Informazione


5 ottobre 1911 / 2011: contro il militarismo italiano

1) 5 ottobre 1911 / 2011: l’avventura coloniale italiana in Libia continua.
A cento anni di distanza il movimento contro la guerra ricorda e denuncia i bombardamenti di ieri e di oggi.
Appello della Rete Nazionale Disarmiamoli! per una giornata di mobilitazione contro la guerra

2) Ignazio La Russa, l’amico degli americani
(Antonio Mazzeo, 9 settembre 2011)


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5 ottobre 1911 / 2011: l’avventura coloniale italiana in Libia continua.

A cento anni di distanza il movimento contro la guerra ricorda e denuncia i bombardamenti di ieri e di oggi.

5 ottobre 1911 – Inizia l’avventura coloniale italiana in Libia, con lo sbarco delle truppe regie inviate dal governo Giolitti a Tripoli. Un’occupazione che finirà trentuno anni dopo, con la fuga delle truppe nazi/fasciste sotto la pressione dell’esercito inglese.

Il popolo libico non dimenticherà mai la ferocia dell’occupazione italiana, caratterizzata dai campi di concentramento, dalle impiccagioni e dai bombardamenti chimici all'iprite ordinati da Rodolfo Graziani, generale fascista inviato per sconfiggere la resistenza guidata da Omar al-Mukhtàr.

A cento anni di distanza gli aerei italiani volano di nuovo nei cieli della Libia, scaricando sulle popolazioni tonnellate di ordigni micidiali, per consolidare la nuova occupazione del paese arabo. 

I comandi delle forze aeree e terrestri della NATO sono il braccio operativo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, per far rispettare la risoluzione 1973, varata allo scopo di “tutelare e proteggere” l’incolumità delle popolazioni libiche.

I civili caduti in questi mesi sotto le bombe dell’Alleanza smentiscono in maniera clamorosa l’ennesima operazione mediatica, tesa a mascherare una classica aggressione coloniale.

La rete di basi italiane coinvolte è molto ampia, alzando le quotazioni delle nostre aziende petrolifere nella spartizione del bottino di guerra, com’è emerso il primo settembre scorso durante il vergognoso summit parigino voluto da Sarkozy sulla “nuova” Libia. Le percentuali di petrolio e gas saranno proporzionali alla quantità di bombe scagliate su Tripoli. I francesi lottano per il 35%. Inglesi e statunitensi sono in pole position. Le quotazioni italiane sono in ribasso a causa dell’iniziale titubanza berlusconiana nell’invio dei bombardieri sulla testa dell’amico Gheddafi.

Il Presidente Giorgio Napolitano si è speso (ed ha fatto spendere milioni di euro pubblici) perché il 150° anniversario dell’Unità d’Italia divenisse un momento centrale della vita politica e culturale del paese. Stesso impeto “patriottico” ha messo nel perorare la causa interventista contro la Libia, dando così un contributo decisivo per la realizzazione della nuova proiezione bellica italiana verso le sponde sud del Mediterraneo. Il personaggio, degno della migliore tradizione trasformistica italiota, non darà certo il medesimo contributo per ricordare i 100 anni che ci separano dalla prima occupazione militare italiana della Libia.

In un paese (e in una sinistra) disorientati dalla propaganda bellicista bipartisan, tesa a legittimare l’attuale aggressione militare della NATO, solo il movimento contro la guerra può spendersi per ricordare questa data.

Sollecitiamo i coordinamenti nowar, i comitati pacifisti, le forze politiche, sociali e sindacali indipendenti a trasformare il 5 ottobre in una giornata di denuncia della nuova guerra imperialista, che vede governo e “opposizione” italiani contendersi con i partner/concorrenti europei i brandelli di un paese devastato dalle bombe e dalle truppe al soldo della NATO

La Rete nazionale Disarmiamoli!

www.disarmiamoli.org  info@...  3384014989 - 3381028120


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http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2011/09/ignazio-la-russa-lamico-degli-americani.html


Ignazio La Russa, l’amico degli americani

Un ministro da adulare, vezzeggiare, sostenere, consigliare, orientare. Una “rarità” di politico con un cuore tutto per Washington e gli interessi a stelle e strisce in Europa e nel mondo. Sacerdote del pensiero atlantico e strenuo paladino delle crociate contro il terrorismo in Africa e Medio oriente. Il più fedele dei Signorsì per piegare le ultime resistenze all’occupazione del territorio da parte di ecomostri e dispositivi di morte. Lui è Ignazio La Russa, ministro della difesa dell’ultimo governo Berlusconi, leader politico cresciuto nelle organizzazioni di estrema destra. A farne un’icona del filo-americanismo in salsa tricolore sono invece i più alti funzionari dell’ambasciata degli Stati Uniti in Italia nei cablogrammi inviati a Washington, da qualche giorno on line sul sito di Wikileaks.
Roma, 5 ottobre 2009. Fervono i preparativi per il viaggio del ministro La Russa negli States dove incontrerà il segretario della difesa Robert Gates. Il vertice è fissato per il 13 ottobre e l’ambasciata di via Veneto emette il cablo top secret, classificato 09ROME1132. Destinatario proprio mister Gates.“Il tuo incontro con Ignazio La Russa giunge in un momento cruciale, con l’Italia che ritiene possibili i tagli al budget destinato alle missioni militari all’estero”. L’establishment USA è preoccupato per i riflessi che ciò potrebbe avere sulla missione NATO-ISAF in Afghanistan, ma per fortuna a dirigere il ministero della difesa del paese partner c’è “un buon amico degli Stati Uniti, forte sostenitore dei comuni interessi per la sicurezza  transatlantica”.
“La Russa – continua il cablo - a differenza di suoi molti colleghi di governo, è stato un rumoroso sostenitore di un forte sistema difensivo e di robuste operazioni all’estero, sin da quando il governo Berlusconi è giunto al potere nel maggio 2008. Sebbene non appartenga allo stretto circolo di Berlusconi, egli è un importante politico alla sua destra – la seconda figura più potente del partito di Alleanza Nazionale che recentemente si è incorporato nel Popolo della Liberta (PdL). Di professione avvocato, La Russa è un accorto stratega politico, il cui aspetto e comportamenti piuttosto bruschi nascondono un’intelligenza acuta e piena padronanza per i dettagli. Sebbene sia spesso accusato di essere più attento ai partiti politici che alle leadership militari, La Russa è uno strenuo difensore dell’aumento delle spese militari e di maggiori protezioni per le truppe italiane impegnate sul campo, ed è popolare tra le forze armate. Egli tiene tantissimo alla sua personale relazione con te e lo ha dimostrato nei passati meeting, negli incontri interministeriali e nelle dichiarazioni alla stampa”.
“La Russa, una rarità in Europa, è un grande sostenitore della missione NATO in Afghanistan e non teme di esporre pubblicamente la necessità di continuare l’impegno dell’Italia in questo paese. Grazie in buona parte alla sua ferma difesa pubblica, la missione ISAF rimane una priorità italiana di massimo livello. L’obiettivo principale della sua venuta a Washington è di ascoltare da te la posizione assunta dagli Stati Uniti sul futuro della missione in Afghanistan alla luce del report di McChrystal. Il vostro incontro gli darà l’orientamento e gli argomenti per continuare a sostenere efficacemente la causa in Parlamento, sulla stampa, e all’interno del governo. Subito dopo, dovrà ottenere il consenso in consiglio dei ministri per un nuovo decreto che finanzi l’attività all’estero di 9.000 militari italiani, 3.100 dei quali da destinare alla missione ISAF, 2.300 a UNIFIL e 1.900 a KFOR. Per ottenerlo, dovrà respingere le richieste del ministero delle finanze di maggiori tagli al bilancio della difesa e trattare con un partner minore della coalizione del presidente Berlusconi, Umberto Bossi, leader della Lega Nord, che ha espresso scetticismo sulla missione afgana a seguito dell’attentato
 del 17 settembre a Kabul in cui sono stati uccisi sei soldati italiani. La Russa vorrà essere rassicurato da te sul fatto che gli Stati Uniti hanno implementato una chiara strategia sulla scia delle valutazioni fatte da McChrystal, dato che dovrà sostenere l’aumento del numero dei militari italiani e delle risorse, come richiesto dalla NATO”.
 
Secondo i diplomatici statunitensi, il ministro potrebbe pure avere un ruolo importante per impedire il ritiro o il drastico ridimensionamento del contingente italiano schierato in Libano nell’ambito della missione UNIFIL. “La Russa – scrivono - come molti nel centro-destra italiano, tende a considerare UNIFIL come una missione “soft” ereditata dal governo Prodi di centro-sinistra, ma un tuo segnale che gli Stati Uniti non vogliono la riduzione della missione e preferirebbero che l’Italia mantenesse l’odierno livello delle truppe – anche se no al costo dell’impegno militare in Afghanistan – lo aiuterebbe a sostenere la causa in consiglio dei ministri. Con sufficienti volere politico e risorse finanziarie, l’Italia può continuare a mantenere in vita entrambe le missioni con la forza di oggi o meglio”.
La Russa viene inoltre ritenuto l’uomo chiave per conseguire gli obiettivi di potenziamento qualitativo e numerico delle installazioni militari USA presenti sul territorio italiano. “L’Italia è il nostro più importante alleato in Europa per proiettare la potenza militare nel Mediterraneo, in Nord Africa e in Medio oriente. I cinque maggiori complessi militari (Napoli, Sigonella, Camp Darby, Vicenza e Aviano) ospitano approssimativamente 13.000 tra militari statunitensi e personale civile del Dipartimento della difesa, 16.000 familiari e 4.000 impiegati italiani. Miglioramenti o cambiamenti di queste infrastrutture potrebbero generare controversie con i politici locali e noi contiamo sul sostegno politico ai più alti livelli, così com’è stato in passato”. “L’approvazione e il sostegno del governo italiano al progetto di espansione dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza per consentire il consolidamento del 173rd Airborne Brigade Combat Team è un esempio positivo di questo tipo di collaborazione” prosegue il cablo. “A breve termine, possiamo richiedere l’aiuto di La Russa su una serie di problemi relativi alle basi militari, ad esempio per la nostra richiesta di riconoscimento formale, da parte del governo italiano, del sito di supporto US Navy a Gricignano (Napoli) quale base militare nell’ambito del NATO SOFA del 1951 (l’accordo sullo status delle forze militari straniere ospitate in un paese in ambito alleato) e del Bilateral Infrastructure Agreement del 1954, e per l’approvazione della costruzione del nuovo sistema di comunicazione globale satellitare Mobile User Objective System (MUOS) della marina militare USA all’interno del Navy Radio Transmitter Facility di Niscemi, in Sicilia. In passato La Russa ha fatto, su nostra richiesta, utili dichiarazioni pubbliche sulla questione MUOS. Un tuo segnale di apprezzamento per il suo sostegno su questo punto aiuterebbe a focalizzare la sua attenzione sulle arcane questioni tecniche e legali che ruotano attorno alla nostra presenza miliare in Italia”.
Il 22 gennaio 2010 è l’ambasciatore David H. Thorne a tessere in prima persona le lodi del ministro italiano in un secondo cablogramma inviato direttamente al segretario Gates in procinto di raggiungere l’Italia a febbraio. “Mi sono incontrato con La Russa il 19 gennaio, poco prima che egli inviasse la portaerei Cavour ad Haiti con un carico di aiuti umanitari ed elicotteri per il loro trasporto. Il suo approccio sulla crisi di Haiti è tipica del suo stile: è un leader orientato all’azione che fa le cose con poco rumore o ostentazione”. “La Russa – aggiunge il diplomatico - è felice che tu abbia accettato il suo invito e sta lavorando alacremente per assicurare che il vostro meeting a Roma dia visibilità nel migliore dei modi la relazione bilaterale Italia-Stati Uniti nel campo della difesa che lui sta cercando di rafforzare ed espandere in tutti i modi. La Russa, con l’attivo supporto del ministro degli esteri Frattini, è stato il nostro campione nell’interazione con l’Italia (…) Egli è stato la voce più forte in consiglio dei ministri a favore dei nostri comuni interessi nell’ambito della sicurezza…”.
Thorne rileva che la vista di Gates “dimostrerà pubblicamente che l’Italia è all’interno del più stretto circolo dei nostri partner europei”, “faciliterà l’approvazione parlamentare per l’invio di altri 1.000-1.200 militari in Afghanistan” e “consentirà a La Russa di pronunciarsi su altri obiettivi chiave USA”. “Egli ha risposto immediatamante alla tua telefonata del 25 novembre per uno sforzo concertato in vista di un maggiore impegno delle truppe in Afghanistan. La Russa e il ministro Frattini hanno convinto il premier Berlusconi ad approvare ed annunciare l’aumento di 1.000 militari prima di aver consultato il Parlamento, assicurando in tal modo che l’Italia fosse il primo paese della NATO a farlo”.
Per l’ambasciatore, La Russa non si risparmierà pure nel sostenere le posizioni USA in merito al procedimento giudiziario contro il colonnello dell’aeronautica militare statunitense Joseph Romano, già comandante del 31stSecurity Forces Squadron di Aviano, implicato nel vergognoso affaire del rapimento CIA-servizi segreti italiani dell’ex imam di Milano, Abu Omar. “La Russa è stato di grande aiuto per persuadere il ministro della Giustizia a sostenere le nostre asserzioni affinché venga applicata la giurisdizione prevista dal NATO SOFA per il caso che vede imputato il colonnello Romano. La Russa, un avvocato di successo ed esperienza, in qualità di ministro della difesa non è un attore chiave nelle questioni giudiziarie e, come il resto del governo, ha pochissima influenza sul potere giudiziario italiano, assai indipendente. Noi abbiamo sollevato ripetutamente la nostra posizione con i leader italiani più importanti e La Russa comprende che la questione continua a essere rilevante per i militari USA. La Russa ti vorrà offrire l’aiuto che può dare, ma potrebbe riconoscere la propria impotenza di fronte ad un ordinamento giudiziario testardo che resta rinchiuso in un amaro e lungo conflitto con il presidente del consiglio Berlusconi per vecchi casi di corruzione”.
A conclusione del lungo cablogramma, Mister Thorne auspica che il viaggio in Italia del segretario Gates possa essere l’occasione per risolvere le due questioni che stanno più a cuore ai comandi USA ospitati in Italia, lo status giuridico della nuova stazione US Navy di Gricignano e il progetto del MUOS di Niscemi. “Sentire che le consideri come due importanti priorità per gli Stati Uniti d’America conferirà a La Russa il potere di fare il meglio per la loro risoluzione”, scrive il diplomatico. “Abbiamo investito più di 500 milioni di dollari per realizzare a Gricignano, che è l’hub di supporto logistico per tutti i comandi US Navy nel Mediterraneo, la sede del principale ospedale navale per la regione europea, due scuole DOD e gli alloggi residenziali per circa 3.000 membri di US Navy e i rispettivi familiari. Nel 2008, durante i negoziati per attualizzare l’accordo sulle installazioni ospitate nell’area di Napoli, lo staff generale del ministero della difesa italiano c’informò che non avremmo più potuto proteggere a lungo il sito con le forze di sicurezza della marina militare USA, poiché sorge su un’area presa in affitto (o meglio, ceduta dal ministero della difesa) e US Navy non ha ottenuto l’autorizzazione specifica che le conferisce lo status d’installazione militare. I legali di US Navy hanno rifiutato le argomentazioni italiane, mostrando la serie di autorizzazioni che gli Stati Uniti hanno ottenuto per il trasferimento della base dall’ex sito di Agnano (che la marina USA ha occupato a partire dal 1950, con tutti i privilegi garantiti dal NATO SOFA), ma i legali dei militari italiani si sono mantenuti fermi nelle loro considerazioni. La loro posizione minaccia non solo la viabilità della base dal punto di vista della sicurezza, ma anche lo status di esenzione fiscale del commissariato, del cambio valute, dell’ospedale e di altre attività al suo interno. Ho chiesto a La Russa di rompere l’empasse con una dichiarazione politica che affermi che Gricignano è un’installazione militare, e lui ha promesso di trovare una soluzione, ma un segnale da parte tua che la sicurezza del nostro personale militare non è negoziabile lo aiuterà a dare massima priorità alla questione…”.
Ancora più “cruciale” l’aiuto che il ministro può fornire per consentire alle forze armate USA d’installare a Niscemi l’antenna del nuovo sistema di telecomunicazione satellitare MUOS. “Una campagna dell’opposizione politica locale in Sicilia ha impedito che US Navy ottenesse l’approvazione finale a realizzare la quarta e ultima stazione terrestre. Quando entrerà in funzione nel 2012, il MUOS consentirà alle unità militari statunitensi (e NATO) presenti in qualsiasi parte del mondo di comunicare istantaneamente con i comandi generali negli Stati Uniti o altrove. Dato che il progetto è seriamente in ritardo (US Navy deve iniziare la costruzione nel marzo 2010 o prevedere di trasferire il sito altrove nel Mediterraneo), ho chiesto a La Russa di aiutarci a fare un passo in avanti con il presidente regionale siciliano Lombardo, il cui ufficio ha negato le necessarie autorizzazioni. La Russa si è detto disponibile, ma ascoltare da te che il MUOS è una priorità USA lo spronerà a spendere il consistente capitale politico nella sua regione d’origine e assicurare che il progetto vada avanti”.
Considerazioni profetiche. Dopo un’offensiva a tutto campo di La Russa e capi militari, Raffaele Lombardo ha ribaltato il suo “No, senza se e senza ma” in un “Sì subito al MUOS!”. Così, l’11 maggio 2011, l’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente ha autorizzato i militari USA ad installare il terminal terrestre MUOS all’interno della riserva naturale “Sughereta” di Niscemi. I lavori sono stati avviati immediatamente. L’EcoMUOStro sorgerà nel nome e per grazia di La Russa e dell’“autonomista” Lombardo.

(Antonio Mazzeo, 9 settembre 2011)





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Anton Vratuša

Dalle catene alla libertà
La „Rabska brigada“,una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista

Udine, KappaVu 2011 -- Pagine 200 - Euro 18,00 - SBN 97888898808627

La scheda sul sito della casa editrice: http://www.kappavu.it/catalog/product_info.php?products_id=329&osCsid=q8ahfnf7eqo981kom51jvfdir7
La scheda su JUGOINFO: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7065


http://www.storiastoriepn.it/blog/?p=5798#more-5798

La “Rabska brigada”, una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista


Presentazione del libro di Anton Vratuša

Venerdì 16 settembre 2011
ore 18.00
Sala della Fondazione CRUP
Via Manin, 15 – Udine


DALLE CATENE ALLA LIBERTÀ
La “Rabska brigada”, una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista

sarà presente l’Autore

interverranno:
Alberto Buvoli (Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione – Udine)
Stefano Bartolini (Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea – Pistoia)
Sandi Volk (Biblioteca nazionale Slovena e degli studi di Trieste – sezione storia)
(Narodna in študijska knjižnica v Trstu – Odsek za zgodovino)

Scarica l’invito: http://www.storiastoriepn.it/blog/?attachment_id=5799 




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Guerra coloniale e razzista contro la Libia di Gheddafi

1) Sit-in a Roma OGGI 8 settembre 2011: ACCOGLIAMO I MIGRANTI AFRICANI IN FUGA DALLA "NUOVA" LIBIA!

2) Africani, i reietti della nuova Libia
Caccia agli immigrati africani voluti da Gheddafi: donne stuprate, fame, razzismo e abusi (L. Cremonesi, Il Corriere)

3) Gheddafi esorta alla resistenza contro gli invasori nel giorno del 42° anniversario della Rivoluzione Verde
(Tele Sur, 2/9/2011)


--- ALTRI LINK: ---

Libia / Video: Eva Golinger sulla disinformazione strategica


Detrás de la noticia: La guerra mediática y la verdadera
Después de seis meses del conflicto libio, el saldo es de miles de muertos. Y mientras los rebeldes están tomando el control del país, las batallas mediáticas al respecto no cesan. Algunas cadenas internacionales son sospechosas de manipular los hechos. ¿Qué sucede cuando los medios son cómplices de la guerra?

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The Truth About the Situation in Libya: Cutting through Government Propaganda and Media Lies

By Brian Becker - Global Research, August 23, 2011
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26150

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Comment les hommes d’Al-Qaida sont arrivés au pouvoir en Libye

Al-Qaida est un milieu de mercenaires utilisé par les États-Unis pour combattre en Afghanistan, en Bosnie-Herzégovine, en Tchétchénie, au Kosovo, en Irak, et maintenant en Libye, en Syrie et au Yémen...
par Thierry Meyssan - RÉSEAU VOLTAIRE 6 SEPTEMBRE 2011
http://www.voltairenet.org/Comment-les-hommes-d-Al-Qaida-sont

Come al-Qaida è arrivata al potere a Tripoli

di Thierry Meyssan - RETE VOLTAIRE 7 SETTEMBRE 2011
http://www.voltairenet.org/Come-al-Qaida-e-arrivata-al-potere

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Al-Qaeda and NATO’s Islamic Extremists Taking Over Libya

by Alex Newman - Global Research 2011-08-31
http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26307

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BREAKING NEWS: CIA Recruits 1,500 Jihadists in Afghanistan to Fight in Libya

"Al Qaeda Created by the CIA" - by Azhar Masood - 2011-08-31
http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26301

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Libya: The Greatest Betrayal: Handing Libya over to Al Qaeda

by Tony Cartalucci - 2011-08-30
http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26298

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The "Liberation" of Libya: NATO Special Forces and Al Qaeda Join Hands

"Former Terrorists" Join the "Pro-democracy" Bandwagon
by Prof. Michel Chossudovsky - 2011-08-28
The jihadists and NATO work hand in glove. These "former" Al Qaeda affiliated brigades constitute the backbone of the "pro-democracy" rebellion
http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26255


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http://www.disarmiamoli.org/index.php?option=com_content&task=blogsection&id=6&Itemid=155

Sit-in a Roma l'8 settembre 2011

NoWar - Roma  www.disarmiamoli.org  e  
U.S. Citizens for Peace & Justice - Rome www.peaceandjustice.it



Dopo 6 mesi di bombardamenti e bugie...


FUORI LA NATO DALLA LIBIA!
NEGOZIATI DI PACE FRA LE PARTI!
ACCOGLIAMO I MIGRANTI AFRICANI IN FUGA DALLA "NUOVA" LIBIA!
 
 
Sit-In a Roma, piazza Montecitorio, giovedì 8 settembre, ore 17-20
contro i massacri NATO in Libia e la disinformazione mediatica  



 
DOMANI 8 SETTEMBRE a Piazza Montecitorio dalle ore 17 alle ore 20 i gruppi pacifisti "Rete No War-Roma" e "U.S. Citizens for Peace & Justice - Rome" invitano gruppi e cittadinanza a un sit-in per ri­badire la condanna della partecipazione italiana e degli altri paesi Nato alla guerra in Libia.
 
I due gruppi ricordano che i bombardamenti della Nato continuano dal 19 marzo e non sono cessati. Questa aggressione viola plateal­mente il dispositivo della risoluzione ONU no. 1973 per la "prote­zione dei civili in Libia", una risoluzione oltretutto fondata su notizie false. 


Sotto i bombardamenti sono morti o sono stati mutilati o feriti migliaia di civili residenti in Libia, quasi un milione di migran­ti sono stati costretti a lasciare il paese, infrastrutture civili sono state distrutte, sono decine di migliaia gli sfollati, e si sono verificate e si stanno verificando violenze inaudite ai danni di migranti africani e vendette sui cittadini libici. Nell'ultima fase i bombardamenti della Nato a sostegno di una fazione libica sono stati violentissimi, sia a Tripoli che nelle città assediate di Sirte, Ben Walid, Sebha.
 
I due gruppi, attivi contro la guerra in Libia fin dallo scorso marzo, chiedono alle istituzioni italiane e ai governi dei paesi della Nato:


-- che la Nato finalmente cessi di condurre bombardamenti e appoggiare assedi in Libia e si ritiri dal paese che di fatto occupa;


-- che l'Italia si impegni per il ritiro di qualunque tipo di presenza Nato dalla Libia;


-- che siano sostenute iniziative negoziali per una vera pace, portate avanti da attori quali l'Unione Africana;


-- che l'Italia accolga i migranti africani in fuga dalla "nuova Libia";


-- che si contrasti in ogni sede ogni futuro tentativo di guerra Nato contro altri paesi.

 
I convocanti chiedono ai media di cessare l'opera di propaganda a favore di una sola parte e della Nato.
 
Promettono di continuare a impegnarsi per far conoscere la verità sulla guerra, sulle sue cause e sulle sue criminali conseguenze, anche con azioni legali internazionali.


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Contatti: Marinella Correggia, mari.liberazioni@...
Enzo Brandi, brandienzo@...,  cell 338 5782248,
Patrick Boylan, patrick@... cell. 328-069 5861


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http://www.corriere.it/esteri/11_settembre_05/africani-cacciati-dai-ribelli-Cremonesi_c9f4d84a-d7f0-11e0-af53-ed2d7e3d9e5d.shtml

L'ALTRA FACCIA DELLA RIBELLIONE VITTORIOSA


Africani, i reietti della nuova Libia


Caccia agli immigrati africani voluti da Gheddafi: 
donne stuprate, fame, razzismo e abusi

Dal nostro inviato LORENZO CREMONESI


SAYAD (Libia)_ «Cinque giorni fa sono stata violentata. Per mezz’ora, contro una barca. Da due uomini armati di mitra. Si davano il cambio. Prima si sono messi il preservativo. Poi mi hanno spinto al riparo delle imbarcazioni da pesca sulla banchina e costretta ad aprire le gambe con le braccia in alto, le mani appoggiate alla fiancata. Mi hanno presa da dietro. Non faceva troppo male. Ma li ho odiati. Mi sono sentita sporca, umiliata, abusata. Non potevo fare nulla, solo subire e piangere». Parla quasi con un sussurro Cinzia Swizzy, vent’anni, nigeriana, immigrata a Tripoli nel 2009. Sino a due mesi fa lavorava come aiuto-estetista nel cuore della citta’ vecchia. Ma la guerra ha sconvolto la sua esistenza, come quella di altre centinaia di migliaia (forse oltre un milione) di africani ai quali la politica delle «porte aperte» al continente sub-sahariano voluta da Muammar Gheddafi aveva permesso di venire in Libia.

BRACCATI - Da ospiti di riguardo, occasionalmente utilizzati dalla dittatura come «carne da cannone» per ricattare l’Italia e l’Europa sul rischio immigrazione illegale, a massa di diseredati, braccati dalle forze della rivoluzione, che al peggio li considera mercenari pagati dal Colonnello per reprimere le opposizioni, e al meglio come presenze sgradite, da espellere il prima possibile. Cinzia e’ una di loro. Ma particolarmente debole. Ha l’aria da ragazzina, molto fragile nel suo vestitino a fiori strappato che le arriva alle ginocchia, lasciandole scoperte le gambe magre, segnate da graffi freschi. Accetta di parlare solo dopo lunghe insistenze. Rivela il nome. Ma non vuole assolutamente essere fotografata. «Quella sera siamo state violentate in cinque. Ci hanno prese a caso, tra i gruppi di rifugiati che bivaccano qui tra i barconi da pesca tirati in secco. Io parlo con un giornalista solo perché magari potrà servire che vengano fermate le violenze contro le donne africane in Libia», dice seduta su di una stuoia. Attorno la ascoltano appena. Sono talmente abituati agli abusi, che un racconto in più non fa impressione. Colpisce molto di più che la ragazza parli con un occidentale. «Queste cose vanno tenute tra noi», osserva rabbioso un marcantonio con un bastone in mano. Ma poi si allontana.

MIRAGGIO EUROPA - L’abbiamo incontrata nel campo profughi di fortuna a Sayad, una trentina di chilometri a ovest della capitale. Una volta era noto come centro di addestramento del terrorismo internazionale. Secondo il piccolo contingente di ribelli armati, che ora monta di guardia ai cancelli sfondati, qui ci venivano i palestinesi di Fatah negli anni Settanta, i militanti dell’Ira, dell’Eta, Abu Nidal, gli estremisti islamici filippini legati ad Abu Sayaf, persino le Brigate Rosse e quelli della Baader Meinhof. Nel 1986 la base venne bombardata dagli americani, che colpirono tra l’altro anche le casematte del vecchio fortino italiano costruito negli anni Trenta. Da allora e’ diventata il punto di partenza piu’ importante delle «carrette del mare» che portano i clandestini verso Lampedusa. Da circa un mese e mezzo proprio tra le imbarcazioni arrugginite sono raggruppati un migliaio di africani. Quasi tutti si sono liberati dei passaporti. «Non vogliamo tornare a casa. Mandateci in Europa», recitano in coro. Tutti giovani o giovanissimi, arrivati da Sudan, Nigeria, Mali, Ciad, Costa d’Avorio, Togo, Camerun. Il campo non ha un vero ordine. In generale gli anglofoni stanno da una parte e i francofoni dall’altra.

NOTTI DI PAURA - Tutti ovviamente negano di essere mai stati mercenari di Gheddafi. Anche se un paio di ragazzi del Camerun ammettono che «purtroppo qualche soldato africano volontario nell’esercito del Colonello potrebbe nascondersi tra noi». Per lo piu’ si dicono vittime del «razzismo antiafricano delle nuove forze che comandano in Libia». Mancano di tutto. Per una settimana si sono ridotti a bere acqua di mare e mangiare un intruglio di farina sporca, olio di semi ed erbe raccolte nei prati e cotto su fuochi all’aperto. Ogni tanto gli attivisti di Medecins Sans Frontieres portano camion carichi di bottiglie d’acqua e si scatena il finimondo. La notte per loro e’ un incubo che si consuma nella paura in attesa dell’alba. «Ci riuniamo in piccoli gruppi. Le donne in mezzo per difenderle dai ribelli libici che ci vorrebbero violentare - racconta ancora Cinzia -. Aspettiamo. Ma non sappiamo bene cosa. Non credo ci sia piu’ posto per noi nella nuova Libia del dopo Gheddafi. Io vorrei scappare, partire, sparire».


05 settembre 2011(ultima modifica: 06 settembre 2011 10:36)


[segnalato da F. Muzzolon, che ringraziamo]


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www.resistenze.org - popoli resistenti - libia - 03-09-11 - n. 375

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Gheddafi esorta alla resistenza contro gli invasori nel giorno del 42° anniversario della Rivoluzione Verde
 
Tele Sur
 
02/09/2011
 
VIDEO : http://www.telesurtv.net/secciones/noticias/index.php?ckl=97245-NN&idafondo=323
  
Dinanzi all'intervento militare straniero e le azioni dei combattenti nemici, "la nostra resistenza aumenta ogni giorno", questo ha dichiarato il leader libico Muammar Al Gheddafi giovedì scorso in occasione della commemorazione del 42° anniversario della Rivoluzione Verde della nazione nordafricana, che pose fine alla monarchia di re Idris aprendo la via al suo governo socialista.
 
"Non vi consentiremo di controllare le nostre risorse, prepariamoci a combattere contro l'imperialismo, prepariamoci ad una lunga campagna. La nostra resistenza aumenta ogni giorno", ha dichiarato Gheddafi in un messaggio audio diffuso dalla televisione Al-Rai.
 
La "Rivoluzione Verde" consegnò il timone della nazione al Colonnello Muammar Al Gheddafi, che attualmente sta combattendo le forze ribelli che si oppongono al suo governo e la presenza della NATO nel paese.
 
Il 1° settembre 1969, il colonnello Muammar Al Gheddafi guidò la "Rivoluzione Verde" che gli permise di ottenere il potere.
 
Così, la Libia da nazione monarchica diventò una repubblica popolare e socialista, sistema di governo chiamato da quattro decenni "Jamahiriya" o "Governo delle Masse".
 
Questo giovedì, nel giorno dell’anniversario, Al Gheddafi ha inviato un nuovo messaggio al popolo libico e ha invitato a continuare la resistenza.
 
"Non abbiate timore degli infedeli. Liberate Tripoli. Che tutte le persone escano, avanzino verso Tripoli. Lottino e combattano casa per casa", ha detto.
 
Al contempo ha avvertito che la NATO e il Consiglio nazionale di transizione (CNT) non otterranno una rapida vittoria, poiché questa guerra si svilupperà in modo asimmetrico.
 
Per l'analista internazionale Mauricio Jaramillo, Al Gheddafi mostra una maggiore conoscenza del terreno, parla di una guerra che non si vincerà in poco tempo ma si estenderà, mentre la NATO si è affrettata a dichiarare vittoria.
 
Ha inoltre ricordato che i paesi che ora si incontrano fuori dalla Libia per discutere il futuro del paese nordafricano non hanno dimostrato di "essere amici della Libia", ma solo di "difendere i loro interessi".
 
Sara Sloan, rappresentante dell’organizzazione Answer Coalition, ha dichiarato che il conflitto libico risponde ad un "intento di neo-colonizzazione in cui Stati Uniti e alcuni (paesi) europei cercano di colonizzare i paesi africani e appropriarsi delle loro risorse".
 
teleSUR-ag-LD



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(srpskohrvatski / italiano)

La partecipazione degli USA alla pulizia etnica della Krajina

Avrà inizio il prossimo 27 settembre a Chicago il processo intentato contro la ditta americana "L-3 MPRI" per il sostegno da questa fornito alla Croazia, durante l'operazione assassina "Oluja" (Tempesta) lanciata contro i serbi nel 1995, sotto la direzione di generali americani in pensione. 
Significativamente, in questo processo contro la MPRI i giudici - pronunciandosi competenti con varie motivazioni, incluso il fatto che la stragrande maggioranza dei funzionari ed operatori della MPRI risiedono nello Stato dell' Illinois - hanno già offerto all'imputato la possibilità del patteggiamento: questo vuol dire che le accuse hanno una innegabile fondatezza. E uno degli ex alti funzionari statali ammette che la modalità di operare tramite agenzie subappaltatrici era ed è premeditato allo scopo di evitare eventuali accuse dirette contro gli USA...

1) Penzionisani generali kumovali zločinima? / MANDANTI DEL CRIMINE FURONO I GENERALI IN PENSIONE?
(R. Berbatović, Pečat 1.9.2011)

2) La partecipazione militare degli Stati Uniti all'attacco alla Repubblica Serba di Krajina nel 1995
(V. Djuric Mishina, http://www.nspm.rs/ 3/8/2011)

3) Wikileaks: gli Usa sapevano degli orrori croati contro i serbi / SAD su znali sve o hrvatskim zlodjelima nad srpskim stanovništvom
(S. Giantin, Il Piccolo 29.8.2011)

[traduzioni a cura di CNJ-onlus]



=== 1 ===

http://www.pecat.co.rs/2011/09/penzionisani-generali-kumovali-zlocinima/

Penzionisani generali kumovali zločinima?


REGION | UREDNIŠTVO | SEPTEMBAR 1, 2011 AT 23:01
Piše Radosav Berbatović

Počelo suđenje američkoj firmi „L-3 MPRI“ za podršku Hrvatima tokom zločinačke akcije „Oluja“ u leto 1995. godine

Čikaški Federalni sud prihvatio je da sudi firmi „L-3 MPRI“ za saučesništvo u masovnom ubijanju i proterivanju 200.000 Srba tokom akcije „Oluja“ u leto 1995. godine. Srbi koji su preživeli „Oluju“ podneli su tužbu protiv te kompanije od koje zahtevaju odštetu od 10 milijardi dolara, još leta prošle godine, ali se proces odužio pošto su predstavnici „L-3 MPRI“ tražili izuzeće Čikaškog suda, i zahtevali da se proces prenese na njujorški Federalni sud.

PONUDA ZA PORAVNANJE
U obrazloženju odluke Suda sudija Ruben Kastilo rekao je da se Čikaški sud oglašava nadležnim da sudi u ovom procesu, iako američka kompanija „MPRI“ ima sedište u Aleksandriji koja je pod jurisdikcijom Suda u Njujorku. On je objasnio da ta firma ima mnoge poslove u državi Ilinois i zato može da joj se sudi pred Sudom u Čikagu.
Kastilo je takođe naveo da u okrugu Ilinois radi od 91 do 113 zaposlenih u kompaniji „L-3“, da je ova kompanija tokom 2010. godine vodila poslove vredne 19 miliona dolara, kao i više od 16 miliona tokom prethodne godine.
„Zbog direktnog prevoza do čikaške oblasti svedoci koji budu saslušavani i tužioci mogu lakše doputovati, čime će se olakšati tok procesa, a i najveći broj izbeglih iz Krajine izvan Srbije nalazi se u Čikagu“, obrazložio je sudija.
Naš izvor, koji zbog uključenosti u sudski proces za sada ne želi da se predstavi, kaže da bi u slučaju da je tužba preneta u Njujork Srbi imali minimalne šanse da dobiju u ovom procesu.
„L-3 MPRI“ i druge kompanije imaju veliki uticaj na sudstvo i državnu administraciju u Njujorku i Vašingtonu. Dešavalo se da Njujorški sud odbije da sudi kompanijama, već samo pojedincima, čime se ceo proces obezvređuje“, objašnjava naš izvor i dodaje da je Čikaški sud veoma liberalan, i da se pred njim već vodi postupak protiv agencije „L-3 MPRI“ za genocid u Zalivskom ratu.
On ističe da suđenje za učešće u tom ratu traje oko tri godine i da je već u završnici, kao i da stručnjaci po dosadašnjem toku procesa očekuju pozitivan ishod, što bi umnogome pomoglo i u procesu za „Oluju“.
„U američkom pravosuđu postoji sistem presedana. To znači da ako je neko osuđen za određeno delo, u ovom slučaju za pomaganje u genocidu, lančano se ta praksa nastavlja i u drugim bliskim slučajevima“, navodi naš izvor.
Sudija Kastiljo, takođe, je punomoćnicima tužiteljne strane i tuženih ponudio vansudsko poravnanje. U slučaju da se ne dogovore Sud je odredio rok do 27. septembra da pripreme argumentaciju kako bi sudski postupak otpočeo.
„Ponuda za poravnanje sama govori koliko je tužba ozbiljna. Srbi bi u slučaju dogovora sa kompanijom ‘MPRI’ verovatno dobili manje od traženih 10 milijardi dolara, ali bi svakako dobili zadovoljenje jer bi se saznala istina. Time bi cela priča o ‘Oluji’ kao velikom hrvatskom poduhvatu bila poništena, i pokazalo bi se da je rat dobijen uz snažnu podršku NATO-a i SAD-a, vodećih država u ovom savezu“, naglašava naš izvor.

200.000 OŠTEĆENIH
Inače, u tužbi se američka konsalting agencija „MPRI“ tereti za pomaganje tadašnjoj hrvatskoj vladi u pripremi i izvođenju akcije „Oluja“ 2005. godine, ali i u logističkoj pomoći tokom napada. Time se terete za genocid nad Srbima iz Krajine, uništavanje mnogih gradova i sela i za proterivanje 200.000 krajišnika iz Hrvatske, za koliko prognanih tužitelji smatraju da imaju dokaza. Tokom „Oluje“ oduzeta je ili uništena imovina prognanih Srba iz Hrvatske vredna nekoliko stotina miliona dolara, koja mora biti nadoknađena.
Glavni dokaz na suđenju, prema rečima našeg izvora, biće Ugovor o saradnji između Hrvatske i firme „MPRI“. Tokom procesa biće saslušani i svedoci čije su porodice stradale tokom „Oluje“, kao i oni koji su izbegli tokom te akcije.
„’MPRI’ će svakako negirati svoju umešanost, ali postoje svedoci predviđeni za sudski postupak  koji tvrde da imaju dokaze da su tokom akcije NATO avioni bombardovali srpske položaje, kao i da su čuli kako se hrvatskim brigadama komanduje na engleskom jeziku. To se u vojnoj terminologiji naziva ‘Close Air Support’, dakle bliska podrška kopnenim trupama iz vazduha“, ističe naš izvor i dodaje da je poznato da je hrvatska vojska 1994, do dolaska kadrova iz američke agencije bila gotovo poražena.
Srbe, žrtve genocida u Krajini, pred Čikaškim sudom zastupaju advokati Robert Pavić, Džon Ostojić i Kevin Rodžers, članovi dve poznate američke advokatske kancelarije. Ukupna odšteta od deset i po milijardi dolara koju žrtve traže nastala je kao zahtev da 200.000 oštećenih tokom „Oluje“ dobiju po 25.000 dolara, a uračunata je i kamata od pet odsto godišnje. Po američkom Zakonu advokatima bi po okončanju presude pripala trećina odštete.

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Privatizacija rata
Američku agenciju „MPRI“ („Military Professional Resources inc.“) osnovali su osmorica penzionisanih američkih generala 1987. godine, a predsednik je general Benc J. Kredok. Agencija se bavi savetovanjima prilikom vojnih akcija. Ova firma se vodi kao nevladina konsalting organizacija, pre svega savetuje američka ministarstva odbrane, pravosuđa i spoljnih poslova, a dovođena je u vezu i sa sukobima na Bliskom istoku, u Avganistanu i Africi.
„’MPRI’ je vrlo reprezentativna vojna firma koja se pojavljuje u najrazličitijim osetljivim oblastima, u kojima se želi sprečiti zvanično pojavljivanje SAD-a. Ova i slične agencije učestvuju u kontrolisanju sukoba po svetu, a neretko ih i izazivaju“, naglašava naš izvor.
On kaže da postoje indicije da američki oficiri ili podoficiri uzimaju neplaćeno odsustvo i angažuju se na nekoliko godina u nekoj firmi poput „MPRI“ kao instruktori, a kasnije budu reintegrisani u američku vojsku. To obično ne škodi njihovoj karijeri, već naprotiv – bivaju unapređeni.

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Bivši ambasador potvrđuje priču
Bivši američki ambasador Den Simpson, koji je službovao i u BiH, u autorskom komentaru za „Pitsburg post-gazet“ potvrdio je da je bilo podrške američke administracije Hrvatskoj u događanjima koji su prethodili proterivanju Srba iz Krajine i ocenio je da su Amerikanci umnogome doprineli pobedi hrvatskih snaga.
Za podršku snagama Franje Tuđmana, kako je naveo Simpson, nije bila zadužena zvanična agencija američke vlade, već podugovarač, privatna kompanija „Military Professional Resources Inc“ („MPRI“).
To je Vašingtonu, po njegovim rečima, delovalo politički ispravnije, i ujedno olakšalo  administraciji da izbegne mešanje Kongresa.
„’MPRI’ je bio sastavljen od penzionisanih američkih vojnih funkcionera u bliskoj vezi sa američkom vojskom i snabdevačima oružja. Hrvatima su bili potrebni obuka i oružje, a američka firma je tražila unosan posao“, naveo je Simpson.
On zaključuje da se zahvaljujući „MPRI“ Američka vlada mogla distancirati od zlodela u koje su se upuštale Hrvatske snage.

*** in italiano ***


http://www.pecat.co.rs/2011/09/penzionisani-generali-kumovali-zlocinima/

MANDANTI DEL CRIMINE FURONO I GENERALI IN PENSIONE?


di Radosav Berbatović

E' iniziato il processo contro la ditta americana "L-3 MPRI" per il suo sostegno ai Croati durante l'operazione criminale "Tempesta" nell'estate del 1995.


[traduzione a cura di CNJ-onlus]


La Corte federale di Chicago ha accolto la citazione per processare la società "L-3 MPRI" per la complicità in omicidio di massa e l'espulsione di 200.000 serbi durante la operazione "Oluja" ("Tempesta"), nell'estate del 1995 . I Serbi sopravvissuti alla "Tempesta" hanno presentato la citazione contro questa azienda richiedendo un compenso di $ 10 miliardi di dollari già nell'estate dello scorso anno, ma il processo si è protratto dopo che i legali rappresentanti della "L-3 MPRI" hanno chiesto l'esclusione della Corte di Chicago, chiedendo il trasferimento del processo al Tribunale federale di New York.


OFFERTA DI PATTEGGIAMENTO
Nella motivazione della decisione della Corte, il giudice Ruben Castillo ha dichiarato la competenza del suo tribunale in questo processo, sebbene la ditta americana americana "MPRI" avesse sede ad Alexandria che è sotto la giurisdizione della Corte di New York. Egli ha spiegato che questa società ha molti affari in Illinois e quindi può essere processata davanti alla Corte di Chicago.
Castillo ha inoltre affermato che nel distretto dell'Illinois lavorano tra 91 e 113 dipendenti dell'azienda "L-3", che questa società ha realizzato affari per un ammontare di 19 milioni di dollari nel 2010 e più di 16 milioni nell'arco dell'anno precedente.
"A causa del trasferimento diretto nella zona di Chicago dei testimoni che saranno interrogati e dei procuratori, l'andamento del processo sarà facilitato; inoltre la maggior parte dei profughi dalla Krajina che non vivono in Serbia si trovano a Chicago", ha spiegato il giudice.
La nostra fonte, che a causa del suo coinvolgimento nel processo attualmente non vuole essere identificata, dice che nel caso in cui la causa fosse stata trasferita a New York, i Serbi avrebbero avuto minime possibilità di vincere il processo.
La "L-3 MPRI" ed altre società hanno una forte influenza sul potere giudiziario e nella pubblica amministrazione a New York e Washington. E' già capitato che il tribunale di New York si rifiutasse di perseguire le imprese, e perseguisse solo gli individui, indebolendo l'intero processo", spiega la nostra fonte, aggiungendo che il Tribunale di Chicago è molto liberale, e che oramai è dinanzi ad esso che è in corso il processo contro la "L-3 MPRI" per il genocidio nella guerra del Golfo.
Egli fa notare che il processo per la partecipazione a quella guerra dura da tre anni ed è già nella fase finale, e che gli esperti, in base all'andamento del processo, si aspettano un risultato positivo, il che sarebbe di grande aiuto nel processo per la "Oluja".
"Nel sistema giudiziario americano esiste il principio dei precedenti. Questo significa che se qualcuno è condannato per un certo delitto, in questo caso per favoreggiamento al genocidio, questa prassi si concatena e continua negli altri casi consimili", dice la nostra fonte.
Il giudice Castillo ha inoltre proposto il patteggiamento extragiudiziale ai difensori della parte imputata. Nel caso in cui questa proposta non si realizzasse, la Corte ha stabilito il termine del 27 settembre per la preparazione della loro documentazione, per far sì che il processo abbia inizio.
"L'offerta del patteggiamento già di per se dimostra la gravità della causa. I Serbi nel caso di un accordo con la MPRI probabilmente otterrebbero meno dei $ 10 miliardi richiesti, ma certamente sarebbero soddisfatti giacché la verità uscirebbe allo scoperto. In questo modo l'intera storia della 'Oluja' come grande impresa croata sarebbe annullata, e si dimostrerebbe che quella guerra fu vinta con il determinante sostegno della NATO e degli Stati Uniti, paese leader in quella alleanza", ha detto la nostra fonte.


200.000 PERSONE OFFESE
Nella causa l'agenzia di consulenza americana "MPRI" è citata per l'aiuto prestato all'allora governo croato nella preparazione e conduzione dell'operazione "Oluja" nel 2005 e per il supporto logistico durante l'attacco. In questo modo ad essa si imputano il genocidio ai danni dei Serbi della Krajina, la distruzione di molte città e villaggi e l'espulsione dalla Krajina di 200.000 abitanti - questo il numero di rifugiati per i quali i difensori ritengono di possedere delle prove. Durante la "Oluja" è stata sequestrata e distrutta la proprietà dei Serbi che sono stati espulsi dalla Croazia, per un valore di diverse centinaia di milioni di dollari, cifra che ora deve essere risarcita.
La prova principale nel processo, secondo la nostra fonte, sarà l'accordo sulla cooperazione tra la Croazia e la società "MPRI". Durante il processo saranno interrogati anche testimoni le cui famiglie sono state trucidate nel corso della "Oluja", così come coloro che sono fuggiti durante l'azione.
"La 'MPRI' certamente negherà il coinvolgimento, ma nel procedimento saranno chiamati testimoni che affermano di avere delle prove che durante la campagna gli aerei della NATO bombardavano le postazioni serbe e di avere udito come alle brigate croate si impartivano ordini in lingua inglese. Questo nella terminologia militare si chiama 'Close Air Support ', ovvero sostegno stretto alle truppe di terra dal cielo", dice la nostra fonte, aggiungendo che è noto che l'esercito croato, nel 1994, fino all'arrivo del personale delle agenzie degli Stati Uniti, era quasi sconfitto.
I Serbi di Krajina, vittime del genocidio, dinanzi al tribunale di Chicago sono rappresentati dagli avvocati Robert Pavic, John Ostojic e Kevin Rogers, soci di due noti studi legali americani. Il risarcimento complessivo di dieci miliardi e mezzo di dollari richiesti da parte delle vittime, è il risultato della richiesta proveniente da 200.000 persone che subirono danni durante la "Oluja" di ottenere circa 25.000 dollari cadauno; sono inoltre aggiunti gli interessi pari a circa il 5 percento annui. Secondo la legge americana, gli avvocati, dopo il verdetto, ricevono un terzo del risarcimento.


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La privatizzazione della guerra

La agenzia americana "MPRI" ("Military Professional Resources Inc.") è stata fondata nel 1987 da otto generali USA in pensione, e il suo presidente è il generale Benz J. Craddock. Questa agenzia si occupa di consulenza durante le operazioni militari. Questa società è registrata come organizzazione non governativa di consulenza, servendo in primo luogo i Dipartimenti della Difesa, della Giustizia e degli Affari Esteri degli USA; essa fu portata in relazione al conflitto in Medio Oriente, Afghanistan e Africa.
"La 'MPRI' è una società militare molto presente, attiva in svariate zone di azione sensibili in cui si vuole evitare l'apparizione ufficiale degli Stati Uniti. Questa e altre agenzie simili sono coinvolte nel controllo dei conflitti in tutto il mondo - spesso li causano", sottolinea la nostra fonte.
Essa dice che ci sono indicazioni che ufficiali e sottufficiali americani entrano in congedo non retribuito e prendono incarichi per diversi anni in compagnie come la "MPRI" nel ruolo di istruttori, ed in seguito vengono reintegrati nell'esercito USA. Di solito questo non nuoce alle loro carriere, ma al contrario: avanzano nei gradi.


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Ex ambasciatore conferma la storia

L'ex ambasciatore USA Dan Simpson, che ha prestato servizio in Bosnia, in un suo commento per la "Pittsburgh Post Gazette" ha confermato che da parte dell'amministrazione americana si prestava sostegno alla Croazia negli eventi che hanno preceduto all'espulsione dei Serbi dalla Krajina; egli ritiene che gli americani abbiano fortemente contribuito alla vittoria delle forze croate.
Del sostegno alle forze di Franjo Tudjman, ha scritto Simpson, non era responsabile l'agenzia ufficiale del governo degli Stati Uniti, bensì un subappaltatore, una società privata di nome "Military Professional Resources Inc." ("MPRI").
Questo sembrava un metodo politicamente più corretto per Washington, ed inoltre dava la possibilità all'amministrazione di evitare troppe domande da parte del Congresso.
"La 'MPRI' era composta da ex ufficiali militari USA in stretta relazione con l'esercito degli Stati Uniti e i fornitori di armi. I Croati necessitavano di formazione e armi, mentre questa società statunitense era alla ricerca di un business redditizio ", scrive Simpson.
Egli conclude che grazie alla "MPRI" il governo Usa è stato in grado di tenersi alla larga dai delitti in cui furono implicate le forze croate.



=== 2 ===

(original: Srbija i NATO. Vojno učešće SAD u napadu na Republiku Srpsku Krajinu 1995. godine
Veljko Đurić Mišina - sreda, 03. avgust 2011.
http://www.nspm.rs/srbija-i-nato/vojno-ucesce-sad-u-napadu-na-republiku-srpsku-krajinu-1995-godine.html?alphabet=l#yvComment43858 )


Serbia e NATO

La partecipazione militare degli Stati Uniti all'attacco alla Repubblica Serba di Krajina nel 1995

Veljko Djuric Mishina

mercoledì 3 Agosto 2011

http://www.nspm.rs/srbija-i-nato/vojno-ucesce-sad-u-napadu-na-republiku-srpsku-krajinu-1995-godine.html

[traduzione a cura di CNJ-onlus]


È di grande interesse politico per gli Stati Uniti, nei Balcani, il territorio della Bosnia-Erzegovina. E per controllarlo, era necessario risolvere la questione della Repubblica Serba di Krajina. Non c'era scelta: la Krajina doveva scomparire.

A Washington e Zagabria furono preparate in parallelo le operazioni militari "Bljesak"-Lampo, "Oluja"-Tempesta, "Mistral" e "Golubica"-Colomba.


La "Bljesak" fu progettata e realizzata per testare la reazione di Belgrado e Pale in vista della successiva operazione di pulizia etnica "Oluja".


La "Mistral" fu prevista ma non attuata. Sarebbe stata attuata se Radovan Karadzic, il presidente della Repubblica Srpska [cioè Serba di Bosnia], non fosse riuscito ad impedire l'iniziativa (autonoma) del generale Ratko Mladic, capo dell'esercito della Repubblica Srpska, mirata ad indirizzare tutte le forze in una strenua difesa. Tramite la collaborazione dei vertici politici di Pale e Belgrado, l'esercito della Repubblica Srpska è stato espulso dal gioco con una serie di azioni, di cui la più importante è stata la sostituzione del generale Mladic dalla mansione del Capo di Stato Maggiore in base alla decisione del governo della Repubblica Srpska durante la loro sessione del 7 agosto 1995.


La "Golubica", conosciuta anche come "Vukovarska golubica"-Colomba di Vukovar, sarebbe stata attuata se il regime di Belgrado non avesse potuto mantenere l'accordo, se certe strutture di comando nell'esercito jugoslavo si fossero messe fuori controllo in Baranja e Slavonia orientale causando una reazione a catena. Questa sarebbe stata punita con la massima pena e l'immediato richiamo anche in caso di una minima autonoma iniziativa nel tratto di territorio in oggetto, finalizzata alla resistenza contro l'offensiva croata.


*****


Il colonnello Richard Safranski, ufficiale dell'Air Force degli Stati Uniti, già primo analista nel settore dell'intelligence dell'Air Force e poi docente presso le alte scuole militari degli Stati Uniti, è diventato noto al pubblico mondiale con un suo lavoro scientifico pubblicato su "Military review" nel novembre 1994. Questa rivista ufficiale è seria e professionale, è un mensile edito con la massima cura, contenente gli articoli e i progetti importanti degli esperti militari e di scienziati di Stati Uniti, Gran Bretagna e altri membri della NATO. Ci sono due versioni di questa rivista: la prima è disponibile al pubblico, l'altra è sotto forma di newsletter, progettata per l'informazione interna. Lo studio del colonnello Safranski, che è nelle sue stesse parole "un minuscolo schizzo di un progetto di seria ricerca cui vari team di esperti lavorano oramai da un decennio" e che ha attirato grande attenzione da parte degli esperti, è stato pubblicato sotto il titolo: "Guerra neocorticale".


L'articolo descrive la base su cui poggia la moderna dottrina militare degli Stati Uniti e la sostanza della strategia offensiva del XXI secolo, che, nelle parole del suddetto colonnello, "dopo anni di sperimentazione e verifica, ora è matura per l'introduzione nella pratica delle forze armate degli Stati Uniti e della NATO." In seguito, già nel 1995, si era dimostrato che non si trattava soltanto del parere di un team scientifico o del loro direttore. Il Consiglio di sicurezza nazionale ha approvato e firmato in quell'anno l'introduzione di un nuovo regolamento sull'impiego delle Forze Armate USA, sotto la denominazione FM 100-5. Questo regolamento non è altro che una guida per l'applicazione della teoria del combattimento neocorticale, e non è altro che un metodo compatibile con il piano di attuazione della politica estera degli Stati Uniti, motivo per cui gli è stata conferita l'approvazione per l'applicazione.


La guerra neocorticale comprende la guerra psicologico-propagandistica, il verificarsi di azioni indirette, conflitti a bassa intensità, operazioni psicologiche.


La storia dell'umanità è la storia della guerra, dal fratricidio di Caino in poi. Tutti i periodi di pace sono periodi di volontà spezzate delle parti sconfitte e periodi di preparazioni per successivi conflitti armati.

L'essenza del moderno concetto di guerra è di trascurare il risultato raggiunto e non permettere che si verifichi una fase di tregua o di distensione, affinché l'azione si protragga fino al completo collasso, al punto di arresa totale ed irreversibile alla volontà dell'avversario. Il colonnello Sam Safranski afferma nel testo: "Dobbiamo prevenire tutte le mosse o i tentativi dell'avversario di riacquistare la propria volontà, una volta che questa è stata sottomessa. Ogni volta che, nella storia, si è verificata questa situazione, la volontà rinnovata ha risposto con più severità rispetto alla sudditanza precedente".

Che cosa hanno concretamente realizzato gli Stati Uniti di tutto questo? Hanno semplicemente seguito le istruzioni sull'impiego dell'esercito dalle disposizioni dette FM 100-5. Una volta presa la decisione politica, l'esercito la mette in opera secondo i principi delle “operazioni FID” previsti nelle ipotesi strategiche e tattiche per i Balcani.


1. Operazione FID


Le "Operazioni FID" (Foreign Internal Defense), cioè "difesa interna dei paesi amici", sono state definite nel 1976 al Pentagono con il regolamento FM 100-20, sulla base delle esperienze maturate in Vietnam, e collaudate in numerosi conflitti nel mondo. Le Operazioni FID comprendono la gestione delle operazioni "senza uno stato formale di guerra" e una serie di misure interconnesse e coordinate, realizzate da parte del protettore (governo USA) e dal governo estero, appoggiato dagli USA nella difesa contro gli atti distruttivi da parte suoi nemici interni.


Tali operazioni si organizzano nel momento in cui è necessario astenersi da ogni aperto e diretto intervento militare. Nella realizzazione dei propri obiettivi nei confronti del paese attorno quale si crea uno "scudo di protezione," gli Stati Uniti dapprima forniscono supporto diplomatico e politico, al fine di creare una fiducia pubblica internazionale sulla fondatezza di tale pratica, poi si passa agli approvvigionamenti per i "clienti residenti" fornendo loro armi e istruttori di intelligence, in modo che il paese si difenda "con le proprie forze", e infine, se è proprio necessario, si prosegue con il successivo coinvolgimento di forze armate statunitensi. Tutto mira ad abilitare le forze armate degli alleati e rafforzare la loro capacità di combattimento autonomo, affinché la partecipazione dei soldati americani sul terreno sia ridotta al minimo.


Una operazione FID si basa su di un trattato segreto o altro tipo di accordo segreto tra gli Stati Uniti ed il paese protetto, in cui si impiega il complessivo potenziale americano, che consiste in diplomazia, economia, intelligence e forze speciali per l'attuazione delle azioni psicologiche, di propaganda e di sostegno. Onde preservare il più possibile la segretezza di operazioni come quelle di formazione "dell'esercito del paese protetto", si utilizzano delle società apparentemente private.


2. Operazione FID in Croazia


Con il riconoscimento della Croazia da parte degli USA e dell'UE entro i suoi confini della Costituzione jugoslava del 1974, si erano create le condizioni per la conclusione di accordi bilaterali tra la Croazia e gli Stati Uniti e quindi per l'avviamento della operazione FID. E 'importante notare che la statualità della Croazia era stata pienamente riconosciuta, indipendentemente dal fatto che non erano state affrontate questioni chiave come quelle sulla successione e sulla posizione del popolo serbo in essa. Ciò significa che i serbi furono trattati come ribelli contro il "governo legalmente eletto" e contro "uno Stato riconosciuto a livello internazionale," le loro unità militari furono trattate come "paramilitari" e la Repubblica Serba di Krajina come una "creazione illegittima", anche se ciò era contrario allo stato di fatto. Pertanto tutte le azioni dell'esercito croato contro i serbi sono state interpretate come "lotta contro i ribelli" in cui bisognava prestare aiuto all'alleato che combatteva contro i "ribelli".


Nell'operazione FID attuata dagli Stati Uniti nel territorio della Croazia, che si è conclusa con la distruzione della Repubblica Serba di Krajina, con la persecuzione della popolazione serba dalla Croazia e numerosi massacri contro di loro, uno dei ruoli principali lo ha avuto la società MPRI.


3.1. Il ruolo della MPRI - società di consulenza militare


La società privata statunitense di consulenza militare per la fornitura di servizi militari professionali MPRI (Military Professional Resources Incorporates - Società per le Risorse militari professionali) è stata costituita nel 1987. La sua sede è ad Alexandria in Virginia (USA) e raduna principalmente generali in pensione, ammiragli e ufficiali di ogni ordine e grado dell'Esercito degli USA, per lo più provenienti dai servizi segreti militari. Sul loro sito web, ma anche nei dépliant forniti alle parti interessate, si menziona che la MPRI rappresenta un centro con la più alta concentrazione mondiale di esperti e professionisti militari. Il numero di dipendenti a tempo indeterminato è di circa 2000. Tuttavia, nella fornitura dei servizi militari, la MPRI noleggia forze aggiuntive in base alle esigenze.

Il compito della MPRI nell'ambito di una operazione FID è di addestrare l'esercito alleato, mentre l'Amministrazione USA procura le condizioni fondamentali per azioni di guerra: armamenti, munizioni, apparecchiature per il comando e la comunicazione, supporto psicologico-propagandistico, dati di intelligence ecc. Qualora la parte "sponsorizzata", nonostante l'aiuto americano, non fosse capace di eseguire il compito predisposto, allo scopo della salvaguardia dei propri tutelati gli USA ricorrono all' intervento militare diretto. Prima dell'intervento, essi cercano di ottenere il permesso dell'ONU ed il consenso e sostegno degli alleati dalla NATO. La piattaforma di azione congiunta tra MPRI e Amministrazione USA, dapprima sul territorio della Croazia e poi in Bosnia-Erzegovina, ha avuto un effetto decisivo per il successo degli eserciti croati e musulmani contro gli eserciti della Krajina e della Repubblica Srpska. (Questa azione coordinata è continuata in Macedonia e Kosovo-Metochia).

Sebbene l'Amministrazione degli Stati Uniti abbia svolto tali operazioni in modo segreto, cercando di preservare ad ogni costo la loro segretezza, è però accaduto che loro funzionari, in occasione di apparizioni pubbliche, abbiano involontariamente rivelato il vero significato e l'essenza delle azioni della MPRI. Così il presidente degli USA, William Bill Clinton, raccomandandosi che la MPRI gestisse il programma "Addestrare ed equipaggiare" [Train and equip], dichiarò pubblicamente che questi avevano compiuto un grande lavoro per i croati in Bosnia. (Il contratto tra la MPRI e la Federazione croato-musulmana, nell'ambito del programma "Addestrare ed equipaggiare", era stato firmato il 16 luglio 1996 da Alija Izetbegovic, Kresimir Zubak e James Jump, un rappresentante del governo degli Stati Uniti per la cooperazione militare nei Balcani. L'accordo è un'ulteriore prova del fatto che l'Amministrazione americana ha utilizzato questa società per le proprie attività sotto copertura. Questi sono solo alcuni dei fatti che comprovano come la MPRI sia un elemento offensivo della politica statunitense ed una "maschera" per le operazioni segrete dell'Amministrazione, perché si tratta di una organizzazione privata, anziché statale. Essa contribuisce a realizzare gli interessi americani in un determinato paese o regione.)


3.2. MPRI in Croazia


I governanti della Croazia e la MPRI già nel 1991 avevano firmato un contratto per l'addestramento dell'esercito croato. Il Ministro della Difesa croato Gojko Susak rinnovò il contratto il 15 novembre 1994, dopo di che in Croazia giunsero circa 60 esperti della MPRI, con il compito di addestrare le forze speciali croate e le unità della Guardia.


In parallelo, il 29 novembre dello stesso anno, fu firmato un accordo militare tra i Ministeri della Difesa di Croazia e Stati Uniti, che conteneva una serie di clausole segrete sulla formazione dell'esercito croato e sulla partecipazione dei generali americani alla pianificazione operativa, all'armamento, all' intelligence e al supporto logistico. In tali contratti erano stati precisati anche la installazione di velivoli spia senza pilota statunitensi sull'isola di Brac, l'ascolto elettronico da parte della centrale NATO nel territorio della Croazia, l'utilizzo degli aeroporti e porti sull'Adriatico, e altre questioni. Entrambi i contratti significavano l'impegno diretto degli USA nel rafforzamento dell'esercito croato e nella sua preparazione per lo scontro decisivo con i serbi.


Nello Stato Maggiore dell'esercito croato furono inclusi alcuni autorevoli generali in pensione, membri della MPRI: John Galvin, ex comandante delle forze USA in Europa; Carl Vuno, ex capo dello Stato Maggiore dell'esercito terrestre USA durante le operazioni a Panama; Richard Griffith, ex-vice comandante delle forze USA in Europa per le questioni di intelligence; James Lindsay, ex comandante delle Forze Speciali USA ed esperto di conflitti a bassa intensità; Ed Sojster, ex capo del Servizi Segreti Militari; S. Crosby, ex capo dell'Accademia militare di Fort Levenvorth; e ancora molti altri ufficiali di rango inferiore. L'operatività in Croazia tra la MPRI e il governo degli Stati Uniti era coordinata dal generale John Svol, consigliere militare del segretario di Stato Warren Christopher. Presso l'Ambasciata USA a Zagabria, in base ai regolamenti, fu istituito un "team statale" per fornire assistenza di tutti i tipi al "paese amico", con a capo l'ambasciatore Peter Galbraith, il quale in seguito, in un'intervista al quotidiano "Vecernji list" di Zagabria, ammetterà che gli Americani sapevano della preparazione della "Tempesta", ma negherà la loro partecipazione diretta. Tutto questo indica chiaramente l'azione coordinata tra la MPRI e l'Amministrazione americana: la MPRI forniva l'addestramento e gli Stati Uniti fornivano armi, equipaggiamenti, sostegno diplomatico e di altro tipo.


Al centro delle attività della MPRI era la formazione degli ufficiali croati e dei comandi per le operazioni tattiche, l'organizzazione delle unità, la pianificazione dell'esecuzione di operazioni di combattimento, l'uso dell'intelligence, dei dati satellitari ed elettronici, la simulazione al computer e così via. L'intero esercito croato non poteva essere ristrutturato in così poco tempo secondo il modello occidentale, cosicché l'accento fu posto sulla formazione del personale preposto, dei comandi nelle basi militari, e la strutturazione delle Guardie del Primo Corpo d'elite in otto brigate organizzate secondo gli standard NATO, di cui facevano parte professionisti ben remunerati. Difatti, queste brigate di guardie costituiranno la potenza offensiva primaria, la forza d'urto nelle operazioni "Bljesak" e "Oluja", ovvero nella distruzione della Repubblica Serba di Krajina, nel terrorismo e nella persecuzione della popolazione serba. In quell'occasione l'esercito croato si comportò secondo una versione modificata della dottrina americana del "combattimento aria-terra" in cui, tra l'altro, fece ampio uso dell'artiglieria (razzi) per operazioni in profondità, delle attività di guerra psicologica e propaganda, dell'intelligence e della logistica a livello NATO. È certo, comunque, che l'assistenza della MPRI non sarebbe stata sufficiente e fondamentale per il successo dell'esercito croato se non ci fosse stata un'azione forte e coordinata e il sostegno delle forze USA e NATO, sotto il cappello delle Nazioni Unite a favore della Croazia. Vale a dire che nel Quartier Generale croato erano ospitati un centro americano per il comando, il controllo e il coordinamento dell'esercito croato, organismi per le attività psicologiche e di propaganda nonché un Centro per l'elaborazione dei dati riservati sull'esercito serbo di Krajina, raccolti dagli Stati Uniti attraverso satelliti spaziali e altri mezzi d'aria (velivoli senza pilota e aerei spia).


4. La partecipazione degli Stati Uniti alla distruzione della Repubblica Serba di Krajina


Il fatto che gli Stati Uniti passassero dati di intelligence all'esercito croato è evidenziato nel film documentario "La grande storia", presentato il 16 novembre del 1995 sul terzo canale della televisione londinese e realizzato dal network televisivo indipendente ITN. L'autore del documentario, il giornalista Dermot Mamahan, ha detto di avere iniziato la sua ricerca su "uno dei segreti meglio occultati della guerra dei Balcani" partendo dall'isola di Brac, dove in uno degli alberghi semideserti soggiornavano "misteriosi" americani che si muovevano solo in compagnia di poliziotti militari croati.


Abitanti locali, che vivono nella vicinanza dell'aeroporto, hanno confermato al giornalista britannico di aver avvistato certi "strani aerei" che si alzavano più volte al giorno dalla pista. Sulla base delle loro descrizioni e della consultazione di esperti, Mamahan ha concluso che si trattava degli aerei spia americani senza pilota, del tipo GNAT-750, le cui parti sono arrivate smontate nelle casse e che gli americani in seguito assemblavano in uno degli hangar. Questi velivoli sono dotati di telecamere moderne e dispositivi di registrazione del movimento delle truppe, del dispiegamento delle armi, e di raccolta di altri dati importanti.


In quel film Mamahan ha inoltre usato le dichiarazioni di David Fulgham di "Aviation Week", che ha detto che "l'intera operazione dell'isola di Brac testimonia il coinvolgimento della CIA", oltreché le testimonianze di generali in pensione della intelligence americana, quali Roger Ciles, su come gli americani abbiano condiviso con i croati i dati ottenuti con voli spionistici. Questo è stato confermato a Mamahan anche dal generale croato Martin Spegelj.


In base a tutto ciò, Mamahan ha concluso che le truppe croate sicuramente hanno ampiamente usato questi dati per la conquista della Krajina, quando è stata perpetrata "l'uccisione massiccia dei civili di nazionalità serba." Così "l'offensiva si è trasformata in un massacro condotto con il sostegno degli Stati Uniti", ha concluso Mamahan, aggiungendo che ufficiali delle Nazioni Unite hanno confermato che udirono i rumori di aerei americani poco prima che l'attacco avesse inizio.


I filmati degli aerei Nato che decollavano da Aviano poco prima dell'attacco alla Krajina, il cui compito era di demolire tutti i centri di trasmissione dell'esercito serbo di Krajina per disorientarlo poiché tutti i sistemi di comunicazione erano messi fuori uso, sono stati presentati due volte alla televisione croata. Così, la testimonianza dell'ufficiale ONU nel documentario di Mamahan ha acquistato peso e fornisce una ulteriore prova che la macchina della NATO guidata dagli Stati Uniti era direttamente impegnata a schiacciare la Krajina e, quindi, nelle persecuzioni e nei massacri ai danni della popolazione serba.


Per di più, del coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella operazione "Oluja" ha parlato anche Tim Marshall, autore del libro "Game of Shadows" [Il gioco delle ombre] pubblicato nel 2001 a Belgrado, che in modo diretto racconta i retroscena della cosiddetta rivoluzione del cinque ottobre [2001]. Una parte della conversazione tra Marshall e Marko Lopusina, giornalista del "Nedeljni Telegraf", è stata pubblicata il 4 dicembre 2000. In essa, tra le altre cose, Marshall dice che la "Tempesta" fu una operazione pianificata e finanziata dagli Stati Uniti, con armi moderne utilizzate dalla CIA, e nota che questo dato gli è stato confermato da un colonnello della CIA: nella documentazione di questa agenzia, la "Tempesta" è valutata come una azione americana di grande successo.


Ciò che rimane come una questione aperta è il livello di partecipazione degli USA e della ditta MPRI alla diretta pianificazione di queste operazioni e se i pianificatori ed i consiglieri americani, insieme ai loro "allievi", abbiano pianificato il massacro e la persecuzione della popolazione serba, oppure se gli "allievi" siano andati fuori controllo, commettendo le atrocità da soli, cercando di risolvere la questione serba in Croazia una volta per tutte, secondo la ricetta di Ante Pavelic.


5. I servizi segreti croati sulla partecipazione americana


"Signori, fateci espellere i serbi dalla Croazia, e noi non porremo questioni sulle condizioni che ponete", dichiarò Gojko Susak a Carl Edward Vuono nel novembre 1994, in occasione della firma degli accordi con la MPRI.


Dal momento che gli Stati Uniti erano più interessati alla situazione in Bosnia-Erzegovina che a quella in Croazia, alla Croazia era richiesto di permettere l'installazione di una base militare per droni. La condizione principale era che tutto rimanesse top secret, per non far sembrare che gli Stati Uniti si schieravano dalla parte di uno degli avversari.


Gli Stati Uniti non soltanto monitorarono l'intera operazione "Tempesta", ma collaborarono anche attivamente con l'esercito croato nella sua preparazione e, alla fine, la avviarono loro direttamente. La luce verde dalla Casa Bianca, ovvero del presidente Clinton, per l'operazione "Oluja" fu trasmessa dal colonnello Richard Herish, allora addetto militare degli Stati Uniti a Zagabria. Pochi giorni prima dell'inizio della "Tempesta", egli si recò in visita da Markica Rebic, che con Miroslav Tudjman, allora primo uomo del servizio di intelligence croato, e Miro Medjimurac, allora capo del SIS, teneva le comunicazioni più intense con i militari statunitensi e i servizi segreti, così che nel 1996 ricevette da Peter Galbraith, allora ambasciatore USA a Zagabria, una medaglia per il servizio meritorio reso. Herish trasmise a Rebic il messaggio che gli Stati Uniti non si opponevano all'inizio dell'operazione "Tempesta", ma che questa doveva essere "pulita e veloce" e completata in cinque giorni. Rebic rimase sorpreso che un tale importante messaggio politico e militare fosse trasmesso a tale livello, ed immediatamente informò la leadership dello Stato. Questo è degno di nota perché nella "linea di comando" Galbraith era stato completamente tralasciato. Vale la pena di sottolineare che il messaggio passò da Clinton ad Anthony Lake, allora consigliere per la sicurezza nazionale, e William Perry, ministro della Difesa, e tramite Rebic fino a Susak e al presidente Franjo Tudjman.


Questo fu il momento topico della cooperazione tra gli Stati Uniti e la Croazia, che aveva cominciato a svilupparsi nel 1992, all'inizio della guerra serbo-musulmana. Clinton nel 1995 era vicino alla sua seconda rielezione, Bob Dole era il candidato presidenziale repubblicano che chiese al Congresso di revocare l'embargo sulle armi ai musulmani della Bosnia-Erzegovina. Per Clinton questa regione diventava fondamentale per gli affari interni degli Stati Uniti ed era il prezzo per il mantenimento del suo potere. Nella loro strategia di soluzione della crisi essi decisero di utilizzare la Croazia per attaccare le forze serbe in Bosnia-Erzegovina, perciò Alija Izetbegovic e Franjo Tudjman firmarono la dichiarazione di Spalato - che permetteva l'ing

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(hrvatskosrpski / italiano. 
Sulla diatriba attorno al monastero di Daila si vedano anche le posizioni della parte revanscista italiana:
http://www.anvgd.it/notizie/11954-19ago1526-toth-anvgd-su-daila-vaticano-e-osimo.html )


Conferenza stampa della sezione istriana della SRP (Partito socialista dei Lavoratori della Croazia)
Pola, 8 agosto 2011

L'ingerenza del Vaticano sui beni della chiesa in Croazia


Le pretese del Vaticano di dirigere e amministrare i beni mobili e immobili in Croazia ci fanno ritornare al Medioevo e al Feudalesimo, quando il potere della chiesa era al di sopra di quello temporale.

Di questo, oltre che i fatti storici, parlano gli stessi fatti attuali perchè l'atteggiamento condiscendente e le relazioni feudali sono una spiccata caratteristica, permanentemente presente in Croazia dagli anni Novanta in poi.

Anche durante l’ultima visita del Papa in Croazia, costosa e inutile a nostro avviso, i rappresentanti del governo e delle altre entità istituzionali hanno fatto a gara tra di loro nell’adulazione e a baciare la mano al Papa, assurgendo a massima autorità morale l’istituzione più retrograda della storia ed il suo capo. Riconosciamo e ci rallegriamo per il fatto che in questa istituzione conservatrice sono state e sono tuttora presenti singole persone che si distinguono per le proprie posizioni e azioni in relazione ad alcune questioni.

Tralasciamo il merito della diatriba tra il Vaticano e il clero istriano, evidentissima in questo caso, e non vogliamo in essa addentrarci. Allo stesso modo però neghiamo ogni diritto d’ingerenza della chiesa negli affari statali e terreni. Queste ultime intromissioni violano anche le relazioni internazionali e possono avere implicazioni attualmente imprevedibili.

In questo caso si intrecciano molte circostanze torbide. La Croazia nel 1990 non aveva bisogno di denazionalizzare i beni immobili in questione [il monastero di Daila, vicino Parenzo, e i terreni circostanti, di inestimabile valore commerciale - ndt]. Il governo locale ha poi commesso un errore irreparabile, trasformando il terreno agricolo in terreno edificabile per permettere così l’arricchimento speculativo di persone o gruppi di persone.

E' inutile che l’ IDS (Dieta Democratica Istriana) ora versi “lacrime di coccodrillo”! Il danno commesso da loro precedentemente, la trasformazione di terreni agricoli in edificabili, vendendoli agli stranieri, è quasi incommensurabile rispetto a questo. Innanzitutto con l’Arenaturist, Barbariga, Dragonera ed ora anche con il litorale polese.

Tutto questo è la conseguenza della speculazione sui beni della società all’interno del sistema capitalista: soltanto con l’abolizione di questo sistema retrogrado e ingiusto sarà possibile rimediare al danno. Danno arrecato a tutti i cittadini dell’Istria.


Vladimir Kapuralin


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KONFERENCIJA ZA ŠTAMPU SRP-a ISTRE


Mjesto održavanja: Pula
Vrijeme održavanja: 8. VIII 2011.
Tema: Uplitanje Vatikana u crkvenu imovinu u Hrvatskoj


Pretenzije Vatikana da upravlja i raspolaže pokretnom i nepokretnom imovin Hrvatskoj vraćaju nas o srednji vijek i feudalno doba, kad je crkvena vlast bila ispred svijetovne.

Osim povjesnih činjenica, tome u prilog govore i aktualna događanja, jer su snisishodljivost i vazalni odnosi glavno obilježje feudalnih odnosa. A snisishodljivost i vazalni odnos prema crkvi je permanentno prisutno u Hrvatskoj, od 90-ih na ovamo.
I prilikom nedavnog rastrošnog i nepotrebnog diolaska Pape u Hrvatsku predstavnici vlasti i ostalih institucija sistema, su se takmičili tko će se dublje poklonit pred nim i ljubit mu ruku.
A najretrogradniju instituciju u povjesti i njenog poglavara proglašavali moralnom vertikalom. Priznajemo i cijenimo, da je i u takvoj konzervativnoj instítuciji bilo, al danas je pojedinaca koji su se izdvajali u svom stavu i djelovanju u odnosu na pojedina pitanja.

Prepucavanja između Vatikana i istarskog svećenstva, koje je u ovom slučaju evidentno, zaobilazimo o širokom luku i ne želimo se u njih upuštat, kao što odričemo pravo crkvi da se upliće u državne i svijetovne stvari. A ovo najnovije uplitanje zadire i u međunarodne odnose koji mogu imati za sada nesagledive implikacije.

U ovom slućaju isprepliće se mnoštvo nečasnih događanja. Hrvatska 90-ih nije trebala denacionalizirati spomenuti objekt sa nekretninama koje mu pripadaju, kasnija lokalna vlast učinila je nepopravljivu štetu pretvaranjem poljoprivrednog zemljišta u građevinsko i time omogučila špekulativno bogaćenje pojedinaca ili grupa.

IDS nema razloga da lije «krokodilske suze» jer je šteta o kojoj se u ovom slučaju radi i doslovce zanemariva u odnosu na onu koja je počinjena rasprodajom objekata i zemljišta strancima koje su oni počinili. Prije svega Arenaturist, Barbariga Dragonera i sada Pulsko priobalje.

Sve je to posljedica pretvorbe društvene imovine u špekulativnu unutar kapitalističkog sistema i samo ukidanjem tog retrogradnog nepravičnog sistema bit će moguće ispraviti štetu.
Počinjenu stanovnicima Istre.

Kapuralin Vladimir



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Al prossimo censimento che si terrà in Serbia, dal 1 al 15 ottobre 2011, gli jugoslavi vogliono e devono potersi dichiarare in quanto tali, rifiutando la tribalizzazione dei rapporti sociali che è stata fomentata ed imposta negli ultimi 20 anni... Sulle iniziative per il riconoscimento della nazionalità jugoslava nelle varie repubbliche si vedano anche gli aggiornamenti al nostro sito: https://www.cnj.it/amicizia.htm#nasaju


Nacionalnost Jugosloven

Inicijativni odbor u osnivanju
za formiranje Nacionalnog saveta Jugoslovena
u Republici Srbiji
Subotica, avgusta 2011.
 
Poštovane –i drugarice i drugovi,
 
Povodom predstojećeg popisa stanovništva u Republici Srbiji koji će se održati od 1. – 15. oktobra 2011. godine, predlažemo da u svim gradovima gde nas ima (znači da svaki od nas javi i drugima) učinimo sledeće:
1.      Tokom septembra meseca da radimo  intenzivnu i sveobuhvatnu  kampanju preko press-a, performansa, flajerima itd., da se zalažemo za to da se svaki građanin slobodno izjasni koje je nacionalnosti i da to isto važi za sve koji se žele izjasniti kao Jugosloveni. Jugosloveni postoje, ponosni su na svoje opredeljenje, ne damo se izbrisati gumicom i jedina smo alternativa na južnoslovenskim prostorima.
2.      Vezano sa ovom našom aktivnošću, u opštinama i gradovima u kojima ne postoji logistika, da formiramo udruženja "Naša Jugoslavija", inicijativne odbore za formiranje Nacionalnog saveta Jugoslovena, ili druge njima slične. Propagandu treba uskladiti sa specifičnostima sredine, sa iskustvima i rezultatima popisa 1981., 1991. i 2002. godine. Pri tome preporučujemo da koristimo bogatu riznicu naših stavova po ovom pitanju, materijale i deklaracije nama sličnih udruženja sa čitavog jugoslovenskog prostora.
3.      Pre i tokom popisa podignimo našu budnost na najviši nivo zbog mogućih pritisaka, nezakonitih radnji – povodom kojih valja odmah reagovati da bi sprečili njihovu eskalaciju. U popisu iz 2002. godine broj građana koji su se izjasnili kao Jugosloveni značajno je opao, i to kao rezultat snažnog pritiska na te građane da se drugačije izjasne, jer, eto, "ne postoji Jugoslavija pa ne može biti ni Jugoslovena". Ličnih svedočenja o takvom pritisku je mnogo, a dopunski dokaz je u podatku da je 1981. i 1991. godine bilo samo 0,1% građana koji su odbili da se izjasne o nacionalnoj pripadnosti, da bi 2002. godine njihov broj u Srbiji "eksplodirao" na 107.000 (povećanje 17 puta).
Osećaj nacionalne pripadnosti stvar je slobodnog izjašnjavanja i pravo svakog pojedinca. Zašto bi to pravo, koje je dato velikoj većini, bilo uskraćeno Jugoslovenima? Postojeća ustavna i zakonska regulativa Republike Srbije oslanja se na međunarodne akte o ljudskim pravima i to pre svega na Povelju o pravima čoveka Organizacije UN i Evropsku konvenciju o ljudskim pravima, što obavezuje sve učesnike u popisu da se pridržavaju istih.
4.      U drugoj polovini 2012. godine vodili bi zajedničku aktivnost da se ispune uslovi za formiranje Nacionalnog saveta Jugoslovena. Mi smatramo da bi formiranje NS Jugoslovena bio snažan odgovor prema svim nacionalizmima, koji još dominiraju i stvaraju tenzije, usporavaju izlazak Srbije iz krize. Jugosloveni žele da grade progresivnu, demokratsku Srbiju za sve ljude koji u njoj žive, zajedno da pomognemo Srbiji da ide napred, jer svi smo mi za mir, ravnopravnost, toleranciju i život zajedno (a ne jedni pored drugih) u Srbiji. Bitno je istaći da je tokom proleća 2010. godine Ministarstvo za ljudska i manjinska prava RS i pismeno i usmeno obavešteno o našim namerama i cilju da formiramo Nacionalni savet Jugoslovena.
Ideja jugoslovenstva potiče još iz 19. veka iz pokreta južnoslovenskih naroda na ovim prostorima i ostavila je neizbrisiv trag među svima nama. Osnovna osobina jugoslovenstva je njegova heterogenost i otvorenost prema drugom i drugačijem.
Pripadnici nacionalnosti Jugosloven su u SFRJ, koja je kao i sve druge zemlje imala svojih  dobrih i loših strana (značajno više dobrih), imali su priliku da budu ravnopravni sa svim drugim narodima i narodnostima, da učestvuju u njenoj izgradnji i razvoju, da zajedno sa svima drugima razvijaju svoje sposobnosti, besplatno se školuju i leče, imali su priliku da žive u zemlji u kojoj je čovek stajao ispred profita, u društvu u kome je drugarstvo bilo važnije od krutih i ograničenih nacionalističkih stega. Jugosloveni nepokolebljivo veruju u kreativnost i pozitivnu dinamiku jugoslovenskih prostora i nisu opterećeni pečatima istorijske zaostavštine i potenciranja neznatnih razlika među ljudima, već daju prednost elementima spajanja duge evropske kulturne tradicije, a kao rezultat takvih nastojanja i pogleda pojavljuje se specifičnost zajedničkog identiteta, koji je apsolutno nezavistan od nekih starih ili nekih novih granica, te time po ko zna koji put na delu dokazuju da granice ne postoje na kartama već isključivo u glavama ljudi.
U našem, ali prevashodno u interesu budućih generacija je da istina preživi, nezavisno od toga koliko ona bila bolna. Jugosloveni priznaju i prihvataju čoveka bez obzira na njegovu nacionalnu ili versku pripadnost, boju kože, polno ili bilo koje drugo opredeljenje, i bore se za ravnopravnost, jednakost i prosperitet svih koji žive na južnoslovenskim prostorima. Istovremeno ne tražimo ništa više, ali ni ništa manje, nego tolerantan odnos i akceptiranje prava na pripadnost nacionalnosti Jugosloven.
Jugosloveni ne žele da budu oružje u rukama dugih koji se bogate na način nama stran i neželjen, ne želimo da nas se svojata i postavlja čas na ovu, čas na onu stranu, kako kome u određenom trenutku odgovara. Mi smo bili, ostali i želimo i sutra biti Jugosloveni.
 
S poštovanjem,

Za Inicijativni odbor u osnivanju
za formiranje Nacionalnog saveta Jugoslovena
u Republici Srbiji
 
Olajoš Nađ Mikloš
 
Subotica, 31.08.2011.
 
[za kontakte: Komunisti Subotice - ok @ komunistisubotice.org.rs ]



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(english / srpskohrvatski / deutsch.

Sono caduti quest'anno il 5. anniversario dell'assassinio - 11 marzo 2006 - ed il 70. anniversario della nascita - 29 agosto 1941 - di Slobodan Milošević. La prima ricorrenza era stata segnata da una manifestazione pubblica a Vienna, dove una Nota formale di protesta è stata consegnata alla locale rappresentanza ONU - v. doc.4 e https://www.cnj.it/MILOS/ICDSM/index.htm#2011 . La seconda ricorrenza è stata celebrata a Požarevac, città natale e luogo di sepoltura dell'ex presidente jugoslavo. )

Slobodan Milošević 1941 - 2006 - 2011

1) Povodom 70. godina od rođenja nekadašnjeg predsednika Srbije i SRJ Slobodana Miloševića (Pečat)
2) ‘Milosevic put his accusers on trial’ / »Milosevic brachte seine Ankläger auf die Anklagebank« (junge Welt)
3) Remember the frame-up of Slobodan Milosevic -- the struggle continues (J. Catalinotto, S. Flounders, IAC)
4) Vienna 11/3/2011, Protest Note delivered to the ONU authorities (ICSM)


=== 1 ===

http://www.pecat.co.rs/2011/08/slobodan-milosevic-1941-2011/

Slobodan Milošević (1941-2011)


DOKUMENTI | UGLJEŠA MRDIĆ | AVGUST 29, 2011 AT 11:49
Piše Uglješa Mrdić
Povodom 70. godina od rođenja nekadašnjeg predsednika Srbije i SRJ Slobodana Miloševića, u Požarevcu pored grobnice 20. avgusta otkrivena je bista sa njegovim likom


Da nekadašnji predsednik Srbije i SR Jugoslavije Slobodan Milošević nije usmrćen u ćeliji Haškog tribunala u Ševeningenu, u subotu bi proslavio 70. rođendan. Članovi udruženja „Sloboda“ tim povodom su na njegovom grobu u Požarevcu otkrili bistu od belog mermera, koju je naručila porodica pokojnog Slobodana Miloševića.
Zlatnim slovima napisano je: Slobodan Milošević 20.8.1941 – 11.3.2006, ubijen u haškom logoru.

NATOVSKO PRAVOSUĐE

Profesor dr Velko Valkanov, kopredsednik Međunarodnog komiteta za odbranu Slobodana Miloševića, povodom ovog događaja izjavio je da je nekadašnji predsednik Srbije i SRJ izgubio život od najamnih ubica 11. marta 2006. godine.
„U ova dva datuma uokviren je jedan neverovatan život posvećen dobrobiti jugoslovenskih naroda, dobrobiti srpskog naroda. Ali, kao i sve velike ličnosti, Milošević prevazilazi okvire svoje nacionalnosti, pretvorivši se u jedan od simbola borbe čovečanstva za pravdu i slobodu, takav simbol kakav su Patris Lumumba, Salvador Aljende, Nelson Mandela. Čovečanstvo meri svoj rast upravo kroz takve ličnosti, kod kojih je sopstvena sudbina podređena sudbini ljudi. Život Miloševića započeo je u nevelikom srpskom gradu Požarevcu, u porodici običnih radnih ljudi, da bi nastavio na službi istih tih običnih ljudi. Usvojio je najbolje osobine srpskog naroda – osećanje dostojanstva, odanosti, obaveze. Iznad svega je stavljao sudbinu svoga naroda, sudbinu naroda Jugoslavije. A kao svaki istinski patriota nije imao neprijateljskih osećanja prema drugim narodima. Bio je prožet svešću da je odnos prema drugim narodima – mera odnosa prema sopstvenom narodu. Jer, onaj ko mrzi bilo koji drugi narod – ne može voleti ni sopstveni narod.
Život Miloševića je završio u Hagu, u Holandiji, kuda je otpremljen kako bi pred nelegitimnim sudom odgovarao za tuđe zločine. U stvari, trebalo je da odgovara za zločine onih koji su napali njegovu zemlju i gotovo tri meseca uništavali ljude i imovinu bombama i raketama. Tokom pet godina natovsko pravosuđe je upotrebilo sva moguća sredstva kako bi slomilo volju ovog ponosnog Srbina, i u tome nije uspelo. Na kraju, da ne bi priznale svoju nemoć, te takozvane „sudije“, a u suštini – najmljene ubice u togama, ubile su ga.
Pomenuću jedan stih velikog bugarskog pesnika Georgija Džagarova, posvećen sudbini uhapšenog antifašiste: „On ne htede na kolena da padne, milije mu beše da zanavek očima gledati prestane“.
Ovaj stih se u punoj meri odnosi i na Slobodana Miloševića, koji je bez dvoumljenja birao radije smrt nego izdaju. I tako je u suštini postao besmrtan. Kako vreme teče, njegov život sve više će se pretvarati u legendu, a njegovo delo – u školu u kojoj se uči hrabrost. A nama ostaje ponos zbog toga što smo se dotakli njegove veličine“, napisao je Vlkanov.

NJEGOVI PROGONITELJI

Povodom ovog događanja potpredsednik Udruženja „Sloboda“ Dragoljub Kočović izjavio je da je Slobodan Milošević pre 11 godina silom oteran sa vlasti.
„Potom je na prevaru i pod lažnom optužbom isporučen Hagu. Odlazeći ponosne glave upozorio je srpski narod kakva ga sudbina čeka. Danas Slobodana nema, ali njegove reči surovo odzvanjaju u susretu sa tužnom realnošću i sve više pritiskaju njegove progonitelje. Protiv čoveka kojem je život oduzet u modernom nacističkom kazamatu, seju neistine i laži, sa namerom da ga potisnu iz sećanja i izbrišu iz istorije. U tu svrhu, junački otpor naroda stranom agresoru, kojem se Slobodan hrabro suprotstavio, nastoje da proglase za nacionalnu zabludu. Oni koji su branili zemlju, maltene se proglašavaju za izdajnike. Istorija je međutim odredila Slobodanu poseban list. Odabrala ga je za miljenika, dok je njegove rušitelje potisnula u zaborav. Slobodanova vizija i delo postali su deo istorijske svesti i pamćenja naroda. Od silne demokratije, koja je posle Slobodanovog zbacivanja s vlasti navodno preplavila Srbiju, od razuzdane slobode i od svakodnevnog napretka, Srbija nažalost sve više posrće i tetura se ka sunovratu. Njena privreda je na kolenima. Teritorija je osakaćena, a narod osiromašen i obezglavljen. Sela se prazne, a porodica rastaka. Ono što je suprotno duhu srpskog naroda pokušava da se nametne mladima – laka zarada, oružje, droga, nasilje i sluganstvo. Srbija je postala jedina država u svetu u kojoj se građani proglašavaju za izbeglice u sopstvenoj zemlji“, istakao je Kočović.

HRABROST I SNAGA

Možemo zaključiti da danas, na Slobodanov 70. rođendan, i te kako je vidljivo da je došlo drugo vreme. Nema sigurnosti na ulicama, preovladao je strah od svega i svačega, fabrike se gase, preduzeća zatvaraju, a radnici bez posla obilaze umnožene državne i paradržavne institucije, ne znajući ni ko im je sagovornik, ni gde ga mogu naći. Seljaci zaposedaju drumove, a politiku vode motkama. Sve vredno što je prethodni, navodno diktatorski sistem stvorio, odavno je prodato ili samo čeka kupca.
Sve se zaista promenilo, ali je jedno ostalo isto. I dalje traje potreba da se Srbija uspravi, da odbrani svoju teritoriju, da posveti pažnju seljaku i da omogući radniku da radi posao za koji se školovao. Njoj su jednako potrebni odbrana od zabluda i odmor od praznih obećanja. Srbija čeka na lidera koji će imati Slobodanovu hrabrost, snagu, volju i istrajnost.
Na skupu povodom Miloševićevog rođendana rečeno je da će uskoro pred ovim skromnim spomenikom, početi da dolaze i oni koji su predvodili Slobodanovo rušenje. Dolaziće da bi se izvinili. Mnogi građani i seljani čija je lakovernost iskorišćena i zloupotrebljena, već odavno su to učinili.


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Published in Junge Welt, March 11, 2011. Translated from the German by John Catalinotto.

http://www.en.beoforum.rs/comments-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/164-milosevic-put-his-accusers-on-trail-by-ruediger-goebel.html

http://www.iacenter.org/balkans/milosevic031111/ 


‘Milosevic put his accusers on trial’ / »Milosevic brachte seine Ankläger auf die Anklagebank«


By Rüdiger Göbel, Junge Welt  www.jungewelt.de

Cathrin Schütz, who holds a degree in political science and is a writer/analyst for Junge Welt, was a member of the defense team of Slobodan Milosevic before the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) from 2002 on. Among her contributions was "The destruction of Yugoslavia - Slobodan Milosevic replies to his accusers," published by the Zambon-Verlag

On the occasion of the fifth anniversary of the death of Slobodan Milosevic you will be protesting this Friday (March 11, 2011) in at the Office of the United Nations in Vienna. Why not in The Hague where the former Yugoslav and Serbian president died in his cell during his trial before the Yugoslavia Tribunal (ICTY)?

The UN has created a monster with the ICTY and we’re demanding to finally remove this monster from the world. The governments of the United States and Germany set up the ICTY in 1993 as the first ad hoc tribunal in the UN Security Council, although the SC has no legal authority for such a step. A UN body, which judges citizens of member states, is in fundamental contradiction to the UN Charter. At the illegal establishment in The Hague we see no one to discuss this with.

What interest did the U.S. and Germany pursue with the establishment of the ICTY?

Because Yugoslavia stood in the way of their drive to expand in Eastern Europe, they led the way to its destruction; both states share responsibility for the outbreak and escalation of secessionist civil wars. With full awareness of the results of their plans, they had already in 1993 by diplomatic and covert operations covered their hands with Balkan blood, and then invented a "court" that could be used as a weapon to pressure the warring parties. And it should judge the crimes committed in former Yugoslavia - in true NATO-style: bring the recalcitrant Serbs to their knees and acquit the NATO countries of their responsibility. With this in mind, protected by the ICTY, NATO conducted an aggressive war against Yugoslavia in 1999 without a UN mandate. Because of its financial resources and political connections NATO spokesman Jamie Shea had described the military alliance as a "friend of the ICTY" and thus proactively explained why there would be no charges brought for NATO's war crimes -- crimes that have been certified by Amnesty International.

But there do exist international standards for fair trials.

In order to carry out the political mission, the ICTY had to disregard standards that normally apply. The Serbian opposition leader Vojislav Seselj has been held in custody for eight years. This is a clear breach of the European Convention on Human Rights. In any rule of law a defendant has a right to know what he is accused of. The ICTY has made basic changes in the particulars of the indictments several times, even after the trial had begun. It changed its own rules umpteen times and constantly violated them. Milosevic was refused his guaranteed right to defend himself. Radovan Karadzic is threatened with the same. The principle of giving equal treatment to prosecution and defense was violated every day. The prosecutor held weekly press conferences in the ICTY, and Richard Dicker of Human Rights Watch, a renowned producer of anti-Serb propaganda, rushed regularly to the foyer to attack Milosevic to the media. Meanwhile our colleague was ejected from the building when he distributed a handout to a journalist. The huge budget of the ICTY stood behind the accusers. The Milosevic-defense had to rely on donations alone. When the German government criminalized the fundraising campaign, froze our funds and also blocked my account, the ICTY refused us any support. This greatly limited our work.

You describe the ICTY as anti-Serb. But there were also Croats and Bosnian Muslims convicted...

Although this was a three-sided civil war, about 80 percent of all defendants are Serbs, including many top politicians and senior military. Not so with the Croats and Bosnian Muslims. The Croatian General Ante Gotovina was indeed found responsible for notorious "ethnic cleansing of Krajina," which removed hundreds of thousands of Serbs, but not his superior officers. The same applies to the Bosnian Muslim Naser Oric. Although he boasted during the war to the Western press with the severed heads of Serbs, the ICTY says that no one can prove he is responsible for the attacks of his soldiers on the Serbs around Srebrenica. The U.S. journalists, who were the first to see his human war trophies, were never called to testify by the ICTY. The pseudo trials against non-Serbs are meant to demonstrate to the outside world the impartiality of the ICTY.

Former ICTY chief prosecutor Carla del Ponte will now render a judgment in the case of organ trafficking by the Albanian Kosovar mafia. Serbs from Kosovo were deported to Albania and were systematically eviscerated.

Del Ponte has demonstrated in her autobiography the information needed to expose the organ trade, which led to the investigation and the report of the Special Rapporteur of the Council of Europe, Dick Marty. But I wonder if she in her current involvement wants to cover up a bigger scandal. Marty has namely discovered that under Del Ponte 2003the ICTY destroyed evidence of organ harvesting by the criminal gangs in Kosovo!

The majority of the local media [in Berlin] then described Slobodan Milosevic as they describe Muammar al Gadhafi today. Take your pick: Either he was a megalomaniac, evil, genocidal, yes, even a new Hitler. You were part of his defense team. What was it like?

Lord David Owen, former EU Special Envoy for the Balkans, described Milosevic as a "Yugoslav” who was anything but an ideologue for a Greater Serbia or promoter of "ethnic cleansing." I agree with Owen. Milosevic often took Croats and Bosnian Muslims under his protection, and he stressed how they were used by the West and misled. He also mentioned in his defense the support of the Bosnian Muslim forces by foreign mujahideen. However, he was opposed to any overestimation of the "Islamic terror." He stressed instead that the U.S. was responsible for the importation of Islamic fighters. It was no coincidence that the non-Serbs facing charges also respected him.
I was impressed by the reports of the defense witnesses, with whom I had close contact. They were Western politicians, diplomats, military officers, journalists who, in one way or another, witnessed the war. And all of their statements they confirmed that the allegations against Milosevic were as false as everything else that has been reported about Yugoslavia.

How did Milosevic experience his imprisonment and trial?

He probably never believed that the presumption of innocence would apply to him was that he would experience a legitimate trial. But he held his head high and put his accusers on trial. He made no compromise, no deal that would bring him privileges. He was free inside, as he himself observed. He could not help but see the ICTY as a repressive political instrument that was used to punish political leaders like him who refused to unconditionally surrender to imperialism. More and more harassment was used in order to weaken his defense. Finally the Tribunal in early 2006 refused to allow him treatment at a heart clinic in Moscow, which assured that he would not survive the Tribunal.

During the wars in former Yugoslavia, most of the media were uncritically anti-Serb. How did you find the journalists at the trial?

The press was never interested in the content of the trial. When it became clear that the prosecutors couldn’t prove their allegations, and on the other hand Milosevic could expose the arming of Croatian and Bosnian Muslim sides and later the Kosovo-Albanian side by Germany and the United States, the trial was hushed up. They did not allow the image of Serbia as the aggressor to falter. The German media did not even report it when a German witness was clearly shaken at the Kosovo portion of the trial. Ex-army officer Dietmar Hartwig was head of European observers in Kosovo and on the spot until the beginning of the NATO attack. He experienced terror, not from Serbs, but from the Kosovo Liberation Army (KLA). And Bo Adam of the Berliner Zeitung newspaper was told by local Albanians, that the "innocent Kosovars" at Racak* were really combat deaths.

Usually no journalists were there, with the exception of Germinal Civikov, whose reports provide valuable evidence.


*In January 1999, casualties from a battle between KLA commandos and Serb police and army in Racak, Kosovo, were disguised as civilian deaths and Western politicians and media used the incident to promote anti-Serb propaganda leading to the war.--Translator

Published in Junge Welt, March 11, 2011. Translated from the German by John Catalinotto.



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Junge Welt, March 11, 2011

»Milosevic brachte seine Ankläger auf die Anklagebank«

Vor fünf Jahren starb Jugoslawiens Präsident in Den Haag. Das dortige UN-Tribunal verweigerte ihm adäquate medizinische Behandlung. Ein Gespräch mit Cathrin Schütz

Rüdiger Göbel

Cathrin Schütz, Diplompolitologin und jW-Autorin, war ab 2002 Mitglied im Verteidigungsteam von Slobodan Milosevic vor dem Internationalen Strafgerichtshof für das ehemalige Jugoslawien (ICTY). Unter ihrer Mitarbeit erschien dazu im Zambon-Verlag »Die Zerstörung Jugoslawiens – Slobodan Milosevic antwortet seinen Anklägern«

Anläßlich des fünften Todestags von Slobodan Milosevic an diesem Freitag protestieren Sie vor der Vertretung der Vereinten Nationen in Wien. Warum nicht in Den Haag, wo der frühere jugoslawische und serbische Präsident in seiner Zelle während seines Prozesses vor dem Jugoslawien-Tribunal (ICTY) starb? 

Die UNO hat mit dem ICTY ein Monster kreiert und ist aufgefordert, es endlich aus der Welt zu schaffen. Die Regierungen der USA und Deutschlands haben 1993 die Einrichtung des ICTY als erstes Ad-hoc-Tribunal im UN-Sicherheitsrat durchgesetzt, obwohl dieser keine Befugnisse für einen solchen Schritt hat. Eine UN-Instanz, die über Bürger von Mitgliedsstaaten richtet, widerspricht grundlegend der UN-Charta. In der illegalen Haager Einrichtung sehen wir also keinen Ansprechpartner.

Welches Interesse verfolgten die USA und Deutschland mit der Errichtung des ICTY? 

Weil Jugoslawien ihrem Expansionsdrang im Weg stand, haben sie dessen Zerschlagung angeführt, sind mit verantwortlich für den Ausbruch und die Eskalation der sezessionistischen Bürgerkriege. Mit voller Absicht haben sie, die 1993 bereits durch diplomatische sowie verdeckte Operationen balkanisches Blut an den Händen hatten, ein »Gericht« erfunden, welches als Druckmittel jederzeit zur Steuerung der Kriegsparteien benutzt werden konnte. Und es sollte über die Verbrechen auf dem Gebiet Ex-Jugoslawiens richten – nach NATO-Manier: die widerspenstigen Serben in die Knie zwingen und die NATO-Länder von ihrer Verantwortung freisprechen. In diesem Sinne schützte das ICTY die NATO, die 1999 ohne UN-Mandat einen Aggressionskrieg gegen Jugoslawien geführt hatte. NATO-Sprecher Jamie Shea hatte das Militärbündnis wegen seiner finanziellen Zuwendungen und politischen Verbindungen als »Freundin des ICTY« bezeichnet und damit vorausschauend begründet, warum es keine Anklagen wegen der NATO-Kriegsverbrechen, die seitens Amnesty International attestiert wurden, geben würde.

Aber es existieren doch internationale Standards für faire Gerichtsverfahren. 

Die Erfüllung des politischen Auftrags verlangt es wohl, sich über geltende Normen hinwegzusetzen. Der serbische Oppositionspolitiker Vojislav Seselj wird seit acht Jahren in Untersuchungshaft gehalten. Das ist ein klarer Verstoß gegen die Europäische Menschenrechtskonvention. In jedem Rechtsstaat hat ein Angeklagter das Recht zu erfahren, wessen man ihn bezichtigt. Das ICTY aber verändert Anklagen oft mehrfach und grundlegend, sogar nach Beginn eines Verfahrens. Es hat sein Statut x-mal verändert und verletzt ständig seine eigenen Regeln. Milosevic wurde das garantierte Recht auf Selbstverteidigung entzogen. Radovan Karadzic droht Gleiches. Die Verletzung des Prinzips der Waffengleichheit zwischen Anklage und Verteidigung ist Alltag. Die Ankläger halten wöchentliche Pressekonferenzen im ICTY ab, und Richard Dicker von Human Rights Watch, einer der anti-serbischen Stimmungsmacher schlechthin, hetzte regelmäßig im Foyer vor der Presse über Milosevic. Unser Kollege wurde des Hauses verwiesen, als er ein Informationsblatt an einen Journalisten verteilte. Hinter den Anklägern stand das riesige Budget des ICTY. Die Milosevic-Verteidigung aber war auf Spenden angewiesen. Als der deutsche Staat die Spendenkampagne kriminalisierte, Gelder einfror, auch mein Konto sperrte, verweigerte uns das ICTY jegliche Unterstützung. Unsere Arbeit wurde dadurch massiv eingeschränkt.

Sie beschreiben das ICTY als antiserbisch. Es wurden aber doch auch Kroaten und bosnische Muslime verurteilt … 

Obwohl es sich um einen dreiseitigen Bürgerkrieg handelte, sind ca. 80 Prozent aller Angeklagten Serben, darunter viele Spitzenpolitiker und hochrangige Militärs. Anders bei den Kroaten und bosnischen Muslimen. Der kroatische General Ante Gotovina ist zwar als Verantwortlicher für die »ethnische Säuberung« der Krajina von Hunderttausenden Serben berühmt-berüchtigt, aber kein führender Militär. Gleiches gilt für den bosnischen Muslim Naser Oric. Obwohl er sich während des Kriegs vor der westlichen Presse mit abgeschlagenen Köpfen von Serben brüstete, meine das ICTY, man könne ihm keine Verantwortung für die Angriffe seiner Soldaten auf die serbische Bevölkerung rund um Srebrenica nachweisen. Die US-Journalisten, die seine menschlichen Kriegstrophäen einst präsentiert bekamen, wurden vom ICTY nie als Zeugen geladen. Die Pseudoverfahren gegen Nichtserben sollen nach außen die Unparteilichkeit des ICTY demonstrieren.

Die frühere ICTY-Chefanklägerin Carla del Ponte will jetzt im Fall des Organhandels der kosovo-albanischen Mafia ermitteln. Serben aus dem Kosovo sollen nach Albanien verschleppt und dort regelrecht ausgeweidet worden sein. 

Zwar hat del Ponte in ihrer Autobiographie die nötigen Hinweise für den Organhandel geliefert, die zu den Ermittlungen und den Report des Sonderberichterstatters des Europarats, Dick Marty, geführt haben. Doch ich frage mich, ob sie mit ihrem aktuellen Engagement wohl den größten Skandal überspielen will. Marty nämlich hat herausgefunden, daß das ICTY unter del Ponte 2003 die Beweise für den Organraub durch die kriminellen Kosovo-Banden vernichtet hat!

Beim Gros der hiesigen Medien wurde Slobodan Milosevic damals beschrieben wie heute Muammar Al-Ghaddafi: Wahlweise war er größenwahnsinnig, teuflisch, Völkermörder, ja gar ein neuer Hitler. Sie waren Teil seines Verteidiger teams. Wie haben Sie ihn erlebt? 

Lord David Owen, Ex-EU-Sonderbeauftragter für den Balkan, bezeichnete Milosevic als »Jugoslawen«, der alles andere als ein Ideologe eines Großserbiens oder »ethnischer Säuberungen« gewesen sei. Dem schließe ich mich an. Die Kroaten und bosnischen Muslime nahm Milosevic oft in Schutz, und er betonte, wie diese vom Westen benutzt und irregeführt wurden. Zwar erwähnte er im Rahmen seiner Verteidigung die Unterstützung der bosnisch-muslimischen Kräfte durch ausländische Mudschaheddin. Doch jegliche Überbewertung des »islamischen Terrors« schien ihm zuwider. Er hob statt dessen hervor, daß die USA für die Einfuhr der Islamkrieger verantwortlich waren. Es kam nicht von ungefähr, daß auch nicht-serbische Angeklagte ihn schätzten.
Beeindruckt haben mich die Berichte der Verteidigungszeugen, zu denen ich engen Kontakt hatte. Westliche Politiker, Diplomaten, Militärs, Journalisten, die auf die eine oder andere Weise das Kriegsgeschehen miterlebten. Auch all ihre Aussagen bestätigen, daß die Behauptungen über Milosevic so falsch sind wie alles andere, was zu Jugoslawien berichtet wurde.

Wie hat Milosevic seine Haftzeit und seinen Prozeß erlebt? 

Er hat wohl nicht geglaubt, daß für ihn die Unschuldsvermutung galt und er einen echten Prozeß erfahren würde. Doch er stellte sich dem erhobenen Hauptes und brachte seine Ankläger auf die Anklagebank. Er hat keine Kompromisse gemacht, keinen Deal, der ihm Vorteile hätte bringen können. Damit war er innerlich frei, wie er selbst bemerkte. Das ICTY konnte er nicht anders als ein repressives politisches Instrument erleben, das dazu diente, politische Führer wie ihn, die sich dem Imperialismus nicht bedingungslos ergaben, zu bestrafen. Immer neue Schikanen sollten sein Auftreten schwächen. Schließlich hat ihm das Tribunal Anfang 2006 die Behandlung in der Moskauer Herzklinik verweigert und dafür gesorgt, daß er das Tribunal nicht überlebt.

Während der Kriege im früheren Jugoslawien waren die meisten Medien unkritisch und antiserbisch. Wie haben Sie die Journalisten im Prozeß erlebt? 

Am Prozeßinhalt war die Presse nie interessiert. Als klar war, daß die Ankläger ihre Vorwürfe nicht beweisen konnten, Milosevic aber die Bewaffnung der kroatischen und der bosnisch-muslimischen und später der kosovo-albanischen Seite durch Deutschland und die USA belegte, wurde der Prozeß totgeschwiegen. Das Bild von Serbien als Aggressor durfte nicht ins Wanken geraten. Die deutschen Medien haben nicht einmal berichtet, als deutsche Zeugen die Kosovo-Anklage schwer erschütterten. Ex-Bundeswehroffizier Dietmar Hartwig war als Leiter der europäischen Beobachter im Kosovo bis zum Beginn des NATO-Angriffs vor Ort. Nicht serbischen Terror hat er erlebt, sondern den der UCK. Und Bo Adam von der Berliner Zeitung erfuhr von ortsansässigen Albanern, daß die »unschuldigen Kosovaren« von Racak Gefechtstote waren. 

Meist waren gar keine Journalisten da, mit Ausnahme von Germinal Civikov, dessen Berichte wertvolle Zeugnisse sind.



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International Action Center  55 West 17 Street, New York, N.Y. 10011  

tele: 212 633 6646 

Website:www.iacenter.org  ; email: iacenter@...

 

Remember the frame-up of Slobodan Milosevic -- the struggle continues

 

The International Action Center sends its greetings to and solidarity with the comrades and friends from around the world who are meeting in Vienna to commemorate the fifth anniversary of the untimely and suspicious death of President Slobodan Milosevic, leader of Yugoslavia and of the Socialist Party of Serbia and a demonized target of Western imperialism, especially the United States, Germany and Britain in the years from 1990-2006, when he died in Scheveningen prison in The Hague, Netherlands.

 

We will leave it to the representatives from the former Yugoslavia to evaluate the overall record of President Milosevic regarding his country and all its peoples. From the center of world imperialism we will say only that the most powerful nations and militaries on earth put Yugoslavia under severe attack in their drive not only to destroy the remaining socialist country in Eastern Europe but to tear it apart so that the weakened remnants of an independent country would become the vassals of West European and U.S. imperialism. We are heartened by news that workers’ strikes in Serbia are giving evidence of a potential reawakening of the struggle for self-determination in the region, which will undoubtedly again require the cooperation of the different peoples of the Balkans.

 

We also have to thank President Milosevic for his courageous struggle defending himself from the fraudulent attack by the phony international court -- really a creation of the U.S. and other NATO forces -- which was aimed at discrediting and punishing all fighters for independence of the former Yugoslavia and especially those from Serbia. His defense exposed the machinations of the NATO powers, the lies in the corporate and government media from these powers, including the pernicious role of the Vatican, and alerted at least a portion of progressive forces of just how the imperialists work: first spread the most atrocious lies and half-truths to demonize the enemy; then prepare for an alleged “humanitarian intervention” to eliminate what is now perceived as an “evil regime.” Every Pentagon invasion was preceded by a demonization of the country’s leader.

 

We have seen this imperialist strategy repeated with the horribly destructive invasion and occupation of Iraq. Whatever the Iraqi’s evaluation of the former Iraqi leader, no honest Iraqi these days will argue that the imperialist invasion of their country, the death of up to a million Iraqis and turning four million into refugees, the destruction of their infrastructure, their education system and their healthcare system, has done anything but harm to Iraq, and also to Afghanistan, whose invasion was sold as an intervention to “defend women’s rights.” And the imperialists have promoted the same propaganda against other targets -- Iran, the Democratic Peoples Republic of Korea, and in the latest example, in preparation for an imminent U.S.-NATO military intervention against Libya and an attempt at “regime change” there. So we again thank the heroic self-defense of President Milosevic for exposing these imperialist tactics and preparing us for these future struggles.

Long live the memory of President Milosevic’s struggle! Long live Yugoslavia!

 

John Catalinotto, Sara Flounders, IAC  March 9, 2011



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Vienna 11/3/2011, Protest Note delivered to the ONU authorities by ICSM secretary V. Krsljanin and lawyer Ch. Black:
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THE INTERNATIONAL COMMITTEE "SLOBODAN MILOŠEVIĆ”

N a t i o n a l  S o v e r e i g n t y • S o c i a l  J u s t i c e
www.icdsm.info Sofia-New York-Moscow-Belgrade www.free-slobo.de
Co-Chairmen: Velko Valkanov (Bulgaria), Ramsey Clark (USA), Sergei Baburin (Russia)
 
To the United Nations Office at Vienna, 11 March 2011

Protest Note

We bring to the attention of the Secretary-General and protest the following:
That the ICTY is a criminal tool of NATO acting under the cover of the UN symbol. That the Security Council has no jurisdiction under the UN Charter to create ad-hoc criminal tribunals,
That their existence is justified under Chapter VII of the Charter dealing with "peace and security" therefore the tribunals have a political purpose not a juridical purpose,
That the appointment of ICTY judges and prosecutors is controlled by the principal NATO aggressor against Yugoslavia-the USA,
That the prosecutors have engaged in selective prosecution on a massive scale - 80 percent Serbs, zero percent NATO officers and leaders,
That arrests and indictments are made for political and propaganda purposes, and therefore the prisoners are political prisoners of the UN,
That arrests are made without evidence and long pre-trial detentions are due to the need to fabricate evidence, as exemplified by the case of Dr. Sesejl,
That prosecutors rely on manipulated and intimidated witnesses, withholding of exculpatory evidence, intimidation of independent counsel trying to present strong defences, violations of right to equality of arms, full answer and defence,
That accused are manipulated to make deals,
That there is infiltration of the NATO intelligence agencies in all sections of the. ICTY,
That these illegal and immoral practices have 3 objectives:
- to propagate a false history of the events in the republics of Yugoslavia,
- to demonize and discredit the accused and the political, administrative and military institutions that tried to defend the integrity and sovereignty of Yugoslavia,
- to cover-up the criminal aggression against Yugoslavia by the NATO powers and all crimes connected to that aggression including the cover-up of the obscene murders of Serbs by the KLA proxies of NATO for the purpose of trafficking in organs as detailed in the Marty Report and condemned by the PACE.
That the death of President Milosevic, a head of state, was the direct consequence of the deliberate withholding of necessary medical treatment which resulted in his death, a criminal homicide.
That the same characterizations apply and practices are used at all the ad-hoc tribunals for Rwanda, Sierra Leone, Cambodia, Hariri - a cesspool of US injustice and persecution of political prisoners.

We therefore demand 
1. the immediate abolition of the entire system of ad-hoc tribunals, the immediate release of all political prisoners held by them, and a public inquiry by independent jurists and scholars into the practices, conduct and operations of these tribunals and those responsible,
2. public and independent inquiry into the killing of President Milosevic.


Klaus Hartmann, Chairman of the Board 
Vladimir Krsljanin, Secretary
For correspondence: Klaus Hartmann • Schillstrasse 7 • D- 63069 Offenbach am Main



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(L'ultima breve opera di Peter Handke, appena uscita, è incentrata alla figura di Dragoljub Milanovic - l'ex direttore della TV di Serbia da anni in arresto come capro espiatorio della morte di 16 suoi colleghi, in realtà causata dalle bombe della NATO. 
Sul libro di Handke hanno cominciato subito a piovere gli strali di parte della stampa serbo-fobica di lingua tedesca, che rifiuta di riconoscere come a Belgrado le vittime siano state indicate come aggressori, e continua con vigliaccheria a infierire sui cadaveri.
Sul caso di Milanovic si veda anche la petizione lanciata lo scorso anno per la sua liberazione: https://www.cnj.it/24MARZO99/criminale.htm#milanovic2010 )


P. Handke: Die Geschichte des Dragoljub Milanovic

1) Peter Handkes "Die Geschichte des Dragoljub Milanovic"
2) Einer muss schließlich immer vor Gericht (Thomas Strobl, FAZ)
3) Peter Handke: Die Geschichte des Dragoljub Milanović (Die Presse)


=== 1 ===

Peter Handkes "Die Geschichte des Dragoljub Milanovic"

 
In seinem neuesten Werk "Die Geschichte des Dragoljub Milanovic" beschreibt Peter Handke das Schicksal des damaligen Direktors des serbischen Staatsfernsehens RTS. Während des völkerrechtswidrigen NATO-Überfalls auf Jugoslawien wurde das Gebäude von RTS gezielt angegriffen und zerstört, wobei 16 Angestellte ums Leben kamen. Milanovic wurde 2002 von der dem Westen hörigen Regierung Serbiens zu 10 Jahren Gefängnis verurteil, da er es unterlassen habe das Gebäude rechtzeitig zu räumen. Über diese Verurteilung des Opfers und nicht des Täters ist Handke zu Recht empört. In seiner Rezension ("Eine Halbe Geschichte", BaZ, 23.08.11, siehe http://www.nzz.ch/magazin/buchrezensionen/die_halbe_geschichte_1.12154062.html ) meckert jedoch Andreas Ernst, Handke blende die dunklen Seiten der Milosevic Ära mit ihrer Gängelung des freien Journalismus aus. Diesbezüglich sei daran erinnert, dass in Serbien, neben vielen anderen, die regierungskritische private Radiostation B92 bis zum Zeitpunkt des NATO-Überfalls frei senden konnte, obwohl Serbien vom Westen schon seit Jahren medial belagert wurde. Die Bombardierung des serbischen Staatsfernsehens ist mehr als nur eine Einschränkung der Pressefreiheit, sie ist ein eindeutiges Kriegsverbrechen der NATO, dem militärischen Arm der "Westlichen-Wertegemeinschaft".
 
Kaspar Trümpy, ICDSM Schweiz


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http://jungundjung.at/content.php?id=2&b_id=152

Peter Handke 
Die Geschichte des Dragoljub Milanovic

Dies ist die Geschichte eines Vergessenen, der auf Grund eines absurden Urteils eines serbischen Gerichts nahe Belgrad in einem Gefängnis sitzt. Ein Fall, der jeden Gerechtigkeitssinn herausfordert.

Verlag Jung und Jung, Salzburg / Wien 2011. 37 S., geb., 9,- Euro.

40 Seiten, gebunden
€ 9,– / Sfr 13,50, WG 1112
[978-3-902144-93-2]
Erstverkaufstag: 25. 8. 2011



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Peter Handke: Die Geschichte des Dragoljub Milanović


Einer muss schließlich immer vor Gericht


Was geschah am 23. April 1999 in Belgrad? Peter Handke erzählt seine Geschichte des Dragoljub Milanović, des ehemaligen Direktors der serbischen Radio- und Fernsehanstalt, der für eine Tat verurteilt wurde, die andere begangen haben.


Von Thomas Strobl


26. August 2011 - Ist die Schnecke zu bestrafen, wenn man ihr das Haus zertritt? Ist es ihre Schuld, wenn sie sich ausgerechnet an der Stelle aufhält, an welcher der Fuß seinen Primat einfordert? Und ändert es etwas, wenn dieser Fuß nicht irgendein Fuß ist, sondern der Fuß der Weltgeschichte? Oder bleibt nicht die Vorstellung absurd, dass die Schnecke für ihr zertretenes Haus zusätzlich zum Schaden auch noch bestraft werden müsse? Ja, ist eine Geschichte, die mit der Verurteilung und Bestrafung der Schnecke endet, nicht zwangsläufig eine Farce?

In der „Geschichte des Dragoljub Milanović“ erzählt Peter Handke von einer solchen Farce. Da der Leser nicht dabei war und auch nicht alle Details kennen kann, des genauen Hergangs und des anschließenden Gerichtsprozesses, der Anweisungen, die vor dem Unglück gegeben und befolgt wurden, ist diese Geschichte eine Farce aus Peter Handkes Blickwinkel. Und sie bleibt es, bis man die letzte der siebenunddreißig Seiten zu Ende gelesen und sie einem allerersten Realitätscheck unterzogen hat. Man mag zu Peter Handke stehen, wie man will, speziell aufgrund seiner umstrittenen Haltung zu Serbien: Er ist nun einmal das „Nein“, das hinschaut, das sich mit einfachen Wahrheiten nicht zufriedengibt. Das zeichnet ihn aus.


Seit neun Jahren ist er Häftling


Kommen wir also zur Geschichte des Dragoljub Milanović, des ehemaligen Direktors von Radio-Televizija Srbije, kurz RTS, der serbischen Radio- und Fernsehanstalt. Er wurde verurteilt und ins Gefängnis gesteckt für eine Tat, die andere begangen haben: nämlich wir. Seit neun Jahren ist er Häftling in einem Gefängnis seines eigenen Landes, wegen der nächtlichen Bombardierung seiner Fernsehanstalt durch die Nato am 23. April 1999.

Das Bombardement erfolgte mit chirurgischer Präzision, wie Handke in seiner Erzählung nicht müde wird zu betonen. Aber wenn man sich just an der Stelle aufhält, an der das Skalpell angesetzt wird, dann fließt Blut; daran ändert auch die allergrößte Präzision nichts. Dragoljub Milanović sei bis heute die einzige Person, die für die Ereignisse des Krieges der „Nordatlantischen Verteidigungsorganisation“ gegen Jugoslawien angeklagt und verurteilt wurde, erklärt uns Handke. Zu zehn Jahren Gefängnis.


Bilanz: sechzehn Tote und eben so viele Verletzte


Worin bestand sein Vergehen? Milanović und seine Angestellten haben in der betreffenden Nacht, in der sie ins Visier der Nato-Bomber gerieten, gesendet. Das machen Rundfunksender: Sie senden. Und staatliche Rundfunksender senden staatlich sanktionierte Bilder. In diesem Fall Bilder, die in den Augen der Nato-Kommandeure „Feind-Propaganda“ darstellten. Was in der Natur der Sache zu liegen scheint. Der bedrängte Staat funkt Durchhalteparolen, der andere will Aufgabe: Konflikt programmiert.

So gerieten Milanović und seine Station in die Zielsucher der Nato. Bilanz: sechzehn Tote und eben so viele Verletzte. Milanović selbst überlebte. Dafür wurde er vor Gericht gestellt, denn, so Handke, einer müsse schließlich immer vor Gericht gestellt werden. Aber gab es da nicht diese Anweisung von der übergeordneten staatlichen Stelle, aus der unmissverständlich hervorging, dass der Sender zu evakuieren sei? Und hat Milanović nicht fahrlässig dagegen verstoßen und die Gefährdung seiner Mitarbeiter in Kauf genommen? Peter Handke scheint leichtfertig über dieses Faktum hinwegzugehen. Aber dann: Die Evakuierungs-Anweisung trägt weder Herkunftssignum noch Unterschrift, ist anonym. Eine Fälschung? Ein Beweisstück, auf dessen wackeligen Beinen der Gang ins Gefängnis angeordnet wurde? Handke ist skeptisch. Sein Leser wird es zunehmend auch. Daher hätte man dem armen Mann gewünscht, dass sich wenigstens eines der Gerichte, die ansonsten in derartigen Fällen um Zuständigkeit buhlen, für zuständig erklärt hätte, als sich Milanović an sie wandte: vergeblich.


„Kann das wirklich wahr sein?“


Peter Handke ist nicht der Erste, der die bizarre Geschichte des Dragoljub Milanović erzählt; die Publizistin Daniela Dahn widmete ihr schon früher ein Kapitel ihres Buches „Wehe dem Sieger!“, und die kanadische Rechtsanwältin Tiphaine Dickson kritisierte das Bombardement des Senders wie auch den anschließenden Gerichtsprozess gegen Milanović aus völkerrechtlicher und juristischer Perspektive. Aber Handke wäre nicht Handke, wenn er seiner Erzählung nicht einen spezifisch literarischen Dreh geben würde, mittels dessen das Geschehen gleichsam als Film vor dem geistigen Auge des Lesers abläuft und die geballte Paradoxie der Ereignisse sich eine Schneise in sein Gehirn schlägt: „Kann das wirklich wahr sein?“

„Ich klage an“, schrieb Émile Zola 1898, zu einem Zeitpunkt, als die Öffentlichkeit noch nicht ahnen konnte, welche Abgründe sich hinter der Affäre Dreyfus verbargen. So weit geht Handke nicht, sondern gibt sich moderat: Er erzähle nur eine Geschichte, die Geschichte eines Unrechts. Und fügt hinzu: „Gott gebe es, nicht als Letzter.“ Ein Wunsch, dem wir uns anschließen.


Peter Handke: „Die Geschichte des Dragoljub Milanović“. Verlag Jung und Jung, Salzburg / Wien 2011. 37 S., geb., 9,- Euro.


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Die Geschichte des Dragoljub Milanović


05.08.2011 | 15:30 | Von Peter Handke (Die Presse)


Der vergessene Gefangene oder: Der Fall des Serben Dragoljub Milanović, der nach einem absurden Gerichtsurteil seit bald zehn Jahren in einem Gefängnis nahe Belgrad sitzt.


Es ist hier eine Geschichte zu erzählen. Nur weiß ich nicht, wem. Mir scheint, es gebe keinen Adressatenfür diese Geschichte, jedenfalls nicht in der Mehrzahl, und nicht einmal in der Einzahl. Mir ist auch, es sei zu spät, sie zu erzählen; der Zeitpunkt verpaßt. Und trotzdem ist es eine dringende Geschichte. Der Meister Eckhart spricht einmal von seinem Bedürfnis zu predigen, das so stark sei, daß er, fände er für seine Predigt kein Gegenüber, seine Predigt – wenn ich mich recht erinnere – notfalls auch an einen „Opferstock“richten würde. Hier handelt es sich um keine Predigt, sondern, wie gesagt, um eine Geschichte. Aber auch die wäre notfalls einem Holzstoß oder einem leeren Schneckenhaus zu erzählen oder gar, wie im übrigen nicht zum ersten Male, mir hier ganz allein.

Es ist die Geschichte des Dragoljub Milanović, des ehemaligen Direktors von RTS (Radio-Televizija Srbije), dem serbischen Radio und Fernsehen. Seit neun Jahren ist er Häftling in einem Gefängnis seines eigenen Landes, wegen des nächtlichen Bombenbeschusses der Nato auf die TV-Anstalt am 23. April 1999, etwa vier Wochen nach Beginn desKrieges gegen den Staat, welcher damalsnoch „Bundesrepublik Jugoslawien“ hieß:16 tote Angestellte des Senders, und ebensoviele Verletzte.

Dragoljub Milanović ist bis heute die einzige Person, die für die Ereignisse des Kriegesder „Nordatlantischen Verteidigungsorganisation“ gegen Jugoslawien – eines Krieges, derbei den unvermeidlichen Siegern, und inzwischen nicht nur bei diesen, sondern auch in der Terminologie der offiziellen westlichen Geschichtsschreibung, den Namen „Intervention im Kosovo“ trägt –, Dragoljub Milanović ist bis heute die einzige Person, die als Folge jener Intervention im Kosovo angeklagt, verurteilt (beides von der Staatsanwaltschaft und von einem Gericht seines eigenen,von den Westmächten besiegten Landes) undfür fast zehn Jahre eingesperrt worden ist.

Zwar haben die Angehörigen der Opfer der nächtlichen Bombe auf das staatlicheserbische Fernsehgebäude beim Europäischen Gerichtshof in Straßburg einen Prozeß gegen die Täter beantragt. Aber das Gericht hat sich umgehend für unzuständig erklärt; als Gerichtshof für Menschenrechte sei es zuständig einzig für Menschenrechtsverletzungen innerhalb der Territorien der dessen verdächtigten Staaten; und da dieBombe in einem anderen Land, also exterritorial, getötet habe, komme der Europäische Gerichtshof für einen Prozeß nicht in Frage (oder so ähnlich).

Ebenso entschied dann ein Jahr später das Jugoslawien-Tribunal in Den Haag, daß die „Fehler“ der Nato bei deren Intervention im Kosovo, wozu der Angriff auf das Belgrader Fernsehen gehört habe (oder so ähnlich), keine Kriegsverbrechen seien. Dem-

 

Dragoljub Milanović: verantwortlichfür die 16 Toten in der TV-Anstalt?

nach war für die Geschehnisse der Nachtdes 23. April 1999 auch in Holland der Prozeßweg ausgeschlossen.

Dafür wurde, zwei Jahre nach der Bombeauf das serbische Fernsehen, dessen – inzwischen ehemaligem – Direktor, als dem Verantwortlichen für die 16 Toten und die ebenso vielen Verletzten, von einem Belgrader Distriktsgericht der Prozeß gemacht. Dieses Verfahren, so ausdrücklich das Tribunal, sei vollkommen unabhängig zu führen von demKrieg, welcher „zur Tatzeit“ Tag und (vor allem) Nacht aus 5000 Meter Höhe gegen das Land im Gange war, und habe vor allem nichts zu schaffen mit irgendwelchen etwaigen Kriegsverbrechen der Bombenzentrale im fernen Brüssel. Es wurde einzig verhandeltgegen Dragoljub Milanović, den Mann, dem vorgeworfen wurde, für seine ihm untergebenen Angestellten, fahrlässig oder womöglich gar absichtlich, die nötigen Sicherheitsvorkehrungen versäumt zu haben. Für einen solchen Tatbestand fand sich der entsprechendeParagraph im Strafgesetzbuch der Republik Serbien. (Zu all den Zahlen in dieser Geschichte noch § 194, Absatz 1 und 2.) Verstehtsich wieder, daß auch Paragraph samt Tatbestand im Prozeß unabhängig davon zu betrachten waren, ob zur Tatzeit Krieg herrschte oder was für eine Art von Krieg. Devise: Ein Hirngespinst, wenn es amtlich wird und Arm der Macht, findet immer einen Gesetzesparagraphen, welcher es auf die Sprünge bringt – es realisiert; mit anderen Worten: in den Schein eines Rechts setzt.

Der hauptsächliche Schuldbeweis gegen den einstigen Fernsehdirektor: ein Zettel miteiner Anweisung von der ihm übergeordneten staatlichen Stelle, den Sender samt dessenMitarbeitern von seinem Standort mitten in der – da noch bundesjugoslawischen – Haupt-stadt „auszulagern“. Es sei nicht auszuschließen, daß der Sender (obwohl, nach Genfer und sonstwelcher Konvention, ein „ziviles Objekt“ und als solches von Kriegshandlungen zu verschonen) zum Bombenziel, zum „target“, bestimmt werde.

Diese Anweisung, ein Zettel ohne Herkunftssignum, anonym, ohne Unterschrift,auch ohne die Unterschrift des Adressaten Milanović, mit der dieser sämtliche Anweisungen der ihm übergeordneten Stelle in jenen Monaten zur Kenntnis genommen hatte,genügte dem Gericht für den Schuldspruch. Dabei handelte es sich nicht einmal um eine regelrechte „Anweisung“. Diese war so gehalten,daß es dem Angewiesenen, also dem Direktor, freistand, auch eine Entscheidung gegen das Verlagern des Senders (ob in eine Berghöhle oder einen Tunnel) zu treffen. Der anonyme, irgendwie auf irgendwelches Papier getippte Zettel war stattdessen groß begleitet von einer Zahl, der Zahl 37 (wieder eine Zahl).

Gab es aber nicht Anzeichen, die denDragoljub Milanović zu einem Verlagern desSenders unter dem Bombenhimmel hätten bewegen können, oder gar müssen, und zwaraus Eigenem, ohne jene obskure Anweisung? Hatte denn nicht schon nach den ersten ein, zwei Bombenwochen einer der Fernkrieger, der englische Premierminister Anthony „To- ny“ Blair, welcher verlautbarte, daß solche Stationen „Teil des diktatorischen Apparats ... sind, ... benutzt, um die ethnischen Säuberungen im Kosovo zu betreiben“, dazu lautgedacht, „diese staatlich kontrollierten Medien“ seien ein „richtiges und berechtigtes Ziel“? Und hatte nicht ebenso der Präsident der Vereinigten Staaten, William „Bill“ Clinton, zu verstehen gegeben, das serbische Fernsehen werde benutzt „für die Verbreitung von Haß und Desinformation“ und sei kein „Medium im überkommenen Sinn“?

Die Geschichte des Dragoljub Milanović ist schon öfter erzählt worden, ausführlicher,zum Beispiel von der deutschen Publizistin Daniela Dahn in einem Kapitel ihres Buches „Wehe dem Sieger!“, völkerrechtlich betrachtet und juristisch gestützt zum Beispiel von der kanadischen Advokatin Tiphaine Dickson, welche belegt hat, daß das serbische staatliche Fernsehen selbst in den bomben-

 

Anklagepunkt: Milanović hätte den Fernsehsender „auslagern“ müssen

intensiven Tagen und Nächten des Nato-Krieges keinen einzigen Moment lang zu Haßoder ethnischer Säuberung angestachelt oderdergleichen auch nur unterschwellig suggeriert hat. Die erwähnten Fernbomber hätten das bloß pauschal behauptet, ohne auch nur ein einziges Indiz in ihr Spiel zu bringen. Dem Tony und dem Bill genügte es vielmehr,daß das serbische Fernsehen dokumentarische Bilder, unterlegt mit einem Berichtston,von den „Luftschlägen“ sendete, samt all denzivilen Kollateralopfern – es gab fast nur solche, zuguterletzt an die 2000 (zweitausend) –,und das völkerrechtlich geschützte Zivilobjekt RTS gab ein berechtigtes „Ziel“ ab; es brauchte nicht einmal der übliche Kollateralirrtum fingiert zu werden.

Ich, der ich die Geschichte des DragoljubMilanović – immer wieder sei dieser Name erwähnt, damit er sich einpräge über die Aktualitäten hinaus – hier weitererzähle (Gott gebe es, nicht als Letzter), selbst wenn ich sieeinem Baumstrunk erzählen müßte, oder einem Einbaum, oder einem verrostetenSchienenstrang, war im Frühjahr 1999, während der drei Monate des vollkommen unilateralen Bombenkrieges (jedwede Gegenwehr undenkbar) zweimal für jeweils etwa eine Woche im unablässig bombardierten Land, habe dort regelmäßig das staatliche Fernsehen „geschaut“ und bezeuge, daß nichtein einziges der damals gezeigten Bilderund/oder Tonbilder, auf eine beinah unfaßbare Weise bei allen den zentralen Zerstörungen und tangentialen Menschenzerfetzungen, etwas wie Tendenz oder Propaganda, geschweige denn Haß oder Rachsucht ausstrahlte; es sei denn, Kummer, Trauer undinsbesondere Fassungslosigkeit, welche von jenen Dokumenten ausgingen, in eins mit der unerhörten, noch nie und nirgends so gehörten Tonlosigkeit der Berichtsstimmen, wären zu verdächtigen gewesen als eine neuartige und besonders raffinierte Spielart diktatorischer Propaganda oder gar Volksverhetzung. Aber konnten die Bild- und Tonsequenzen, die sich in der Regel, und das Tag und Nacht im Rhythmus der Raketeneinschläge, Sirenen und dann der Stille, mit den Dokumenten der Vernichtung abwechselten, nicht als Indizien für jene „Desinformation“ angesehen werden, die, nach dem amerikanischen Präsidenten, im Widerspruch standen zu dem, was für ein Medium rechtens war? Denn diese Bilderfolgen zeigten jeweils, in Farben, und was für welchen, ein unzerstörtes Serbien/Bundesjugoslawien, vorwiegend die Natur, die ländliche, und von den Städten die Sehenswürdigkeiten; und wenn Leute auftraten, so tanzten sie, den ewigen balkanesischen Rundtanz, oder sie sangen, einzeln oder im Chor, die sattsam bekannten Lieder von den Flußgegenden der Drina, der Save, der Donau, der Morawa. Machte da das staatliche Fernsehen, und das mitten im Krieg, dem selbstverschuldeten, nicht eindeutig Propaganda für das Land, für dessen Schönheit, für dessen Formen, Farben und Weisen? Ein Staat, Tag und Nacht unterm Bombenhimmel, strahlte Tag und Nacht, im Wechsel mit den zersplitterten Fernheizwerken und verbrannten Personenzügen, die heile Welt aus. Solch ein Fernsehen, solch ein Medium, hatte es noch nie gegeben, und würde es nie wieder geben. Wenn das nicht Desinformation war, was dann? Wenn solch eine Anstalt kein Kriegsziel war, was dann? Ein Volk, welches da dargestellt wurde als ein ganz besonderes, einmaliges, unvergleichliches, nachall den Bombennächten den Tag feierndes: War das nicht eine eindeutige Aufforderung zu Vertreibung und Mord sämtlicher anderer Völker?

Daß Dragoljub Milanović überzeugt war vom Gegenteil, von der Unschuld, der Zivilisiertheit, ja der Rechtlichkeit der von ihm als dem Leiter des Senders verantworteten Bild- und Tonfolgen: das konnte und kann ihm vielleicht zum „Vorwurf“ gemacht werden – und wenn, dann aber jenseits von jeglicher „Schuld“ und gar „Sühne“. Abgesehen davon,

 

In den letzten zwei Jahren besuchte ich Milanović zweimal in der Haft

daß bei einer Verlagerung des Senders in einen Bergstollen die neunmalklugen westeuropäischen und amerikanischen Bomben auch diesen Ort durch die von ihm ausgehenden Signale ausfindig gemacht hätten, mit dem Erfolg von vielleicht neunmal so vielen Opfern: Dragoljub Milanović, wie er vor seiner Verurteilung durch das Gericht seines Heimatlandes zweieinhalb Jahre nach der Bombe auf seine Anstalt erzählte, war nicht imstande gewesen, sich „vorzustellen, daß inunserem Land absichtlich ein ziviles Ziel bombardiert würde“, „am Eingang des dritten Jahrtausends“. Und er hatte sich nicht vorstellen können, daß danach die Repression solange weitergehen würde, „bis wir zugeben, die Schuld an dem Angriff selber zu tragen“. Und er gab zu (sic), wenn auch „ungern“: „Der Hauptgrund für unser pflichtschuldigesAusharren am Arbeitsort war, daß wir in der Tiefe unseres Herzens an ein Minimum militärischer Ehre des Gegners geglaubt haben.“ Zu diesem „Glauben“, den man vielleicht richtiger mit „Überzeugung, tiefinnerer“,übersetzt, noch ein paar Zahlen: Die nie und nirgends angekündigte Bombe, oder ferngelenkte Präzisionsrakete, spaltete, chirurgisch sauber, ohne an dem Kindergarten und den Kirchen in der Nähe nennenswerte Schäden anzurichten, das eher schmale und nicht sehr hohe – zwei oder drei Stockwerke nach meiner Erinnerung – Gebäude des serbischen Fernsehens, am Rande eines großenParks gelegen, in der Nacht des 23. April 1999um zwei Uhr vier, und Dragoljub Milanović, als der Direktor, hatte noch bis kurz davor im Sender gearbeitet.

Gab es einen anderen, „richtigen“ Ort? Einzige Alternative für den Sender des bekriegten Landes: das Senden völlig einzustellen, von sich aus, aus freien Stücken, sozusagen? Und nur so wäre das eindeutig gezielte, nicht „kollaterale“ Töten zu verhindern gewesen, und Dragoljub Milanović, als Nicht-Leiter eines Nicht-Senders, aus dem Schneider, sozusagen?

Es bleibt hier noch, in der Geschichte desDragoljub Milanović – Geschichte, die seine ist und, eher noch, das Gegenteil – zwei Orte zu erzählen. Der eine ist der große, leicht abschüssige Park mitten in Belgrad, mit dem Gebäude des serbischen Radio-Fernsehens an einem der Säume. Der andere ist die Gefängnisanlage etwa 60 Kilometer östlich der serbischen Hauptstadt, vielleicht zehn Kilometer nördlich der Provinzstadt Požarevac, wo der ehemalige TV-Direktor seit inzwischen etwa zehn Jahren in Haft ist, und wo ich ihn in den letzten zwei Jahren zweimal besucht habe.

Es muß Ende Mai 1999 gewesen sein, vierWochen nach dem nächtlichen Raketenbeschuß und drei Wochen vor dem Ende der atlantischen Intervention, daß ich nach einemmorgendlichen Zickzack durch den Park,mir scheint jetzt, eher unversehens, vor dem zerstörten Sender stand. Es stimmte: Das BelgraderKindertheater, ebenso wiedas oder die Gotteshäuser unmittelbar danebenwirkten in der Umgebung des, eher kleinen, Trümmerhaufens unversehrt,und so vielleicht besonders unversehrt, oder umgekehrt erschienen die Trümmer inmitten des wie unangetasteten Kulturguts besonders zertrümmert. Dazu trugen wohl auch die warme Sonne, der blaue Himmel und das sanfte friedliche Wehen der Maienluft bei. Weidenflaum trieb still dahin. Pappelflaum war in flauschig-silbrigen Wellen angeweht unten an die Trümmerstätte, und wer da die Hände hineingetaucht hätte, wäre von dem Flausch bis auf die Knochen gewärmt worden. Oben zuckten die Schwalben, laste, serbisch, lastovice, slowenisch, aus dem Blau und spielten mit sich selber, miteinander und mit den Sonnenstrahlen.

Mit mir standen noch andere Parkbesucher vor dem mit Seilen abgesicherten Objekt. Dieses war eine Ruine, wie es sie vor diesem speziellen Krieg – der nicht „Krieg“ heißen durfte, obwohl die Sieger sich „Sieger“ nannten – noch nirgends gegeben hatte: einesozusagen postmoderne Ruine, außen heil, oder hui, und innen hin wie nur etwas, Ruineauf klassisch, wenn nicht klassischer noch als klassisch. Zu meiner Rechten wie zur Linken versammelten sich mit der Zeit mehr und mehr Leute, und das waren keine Schaulustigen. Und doch waren sie spürbar gekommen,um zu schauen; um aufzunehmen, um da zu sein; um dagewesen zu sein. Keiner sagte ein Wort. Einige standen und schauten nur kurz –aber wie! –, und gingen stumm wieder weg, kehrten um, wohin auch immer. Auf Fragen hätten sie allesamt nicht geantwortet, nicht einmal den Kopf geschüttelt, höchstensdurch den Frager durchgeschaut. Und schongar nicht hätten sie geantwortet auf eine Frage nach der Schuld, nach dem oder nach den Schuldigen. Selbst die offensichtlichen Killer hatten sie nicht im Sinn, weder den Knopfdrücker in seiner himmelhohen Bomberkanzel, noch die Knopfdrückerchefs fern in ihrem 19-Sterne-Hotel, und schon gar nicht...,und nicht einmal... Was freilich gab es da zuschauen? Und wie konnten all diese Leute, keine „Serben“, oder „Jugoslawen“, nichts als„Leute“, überhaupt etwas sehen, geschweigedenn bezeugen, bei all dem Nassen, Feuchten, Flüssigen, Konturverwischenden? In undvor den Augen? „Einer mußte schuldig sein!“?Das galt da einmal nicht, und nicht, und wieder nicht.

Was sich dagegen zeigte, das war, jenseitsdes Landes und jenseits des Balkans, wie nurje, etwas Universelles: ein universeller Kummer; das Universum des Kummers. Aber selbstverständlich mußte in der Folge auch Recht gesprochen werden. Nur wie? Und gegen wen? Zwar hat ein Gericht, ein anderes, in Belgrad die Fernlenker im Westen noch in den Kriegsmonaten zu Haftstrafen, etwa in der Höhe der zehn Jahre später „für“ Dragoljub Milanović, sozusagen verurteilt. Doch dieses Urteil ist nie vollstreckt worden, und wirdnach, wie sagt man, menschlichem Ermessen nie vollstreckt werden – wie denn auch? Also mußte doch einer (1) schuldig sein, und zwar einer, der, wie man sagt, zur Hand war. Einer mußte schuldig sein! Mußte er?

Nicht nur die Gebäude im Umkreis der Anstalt waren unversehrt geblieben, sondernauch der eine Einzelbaum rindennah an dennun scheibenlosen Sender-Fenstern. In meiner Erinnerung ist es eine Birke, eine nicht besonders hohe. Frische Blätter treiben da aus in der Maiensonne, ein hellgrünes Leuchten im wolkenlosen Himmelblau, und zwischen den Blättern in der Maienbrise ein ständiges Glitzern, Flittern und Flackern, vonden ersten Ästen unten bis hinauf in die Kronen, und dort oben besonders deutlich: die ganze Birke ist über und über behängt mit Spiralen von Tonbändern, welche wie die jungen Birkenblätter in einer ständigen, nur andersartigen Bewegung sind – als speziel-
le Girlanden in einem fort hin und herschwingen, auf und ab schaukeln, sich zärtlich um die zarten Birkenzweiglein schlängeln. Der Luftdruck, oder was, beim Einschlag der chirurgischen Bombe, oder so, hat sie weg von den Montagetischen unten in den Senderkellern, oder wo, durch die geborstenen Scheiben hinauf und hinaus in den vor Wochen wohl fast noch kahlen Baumgeschleudert, und jetztläßt der Frühling, zwischen den grünen Birkenblättern, diese andersgrünen Bänder durch die Lüfte wehen. Unhörbarund unschädlich gemachtso all die Greuelpropaganda, die Kriegslügen und insbesondere dieDurchhaltegesänge, mobilgemacht aus sechsJahrhunderten eines bloß eingebildetenDurchhaltens, und mobilgemacht eindeutigfür Angriffszwecke, für Vertreibung, für Völkermord. Diese herrenlosen Bänder bedeuten: Da ist nichts mehr durchzuhalten. Weitergehen. Den Platz räumen. Die da ihre Finger im Spiel hatten, die gibt's nicht mehr, mitsamt den Fingern.

Mein erster Besuch bei dem Häftling DragoljubMilanović fand statt im März 2009, zehn Jahre nach den Raketen auf die Bundesrepublik Jugoslawien. Ich kam nicht allein. Zum Gefängnis brachte mich der Anwalt Milanović', der im übrigen während dessen Amtszeit Nachrichtensprecher gewesen war und am 24. März 1999, um 20 Uhr, im serbischen Fernsehen den Angriffsbefehl aus Brüssel vorgelesen hatte, und mit mir war diebereits erwähnte kanadische Juristin Tiphaine Dickson. Der Gefangene war eine Zeitlangschon Freigänger gewesen, aber damit war esaus, weil beim Gericht in Belgrad inzwischenein zweites Verfahren gegen ihn in derSchwebe war: Er habe mehreren seiner Angestellten Wohnungen verschafft, wozu DragoljubMilanović meinte, wäre es in seiner Macht gewesen, hätte er noch viel mehr seiner Mitarbeiter so geholfen. Er wirkte ein wenig ironisch, als er das sagte, aber viel stärkernoch melancholisch, und das während des ganzen Gesprächs (zu dem nur wenig Zeit eingeräumt war).

Mir schrieb er zuletzt, kyrillisch, ins Notizbuch ein Erzählgedicht, welches von ei- nem Bombenopfer handelte: „Tijana ist eine junge Serbin aus Belgrad...“, und nicht nur da, während jenes langen, Druckbuchstabe um Druckbuchstabe sorgfältigen Aufschreibens, das ein Gutteil der Gesprächszeit sozusagen verschwendete, ging von Dragoljub Milanović etwas Kindliches aus. Unvorstellbar, daß dieser Mensch, in der Epoche des Slobodan Milošević oder wann, ein Mächtiger gewesen war. Doch das konnte täuschen:Waren denn nicht einst während des Studiums bei den obligaten Gefängnisex- oder -inkursionen nicht wenige, nein, fast alle Häftlinge mir harmlos erschienen? Hatten die nicht fast alle, nein, alle, etwas ausgestrahlt – keine Unschuld, sondern etwas, das jenseits von Schuld und Unschuld war? Und war nicht die stärkste solcher Strahlungen gerade von den Mördern, den lebenslänglich Eingesperrten, ausgegangen?

Zu meinem zweiten Besuch im Gefängnisbei Dragoljub Milanović kam es im Juni 2010,zur Zeit der Fußballweltmeisterschaft in Südafrika. Dieses Mal war ich mit dem Häftling inder Besucherzelle allein. Wenn er sich in den15 vergangenen Monaten, da seine Situation eher schlimmer, fast hoffnungslos geworden war (auch kaum mehr Besuchserlaubnisse), verändert hatte, so zum womöglich noch Kindlicheren hin – selbst wenn er Bitteres sagte, Verachtung ausdrückte, behielt DragoljubMilanović sein Kindergesicht, große stille Augen, Sanftheit um den Mund, der sich keinmal verzog; als seien Bitterkeit und Verachtung objektiv geworden, Sache, nicht allein seine. Seine einzige Bewegung oder Gebärde blieb jene, welche, so scheint mir jedenfalls, sämtlichen Südslawen gemeinsam ist: ein leichtes Kopfwegdrehen, oder eher -wegbiegen, vergleichbar „unserem“ Augenverdrehen, auch Schulterzucken, und doch wieder ganz und gar nicht – denn es bedeutet,über unser Abfälligwerden oder sonstwas hinaus, auch noch, so scheint es mir jedenfalls wieder, ein: „Das da, und das da, es sollte nicht sein. Es ist lächerlich. Es ist stockdumm. Es ist ein Skandal. – Aber so ist es halt.Was kann man tun? Alles sinnlos...“ Die Hände des seit fast zehn Jahren Eingesperrten lagen während des ganzen Gesprächs bewegungslos auf dem Besuchszellentisch, einestill über der anderen, bis am Ende der Stunden für einen Augenblick sich noch eine dritte Hand darüberlegte.

Ich hatte, mit Hilfe eines Freundes, einigeFragen in der Sprache des Häftlings vorbereitet, und es war dann auch nicht schwierig, dieAntworten zu verstehen. „Was fehlt Ihnen ammeisten?“ – „Die Freunde und die Familie.“ –„Was hoffen Sie?“ – „Nichts.“ – „Warum hat das Volk Sie vergessen?“ – „Die jetzige Regierung hat mich vergessen. Das Volk hat mich nicht vergessen.“ (Angedeutetes Kopfnicken des Gefängnisbeamten, der während des Gesprächs in der zum Flur offenen Tür stand.) –„Weiß das serbische Volk, daß Sie hier sind?“ – „Ja.“ (Lächeln des Beamten.) – „Warum sind gerade Sie das Ziel der Rache geworden?“ – „Der Sender war ein Symbol,

 

„Was hoffen Sie?“ „Nichts.“ „Warum sind Sie Ziel der Rache geworden?“

ein stärkeres Symbol als Slobodan Milošević.“ – „Ein Symbol wofür?“ – „Daß ein anderer Weg möglich war.“ – „Was für ein anderer?“ – „Ein eigener, nicht westlich, nicht östlich.“ – „Wissen Sie, daß Fußballweltmeisterschaft ist und heute Serbien gegen Deutschland spielen wird?“ – „Nein.“ – „Hören Siehier die serbischen Lieder, die der Senderwährend des Bombenkrieges immer wieder ausgestrahlt hat?“ – „Nein. Ich höre überhaupt keine Musik mehr. Aber manchmal stelle ich mir vor, draußen dort zu stehen, wodie Morawa in die Donau mündet.“ – „HoffenSie wirklich nichts?“ – „Nichts. Aber ich habeeinen Enthusiasmus fürs Leben. Ne nadam seničemu. Ali imam entuzijazam za život.“ – „Fühlen Sie Zorn oder Haß auf die, da unddort Verantwortlichen für Ihre Gefangenschaft?“ – „Nein, nichts als Verachtung. PREZIR.“ Und womöglich noch kindlicher und stiller erschien das Gesicht des Häftlings bei diesem Wort. Es war eine Verachtung, die seine Züge, statt sie zu verzerren, erweiterte.

Zwar wurde Dragoljub Milanović dann von dem Zellenbeamten, der mit dem Schlüsselbund eher bloß so spielte, zurück inden geschlossenen Trakt geführt, aber in derErinnerung jetzt ist mir, als sei er allein dahinzurückgegangen, sämtliche Türen dort offen, wenn auch nur zum Eintreten.

Aber was erzähle ich da? Den Eingekerkerten gibt es doch gar nicht. Dragoljub Milanović, oder einer seines Namens – und es leben oder lebten in Serbien nicht wenige seines Namens –, hat vielleicht einst existiert. Aber er existiert nicht mehr. Erfunden die ferngelenkten Bomben und der ferngelenkte postmoderne Krieg. Vom Winde verweht die zerfetzten Körper. Das Ganze hier nichts als eine Flußwassermusik für Ewiggestrige, Jugonostalgiker, Randfiguren. Existent, und wie!, allein die von vornherein festgestandenhabenden Sieger, beziehungsweise Gewinner. „Existieren“, heißt es übersetzt nicht auch „Draußensein“, oder, freier übersetzt, „Feinheraußensein“? The winner takes it all. Eine Geschichte demnach, erzählt allein den toten Fischen in der toten Donau, den leeren Maiskolben auf den leeren Feldern der Vojvodina.

So höre, Schuhband, zerschlissenes. Hör zu, verrosteter Nußknacker. Hör zu, krumme Nähnadel. Höre, verstaubtes Stofftier. Höre, mein abgewetzter Fußabstreifer. Hör zu, Spiegelbild.





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(english / italiano)

LIBIA, COSA SI SAREBBE DOVUTO FARE E NON SI E' FATTO

1) Guerra, cosa si sarebbe dovuto fare e non si è fatto (M. Correggia)
<< All'ipocrita Marcia Perugia Assisi che si svolgerà il 25 settembre avrei voglia di andare con un cartello: "Libia. Il silenzio dei pacifisti ha ucciso" >>

2) I mercenari italiani in Libia e i loro rapporti con i neofascisti (I. Di Sabato)
<< Erano uomini di SAYA, del MS, polizia parallela... >>

3) Historic Church of St. George in Tripoli Ransacked (A. Chaini)
I teppisti del cosiddetto CNT hanno devastato la chiesa ortodossa di Tripoli, monumento storico che risaliva al 1647

4) Libia, la Resistenza contro la conquista NATO-USA prosegue (IAC)
<< La guerra USA in Libia è il primo aggressivo passo per l’espansione delle altre guerre di conquista coloniale in Africa >>

5) NATO prepares bloodbath in Sirte (WSWS)
<< La NATO si appresta ad un bagno di sangue a Sirte... precisamente il tipo di azioni che dicevano di dover impedire con la loro guerra >>


Altri link:

The West Wants to take Control of Libya's Oil Wealth
Interview with Michel Chossudovsky, Director of Centre for Research on Globalization.
Global Research, August 27, 2011
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26227

The "Liberation" of Libya: NATO Special Forces and Al Qaeda Join Hands
"Former Terrorists" Join the "Pro-democracy" Bandwagon
By Prof. Michel Chossudovsky - Global Research, August 28, 2011
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26255


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http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=6961&Itemid=9

GUERRA, COSA SI SAREBBE DOVUTO FARE E NON SI E' FATTO

Marinella Correggia
 
Mentre gli alleati locali della Nato (i cosiddetti ribelli) qualificano di "atto di aggressione" l'accoglienza che l'Algeria avrebbe dato a moglie e alcuni figli e nipoti di Gheddafi, e mentre tutte le foto della famiglia sterminata dalla Nato in luglio a Sorman e diventata un simbolo dei crimini di guerra sono sparite dagli hotel e sono state sostituite dalla bandiera monarchica, e mentre a Tripoli NON si contano i morti degli ultimi giorni (sotto i bombardamenti che hanno spianato la strada agli alleati locali, e per l'eliminazione fisica di lavoratori africani con il pretesto che erano "mercenari", e con l'epurazione di libici vicini all'ex regime e di quelli in precedenza fuggiti dall'Est), e mentre nessuno conterà mai i morti civili di 20.000 raid aerei condotti da piloti mercenari occidentali (mercenari, visto che appoggiavano una fazione libica) sulla base di un mandato  Onu per proteggere i civili stessi, e meno che mai nessuno conterà i morti fra i soldari, nel tiro al piccione dai cieli, e mentre l'Italia NON accoglierà e mentre prosegue una medioevale caccia all'uomo degna del miglior far west (di nuovo il "wanted" sulla porta del saloon, ha ricordato il presidente del Venezuela) adesso mi rendo conto che l'unica cosa utile da fare in tutti i modi sarebbe stata una campagna A MARZO per appoggiare la proposta di Chavez e dei paesi dell'Alba, accettata dalla Libia:  MEDIAZIONE FRA LE PARTI E INVIO DI OSSERVATORI ONU i quali avrebbero visto che non c'erano affatto i diecimila morti fra i manifestanti (mesi dopo, Amnesty International parlava di 209 morti accertati, su entrambi i fronti visto che molti poliziotti e custodi erano stati uccisi dai manifestanti) togliendo la scusa per l'intervento. Invece non si è fatto. 
 
Dopo che un giorno il Manifesto forso solo casualmente non mi aveva pubblicato un pezzo su appunto questa iniziativa venezuelana (e anzi aveva pubblicato un pezzo di Wallerstein in cui praticamente qualificava di idiota il povero Chavez), agli inizi di marzo, sdegnata mi sono allontanata da loro non scrivendo quasi più in merito. Idiota. Occorreva insistere. Se il Manifesto - l'unico quotidiano che dal 1991 è sempre stato contro le guerre - avesse fatto una simile campagna, dicendo qualcosa ogni giorno in merito, appoggiato da altri media alternativi e trascinando per esempio gli antiguerrra superstiti che non sapevano che fare, l'iniziativa di Chavez avrebbe avuto qualche chance, come chiedeva Fidel ai paesi e ai popoli del mondo.
 
Un'altra guerra, e niente di efficace da parte dei pacifisti. Che comunque non esistono più. Non parlerei più di pacifisti; meglio usare il termine "oppositori alla guerra". Arci, Acli, Cgil e componenti (mai un minuto di sciopero contro nessuna guerra dal 1990 in avanti), Tavola della Pace, per non dire di Attac Francia, dei vari aderenti di punta al Forum Sociale Mondiale, dei vari Sullo, delle Ong varie e di chi aveva sempre altre urgenze umanitarie da seguire. Urgenze più urgenti dei massacri della Nato e dei loro alleati libici. 
 
All'ipocrita Marcia Perugia Assisi che si svolgerà il 25 settembre avrei voglia di andare con un cartello: "Libia. Il silenzio dei pacifisti ha ucciso". Molti del "movimento" e della "società civile" adesso arriveranno, a fare il business umanitario laggiù, parallelamente al business della ricostruzione e del petrolio.  Vincono sempre gli scrocconi di guerra che sono tanti e su tutti i fronti. Ce n'è di che voler stracciare il passaporto e non rifarlo.


=== 2 ===

http://www.facebook.com/notes/italo-di-sabato/i-mercenati-italia-in-libia-e-i-loro-rapporti-con-i-neofascisti/10150291511894806

I mercenari italiani in Libia e i loro rapporti con i neofascisti







by Italo Di Sabato on Monday, August 29, 2011 at 10:22am



Sul corriere della sera di domenica 28 agosto  a pag 15 si racconta la storia dei tre italiani presi prigionieri in Libia.
Sull'articolo si fa il nome di Paolo Simeone, già implicato nella storia di Quattrocchi in Iraq. In particolare Simeone (e Quattrocchi). erano uomini di SAYA, del MS, polizia parallela, già agli ”onori" delle cronache in questi giorni per le sue dichiarazioni omofobe e naziste in vista del raduno tra un paio di settimane a Genova.
http://www.osservatoriorepressione.org/2009/03/le-ronde-nere-dellex-maresciallo.html
https://www.facebook.com/#!/event.php?eid=249733415061374
Il primo, Antonio Cataldo, 27 anni dalla provincia di Avellino, su facebook, si mostra con foto in divisa militare, in paese è noto che farebbe lavoretti idraulici.
In effetti,
http://it-it.facebook.com/vichingo88
 
Il secondo, Vittorio Carella di Peschiera Borromeo, MI, è un vigilante (in servizio, in congedo, in missione??), che si era fatto crescere la barba ultimamente (tattica mimetica di infiltrazione in un paese arabo?), diceva di aver avuto un ingaggio in Tunisia.  
Il terzo, il più interessante, Luca Boero di Genova “aveva contattatato qualche tempo prima di partire Paolo Simeone. Già caposquadra di fabrizio Quattrocchi, il contractor della compagnia di sicurezza ucciso nel 2004 in Iraq. Caporalmaggiore riservista del 31mo Cavalleria di Altamura, negli anno 90 aveva prestato servizio nei Balcani. Esperto di arti marziali, investigatore privato con licenza diporto d’armi per fucile da tiro, ora lavorava soprattutto come addetto alla sicurezza in locali notturni di Genova.”
Paolo Simeone, chi è costui?
http://www.traininglabint.com/?p=69
http://www.youtube.com/watch?v=-JOplj3qeQc
 
Qui le connessioni Paolo Simeone e Quattrocchi
http://it.wikipedia.org/wiki/Fabrizio_Quattrocchi
http://www.repubblica.it/2004/d/sezioni/politica/iraqita2/lavori/lavori.html
 
Connessioni tra Saya, Simeone e Quattrocchi
http://www.pmli.it/scopertapoliziaparallelanuovagladio.htm
http://www.onemoreblog.it/archives/006850.html
http://www.ecn.org/antifa/article/421/dssarassegnastampa
http://controrevisionismo.blogspot.com/2009/10/i-pm-riabilitano-quattrocchi.html#more
quest’ultimo pezzo è del 2009 di Erika Dellacasa del corsera, segno che, se il corsera glielo consente, la Dellacasa farà lo scoop domani o dopodomani, perché ha tutti gli elementi in mano.
http://www.splinder.com/myblog/comment/list/5048961


=== 3 ===

http://world.greekreporter.com/2011/08/25/historic-church-of-st-george-in-tripoli-ransacked/


The historic church of St. George located in Libya, in Tripoli, dating back to 1647 was ransacked.  The church is the oldest Orthodox church in North Africa.
The president of the Greek community, Dimitris Anastassiou transferred the news to the Metropolitan of Tripoli Mr. Theophylaktos, who has been in Greece since late June.
“I am feeling heartbroken for what is happening in Libya, this beautiful country which was destroyed and whose people are noted for their hospitality,” stated Metropolitan of Tripoli, who settled in Libya in 1991.
”I was sad to hear the news from Mr. Anastassiou. The thieves stole the shrine of our patron saint which I had brought from Mount Athos.  Old Gospels, chalices, cherubim, censers, one of which we had been given by the Ecumenical Patriarch Bartholomew. Those who stole the holy objects contacted the president of the community and asked for money in order to return them. Mr. Anastassiou reported the incident to the police, but as things are at the moment, noone will deal with this matter,” he said.


=== 4 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=21405

LIBIA – LA RESISTENZA CONTRO LA CONQUISTA USA-NATO PROSEGUE

di IAC International Action Center

su altre testate del 28/08/2011

Traduzione di Nadia Schavecher per l'Ernesto online

Malgrado si trovi in condizioni di inaudita difficoltà – inclusi i continui bombardamenti NATO, sbarco di mercenari, operazioni condotte da Forze Speciali e la distruzione delle infrastrutture civili – l’eroica resistenza alla conquista imperialista della Libia è continuata.

Tutti i grandi media mentono sostenendo vi sia una resa totale, la fuga del leader libico Moammar Gheddafi, l’arresto dei suoi figli ed altro ancora si sono rivelate nient’altro che bugie e guerra psicologica. Dopo 159 giorni di bombardamento, incredibilmente, la resistenza continua.

La continuazione della resistenza mette anche in evidenza la menzogna delle cosiddette “armate democratiche ribelli”, armate che sono state allestite dalla Gran Bretagna , dalla Francia e dagli USA per facilitare l’invasione imperialista del Paese ricco in petrolio. Nel mentre, sono state distribuite armi all’intera popolazione da parte del governo libico, una cosa che un dittatore odiato dal popolo non avrebbe mai fatto.

Come in Iraq e in Afghanistan, le arroganti dichiarazioni di vittoria degli USA e di “missione compiuta” non significano la fine della resistenza della popolazione locale, che assume varie forme. Il popolo libico ha eroicamente opposto resistenza non solo a mezzo anno di bombardamenti, ma anche ad una tempesta di propaganda da parte dei grandi media razzisti volta a dipingere la macchina militare USA-NATO, ridicolmente ed ancora una volta, come i grandi liberatori bianchi.

Mentre la resistenza continua in Libia, noi al centro dell’imperialismo USA dobbiamo continuare qui la nostra resistenza contro la guerra criminale mentre continua la prolungata guerra contro i poveri e gli oppressi all’interno degli USA.

Nel corso di un tour per diffondere la verità, organizzato da IAC con l’ex parlamentare Cynthia McKinney , che si è recata in Libia per essere testimone oculare dell’attacco USA-NATO, è stata organizzata una serie di grandi assemblee contro la guerra in 21 città in tutto il Paese. Ciascuno di questi incontri, che sono stati preparati da coalizioni locali di diverse forze, ha visto la presenza di centinaia di attivisti contro la guerra, antimperialisti e attivisti sociali.

Questi incontri contro la guerra degli USA in Libia sono stati i più grandi e partecipati tenutisi da molti anni a questa parte.
Nel frattempo IAC è sceso nelle strade, organizzando proteste in tutto il Paese.

La guerra USA in Libia è il primo aggressivo passo per l’espansione delle altre guerre di conquista coloniale in Africa. Questo significa una nuova minaccia contro il Sudan e la Somalia. Significa una nuova scelta bellicosa nei confronti di altri Paesi in Medio Oriente, specialmente Siria e Iran.

Aiutateci a continuare la resistenza alla guerra USA/NATO in Libia.

IAC International Action Center
International Action Center • Solidarity Center • 55 W. 17 St., Suite 5C • New York, NY 10011
Phone 212.633.6646 • E-mail: iacenter@... • En Español: iac-cai@...


=== 5 ===

http://www.wsws.org/articles/2011/sep2011/pers-s01.shtml

NATO prepares bloodbath in Sirte

1 September 2011


Nearly six months after securing a United Nations Security Council resolution authorizing a no-fly zone in Libya and the use of “all necessary measures… to protect civilians and civilian populated areas under threat of attack,” the US and its NATO allies, former colonial powers, are mounting a barbaric siege of a major population center that threatens to produce civilian casualties on a mass scale.

In their breathless promotion of the “final battle” to realize the real US-NATO aim in Libya—regime-change—few in the Western media have bothered to consider the fact that the major imperialist powers are carrying out precisely the kind of act they claimed their war was designed to prevent.

Gaddafi’s troops were marching on Benghazi, the world was told, and only a “humanitarian” intervention by NATO could save the city’s innocent population. Now the “rebels” are encircling Sirte, led by British and Qatari special forces troops, intelligence operatives and mercenary military contractors, while the city’s population is being pounded by NATO bombs and cut off from food, fuel and all basic supplies.

The sheer contempt shown by the US and the Western European powers for legality and world public opinion is breathtaking. The pretense that NATO is acting under the terms of the UN resolution that provided a fig leaf for its intervention is more than absurd; it has become obscene.

One has to go back to the crimes of the fascist powers in the 1930s and 1940s to search for parallels to such a siege: the bombing of Guernica in the Spanish Civil War, the siege of Leningrad and the Warsaw Ghetto.

NATO warplanes have over the past few days conducted scores of air strikes against Sirte, the town of Bani Walid to its west and the roads linking the two. While there have been no independent reports from Sirte, the spokesman for the Gaddafi regime, Moussa Ibrahim, reported that the continuous bomb and missile attacks have killed 1,000 people in the city and left many more wounded.

Part of this ferocious air assault is aimed at assassinating Colonel Muammar Gaddafi, who is believed by some to have taken refuge in the city or its surrounding area. Western special forces are reportedly on the ground hunting for Gaddafi, while an array of US spy planes have been deployed to pinpoint his whereabouts.

The NATO-led rebels have taken up positions on the main coastal highway both east and west of Sirte, with orders to stay in place until the NATO blitzkrieg has sufficiently annihilated the city’s defenders.

The National Transitional Council (NTC), the self-appointed body of ex-Gaddafi ministers, Western intelligence assets, Islamists and tribal functionaries that has been recognized by the major powers as the legitimate government of Libya, has announced a surrender-or-die ultimatum to the city. If a surrender is not forthcoming by Saturday, they say, the city will be subjected to military assault.

“We have been given no indication of a peaceful surrender,” an NTC military spokesman, Col. Ahmed Omar Bani, told a press conference in Benghazi. “We continue to seek a peaceful solution, but on Saturday we will use different methods against these criminals.”

“Sometimes to avoid bloodshed you must shed blood, and the faster we do this the less blood we will shed,” said Ali Tarhouni, the deputy head of the NTC.

The Western media is justifying a bloodbath in advance, reporting that the “rebels” have “unfinished business” or “scores to settle” with Sirte’s defenders, which are said to include army units involved in the attacks on Misrata and Benghazi. The city is also Gaddafi’s hometown and a center of his tribe, the Gaddafifahs.

The criminal methods employed by NATO and its “rebel” proxies—the bombing of cities, attempted assassinations, massacres and the lynching of black sub-Saharan African immigrant workers—are in sync with the aim of the war: imperialist conquest.

Having supported the Western-backed dictatorships of Zine El Abidine Ben Ali in Tunisia and Hosni Mubarak in Egypt against popular revolts until the bitter end, the US and its NATO allies decided to intervene in Libya, which lies strategically between these two countries. They set about hijacking the anti-Gaddafi demonstrations that broke out last February and fomenting a civil war as a vehicle for direct NATO intervention. To this end, British and French special forces units were deployed on the ground in Libya well before any UN resolution was ever discussed.

This intervention was never about protecting the civilian population. Tellingly, a spokesman for the NTC Wednesday estimated that the total number of Libyans killed in the last six months—both civilians and combatants—has risen to over 50,000. If one were to accept as good coin the pretense that NATO waged its war for the purpose of saving human lives, it would have to be judged a colossal failure. This war has produced far more carnage than any repression that preceded it.

The goal of the NATO war is to install a puppet regime in Tripoli that will be a more pliant tool of the Western governments and energy conglomerates. Ruling circles in Washington, London, Paris and Rome are salivating over the prospect of turning the clock back 42 years to the days when the corrupt monarchy of King Idris let Standard Oil write Libya’s petroleum laws and provided military bases to both the US and Britain.

Consolidating such neocolonial aims will no doubt entail an even greater amount of bloodshed in suppressing popular opposition within Libya.

The crimes being carried out against the people of Libya and the threat of a far wider conflagration that is inherent in the inter-imperialist tensions over who will control the country’s oil wealth pose the urgent necessity of a new antiwar movement, based on the working class and a socialist perspective.

The struggle against war must be joined with the fight against the assault on jobs, living standards and basic social and democratic rights taking place in virtually every country. It must be consciously directed against the source of both militarism and the unfolding social counterrevolution—the capitalist profit system.


Bill Van Auken




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(italiano / srpskohrvatski / english / francais)


Sedam tacaka o ratu u Libiji


1) Domenico Losurdo: Sedam tacaka o ratu u Libiji / Sette punti sulla guerra contro la Libia

2) Escobar: Al-Qaeda asset is military commander of Tripoli — RT
(I "ribelli di Bengasi" sono comandati da un membro di AlQaeda, Abdelhakim Belhadj, addestrato in Afghanistan)

3) Anche RaiNews24 diffonde propaganda di guerra e censura le notizie dalla Libia.
LIBIA. ULTIME MENZOGNE E OMISSIONI DEI MEDIA E VERITA’ DI TESTIMONI RAGGIUNTI AL TELEFONO (M. Correggia)

4) I massacri dei 'ribelli della Nato'. Migranti africani. Famiglie sfollate dall'est. Libici dalla parte del torto.
Marinella Correggia (26 agosto 2011)

5) Libia, a 100 anni di distanza la solita storia coloniale. Ieri l’Italia, oggi la NATO.
Rete Nazionale Disarmiamoli!


ALTRI LINK:

Comment l’Otan va s’y prendre pour cacher les actes de terreur...
http://www.michelcollon.info/Comment-l-Otan-va-s-y-prendre-pour.html?lang=fr

Massacre de Noirs par les « rebelles démocrates » - Investig’Action avait rencontré les victimes
http://www.michelcollon.info/Massacre-de-Noirs-par-les-rebelles?lang=fr
I "ribelli di Bengasi" hanno sterminato i lavoratori neri accampati sulla piazza di Tripoli

Colpire deliberatamente il palazzo di Gheddafi per ucciderlo o per indurlo alla resa è un atto di terrorismo internazionale
http://www.peacelink.it/conflitti/a/34556.html

Qui peut sauver la Libye de ses sauveurs occidentaux ? Pas la gauche française.
http://www.legrandsoir.info/qui-peut-sauver-la-libye-de-ses-sauveurs-occidentaux-pas-la-gauche-francaise.html

NATO's Bloody War of Aggression in Libya
Selected Articles, August 22, 2011
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=26129
Feature Articles
http://www.globalresearch.ca/

Perché l'Occidente si è impegnato con i ribelli assassini in Libia
di Patrick Cockburn, The Indipendent/ICH, 05/08/2011
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=21335

Il punto sulla Libia
di Andrea Catone su MarxVentuno 3/2011 del 27/07/2011
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=21305

SUGLI ARMAMENTI ITALIANI:

Antonio Mazzeo Blog: La guerra segreta dei Predator italiani in Libia
http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2011/08/la-guerra-segreta-dei-predator-italiani.html

Libia, armi a ribelli: confermato scoop Globalist
Il governo mette il segreto di Stato alla magistratura che indaga sulla scomparsa di un carico di armi dalla Sardegna destinate al Cnt di Bengasi.
di Ennio Remondino - 20/07/2011
http://www.nena-news.com/?p=11635



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Sedam tacaka o ratu u Libiji


Domenico Losurdo

 

Sada i slijepci mogu vidjeti

 

1. Da se radi o ratu koji je izazvao NATO. Ta istina uspijeva prodrijeti i kroz filtere burzoaskih "informacija". U Stampi od 25 augusta Lucia Annunziata pise: "to je jedan potpuno 'eksterni' rat, to jest rat kojeg izvode snage NATO-a"; "zapadni sistem je pokrenuo rat protiv Gadafija". Jedna karikatura iz "International Herald Tribuna" od 24 augusta prikazuje "pobunjenike" kako divljaju od veselja, ali sjedeci komotno na avionu, na kojem je utisnut znak NATO-a.

 

2.Radi se o ratu koji je dugo pripreman. "Sunday Mirror" je 20 marta otkrio da je vec "tri tjedna" prije rezolucije ONU-a u Libiji bilo na djelu "stotine" britanskih vojnika, ukljucenih u vojne pripreme unutar jednog od najsofisticiranijih i najvise zastrasujucih vojnih logora na svijetu (SAS). Analogne informacije ili otkrica u "International Herald Tribune" od 31 marta, koji govore o "malim grupama Cia-e" i o "jednoj vecoj zapadnoj sili koja djeluje u sjenci", a sve to se dogadja prije "izbijanja sukoba od19 marta".

 

3. Taj rat nema nista sa zastitom ljudskih prava. U vec citiranom clanku Lucia Annuziata tjeskobno primjecuje. "NATO koji je postigao pobjedu nije uopce isti organ koji je pokrenuo rat". U meduvremenu Zapad je tesko pogoden i oslabljen ekonomskom krizom; da li ce uspjeti zadrzati kontrolu nad tim kontinentom koji je sve osjetljiviji na zov "nezapadnih nacija", narocito na zov Kine? S druge strane isti dnevnik koji je dao prostora Luciji Annunziati "La Stampa" od 26 augusta otvara stranicu s ogromnim naslovom: "Nova Libija, izazov Italija - Francuska". Za one koji jos nisu shvatili o kojem se tipu izazova radi, izdavac Paolo Baroni (Dvoboj oko zadnjeg posla) objasnjava: od samog poctka ratnih operacija, za koje je bila karakteristicna frenticna aktivnost Sarkozyja"postalo je ocito da ce se rat protiv Pukovnika preobraziti u konflikt sasvim drugog tipa: u ekonomski rat sa sasvim drugim protivnikom, a taj je naravno Italija".

 

4. Pokrenut iz odvratnih razloga rat je voden na kriminalan nacin. Ogranicit cu se na svega nekoliko detalja koje je donio dnevnik izvan svake sumnje. International Herald Tribune u clanku K. Fahima i R. Gladsootnea donosi:" U jednom logoristu usred Tripolija pronadeno je izresetano hicima vise od 30 boraca, koji su ratovali na Gadafijevoj strani. Najmanje dvojica od njih imali su ruke vezane plasticnim lisicama, sto navodi na sumnju da se radilo o pravoj egzekuciji. Od tih ubijenih pet su se nalazili u poljskoj bolnici, jedan je bio u ambulantnim kolima, ispruzen na noosilima, vezan kajisem, sa intravenoznom injekcijom koja mu je jos uvijek bila uubodena u ruku".

 

5. Barbarski kao i svi kolonijalni ratovi aktualni rat protiv Libije svjedoci o daleko jacoj barbarizaciji imperijalizma. U proslosti su bili cinjeni bezbrojni pokusaji da se ubije Fidel Castro. Ali su ti pokusaji vodeni u tajnosti, ako ne sa osjecajem srama, ono u strahu od mogucih reakcija medunarodnog javnog mnjenja. Danas je medutim ubiti Gadafija ili ostale vode, koji se ne dopadaju Zapadu, pravo, koje se javno proklamira. Corriere della Sera od 26 augusta trijumfalno naslovljava:"Lov na Gadafija i na sinove od kuce do kuce". Dok ovo pisem britanski avioni Tornados, sluzeci se kolaboracijom i informacijama koje im je pruzila Francuska, upravo su bombardirali Sirte i pobili jednu citavu porodicu.

 

6. Nista manje barbarska od rata bila je i kampanja dezinformacija. Bez imalo osjecaja stida NATO je neprestano sistematicno lupao kao cekic ,prosipajuci lazi prema kojima su ratne operacije bile vodene jedino u cilju podrske civilnom stanovnistvu! A stampa , zapadna "slobodna" stampa? Ona je svojevremeno objavila vijest kako Gadafi kljuka vlastite vojnike viagrom, da bi oni lakse mogli silovati civilno stanovnistvo. Ta je "vijest" uskoro postala smijesna i ubrzo se pojavila nova "vijest" kako Gadafijevi vojnici pucaju na djecu! Ne navodi se nikakav dokaz, nikakv podatak o vremenu ili mjestu na kojem se to dogodilo, ne citira se nikakav izvor. Vazno je kriminalizirati neprijatelja, kojeg treba unistiti.

 

7. Svojevremeno je Mussolini prikazao fasisticku agresiju na Etiopiju kao kapmpanju koja tu zemlju treba osloboditi rane ropstva. Danas NATO predstavlja svoju agresiju na Libiju kao kampanju za sirenje demokracije. Svojevremeno je Mussolini neumorno grmio protiv etiopskog cara Hajle Selasjea nazivajuci ga "Negusom crnackih trgovaca (negrieri)"; danas NATO izrazava svoj prezir prema Gadafiju kao "diktatoru". Kao sto ne se ne mijenja ratnohuskacka i zavojevacka priroda imperijalizma, tako i tehnike manipulacije predocuju znacajne elemente kontinuiteta. U cilju da pokazem tko je danas zaista pocinitelj planetarne diktature, umjesto da citiram Marxa ili Lenjina, citirat cu Immanuela Kanta . U napisu iz 1798 ( Konflikt mogucnosti) on pise: "Sta je apsolutni monarh? To je onaj koji kad kaze 'mora se voditi rat' rat doista i uslijedi". Argumentirajuci na taj nacin Kant je ciljao na Englesku svog vremena i nisu ga zavarale "liberalne" forme koje su postojale u toj zemlji. To je dragocjena lekcija: "apsolutni monarsi" naseg vremena, planetarni diktatori i planetarni tirani sjede u Washintonu, u Bruxellesu i u najvaznijim zapadnim glavnim gradovima.


(izvor: FB-grupa Novog Plamena - http://www.facebook.com/groups/152894931252/doc/10150349897251253/ )


http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/08/sette-punti-sulla-guerra-contro-la_27.html

SABATO 27 AGOSTO 2011

Sette punti sulla guerra contro la Libia


Domenico Losurdo 

Ormai persino i ciechi possono essere in grado di vedere e di capire quello che sta avvenendo in Libia:

1. E’ in atto una guerra promossa e scatenata dalla Nato. Tale verità finisce col filtrare sugli stessi organi di «informazione» borghesi. Su «La Stampa» del 25 agosto Lucia Annunziata scrive: è una guerra «tutta “esterna”, cioè fatta dalle forze Nato»; è il «sistema occidentale, che ha promosso la guerra contro Gheddafi». Una vignetta dell’«International Herald Tribune» del 24 agosto ci fa vedere «ribelli» che esultano, ma stando comodamente a cavallo di un aereo che porta impresso lo stemma della Nato.
2.  Si tratta di una guerra preparata da lungo tempo. Il «Sunday Mirror» del 20 marzo ha rivelato che già «tre settimane» prima della risoluzione dell’Onu erano all’opera in Libia «centinaia» di soldati britannici, inquadrati in uno dei corpi militari più sofisticati e più temuti del mondo (SAS). Rivelazioni o ammissioni analoghe si possono leggere sull’«International Herald Tribune» del 31 marzo, a proposito della presenza di «piccoli gruppi della Cia» e di «un’ampia forza occidentale in azione nell’ombra», sempre «prima dello scoppio delle ostilità il 19 marzo».
3.  Questa guerra non ha nulla a che fare con la protezione dei diritti umani. Nell’articolo già citato, Lucia Annunziata osserva angosciata: «La Nato che ha raggiunto la vittoria non è la stessa entità che ha avviato la guerra». Nel frattempo, l’Occidente è gravemente indebolito dalla crisi economica; riuscirà a mantenere il controllo su un continente che sempre più avverte il richiamo delle «nazioni non occidentali» e in particolare della Cina? D’altro canto, lo stesso quotidiano che ospita l’articolo di Annunziata, «La Stampa», si apre il 26 agosto con un titolo a tutta pagina: «Nuova Libia, sfida Italia-Francia». Per chi ancora non avesse compreso di che tipo di sfida si tratta, l’editoriale di Paolo Baroni (Duello all’ultimo affare) chiarisce: dall’inizio delle operazioni belliche, caratterizzate dal frenetico attivismo di Sarkozy, «si è subito capito che la guerra contro il Colonnello si sarebbe trasformata in un conflitto di tutt’altro tipo: Guerra economica, con un nuovo avversario, l’Italia ovviamente».
4.  Promossa per motivi abietti, la guerra viene condotta in modo criminale. Mi limito solo ad alcuni dettagli ripresi da un quotidiano insospettabile. L’«International Herald Tribune» del 26 agosto, con un articolo di K. Fahim e R. Gladstone riporta: «In un accampamento al centro di Tripoli sono stati ritrovati i corpi crivellati di proiettili di più 30 combattenti pro-Gheddafi. Almeno due erano legati con manette di plastica, e ciò lascia pensare che abbiano subito un’esecuzione. Di questi morti cinque sono stati trovati in un ospedale da campo; uno era su un’ambulanza, steso su una barella e allacciato con una cinghia e con una flebo intravenosa ancora al suo braccio».
5.  Barbara come tutte le guerre coloniali, l’attuale guerra contro la Libia dimostra l’ulteriore imbarbarimento dell’imperialismo. In passato innumerevoli sono stati i tentativi della Cia di assassinare Fidel Castro, ma questi tentativi erano condotti in segreto, con un senso se non di vergogna, comunque di timore per le possibili reazioni dell’opinione pubblica internazionale. Oggi, invece, assassinare Gheddafi o altri capi di Stato sgraditi all’Occidente è un diritto proclamato apertamente. Il «Corriere della Sera» del 26 agosto 2011 titola trionfalmente: «Caccia a Gheddafi e ai figli casa per casa». Mentre scrivo, i Tornados britannici, avvalendosi anche della collaborazione e delle informazioni fornite dalla Francia, sono impegnati a bombardare Sirte e a sterminare un’intera famiglia.
6.  Non meno barbara della guerra, è stata ed è la campagna di disinformazione. Senza alcun senso del pudore, la Nato ha martellato sistematicamente la menzogna secondo cui le sue operazioni belliche miravano solo alla protezione dei civili! E la stampa, la «libera» stampa occidentale? A suo tempo essa ha pubblicato con evidenza la «notizia», secondo cui Gheddafi riempiva i suoi soldati di viagra in modo che più agevolmente potessero commettere stupri di massa. Questa «notizia» cadeva rapidamente nel ridicolo, ed ecco allora un’altra «notizia», secondo cui i soldati libici sparano sui bambini. Non viene addotta alcuna prova, non c’è alcun riferimento a tempi e a luoghi determinati, alcun rinvio a questa o a quella fonte: l’importante è criminalizzare il nemico da annientare.
7.  A suo tempo Mussolini presentò l’aggressione fascista contro l’Etiopia come una campagna per liberare quel paese dalla piaga della schiavitù; oggi la Nato presenta la sua aggressione contro la Libia come una campagna per la diffusione della democrazia. A suo tempo Mussolini non si stancava di tuonare contro l’imperatore etiopico Hailè Selassié quale «Negus dei negrieri»; oggi la Nato esprime il suo disprezzo per Gheddafi «il dittatore». Come non cambia la natura guerrafondaia dell’imperialismo, così le sue tecniche di manipolazione rivelano significativi elementi di continuità. Al fine di chiarire chi oggi realmente esercita la dittatura a livello planetario, piuttosto che Marx o Lenin, voglio citare Immanuel Kant. Nello scritto del 1798 (Il conflitto delle facoltà), egli scrive:«Cos'è un monarca assoluto? E' colui che quando comanda: “la guerra deve essere”, la guerra in effetti segue». Argomentando in tal modo, Kant prendeva di mira in particolare l’Inghilterra del suo tempo, senza lasciarsi ingannare dalle forme «liberali» di quel paese. E’ una lezione di cui far tesoro: i «monarchi assoluti» del nostro tempo, i tiranni e dittatori planetari del nostro tempo siedono a Washington, a Bruxelles e nelle più importanti capitali occidentali.


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I "ribelli di Bengasi" sono comandati da un membro di AlQaeda, Abdelhakim Belhadj, addestrato in Afghanistan

http://rt.com/usa/news/al-qaeda-libya-commander-escobar-269/

Escobar: Al-Qaeda asset is military commander of Tripoli


Published: 27 August, 2011, 02:06

Speaking to RT today live from Brazil, Asia Times correspondent Pepe Escobar said that an al-Qaeda asset is now leading the military of rebel-controlled Libya.

According to Escobar, Abdelhakim Belhadj, who commanded a military offensive in Libya over the weekend, has become the de facto commander of the Tripoli armed forces. Belhadj has also, says Escobar, was trained in Afghanistan by a

“very hardcore Islamist Libyan group.”

Escobar says that Taliban-linked sources overseas have confirmed Belhadj as the new commander. In the aftermath of 9/11, the CIA began tracking Belhadj, who was eventually captured in Malaysia in 2003. Escobar says that he was then tortured in Bangkok before being transferred back to Libya and imprisoned. He made a deal that allowed for his release in 2009 and as of this week is the military commander of Tripoli.

“I can say almost for sure with 95 percent certainty that this is the guy,” Escobar confirms.


VIDEO: http://rt.com/usa/news/al-qaeda-libya-commander-escobar-269/


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http://www.peacelink.it/mediawatch/a/34545.html

Lettera a Corradino Mineo

Guerra di Libia: anche Rainews 24 ha diffuso le bugie di guerra


In queste settimane e in queste ore potremmo conteggiare tutte le bugie di guerra che sono state diffuse. Decine e decine. Sarebbe stato un onore per voi non diffonderne neppure una avvertendo il telespettatore qual era la fonte, se era indipendente o di parte e se era stata verificata da voi oppure no. E invece...
22 agosto 2011 - Alessandro Marescotti (presidente di PeaceLink)


Caro Corradino Mineo, cari amici di Rainews,

oggi ho seguito con grande sorpresa e profondo sgomento il servizio di mezz'ora mandato oggi in onda su Rainews 24 dalle 13.30 alle 14. E' stato un servizio non di informazione ma di manipolazione dell'informazione. Una cosa deprimente per la professionalità per la quale invece vi ho sempre apprezzato e considerato preziosi nel disastrato panorama informativo nazionale.
Su Rainews poco fa è stato infatti 
- nascosto il ruolo dei bombardamenti della Nato (presentando i ribelli che liberavano la Libia da soli e  festanti, per acclamazione popolare);
- alterato il senso della rosoluzione n.1973 dell'Onu che non prevedeva l'appoggio militare della Nato agli insorti (come è stato detto);
- mai citato l'attacco della Nato alla TV libica, per la quale ha protestato l'Unesco (almeno quello lo potevate dire...);
- taciuto il massacro in corso a Tripoli (non vi interessa il conteggio dei morti adesso o la vittoria non deve avere prezzo?), mostrando solo folle festanti (senza chiedersi se in questo momento non sia proprio il caso di applicare il cessate il fuoco previsto dalla risoluzione Onu);
- presentato prevalentemente il punto di vista filo-Nato, lasciando alle immagini di Chavez (la foglia di fico per poi dire che si è stati pluralisti!) un'esigua quantità di tempo per poi ritornare a sottotitolazioni che non avevano valore informativo ma eminentemente persuasivo e che erano agganciate proprio allo scopo di "ridicolizzare" Chavez.
Ma soprattutto non è stato detto quali sono le fonti informative attendibili, le VOSTRE fonti; dato che i giornalisti a Tripoli sono asseragliati nei sotterranei degli hotel chi è che da le notizie, chi le filtra e chi le verifica?
E' fin troppo facile: la Nato.
Escluderei che i ribelli sappiano manipolare l'informazione così bene.
Il compito di un giornalista è quello di avvisare circa il potere di manipolazione dell'informazione. Come nel De Bello Gallico la fonte era Cesare, adesso l'unico mass media in grado di controllare e filtrare le notizie, fino a intossicare le vostre, è il vincitore. Perché nessuno in TV spiega come mai Aljazeera ha talmente manipolato le informazioni nel caso libico, fino a diventare una fonte inattendibile per chi si occupa di informazione in modo professionale?

In queste settimane e in queste ore potremmo conteggiare tutte le bugie di guerra che sono state diffuse. Decine e decine. Sarebbe un facile esercizio conteggiarle una per una anche per uno studente appena iscritto ad una scuola di giornalismo. Sarebbe stato un onore per voi non diffonderne neppure una avvertendo il telespettatore - con una scritta in sovraimpressione così come fece la Cnn durante la prima Guerra del Golfo - qual era la fonte, se era indipendente o di parte e se era stata verificata da voi oppure no.
Quando un'informazione non è verificata dovrebbe essere un dovere avvisare il telespettatore. Come si può verificare un'informazione non verificabile?
Avete purtroppo offerto un servizio "come gli altri", inquinato dalle bugie di guerra (e lo sapevate!). Avete servito la propaganda di guerra che ha lo scopo di creare un consenso dell'opinione pubblica attorno alla guerra stessa.
Spetta alla Nato convincere l'opinione pubblica che una guerra iniziata per rompere un assedio ed evitare un bagno di sangue (così almeno si è detto) sia giusto concluderla con un altro assedio e con un altro bagno di sangue.  E' un'impresa ardua e i comunicatori della Nato ci lavorano con indubbia professionalità.
Ma perché lo deve fare anche Rainews sfruttando una credibilità che molti reputano al di sopra di ogni sospetto?
La VOSTRA professionalità e la vostra missione dovrebbe essere quella di instillare il dubbio, di creare il pluralismo, di consentire al telespettatore di formarsi un'opinione il più possibile autonoma, presentando un'informazione che non sia già addomesticata e degradata al rango di bugia di guerra. Perché - va detto chiaramente - il mondo con cui Rainews ha presentato poco fa la Risoluzione Onu n.1973 è pura bugia di guerra. Quelle della Nato non sono operazioni avviate in base ad un mandato ricevuto dalle Nazioni Unite
Questa è una guerra che ha non ha eseguito ma che violato la risoluzione Onu che chiedeva il cessate in fuoco: non è onesto il modo con cui Rainews ha deformato l'informazione.
L'informazione è sacra. L'informazione è l'ossigeno della nostra mente, è la base della nostra rappresentazione del mondo, è il parametro di verifica delle nostre opinioni.
Quando abbiamo deformato l'informazione abbiamo compromesso la possibilità di capire il mondo.
Addomesticare l'informazione significa trattare il pubblico come una platea di infanti a cui si racconta la storiella.
Quando Kant si chiese cosa fosse l'Illuminismo, affermò che l'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità e che la minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro.

La missione di un buon giornalismo è quella di far uscire il cittadino dallo stato di minorità, offrendo il confronto di diversi punti di vista e lasciando al cittadino la scelta finale: farsi una propria opinione sulla guerra.
Queste erano le cose che volevo dirvi e ve le ho dette, con profonda tristezza.


Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink

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http://www.peacelink.it/mediawatch/a/34547.html

Lettera a Corradino Mineo

A Rainews 24: anche voi ignorate la strage Nato e confondete le acque (tutti sul carro del vincitore)


Tacete i massacri, ripetete banalità, confondete armati con civili, senza batter ciglio ripetete la versione Nato (o dei"ribelli")

22 agosto 2011 - Marinella Correggia

Leggo il vostro sito e capisco quanto siete cambiati, dal tempo di Falluja...

  
Ora perfettamente allineati, tacete i massacri, ripetete banalità, confondete armati con civili, senza batter ciglio ripetete la versione Nato (o dei"ribelli"). Siete in buona compagnia, peraltro.
Vi mando questo riscontro, frutto di una notte insonne su internet, fra le "voci" dei media e la realtà vissuta da testimoni a Tripoli (quali voi non siete). Li ho sentiti al telefono, dopo averli incontrati settimane fa. Altro che festeggiare. Sono tutti barricati in casa. Alcuni assai spaventati.
  
Cercate di essere meno banali e non indulgete anche voi nel fascino orrendo delle armi e degli armati, come i vostri colleghi e colleghe con elmetto e aria eccitata. Ah, i cronisti di guerra! 
  
E possibile che la vera ragione di questa guerra basata sulle menzogne non vi indigni?

http://www.peacelink.it/mediawatch/docs/3872.pdf

LIBIA. ULTIME MENZOGNE E OMISSIONI DEI MEDIA E VERITA’ DI TESTIMONI RAGGIUNTI AL TELEFONO 

Marinella Correggia

Menzogne di una notte insonne (anche sotto il fortunato cielo italiano che nessuno bombarda dal 1945). Menzogne e arroganza fino all’ultimo in una guerra cominciata e continuata con notizie false, in cui i media hanno avuto il ruolo dell’aiuto carnefice. Solo la tivù russa Rt e quella venezuelana Telesur spiegano che è una vittoria dovuta alla carneficina compiuta dalla Nato anche con droni ed elicotteri Apache soprattutto negli ultimi giorni. Per la democrazia che il popolo libico merita, dice il premier britannico Cameron. Peccato che in tutti i mesi scorsi proprio la Nato e i “ribelli” avessero sempre lasciato cadere le proposte di libere elezioni con controllo internazionale avanzate dal governo libico.

Cosa dicono i soliti media

La Nato fa strage a Tripoli bombardando di tutto e uccidendo 1.300 persone in poche ore come denuncia Tierry Meyssan del Réseau Voltaire; ma Repubblica on line scrive che Gheddafi bombarda la folla. Giusto un titolo, senza spiegazione, giusto un modo per non perdere l’allenamento. La stessa Repubblica che non si è mai degnata di chiamare soldati i membri –decimati - dell’esercito di un paese sovrano (erano sempre definiti “mercenari e miliziani”), adesso chiama “soldati del Cnt” i ribelli, tacciando invece di “pretoriani di Gheddafi” i superstiti soldati libici (quelli non decimati dalla Nato). (A proposito: uno del Cnt, Jibril, ha fatto appello ai suoi armatissimi “ragazzi” affinché diano prova di moderazione e non attacchino gli stranieri e chi non li appoggia (il rischio è certo visti i precedenti).
L’Unità scrive che Tripoli “è insorta”, quando in realtà è occupata dai cosiddetti ribelli con la copertura aerea della Nato e i civili cioè i disarmati se ne stanno rintanati nelle case (vedi le testimonianze ottenute al telefono).
Il Corsera con il suo embedded sceso dalle montagne insieme ai ribelli spiega enfatico che dopo la “liberazione” di Zawya, “Tripoli si è sollevata” quando in realtà è stata piuttosto atterrata dai bombardamenti.
Rai News 24? Peacelink protesta con la redazione: “Nel vostro servizio avete nascosto il ruolo dei bmbardamenti Nato, presentando i ribelli che libravano la Libia soli e festanti, per acclamazione popolare; alterato il senso della risoluzione 1973 che non prevedeva l’appoggio militare Nato agli insorti; taciuto il massacro in corso a Tripoli; presentato prevalentemente il punto di vista Nato (e sempre ripetono la storia dei mercenari neri e dei cecchini). .
Anche il Fatto ci casca: “L'avanzata del Cnt rallentata dal traffico e dal caos e da centinaia di libici che inneggiano alla fine del regime” (centinaia, su una città di milioni di abitanti!); “I tripolini sono usciti per festeggiare l’arrivo dei ribelli”. Ma la foto viene da Bengasi...
Per dare l’idea di festeggiamenti che non ci sono, Cnn mette foto di festeggiamenti non datati a Bengasi. Mentre la reporter dice “vedo strade vuote, le immagini sono di folle festanti con bandiera monarchica, però evocano Tripoli. In un altro collegamento, la elmettata reporter spiega – non senza ripetere la solfa del pericolo di cecchini di Gheddafi - che assolutamente nessun civile nelle strade... allora chi sta festeggiando? Gli armati. E sempre il titolo è “la Nato teme che Gheddafi possa colpire i civili”. Quindi pronti al tiro al piccione.
La cronista di Al Jazeera con elmetto dalla Piazza verde (il nome è già stato cancellato), parla di festa (e di paura per i soliti cecchini di Gheddafi...) del popolo libico, “vedete centinaia di persone” (in una città con milioni di abitanti)...alle sue spalle si pressano con la bandiera monarchica i ribelli armati, ma per lei sono i civili, il “popolo”, “you can see how people are excited, now they are in control of the capital”. La confusione voluta fra civili e amati ha fato da leit motiv di questa guerra. Anche a Baghdad, il giorno della caduta della statua di Saddam a opera di due marine Usa, gli iracheni presenti si contavano in qualche decina...Un film già visto.La mattina la Cnn parla al telefono con la solita plurintervistata ottimo inglese libica diciannovenne che dice che dopo 42 anni sono liberi di parlare al telefono (ricordo però che gli oppositori a Gheddafi più che la mancanza di libertà mi evocavano, settimane fa, “gli ospedali che non funzionano e le scuole dove non si studia bene l’inglese”!); la tivù le chiede: “ma non c’è gente in strada, solo fighters?” e lei conferma. Allora, le folle festanti?
Anche la Reuters scrive: “I ribelli entrano in Tripoli, la folla celebra”. Quale folla? Non c’è nessun video né foto!

Parlano i testimoni

Molti telefoni di persone incontrate a Tripoli poche settimane fa non rispondono più. Per esempio Rafika, tunisina, ottimo italiano, che lavorava alla mensa dell’ospedale Tebbe, chissà quanti feriti ci sono adesso là (vedi sua testimonianza nel file allegato). Ma qualcuno risponde.
Mohamed, giovane del Niger che vive a Tripoli da 3 anni (lavorava con i cinesi) e che si arrovellava settimane fa su come spiegare al mondo la verità (vedi la sua testimonianza di allora nel file allegato), adesso è rintanato in casa: “Siamo impotenti anche noi. Chi è disarmato non può avventurarsi fuori, dove tutti sono armati e si combatte. E’ terribile ma non possiamo che aspettare. Spero che non ci sia un’altra carneficina”. Ieri diceva “hanno bombardato intensamente anche vicino a casa mia, si è levata una grande polvere, impossibile respirare. Stiamo in casa, e preghiamo, è il ramadan”. L’altro ieri, prima degli ultimi sviluppi, chiedeva: “MA si sono viste lì le immagini della strage di 85 civili a Mejer, sotto le bombe della Nato fra l’8 e il 9 agosto? Sono sconvolto, anche perché qui i media internazionali non ne hanno parlato”.
Era impaurito sabato sera il cristiano pakistano Nathaniel, che già settimane fa si chiedeva dove sarebbe andato con la famiglia dopo 21 anni in Libia se gli islamisti fossero arrivati (vedi sua testimonianza nel file allegato): “My sister qui bombardano di continuo, e sembra che i ribelli siano vicini...non so cosa fare, dove andare, chi ci proteggerà? Starò in contato con la cattedrale”. Oggi il suo cellulare non sembra aver copertura.
Se Nathaniel sapesse che forse è stata saccheggiata la chiesa a Dara (e monsignor Martinelli è in Italia)...Così dice la statunitense JoAnne, da mesi a Tripoli con suo marito per documentare negli Usa i crimini di guerra della Nato e dei ribelli: “Siamo chiusi nell’hotel Corynthia, al centro di Tripoli. Nessuno si avventura fuori. Gli Apache hanno ucciso molte persone e i ribelli hanno armi pesanti...Doveva partire una nave proveniente da Malta, per evacuare gli stranieri ma i ribelli l’hanno bloccata”. Chiusa in casa anche Tiziana Gamannossi, imprenditrice italiana, l’unica rimasta a Tripoli, dove vive a Tajura: “Sto in casa, non si chiude occhio. I festeggiamenti per l’entrata dei ribelli? Ma se non c’è nessuno per strada, ho faticato a trovare un amico che mi riportasse a casa ieri. La disinformazione continua”.
Anche Hana, libica che lavorava per una compagnia petrolifera, è chiusa in casa, da parenti: “Ci siamo spostati perché la nostra casa è troppo vicina a Bab El Azyzya”, qui è tranquillo ma nelle strade non c’è nessuno. Mi hanno detto che volavano anche gli Apache, io non li ho visti vicino a casa. Sì, abbiamo l’acqua e la luce e cibo abbastanza. Stiamo ancora digiunando per il ramadan... fino a fine mese. Non avrei mai pensato che finisse così”.
Lizzie Phelan, giovane giornalista inglese indipendente, aveva un blog che le è stato bloccato: “Poco prima avevo denunciato alla tivù russa RT il fatto che Al Qaeda sia ben presente fra i ribelli arrivati a Tripoli. Qui intorno al Rixos la situazione sembra adesso calma. Ma non si sa come evolverà. Aspettiamo di andare, noi stranieri, in un’ambasciata, forse quella russa”.
Non risponde il telefono di Zinati, quarantenne libico che da mesi “abitava” con il suo computer su un tavolo all’hotel Rixos cercando di aiutare il portavoce Mussa Ibrahim nei difficili rapporti con i giornalisti e con le delegazioni: “Ero tornato qui in febbraio per sistemare delle cose e ripartire per il Canada dove vivo da anni; invece sono rimasto, non potevo lasciarli così” diceva settimane fa.


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http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=6942&Itemid=9

I massacri dei 'ribelli della Nato'. Migranti africani. Famiglie sfollate dall'est. Libici dalla parte del torto.

Marinella Correggia (26 agosto 2011)


Qualcuno lo dica a chi in Italia non si è opposto alla guerra Nato+Qatar+Arabia Saudita+Alleati locali perché “in Libia i migranti clandestini erano respinti e imprigionati”. Qualcuno dica cosa hanno fatto e ancor più stanno facendo a Tripoli i ribelli della Nato, i vincitori (non per meriti militari propri, ma grazie ai loro mercenari: i piloti dei bombardieri Nato, e i consiglieri franco-inglesi-qatarioti sul terreno; per non dire del rifornimento di armi e denaro). La caccia a uomini, donne e famiglie; quando sarebbe già criminale e immorale la caccia a un solo uomo, Gheddafi. Vae victis. Nessuno processerà i vincitori.

MASSACRO DEI NERI

Tradurrò stanotte questo articolo ma intanto ecco qui:http://www.michelcollon.info/Massacre-de-Noirs-par-les-rebelles
Ho sentito al telefono Mohamed del Niger che molti altri suoi amici sub-sahariani lavorava a Tripoli. Aspettano l'evacuazione. Rischiano la vita per quella “caccia al nero” che nell'Est libico è in corso da tempo e adesso è arrivata a Tripoli. Mohamed vive nel quartiere Gangji dove ieri mancava sia l'elettricità (fa molto caldo ed è impossibile raffrescarsi e conservare i cibi), sia l'acqua: “Abbiamo un pozzo in questo gruppo di case ma l'acqua non è potabile. E il rubinetto è secco. Sto andando a cercare acqua per la rottura del digiuno, dopo il tramonto”. Prospettive? “Siamo in contatto con varie ambasciate africane compresa la mia ma non sembrano essere al corrente di prossime navi dell'Organizzazione mondiale delle migrazioni. So che ieri sono partite delle persone ma non dell'Africa sub-sahariana. Non possiamo più stare qui”. Ovviamente se va bene l'Oim riuscirà a rimpatriare questi “danneggiati collaterali” dalla guerra Nato. Ad esempio in Niger, uno dei paesi più poveri del mondo, dove sono già tornati nel nulla decine di migliaia di lavoratori.  
 
Il cristiano pakistano Nathaniel, che con la famiglia viveva a Tripoli da decenni, non è più raggiungibile. 

MASSACRO DI FAMIGLIE LIBICHE

E non sono i neri le uniche categorie massacrate ora a Tripoli. L’inviato di France 24 dà conto (http://www.voltairenet.org/Les-rebelles-epurent-le-quartier-d) di come i ribelli della Nato stiano attaccando le famiglie di funzionari (anche di grado basso) che avevano a che fare con il governo. Sono state attaccate mentre erano asserragliate nel quartiere di Abu Slim. L’ospedale centrale di Tripoli, dice il cronista, è pieno di feriti, uomini, donne, bambini e anziani. E il Cnt, muto, dice France 24. 
 
A questo proposito sono anche molto inquieta circa la sorte di tante famiglie di sfollati dall’Est libico e da Misrata. Sicuramente i ribelli della Nato li considerano dei traditori perché hanno lasciato mesi fa le zone sotto il loro controllo. Spero che la Croce rossa internazionale o chi per essa sappia di queste famiglie ora abbandonate a se stesse. 
 
La famiglia di Noor, bambinetta di tre anni coi capelli ricci e la pelle color caffelatte, era sfollata da Derna a Tripoli con migliaia  di altre, fuggite dall'Est della Libia in mano ai “ribelli”. Altre venivano da Misrata, città dell'Ovest controllata da mesi dai bengasiani, altre ancora dalle montagne Nafusa una volta prese.  Famiglie filogovernative o considerate tali, impossibilitate a lavorare e fatte oggetto di minacce o violenze. 
 
Decine di migliaia di persone si erano rifugiate in Egitto, altre a Tripoli o dintorni. Vivevano presso parenti o  in strutture messe a disposizione dal governo. Fra queste un bianco villaggio vacanze per tripolini in riva al mare o quasi nel deserto, in una desolata serie di container ex domicilio di lavoratori di imprese cinesi evacuati mesi fa. Adesso probabilmente nessuno si può più occupare di loro, per il cibo, l'acqua, la sicurezza. Quelle famiglie di “sfollati dalla parte del torto” sono adesso in grave pericolo. Ci si chiede se la Croce Rossa internazionale conosca il problema.  
 
Molti altri sfollati vivevano a Zliten (poche decine di chilometri da Tripoli), sempre ospitati in strutture lasciate vuote da compagnie straniere oppure presso parenti. Alcuni di loro avrebbero già trovato la morte la notte fra l'8 e il 9 agosto quando nel villaggio di Majer diverse bombe della Nato hanno fatto 85 morti civili. 


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Libia, a 100 anni di distanza la solita storia coloniale. Ieri l’Italia, oggi la NATO.

 

4 ottobre 1911 - Il primo ministro italiano Giovanni Giolitti inizia la conquista della Tripolitania e della Cirenaica, inviando a Tripoli contro l'Impero Ottomano 1732 marinai al comando del capitano Umberto Cagni….

25 marzo 2011 - Bagnoli (NA) i comandi delle forze aeree e terrestri della NATO coordinano “Unified Protector”, operazione militare che concretizza larisoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, varata allo scopo di “tutelare e proteggere” l’incolumità delle popolazioni libiche.

Dall’aeroporto di Trapani Birgi partono continuamente i bombardieri che scaricano il loro potenziale missilistico sulle popolazioni di Tripoli.

Gli oltre 800 civili caduti in questi mesi sotto le bombe dell’Alleanza sono la prova tangibile di questa sacrosanta volontà protettiva.

La rete di basi italiane interessate all’aggressione contro la Libia è però molto più ampia, come si evince dalla carta di Laura Canali, pubblicata nel Quaderno Speciale di Limes 1/2011 "La guerra di Libia" e visibile sulla home page di www.disarmiamoli.org .

Un’aggressione che procede in questi giorni a tappe forzate, a causa della posta in gioco in terra libica, di cui i leader occidentali sono ben consapevoli.

5 mesi d’incessanti bombardamenti, con 20mila raid aerei, di cui circa 8mila di attacco con bombe e missili (dati forniti dal Comando congiunto alleato di Napoli il 22 agosto scorso) non sono riusciti a dare il colpo di grazia all’esercito libico, costringendo la NATO all’attuale intervento di terra, che guida bande di “oppositori” alla conquista delle varie città libiche.

Un’operazione sul terreno sino a ora nascosta da efficie

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NEO-LANGUES

(Continua la vicenda orwelliana delle neo-lingue scaturite artificiosamente dal serbocroato. In Montenegro, basta inventarsi due nuove lettere per imporre agli scolari il lavaggio del cervello della cosiddetta "lingua montenegrina". D'altronde, presto anche in Padania si proporrà di scrivere con due caratteri diversi la "ci" di "ciao" e la "c" di "ceci"... Sulla disputa nazional-linguistica nell'area serbocroata si vedano tutti gli articoli alla nostra pagina: https://www.cnj.it/CULTURA/jezik.htm )

http://balkans.courriers.info/article18072.html

B92 & Vijesti

La « guerre des langues » embrase à nouveau le Monténégro


Traduit par Jasna Andjelić et Jacqueline Dérens

Mise en ligne : mercredi 24 août 2011

Quelle langue va-t-on parler et enseigner dans les écoles du Monténégro le 1er septembre prochain ? La nouvelle loi sur l’éducation prévoit l’introduction de la langue monténégrine. Les partis d’opposition réclament un statut égal pour le serbe et le monténégrin, deux langues que ne séparent guère que l’introduction de deux nouvelles lettres dans le nouveau monténégrin littéraire... Certains parents d’élèves menacent de boycotter la rentrée scolaire.

Dès cet automne, les livres et les manuels scolaires seront rédigés dans la langue monténégrine, dont l’alphabet cyrillique comporte 32 lettres, alors que la langue serbe n’en compte que 30.

Deux nouvelles lettres, correspondant aux sons « žj » et « šj », qui sont couramment employées dans la langue vernaculaire et populaire, ont été intégrées dans la norme littéraire littéraire du monténégrin. La lettre « đ », également présente en serbe, sera plus fréquemment utilisée dans la langue écrite monténégrine.

Si le nouvel alphabet a été introduit dans les manuels de langue monténégrine, les nouvelles lettres doivent encore s’imposer dans les manuels des autres matières enseignées à l’école.

Selon le quotidien Vijesti, les élèves de troisième année de l’école primaire doivent apprendre la différence entre une langue normalisée et une langue non normalisée, et les enfants « doivent aussi apprendre qu’ils doivent utiliser les cas existants ».

Cependant, dans la ville de Berane, au nord du Monténégro, le Conseil de l’éducation pour la langue serbe a déjà demandé aux parents des élèves qui parlent le serbe de ne pas acheter les nouveaux manuels rédigés en monténégrin. Ce conseil fondé par deux ONG locales a déclaré que si un accord n’était pas trouvé pour un traitement égal des deux langues au début de la nouvelle année scolaire, il organiserait un boycott scolaire.

Le Conseil demande que les enfants qui parlent serbe puissent utiliser les manuels rédigés en serbe avec l’alphabet cyrillique, alors que les autorités du Monténégro ont décidé d’introduire dès la rentrée scolaire le monténégrin comme langue officielle dans les programmes scolaires du pays, avec son nouvel alphabet latin intégrant les deux nouvelles lettres.

Le recensement effectué au début de l’année révèle que 43,88% des habitants déclarent le serbe pour langue maternelle, et 36,97% disent qu’ils parlent le monténégrin (lire notre article « Recensement au Monténégro : plus de « Monténégrins » et moins de « Serbes »).

Le gouvernement et les partis politiques d’opposition trouveront-ils un accord pour éviter une nouvelle « guerre des langues » ? Le premier ministre Igor Lukšić et les partis d’opposition avaient atteint, à la mi-août, un accord général sur la langue, annonçant que les changements convenus n’entraîneraient pas de modifications constitutionnelles.

Un compromis est-il possible ?

Andrija Mandić, chef de Nova srpka demokracija (NOVA), avait reconnu que la réunion avec le Premier ministre avait dépassé ses attentes, parce qu’il ne pensait qu’Igor Lukšić ni le ministre de l’Éducation Slavoljub Stijepović seraient ouverts aux demandes de l’opposition.

« Pendant la discussion, nous avons compris que le gouvernement était prêt à modifier les lois sur l’éducation et la citoyenneté pour assurer l’adoption de la loi électorale et remplir la première condition fixée par l’UE pour l’annonce d’une date d’ouverture des négociations d’adhésion du Monténégro.

Branko Radulović, député du Mouvement pour les changements (PZP) a déclaré que la discussion avait montré que des compromis étaient possibles au Monténégro, et que le gouvernement n’avait pas la même autorité sur tous les partis de sa coalition. « Cette réunion a montré que nous étions capables d’arriver à des accords rapides sur certains sujets, tandis que d’autres seront résolus ultérieurement. Il est évident que le Premier ministre à plus d’autorité quand les ministres proviennent de son parti, mais que lorsqu’il s’agit de ministre du issus des ranges du Parti social-démocrate », a-t-il déclaré.

Il a expliqué que les participants de la réunion étaient s’étaient approché d’un large consensus sur la langue serbe, mais que ce n’était pas le cas pour la citoyenneté.

Cependant, NOVA réclame que les deux langues, le serbe et le monténégrin, soient traitées sur un pied de complète égalité. Des cadres du parti ont annoncé qu’ils n’enverraient pas leurs enfants à l’école tant que le monténégrin ne serait pas clairement différencié du serbe.

Selon le linguiste Milorad Nikčević, le problème de l’opposition tient « à la reconnaissance de la langue monténégrine comme langue officielle du Monténégro ». Il affirme que la nouvelle standardisation de la langue « prend en compte tous les parlers du Monténégro, indépendamment de l’appartenance nationale des locuteurs ». Pour lui, « le monténégrin est parlé par tous les autochtones du Monténégro, qui utilisent la forme štokavienne » de la langue autrefois appelée « serbo-croate »...



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(sul contributo militare degli USA alla pulizia etnica e alla cancellazione della Repubblica Serba di Krajina nel 1995)

http://www.nspm.rs/srbija-i-nato/vojno-ucesce-sad-u-napadu-na-republiku-srpsku-krajinu-1995-godine.html?alphabet=l#yvComment43858


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Veljko Đurić Mišina   
sreda, 03. avgust 2011.

Važan američki politički interes na Balkanu je teritorija Bosne i Hercegovine. A da bi to postigli, morali se rešiti pitanje Republike Srpske Krajine. Izbora nije bilo: Krajina je morala nestati.
U Vašingtonu i Zagrebu paralelno su pripremane vojne operacije „Bljesak“, „Oluja“, „Maestral“ i „Golubica“.
„Bljesak“ je zamišljen i sproveden kao provera reakcije Beograda i Pala na akciju etničkog čišćenja u potonjoj operaciji „Oluja“.
„Maestral“ je planiran ali nije sproveden. Bio bi sproveden da Radovan Karadžić, predsednik Republike Srpske, nije uspeo da spreči inicijativu (samovolju) generala Ratka Mladića, načelnika Generalštaba Vojske Republike Srpske da se sve snage usmere i uključe u odsudnu odbranu. Saradnjom političkih vrhova sa Pala i Beograda Vojska Republike Srpske je izbačena iz igre nizom akcija od kojih je najvažnija bila smena generala Mladića sa mesta načelnika Generalštaba odlukom vlade Republike Srpske na sednici 7. avgusta 1995. godine.
„Golubica“, poznata i kao „Vukovarska golubica“, bi bila sprovedena u slučaju da režim u Beogradu nije mogao održati dogovor, ukoliko bi se određene strukture u sistemu komandovanja Vojskom Jugoslavije otrgle kontroli na potezu Baranje i Istočne Slavonije i time izazovu lančanu reakciju. To bi bilo osujećeno najstrožim i momentalnim kažnjavanjem i pozivanjem na odgovornost za pokazivanje i najmanje samoinicijative na terenu, usmerane u pravcu pružanja organizovanog otpora hrvatskoj ofanzivi.
*****
Pukovnik Ričard Šafranski, oficir Ratnog vazduhoplovstva armije Sjedinjenih Američkih Država, svojevremeno prvi analitičar u obaveštajnom sektoru Ratnog vazduhoplovstva, potom profesor na visokim vojnim školama u SAD, postao je poznat svetskoj javnosti jednim naučnim radom objavljenim u „Military riewiw“ novembra 1994. Taj zvanični časopis je ozbiljan, stručan i luksuzni mesečnik u kome se objavljuju radovi i projekti vodećih vojnih eksperata i naučnika SAD, Velike Britanije i drugih članica NATO. Postoje dve verzije ovog časopisa: prva je dostupna široj čitalačkoj publici i druga, u vidu biltena, namenjena za interno informisanje. Rad pukovnika Šafranskog, koji je po njegovim rečima „mršava skica ozbiljnog naučnog projekta na kome rade timovi stručnjaka već punu deceniju“ a koji je izazvao veliku pozornost stručne javnosti, objavljen je pod naslovom „Neokortikalni rat“.
U tom tekstu je prikazana osnova na kojoj počiva savremena vojna doktrina SAD i suština ofanzivne strategije XXI veka, koja je po rečima tog pukovnika „posle niza godina provera i eksperimenata zrela za uvođenje u praksu kako oružanih snaga Sjedinjenih Država tako i armije NATO“. Ubrzo potom, već 1995. pokazalo se kako to nije bilo samo mišljenje jednog naučnog tima ili njegovog rukovodioca. Savet za nacionalnu bezbednost je te godine odobrio i potpisao uvođenje novog pravila o upotrebi oružanih snaga SAD pod oznakom FM 100-5. To pravilo nije ništa drugo nego uputstvo za borbenu primenu teorije neokortikalnog ratovanja, i nije ništa drugo nego metoda kompatibilna sa planom sprovođenja spoljne politike SAD, zbog čega joj je i data saglasnost za upotrebu.
Neokortikalni ili neokortički rat obuhvata psihološko-propagandni rat, akcije posrednog nastupanja, sukobe niskog intenziteta, psihološke operacije.
Istorija čovečanstva je istorija rata, od bratoubistva Kainovog. Svi periodi mira su periodi slomljene volje poraženih strana i periodi priprema za budući oružani sukob.
Suština savremenog poimanja rata je da se jednom postignuti rezultat neispušta i ne dozvoli faza primirja i predaha sve do potpunog sloma, do tačke potpunog predavanja bezpogovornog i nepovratnog prepuštanja volji protivnika. Sam pukovnik Šafranski u tekstu kaže: „Mora se onemogućiti svaka pozicija ili pokušaj protivničke strane da jednom potčinjenu volju povrati. Kad god se u istoriji događala takva situacija, obnovljena volja je odgovarala sa mnogo više žestine nego pre potčinjavanja.“
Šta su to konkretno SAD uradile na terenu? Jednostavno su sledile uputstvo svojih odredbi iz pravila upotrebe Armije, koje se zove FM 100-5. Kad je politička odluka doneta, Armija je sprovodi u delo po načelima operacija FID, koje su predviđene u strategijskim i taktičkim pretpostavkama za Balkan.

1. Operacija FID

„Operacija FID“ (Foreign Internal Defence), odnosno „unutrašnja odbrana prijateljske zemlje“ definisana je u Pentagonu 1976. godine, u pravilu FM 100-20, na osnovu iskustava iz Vijetnama i proveravana u brojnim sukobima širom sveta. FID operacija podrazumeva vođenje dejstva „bez formalnog ratnog stanja“ i obuhvata čitav niz međusobno povezanih i usklađnih mera i aktivnosti, kako od strane zaštitnika (Vlade SAD) tako i od strane vlade koju SAD podržava u odbrani od destruktivnog delovanja njenog unutrašnjeg neprijatelja.
Takve operacije se organizuju u uslovima kada je nužno uzdržavanje od otvorene i direktne vojne intervencije. U realizaciji svojih ciljeva, prema zemlji koju stavljaju pod svoj „zaštitnički skut“, SAD najpre pružaju diplomatsku i političku podršku, kako bi se u svetskoj javnosti stvorilo uverenje u opravdanost takvih postupaka, zatim krenu u snabdevanje „štićenika“ oružjem i pružanje obaveštajne i instruktorske pomoći, kako bi se on odbranio „sopstvenim“ snagama, da bi na kraju, baš ako je to izuzetno i neophodno, usledilo i angažovanje oružanih američkih vojnih  snaga. Sve se svodi sa ciljem da se oružane formacije saveznika osposobe i ojačaju za samostalnu borbu, kako bi se učešće američkih vojnika na terenu svelo na najmanju meru.
Operacija FID zasniva se na tajnom međudržavnom ugovoru ili drugoj vrsti tajnog sporazuma između SAD i sticene strane, u cemu se angažuje celokupan američki potncijal, pocev od diplomatije, ekonomije, obaveštajnih službi i specijalnih snaga za realizaciju psiholosko -propagandnih aktivnosti i drugih vidova podrške. Pri tom se da bi se sačuvala tajnost operacije što je više moguće aktivnosti, kakva je, na primer, instruktaža „vojske štićenika“, obavljaju se preko, navodno, privatnih firmi.

2. Operacija FID u Hrvatskoj

Priznavanjem Hrvatske od strane SAD i EU u njenim granicama po jugoslovenskom Ustavu iz 1974. godine stvoreni su uslovi za sklapanje međudržavnih ugovora između Hrvatske i SAD a time i za otpočinjanje realizacije operacije FID. Važno je napomenuti da je državnost Hrvatske priznata bez obzira na činjenicu što nisu bila rešena ključna pitanja, kao što je pitanje sukcesije i položaj srpskog naroda u njoj. To znači da su Srbi tretirani kao pobunjenici protiv „legalno izabrane vlade“ i „međunarodno priznate države“, njihove vojne jedinice kao „paravojne formacije“, a Republika Srpska Krajina kao „nelegitimna tvorevina“, iako je to bilo u suprotnosti sa stvarnim stanjem. Zbog toga su sve aktivnosti hrvatske vojske protiv Srba bile tumačene kao „borba protiv pobunjenika“, u kojoj saveznicima koji se bore protiv „pobunjenika“ treba pružiti pomoć.
U operaciji FID koju su SAD realizovale na prostoru Hrvatske, a koja se završila slamanjem Republike Srpske Krajine, progonom srpskog stanovništva iz Hrvatske i brojnim masakrima nad njim, jednu od glavnih uloga imala je firma MPRI.

3.1. Uloga firme za vojni konsalting MPRI

Američka privatna firma za vojni konsalting i pružanje profesionalnih vojnih usluga MPRI (Military Profesional Resources Incorporates – Vojni profesionalni resurs) formirana je 1987. godine. Njeno sedište je u Aleksandriji, Virdžinija (SAD) i okuplja prvenstveno penzionisane generale, admirale i oficire svih rangova iz američke armije, pretežno iz vojno obaveštajne službe. Na njihovom internet sajtu, ali i u prospektima koje dostavljaju zainteresovanim, navodi se da je MPRI centar sa najvećom koncentracijom vojnih eksperata i veštaka u svetu. Broj stalno zaposlenih je oko 2.000. Međutim, u misijama pružanja vojnih usluga MPRI po potrebi angažuje i dodatne snage.
Zadatak MPRI u okviru operacija FID je da obuči savezničku vojsku a administracije SAD da toj vojsci obezbedi najvažnije uslove za efikasno ratovanje: naoružanje, municiju, opremu za komandovanje i vezu, psihološko-propagandnu podršku, obaveštajne podatke i tako dalje. Ukoliko „sponzorisana“ strana, uprkos američkoj pomoći, nije u mogućnosti da izvrši postavljeni zadatak, SAD pribegavaju radi spasavanja svojih štićenika i neposrednom vojnom angažovanju, odnosno oružanoj intervenciji. Pri tome nastoje da prethodno obezbede dozvolu UN i saglasnost i podršku saveznika iz NATO. Koordninarano nastupanje MPRI i administracije SAD, najpre na prost oru Hrvatske, a zatim i u Bosni i Hercegovini, presudno je uticalo na uspeh operacija hrvatske i muslimanske vojske protiv Srpske Vojske Krajine i Vojske Republike Srpske. (Ovo koordinirano delovanje nastavljeno je kasnije i u Makedoniji i na Kosovu i Metohiji)
Iako administracija SAD ovakve akcije sprovodi tajno i nastoji da pošto-poto očuva njihovu tajnost, ipak se dešava da njihovi zvaničnici u svojm javnim istupanjima nehotice otkriju pravi smisao i suštinu delovanja MPRI. Tako je predsednik SAD Vilijam Bil Klinton dajući preporuku da MPRI vodi program „Opremi i obuči“ javno izjavio da su odlično uradili posao za Hrvate i u Bosni. (Ugovor između firme MPRI i Muslimansko-hrvatske federacije, u okviru programa „Opremi i obuči“ potpisali su 16. jula 1996. Alija Izetbegović, Krešimir Zubak i DŽejms Predju, predstavnik vlade SAD za vojnu saradnju na Balkanu. Ugovor predstavlja još jedan dokaz da administracija SAD koristi ovu firmu kao masku za svoje prikriveno delovanje. Ovo su samo neke od činjenica koje argumentuju da MPRI predstavlja ofanzivni element politike SAD i „masku“ za prikriveno delovanje zvanične administracije, jer se radi o privatnoj a ne državnoj organizaciji. Njenim posredstvom ostvaruju se američki interesi u određenoj zemlji ili regionu.)

3.2. MPRI u Hrvatskoj

Rukovodstvo Hrvatske i MPRI su još 1991. godine potpisali ugovor o obučavanju hrvatske vojske. Ministar odbrane Hrvatske Gojko Šušak je obnovio taj ugovor 15. novembra 1994, posle čega je u Hrvatsku došlo oko 60 eksperata MPRI, koji su preuzeli obuku hrvatskih specijalnih snaga i gardijskih jedinica.
Paralelno s tim, 29. novembra iste godine, potpisan je i vojni sporazum između ministarstava odbrane Hrvatske i SAD, koji je sadržavao veći broj tajnih klauzula o obuci hrvatske vojske, učešću američkih generala u operativnom planiranju, naoružavanju, obaveštajnoj i logističkoj podršci. Tim ugovorom je bilo precizirano i postavljenje američkih špijunskih bespilotnih letilica na Braču, elektronskog prislušnog centra NATO na teritoriji Hrvatske, korišćenje aerodruma i luka na Jadranu i druga pitanja. Oba ugovora označila su direktno angažovanje SAD u jačanju hrvatske vojske i u njenom pripremi za odlučujući obračun sa Srbima.
U Generalštabu Hrvatske vojske bili su angažovani renomirani penzionisani generali pripadnici MPRI: DŽon Galvin, bivši komandant američkih snaga u Evropi, Karl Vuno, bivši načelnik Generalštaba kopnene vojske SAD u vreme operacija u Panami, Ričard Grifit, bivši pomoćnik komandanta američkih snaga u Evropi za obeveštajna pitanja, DŽejms Lindzi,bivši komandant specijalnih snaga SAD i ekspert za sukobe niskog intenziteta, Ed Sojster, bivši načelnik Vojnoobaveštajne službe, Sent Krozbi, bivši načelnik Vojne akademije u Fort Levenvortu, kao i niz drugih nižih oficira i podoficira. Aktivnosti u Hrvatskoj između MPRI i vlade SAD koordinirao je general DŽon Svol, vojni savetnik državnog sekretara Vorena Kristofera. Pri ambasadi SAD u Zagrebu, prema pravilima, formiran je „državni tim“ za pružanje svih vrsta pomoći „prijateljskoj zemlji“ sa ambasadorom Piterom Galbrajtom na čelu, koji je kasnije, u intervju za zagrebački „Večernji list“, priznao da su Amerikacni znali za pripremu „Oluje“ ali je demantovao da su u njoj neposredno učestovali. Sve ovo sasvim jasno ukazuje na koordinirano delovanje MPRI i administracije SAD: MPRI – obuka a SAD – naoružanje, oprema, diplomatska i druga podrška.
Težište aktivnosti MPRI bilo je obuka hrvatskih oficira i komandi u taktičkim radnjama, organizaciji jedinica, planiranju izvođenja borbenih operacija, korišćenje obaveštajnih, satelitskih i elektronskih podataka, kompjuterskoj simulaciji i tako dalje. Za tako kratko vreme celokupna hrvatska vojska nije mogla da bude prestruktuirana po zapadnom modelu pa je težište stavljeno na obučavanje višeg starešinskog kadra, komandi i štabova i osposobljavanje Prvog gardijskog korpusa sa osam elitnih brigada, organizovanih po NATO standardima i popunjenih dobro plaćenim profesionalcima. Upravo će ove gardijske brigade predstavljati glavnu ofanzivnu snagu i udarne pesnice u operacijama „Bljesak“ i „Oluja“, odnosnu slamanju Republike Srpske Krajine, teroru i progonu srpskog stanovništva. Tom prilikom, hrvatska vojska je demonstrirala modifikovanu američku doktrinu „vazdušno-­kopnene bitke“ u kojoj su, pored ostalog, ispoljena i jaka artiljerijsko-raketna dejstva po dubini, snažne psihološko-propagandne aktivnosti, obaveštajno i logističko obezbeđenje na nivou NATO. Sigurno je, međutim, da pomoć MPRI ne bi bila dovoljna i odlučujuća za uspeh hrvatske vojske da nije bilo snažnog i koordiniranog delovanja i podrške SAD i NATO snaga, pod pokroviteljstvom UN u korist Hrvatske. Naime, u okviru hrvatskog Generalštaba su postojali Američki centar za komandovanje, upravljanje i koordinaciju hrvatske vojske, organi za psihološko-propagandno delovanje i Centar za obradu obaveštajnih podataka o srpskoj vojsci Krajine, prikupljenih američkim satelitima iz vasione i drugim sredstvima iz vazduha (bespilotne letelice i špijunski avioni).

4. Učešće SAD u slamanju Republike Srpske Krajine

O tome da su SAD dostavljale obaveštajne podatke hrvatskoj armiji svedoči i dokumentarni film „Velika storija“, koji je 16. novembra 1995. emitovao Treći kanal londonske televizije i koji pripada nezavisnoj televizijskoj mreži ITN. Autor dokumentarca, novinar Dermot Mamahan, svoje istraživanje o, kako je rekao, „jednoj od najčuvanijih tajni balkanskog rata“ započeo je na ostrvu Braču, gde su u jednom od ispražnjenih hotela boravili „misteriozni“ Amerikanci, koji su se kretali isključivo u pratnji hrvatskih vojnih policajaca.
Meštani koji žive u blizni aerodruma potvrdili su britanskom novinaru da su videli „čudne avione“ koji su se sa aerodromske piste uzdizali po nekoliko puta dnevno. Na osnovu njihovih opisa i konsultacijama sa stručnjacima, Mamahan je zaključio da se radilo o američkim špijunskim letilicama bez pilota tipa GNAT-750, čiji su delovi su stizali u sanducima, a Amerikanci su ih posle sastavljali u jednom od hangara. Letelice su opremljene moderim kamerama i uređajima za snimanje pokreta trupa, raspored naoružanja i prikupljanje drugih važnih podataka.
Mamahan je tom prilikom citirao i Dejvida Fulgama iz časopisa „Aviation week“, koji je rekao da „čitava bračka operacija svedoči o angažovanju CIA“ a navedena je i izjava penzionisanog generala američke obaveštajne službe Rodžera Cajlsa, da Amerikanci dele sa Hrvatima podatke dobijene špijunskim letovima. To je Mamahanu potvrdio i hrvatski general Martin Špegelj.
Na osnovu toga, Mamaham je zaključio da su hrvatske trupe, izvesno, te podatke široko koristile u osvajanju Krajine, kada je usledilo „masovno ubijanje civila srpske narodnosti“. Tako je „ofanziva koja se izvrgla u masakr sprovedena uz američku podršku“, zaključio je Mamahan i dodao da su kako su oficiri UN potvrdili da su čuli zvuke američkih aviona neposredno pre nego što je napad počeo.
Snimci NATO aviona koji poleću iz Avijana neposredno pred napad na Krajinu, a čiji je zadatak bio da sruše sve releje Srpske vojske Krajine, čime su je dezorijentisali jer komunikacioni sistemi više nisu mogli da funkcionišu, prikazani su svojevremeno na Hrvatskoj televiziji dva puta. Time svedočenje oficira UN iz Mamahovog dokumentarnog filma dobija na težini i daje još jedan od dokaza da se NATO mašinerija predvođena SAD naposredno angažovala u slamanju Krajine a time u progonu i masakrima srpskog stanovništva.
Osim toga o neposrednom angažovanju SAD u operaciji „Oluja“ govori i Tim Maršal, autor knjige „Igra senki“, koja je 2001. objavljena u Beogradu i koja na direktan način govori opozadini takozvanih petooktobarske revolucije. Deo razgovora Maršala i Marka Lopušine, novinara „Nedeljnog telegrafa“ je objavljen 4. decembra 2000. U njemu, između ostalog, Maršal govori da je operacija „Oluja“ planirana i finansirana iz SAD, uz upotrebu modernog oružja koje koristi CIA, ističući da mu je to potvrdio jedan pukovnik CIA: „Oluja“ je u dokumentaciji ove agencije ocenjana kao vrlo uspešna – američka akcija.
Ono što ostaje kao otvoreno pitanje jeste koliko je učešće SAD i firme MPRI u neposrednom planiranju ovih operacija i da li su američki planeri i savetodavci zajedno sa svojim „učenicima“ planirali masakr i progon srpskog stanovništva ili su se „učenici“ otrgli kontroli i zlodela počinili na svoju ruku, nastojeći da, po receptu Ante Pavelića, reše srpsko pitanje u Hrvatskoj jednom za svagda.

5. Hrvatske obaveštajne službe o američkom učešću

„Gospodo, istjerajte nam Srbe iz Hrvatske, mi nemamo pitanja oko vaših uslova“ rekao je Gojko Šušak Karlu Edvardu Vuonou novembra 1994. prilikom potpisivanja ugovora sa MPRI.
Budući da je SAD više zanimala situacija u Bosni i Hercegovini nego u Hrvatskoj, od Hrvatske se tražilo da omogući instaliranje vojne baze s bespilotnim letilicama. Osnovni uslov je bio da to bude najstroža tajna, da ne bi izgledalo da se SAD svrstava na jednu stranu.
SAD nisu samo nadzirale kompletnu akciju „Oluja“, nego su i aktivno sarađivale s Hrvatskom vojskom na njenoj pripremi, i na kraju i direktno inicirale. Zeleno svetlo Bele kuće, odnosno predsednika Klintona za akciju „Oluja“ preneo je potpukovnik Ričard Heriš, tadašnji vojni ataše SAD u Zagrebu. Nekoliko dana pre početka „Oluje“ on je posetio Markicu Rebića, koji je uz Miroslava Tuđmana, tada prvog čoveka Hrvatske informativne službe, i Miru Međimurca, tada šefa SIS-a, najintenzivnije komunicirao s američkim vojnim i obaveštajnim službama, zbog čega je 1996. i dobio od Pitera Galbrajta, tadašnjeg ambasadora SAD u Zagrebu, Meritorius service medal. Heriš je Rebiću predao poruku da SAD nema ništa protiv toga da operacija „Oluja“ počne, da mora biti „čista i brza“, odnosno da je treba završiti u pet dana. Rebić je bio iznenađen što je tako važna politička i vojna poruka prenešena na takvom nivou, i odmah pisanom porukom izvestio državni vrh. Ovo je vredno pažnje jer je u liniji „zapovedanja“ u potpunosti bio izbačen Galbrajt. Vredi istaći da je poruka prenesena od Klintona, Entonija Lejka, tada savetnika za nacionalnu sigurnost, i Vilijama Perija, ministra odbrane, preko Rebića do Šuška i predsednika Franje Tuđmana.
To je bio vrhunac međusobne saradnje SAD i Hrvatske, koja se počela razvijati 1992, na početku srpsko-muslimanskog rata. Klinton je 1995. bio pred drugim izborima, a Bob Dol republikanski predsednički kandidat koji je tražio da Kongres donese odluku o ukidanju embarga na oružje za muslimane u Bosni i Hercegovini. Klintonu je regija postala bitna zbog unutrašnjih stvari u SAD i cena njegova opstanka na vlasti. U strategiji rešavanja krize odlučili su iskoristiti Hrvatsku da se preko nje udari po srpskim snagama u Bosni i Hercegovini, stoga je i potpisana Splitska deklaracija Alije Izetbegovića i Franje Tuđmana, koja je dopuštala ulazak Hrvatske vojske pod komandom generala Ante Gotovine u Bosnu i Hercegovinu i saradnju s Armijom Bosne i Hercegovine. Da bi se mogla ostvariti ta operacija, hrvatska vojska je morala doći na Dinaru iznad Knina i operacijom „Oluja“ osloboditi Krajinu, pa su odmah prebacili svoje jedinice u Bosnu i Hercegovinu, kako bi se stisnulo Srbe i prisililo Slobodana Miloševića na potpisivanje mirovnog sporazuma u Dejtonu. To je bila Klintonova borba s vremenom, jer mu je trebalo brzo rešenje krize kako bi zaustavio Dolovu inicijativu i pred svojim biračima pokazao se kao odlučan predsednik koji može rešiti i tako velike krize kao što je bila ona na tlu bivše Jugoslavije, a čije su strahote svaki dan bile prikazivane na CNN-u i drugim velikim američkim TV stanicama. Da ne bi imao na leđima Engleze i Francuze, Klinton je zaobišao klasičnu diplomatiju, kako bi u slučaju neuspeha mogao tvrditi da u tome nije sudelovao. No, budući da se akcija, koju je u njegovo ime vodio Ričard Holbruk, dobro završila, obojica su je u svojim knjigama istakli kao vrlo uspešnu. Suočen s teškim stanjem u Hrvatskoj i Bosni i Hercegovini pred izbore za drugi mandat, Klinton je odlučio pomoći Hrvatsku protiv Krajine.
Prvi kontakti na najvišem obaveštajnom nivou počeli su 1992, kada je na čelu DIA (Defence Intelligence Agency – Vojna obaveštajna agencija) bio general DŽejms Klaper. U Hrvatskoj su njegovi ljudi bili potpukovnik Ričard Heriš i njegov pomoćnik Ivan Šarac. Šarac je imao čin narednika četvrtoga reda, najviši koji je kao dočasnik mogao imati. Rođen u Hrvatskoj, sa 17 godina emigrirao u SAD. Nakon nekoliko godina prijavio se u vojsku pa je na početku sukoba u Jugoslaviji poslan u Zagreb, jer je poznavao prilike i znao jezik. Potpukovnik Heriš je bio inžinjer građevine, no s vremenom je postao vrlo visoko pozicioniran u američkoj vojnoj službi i osoba kojoj je Klaper najviše verovao. Ubrzo je počela svojevrsna trgovina između dve službe. Hrvatska služba je dala američkoj DIA ruske podvodne mine od 500 kilograma i najmodernija ruska torpeda, a zatim i kriptozaštitne uređaje koje je koristila JNA, odnosno sovjetska vojska. Hrvatska služba je dala podatke o fabrici bojnih otrova koja se nalazila u Srbiji a premeštena iz Bijelog Polja kod Mostara. SAD su ubrzo isporučile opremu za prisluškivanje koja je uperena prema Srbiji i Crnoj Gori mogla istovremeno snimati 20.000 telefonskih razgovora.
Pre „Oluje“ trebalo je provesti akciju „Ljeto '94“ i „Zima '95“. U planiranju o peracije dolaska hrvatskih trupa iznad Knina SAD je pomogao u obaveštajnom delu operacije. Da bi se tačno mogao planirati prodor preko bosanskih planina u zaleđe Knina, trebalo je mnogo informacija o kretanju srpskih trupa, sastavu veza, kripto zaštiti, postavljenim topovskim punktovima i tako dalje. Odabran je otok Brač, koji se mogao dobro čuvati. Tamo su bili stacionirani sva oprema i ljudstvo predvođeno CIA-inim stručnjacima s bespilotnim letelicama dugog dometa, koji su pokrivali celu Bosnu i Hercegovinu do srpskog koridora na Savi. U njenom dometu je bilo i celo područje Krajine. U to vreme niko u Hrvatskoj nije znao šta se zapravo događa i skriva na Braču. To nisu znali ni američki saveznici Nemci, koji su tamo 1. januara 1994. poslali svog vojnog atašea. Baza je izmeštena posle incidenta koji je nesmotreno izazvao ovaj Nemac. Nova baza je napravljena u mestu Šepurine kraj Zadra. Oprema iz SAD dovozila se preko noći.
Iz Šepurina se bespilotnim letelicama pokrivao svaki kutak Krajine i Bosne i Hercegovine. Amerikanci su imali prećutan dogovor sa hrvatskom vojskom da im ustupe sve snimke terena i srpskih trupa, a u realnom vremenu slika se direktno preko satelita prebacivala u Pentagon. U prostorijama s ekranima neprestano su celu situaciju nadgledala tri američka i tri hrvatska oficira.
Uoči akcije „Bljesak“, koja je trebalo biti generalna proba za akciju „Oluja“, tačno u ponoć, šest sati pre početka operacije, u MUP su pozvani Heriš i Šarac gde im je rečeno da planirana akcija počinje za nekoliko sati. U MUP je tačno u ponoć bio formiran Štab operacije „Bljesak“, koji se ujutro u šest sati prebacio u MORR. Kako se selio štab, tako se selio i američki vojni ataše. On je neprestano tražio izveštaje o dogadanjima i slao ih Klintonu, u Belu kuću. Svakoga jutra američki predsednik je bio obavešten o pripremama i svakome deliću operacije. Amerikance je oduševio način na koji je sproveden „Bljesak“, shvatili su da je to izvrstan model saradnje s Hrvatima, koji bi mogao biti odlučujući u borbi protiv Srba u Bosni i Hercegovini. Pentagon je celu akciju koordinirao preko Ričarda Heriša, a akciju CIA koordinirao je Mark Kelton, šef ekspoziture CIA u Zagrebu, koji je usko sarađivao s Miroslavom Tuđmanom, tada šefom HIS.
Amerikanci su u vreme pripremanja „Oluje“ opskrbljivali hrvatsku vojsku podacima o kretanju Srba u Krajini i pokretima Vojske Jugoslavije na istočnoj granici s Hrvatskom. Bojali su se da će Milošević napraviti protivudar s dve tenkovske brigade u Istočnoj Slavoniji ako se na južnom bojištu krene na Knin. Intenzivnim slušanjem komunikacije Beograd-Knin, i u samoj Srbiji, došlo se do zaključka da do protivudara ipak neće doći. Rizično je bilo da Srbi iz samoga Knina ne krenu u napad kada Gotovina s jedinicama dođe na Dinaru iznad Knina. Da su bespilotne letelice i prisluškivanja pokazivala ofanzivne pokrete trupa, „Oluja“ bi počela desetak dana prije.
U noći 3/4. avgusta 1995. hrvatskim jedinicama bila je izdana zapovest da se između ponoći i četiri sata ujutro isključe svi telekomunikacijski uređaji. Posle se saznalo da su Amerikanci iskoristili to vreme za ometanje i uništavanje srpskih telekomunikacijskih uređaja elektronskim putem. Hrvatskoj vojsci je preostalo samo sat vremena, od četiri do pet ujutro, da se služi radio-vezom i koordinira akciju. Uoči „Oluje“ ponovo je u Štab operacije pozvan američki vojni ataše. U njegovoj pratnji opet je bio Ivan Šarac. Dan ili dva pre „Oluje“ Heriša, koji je pripremao „Oluju“ s hrvatskim oficirima i dao u ime Klintona zeleno svetlo za operaciju, zamenio je pukovnik DŽon Sadler. Tačno u ponoć došli su u Operativni štab u MORR-u i odande neprekidno pratili događaje na terenu. Ovaj put cela operacija „Oluja“ u realnom je vremenu prenosena preko satelita u Pentagon. Signal koji je išao prema satelitu od Amerikanaca je preuzimala i Hrvatska vojska, pa se pomoću tih snimaka moglo u milimetar kontrolisati topovska paljba po srpskim položajima na Crvenoj zemlji u okolici Knina, gde je bila smeštena kasarna vojske Republike Srpske Krajine. Uz uništavanje srpskih komunikacija elektronskim putem, vojska SAD i vojno je delovala po srpskim položajima, kada je raketirala protivavionsku bateriju nadomak Knina koja je radarskim snopom obasjala američke borbene avione koji su nadletali područje borbi. Ta je vest bila objavljena samo jednom, i to na vestima u 18 sati. Nakon toga je SAD uputio oštar prekor zbog objavljivanja te vesti, pa posle ona više nikada nije ponovljena. U službeno američko objašnjenje raketiranja niko nije poverovao, nego i danas vlada uverenje da se radilo o direktnoj američkoj pomoći Hrvatskoj vojsci, samo što se to ni petnaest godina nakon „Oluje“ ne sme priznati zbog odnosa SAD s Velikom Britanijom, koja je imala potpuno drugačiju koncepciju rešavanja pitanja na Balkanu.
„Oluja“ je završena a hrvatska ofanziva je nastavljena protiv vojske Republike Srpske.
SAD je bio oduševljen brzinom i čistoćom sprovedene akcije i njenim rezultatima, koji su omogućili munjevit ulazak hrvatske vojske u Bosnu i Hercegovinu i prodor do Banjeluke i na kraju pristanak Beograda na mirovni sporazum u Dejtonu.





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