5 billion dollars in the former Yugoslav republic. Experts say that Washington’s strategy could be characterized by the following slogan: “Conquer and plunder”.

His closest supporters say that Wesley Clark is a great strategist. He wrote the book “Winning Modern Wars” that was published in 2001. In his fundamental survey the author mentions the Pentagon’s list of countries that can be regarded as candidates for a quick change of leadership. On that list are Iraq, Iran, Syria, Lebanon, Libya, and Somalia. Yugoslavia was not mentioned there because by that time the undesirable regime of Slobodan Milosevic had been overthrown with the help of precision and carpet bombings.

By the way, shortly after the Kosovo operation the tired general - Wesley Clark - retired and immediately got involved in the banking business. As it appears, he invested all his savings that he had accumulated as general, receiving from 150 to 200,000 dollars annually, in the banking business. Because of that he had to earn additional money, working as a military analyst on U.S. TV channels. However, he did not lose his contacts with Kosovo, where, following the previously mentioned democratization, entrepreneurship, especially, in the field of medicine, was on the rise. And now the Envidity Company that is in Clark’s ownership has filed a request for coal mining to the Kosovo authorities. Serbia, which does not recognize Kosovo’s independence, says that it is determined to demand protection for the natural resources belonging to it. Nobody wants to ask for Belgrade’s permission though as was the case many times before.

Wesley Clark always had good contacts with the Kosovo “government” and its “prime minister” – the former militant Hashim Thaci. There is even a street in Pristina named after Wesley Clark. By the way, a Russian political analyst and retired colonel-general Leonid Ivashov at the trial of Slobodan Milosevic mentioned the allied character of relations between the NATO troops and the militants of the Kosovo Liberation Army (KLA). As we can see, this cooperation has borne fruit, including both political and economic benefits, a Serbian journalist, Nikola Vrzic, says.

"It is clear that during their 'cooperation' that started in 1998, they concluded business agreements. Now it is absolutely clear that the bombings of Kosovo pursued both political and economic objectives: they were aimed not only at separating Kosovo from Serbia, but also at depriving Kosovo of its extensive natural resources. As it appears, coal is Kosovo’s main resource. Geologists say that there are other minerals there too. More prospecting for natural resources is needed there."

Against the background of instability on the oil market, experts talk more and more often about good prospects for the development of synthetic fuel, including obtaining synthetic fuel from coal. Clark’s firm believes that it is possible to produce up to 100,000 barrels of the new source of energy daily.

The economic motives of NATO’s military games are actually not a secret. Of interest here is the fact that in the middle of the 1990s, at the very height of the fratricidal war in Yugoslavia, NATO countries’ citizens bought property in the Balkan republic. Buyers were making preparations for a new “post-Yugoslav” reality. And Kosovo was a good training ground, an expert with the Institute of Europe of the Russian Academy of Sciences, Pavel Kandel, said in an interview with the Voice of Russia.

"Kosovo created a precedent. It was the first link in the strategy of the 'humanitarian' interventions of the NATO countries led by the USA. Shortly before the Kosovo operation, at the urgent request of Washington, NATO adopted a new doctrine, which set a number of tasks beyond defence limits before the member-states of the formerly defensive bloc. To be more exact, the possibility of interference in other regions of the world under this or that pretext became possible."

The strategy that was used earlier can be used again. Coal mining is very good but oil still has a good price. So everything continued, following the former format: Iraq, Somalia, and Libya. Something has gone wrong with Syria though. Damascus wants to develop democracy without humanitarian aid from the West. There are problems with Iran too. But economic strategists have enough patience: investor-generals are ready for investing at any time.


=== 2 ===


In Kosovo arrivano grandi quantità di droga

26/06/2012 - 19:37
Negli ultimi dodici mesi in Serbia sono stati sequestrati 1.478 chilogrammi di stupefacienti. Grandi quantità di droga sono state immagazzinate in Kosovo, nonostante la presenza dell’Eulex e l’Unmik,è stato detto nell’Istituto per la salute pubblica della Serbia in occasione della Giornata internazionale della lotta alla droga. Secondo le informazioni del Ministero dell’Interno della Serbia, negli ultimi dodici mesi in Serbia sono state eseguite 5.081 azioni di sequestro della droga e sono stati avviati 4.273 processi penali contro 5.215 persone. In questo periodo il numero dei consumatori è aumentato. L’eroina arriva in Serbia per lo più dall’Afganistan. L’80% dell’eroina che passa attraverso i Balcani che proviene dall’Afganistan arriva dalla Turchia. Il vice direttore della polizia serba Branislav Mitrovic ha detto che il Ministero dell’Interno della Serbia collabora con le polizie di altri Paesi nella lotta per la diminuzione della quantità della droga in circolazione e del numero dei consumatori.

Il valore della proprietà serba 50 miliardi di euro

26/06/2012 
Dal giugno del 1999 in Kosovo sono state distrutte 20.000 case serbe. Il valore della proprietà serba che è stata usurpata si valuta a più di 50 miliardi di euro.  E’ stata usurpata anche la proprietà dello stato serbo, in primo luogo tramite privatizzazioni illegali, ha dichiarato il vice Ministro per il Kosovo Branislav Ristic. Secondo il catasto il 58% della terra in Kosovo appartiene ai serbi. Soltanto nei disordini nel marzo del 2004 in Kosovo sono state distrutte circa 1.000 case serbe, nella maggior parte delle quali vivevano i profughi, ha detto Ristic. Dall’arrivo delle forze internazionali in Kosovo la proprietà dei serbi e delle etnie non albanesi è l’oggetto dell’usurpazione da parte degli albanesi. All’Agenzia kosovara per la restituzione della proprietà usurpata sono sate presentate 41.300 querele per la proprietà usurpata. L’Agenzia ha risolto 31.517 casi. Non esistono però informazioni sul numero delle decisioni che sono state realizzate e delle restituzioni della propreità, ha dichiarato Ristic.

Scontro sul ponte sul fiume Ibar

28. 06. 2012. - 19:43 -- MRS
Sul ponte principale sul fiume Ibar, il quale divide la parte settentrionale di Kosovska Mitrovica, abitata prevalentemente dalla popolazione serba, dalla parte meridionale nella quale vivono gli albanesi, stamattina si sono scontrati la polizia e un gruppo di serbi che sono arrivati dalla Serbia centrale. In questo incidente nessuno è stato ferito, ha confermato il portavoce regionale della polizia kosovara Sami Mehmetu. Egli ha precisato che i poliziotti hanno messo sotto controllo una settantina di persone. In seguito i serbi sono stati costretti ad abbandonare il Kosovo attraverso il valico Merdare, ha detto Mehmetu.

Attacco terroristico contro il punto della polizia

28. 06. 2012. - 19:42 -- MRS
Nel villaggio albanese Dobrusin, il quale è situato 16 chilometri a ovest da Bujnovac, nella Serbia meridionale, stamattina alle ore 4 e 20 minuti è avvenuto il nuovo attacco terroristico contro il punto della polizia a Bujanovac, il quale è stato eseguito dal territorio del Kosovo. In questo attacco un poliziotto è stato ferito in modo leggero, ha confermato all’agenzia Tanjug il portavoce della polizia a Vranje Dragan Stamenkovic. In questo secondo attacco terroristico negli ultimi giorni contro il punto della polizia a Dobrosin alla linea amministrativa che divide il Kosovo dalla Serbia centrale, nel quale si trovavano quattro poliziotti, è stato ferito il poliziotto Branislav Markovic. Il proiettile ha sfiorato la sua schiena, ha detto Stamenkovic.

Patriarca Irinej: Kosovo è la Gerusalemme serba

28. 06. 2012. - 19:46 -- MRS
Il patriarca serbo Irinej ha dichiarato a Gracanica, dove ha somministrato la liturgia in occasione del Vidovdan, che il Kosovo era, è e rimarrà il sacro territorio serbo – la Gerusalemme serba. Nel discorso che ha tenuto nel monastero Gracanica davanti al alcune centinaia di fedeli, il patriarca ha ricordato che il popolo serbo è stato costretto a trasferirsi molte volte e che ritornava sempre per ricostruire le case che sono state distrutte. Non dovete dimenticare mai che la libertà è una cosa sacra e un dono di Dio che è legato alla croce. Non dobbiamo dimenticare mai il Kosovo, perché se questo accadrà dimenticheremo sé stessi, ha dichiarato il patriarca Irinej. Alla liturgia hanno presenziato anche il segretario statale nel Ministero per il Kosovo Oliver Ivanovic e l’ambasciatore della Russia a Belgrado Aleksandar Konuzin. A Gracanica oggi sono arrivati serbi che vivono nel Kosovo settentrionale, Serbia celtrale, Montenegro e Repubblica serba. Il 28 giugno del 1389, al Vidovdan, il duca Lazar Hrebeljanovic e molti serbi sono stati uccisi nella battaglia sul campo del Kosovo contro l’esercito dell’Impero ottomano. Questa battaglia ha segnato la fine dello stato medievale serbo e l’inizio della sua sottomissione al dominio dell’Impero turco.

Scontri al valico di Merdare

28. 06. 2012. - 19:47 -- MRS
Negli scontri al valico Merdare, che divide il Kosovo dalla Serbia centrale, tra i serbi che viaggiavano verso Gazimestan e la polizia kosovara sono stati feriti 20 serbi, uno dei quali versa in gravi condizioni. Questo serbo è stato trasferito nell’ospedale a Nis. Negli scontri sono state usate le armi da fuoco, hanno comunicato i medici a Kursumlija. In questa cittadina serba nel sud della Serbia centrale è stato dato il primo soccorso ai serbi feriti dalle armi da fuoco. Il Ministero dell’Interno della Serbia ha comunicato che 54 serbi che viaggiavano verso Gazimesan hanno passato stamattina la linea amminsitrativa a Rudnica e Jarinje. Questo gruppo di serbi voleva celebrare a Gazimestan il Vidovdan e renedere omaggio agli eroi serbi che sono morti nella battaglia in Kosovo contro l’Impero ottomano nel 1389. La polizia albanese ha bloccato la strada vicino a Vucitrn ed ha imposto ai serbi di tornare nella Serbia centrale attraverso il valico Merdare, dove sono avvenuti gli scontri. Il 28 giugno del 1389, al Vidovdan, il duca Lazar Hrebeljanovic e molti serbi sono stati uccisi nella battaglia sul campo del Kosovo contro l’esercito dell’Impero ottomano. Questa battaglia ha segnato la fine dello stato medievale serbo e l’inizio della sua sottomissione al dominio dell’Impero turco.

Dacic: assicurare la pace ai serbi che vivono in Kosovo

28. 06. 2012. - 19:48 -- MRS
Il mandatario per la formazione della nuova maggioranza parlamentare Ivica Dacic ha dichiarato in occasione dei nuovi incidenti in Kosovo che le forze internazionali devono assicurare la pace, perché nella regione non sono presenti le forze di sicurezza della Serbia. Questi incidenti deprecabili devono essere impediti dalle forze internazionali. Ogni anno al Vidovdan in Kosovo accadono incidenti. Se il popolo serbo che vive in Kosovo non può celebrare il giorno del ricordo del grande martirio, si pone il quesito come qualcuno può assicuare la pace ai serbi che vivono in Kosovo. Il nuovo esecutivo serbo porrà l’accento sul fatto che in Kosovo non si trovino le nostre forze di sicurezza. Tutti i colloqui devono partire da questo fatto, affinché sia preservata la pace, ha dichiarato Dacic.

Konuzin: Pristina viola diritti internazionali ed umani

28. 06. 2012. - 19:48 -- MRS
L’ambasciatore della Russia in Serbia Aleksandar Konuzin ha dichiarato che le autorità albanesi di Pristina violano gli elementari diritti internazionali e umani non permettendo ai funzionari dell’esecutivo serbo di entrare in Kosovo. Konuzin ha detto che il divieto al Ministro serbo per il Kosovo Goran Bogdanovic di entrare in Kosovo non darà un contributo al prestigio delle istituzioni kosovare. Dovete sapere che quando serbi decideranno come risolvere il problema del Kosovo noi appoggeremo la loro decisione, ha detto Konuzin dopo la liturgia del Vidovdan che è stata celebrata nel monastero Gracanica.


=== 3 ===


Kosovo: il Tpi chiede 20 anni per Haradinaj, capo dell'Uck

di  Redazione Contropiano
Lunedì 25 Giugno 2012 18:49

Era scampato al primo processo, intimidendo i testimoni. Ma ora il Tribunale Penale internazionale chiede 20 anni di reclusione per il boss dell'Uck Ramush Haradinaj e per due suoi luogotenenti. Torturarono e uccisero.

La procura del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia ha chiesto 20 anni di carcere almeno per l'ex primo ministro kosovaro Ramush Haradinaj. "La pena più breve che possa essere comminata è di 20 anni di prigione", ha dichiarato Paul Rogers, rappresentante dell'ufficio del procuratore, durante un'udienza pubblica all'Aia, sede dell'organismo. 
Ex comandante dell'Armata di liberazione del Kosovo (Uck), 43 anni, Haradinaj è stato assolto il 3 aprile 2008 da 37 capi d'imputazione per crimini contro l'umanità, commessi principalmente in un centro di detenzione dell'Uck a Jablanica, nel sud-ovest del Kosovo, contro persone considerate "collaboratori" dei serbi. Il Tpi ha deciso in appello per un nuovo giudizio relativo a sei capi di imputazione, tra questi omicidio e tortura, stimando che il precedente processo era stato messo a repentaglio dalle intimidazioni subite dai testimoni. Il nuovo procedimento è cominciato il 18 agosto 2011. 
"Coloro che non sostenevano gli ideali dell'Uck venivano uccisi, maltrattati e torturati a Jablanica", ha detto oggi Rogers, "venivano stilate liste nere". L'accusa ha chiesto anche pene di almeno 20 anni di carcere per due co-imputati, il quarantenne Idriz Balaj (ex comandante dell'unità speciale delle 'Aquile Nere' dell'Uck) e Lahi Brahimaj, 42 anni, un altro responsabile dell'Uck. I tre, ha portato come esempio estremo Rogers, un giorno hanno assistito alla tortura di alcuni ragazzi, due albanesi sospettati di collaborazionismo e un serbo, e a quest'ultimo Balaj tagliò un orecchio. Il tutto avvenne in un Kosovo prima bombardato e poi occupato dalle truppe della Nato, che sostennero la pulizia etnica e politica dell'Uck prima dall'alto e poi sul terreno, consegnando il potere alle bande di Haradinaj e di altri boss che hanno trasformato la provincia secessionista in un narco-stato. 
Haradinaj, che dopo l'occupazione del Kosovo è diventato per un certo periodo anche premier, è in libertà provvisoria dallo scorso 10 maggio ed è tornato a Pristina, dove viene ancora considerato un eroe dagli albanesi del Kosovo. Il processo in prima istanza, avviato a marzo 2007, era stato caratterizzato dal timore dei testimoni a presentare la loro versione dei fatti davanti alla corte: una ventina di loro ha tentato in ogni modo di sottrarsi per paura di ritorsioni da parte dei seguaci di Haradinaj e della rete tuttora legata all'UCK.


=== 4 ===


Kosovo, la richiesta dell'Europarlamento  
"Riaprite l'indagine insabbiata sui fondi neri"


Sono undici i dossier sui 3 miliardi stanziati per la ricostruzione dell'ex provincia serba. Ma in quattro anni l'Eulex, l'organismo incaricato di amministrare la giustizia, non ha raggiunto alcun risultato. Nel silenzio sia dell'Onu che dell'Ue. Repubblica è riuscita a visionare documenti che mettono sotto accusa la società elettrica del Paese e l'aeroporto internazionale di Pristina. Ora dall'assemblea di Strasburgo parte una richiesta alla Commissione

di STEFANO VALENTINO

BRUXELLES ha appena stanziato 111 milioni di euro per rinnovare di un anno il mandato dell'Eulex: questo il nome in codice del team di 3000 uomini - tra amministratori,  giudici  e poliziotti - incaricato di portare democrazia e giustizia in Kosovo. Ma in quattro anni l'Eulex è costato ai contribuenti europei oltre 500 milioni di euro. Un costo record , sproporzionato rispetto ai risultati ottenuti. E la sua super-procura di 60 magistrati e procuratori non ha ancora risolto il "giallo" della malversazione dei fondi europei destinati alla ricostruzione postbellica nell'ex provincia serba. Fondi che la Commissione europea aveva dato in gestione all'Unmik, la missione speciale Onu che ha amministrato politicamente ed economicamente il Kosovo dal 2000 al 2008, ossia fino al passaggio di poteri al nuovo governo locale dichiaratosi indipendente dalla Serbia.

L'italiana Maria Giuliana Civinini, presidente dell'assemblea dei giudici Eulex ed ex-membro del Consiglio supremo della magistratura, ha risposto con un no comment alla nostra richiesta di chiarimenti su una questione che è ormai dimenticata da governi e stampa internazionale. A chiedere di far luce sui dossier insabbiati - nel silenzio di Unione europea e Onu - resta solo qualche frangia dell'Europarlamento. L'ultima iniziativa è quella dell'eurodeputato socialista Pino Arlacchi, membro della Commissione affari esteri a Bruxelles, noto per aver co-fondato la Direzione Investigativa Anti-mafia in Italia negli anni '90. Arlacchi ha inviato un'interrogazione scritta all'euro commissario all'allargamento, Štefan Füle.

L'interpellanza, di cui Repubblica ha preso visione, chiede ai vertici dell'esecutivo Ue di tirar fuori dai cassetti i fascicoli relativi alle 11 indagini aperte tra il 2002 e il 2006 dall'Olaf, l'Ufficio europeo di lotta alla frode. Documenti top secret, archiviati nel quartier generale ONU di New York e da noi ottenuti in via confidenziale, affermano che gli 11 fascicoli riguardano la Società elettrica del Kosovo e l'Aeroporto internazionale della capitale Pristina. Ossia i principali beneficiari dei 3 miliardi di euro versati nelle casse Unmik dai donatori internazionali. Due terzi dell'importo sono stati erogati dall'Ue, nonostante i campanelli d'allarme sul rischio di frodi suonati più volte dalla Corte dei conti europea e da revisori contabili indipendenti. 

L'Unmik aveva di fatto commissariato la società elettrica, l'aeroporto e tutti gli altri vecchi enti statali serbi d'epoca comunista, affidandone il controllo a un direttorio di consiglieri internazionali e locali posti alle sue strette dipendenze, sebbene stipendiati dall'UE. Ma l'Onu e l'Ue continuano a trincerarsi dietro un muro di gomma, addossandosi reciprocamente responsabilità su come il direttorio utilizzava i fondi internazionali elargiti per la ristrutturazione degli enti statali. C'è di più. Un accordo sottoscritto dalle due organizzazioni internazionali legava e lega tuttora le mani all'Olaf. Innanzitutto, gli euro-finanzieri potevano indagare sui fondi spesi dall'Unmik solo in collaborazione con gli organi inquirenti dell'Unmik stessa. Inoltre, erano tenuti a fare rapporto esclusivamente al capo dell'Unmik che aveva facoltà discrezionale di trasferire o meno le pratiche all'ex-Procura Unmik, oggi sostituita da quella Eulex. 

Tuttora l'Olaf non può comunicare i risultati delle indagini neanche agli altri servizi della Commissione europea. "Abbiamo ripetutamente chiesto all'Unmik informazioni sul lavoro svolto dalla sua task force di inquirenti, ma finora ci sono sempre state rifiutate", afferma Ruud van Enk, funzionario alla Direzione Generale sull'Allargamento dell'esecutivo di Bruxelles. Già in seguito alla sua missione di monitoraggio in Kosovo, nel 2008 l'Europarlamento aveva interpellato  l'allora euro-commissario all'allargamento, Olli Rehn, biasimando "la mancanza di volontà delle Nazioni Unite a cooperare con i rappresentanti dell'Ue su questioni di trasparenza e di controllo finanziario". Olli Rehn aveva promesso di richiedere informazioni all'Olaf  e riferire, ma poi ha concluso il suo mandato senza aver fatto saper più nulla. 

"L'Eulex deve chiarire come intende trattare i casi non adeguatamente esaminati dai procuratori Unmik", dichiara Bart Staes, capo della delegazione europarlamentare che ha nuovamente visitato il neonato stato balcanico l'anno scorso. "Io stesso sono andato in Kosovo e ho riscontrato un'assoluta incompetenza  e disorganizzazione all'interno dell'Eulex", dichiara Arlacchi. Fatto sta che fino al 2009, un anno dopo l'avvio del suo mandato, la Procura Eulex non sapeva neanche quali fossero i casi di malversazione di fondi europei ereditati dalla procura Unmik. Lo dimostra uno scambio di corrispondenza, consegnatoci da fonti Unmik, in cui il giudice Eulex, Alain Bloch, chiedeva all'ex-procuratore Unmik, Theo Jacobs, di fonirgli gli estremi dei casi  in questione.

Alla sua risposta, Theo Jacobs ha allegato solo i documenti d'indagine sull'Aeroporto, ma non quelli sulla Società elettrica. Che fine hanno fatto dunque le pratiche? "Abbiamo trasferito tutti i procedimenti completati ai tribunali locali, in conformità con l'accordo Unmik - Eulex", dichiara Annunziata Ciaravolo, ex-capo della Procura Unmik e attualmente giudice delle indagini preliminari al Tribunale di Milano.

"Se un'inchiesta non è stata eseguita correttamente e se un procuratore locale non vuole o non può riaprirla, i procuratori dell'Eulex potrebbero farlo, a condizione che venga fatta una corretta valutazione delle prove disponibili", spiega Kai Mueller-Berner, ex-portavoce Eulex. Agenti Olaf affermano che dalle indagini sui fondi spesi per la Società elettrica erano emersi comportamenti più che sospetti. "Ci aspettavamo che la Procura Unmik ci chiedesse di proseguire le indagini, piuttosto che archiviarle", fa eco Roberto Magni, agente della Guardia di Finanza ed ex-capo dell'Unità investigativa finanziaria Unmik che ha collaborato con l'Olaf.

L'inchiesta e' stata supportata da European Investigative Journalism Fund 1, una prestigiosa fondazione di giornalismo con sede a Bruxelles che ha finanziato questo lavoro di ricerca sul Kosovo
 

(28 giugno 2012)


=== 5 ===

http://www.rt.com/news/conflict-coverage-jatras-kosovo-659/

RT - July 8, 2012

'Washington backed jihadist elements in Kosovo, now in Syria'


The Western media's coverage of the Syrian conflict has drawn comparisons to how it covered conflicts in the past, most notably the series of brutal wars that accompanied the disintegration of Yugoslavia in the 1990s.
James Jatras, the director of the American Council on Kosovo, believes the similarities between the two conflicts run deep. 
“There are similarities on three crucial levels when we look at Syria,” Jatras told RT. “One has to do with the international system, the rule of law, the role of the Security Council. Another has to do with the status of sovereign states, and how you treat a sovereign state that has an insurgency within its borders.”
The third level involves taking a complex situation involving atrocities and violence committed on both sides of the conflict, and attributing them only to one side. 
“What you do is come up with a concept, and you fit the facts into the concept. You don’t take a step back in good faith, look at what’s really going on, look at the suffering of people on both sides,” Jatras noted. 
Jatras believes that the West has essentially been pouring gasoline on a smoldering fire, using words like “genocide,” and only wants victory for one side and utter destruction for the other.  
He also took note of the similar fates of the Christian population in both the Kosovo and the Syrian conflict. 
“Why is it that in the name of fighting terrorism and promoting democracy, the United States always seems to find itself on the side of jihadist elements engaging in terrorism with predictable results for the Christian population, as we saw in Kosovo when half of the Orthodox Serb population had to flee the province, and thousands of them were killed by the ‘liberators,’ – the Kosovo Liberation Army?"
Jatras told RT that there are several reasons why the United States may be willing to support Islamic fundamentalists. Most importantly, it is America’s cozy relationship with Saudi Arabia and the Gulf States, and hence its desire to show it has its friends' backs when it comes to facilitating an environment for international commerce.


=== 6 ===

Il capo della missione OSCE in Kosovo-Metohija, Werner Almhofer, ha condannato l’assassinio di Milovan e Ljiljana Jevtic, rimpatriati serbi nel borgo kosovaro di Talinovac, nel comune di Urosevac. "Sono costernato e triste per questo crimine, e sono convinto che la polizia e la giustizia faranno il possibile per risolvere al più presto il caso", ha affermato il capo della missione OSCE. Nel frattempo, i due serbi-kosovari non sono stati nemmeno sepolti nella loro terra natìa, bensì a Kraljevo, in Serbia centrale, dove almeno si spera che le loro tombe non saranno devastate, come invece regolarmente avviene nei cimiteri serbi del Kosovo.

Zločini bez kazne

Pon, 09/07/2012

Još dvoje Srba na Kosovu i Metohiji, svirepo je ubijeno pre nekoliko dana. Policijski i pravosudni organi u Pokrajini kažu da ne znaju ni ko je uradio to zlodelo, ni zbog čega, mada je jasno da je reč o etnički motivisanom zločinu, koji ima za cilj da se i ono malo Srba što je ostalo na Kosmetu, obezglavi i protera.

U kući srpske porodice Milovana i Ljiljane Jevtić u selu Talinovac kod Uroševca, boravio sam tri puta od njihovog povratka. Još mi je u svežem sećanju Milovanova energija i optimizam, želja da obnovi selo, da se vrati što više dojučerašnjih komšija. Sedeli smo najčešće na terasi, probali sočne kruške i šljive iz njegovog voćnjaka, ili med iz njegovog pčelinjaka, koji je formirao odmah nakon povratka. Ipak, najradije se setim priče o njegovom novom ljubimcu, malenom psu, koji je, gotovo neobjašnjivo, jednostavno napustio svoje dotadašnje vlasnike, komšije Albance i preselio se kod Jevtića. I ništa ga više nije moglo od njih odvojiti. Albanci su ga nekoliko puta, mimo njegove volje, nosili svojoj kući, ali psić se uvek vraćao Jeftićima. Milovan mi je pričao da je u „komunikaciji“ sa pridošlim ljubimcem u početku bilo izvesnih poteškoća, tačnije nije razumeo kad mu se ovaj obraća na srpskom jeziku, ali da je za vrlo kratko vreme, sve „skapirao“ i znao šta se od njega traži.

Na sve što su uradili, Milovan i Ljiljana su bili ponosni, često su isticali da veruju komšijama Albancima, jedan od njih im je sačuvao i kuću, praktično nedirnutu. Štaviše, govorili su da nemaju razloga za strepnju, da slobodno idu gde god hoće. Milovan je kao predstavnik sela imao i kombi vozilo koje je bilo na raspolaganju svim povratnicima. Kome su to onda ovi ljudi smetali, čime su zaslužili da budu surovo likviditrani?

Ne mogu, a da se ovde ne setim još jednog mučenika, mog sagovornika i prijatelja, koji je na istovetan način i iz istih razloga izgubio život u kući u kojoj se rodio, a iz koje su ga terali. Sredinom juna 2006. godine, posetio sam, naime, povratnika Dragana Popovića, iz varošice Klina u Metohiji. Tek se bio vratio u svoju kuću, sa ogromnim dvorištem i voćnjakom, kosio je travu i uređivao okućicu. Sedeli smo za tek napravljenim stolom, u debeloj hladovini, pili „mušku“ kafu i pričali o planovima. Bio je hrabar i odlučan da ostane u svojoj kući, iako je znao da mu prete. Pokazivao je „sveže“ tragove od kuršuma u kućnim vratima i na zidu, čime su mu komšije poželele „dobrodošlicu“. Neće, kazivao je, bežati pred ovim kukavicama iz mraka, a ja sam mu obećao da ću ga ponovo posetiti. Popovića, na žalost, nikada više nisam video, ubijen je nekoliko dana nakon našeg poslednjeg viđenja, metkom u potiljak. Ni ovaj Srbin, u ozbiljnim godinama, nikome ništa nažao nije učinio. A do dan danas, policija i pravosudni organi na KiM, „ne znaju“ ko ga je i zašto likvidirao.

U selu Grebnik kod Kline, prošle godine, nekako u ovo vreme i u istom kontekstu, jadao mi se još jedan srpski povratnik - Đuro Krasić. ”Mi smo ti, govorio je, kao psi. Može ko god hoće da nas maltretira, napadne, ubije, a da za to nikom ne odgovara. Zato gledaj da sam čuvaš glavu, i ni od koga ne očekuj zaštitu.“

Ovo su samo fragmenti jedne opšte kosovske slike, a sve to na slikovit način svedoči kako danas izgleda „multietničko i demokratsko” Kosovo, za koje zapadni zvaničnici tvrde da je postiglo uspeh i standarde u vladavini prava. Ubistva Srba i drugi zločini, prema njima, događaju se uvek i po pravilu onda kada je vidljiv iole ozbiljniji uspeh na povratku ili stvaranju uslova za njihov normalan živor. Počinioci, takođe po pravilu, nikada ne bivaju otkriveni. Nisu li to onda očigledni i više nego dovoljni pokazatelji da je reč, ne o zločinu neodgovornih ekstremnih albanskih pojedinaca, već o smišljenoj strategiji upravo onih koji danas vladaju Kosovom!? I, zašto Zapad uporno, na sve te zločine, zatvara oči?

Autor Vukomir Petrić



Kraljevo : Sahranjeni supružnici Jevtić sa Kosmeta

Pon, 09/07/2012

Na Novom groblju u Kraljevu danas su u prisustvu rodbine i prijatelja sahranjeni supružnici Milovan i Ljiljana Jevtić, koji su u petak ubijeni u svojoj kući u selu Talinovac kod Uroševca na Kosovu i Metohiji. Sahrani je prisustvovalo oko 500 građana, među kojima i dvadesetak komšija iz Talinovca koji su organizovano došli kako bi poslednji put odali poštu Jevtićima. Kosovska policija i Euleks, koji vode istragu o ubistvu bračnog para srpskih povratnika, do sada nisu saopštili nikakve detalje o motivu svirepog zločina niti su uspeli da identifikuju i uhapse počinioce.


---


B92 - 8 juillet 2012

Kosovo : le meurtre d’un couple de Serbes remet en cause le fragile processus des retours


Traduit par Philippe Bertinchamps

Un couple de Serbes revenus vivre au Kosovo depuis 2004 a été assassiné vendredi soir dans un village proche d’Uroševac/Ferizaj. Ce double meurtre a été vivement condamné par Belgrade, tandis qu’il replonge les Serbes du Kosovo dans les pires heures d’angoisse. Les autres familles serbes de ce village ont décidé de ne pas quitter le Kosovo, mais demandent la protection de la Kfor.

Milovan Jevtić et sa femme Ljiljana ont été tués vendredi soir vers 22 heures dans le village de Talinovac, près d’Uroševac/Ferizaj. Les époux étaient âgés d’environ 55 ans, et Milovan était représentant au Conseil du village, a déclaré le ministre serbe pour le Kosovo.

Selon le porte-parole de la police régionale du Kosovo, Agim Gashi, le couple a été tué avec une arme de calibre 7.62. 
La police est à la recherche des auteurs de ce crime. Personne n’a encore été arrêté.

Le coordinateur de la municipalité serbe d’Uroševac, Milan Janjić, a déclaré que le mobile de ce meurtre était inconnu. L’adjoint du ministre serbe pour le Kosovo, Saša Rašić, a indiqué samedi à Tanjug que la police du Kosovo avait ouvert une enquête et que les unités spéciales travaillaient sur cette affaire. Il a ajouté que les circonstances de ce meurtre étaient encore floues.

Selon Milan 

Janjić, Ljiljana était arrivée quelques jours auparavant à Talinovac, où vivent déjà huit familles de Serbes revenus au Kosovo. Milan 

Janjić a indiqué que Milovan et Ljiljana Jevtić étaient revenus au Kosovo en 2004. Ils laissent deux enfants qui vivent en Serbie centrale.

Les villageois n’ont rien entendu, car la maison est située en retrait du village. 
C’est un voisin albanais, qui assure une garde du village, qui a découvert les cadavres. « EULEX et la police du Kosovo ont placé des scellés sur la maison », a déclaré Milan Janjić à KiM Radio. 
Branislav Milenković, du Conseil représentatif du village, a expliqué qu’il a vu les Jevtić la dernière fois ce vendredi.

Il a demandé à la police d’évacuer cinq ou six familles du village en direction de l’enclave serbe de Štrpce, mais un policier a déclaré que les villageois ne devaient pas s’inquièter pour leur sécurité, car le KPS était déployé dans le village. Les huit familles serbes de Talinovac ont finalement pris la décision collective de rester au Kosovo, mais elles demandent que leur sécurité soit également assurée par la Kfor.

Le Secrétaire d’État pour le Kosovo et Metohija Oliver Ivanović a déclaré que ce meurtre révélait que « personne à Pristina ne s’occupait de la sécurité des Serbes », tandis que Rada Trajković, députée au Parlement du Kosovo, expliquait qu’après ce meurtre, les Serbes du Kosovo se sentent une fois de plus « abandonnés ».





Slovenia: NO to NATO, NO to austerity measures

1) New austerity package in Slovenia
2) Slovenia's leading newspaper calls for country to leave NATO


=== 1 ===
 

New austerity package in Slovenia

By Markus Salzmann 
6 July 2012

With Slovenian banks heavily in debt, the right-wing government of Prime Minister Janez Jansa is acceding to the demands of the European Union and international financial institutions for tougher austerity measures.

The banking sector of Slovenia (formerly a part of the Yugoslav Republic) notched up its third successive year of losses in 2012. The country’s three biggest banks are now calling for injections of capital by the state.

State-owned Nova Ljubljanska Banka (NLB) must raise 320 million euros to meet the requirements of the European Banking Authority. Last April credit rating agency Moody’s downgraded the NLB’s rating, along with those of several other Slovenian banks.

The proportion of bad loans rose in March this year to nearly twelve percent of all loans, or over six billion euros. The debt crisis has led to a freeze on bank lending, principally affecting the construction, insurance, and financial services industries.

The media has already identified Slovenia as the EU’s next “problem child.” A decline in economic output of 1.5 percent is forecast for this year. Last year the economy shrank by 0.2 percent. At 5.5 percent, the interest rate for Slovenian government bonds is one percent higher than a year ago. In December 2009, the EU initiated a so-called deficit procedure against Slovenia over its “excessive budget deficit.”

To comply with EU requirements, the Slovenian parliament adopted an austerity package in May for 2012 and 2013. Public expenditure is be cut back by 800 million euros this year and 750 million euros in 2013. Last year, the budget deficit was 6.4 percent of GDP. The cuts aim to reduce it to 4 percent of GDP this year and under 3 percent by 2013.

The new austerity package, which is particularly directed at the public sector, was preceded by a vote in the Slovenian parliament to reduce corporate tax rates. The tax rate was cut from 20 to 18 percent and will fall a further one percent each year until it reaches a rate of 15 percent by 2015. This will make it among the lowest rates in Europe.

The right-wing parties took over government earlier this year with the declared aim of imposing the austerity measures, which the previous social-democratic government had failed to implement due to internal divisions.

The Positive Slovenia party won the most votes in the federal election in December 2011. The mayor of the capital, Zoran Jankovic, had founded the party two months earlier to run in the election. Jankovic failed to secure a majority in parliament, however.

The conservative Slovenian Democratic Party (SDS) then formed a coalition with the People’s Party (SLS), the New Slovenia Party (NSI), the Civil List and the pensioner’s party Desus. Jansa was prime minister from 2004 to 2008 and led Slovenia into the EU.

Under Jansa, Slovenia was one of the first EU countries to ratify the new European fiscal pact this spring. A leading role in the drafting of the new austerity package was played by Finance Minister, Janez Sustarsic, a proponent of a radical austerity. He now plans to introduce a “debt brake” balanced-budget amendment into the country’s constitution.

The Government also announced further privatizations and a new social contract. According to government officials, the contract is to be the starting point for “systemically important” changes in labour legislation, pension and health care.

Half of the planned savings will be achieved through cuts in public spending. The measures include pay cuts of 15 percent for civil servants, who will also lose holiday pay. In addition, teachers will be required to work for about three hours longer per week, and class sizes are to be expanded. This is supposed to eliminate some 420 million euros in spending in two years

There are also plans for a series of severe cuts in social benefits. Unemployment benefits are to be reduced and their duration limited to 18 months. Child support and subsidies for food for students will also be cut, as well as funding for child care and kindergarten.

Prime Minister Janez Jansa defended the planned austerity measures, which he described as mild given Slovenia’s situation, and announced further cuts. “This is just the first step, it will not be enough,” the Premier added.

To limit opposition to the measures, the governing parties also agreed to make it harder to hold popular referendums. When they were out of government, the SDS used such referendums to block social-democratic plans for pension and labour market reform.

An estimated 100,000 employees in the public sector struck against the austerity measures in April. Schools and kindergartens were closed and many hospitals reduced to emergency service. There were traffic jams at border crossings with Croatia as tax collectors and police officers joined the protests. Demonstrations against the government took place in cities across Slovenia.

Amid mounting public outrage, the trade unions have played a key role in suppressing strikes and protests. Close collaboration between government, business and the trade unions has characterized Slovenian political life since it broke away from Yugoslavia.

The unions played a key role in privatizating enterprises in the early 1990s and suppressed all opposition by workers to the sell-off of key sectors of the Slovenian economy. The trade union federation ZSSS saw itself as “active partners in the privatization process.”

Immediately after the April strikes, the unions declared their support for the government’s course. Many unions openly supported the current government’s policies and have refrained from initiating any referendums against its planned labour market reforms.

The daily newspaper Dnevnik aptly remarked: “Jansa’s Shock Doctrine, like his principle of taking from the poor to give to the rich, is made possible mainly due to the passive and submissive nature of the media and the behaviour of the unions and leftist opposition parties.”



=== 2 ===

http://news.xinhuanet.com/english/world/2012-07/07/c_131701017.htm

Xinhua News Agency - July 7, 2012

Slovenia's leading newspaper calls for country to leave NATO


LJUBLJANA: Slovenia's leading newspaper Delo on Saturday criticized NATO's failure in Afghanistan and suggested that the government consider leaving "this anachronistic organization."

Slovenia would be wise to leave NATO because its money is being spent on the alliance's "failed project" in Afghanistan while domestic spending cuts are affecting pensioners, young families, culture and education, Delo said in a commentary.

The fact is that joining the alliance was the biggest and most expensive mistake of Slovenian foreign policy, Delo wrote. The newspaper said that NATO is no longer an alliance for the protection of its members and instead has become an organization that intervenes around the world.

"The current crisis is an excellent opportunity to leave this anachronistic organization, which is lost in time and space," the Delo article said.

The call for leaving NATO was made after the Slovenian government pledged to provide 500,000 U.S. dollars to Afghan security forces after NATO ends its combat operations there in 2014.

Based on the principle "in together, out together," Slovenian troops would stay in Afghanistan until the completion of the mission of the NATO-led International Security Assistance Forces, Prime Minister Janez Jansa said Thursday.

After 11 years of war in Afghanistan since October 2001, the U.S.-led forces recently announced plans to hand over security responsibilities to Afghan forces in 2013, and to withdraw the ISAF by the end of 2014.




In memoria di Vittorio Tranquilli

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus si unisce al cordoglio per la scomparsa del prezioso e indimenticabile compagno Vittorio Tranquilli.
Formatosi politicamente alla scuola dei "comunisti cristiani" di Franco Rodano, Vittorio aveva mantenuto fin dopo la fine degli anni Ottanta e dopo lo scioglimento del PCI quella esigenza di impegno sociale e quella impostazione rigorosa che a ogni cosa anteponeva la dignità dell'individuo. Coerentemente con questo imperativo morale, allo scoppio della guerra fratricida in Jugoslavia egli aveva immediatamente riconosciuto l'enorme ingiustizia perpetrata ai danni di milioni di esseri umani dall'altra parte dell'Adriatico ed aveva avuto l'onestà ed il coraggio, mancati a tanti suoi ex-compagni, di andare a guardare anche dall'altra parte della barricata, dai "nemici" serbi, promuovendo da subito iniziative di solidarietà, di conoscenza e di amicizia internazionalista con scuole della Vojvodina (Bačka Topola) e della Repubblica Serba di Bosnia. 
Era ancora la metà degli anni Novanta quando Vittorio ed altri compagni della capitale avviavano anche le prime iniziative di contro-informazione, per contrastare la propaganda di guerra ed abbattere l'ostracismo razzista imperante nei confronti della parte jugoslava e serba; subito dopo gli accordi di Dayton, Vittorio contribuiva ad organizzare e poi presiedeva una due-giorni di discussione su questi temi all'Università di Roma "La Sapienza" (1).
Con il passare degli anni le iniziative di solidarietà aumentavano, ed aumentava in particolare il numero di quelle che lui anziché "adozioni a distanza" preferiva chiamare "borse di studio" attivate dall'Italia a sostegno dei giovanissimi vittime della ferocia dei potenti. Aumentava però purtroppo anche l'estensione di quella guerra scatenata per la distruzione della Jugoslavia, fino ai bombardamenti incostituzionali e criminali del 1999.
In quel periodo alcuni di noi hanno fatto scelte di priorità diverse rispetto a Vittorio, concentrandosi di più sugli aspetti politici e sulla critica alla disinformazione strategica, laddove Vittorio intensificava instancabilmente, nonostante l'età oramai avanzata, le iniziative di solidarietà umanitaria, allargandone anche lo spettro dei beneficiari. Altri, tra di noi, hanno invece incontrato Vittorio e la sua onlus "A, B, C, solidarietà e pace" (2) proprio allora, dopo il '99, e con Vittorio e la sua associazione hanno intrapreso una collaborazione efficace, ad esempio a sostegno delle famiglie degli operai ed ex operai della Zastava di Kragujevac, la grande fabbrica metalmeccanica dapprima bombardata e poi espropriata dalla FIAT. 
Tutti noi - sia chi negli anni ha perso di vista il "vecchio" Vittorio, sia chi invece lo ha sempre di più affiancato nelle iniziative di solidarietà - siamo certi che gli amici di "A, B, C, solidarietà e pace" e tutti quelli lo hanno conosciuto ne continueranno l'opera con lo stesso entusiasmo e lo stesso spirito di fratellanza fra i popoli che egli ci ha insegnato.

Per CNJ-onlus, il segretario
Andrea Martocchia



Inizio messaggio inoltrato:

Da: -- JEDINSTVENA SINDIKALNA ORGANIZACIJA ZASTAVA KRAGUJEVAC<jsozastava @ open . telekom . rs> 
Data: 07 luglio 2012 11.19.49 GMT+02.00

07 07 2012

È MORTO “SUPERDEKA” (SUPERNONNO)

Ci ha profondamento colpita notizia triste sulla scomparsa di nostro supernonno come lo chiamavano i bambini e ragazzi della grande famiglia della Zastava.
L’abbiamo conosciuto nel ’99 mentre le bombe e missili colpivano il nostro paese quando e venuto tra i primi assieme alla sua delegazione per mostrarci che oltre le frontiere bloccate c’era una parte d’Italia che ci era vicina e che aveva rifiutato ad accettare le bugie servite nella guerra massmediatica, l’Italia che richiedeva il rispetto dell’Articolo 11 della Costituzione italiana.
Gia dal ’99 “il nostro” Vittorio Tranquilli era diventato nonno di tutti i ragazzi, non solo di Kragujevac ma anche di parecchie citta in Serbia, Bosnia, Repubblica Srpska e fino all’Africa.
E morta la Yugoslavia, e morta la Zastava, anche tu caro nonno sei andato al tuo ultimo viaggio ma noi ci ricorderemo per sempre di te...
Ti vogliamo bene

SINDACATO ZASTAVA
(Sindacato Unitario – Samostalni)
Kragujevac
e
tutti i bambini e ragazzi adottati dall’
Associazione ABC – solidarieta e pace




Guerra mediatica contro la Siria

1) La storia è il nemico e le "magnifiche" psy-ops diventano notizia (John Pilger)
2) I paesi della NATO conducono una guerra d’informazione con la Siria ed annullano fisicamente i giornalisti siriani (Thierry Meyssan)


=== 1 ===


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 26-06-12 - n. 415

Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
La storia è il nemico e le "magnifiche" psy-ops diventano notizia
 
di John Pilger
 
21/06/2012
  
Arrivando in un villaggio nel sud Vietnam, vidi due bambini che certificavano la guerra più lunga del 20° secolo. Le loro orribili malformazioni erano familiari. Lungo tutto il fiume Mekong, dove le foreste erano state pietrificate e rese silenziose, piccole mutazioni umane vivevano come meglio potevano.
 
Oggi, all'ospedale pediatrico Tu Du di Saigon, un'ex sala operatoria è conosciuta come la "sala di raccolta" e, ufficiosamente, come la "stanza degli orrori". Ha scaffali pieni di grandi ampolle contenenti feti grotteschi. Durante l'invasione del Vietnam, gli Stati Uniti irrorarono un erbicida defoliante sulla vegetazione e i villaggi per negare "copertura al nemico". Era l'Agente Orange, che conteneva diossina, un veleno tanto potente da causare morte fetale, aborto spontaneo, danni cromosomici e cancro.
 
Nel 1970, un rapporto del Senato statunitense rivelava che "gli Stati Uniti hanno scaricato [sul Vietnam del sud] una quantità di sostanze chimiche tossiche pari a tre chili pro capite, compresi donne e bambini". Il nome in codice per quest'arma di distruzione di massa, Operazione Hades (aldilà), fu cambiato nel più benevolo Operazione Ranch Hand (vaccaro). Oggi, si stima che 4,8 milioni di vittime dell'Agente Orange sono bambini.
 
Len Aldis, segretario della Società di amicizia Gran Bretagna-Vietnam, è da poco tornato dal Vietnam con una lettera per il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) da parte dell'Unione delle donne del Vietnam. La presidente, Nguyen Thi Thanh Hoa, descrive "le gravi malformazioni congenite [causate dall'Agente Orange] di generazione in generazione". Ha chiesto al CIO di riconsiderare la sua decisione di accettare la sponsorizzazione per le Olimpiadi di Londra della Dow Chemical Corporation, una delle società che ha prodotto il veleno e che si è rifiutata di risarcire le sue vittime.
 
Aldis ha consegnato a mano la lettera all'ufficio di Lord Coe, presidente del Comitato Organizzatore di Londra. Non ha avuto risposta. Quando Amnesty International ha sottolineato che nel 2001 la Dow Chemical ha acquisito "la società responsabile della fuga di gas a Bhopal [in India nel 1984] che ha ucciso all'istante tra le 7.000 e 10.000 persone e 15.000 nei successivi venti anni", David Cameron ha descritto la Dow Chemical come una "rispettabile società ". L'imperativo è sorridere allora, quando le telecamere faranno una panoramica sull'abito da parata da 7 milioni di sterline che rivestirà lo Stadio Olimpico, il prodotto di 10 anni di "accordo" tra il CIO e un rispettabile distruttore.
 
La storia è sepolta con i morti e i deformi del Vietnam e di Bhopal. La storia è il nuovo nemico. Il 28 maggio, il presidente Obama ha lanciato una campagna per falsificare la storia della guerra in Vietnam. Per Obama, non c'era Agente Orange, non c'erano le "free-fire zone" [aree in cui venivano eliminati tutti i civili, ndt] e i tiri al bersaglio, nessuna fossa di occultamento dei massacri, nessun razzismo dilagante, né suicidi (molti americani che si tolsero la vita diventano caduti nel conflitto), nessuna sconfitta per opera di un esercito partigiano nato da una società ridotta in miseria. E' stata, dice il signor Hopey Changey, "una delle storie più straordinarie di coraggio e integrità negli annali della storia militare [USA]".
 
Il giorno seguente, il New York Times ha pubblicato un lungo articolo che documenta come Obama scelga personalmente le vittime dei suoi attacchi con i droni in tutto il mondo. Lo fa durante il "martedì di terrore", visionando foto segnaletiche da una "kill list", alcune delle quali di adolescenti, tra cui "una ragazza che sembrava ancora più giovane dei suoi 17 anni". Molti sono sconosciuti o semplicemente in età militare. Guidati da "piloti" seduti davanti a schermi di computer a Las Vegas, i droni sparano missili Hellfire che risucchiano l'aria dai polmoni prima di fare la gente a pezzi. Lo scorso settembre, Obama ha ucciso un cittadino americano, Anwar al-Awlaki, unicamente sulla base di una voce che lo descriveva incitante al terrorismo. "Questo non è facile", ha detto nel firmare la condanna a morte dell'uomo, come riportano i suoi collaboratori. Il 6 giugno, un drone ha ucciso 18 persone in un villaggio in Afghanistan, tra cui donne, bambini e anziani, che stavano festeggiando un matrimonio.
 
L'articolo del New York Times non era una soffiata alla wikileaks o una denuncia. Era un pezzo di pubbliche relazioni progettato dall'amministrazione Obama per mostrare che tipo duro può essere il "comandante in capo" in un anno elettorale. Se rieletto, il marchio "Obama" continuerà a servire i ricchi, perseguendo chi racconta la verità, minacciano paesi, diffondendo virus informatici e uccidendo diverse persone ogni martedì.
 
Le minacce contro la Siria, coordinate a Washington e Londra, scalano nuove vette di ipocrisia. Contrariamente alla grezza propaganda di prima presentata come notizia, il giornalismo d'inchiesta del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung identifica i responsabili della strage di Houla, come i "ribelli" appoggiati da Obama e Cameron. Le fonti del giornale includono i ribelli stessi. Questo non è stato completamente ignorato in Gran Bretagna. Scrivendo nel suo blog personale, mai così in silenzio, Jon Williams, redattore di BBC world, svela in modo efficace la sua "copertura", citando funzionari occidentali che descrivono la "psy-ops" (operazione psicologica) contro la Siria come "magnifica". Magnifica come la distruzione della Libia, dell'Iraq e dell'Afghanistan.
 
Magnifica come le psy-ops, è la recente promozione al Guardian di Alastair Campbell, il principale collaboratore di Tony Blair durante l'invasione criminale dell'Iraq. Nei suoi "diari", Campbell cerca di schizzare sangue iracheno sul demone Murdoch. C'è talmente tanto sangue da inzuppare tutti, ma il riconoscimento che questo media rispettabile, liberale e adulatore di Blair è stato un accessorio fondamentale per un crimine epocale viene omesso e rimane una singolare prova di onestà intellettuale e morale in Gran Bretagna.
 
Per quanto tempo ancora dobbiamo essere sottoposti ad un tale "governo invisibile"? Il termine di insidiosa propaganda, usato la prima volta da Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud e inventore delle moderne pubbliche relazioni, non è mai stato più appropriato. La "falsa realtà" richiede un'amnesia storica, basata sull'omissione e il mutamento dal significato all'insignificante. In questo modo, i sistemi politici che promettono sicurezza e giustizia sociale sono stati sostituiti da pirateria, "austerità" e "guerra perpetua": un estremismo dedicato al rovesciamento della democrazia. Applicato ad un individuo, questo lo farebbe identificare come uno psicopatico. Perché noi lo accettiamo?


=== 2 ===



La NATO abbatte la libertà di parola


Aleksandr Artamonov, Natalja Kovalenko
4.07.2012

I paesi della NATO conducono una guerra d'informazione con la Siria ed annullano fisicamente i giornalisti siriani.

È sicuro di questo il giornalista francese e direttore del portale d'informazione online «Voltaire», Thierry Meyssan, che ha rilasciato un'intervista a «La Voce della Russia».

«Stati Uniti e NATO dirigono sistematicamente la distruzione di mass media scomodi. Proprio loro, avidi difensori della libertà di parola. Questo è già avvenuto in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e Libia».

Negli ultimi mesi, la CIA ha creato dei canali televisivi per camuffare il segnale di canali nazionali siriani. Sono state create negli studi grafici fotografie fittizie destinate a demoralizzare completamente la popolazione del paese, ha riferito il giornalista.

“La frode è stata scoperta e le informazioni sono passate su centinaia di siti e mezzi di comunicazione di massa. In definitiva, la compagnia addetta alle connessioni satellitari MilSat si è rifiutata di spegnere i canali siriani dal satellite, mentre la Lega dei paesi arabi è stata obbligata a rinunciare alle proprie attività contemporaneamente all'operatore ARABSAT”.

Allo stesso tempo, il Capo del Ministero degli Affari Esteri, Sergej Lavrov, ha inserito nell'agenda dei lavori del gruppo per i legami con la Siria la questione del rigetto di una guerra d'informazioni da parte dei protagonisti della scontro.

«La NATO ha deciso di vendicarsi — afferma Thierry Meyssan — sono state inviate forze speciali contro la stazione televisiva siriana situata a qualche chilometro da Damasco. Là c'erano in tutto quattro guardie. Illuminati da dispositivi ad infrarossi, gli agenti sono entrati nell'edificio, hanno ucciso i guardiani e fatto fuori sul posto tre conduttori. Dopodiché l'edificio è stato fatto saltare in aria. Ecco come da vent'anni la NATO e gli Stati Uniti mantengono la loro tattica. Le stesse persone si ergono a difensori della libertà di parola. Il mondo è stato messo sotto sopra! I giornalisti non riescono più a lavorare! Se un Paese non rispetta adeguate misure di autodifesa, allora ognuno di noi è in pericolo».

71 giornalisti sono morti nel mondo nei primi sei mesi di quest'anno. Si parla di questo nella relazione della ONG «Press emblem campaign», con base a Ginevra. Questo valore è di un terzo più grande rispetto agli indicatori degli anni scorsi. Il primo posto nella triste lista è occupato dalla Siria. Dall'inizio dell'anno sono stati uccisi venti giornalisti.