Informazione

Alain Finkielkraut, filosofo neo-tribale, ideologo dello "scontro di civiltà", agitatore da salotto sempre in prima fila negli ultimi decenni quando si è trattato di fornire un supporto propagandistico alla arroganza imperialista, può essere considerato un compagno di merende di BHL (al quale abbiamo dedicato un altro nostro post molto recentemente: https://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/9089-9006-bhl-prepara-la-rivoluzione-colorata-anche-in-italia.html ). Noi Finkielkraut ce lo ricordiamo almeno dal 1991, per la sua forsennata campagna antijugoslava e antiserba di cui ha raccontato ad esempio Peter Handke (si veda: https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#intervista ). Per un profilo politico più dettagliato di Finkielkraut si vedano tanti altri post su JUGOINFO: 
(a cura di Italo Slavo)
 
 
 
La costruzione scientifica della fake news di governo. Il caso Finkielkraut

di Redazione Contropiano, 18 febbraio 2019 - Jacques Pezet / Liberation
 

Il potere, si sa, aspira sempre al monopolio dell’informazione, oltre che a quello della violenza e dell’economia.

E viene fortemente disturbato, specie in tempi di “competizione globale”, che approssima un clima di guerra, dall’esistenza di un’informazione alternativa. Che ovviamente può essere di buona o pessima qualità, può produrre falsità e informazioni invece controllatissime.

Al potere, però interessa il monopolio. E quando un establishment internazionale – quanto meno europeo, in questo caso – decide di avviare una campagna contro le fake news in realtà sta dicendo che c’è una sola fonte d’i informazione “legalizzata e riconosciuta”: la propria. Per salvaguardare le apparenze della democrazia esistono, come sappiamo, molte testate di informazione mainstream, teoricamente in concorrenza tra loro, ma “stranamente” sincronizzate come fossimo sempre a Capodanno, la sera del messaggio a reti unificate del presidente della Repubblica.

Facciamo un esempio concreto di queste ore, per uscire dalle formulazioni generiche.

In occasione dell’Atto XIV del movimento dei gilet gialli è accaduto che Alain Finkielkraut, di professione filosofo, molto conosciuto in Francia per le sue posizioni fortemente sioniste e anti-palestinesi, sia stato preso a male parole da un folto gruppo di manifestanti.

Il governo francese, nella persona del ministro Benjamin Griveaux (quello che aveva insultato ripetutamente i gilet gialli, sfidandoli a “venirlo a cercare” – e guadagnandosi una ruspa che ha sfondato il portone del suo ministero), ha deciso che Finkielkraut era stato apostrofato come“sporco ebreo”. Insulto chiaramente antisemita, dunque utile a definire l’intero movimento come “fascista”.

La stampa mainstream italiana – a partire dall’ineffabile Corriere della Sera – ha accolto senza fiatare questo format, arrivando addirittura a sottotitolare in modo falso le frasi di un manifestante, traducendo “sionista” con “ebreo”. Come se uno traducesse “colonialista fascista” con “cristiano”. 

Lo diciamo per i non addetti ai lavori, scusandoci per lo schematismo: l’ebraismo, come il cristianesimo, è una religione. Che singoli o gruppi di fedeli di quella religione facciano cose riprovevoli e/o disumane non implica affatto che sia quella religione la “causa” di quegli atti (per quanto magari così giustificati da chi li compie). Dunque un ebreo può essere “colonialista fascista” tanto quanto un cristiano o un musulmano o un buddista. Se questa visione colonialista fascista si esercita intorno al “diritto” dello Stato di Israele di annettersi tutti i territori che rivendica, deportando o imprigionando le popolazioni che li abitano, secondo una personalissima visione della Storia, allora si usa definire questo atteggiamento come “sionista”.

Che è ovviamente un insulto politico, mentre “sporco ebreo” è un insulto razzista, di derivazione assolutamente fascista (i fascismi possono confliggere tra loro, visto che si fondano su un “prima noi” decisamente poco pacifista).

Mettere un insulto razzista al posto di uno politico è operazione sporca, infame, propagandistica. Di costruzione del nemico e di demonizzazione di quel nemico. Operazione, tra l’altro, molto pericolosa perché espone al rischio tutti gli ebrei del mondo, come se fossero corresponsabili delle attuali politiche dei governi israeliani.

L’operazione del governo francese, accettata supinamente dalla stampa cosiddetta “democratica” italiota, è così grave che un rispettato giornale francese come Libération si è sentito in dovere di decostruire la fake news governativa e ristabilire la verità.

Qui di seguito la traduzione dell’articolo di Jacques Pezet.

*****

Scendendo da un taxi nel 14 ° arrondissement, il filosofo Alain Finkielkraut è stato insultato da un gruppo di giubbotti gialli con le parole “sporca merda sionista” e “fascista” .

Interrogazione dell’on. Propaganda del 17/02/2019

Buongiorno,

Abbiamo riformulato la sua domanda iniziale: “Potresti controllare il suono del video in cui Alain Finkielkraut viene insultato? Benjamin Griveaux afferma di aver sentito “sporco ebreo”, ma molte persone sentono chiaramente “Palestina” e non “sporco ebreo“.

La tua domanda è relativa alle immagini filmate dal giornalista indipendente Charles Baudry, e pubblicate su Yahoo News, in cui il filosofo francese Alain Finkielkraut viene attaccato e insultato dai manifestanti durante le dimostrazione gilet gialli del 16 febbraio 2019 a Parigi. 

La scena avviene in un angolo del boulevard du Montparnasse e rue Campagne-Premiere, nel 14 ° distretto.

 

Questi due video, girati da due angolazioni diverse, permettono di sentire la raffica di insulti diretti verso l’accademico. 

“Sionista Zelante”, “stai per morire”, “vai a casa in Israele”

Nel video di Yahoo, girato da Alain Finkielkraut, c’è un distinto gruppo di uomini che gli urlano: “Barre-toi, sporca merda sionista. Sporca merda. Nique tua madre. Palestina.. Merda omofoba. Sei un razzista, vattene! Fascista militante. La Francia è nostra. Sporco figlio di puttana. Specie di razzista. Specie di hater. Sei un odiatore e stai per morire. Andrai all’inferno. Dio, ti punirà. Il popolo ti punirà. Noi siamo il popolo. Grande merda. Sarai riconosciuto. Specie di sionista. Grande merda. È venuto apposta per provocarci. Zitto!”.

In quello di Charles Baudry, girato da più lontano, sentiamo:  “Fascista! Palestina! Vai a casa … Vai a casa in Israele. Vai a casa in Israele. Antisemita!. La Francia è nostra. Rientroa a Tel Aviv. Sei un odiatore. Morirai. Noi siamo i francesi. Vai a casa. Ecco la strada! “

La diffusione di questa aggressione ha scatenato un’ondata di solidarietà a favore di Alain Finkielkraut su internet e da parte dell’intera classe politica, alcuni dei quali ricordano nella loro condanna dell’antisemitismo tutto ciò che li contraddice alle posizioni assunte filosofo conservatore.

Polemica attorno all’insulto “sporco ebreo”

In mezzo a queste accuse di attacco antisemita, altri, come la direttrice di Media, Aude Lancelin, hanno contestato la versione citata in un tweet dal portavoce del governo, Benjamin Griveaux, che ha condannato “il brutale odio per le strade di Parigi contro Finkielkraut, fischiato al grido di “Sporco ebreo”. La giornalista lo ha accusato di inventare “una nuova bugia molto grave per aumentare l’odio nel paese” perché secondo lei l’insulto “E Sporco ebreo” “non è udibile nel video” di Yahoo News.

CheckNews ha rianalizzato più volte i due video. Se alcuni pensano di aver identificato l’insulto “sporco ebreo”, questo non sembra distinto dal rumore della folla. Contattato da CheckNews, il giornalista Charles Baudry non è stato in grado di confermare o contestare questo insulto: “Non ho sentito nulla. Eravamo appena stati gasati. C’era molto rumore. Ho visto Alain Finkielkraut per la strada. Un manifestante ha sorriso e gli ha stretto la mano. Poi un gruppo ha cominciato ad insultarlo. Questo è quando ho iniziato le riprese, ma non posso dire se è stato insultato da “ebreo sporco”. C’era troppo rumore.”

Finkielkraut dice che non ha sentito chiaramente gli insulti

Intervistato su questo attacco da LCI, domenica mattina nello spettacolo  Le Brunch de l’actu, il filosofo ha anche detto di non aver sentito chiaramente gli insulti durante l’attacco, e che “è più chiaro sul video che nel momento in cui l’ho vissuto”. Spiega che si è trovato nella dimostrazione per caso e non per provocazione: “Avevo accompagnato mia suocera dopo un pranzo al ristorante. Sono sceso dal taxi, in rue Campagne-Première. Volevo andare a casa. E allo stesso tempo vedo questa manifestazione che scorre, quindi vado ancora a guardare. Non ero lì neanche da un minuto che sono stato effettivamente  attaccato molto violentemente dai manifestanti. E chi stava urlando cose che ho sentito male e, mio malgrado, ho dovuto tornare indietro.  Il filosofo dice di essere stato scortato via dalla polizia, e mette in evidenza il fatto che “tutti non erano in sintonia, ma la maggioranza delle persone di passaggio, in realtà, mi ha fatto vedere un astio molto anteriore al movimento dei gilet gialle”. 

Per quanto riguarda la controversia che circonda l’insulto “sporco ebreo”, Alain Finkielkraut ha detto a LCI che l’insulto di “razzista” lo ha ferito di più: “Il problema ebraico oggi, il dolore che viene loro inflitto, è che sono chiamati razzisti. Benjamin Griveaux ha protestato dicendo che ero stato definito uno sporco ebreo. Comprendo molto bene la sua protesta, sono commosso dalla testimonianza di solidarietà che ha dimostrato, ma non sono stato chiamato sporco ebreo. E non mi hanno mai chiamato uno sporco ebreo. Invece,  ogni volta che ho messo il naso fuori in questo tipo di eventi, mi chiamano  sporco razzista. […] Quando ti trattato da ebreo, puoi sollevare la testa e poi indossare quell’insulto come una corona; ma quando sei trattato da razzista, d’un tratto sei colpevole del peggiore dei crimini.” 

CheckNews ricevuto molte domande sull’attacco, alcuni lettori hanno chiesto perché insulto “sporco sionista” viene presentato come antisemita, visto che possiamo benissimo essere contro il sionismo, cioè contro l’idea di uno stato ebraico, senza essere contro l’ebraismo e coloro che lo praticano. Quando Alain Finkielkraut, accademico e filosofo francese, che vive in Francia, è insultato in piena Parigi da una folla che lo tratta di “sporca merda sionista”, e lo ha invita ad andare a casa a Tel Aviv, ossia in Israele, è perché è percepito come ebreo. È così che Benoît Hamon commenta l’insulto. In un tweet, il leader di Generation-S ha  condannato “Senza alcuna riserva quelli che hanno cospirato, insultato e trattato da “sporco sionista” che voleva dire “sporco ebreo”. E lasciare la Palestina separata da questa gratuita violenza antisemita“. 

***

Il che, diciamo noi, spiega sia la collocazione politica dei cosiddetti “socialisti” francesi – gli “inventori” di Emmanuel Macron – sia la loro sostanziale scomparsa dal panorama politico d’Oltralpe.

 

 

Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102

 

RESISTENZA JUGOSLAVA: FOIBE O FRATELLANZA?

 

Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista


ore 16:30 Conferenza
– Andrea Martocchia: "Giorno del ricordo", dove sta il problema?
– Sandi Volk: "Giorno del ricordo", un bilancio 
ore 17:45 Discussione 
ore 18:30 Teatro
DRUG GOJKO di e con Pietro Benedetti
Monologo ispirato alle vicende di Nello Marignoli, partigiano nell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo


Promuove: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
ENTRATA A SOTTOSCRIZIONE LIBERA


LE REALTA' INTERESSATE AD ADERIRE E INTERVENIRE POSSONO CONTATTARCI FINO AL 20 FEBBRAIO: jugocoord@...

 

 

 

Evento facebook

Eventuali aggiornamenti saranno riportati anche sulla pagina della iniziativa

 

Sullo spettacolo DRUG GOJKO si veda anche la nostra pagina dedicata

 
 
Pillole di Storia sul Confine Orientale
 
1) 10 FEBBRAIO 2019, MOLTO OLTRE IL LIMITE DELLA DECENZA
Gli interventi di Marco Santopadre, Davide Conti, Angelo d’Orsi, Moni Ovadia, Enzo Collotti
2) LA STORIA DI LOJZE BRATUŽ E LJUBKA ŠORLI (di Sandro Scardigli)
3) CHI NON AMMAINO' LE BANDIERE (di Peter Behrens)
4) (DI NUOVO) FOTO DI STRAGI FASCISTE PER COMMEMORARE GLI "INFOIBATI" (ControInformazione Alto Adige - Südtirol)
5) I PEGGIORI CRIMINI DEL COMUNISMO: MIELI, PUPO, LE FOIBE… E VITTORIO VIDALI (di Gigi Bettoli)
6) CHI TORTURAVA ED INFOIBAVA AI TEMPI DELL’ADRIATISCHES KÜSTENLAND (di Claudia Cernigoi, 10 febbraio 2019)
7) FOIBE E INTERNATI: È NECESSARIO RISTABILIRE LA VERITÀ STORICA (di Livio Braida)
8) IL NONNO DI PANIZZUT "SCAMPATO ALLA FOIBA" ERA ERMANNO MATTIOLI... (di Claudia Cernigoi)
9) ZEVIO, INO MERCANTI E LA STRAGE DI LIPA (di Fabio Muzzolon)
10) QUANTI FURONO GLI ARRESTATI DAGLI JUGOSLAVI NEL MAGGIO 1945? ECCO L'ELENCO (di Claudia Cernigoi)
 
 
Si vedano anche:
 
LE FOIBE E IL 10 FEBBRAIO “GIORNO DEL RICORDO” (di Alessandro Pascale, II edizione 2019)
Quel che gli italiani non amano ricordare. Scritto che rientra nella battaglia contro il revisionismo storico portato avanti dal regime attuale, che definisco un "Totalitarismo liberale"...
PDF: https://www.academia.edu/38310212/LE_FOIBE_E_IL_10_FEBBRAIO_GIORNO_DEL_RICORDO_II_ediz._2019_.pdf

REVISIONISMO STORICO E ANTICOMUNISMO (da "nuova unità" n. 1/2019)
Una delle più sconcertanti e oltraggiose disposizioni di legge nel nostro paese... Non abbiamo visto l'ultimo prodotto anticomunista (partigiani che violentano una studentessa figlia di un dirigente fascista) passato alla TV l'8 febbraio col titolo "Red land-Rosso Istria", ma possiamo ricordare il film Porzus, uscito nel 1997 (recensito subito da "nuova unità"). Realizzato con ben 3 miliardi e 200 milioni di lire generosamente erogati dal governo dell'Ulivo. Ma appagava - da parte della "sinistra" ulivista - il presentare la Resistenza come uno scontro tra bande animate da smanie ideologiche per chiudere i conti con una importante pagina della storia italiana culminata con la Liberazione da parte dei partigiani dalla dittatura nazifascista...
richiedere l'articolo a: redazione@... 
 
 
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10 Febbraio 2019, molto oltre il limite della decenza
 
Di seguito i link agli interventi di: Marco Santopadre, Davide Conti, Angelo d’Orsi, Moni Ovadia, Enzo Collotti
 
Foibe, il revisionismo trasversale riscrive la storia (di Marco Santopadre, 14.2.2019)
... Il silenzio delle Comunità Ebraiche sulle affermazioni di Matteo Salvini – l’ultima e più grave di una lunga serie – pesa come un macigno. Viene da chiedersi con quale coraggio autorità politiche, intellettuali, comunità religiose e civili possano partecipare con uguale entusiasmo e contrizione tanto alla “giornata della memoria” (una memoria selettiva e strumentale comunque, che depreca solo un genocidio e tralascia gli altri) e la “giornata del ricordo”, celebrando a pochi giorni di distanza prima le vittime e poi gli aguzzini.
 
Foibe, il revisionismo storico forma della politica (di Davide Conti, su Il Manifesto del 13.02.2019)
Per settimane la classe politica italiana si è cimentata nell’uso politico della storia, misurato strumentalmente sulla torsione del passato ad uso pubblico del quotidiano e sulla caccia al «negazionista»... «In altre plaghe – scrisse Mussolini nel 1920 – i fasci di combattimento sono appena una promessa. Nella Venezia-Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della situazione politica». I crimini di guerra italiani degli anni ’40 ne sarebbero stati la tragica conseguenza...
 
La questione foibe e la verità di Stato (di Angelo d’Orsi, 13.2.2019)
.... La narrazione delle foibe, mendace e infondata, anticomunista “a prescindere”, è divenuta, in quest’anno di grazia 2019, verità di Stato, con tanto di sanzioni per coloro che se ne distacchino... chi non si allinea, viene bollato con l’etichetta di “negazionista”. Strano destino quello della parola: da fase suprema del revisionismo, che si spinge a negare l’esistenza delle camere a gas nei lager nazisti e lo stesso progetto di sterminio del popolo ebraico e degli altri “sottoumani” internati. Ora la parola viene derubricata, con una perdita di senso e di valore rispetto alla quale la prudenza sarebbe obbligatoria. E Salvini, di scempiaggine in scempiaggine, è riuscito a dire, con sfrontatezza, “i bimbi di Auschwitz e quelli delle foibe sono uguali”…  stiamo assistendo non solo alla trasformazione della menzogna in verità, ma alla sua istituzionalizzazione...
 
Da Salvini equiparazioni perniciose (di Moni Ovadia, su Il Manifesto del 12.02.2019)
L’Italia è un paese ammorbato da molteplici retoriche, da un tasso patologico di falsa coscienza e per converso da un livello bassissimo di onestà intellettuale e di senso della memoria. Per questo è estremamente impervio affrontare il tema delle foibe senza intossicazioni ideologiche strumentali... Come ebreo italiano mi corre l’obbligo di ricordare che un popolo di «feroci slavi» i bulgari, hanno salvato i loro cinquantamila ebrei opponendosi direttamente a Hitler, e fra essi i miei genitori e mio fratello,  che i popoli sovietici hanno fermato i nazifascisti con un contributo immane di morti – fra i 20 e i 26 milioni di morti. Gli italiani, brava gente invece in stragrande maggioranza accolsero con indifferenza le leggi razziali, non ebbero pressoché nessuna reazione quando furono espulsi dalle scuole bambini di sei anni e non mossero un dito quando i loro concittadini ebrei furono avviati alla deportazione e allo sterminio... E ora dobbiamo ascoltare il gagliardo ministro degli interni ritentare l’equiparazione fra le foibe ed Auschwitz per il tramite dei bambini... Ritengo questa prassi priva di pietà nei confronti delle vittime verso cui si mostra cinismo e indifferenza. L’Italia non ha mai fatto veramente i conti con il proprio passato, ha sempre cercato capziosamente di aggiustarselo pur di non riconoscere le proprie responsabilità fino in fondo. I politicanti se ne fregano del loro paese e pensano al loro tornaconto, i cittadini sappiano che al futuro del prestigio nazionale non viene nulla di buono da simili sparate.
Foibe, la memoria corta degli italiani (di Enzo Collotti, su Il Manifesto del 10.02.2019)
A poco più di due settimane dal giorno della Memoria in ricordo della Shoah, gli italiani sono chiamati a celebrare con il giorno del Ricordo l’orrore e la tragedia delle Foibe. In entrambi i casi come vittime, ma in entrambi i casi come vittime non innocenti... La prassi tutta italiana di coprire con l’oblio passaggi storici che avrebbero meritato un forte impegno di autocritica e di verità in questo, come in tanti altri casi, si è alleata alla rimozione di memorie scomode e allo loro banalizzazione. L’orrore delle foibe deve servire a richiamarci periodicamente alle nostre responsabilità storiche e non certo a rinnovare il rito del nostro vittimismo. E alla fine spiace constatare che il presidente della Repubblica Mattarella non condivida questa per noi ovvia conclusione.
 
 
=== 2 ===
 
dalla pagina FB di Sandro Scardigli, 11 febbraio 2019
https://www.facebook.com/sandro.scardigli.73/posts/775038796198016
 
Quando Mattarella dara' un riconoscimento al martire goriziano Lojze Bratuž? Per aver diretto in chiesa canti sloveni gli venne fatto bere dai fascisti olio di macchina misto a benzina e frammenti di vetro. Mori' dopo lunga agonia a soli 36 anni.

LA STORIA DI LOJZE BRATUŽ E LJUBKA ŠORLI
Nella notte di Natale del 1936, a Podgora di Gorizia, i fascisti volevano impedire che la messa fosse cantata in sloveno. La sorveglianza della polizia permise che la messa si concludesse senza incidenti, ma all’uscita dalla chiesa una squadra di fascisti sequestrò l’organista Lojze Bratuž ed altri quattro coristi, che furono costretti a bere una considerevole quantità di olio di macchina al quale era stato aggiunto del benzolo. I coristi riuscirono a salvarsi ma Bratuž morì dopo sei settimane di terribile agonia. Le autorità obbligarono i medici a firmare un certificato di morte per polmonite e nel corso del processo, che si svolse a Gorizia nel novembre 1937, fu impedito alla vedova, Ljubomira (Ljubka) Šorli, di mostrare alla Corte il certificato di un medico di Padova che aveva visitato Bratuž e diagnosticato il grave avvelenamento. Il processo si concluse con due sole condanne a dieci mesi di arresto, gli altri imputati vennero assolti.
Dopo la morte del marito, Ljubka Šorli era tornata a vivere a Gorizia e viveva affittando camere a studenti: tra questi, nel 1943, c’erano due fratelli di Janko Premrl (il leggendario comandante Vojko, proclamato eroe nazionale) e Franc Mervič di Santa Lucia di Tolmino (Most na Soči). Nel 1976, quando iniziò a Trieste il processo per i crimini della Risiera, Ljubka Šorli inviò una propria testimonianza al presidente del Tribunale di Trieste, testimonianza che fu pubblicata in un articolo nel numero 6, anno 2001, del periodico sloveno “Rodoljub”, e che riassumiamo.
Il 1° aprile 1943 (un mese dopo che la madre e la sorella di Ljubka erano state arrestate ed internate nel campo di Fraschette di Alatri) alle due di notte, un camion di agenti dell’Ispettorato Speciale di PS circondò la casa e vi fece irruzione, probabilmente perché pensavano di trovare dei partigiani e forse lo stesso Janko Premrl, che però non aveva mai abitato lì.. I poliziotti perquisirono la casa e trovarono un sacco contenente armi che erano state lasciate da Mervič, presumibilmente per essere usate per un attentato alla ferrovia presso Trbiž, ma della cui presenza gli altri abitanti della casa erano del tutto ignari. Ljubka Šorli fu arrestata assieme alla domestica Cecilia Kovač e condotta a Trieste in via Bellosguardo (la sede dell’Ispettorato), mentre i suoi due bambini, Lojžka e Andrej, di 7 e 9 anni, rimasero nella casa con i poliziotti. Furono poi accolti da alcuni parenti.
Nella Villa Triste di via Bellosguardo Ljubka Šorli trovò due conoscenti che erano già state torturate, Silvia Bait e Dora Filli Ahametova (attivista del Fronte di Liberazione – Osvobodilna Fronta della zona di Tolmino). Poi fu il suo turno, fu picchiata e torturata per una settimana e nel corso della detenzione vide che i prigionieri venivano torturati gli uni davanti agli altri per terrorizzarli e quando venne portata nelle soffitte, le trovò piene di partigiani ridotti in fin di vita dalle torture e dei quali non seppe mai chi fosse sopravvissuto.
Il commissario Gaetano Collotti voleva farle confessare cose che non sapeva: dove fosse Janko Premrl, chi avesse portato le armi ed a cosa fossero destinate. Visto che la donna non parlava, dopo una settimana di torture fisiche Collotti tentò con la tortura psicologica: telefonò a Gorizia per farsi mandare a Trieste i due bambini per torturarli davanti alla madre per farla parlare.
Fortunatamente la cosa non gli riuscì, perché il piccolo Andrej era malato e non poteva essere trasportato. Di conseguenza Collotti si accanì ancora di più contro Ljubka, e la picchiò selvaggiamente, al punto da romperle sette costole.
Dopo tre settimane di detenzione e torture in Villa Triste, Ljubka Šorli fu portata al carcere dei Gesuiti, dove trovò la sorella Marica, che era stata riportata a Trieste dal campo di Alatri.
Successivamente le due donne furono internate: Ljubka nel campo di Zdravščina (Poggio Terza Armata) e Marica in quello di Kostanjevica, dove rimasero fino all’8 settembre, quando i campi furono svuotati.
 
 
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https://www.facebook.com/peter.behrens.1000/posts/242966389983878?__tn__=C-R
 
CHI NON AMMAINO' LE BANDIERE

Il 10 febbraio sul monumento alla foiba di Basovizza Tajani e Salvini hanno parlato di “martiri” che non ammainarono la bandiera italiana. 
La storia però è diversa. In queste terre, Trieste, Istria e Dalmazia la bandiera italiana era proibita dai governanti tedeschi. 
Al punto che Italico Sauro, fondatore della milizia difesa territoriale preferì recarsi a Venezia sotto la RSI perché gli venne impedito di esporre la bandiera italiana. 
A Trieste i militi della guardia civica giuravano in tedesco fedeltà a Hitler.
La X Mas giunta a Gorizia in dicembre 1944 venne allontanata dai tedeschi nel febbraio del 1945 perché non intendevano vedere bandiere italiane che creavano scompiglio con i collaborazionisti sloveni e croati. 
Il preteso battaglione bersaglieri Mussolini era inquadrato come "Secondo battaglione volontario di polizia SS". 
Questa la realtà storica dei collaborazionisti in queste terre. 
Ci fu sì chi non ammainò mai la bandiera italiana e furono i combattenti partigiani della brigata Garibaldi che conquistarono il diritto di sventolarla, con la stella rossa al centro, combattendo contro il nazifascismo assieme alle forze alleate dell' esercito popolare di Liberazione jugoslavo. 

Peter Behrens 
segretario provinciale del PRC-SE Trieste-Trst
12.2.2019
 
 
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Sul quotidiano Alto Adige del 10.2.2019, per l'ennesima volta sono state usate 
 
FOTO DI STRAGI FASCISTE PER COMMEMORARE GLI "INFOIBATI"
 
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2164002030333521&id=1085528318180903
 
Fonte: pagina FB "ControInformazione Alto Adige - Südtirol", 10.2.2019

L'istituzione della "giornata del ricordo", quindi il tentativo di rovesciare le responsabilità del fascismo e dell'imperialismo nazifascista all'interno delle vicende del confine orientale, è costellato di errori e mistificazioni storiche senza precedenti. Una delle cose più allucinanti e frequenti è l'utilizzo di foto che riguardano crimini di guerra compiuti dai soldati del Regio esercito italiano ai danni della popolazione slovena, trasformate in foto che rappresenterebbero teorici crimini di guerra ai "danni degli italiani", compiuti dai cattivi partigiani, ubriaconi, antiitaliani e stupratori, così come sono stati dipinti dal recente, pessimo film di propaganda revanscista RedLand e così dipinti anche dal ministro della polizia Salvini, in una delle sue solite, stupide uscite sui social network. 
Beh questo filone costellato da ignoranza e falsità ogni anno si nutre di nuovi capitoli, fra cifre inventate e fiction televisive, e anche il quotidiano Alto Adige, con il suo direttore Alberto Faustini, si rende protagonista di un nuovo capitolo di mistificazione sulle vicende del confine orientale, utilizzando una foto di crimini di guerra compiuti da italiani e associandola invece, in un'operazione orwelliana, alle vicende che portarono all'infoibamento, in massima parte, di fascisti e collaborazionisti del nazifascismo. 
Come minimo ci dovrebbero essere delle scuse per un errore incredibile come questo, ed una rettifica, per spiegare i crimini di guerra compiuti dal fascismo italiano e dai suoi alleati nazisti in Jugoslavia, dei quali alcune foto sono qui visibili. http://znaci.net/fotogalerija/fg/24.htm
Noi non dimentichiamo le vittime dei crimini di guerra dell'esercito italiano e tedesco. Non permettiamo che venga infangato l'onore della Resistenza e di chi ebbe il coraggio di ribellarsi alla barbarie nazifascista.
 
FOTO: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2164002030333521&id=1085528318180903
 
 
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http://www.storiastoriepn.it/i-peggiori-crimini-del-comunismo-mieli-pupo-le-foibe-e-vittorio-vidali/
 
I peggiori crimini del comunismo: Mieli, Pupo, le foibe… e Vittorio Vidali

Di Gigi Bettoli - 10 Febbraio 2019
 

10 febbraio: giunge tempestiva la nazionalfascista Giornata del Ricordo, a lavare velocemente l’ombra del 27 gennaio. Tanto era una questione di cattivacci tedeschi… ce l’hanno sempre avuto il chiodo in testa, i krukki; e comunque mica siamo ebrei, noi? Premesso che “mica siamo razzisti”, gli italiani sono “brava gggente”, le “nostre” truppe non hanno colonizzato nessuno, non hanno usato i gas contro popolazioni inermi o combattenti per la libertà, non hanno creato centinaia di campi di concentramento, non hanno fatto morire centinaia di migliaia di persone per fame. Già: questi metodi arretrati, mica come i germanici, con la loro tecnologia… E poi, nuovamente, cosa c’entriamo noi con gli ebrei? Mica qui si sono perseguitati – chessoio… – comunisti, socialisti, democratici, negri, gay, lesbiche, testimoni di geova, cinesi o quegli zozzoni degli zingari (che magari così si faceva un po’ di igiene…) ???

E così, appena approvata una giornata per ricordare, in coincidenza con gli ultimi anni di vita degli ultimi testimoni oculari, lo sterminio di decine di milioni di persone a causa della persecuzione nazista, fascista ed imperialgiapponese – vivaddio, ché manco hanno ancora chiesto scusa ai popoli asiatici vittime (ma ce ne frega poi qualcosa? – ci si appiccica una data posticcia, per ricordare l’esodo istriano-dalmata conseguente alla seconda guerra mondiale, come fosse la stessa cosa. Capisco che una morte vale tanto quanto mille morti, ma la storia è un’altra cosa. E fare confusione è pernicioso, oltre che politicamente sospetto.

Confusione, appunto: è la sensazione che si prova di fronte ad una trasmissione come quella di ieri, condotta dallo “zar della storiografia nazionale” – l’ex comunista diventato maturo “liberale” Paolo Mieli – ospite il massimo esperto delle vicende giuliano-dalmate, che poi è l’ultimo segretario della Democrazia Cristiana triestina Raoul Pupo.

[Visita di Fanfani in Friuli Venezia Giulia, 21.12.1985. Ritratto di gruppo in interno, Trieste: Palazzo Diana (sede della D.C. di Trieste). Da sinistra a destra: il Sindaco di Trieste: Franco Richetti; il Presidente della Giunta Regionale: Adriano Biasutti; il Segretario Provinciale della Democrazia Cristiana: Raoul Pupo; il Presidente del Senato: Amintore Fanfani. Fonte:  
http://www.ipac.regione.fvg.it/aspx/ViewProspIntermedia.aspx?idAmb=120&idsttem=6&tp=vRAP&tsk=F&idScheda=108293&START=1
FOTO: http://www.storiastoriepn.it/wp-content/uploads/2019/02/Segretario-Provinciale-della-Democrazia-Cristiana-Pupo-Raoul.png ]
 

Trasmissione nella quale appaiono solo sullo sfondo – Pupo è ambiguo e strumentale, ma non stupido, ed è antifascista – i crimini del nazionalismo italiano, ivi incluse en passant due guerre mondiali, vent’anni di snazionalizzazione fascista e la sanguinosa occupazione della Jugoslavia nel 1941-1945 (1945! non 1943: tanto è vero che tra le “vittime” delle “foibe” si commemorano anche i soldati e poliziotti italiani che hanno continuato a reprimere la Resistenza jugoslava sotto Salò e l’occupazione nazista, manco stessero lì per caso).

Trasmissione dove i due protagonisti fanno confusione mischiando le ondate di profughi istriano-dalmati (ovviamente “costretti”, come non ci fosse stata la terrorizzante propaganda nazifascista e poi la tranquillizzante propaganda democristiana; tanto che, a fianco di chi è fuggito terrorizzato od invogliato dalle promesse, non è inconsueto trovarsi di fronte a profughi che affermano con orgoglio di “aver scelto” l’Italia) con vicende altre e diverse, come quella del “controesodo” comunista di migliaia di operai monfalconesi, e di tanti altri operai italiani andati – clandestinamente – in Jugoslavia a lavorare in anni di fame in Italia. 

Per cui si arriva a due paradossi: di far apparire come vittime dell’esodo persone che erano andate in Jugoslavia per scelta politica, e che poi furono coinvolte nello scisma comunista di Tito da Stalin. E di far apparire come uno dei peggiori campi di concentramento del Novecento l’isola di Goli Otok, manco fosse un campo di sterminio. Dimenticando però di dire che in quel campo di concentramento (orrendo come tutti i campi di concentramento) ci stavano i sostenitori dell’Unione Sovietica di Stalin, e che chi li opprimeva era un comunismo autonomo, alleato degli occidentali della Nato. Come se, dal punto di vista occidentale, potessero aver ragione – al di là della compassione umana – quegli operai stalinisti che, se avessero prevalso, avrebbero esteso anche alla Jugoslavia le sanguinose repressioni sovietiche. Piccoli particolari, obviouly
Confusione deliberata, tanto che, quando uno dei giovani “secchioni” chiamati a fare da corifei alla trasmissione (lui, pure erede di profughi) si è azzardato a dire una cosa controcorrente – ovverossia che la vicenda delle foibe è stata strumentalizzata politicamente fin dalle origini, cioè dai nazisti in Istria nel 1943 in funzione antipartigiana – è stato immediatamente zittito da Mieli.

Ma, in cauda venenum, il massimo è stato tirare per i capelli nella trasmissione il leader comunista triestino Vittorio Vidali, senza neanche precisare che lui fu il dirigente politico che sfidò i comunisti jugoslavi nel porto giuliano nel 1948, emarginandoli e fissando un punto fermo nel destino di italianità della città. Con un’aggiunta nelle conclusioni da parte di Paolo Mieli: ovverossia che Vidali sarebbe stato il “grande vecchio” delle Brigate Rosse. Affermazione che, come altre del giornalista – uso ad infamare gratuitamente: vedasi il caso di un anarchico divenuto collaboratore di Vidali: Ezio Taddei – è basata su informazioni non documentate. Mentre recentemente è stato documentato che semmai, proprio nell’ambito delle politiche occidentali di contenimento del blocco orientale, Vidali lavorò per i servizi segreti britannici. 

E questa sarebbe l’informazione pubblica… 

Non c’è da stupirsi se poi, in calce all’articolo di uno storico, pure lui esule istriano, ci troviamo commenti che confondono l’approfondimento storico con il negazionismo, mischiati a cifre buttate lì senza verificare, e l’affermazione, tanto per legittimarsi, che chi commenta è pure del Pd! Come se un’excusatio non petita possa mascherare l’analfabetismo.

Gian Luigi Bettoli

Post scriptum: Il titolo, lo confesso, non è originale: rinvia senza ombra di dubbio al titolo di un mitico libro di Giulietto Chiesa e Vauro. Testo satirico dedicato ad un pugno di ex esponenti del Pci e della sinistra extraparlamentare, passati tranquillamente nelle file del centro e della destra italiani, a partire dagli anni in cui il Psi craxiano rompeva gli ormeggi, abbandonando quasi ogni rapporto con la tradizione della sinistra. Tra i biografati e quelli elencati come loro simili, non figura, chissà perché, il Mieli.

 
 
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https://www.facebook.com/notes/la-nuova-alabarda/chi-torturava-ed-infoibava-ai-tempi-delladriatisches-küstenland/864712993699268/?__tn__=C-R
 
Chi torturava ed infoibava ai tempi dell’Adriatisches Küstenland

La Nuova Alabarda, domenica 10 Febbraio 2019
 
Una nota del SAP, il sindacato di PS noto anche perché alcuni suoi dirigenti sono stati condannati per avere ripetutamente insultato ed offeso la famiglia di Stefano Cucchi, stigmatizza, in occasione del Giorno del Ricordo che «le recenti iniziative intraprese in alcune parti d’Italia da “associazioni negazioniste” di una pagina così tragica e buia della nostra storia, offendono la memoria di queste vittime innocenti, tra queste anche Poliziotti, Carabinieri e Finanzieri, che pagarono con la vita, il solo fatto di rappresentare i valori dell’Italia indossando una divisa a servizio degli italiani».
Nel periodo fascista i poliziotti ed i carabinieri si distinsero per la brutalità dei mezzi di repressione usati contro gli antifascisti, in tutta Italia, e nella Venezia Giulia non furono da meno; sotto l’occupazione nazista, quando il corpo dei Carabinieri venne sciolto (e quindi alla fine della guerra nessun “carabiniere”, a meno che fosse passato sotto altre formazioni collaborazioniste, fu “infoibato”) e la PS passò direttamente sotto gli ordini di Hitler, come tutte le forze armate dell’Adriatisches Kustenland annesso al Reich, le repressioni violente, con “orribili persecuzioni, torture ed infoibamenti” furono messe in atto proprio da corpi collaborazionisti come l’Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia, comandato dal vicecommissario Gaetano Collotti.
Leggiamo ora alcune testimonianze.
«Collotti (…) odiava con ferocia i partigiani italiani e slavi, ma per gli slavi nutriva un odio particolare. Infatti mentre sottoponeva gli italiani ad una serie di torture che andavano dalle busse alla (…) introduzione di decine di litri di acqua calda ed allo schiacciamento delle dita, per gli sloveni riservava dei tormenti inenarrabili (…) che costituiscono il tragico ricordo di uomini e donne della nostra città che sono passati dalle celle di Villa Triste alle camere di tortura e da qui ai campi di concentramento… »[1]. 
«Siccome le sevizie nei confronti dei Prodan [2] continuavano, la suocera disse al Collotti di avere pietà, al che egli rispose: “Vi distruggerò tutti, maledetta razza s’ciava!”»[3].
«Il teste [4] (…) specifica che il più accanito era il Miano che soleva dire alle sue vittime: “Ricordatevi di Miano che non lo dimenticherete mai più” tanto che le vittime ritenevano si trattasse di uno pseudonimo, sembrando impossibile che l’aguzzino desse il suo vero nome»[5].
«Il dottor Toncic racconta (…) che il Mazzuccato violentò diverse donne, fra cui alcune minorenni, per quanto fosse notoriamente affetto da sifilide»[6].
Un giorno che si era recato presso l’Ispettorato Speciale, Diego de Henriquez sentì le urla, sempre più forti di una donna; gli dissero che la stavano interrogando e lo invitarono ad uscire. De Henriquez fece in tempo a vedere un pesante scudiscio ed a udire una frase: “Se non parli ti spacco la testa”. Lo studioso annotò che tali metodi erano ben noti in città[7].
«L’apparecchio di tortura elettrico è stato portato nella sede dell’Ispettorato da Collotti al quale venne regalato dalle SS secondo quanto sentivo dire dagli agenti. L’apparecchio elettrico stava nella stanza di Collotti ma qualche volta ho sentito dire che passava nell’ufficio di Perris (…)»[8].
L’ispettore De Giorgi della Polizia Scientifica firmò in data 18/1/46 una «perizia sui metodi di tortura dell’Ispettorato Speciale». Tale perizia, richiesta dal Procuratore Generale Colonna per conto della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste [9] descrive, tra le altre cose, i metodi di tortura della “cassetta” e della “sedia elettrica”. Leggiamone le descrizioni: «stando alle deposizioni testimoniali, allorquando la vittima non confessava (nonostante il dolore provocato dalla distensione forzata di tutto il corpo mediante trazione delle corde fissate agli arti e fatte scorrere negli anelli infissi al pavimento, che spesso provocavano la lussazione delle spalle), era costretta a subire l’introduzione nell’esofago del tubo dell’acqua, che le veniva fatta ingoiare fino a riempimento totale dello stomaco; indi per azione di compressione esercitata da un segugio sul torace, le veniva fatta rigurgitare a mo’ di fontana, che, stante la posizione supina, spesso doveva minacciare di soffocamento la vittima stessa; ed allorquando entrambe le azioni combinate non bastavano a farli confessare, gli interrogati vi venivano costretti, mediante l’azione termica di un fornello elettrico collocato sotto la pianta dei piedi denudati (…) la sedia elettrica consisteva in una sedia-poltrona, a spalliera alta, con leggera imbottitura in cuoio, a bracciuoli, su cui venivano legati gli avambracci della vittima ad uno dei quali veniva fissato un bracciale metallico unito al polo negativo di un apparecchio conduttore elettrico regolabile, a reostato. Al polo positivo era collegato una specie di pennello con manico isolato, e frangia metallica che serviva per chiudere il circuito su qualsiasi parte non isolata del corpo della vittima il quale veniva così attraversato dagli impulsi della frequenza della corrente elettrica. Questo metodo, apparentemente molto impressionante, non poteva produrre lesioni organiche o conseguenze dannose sul corpo umano. Tuttavia è noto che anche volgarissimi pregiudicati rotti a tutte le astuzie e raffinatezze per sfuggire agli interrogatori, si abbandonarono ad esaurientissime confessioni, che trovarono conferma nei fatti, alla sola visione dell’apparato, senza essere stati sottoposti alla sua azione ».
Probabilmente lo stesso estensore del rapporto si sarebbe “abbandonato ad esaurientissime confessioni” se messo nella prospettiva di dover subire la tortura della “sedia elettrica”. D’altra parte è per noi una novità che un corpo umano sottoposto a continue e potenti scariche elettriche non subisca alcuna conseguenza da questo trattamento: basterebbe chiedere a qualcuno che è stato torturato in questo modo, come Jordan Zahar, ad esempio.
L’ispettore De Giorgi dichiarò inoltre in una intervista: «Trovammo anche altri cadaveri, che la banda Collotti buttava in cespugli e anfratti dopo le torture, girando la notte con un furgoncino che aveva sequestrato alla ditta Zimolo». E tra gli “anfratti” (cioè le “foibe”) un teste ha indicato anche il pozzo della miniera di Basovizza: «Nell’estate del ‘44 pascolavamo il bestiame nei pressi del pozzo della miniera di Basovizza ed abbiamo visto più volte venire su due appartenenti alla Guardia Civica (riconosciuti per le loro buffe uniformi di colore blu e verde) che portavano con sé dei civili che, uno alla volta, gettavano dentro il pozzo. Abbiamo notato che spingevano giù sia maschi che femmine. Li vedemmo arrivare un giorno con un furgone della ditta Zimolo»[10]. 
Giuseppina Rovan, che fu anch’essa picchiata e torturata con la “cassetta”, denunciò fra i torturatori il brigadiere Fera e l’agente Mercadanti. Venne condotta ai Gesuiti «in condizioni disastrose di salute (…) sono stata visitata dal medico militare delle carceri (…) al quale ho narrato le torture subite perché perdevo sangue in gran copia dai genitali (…) era dipeso dal fatto che quando sono stata percossa nell’ufficio di Collotti, questi, mentre ero a terra abbattuta e nuda, è montato col peso della persona sul mio ventre (…) il medico ha detto che non poteva fare niente contro gli agenti di via Bellosguardo (…) ai primi di giugno durante la mia detenzione ai Gesuiti una donna proveniente da via Bellosguardo, in seguito a sevizie è stata trasportata all’Ospedale con la CRI, dove, secondo quanto si è narrato in carcere fra noi, è deceduta. Durante tale epoca è morto anche un uomo ai Gesuiti, sempre in seguito alle torture subite in via Bellosguardo (…)»[11].
Rosa Kandus testimoniò al processo contro il “collottiano” Lucio Ribaudo, che «portava i baffetti alla Hitler» e che tra i metodi di tortura pare privilegiasse quello del tubo di gomma, oltre alle sevizie sessuali sulle donne.
«La donna istriana è stata identificata per Angeluccia Paoletti (1893) (…) in data 18/8/44 ore 20.45 giungeva morta alla locale astanteria Ospedale Maggiore (…) in seguito a commozione cerebrale, frattura del braccio destro, frattura del femore sinistro, ferita lacero-contusa al ginocchio destro, gomito sinistro, probabili lesioni interne. La Paoletti era accompagnata dal commissario di polizia Tedeschi dell’ex Ispettorato di Polizia il quale dichiarava all’agente di polizia colà in servizio che detta donna poco prima si era gettata a scopo suicida da una finestra sita al primo piano del palazzo ove aveva sede l’Ispettorato stesso»[12].
Maria Merlach, incarcerata ai Gesuiti, «raccontò a tutte le detenute della cella n. 40 le sevizie che aveva subito (…) aveva il viso stravolto ed era talmente terrorizzata che ad ogni piccolo rumore sussultava». Era stata torturata con la “macchina elettrica” e disse che «preferiva darsi la morte anziché avere a che fare con quella gente. Il giorno in cui vennero gli agenti per prenderla di nuovo e condurla all’Ispettorato, la Merlach in preda ad una convulsione nervosa, si mise a piangere fortemente e diceva povera me, pregate perché io muoio»[13].
«Risulta che Maria Merlach nata a Trieste nel 1911 ebbe a suicidarsi il gennaio 1945 gettandosi in strada dagli uffici della polizia di via Cologna in Trieste, nei quali era stata accompagnata onde essere interrogata quale sospetta di appartenenza alle file partigiane e per sfuggire agli interrogatori stessi»[14].
Umberta Giacomini (nata Francescani), quando fu arrestata il 9/3/44, era incinta di quattro mesi. Il 15 marzo venne “interrogata” da Collotti, che la picchiò selvaggiamente assieme agli agenti Brugnerotto, Sica e Mignacca. A causa di questo abortì ed ebbe una forte emorragia, perciò fu trasportata all’ospedale. Successivamente Mignacca e Ribaudo vennero per riportarla all’Ispettorato, ma date le sue condizioni fisiche (non riusciva neanche a tenersi in piedi), come testimoniò lei stessa «soprassedettero dal tradurmi dal Collotti ed il Ribaudo mi disse pensate che abbiamo avuto pietà di voi perché eravate madre…»[15]. 
«In seguito venni inviata alle carceri dei Gesuiti, poi al Coroneo ed infine ad Auschwitz e mio marito in quello di Dachau, dove rimanemmo 18 mesi (…) Ritornammo dai campi di concentramento ammalati. Mio marito non si ristabilì più e tuttora è invalido»[16].
Marija Fontanot, nata nel 1928, fu arrestata da agenti dell’Ispettorato nella sua abitazione di via Cellini 2, perché «figlia di Bernobic Giuseppe, partigiano». Assieme a loro fu arrestata anche la sublocatrice del loro appartamento, Giuseppina Krismann. Furono portati in via Bellosguardo, dove rimasero per 8 giorni. Marija Fontanot fu ripetutamente violentata in presenza del padre. Le due donne furono poi condotte in carcere ed in seguito deportate ad Auschwitz, da dove furono liberate con l’arrivo dell’Armata Rossa. Quanto a Giuseppe Bernobic, una certa Danila, che era detenuta in via Bellosguardo, disse a Marjia che il padre era stato ucciso in Risiera[17]. 
Ci ha colpito il testo del comunicato del SAP, perché attribuisce ai partigiani esattamente gli stessi comportamenti criminosi dei poliziotti collaborazionisti nel corso della repressione degli antifascisti, agli ordini dell’occupatore germanico.
Ma siamo francamente stufi di tutte queste menzogne e mistificazioni diffuse sulla stampa e sui social, ancora più gravi se fatte da chi dovrebbe essere al servizio della democrazia e non della memoria nostalgica di chi ha tuttora un debole per certe idee e metodi dei tempi bui del secolo scorso.
 
Claudia Cernigoi, 10 febbraio 2019

    
[1] Il Lavoratore, 29/11/59.
[2] Nerina Prodan ed il fratello Pietro.
[3] Corriere di Trieste, 3/2/47, resoconto del processo Gueli.
[4] Il dottor Bruno Pincherle nel corso del processo Gueli.
[5] Corriere di Trieste” 3/2/47, resoconto del processo Gueli.
[6] Corriere di Trieste, 4/2/47, resoconto del processo Gueli.
[7] Diario n. 15, p. 2.438, conservato presso i Civici Musei di Trieste, nota raccolta da Vincenzo Cerceo.
[8] Testimonianza di Giuseppe Giacomini nel “Carteggio processuale Gueli” (archivio IRSMLT n. 914).
[9] Copia di tale perizia è conservata presso l’archivio IRSMLT, doc. 913, corredata dagli schizzi che illustrano i metodi di tortura.
[10] Sul Piccolo” del 3/11/99, dichiarazioni citate in una lettera scritta da Primož Sancin. Che Collotti usasse i carri della ditta di pompe funebri Zimolo è confermato dalla testimonianza della prof. Niny Rocco del CLN triestino (archivio IRSMLT n. 874). Quanto alle divise da Guardia civica, va detto che molti membri della Guardia civica erano stati inquadrati dell’Ispettorato Speciale.
[11] “Carteggio processuale Gueli”, cit.
[12] “Carteggio processuale Gueli”, cit.
[13] Testimonianza di Ada Benvenuti datata 6/2/45, in “Carteggio processuale Gueli”, cit..
[14] Attestazione del Procuratore Generale del 14/11/45, in “Carteggio processuale Gueli”, cit.
[15] Testimonianza di Umberta Francescani Giacomini, moglie di Guido Giacomini, in “Carteggio processuale Gueli”, cit. 
[16] Il Lavoratore, 29/11/54.
[17] Testimonianza di Marija Fontanot Crevatin, archivio IRSMLT 917bis.

La foto (Archivio IRSMLT 912) [https://i2.wp.com/images.bora.la/wp-content/uploads/2013/03/La-Banda-Collotti.jpg] raffigura la squadra volante dell’Ispettorato Speciale, comandata da Collotti, prima di un rastrellamento a Boršt nel gennaio 1945.  Questi i nomi degli agenti identificati: 1: Iadecola Antonio, autista; 2: “Seliska”, fiduciario di Collotti (Rado Seliskar); 3: altro fiduciario di Collotti, “Pap”, triestino (forse Mauro Padovan); 4: un ufficiale delle SS non identificato; 5: Collotti; 6: Andrian Dario, vicecommissario ausiliario, triestino; 7: altro fiduciario di Collotti, triestino, del quale Giacomini non ricorda il nome ma che negli appunti di Galliano Fogar viene indicato come Gustavo Giovannini; 8: Paccosi Bruno, guardia; 9: Simonich Mirko, ausiliario; 10: Greco Matteo, guardia; 11: Romano Gaetano, guardia; 12: “Guardia Alessandro” (dovrebbe trattarsi di Alessandro Nicola); 13: Giuffrida Salvatore 
Dai vari documenti da noi consultati ci risultano scomparsi durante l’amministrazione jugoslava i seguenti 67 agenti (anche ausiliari) dell’Ispettorato Speciale di PS (su un totale di 140 poliziotti scomparsi. Li elenchiamo di seguito, con l’annotazione di ciò che abbiamo saputo di loro.  
Andrian Dario (n. 6 nella foto [ https://i2.wp.com/images.bora.la/wp-content/uploads/2013/03/La-Banda-Collotti.jpg ]) arrestato 2/5/45; Aurino Avelardo, arrestato 2/5/45 [1]; Barezza Salvatore, cuoco presso l’Ispettorato, arrestato 1/5/45; Bilato Massimo, arrestato 1/5/45; Binetti Corrado, come PS risulta in servizio a Lubiana ed ucciso dai partigiani il 14/1/45, come Guardia civica risulta arrestato il 24/5/45 a Trieste e fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46 [2]; Boato Argante, arrestato 4/5/45; Bottiglieri Domenico, anche membro del Sicherheit Dienst, arrestato 1/5/45; Braccini Augusto, arrestato 21/5/45; Bruneo Antonio, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana 6/1/46; Burzachechi Giovanni, già CC, poi anche SS, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46; Camminiti Santo, riesumato dall’abisso Plutone (data morte presunta 23/5/45); Carbonini Antonio, arrestato e fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46; Castagna Antonio, squadrista “squadra manganellatori” [3], arrestato 31/5/45; Cattai Mario, arrestato 1/5/45; Cattani Roberto, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana 6/1/46; Cipolli Aldo, anche membro del SI.DI., arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 30/12/45; Conte Mario, , fatto uscire dal carcere di Lubiana il 30/12/45; De Simone Mario, arrestato 1/5/45; Del Papa Filippo, anche agente di custodia, a Gorizia risulta scomparso (d.m.p.) nel gennaio 1945, mentre a Trieste risulta riesumato dall’abisso Plutone (d.m.p. 23/5/45); Della Favera Ferruccio, arrestato 1/5/45; Esposito Carmine, riesumato dalla Grotta del Cane di Gropada; Fabaz Aurelio, arrestato 1/5/45; Fabian Mario, infoibato nel Pozzo della Miniera di Basovizza (4/5/45); Fidanza Giordano, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 23/12/45; Fregnan Emilio, arrestato 2/5/45; Gatta Vittorio, squadrista sciarpa littoria, membro del Direttivo del Fascio, rastrellatore, risulta infoibato presso Basovizza; Geraci Giovanni, già comandante della tenenza dei Carabinieri di Sesana, poi di quella di via Cologna, dopo lo scioglimento dell’Arma entrò nell’Ispettorato, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 30/12/45; Giuffrida Francesco, “uno dei più temuti torturatori della banda Collotti” [4], arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 30/12/45; Greco Matteo (n. 10 nella foto [  https://i2.wp.com/images.bora.la/wp-content/uploads/2013/03/La-Banda-Collotti.jpg ]), riesumato dall’abisso Plutone (d.m.p. 23/5/45); Grieco Pasquale, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46; Ingravalle Mauro, risulta anche milite dell’MDT, BN, arrestato il 30/4/45 nella caserma di via Rossetti [5], condotto a Villa Decani e disperso; Krisa (o Crisa) Ottocaro, squadrista, informatore dell’Ispettorato ed interprete della SS, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 23/12/45; Leban Vittorio, arrestato 1/5/45; Luciani Bruno (secondo il Pubblico accusatore di Ajdovščina responsabile degli arresti Wilma Varich, torturata e poi deportata in Germania e di Kavčič Bruno, fucilato dalle SS, Kavčič Antonia e Kavčič Josip, internati in Germania, dei quali Josip non rientrato [6]), arrestato il 21/5/45; Mignacca Alessio, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 30/12/45; Milano Gaetano, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46; Minetti Giuseppe, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46; Nelli Lanciotto, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 23/12/45; Nicoletti Cesidio, arrestato 2/5/45; Nussak Silvano, arrestato 1/5/45 (secondo il Pubblico accusatore di Ajdovščina responsabile degli arresti di Kavčič Bruno, fucilato dalle SS, Kavčič Antonia e Kavčič Josip, internati in Germania, dei quali Josip non rientrato [7]), Padovan Mauro (forse il n. 3 nella foto [ https://i2.wp.com/images.bora.la/wp-content/uploads/2013/03/La-Banda-Collotti.jpg ]), delatore infiltrato nel movimento di liberazione, scomparso non si sa se a Monfalcone o a Trieste; Pastore Paolo, arrestato 2/5/45, internato a Prestranek e disperso; Pasutto Giovanni, anche informatore della SS, arrestato 6/5/45, morto in carcere a Lubiana 30/8/45; Piani Mario, arrestato 1/5/45 [8]; Piccinini Pietro, riesumato dall’abisso Plutone (d.m.p. 23/5/45); Picozza Antonio, riesumato dall’abisso Plutone (d.m.p. 23/5/45); Pisciotta Salvatore, arrestato 1/5/45; Pisetta Luigi, arrestato 5/5/45; Polidoro Edmondo, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46 [9]; Raelli Pietro, morto in carcere a Lubiana; Runce Giuseppe, arrestato 1/5/45; Sabbatini Bruno, squadrista, saccheggiatore di negozi ebraici, anche BN, rastrellatore, arrestato 6/5/45, fucilato ad Ospo; Sangiorgi Leopoldo, arrestato 2/5/45; Santini Bruno, arrestato 1/5/45; Santini Mario, arrestato 1/5/45, disperso a Hrpelje; Scimone Francesco, arrestato 1/5/45; Scionti Giuseppe, arrestato 1/5/45; Sciscioli Gasparo, riesumato dall’abisso Plutone (d.m.p. 23/5/45); Selvaggi Raimondo, riesumato dall’abisso Plutone (d.m.p. 23/5/45); Sfregola Cosimo Damiano, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 6/1/46; Soranzio Ferruccio, detto Crock, infiltrato nei gruppi partigiani, arrestato nel maggio 1945, secondo gli elenchi di Ferenc “fatto uscire”, ma ancora detenuto nella primavera del 1947, come visto precedentemente; Spinella Giovanni, riesumato dall’abisso Plutone (d.m.p. 23/5/45); Stolfa Ezechiele, arrestato 2/5/45; Suppani Mario, uno dei responsabili degli arresti del CLN di febbraio 1945, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 23/12/45; Terranino Pietro, arrestato 3/5/45; Tomicich Giorgio, già sottotenente Esercito Repubblicano, arrestato 1/5/45; Vescera Vincenzo, arrestato 2/5/45; Zarotti Adriano, arrestato 1/5/45, riesumato dalla foiba di Gropada Orlek (d.m.p. 12/5/45); Zian Gustavo, arrestato, fatto uscire dal carcere di Lubiana il 23/12/45 [10].
    
[1] Il 10/12/45 si svolse a Trieste, presso la Corte d’Assise Straordinaria, un processo a carico di Migliorini Renzo, Siderini Giuseppe, Buttinaz Giordano, Monacelli Salvatore ed Aurino Avelardo (quest’ultimo contumace) imputati di avere, nel gennaio 1945, «in correità tra loro e Fregnan Fulvio >, tentato di oltrepassare la linea del confine occidentale tedesco per entrare nell’Italia liberata ed organizzare «una resistenza nazifascista >. 
[2] La dicitura “forse fucilato a Lubiana” deriva dalla ricerca di Ferenc, “Kdaj so bili usmrčeni”, pubblicata nel “Primorski Dnevnik” del 7/8/90 .
[3] Nota in AS zks 1584 ae 459.
[4] Nota in AS zks 1584 ae 459.
[5] Nella caserma di via Rossetti era di stanza un gruppo della Guardia civica.
[6] SI AS 1827 fascicolo 34.
[7] SI AS 1827 fascicolo 34.
[8] Altra fonte lo dà come ucciso a Carbonera (TV) con Collotti.
[9] In una nota dell’Ufficio del Pubblico Accusatore leggiamo che nel 1946 Polidoro risultava in servizio presso la Questura di Venezia (nota in AS zks 1584 ae 459).
[10] Nelle citate note del Pubblico accusatore di Ajdovščina troviamo un fascicolo a nome di Ziani Guido, “segretario fascista di Trieste”, responsabile degli arresti di Josip e Ivan Pregarc di Ricmanje. SI AS 1827, fascicolo 34.

 
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Foibe e internati: è necessario ristabilire la verità storica
di Livio Braida
su Il Messaggero Veneto del 7.2.2019, p.41
 
C'era una volta un caro zio, Bruno (deceduto nel 1998), militare della Finanza e combattente in Grecia e Istria durante la Seconda guerra mondiale. Raccontava, con l'ironia di chi ha visto l'impossibile, come alla calata dei titini a Trieste, l'1 maggio 1945, prestasse servizio alla caserma di campo Marzio. "Particolarmente tragica fu la sorte di 86 militari di cui 3 ufficiali, rastrellati nella caserma di campo Marzio e poi spariti nel nulla. Secondo alcune testimonianze tutti i finanzieri furono trucidati e gettati nelle foibe del Carso triestino"(http://www.gdf.gov.it). Così si legge nel sito ufficiale della Gdf sulla tragedia che accadde ai finanzieri in servizio. 
L'ALTRA VERSIONE. Lo zio ne forniva una versione diversa: non "tutti" ma una parte furono "selezionati", per un destino ignoto. C'era anche lui, infatti, ed ebbe la "fortuna" di essere deportato in un campo di prigionia titino, non si sa se presso Aidussina, o addirittura Borvnica, più addentro in Slovenia. Su questo argomento preferiva sorvolare. Alcune cose sono certe: mio padre Albino, suo fratello, come ex-patriota garibaldino - reclutato a fine febbraio 1945 nel raggruppamento del Collio, inquadrato nella Brigata Garibaldi Natisone (come molti coetanei 18-20enni di San Giovanni al Natisone) - prese inutilmente contatto con autorità titine a Trieste, durante i 40 giorni, per perorare la causa del fratello. Inutilmente (la reputazione dei garibaldini non contava a sufficienza per i parenti). Ma la sua forte tempra salvò lo zio. Tornò a casa sui 35-40 chili, non si sa quando, credo entro la fine del 1945.A noi nipoti accennava ai prigionieri del suo campo: qualcuno moriva di fame, altri catturavano ratti. Non si soffermava più di tanto sulla prigionia. Poi, reintegrato nella Gdf della nuova Repubblica, dopo il 2 giugno 1946, percorse con il consueto spirito di servizio e patriottismo la sua carriera, conclusa a Cividale. In seguito fu a lungo segretario della associazione Combattenti di San Giovanni al Natisone. 
CROCIATA ANTI-GARIBALDINA. Mio padre, ex-patriota garibaldino, subì la crociata democristiana anti-garibaldina in Friuli, che ha strumentalizzato Porzus in una logica manichea (bianco-verdi buoni, rossi cattivi), e fu addirittura tacciato di "spia titina". Qualcuno, una spia autentica filo fascista, aveva interesse a farlo fuori, per la sua militanza partigiana convinta, ma non idolatrica. Era partigiano in Italia, non oltre l'Isonzo. Comunque, per non sbagliare, gli venne stroncata la carriera di pilota aeronautico effettivo, decorato con l'argento al valor militare. Non fu reintegrato per filo-titoismo. Ma papà lasciò perdere, malgrado l'enorme menzogna e l'ingiustizia subita. Diceva: "Dei vermi si occuperà la Provvidenza...". 
IL CLIMA DEL DOPOGUERRA. Accennato così ai due destini incrociati dei fratelli, la cosa che alla luce delle polemiche sulla "Giornata del ricordo", risulta incomprensibile come i fratelli, figure moralmente integerrime, non sembrassero assolutamente a conoscenza dei campi di prigionia per internati sloveni, per esempio, quelli a loro vicini, non più di 10 chilometri, come Gonars, Visco; o in Istria, nell'isola di Raab (Arbe). A mio avviso non potevano non sapere. Allora? Purtroppo non ci sono più, prima non ne hanno parlato: possiamo formulare delle ipotesi. A nostro avviso, il clima del dopoguerra non predisponeva nessuno dei due a farne menzione, per ragioni diverse. Primo: il Friuli, di destra o di sinistra, non tollerava il nazionalismo sloveno; nè poi conveniva parlarne allo zio, in quanto pubblico ufficiale della Gdf; né a papà che, da potenziale pilota militare e poi Alitalia, si era riciclato nelle Ferrovie dello Stato, dove fece di tutto, inutilmente, per apparire democristiano, visto il clima di persecuzione antigaribaldino costruito dalla "Osoppo" nel dopoguerra, insieme a tutta la propaganda nazionalista di frontiera. 
LAVARSI LE MANI. Ecco perché appare quanto mai opportuno indagare su quei crimini fascisti con cui l'Italia di De Gasperi e di Togliatti (che fece l'amnistia ai criminali fascisti italiani) si lavò le mani, in nome dell'Atlantismo (piano Marshall, Nato). E, in nome della collaborazione politica economica con la Germania Ovest, si lavò le mani anche dai crimini nazisti (tranne Kappler - Fosse Ardeatine, poi lasciato libero nel 1977, fingendo una fuga; e Walter Reder - Marzabotto). E gli altri? Ufficiali dell'esercito italiano (Borghese della X Mas, Graziani, Roatta: "Si uccide troppo poco in Slovenia"), o criminali nazisti (Wolff capo delle SS, Dollmann, Eichmann, passato in Sud-America tramite l'Italia)? E quelli di Palmanova o di Torlano? È necessario ristabilire la verità storica sui crimini italiani fascisti da sempre taciuti. Perciò, siccome non la fanno parlare in Friuli, cercate le lezioni della storica Alessandra Kersevan su youtube. Per i docenti e gli storici, un punto di vista convincente, soffocato dalla retorica ufficiale.
 
 
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Sulla pagina FB "Dieci Febbraio", Claudia Cernigoi l'11 luglio 2018 ha scritto:

Il nonno di Panizzut "scampato alla foiba" era Ermanno Mattioli
e sul libro da lui pubblicato scrivemmo una recensione nel lontano 2006.. La riproponiamo, visto che il nipote persevera nel cercare di mettere il bavaglio a chi non la pensa come lui (ricordiamo che nel 2008 si schierò contro lo svolgimento del convegno “Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico” organizzato a Sesto San Giovanni, invitando a manifestare contro). 
Claudia Cernigoi
Ermanno Mattioli: “ISTRIA ‘45-‘46-Diario di prigionia”, Edizioni della Laguna.

Nonostante l’indicazione di copertina, questo libro, proposto come il diario di Ermanno Mattioli, “deportato da Tito”, sarebbe in realtà opera del nipote di Mattioli, Massimiliano Panizzut, il quale, intervenendo nel forum sul sito della Lega Nazionale, ha così scritto: “finalmente sono riuscito a far stampare il diario di prigionia di mio nonno, il polesano Ermanno Mattioli. Italiano, fascista prigioniero dei partigiani yugoslavi (sic) di Tito, alla fine della seconda guerra mondiale” 
Questo libro viene naturalmente spacciato come il “diario” (scritto però diversi anni dopo) di un “prigioniero dei titini”, deportato “sol perché italiano”. Invece, leggendo il testo, si comprende perchè Mattioli sia stato arrestato: è egli stesso ad affermare, ad un certo punto, di sperare che non conoscano (sottinteso i “titini”) tutto il suo curriculum, perché a Pola ha fatto la carriera completa nel fascio, escludendo solo la carica di “federale” (carica ricoperta da Bilucaglia, col quale Mattioli era comunque imparentato per parte della moglie).
Degno di nota quanto scrive il presentatore del libro, Gaetano Valenti (già sindaco di Gorizia): “mi ha molto colpito la data del suo arresto, 2 maggio, data che unisce in una lunga striscia rossa di sangue Gorizia e Pola per l’efferatezza delle deportazioni e uccisioni”. Affermazione molto melodrammatica ma non congrua: Mattioli infatti, leggiamo, non fu arrestato il 2 maggio, ma si presentò spontaneamente ai “titini” il 14 maggio 1945.
Tra i “maltrattamenti” inflittigli, Mattioli cita il fatto di essere stato obbligato a fare la vaccinazione contro il tifo, fatto che a molti (non a lui) provocò una forte reazione con febbre (cosa normale per una antitifica). D’altra parte, se la perfidia dei dirigenti dei campi di prigionia si misurasse col fatto di vaccinare i detenuti, potremmo pensare che i lager nazisti erano il massimo della pietà e della solidarietà umana. 
Mattioli è indicato tra gli “scomparsi” nel “Martirologio” di Gianni Bartoli, nonostante sia rientrato nel ‘46, ed abbia vissuto a Gorizia fino al 1980 facendo l’insegnante. Strano che Bartoli non ne sia stato al corrente.
Panizzut presenterà il suo (o di suo nonno?) libro a Licata il 18 dicembre, in occasione, leggiamo nel sito News Italia Press, dell’intitolazione di una piazza ai “Martiri delle Foibe” (tra i quali, fortunatamente, il nonno non va compreso, essendo sopravvissuto). Assieme a Panizzut un altro “studioso” (così definito nel sito), il triestino Giorgio Rustia. Chissà se Rustia, tanto preciso nel cercare il pelo nell’uovo nei testi che non condivide, sa del rientro di Mattioli oppure lo commemorerà nell’occasione come “infoibato”?
 
L'intervento di Massimiliano Panizzut alla Camera dei Deputati
 
 
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Inizio messaggio inoltrato:
Da: Fabio Muzzolon
Oggetto: Zevio e la strage di Lipa
Data: 23 maggio 2018 22:20:30 CEST

A Zevio (Verona) si era detto di voler dedicare una via -oltre alla già esistente Via Martiri delle Foibe- a un tal Ino Mercanti, "eroe e martire" dell'italianità gettato nelle foibe.
http://www.larena.it/territori/est/zevio/ino-martire-delle-foibeuna-via-avrà-il-suo-nome-1.5440042 ]
Chi era costui? Fu sicuramente un fascista militante che andò a combattere prima nella guerra civile in Spagna a fianco del Generalissimo Franco.
Dopo il suo ritorno, intorno al 1940, se ne ripartì "per lavoro" (raccontano le cronache)  questa volta in direzione opposta, nella odierna Ilirska Bistrica, verso il fronte orientale e quella Jugoslavia a cui l'Italia dichiarò guerra nell'aprile 1941. Il nostro Ino fu in seguito trucidato dai feroci slavo-comunisti.
Questo sito sotto ricostruisce però in modo diverso come andarono le cose da quelle parti in quegli anni:

http://www.memoriaeimpegno.org/storia-e-memoria/2d-guerra-mondiale/rappresaglie-nazi-fasciste/50-la-strage-di-lipa  
Grazie Fabio Muzzolon
SGLupatoto


 

Dopo il 18 settembre 1943, il territorio di Fiume (Rijeka), l'Istria e la Venezia Giulia sono annesse al Terzo Reich. Gli oppositori politici (già attivatisi durante l'occupazione italiana) e i perseguitati dal nazismo sono deportati da questi territori a Trieste, dove sarà attivata la tristemente famosa della Risiera di San Sabba.
Da lì migliaia di persone saranno trasportate verso i campi di concentramento e di sterminio nell'Europa centro-settentrionale sotto il controllo nazista, ma molti vi verranno uccisi e cremati dopo atroci torture.
Infatti, circa la metà delle vittime del forno crematorio di Trieste erano di origine slava, in particolare croata.
La strada che collega direttamente Fiume a Trieste è strategica per i collegamenti dell'esercito tedesco, che ha anche una caserma molto importante a Ilirska Bistrica (oggi in Slovenia, da dove la strada si biforcava in direzione Lubiana o Trieste) ed attraverso essa vengono deportati i civili imprigionati e si spostano i rifornimenti ed i mezzi militari nazisti. Accanto ai nazisti operano milizie fasciste e militari italiani fedeli al Duce.


Lungo questa strada, a Rupa, un piccolo paese dell'altipiano sovrastante Fiume, nella ex-scuola ha sede un drappello fascista, composto da circa venti uomini, che aveva proprio funzioni di controllo di questa importante arteria.
Nonostante questo presidio i partigiani continuano da mesi a ostacolare ed attaccare i convogli tedeschi che passano; a questo punto i fascisti si mettono a controllare assiduamente la popolazione di Lipa, un villaggio a circa 2 km da Rupa e di un suo sobborgo, Novo cracina. 
Gli abitanti del paese vengono avvertiti di prestare attenzione da una ragazza che è fidanzata con un carabiniere di stanza a Rupa, il quale l'ha informata che le cose potrebbero finire male, ma gli abitanti di questi villaggi sono anche familiari dei partigiani e anch’essi profondamente anti nazifascisti, per cui non collaborano.
Il 30 aprile del 1944 i partigiani preparano un attacco contro il presidio di Rupa ed all'alba aprono il fuoco; qualcuno dal presidio riesce a raggiungere una colonna di soldati tedeschi che transita lungo l'arteria principale; mentre il comandante della colonna, composta da circa 30 soldati, decide che azioni prendere, una granata colpisce la colonna stessa uccidendo quattro soldati tedeschi. 
I tedeschi chiamano subito rinforzi da Ilirska Bistrica e quando questi arrivano, sotto la guida del drappello fascista, si dirigono verso il villaggio di Lipa che viene circondato. Il terrore è immediato perchè i primi abitanti che si fanno incontro vengono fucilati all'istante. Tra questi, Ivan Ivancich che, ferito, si finge morto e rimarrà uno dei pochi testimoni della strage. 
Nelle case sono rimasti quasi solamnete le donne i bambini e gli anziani. E contro di essi la violenza dei nazisti si sviluppa feroce. In poco meno di due ore. Le case vengono saccheggiate, molte persone sono uccise con violenza inaudita, alcune decine vengono radunate e stipate in un piccolo edificio all'entrata del paese e intanto le case vengono bruciate una per una. E l'atrocità estrema, dopo un pomeriggio di orrori, si compie con gli ostaggi rinchiusi in quella piccola casa: all'interno, su di essi viene gettata della benzina e vengono bruciati vivi! Chi cerca di scappare dall'edificio viene ucciso a colpi di mitra. Alcuni bambini riusciti a scappare vengono rigettati all'interno della casa in fiamme. Alla fine, i nazisti aiutati dai fascisti cercano di nascondere il massacro facendo saltare l'edificio con la dinamite; ma vengono visti da alcuni ragazzi di Lipa, che avevano portato il bestiame al pascolo, scampati alla strage perchè nascosti nei boschi circostanti il villaggio. 
I morti furono 269, fra cui tre bambine che non avevano neanche un anno.
 
 
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Sullo stesso tema si veda anche:
GUERRA GELIDA A BELGRADO. LE DEPORTAZIONI IN JUGOSLAVIA DALLA VENEZIA GIULIA NEL SECONDO DOPOGUERRA. LA QUESTIONE DEGLI ELENCHI E NUOVE FONTI (di Urška Lampe – su Acta Histriae, 2018 – Doi: 10.19233/AH.2018.28)
Abstract: ... The author reveals also an important investigation, conducted in the second part of the 50-ies by the Italian Institute for National Statistics (Istituto Centrale di Statistica). The secret investigation, which was conducted by the General Commission of the Government for the territory of Trieste (Commissariato generale del Governo per il territorio di Trieste), chaired by the former major of Gorizia Giovanni Palamara, ended in 1959 proposing the following results for the region of Trieste, Gorizia and Udine: death for several reasons after the arrest – 645; deported and repatriated – 1239; deportees who have not returned – 1982...
DOWNLOAD: https://www.academia.edu/38341575/GUERRA_GELIDA_A_BELGRADO._LE_DEPORTAZIONI_IN_JUGOSLAVIA_DALLA_VENEZIA_GIULIA_NEL_SECONDO_DOPOGUERRA._LA_QUESTIONE_DEGLI_ELENCHI_E_NUOVE_FONTI
 
 

ELENCO DEGLI INTERNATI IN JUGOSLAVIA ALLA DATA DEL 17/12/45

QUANTI FURONO GLI ARRESTATI DAGLI JUGOSLAVI NEL MAGGIO 1945?

Da quando è stata istituita la data del Giorno del Ricordo (10 febbraio) sembra che la ricerca storica sugli eventi al confine orientale d’Italia alla fine della seconda guerra mondiale sia diventata del tutto inutile, perché al posto degli storici prendono la parola solo i propagandisti, i politici neoirredentisti, i neofascisti, o semplici persone che pur non avendo alcuna cognizione dei fatti, si ritengono autorizzati a prendere una posizione, il più delle volte del tutto fallace.

Un paio di settimane fa abbiamo letto le parole di un critico d’arte della Biennale di Venezia Daniele Radini Tedeschi: “Tito che aveva invaso Trieste nel 1944, deportando e trucidando 11.000 italiani, causando quel tragico eccidio di massa conosciuto col nome di foibe”.

Affermazioni che dimostrano la totale ignoranza dei fatti da parte di Radini Tedeschi (quantomeno dovrebbe sapere che nel 1944 Trieste era sì invasa, ma dai nazisti), e purtroppo riprese da tanti altri “commentatori” dei social e della carta stampata.

Abbiamo perciò pensato di pubblicare un documento, curato dall’Ufficio del Pubblico Accusatore di Trieste in data 17/12/45, che riprende l’elenco dei nomi degli arrestati dagli Jugoslavi nel maggio 1945 redatto dal “comitato per la ricerca degli internati in Jugoslavia”, arrestati dei quali, secondo i richiedenti, non si aveva notizia. Nella premessa leggiamo che l’elenco è formato di 939 nomi, “molti di meno quindi di quanti parla la propaganda avversaria. Di questi, inoltre, alcuni sono stati giudicati dalla Corte Straordinaria d’Assise, altri si trovano in libertà a Trieste o in altri posti, altri, infine, sono Partigiani Giuliani di cui le famiglie chiedono notizie. Da mettere in rilievo il fatto che molti nominativi risultano essere stati arrestati o fatti prigionieri durante azioni belliche e altri spariti durante ancora la dominazione tedesca e la cui sparizione dovrebbe imputarsi alle forze armate tedesche e non a quelle jugoslave”.

L’elenco è diviso in sezioni: la prima (p. 1-12) comprende 139 nominativi di persone che non risultavano internate e di cui non si avevano notizie (con le accuse che però erano state rivolte nei loro confronti); seguono altri elenchi di 80 internati con le informazioni che erano in possesso dell’Ufficio. Sono segnalati anche nominativi che risultavano rientrati dalla prigionia.

Il documento è interessante soprattutto perché vengono descritte le figure degli arrestati, militi, collaborazionisti, torturatori, rastrellatori e via di seguito, tanto per sfatare il mito degli “arrestati solo perché italiani” o perché si opponevano all’annessione di Trieste alla Jugoslavia.

La posizione presso l’Archivio di Stato di Lubiana (Arhiv Slovenije) è AS 1584 a.e. 141.

 

ELENCO DEGLI INTERNATI IN JUGOSLAVIA ALLA DATA DEL 17/12/45

 

Claudia Cernigoi, 5 settembre 2018

 

[Aggiornamento 26.2.2019: TESTO e AUDIO] Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista

(hrvatskosrpski / slovenščina / français / italiano)
 
Giorno del Ricordo, attacco frontale contro i vicini sloveni e croati
 
1) Prossime iniziative segnalate
– San Stino di Livenza (VE) 16/2
– Empoli (FI) 17/2
– Roma 24/2
2) Tajani andrà a San Sabba. Novelli (FI): "Gravissimo errore aver inserito le Valli del Natisone e Resia e la "romana" Forum Iulii all'interno delle zone di tutela della minoranza linguistica slovena" (da Il Messaggero Veneto, 13.2.2019)
3) Reakcija na skandalozni završetak govora predsjednika Europskog parlamenta (SRP, 12. veljače 2019.)
4) "Viva Istria e Dalmazia italiane", sdegno in Croazia e Slovenia per le frasi di Antonio Tajani (La Repubblica / Radio Capodistria)
 
 
Nel frattempo... commemorazione partigiana in Slovenia – dalla pagina FB di Igor Jerele, 11.2.2019:
1.SPOMINSKI DOLENJSKI BATALJON se je danes 10.2.2019 poklonil spominu na hrabre borce XIV divizije
 
Scarica di insulti a Eric Gobetti sulla pagina FB dell'Unione degli Istriani:
 
FLASHBACK: La storica smaschera il revisionismo e Vespa s'infuria (Libero Pace, 10 feb 2018)
La storica Alessandra Kersevan smaschera le strategie del revisionismo storico sulla questione delle foibe a "Porta a porta". Bruno Vespa s'infuria...
 
Altri link:
 
NATIONALISME : AVIS DE TEMPÊTE POUR LA MINORITÉ SLOVÈNE D’ITALIE (Courrier des Balkans | De notre correspondant à Ljubljana | jeudi 14 février 2019)
Montée de l’intolérance, suppression des aides à la presse et enfin nouvelle loi électorale qui rendra virtuellement impossible l’élection de députés slovènes. L’année 2019 s’annonce très difficile pour la minorité slovène d’Italie, qui compte de 70 000 à 100 000 membres...
 
“PRESIDENTE MATTARELLA NON SI UNISCA PIÙ AL CORO CHE FOMENTA L’ODIO”. LETTERA APERTA AL PRESIDENTE MATTARELLA (di Stojan Spetič, già senatore del PCI, 13 febbraio 2019)
... Vede, Signor Presidente, la legge istitutiva del Giorno del Ricordo fissa la data del 10 febbraio che invece dovrebbe essere una festa per ricordare la firma del Trattato di pace a Parigi nel 1947 quando 21 paesi della vittoriosa alleanza antifascista riconobbero, grazie alla Resistenza che la riscattò, l’Italia come paese cobelligerante e quindi parte della comunità dei paesi democratici e civili, mentre la Germania e l’Austria vennero divise in zone di occupazione militare...
 
PRESIDENTE, NEGAZIONISTA A CHI? TRIESTE NEL GIORNO DEL RICORDO (di Roberto Caligiuri, su Il Manifesto del 10.02.2019)
... In effetti, il clima cittadino si è riscaldato fin dai primi di gennaio: la presentazione del libro di Claudia Cernigoi sulle foibe triestine (Operazione Plutone, ed. KappaVu) sollecita il governatore leghista della regione Fedriga a bacchettare il sindacato dei giornalisti per essere «veicolo di promozione di un convegno negazionista sulle foibe» e la Rai per essere «tv di parte, con un chiaro indirizzo politico». E ancora, sulle foibe, la politica regionale disegna convergenze sorprendenti: di nuovo Fedriga guadagna il sostegno di Serracchiani e Rosato contro la proiezione di un documentario sulle foibe a cura dell’Anpi di Parma... il 2 febbraio Casa Pound inaugura la sede giuliana – la quarta in regione – con il suo presidente nazionale, blindata alla stampa non gradita... a Gorizia, a due giorni dalla cerimonia triestina – nella giornata della cultura slovena e della concordia – il braccio giovanile di Casa Pound affigge alcuni manifesti coi i motti “Devoti alla vittoria” e “Tamburo dell’Avanguardia” proprio sui muri delle scuole superiori slovene. “Nulla accade per caso” ha dichiarato il preside dell’istituto goriziano... E infatti ieri, com’era immaginabile, il “fascismo di frontiera” si è materializzato anche a Trieste col presidio “Trieste non scorda” organizzato dal movimento neonazista “Veneto Fronte Skinheads”, “Comunità Avanguardia Nazionale Norditalia” e “Unione Difesa”... Intanto, attorno alla foiba, proprio accanto ai labari «negazionisti» – questi sì – della Xª Mas e a 700 alpini, ci sono anche 400 studenti provenienti da tutta Italia...
https://ilmanifesto.it/presidente-negazionista-a-chi-trieste-nel-giorno-del-ricordo/
 
 
=== 1: Prossime iniziative segnalate ===
 
San Stino di Livenza (VE), sabato 16 febbraio 2019
dalle ore 18:30 presso la Saletta Comunale, Via Roma
 
IL CONFINE ORIENTALE: UN'ALTRA STORIA
 
interventi dei ricercatori storici del gruppo di Resistenza Storica
Alessandra Kersevan
Piero Purich Purini
 
a cura di B.S. in collaborazione con Collettivo Comunista "Broz" Veneto Orientale
 
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Empoli (FI), domenica 17 febbraio 2019
alle ore 18:30 presso il Circolo Arci Brusciana
Via Senese Romana 132
 
FOIBE E GIORNATA DELLA MEMORIA: TRA REVISIONISMO E RIABILITAZIONE FASCISTA. INCONTRO CON LA STORICA ALESSANDRA KERSEVAN

... Con il contributo della storica e saggista Alessandra Kersevan, una delle più attive ed esperte in questo campo, analizzeremo tutta la storia che viene taciuta, se non addirittura negata, quando si parla di foibe e confine orientale; in modo da avere una visione più completa ed ampia della vicenda aldilà di quella che è ormai la narrazione di questa giornata, quasi totalmente a senso unico, che ci viene offerta dagli organi d'informazione e comunicazione.

L'Iniziativa comincerà alle 18.30 in forma di relazione supportata da immagini e diapositive per rendere più scorrevole l'esposizione.
All'incirca intorno alle 20:30 verrà servita l'usuale apericena-buffet della Domenica, al termine della quale sarà possibile intervenire al dibattito con domande ed osservazioni.

 
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Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102

 

RESISTENZA JUGOSLAVA: FOIBE O FRATELLANZA?

 

Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista


ore 16:30 Conferenza
– Andrea Martocchia: "Giorno del ricordo", dove sta il problema?
– Sandi Volk: "Giorno del ricordo", un bilancio 
ore 17:45 Discussione 
ore 18:30 Teatro
DRUG GOJKO di e con Pietro Benedetti
Monologo ispirato alle vicende di Nello Marignoli, partigiano nell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo

Promuove: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
ENTRATA A SOTTOSCRIZIONE LIBERA

LE REALTA' INTERESSATE AD ADERIRE E INTERVENIRE POSSONO CONTATTARCI FINO AL 20 FEBBRAIO: jugocoord@...

 

Evento facebook

Eventuali aggiornamenti saranno riportati anche sulla pagina della iniziativa

 
 
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Fonte: Il Messaggero Veneto, 13.2.2019
 
Il presidente del Parlamento europeo invitato dalla commissaria Bulc
Dalla Slovenia richieste di scuse e dimissioni. Novelli (Fi): «Attacchi inaccettabili»

Foibe, la bufera non si placa
e Tajani andrà a San Sabba

UDINE. Un invito via Twitter rivolto al presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, dalla commissaria europea ai Trasporti, Violeta Bulc, a visitare insieme a lei l'ex campo di concentramento alla Risiera di San Sabba a Trieste. Invito accettato. È questa l'evoluzione della rovente polemica esplosa in seguito alle dichiarazioni di Tajani che domenica, a Basovizza, durante le celebrazioni della Giornata del Ricordo, aveva esaltato «l'Istria italiana» e «la Dalmazia italiana». Parole mal interpretate, secondo il presidente del Parlamento Ue, che ha in seguito precisato che il riferimento andava «agli esuli istriani e dalmati di lingua italiana, ai loro figli e nipoti, molti dei quali presenti alla cerimonia», respingendo le critiche di irredentismo e di rivendicazioni territoriali. Spiegazioni «insufficienti» per il rappresentante della minoranza italiana al Parlamento di Zagabria, Furio Radin, «perché anche noi che siamo rimasti, apparteniamo alla cultura italiana di Fiume e dell'Istria». Una dichiarazione che conferma il clima acceso in Slovenia rispetto alla vicenda che ha registrato prima le prese di posizione del presidente Borut Pahor e del governo guidato da Marjan Sarec, e ieri anche quella del presidente del Consiglio delle organizzazioni slovene Walter Bandelj. «Un politico del livello di Tajani non dovrebbe andate a Basovizza senza sapere quale sia la storia» ha ribadito, definendo offensive le parole del parlamentare italiano. Il ministro degli Esteri sloveno Miro Cerar chiede inoltre «scuse chiare e una presa di posizione netta a favore dei valori europei. Non sono sufficienti le spiegazioni fornite a Strasburgo, la Slovenia aspetta, oltre alle scuse, anche un vero e proprio riconoscimento dell'errore e una condanna della tendenza al revisionismo», ha concluso Cerar. Non bastasse, i Socialdemocratici, Sd, e Nuova Slovenija, Nsi, partito di ispirazione cattolica, invocano senza mezzi termini le dimissioni di Tajani.Ieri il governatore del Fvg Massimiliano Fedriga, rifuggendo la polemica, ha richiamato «l'intervento molto lucido del presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini che ha sottolineato i drammi vissuti dai cittadini italiani nel confine orientale» e il fatto che «anche croati e sloveni sono stati perseguitati da un regime comunista titino che non guardava in faccia a nessuno se non alla gestione del potere utilizzando, sporcando e umiliando le vite umane». Sull'intervento poi del vicepremier Matteo Salvini, con riferimento ai bambini morti nelle Foibe («e ce ne sono stati diversi», ha sottolineato Fedriga) e ad Auschwitz, il presidente del Fvg ha aggiunto: «C'è stata una persecuzione purtroppo drammatica alla stessa maniera, non penso che i morti si misurino in numeri o in serie A o serie B. Questo è un discorso responsabile penso condiviso da tutti». Definisce «incredibili e inaccettabili gli attacchi dei governi sloveno e croato al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani» il deputato di Forza Italia Roberto Novelli. «Vale la pena forse ricordare che se fosse stato per il maresciallo Tito nelle nostre terre avremmo portato per decenni la stella rossa sul berretto. Non è solo la storia a rendere inaccettabili le reazioni scomposte di questi giorni, è anche l'attualità - aggiunge Novelli - che racconta di un tentativo subdolo di slovenizzare, grazie alle concessioni della legge 38 del 2001, zone del Friuli, come ad esempio le valli del Natisone e Resia».«Dove fortunatamente ha fallito Tito con la forza delle armi - rincara il parlamentare azzurro - vogliono riuscire loro forzando la storia e sfruttando i benefici di una legge che, per un gravissimo errore, ha inserito le Valli del Natisone e Resia e la "romana" Forum Iulii, all'interno delle zone di tutela della minoranza linguistica slovena. Un falso storico - conclude - questo sì grave, altro che le dichiarazioni di Tajani».
 
 
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Reakcija na skandalozni završetak govora predsjednika Europskog parlamenta

 

PRSTE K SEBI ANTONIO TAJANI!

Predsjednik Europskog parlamenta Antonio Tajani govorio je na Danu sjećanja na žrtve fojbi u Bazovici i govor završio usklikom “Živio Trst, živjela talijanska Istra, živjela talijanska Dalmacija!”

Ideja da su Istra i Dalmacija dijelovi Italije bila je jedna od temeljnih ideja talijanskog fašizma. Iako je prepuštanje Istre i Dalmacije Italiji počelo Rapalskim ugovorima, kao dio ratnog plijena iz 1. svjetskog rata, dokrajčeno je još sramotnijim Rimskim ugovorima o razgraničenju između Italije i NDH koje je potpisao Pavelić.

Zemaljsko antifašističko vijeće narodnog oslobođenja Hrvatske, pozivajući se na pravo naroda na samoopredjeljenje, svojom je »Odlukom o priključenju Istre, Rijeke, Zadra i ostalih okupiranih krajeva Hrvatskoj« od 20. rujna 1943. godine potvrdilo već ranije donesenu Pazinsku odluku o sjedinjenju. U tom su dokumentu ništavnim proglašeni prethodni ugovori Kraljevine Jugoslavije i tzv. Nezavisne Države Hrvatske s Italijom, kojima su Istra, Dalmacija i otoci pripali Italiji.

[FOTO / SLIKA: "Odluka o priključenju Istre, Rijeke, Zadra i ostalih okupiranih krajeva Hrvatskoj (ZAVNOH, 20. rujna 1943.god.)
 

U Italiji (kao i kod nas!) postoje snažne revizionističke struje, ali ovo je prvi put da je jedan visoko pozicionirani čelnik EU-a kazao nešto ovako sramotno.

Najoštrije osuđujemo imperijalističku i profašističku izjavu gospodina Tajanija koja nije dostojna funkcije koju obnaša. Istra i Dalmacija su svoju slobodu i priključenje matici zemlji krvavo izborile u Narodnooslobodilačkoj borbi. Revidiranje povijesti neće proći!

NO PASARAN!

 
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"Viva Istria e Dalmazia italiane", polemica in Croazia e Slovenia per le frasi di Antonio Tajani
 
Proteste dei premier sloveni e croati e degli eurodeputati croati dopo il discorso del presidente del Parlamento europeo in occasione della Giornata della memoria per le vittime delle foibe. Lui si difende: "Nessuna rivendicazione territoriale"
 
11 febbraio 2019
 
ZAGABRIA - Stanno suscitando forti polemiche in Croazia e in Slovenia le frasi pronunciate ieri dal presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, in occasione delle commemorazioni per le vittime delle foibe. Al termine del discorso tenuto alla foiba di Basovizza per la Giornata del ricordo, Tajani ha esclamato: Viva Trieste, viva l'Istria italiana, viva la Dalmazia italiana, viva gli esuli italiani, viva gli eredi degli esuli italiani", "evviva coloro che difendono i valori della nostra Patria". Dopo i primi attacchi lo stesso Tajani è intervenuto nella seduta plenaria dell'Europarlamento per difendersi, spiegando di non aver voluto dare alcun carattere di "rivendicazione territoriale" alle sue parole.
 
Il premier solveno Marjan Sarec ha condannato con forza le parole di Tajani, definendole espressione di un "revisionismo storico senza precedenti". "Il fascismo era un fatto, e aveva lo scopo di distruggere il popolo sloveno", ha scritto il premier sul suo account Twitter.
 
 
Subito dopo è arrivata la condanna del premier croato, Andrej Plenkovic: "Rifiutiamo la sua affermazione che contiene elementi di rivendicazioni territoriali e di revisionismo. Il Governo e la Hdz sono fortemente contrari", ha affermato il premier ai microfoni dell'emittente N1. Plenkovic ha aggiunto inoltre di aver sentito telefonicamente Tajani e di avergli chiesto dei chiarimenti,

Anche la ministra degli Esteri croata, Marija Pejcinovic Buric, ha condannato le parole di Tajani, parlando di "revisionismo storico inaccettabile, soprattutto perché proviene da un alto funzionario che rappresenta il Parlamento europeo", una delle istituzioni dell'Ue, che, ha ricordato, "è stata fondata con l'intenzione ch in Europa non si ripetano mai più le guerre". "Tali dichiarazioni sono assolutamente inappropriate, soprattutto se espresse dal presidente del Parlamento europeo", ha aggiunto.. Per Pejcinovic Buric simili messaggi possono giovare solo a coloro che vogliono un'Europa diversa da quella che da sempre viene costruita dall'Unione europea. "Sono contrari allo spirito della riconciliazione, della convivenza e di tutti i valori della civiltà su cui è stata costruita l'Ue", ha detto.

 
Quasi tutti gli eurodeputati croati hanno condannato oggi l'uscita di Tajani, ritenuto incongrua con il suo ruolo ai vertici delle istituzioni europee. "È una vergogna per il presidente del Parlamento europeo. Ha perso la mia fiducia", ha brevemente commentato su twitter Ivan Jakovic, eurodeputato della Dieta democratica istriana (Ddi), partito regionalista istriano di centro-sinistra. Secondo Dubravka Suica, dell'Unione democratica croata (Hdz), al governo a Zagabria, "parlare dell'Istria e Dalmazia italiane è un relitto di tempi passati".

Il presidente del Parlamento europeo si è difeso nel corso della seduta plenaria a Strasburgo: "Nel corso del mio intervento di ieri ho voluto sottolineare il percorso di pace e di riconciliazione tra i popoli italiani, croati e sloveni e il loro contributo al progetto europeo - ha detto Tajani - Il mio riferimento all'Istria e alla Dalmazia italiana non era in alcun modo una rivendicazione territoriale. Mi riferivo agli esuli istriani e dalmati di lingua italiana, ai loro figli e nipoti, molti dei quali presenti alla cerimonia".  E ha concluso: "Mi spiace se il senso delle mie parole sia stato mal interpretato. Non era mia intenzione offendere nessuno. Volevo solo inviare un messaggio di pace tra i popoli, affinché ciò che è accaduto allora non si ripeta mai più".
 
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Il premier Šarec reagisce alla cerimonia di Basovizza: "Il fascismo aveva come obiettivo quello di distruggere il popolo sloveno"

Dopo la cerimonia di ieri a Basovizza, in occasione della Giornata del Ricordo, non si sono fatte attendere le reazioni slovene

11/2/2019 14:09:16 | Capodistria | Radio Capodistria
 
Il capo dello stato Borut Pahor, in una lettera inviata al presidente italiano Sergio Mattarella, ha espresso preoccupazione a causa di quelle che sono state definite “inaccettabili dichiarazioni di alti esponenti dello stato italiano (…) che vorrebbero far credere che le foibe furono pulizia etnica”. 

Dura reazione anche del premier sloveno Marjan Šarec che in un tweet ha parlato di falsificazioni e revisionismo storico senza precedenti, messo in atto da alti politici e persino da funzionari dell’Unione europea. Šarec ha anche aggiunto che il fascismo aveva come obiettivo quello di distruggere il popolo sloveno.

Pronta risposta del leader dell'opposizione Janez Janša che con un altro tweet ribattuto a Šarec dicendo che è lui a travisare la storia e aggiungendo che il fascismo ed i suoi crimini orribili sono stati smascherati, mentre Mussolini è stato impiccato dagli stessi italiani. "In Slovenia - ha aggiunto Janša - i comunisti sloveni in pochi mesi hanno ammazzato più sloveni che i fascisti in vent'anni".

In una nota il Ministero degli esteri ha parlato di un’interpretazione unilaterale e selettiva della storia, non in linea con lo spirito europeo. Nella missiva si esprime preoccupazione per quelle che sono definite “affermazioni che vanno sulla via del revisionismo storico e non sono in linea con i fondamenti dell’Unione europea, definiti nella Carta di Helsinki sulla sicurezza e la stabilità in Europa”. Per il Ministero degli esteri la base per la comprensione di quanto accaduto durante la guerra ed il dopoguerra sta nella relazione della Commissione storica italo slovena, che ha analizzato i rapporti tra italiani e sloveni dal 1880 al 1956..

Il ministro degli esteri, Miro Cerar, ha precisato che la retorica di Tajani è assolutamente inaccettabile, ma ha anche auspicato la questione si chiuda e non si ripeta più. Nodo del contendere le dichiarazioni sull’Istria e la Dalmazia italiana del presidente del parlamento europeo.

L’eurodeputata socialdemocratica Tanja Fajon ha accusato di revisionismo Tajani, che assieme al capo dello stato Sergio Mattarella e al ministro dell’Interno Matteo Salvini sono stati additati di “risvegliare il fascismo”. La Fajon, insieme all’europarlamentare del Partito dei pensionati Ivo Vajgel, se l'è presa anche contro la mostra sull’esodo organizzata all’europarlamento nei giorni scorsi. Vajgel non mancato nemmeno di protestare vibratamente per la parole di Salvini e Tajani. 

ll vicepresidente dei socialdemocratici, Matjaž Nemec, tornando alla cerimonia di Basovizza, ha detto che i rappresentanti italiani hanno parlato di “fatti irreali” presentati in “una luce diversa”. Per Nemec oggi come cent’anni fa si sta rinfocolando il fascismo. Il presidente del partito Dejan Židan invece ha parlato di dichiarazioni che turbano la serenità ed ha invitato, per il bene dei rapporti reciproci, ad interpretare i fatti in linea con il rapporto della Commissione storica mista italo – slovena.

Il deputato capodistriano della Sinistra, Matej Tašner Vatovec ha chiesto al governo di inviare una nota di protesta per le parole di Salvini e Tajani, per i manifesti di CasaPound di fronte alle scuole Slovene di Gorizia e di agire per la tutela della minoranza slovena in Italia.

Alle reazioni dei politici si sono aggiunte anche quelle di personaggi più o meno influenti sui social. A finire nel mirino, fin da venerdì scorso, anche il film Red Land, che narra la vicenda di Norma Cossetto, bollato come una mera operazione di propaganda fascista e di revisionismo storico. Più di un appunto è piovuto anche su Unione Italiana e sulla Comunità autogestita della nazionalità italiana di Isola che il 22 ed il 23 febbraio prossimo organizzeranno una proiezione privata della pellicola.

Stefano Lusa
 
 
... Solo nel 2015, a seguito dello scandalo scoppiato sul caso del repubblichino Paride Mori e quindi alla scoperta di centinaia di riconoscimenti assegnati a caduti che “facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia”, l’ANPI ha chiesto di sospendere gli effetti della Legge sul GIORNO DEL RICORDO. Viceversa i termini per i suddetti riconoscimenti sono stati prorogati per ulteriori 10 anni: di qui nel 2016 una lettera dell’allora presidente nazionale ANPI Carlo Smuraglia con richiesta di chiarimenti, in particolare, agli esponenti PD Del Rio e Serracchiani, lettera cui non è stata data alcuna risposta pubblica.
A dicembre 2016 il Comitato Nazionale ANPI approvava il documento “Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni”, sintesi di un seminario interno organizzato per dipanare le questioni, nel quale però non si affronta la questione dei “premiati” né si contesta l’istituzione del GIORNO DEL RICORDO...

 
BHL prepara la "rivoluzione colorata" anche in Italia?
 
1) Bernard-Henri Lévy [BHL] in "tournée'" in Italia "contro il populismo" (F. Santoianni, 22/01/2019)
2) “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di Bernard-Henri Lévy (D. Barontini, 29/1/2019)
3) Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso (J. Cook / Globalresearch.ca, 1/2/2019)
 
 
N.B. Sulle prodi gesta di BHL, teorico della superiorità morale dell'imperialismo occidentale, si vedano i numerosi post degli scorsi anni in JUGOINFO: dalla amicizia con il mercante di armi Jean-Luc Lagardére
fino alla torta presa in faccia a Belgrado due anni fa
 
 
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Bernard-Henri Lévy, l'alfiere dell’imperialismo francese in "tournée'" in Italia "contro il populismo"
 
Nella verosimile speranza che qualche imbecille gli “rinfacci” il suo “essere ebreo” - per potere così attestare l’”antisemitismo” che permeerebbe il “populismo” e ravvivare così la sua imminente tournée italiana - scalda i motori con ben tre articoli (vedi quiqui e qui) e un video pubblicati in tre giorni su La Stampa. Stiamo parlando di Bernard-Henri Lévy, salito agli onori delle cronache in Italia  quando, nell’ormai lontano 1977, spacciandosi per “rivoluzionario”, insieme ad altri tre “filosofi”, riuscì a dirottare sulle secche dell’antioperaio “Movimento degli indiani metropolitani” quello che restava del “68. Forse il primo tentativo di creare uno pseudo movimento “rivoluzionario” che, dopo il crollo del Muro di Berlino, sarà poi perfezionato e applicato, dai Think tank del Dipartimento di Stato, in tutto il mondo, fino ad arrivare al trionfo del “movimento dei diritti umani” e, quindi delle Primavere colorate.
 
Primavere colorate - e, quindi, guerre - delle quali Bernard-Henri Lévy si direbbe essere il principale promotore. Ma su questo già molto si è scritto. Meglio accennare, invece, sul progetto politico che sta dietro la sua scesa in campo per le elezioni europee e, soprattutto, sulla titubanza dei media italiani (ad eccezione del Gruppo editoriale de Benedetti) ad appoggiarlo. A spiegarlo è, sostanzialmente, il disfacimento della base del Partito Democratico dilaniata dalla tentazione di appoggiare, in funzione anti-Salvini, o  quella che si ritiene “l’anima di sinistra del Movimento Cinque Stelle” o gli euroinomani, capitanati da Carlo Calenda  (in questi giorni galvanizzati e dall’endorsement di Bernard-Henri Lévy).

In tal senso la scesa in campo dell’alfiere dell’imperialismo francese (forte del Trattato di Aquisgrana tra la Merkel e Macron) attiva una dinamica da seguire con attenzione.
 
Francesco Santoianni, 22/01/2019
 
 
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“In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”, parola di Bernard-Henri Lévy
di Dante Barontini, 29 gennaio 2019
 

Proprio quando senti in giro dire “ma a che serve più la filosofia?”, ecco che arriva un arrogante intellettuale imperialista – uno che addirittura può raccontare di aver partecipato ad assemblee del ‘68 – a dimostrare che in effetti serve. Ed anche a molto. Ovviamente, non era questa la sua intenzione…

Bernard-Henri Lévy è così abituato a dare spettacolo di sé che, alla fine, ha messo su uno spettacolo vero e proprio con cui si appresta a girare per il Vecchio Continente, intitolato proprio «Looking for Europe» (In cerca dell’Europa). Scopo dichiarato: “ rinnovare un’idea romantica dell’Europa, un’idea che porta speranza”. Si vede che la realtà. In questi ultimi decenni, ne ha fatto vedere e toccare una molto diversa, e quindi vai con la propaganda “romantica” per stendere cerone sulle lacerazioni dovute all’austerità…

Ma che c’entra la filosofia con uno spettacolo? Per un verso andrebbe chiesto a lui, che si inserisce nella tendenza a “spacciare pillole filosofiche” in piazze più o meno improbabili, dove si volgarizza alla meglio il pensiero teorico che ha per sua natura bisogno di scrittura e dialogo, invece della modalità broadcasting…

Per un altro verso, invece, Bernard-Henri Lévy va quasi ringraziato per aver infilato, in un profluvio di parole abusate, un concetto di filosofia politica che nessun pensatore liberaldemocratico aveva fin qui osato proporre: “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”.

I pensatori reazionari dell’Ancien Régime settecentesco, ovviamente, erano stati assai più drastici (“il popolo non deve essere sovrano”), ma a partire dal 1789, relativa presa della Bastiglia e successiva decapitazione dei monarchi, e con la ben più contrastata affermazione della democrazia liberal-borghese moderna il popolo è diventato lentamente l’unico legittimo titolare della sovranità entro un determinato spazio geografico; nazionale, sovranazionale o internazionale che fosse.

Dunque, stupisce a prima vista un’affermazione del genere in bocca a un liberal-liberista che ha fatto della forma della democrazia parlamentare l’architrave fondamentale del suo discorso in pubblico. Un pensiero violento, interventista, imperiale da punto di vista culturale e antropologico, che arroga alle – appunto! – democrazie occidentali il potere di decidere se un certo assetto politico-istituzionale di un certo paese rientra nei parametri della “democrazia” oppure in quelli della “dittatura”. E, nel secondo caso, di intervenire militarmente per imporre un assetto diverso, magari anche altrettanto anti-democratico…

Posizione interventista diventata “pensiero unico” a partire dal crollo del Muro, infiocchettata nella definizione di “ingerenza umanitaria” con il corollario ossimorico della “guerra umanitaria”. Bosnia, Iraq (due volte), Libia, ecc. Henri Lévy non ha mancato mai un appuntamento di guerra, elaborando ogni volta un’apposita narrazione giustificativa. Allegrotta e sgangherata sul piano concettuale, ma utilissima al giornalista medio che ha bisogno di frasi precotte da infilare come mantra nei suoi “pezzi”.

Solo questa affermazione sulla sovranità che non deve appartenere solo al popolo è in effetti una vera novità. Per lo meno, lo è il fatto che venga detto con questa nettezza, davvero “quasi filosofica”… da Bignami, insomma. Wolfgang Schaeuble, ex ministro tedesco più portato per l’economia, l’aveva detto in modo più indiretto: “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla” (con una certa enfasi su quell'”assolutamente”, che lascia spazio zero a qualsiasi ipotesi di “superamento dei trattati”).

Il giornalista di Le Temps, come spesso accade davanti a certi “mostriciattoli sacri” che non vanno contraddetti, non pone la domanda che sarebbe ovvia: ma se la sovranità – il potere politico di decidere – non deve appartenere solo al popolo, quali altri soggetti o istituti ne debbono essere titolari?

Non si tratta di una curiosità intellettuale, ma della questione fondamentale che distingue – appunto – le democrazie (comprese quelle popolari, presenti e passate, che Bernard-Henri invece odia) dalle dittaturedalle monarchie, e da altre forme ibride oligarchiche che non sono ancora classificate con chiarezza.

Bernard-Henri non ci dice dunque chi siano questi altri “condomini” della sovranità – e ci deve essere un motivo non nobile, diciamo – ma una cosa la dice proprio fuori dai denti: “smettiamo di sacralizzare la gente.. […] La democrazia ha bisogno della trascendenza”.

Ossia di un “ente” da rispettare quasi religiosamente perché sa “meglio del popolo” cosa è bene fare e cosa no (“ Se ripetiamo: il popoloil popoloil popolo… andiamo dritti a una crisi di civiltà”). E chi sarà mai questo fantozziano Megadirettore Galattico che deve sostituirsi alla sovranità del popolo? Ma l’Unione Europea, ovvio! L’unica struttura che contiene le competenzetecniche per esaudire la volontà dei “mercati”.

Non c’è molto altro da commentare, potere leggere l’intervista tramire il link.

C’è solo da ringraziarlo, ripetiamo, per la sua involontaria chiarificazione: chi tuona contro “i sovranismi” sta semplicemente dicendo che la democrazia deve finire, in Europa, perché ci sono poteri molto più potenti e “razionali” dei popoli. Che in fondo, si sa, sono “come un bambino…”.

Benvenuti nel piccolo mondo dell’intellettuale macroniano…

 
 
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ORIG.: A European “Liberal Elite” Still Luring Us Towards the Abyss (By Jonathan Cook / Global Research, February 01, 2019)
 
 
www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 04-02-19 - n. 700

Un'élite liberale europea ci attira ancora verso l'abisso

Johnathan Cook | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/02/2019

Un gruppo di 30 rispettati intellettuali, scrittori e storici ha pubblicato un manifesto lamentando l'imminente collasso dell'Europa e dei suoi presunti valori illuministici di liberalismo e razionalismo. L'idea di Europa, avvertono, "sta cadendo a pezzi davanti ai nostri occhi", mentre la Gran Bretagna si prepara alla Brexit e i partiti "populisti e nazionalisti" sembrano pronti a incassare ampi successi nelle elezioni in tutto il continente.

Il breve manifesto è stato pubblicato nelle riviste europee dell'élite liberale, in giornali come The Guardian.

"Dobbiamo ora combattere per l'idea di Europa o perire sotto le ondate del populismo", si legge nel documento. Fallire significa che "il risentimento, l'odio e una pletora di infelici passioni ci circonderanno e sommergeranno".

A meno che non si possa cambiare la situazione, le elezioni in tutta l'Unione europea saranno "le più calamitose che abbiamo mai conosciuto: una vittoria per i sabotatori, la disgrazia per coloro che credono ancora nell'eredità di Erasmo, Dante, Goethe e Comenius; il disprezzo per l'intelligenza e la cultura; esplosioni di xenofobia e antisemitismo ovunque; il disastro".

Il manifesto è stato scritto da Bernard-Henri Levy, il filosofo francese devoto ad Alexis de Tocqueville, un teorico del liberalismo classico. Tra i firmatari figurano i romanzieri Ian McEwan, Milan Kundera e Salman Rushdie, lo storico Simon Shama e i premi Nobel come Svetlana Alexievitch, Herta Müller, Orhan Pamuk e Elfriede Jelinek.

Sebbene non nominati, i loro eroi politici europei sembrano essere l'Emmanuel Macron di Francia, attualmente impegnato nel tentativo di schiacciare le proteste popolari contro l'austerità dei Gilet gialli e la cancelliera tedesca Angela Merkel, a presidio delle barricate per l'élite liberale contro una rinascita dei nazionalisti in Germania.

Mettiamo da parte, in questa occasione, la strana ironia che molti dei firmatari del manifesto - non ultimo lo stesso Henri Levy - hanno una ben nota passione per Israele, uno stato che ha sempre respinto i principi universali apparentemente incarnati nell'ideologia liberale e che invece si schiera apertamente per un nazionalismo etnico simile a quello che ha squassato l'Europa nel secolo scorso.

Concentriamoci invece sulla loro affermazione secondo cui "il populismo e il nazionalismo" sono sul punto di uccidere la tradizione liberale democratica dell'Europa e gli stessi valori più cari a questo illustre gruppo. La loro speranza, plausibilmente, è che il loro manifesto serva come un campanello d'allarme prima che le cose prendano una svolta irreversibile in senso peggiorativo.

Il crollo del liberalismo

In un certo senso, la loro diagnosi è corretta: l'Europa e la tradizione liberale si stanno sgretolando. Ma non perché, come insinuano con forza, i politici europei assecondano gli istinti più bassi di una marmaglia insensata, vale a dire la gente comune verso la quale hanno così poca fede. Piuttosto perché il lungo esperimento nel liberalismo ha finalmente fatto il suo corso. Il liberalismo ha chiaramente fallito, e ha fallito catastroficamente.

Questi intellettuali si trovano, come ognuno di noi, su un precipizio dal quale stiamo per saltare o cadere. Ma l'abisso non si è aperto, come dicono loro, perché il liberalismo viene respinto. Piuttosto, l'abisso è l'inevitabile risultato della reiterazione del modello liberista come soluzione alla nostra attuale situazione, anche da parte di questa élite sempre più ristretta e contro ogni evidenza razionale. È la tenace trasformazione di un'ideologia profondamente viziata in religione. È l'idolatria verso un sistema di valori che ci distrugge.

Il liberalismo, come la maggior parte delle ideologie, ha aspetti positivi. Il suo rispetto per l'individuo e le sue libertà, il suo interesse nel coltivare la creatività umana e la promozione dei valori universali e dei diritti umani rispetto all'approccio tribale, con alcune conseguenze positive.

Ma l'ideologia liberale è stata molto efficace nel nascondere il suo lato oscuro o più precisamente, nel persuaderci che questo lato oscuro è la conseguenza della rinuncia del liberalismo piuttosto che un fattore inerente al progetto politico liberale.

La perdita dei tradizionali legami sociali - tribali, settari, geografici - ha lasciato le persone oggi più sole, più isolate di quanto fossero in qualsiasi precedente società umana. Possiamo sostenere a parole i valori universali, ma nelle nostre comunità atomizzate, ci sentiamo alla deriva, abbandonati e arrabbiati.

Sottrazione di risorse umanitarie

La professata preoccupazione liberale per il benessere degli altri e per i loro diritti ha, in realtà, fornito una copertura cinica per una serie di sottrazioni di risorse sempre più sfacciate. Lo sfoggio di credenziali umanitarie del liberalismo ha permesso alle nostre élite di lasciare una scia di massacri e macerie nel loro passaggio in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e presto, a quanto pare, in Venezuela. Abbiamo ucciso "con gentilezza" e poi rubato l'eredità delle nostre vittime.

L'inconfondibile creatività individuale ha forse favorito l'arte, seppur feticizzata, e anche i rapidi sviluppi meccanici e tecnologici. Ma ha anche incoraggiato la concorrenza sfrenata in ogni ambito della vita, sia utile all'umanità o meno, e comunque con un enorme spreco di risorse.

Nel peggiore dei casi, ha letteralmente scatenato una corsa agli armamenti, che - a causa di un mix della nostra libera creatività, della nostra mancanza di Dio e della logica economica del complesso militare-industriale - è culminata nello sviluppo di armi nucleari. Abbiamo escogitato i modi più completi ed efferati inimmaginabili per ucciderci a vicenda. Possiamo commettere un genocidio su scala globale.

Nel frattempo, la priorità assoluta dell'individuo ha sancito un'auto-concentrazione patologica, un egoismo che ha fornito terreno fertile non solo per il capitalismo, il materialismo e il consumismo, ma per fondere il tutto in un super-neoliberismo. Ciò ha permesso a una piccola élite di accumulare e sottrarre la maggior parte della ricchezza del pianeta e porla al di fuori della portata del resto dell'umanità.

Peggio ancora, la nostra creatività sfrenata, il nostro autocompiacimento e la nostra competitività ci hanno reso ciechi a tutte le cose più grandi e più piccole di noi stessi. Ci manca una connessione emotiva e spirituale con il nostro pianeta, con gli altri animali, con le generazioni future, con l'armonia caotica del nostro universo. Quello che non possiamo capire o controllare, lo ignoriamo o lo deridiamo.

E così l'impulso liberale ci ha portato sull'orlo di estinguere la nostra specie e forse tutta la vita sul nostro pianeta. La nostra spinta a esaurire i beni, ad accumulare risorse per il guadagno personale, a saccheggiare le ricchezze della natura senza rispettare le conseguenze è così travolgente, così folle che il pianeta dovrà trovare un modo per riequilibrarsi. E se continuiamo, quel nuovo equilibrio, che va sotto il nome di "cambiamenti climatici", richiederà di rinunciare al pianeta.

Nadir di una pericolosa arroganza

Si può plausibilmente asserire che è un po' che gli umani si trovano su questa sozza strada. La concorrenza, la creatività, l'egoismo, dopotutto, precedono il liberalismo. Ma il liberalismo ha rimosso le ultime restrizioni, ha schiacciato qualsiasi sentimento contrario come irrazionale, incivile, primitivo.

Il liberalismo non è la causa della nostra situazione. È il nadir di una pericolosa arroganza verso la quale noi, come specie, abbiamo indugiato per troppo tempo, dove il bene dell'individuo supera qualsiasi bene collettivo, definito nel senso più ampio possibile.

Il liberale ossequia il suo piccolo e parziale campo di conoscenze e competenze, eclissando le saggezze antiche e future, quelle radicate nei cicli naturali, nelle stagioni e nella meraviglia per l'ineffabile e sconosciuto. L'attenzione incessante ed esclusiva del liberale è sul "progresso", la crescita, l'accumulazione.

Per salvarci è necessario un cambiamento radicale. Non armeggiare, non riformare, ma una visione completamente nuova che rimuova l'individuo e la sua gratificazione personale dal centro della nostra organizzazione sociale.

Questo non è contemplato per le élite che pensano che la soluzione stia in una maggiore, e non minore, dose di liberalismo. Chiunque si allontani dalle loro prescrizioni, chiunque aspiri a essere più di un tecnocrate addetto a correggere i difetti minori dello status quo, viene presentato come una minaccia. Nonostante la modestia delle loro proposte, Jeremy Corbyn nel Regno Unito e Bernie Sanders negli Stati Uniti sono stati insultati da un'élite mediatica, politica e intellettuale pesantemente investita nel perseguire ciecamente il sentiero dell'autodistruzione.

Sostenitori dello status quo

Di conseguenza, ora abbiamo tre chiare tendenze politiche.

La prima è quella dei sostenitori dello status quo, quella degli scrittori europei del più recente - e ultimo? - manifesto sul liberalismo. In ogni passaggio del manifesto dimostrano quanto siano irrilevanti, quanto incapaci nel fornire risposte alla domanda su come dobbiamo andare avanti. Si rifiutano categoricamente di guardare all'interno del liberalismo per capire cosa è andato storto e di osservare l'esterno per comprendere come salvarci.

Irresponsabilmente, questi guardiani dello status quo raggruppano la seconda e la terza tendenza nella futile speranza di preservare la loro presa sul potere. Entrambe le altre due tendenze sono derise indiscriminatamente come "populismo", come politica dell'invidia, politica della folla. Queste due tendenze alternative e opposte sono considerate indistinguibili.

Ciò non salverà il liberalismo, ma aiuterà a promuovere il peggio delle due alternative.

Chi nelle élite ha capito che il liberalismo ha fatto il suo tempo, sfrutta la vecchia ideologia predatoria del capitalismo: mentre cercano di distogliere l'attenzione dalla loro avidità e dalla difesa dei loro privilegi, seminano discordia e insinuano minacce oscure.

Le critiche dell'élite liberale formulate dai nazionalisti etnici suonano convincenti perché poggiano sulle verità del fallimento del liberalismo. Ma sono ingannevoli, non offrono soluzioni a parte il loro avanzamento personale nel sistema esistente, fallito, destinato all'autodistruzione.

Il nuovo autoritarismo [la seconda tendenza] sta tornando ai vecchi e fidati modelli del nazionalismo xenofobo, offrendo gli altri come capro espiatorio per sostenere il proprio potere. Stanno abbandonando la sensibilità ostentata e coscienziosa del liberale per continuare il saccheggio sfrenato. Se la nave affonda, rimarranno al buffet finché le acque non raggiungeranno il soffitto della sala da pranzo.

Dove può risiedere la speranza

La terza tendenza è l'unico posto in cui risiede la speranza. Questa tendenza, dei "dissidenti", comprende che è necessario un nuovo pensiero radicale. Ma dato che questo gruppo è attivamente schiacciato dalla vecchia élite liberale e dai nuovi autoritarismi, ha poco spazio pubblico e politico per esplorare le sue idee, per sperimentare, per collaborare, come è urgentemente necessario.

I social media forniscono una piattaforma potenzialmente vitale per iniziare a criticare il vecchio sistema fallito, per sensibilizzare su ciò che è andato storto, per contemplare e condividere idee radicali e mobilitarsi. Ma i liberali e gli autoritari vivono la critica come una minaccia ai loro stessi privilegi. Sotto l'isteria delle "fake news", stanno rapidamente lavorando per spegnere anche questo piccolo spazio.

Abbiamo così poco tempo, ma la vecchia guardia vuole bloccare qualsiasi possibile via per la salvezza: anche se i mari sono pieni di plastica, se le popolazioni di insetti scompaiono in tutto il mondo e il pianeta si prepara a tossire un grumo di muco infetto.

Non dobbiamo essere ingannati da questi progressisti liberatori del manifesto: i filosofi, gli storici e gli scrittori - l'ala delle pubbliche relazioni - del nostro status quo suicida. Non ci hanno avvertito della bestia che giaceva in mezzo a noi. Non hanno visto il pericolo incombere e il loro narcisismo li acceca ancora.

Non dovremmo ascoltare i guardiani del vecchio, quelli che hanno trattenuto le nostre mani, che hanno indicato un sentiero che porta l'umanità sull'orlo della sua stessa estinzione. Dobbiamo evitarli, chiudere le orecchie al canto delle loro sirene.

Ci sono piccole voci che lottano per essere ascoltate al di sopra del ruggito delle elite liberali morenti e del barrito dei nuovi autoritarismi. Devono essere ascoltate, aiutate a condividere e collaborare per offrire visioni di un mondo diverso. Un mondo dove l'individuo non è sovrano. Dove impariamo modestia e umiltà e come fare ad amare nel nostro angolo infinitamente piccolo dell'universo.

* Jonathan Cook ha vinto il Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri comprendono Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel Experiments in Human Despair (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net. È un frequente collaboratore di Global Research.
 
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus aderisce ed invita ad aderire e partecipare al sit-in unitario che si terrà oggi a Roma in difesa del Venezuela democratico e sovrano. Proprio come 20 anni fa l'imperialismo a guida USA era determinato a rovesciare il governo delle sinistre in Jugoslavia per smembrare ciò che restava di quel paese, oggi le stesse tattiche fatte di sanzioni, destabilizzazione economica, omicidi politici e terrorismo, mercenariato e propaganda di guerra vengono usate contro il Venezuela. Uniamo le forze della solidarietà internazionalista!

(slovenščina / hrvatskosrpski / italiano)

 
I "bimbi delle foibe" ed altri sintomi di impazzimento
 
1) Fojbe: Šarec proti Tajaniju / Foibe: Marjan Šarec [primo ministro sloveno] accusa Tajani
 
2) I Italija Sedlara za utrku ima: Pogledali smo film bizarnog naziva "Rosso Istria" (D. Rubeša / Novi List)
 
3) Parma, convegno "Foibe e fascismo", ANPI: "Dalle destre rincorsa grottesta e comica a spararla più grossa". Rizzo (PC): «L’ANPI sbaglia a dissociarsi»
 
4) Bolzano, sindaco PD Caramaschi: "Tra Auschwitz e foibe, nessuna differenza"
 
5) Le dichiarazioni istituzionali
DA BASOVIZZA: Si stima abbiano perso la vita oltre 300mila persone / Salvini: “I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali” / Tajani: “Non possiamo permettere che una dittatura efferata, che una dittatura comunista come quella di Tito, ripeta in Venezuela quello che è accaduto qui... Chi nega ciò che è accaduto è complice” / Fico: “Quella delle foibe è stata una delle pagine più drammatiche della storia del nostro Paese" / Salvini: "Chi nega uccide due volte" / Grasso: “Nel 1947 nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia furono costretti all’esilio e gettati nelle foibe." Immediato il commento di Maurizio Gasparri: “Ma come si fa a scrivere ‘nel 1947’, gli eccidi e l’esilio cominciarono molto prima" / Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: "Subire ancora dei rigurgiti negazionisti da parte di alcune associazioni dell'ANPI... Il negazionismo può essere considerato lo stadio supremo del genocidio" / Giorgia Meloni: "Abbiamo vinto" / A celebrare la messa di suffragio a Basovizza l’arcivescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi / Schierati ... una rappresentanza delle X Mas... oltre quattrocento gli studenti / Tajani: "ai 97 Finanzieri che non avevano anche loro ammainato il Tricolore, buttati in una Foiba, e a Don Bonifacio, ucciso perchè non aveva ammainato la bandiera italiana"
DAL QUIRINALE: Mattarella: "una grande tragedia italiana" / "Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo" / "innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti ... chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla" / "solo dopo la caduta del muro di Berlino ... una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo" / "Ringrazio gli ambasciatori di Slovenia, di Croazia e del Montenegro per la loro presenza qui" / In precedenza il Presidente del Consiglio dei Ministri, coadiuvato dal Capo del Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Paola Paduano e dal Presidente della Federesuli, aveva consegnato le medaglie commemorative del "Giorno del Ricordo"
 
 
Si vedano anche:
 
Corriere della Sera, a confronto, 1944--2019
https://www.facebook.com/pg/diecifebbraio1947/posts/

Il giorno del cattivo ricordo (di Giorgio Cremaschi, 9.2.2019)
... Il 10 febbraio avrebbe potuto essere la data per ricordare che i costi delle guerre li pagano sempre gli innocenti e che le guerre sono un orrore da ripudiare sempre, come è scritto nella nostra Costituzione. Invece è divento il giorno con il quale Salvini e Casapound sostituiscono il 25 aprile. E questo per la malafede e l’opportunismo di tanti democratici, che volevano far bella mostra del loro anticomunismo e così hanno promosso una celebrazione revisionista falsa ed ignobile...
 
La tragedia delle foibe, quando il passato si piega alle esigenze del presente (di Matteo Zola, 10.2.2019)
... L’istituzione del Giorno del Ricordo, promossa dalle forze reazionarie e post-fasciste dell’allora governo Berlusconi, nasce con il duplice intento di trasformare i carnefici in vittime, glorificando l’italianità – fascista, all’epoca dei fatti – e reiterando il mito della barbarie slava; e di presentare il comunismo come ideologia criminale di cui, a 70 anni di distanza, la sinistra italiana sarebbe erede e quindi complice...
 
“Chi nega le foibe verrà denunciato” (di Daniele Camilli, 4 febbraio, 2019)
Viterbo - Il presidente provinciale del comitato 10 febbraio Maurizio Federici durante la presentazione della Giornata del ricordo
[Si noti in questo articolo che i 15 "infoibati" viterbesi sono piuttosto "fucilati o deceduti", uno ad esempio in un incidente in miniera: e non viene nemmeno lontanamente posto il quesito di che cosa ci stessero a fare tutti questi "cinque della guardia di finanza, 5 dell’arma dei carabinieri, 3 della polizia di stato, un impiegato della prefettura e un sergente dell’esercito" viterbesi (sic) in quelle terre in quegli anni]
 
=== 1 ===
 
 
Fojbe: Šarec proti Tajaniju

Kritični odmevi v slovenski politiki
Spletno Uredništvo | Slovenija | 11. Feb. 2019
 
»V soboto sem govoril o želji po potvarjanju zgodovine v Sloveniji. Enako se dogaja na italijanski strani meje. Žal s strani vidnih politikov, celo funkcionarjev EU. Zgodovinski revizionizem brez primere. Fašizem je bil dejstvo in imel je za cilj uničenje slovenskega naroda,« je na twitterju pred nekaj minutami zapisal predsednik slovenske vlade Marjan Šarec. Nanašal se je očitno na včerajšnjo prireditev na fojbi pri Bazovici in na sporni govor predsednika evropskega parlamenta Antonia Tajanija.
 
 
Ostro so se odzvali tudi nekateri slovenski in evropski poslanci. Tanja Fajon (SD) je napovedala, da bo od Tajanija zahtevala pojasnila na naslednjem zasedanju EU parlamenta. »Predsednik EP je zadnji, ki si lahko privošči, da nastopa z jezikom revizionizma zgodovine,« je bila jasna Fajon. Dodala je, da v Italiji več ne zastopa interesov institucije, ki jo vodi.
 
--- italiano:
 
TRAD.: 
 
Foibe: Sarec contro Tajani
 
Echi critici nella politica slovena – Primorski Dnevnik (Trieste), 11. feb. 2019
Fonte: https://www.primorski.eu/se/fojbe-sarec-proti-tajaniju-LN197159

"Sabato ho parlato del desiderio di deviare la storia in Slovenia. Lo stesso sta accadendo sul versante italiano del confine. Sfortunatamente, da politici di spicco, anche funzionari dell'UE. Un revisionismo storico senza precedenti. Il fascismo era un dato di fatto e mirava alla distruzione della nazione slovena", ha scritto il primo ministro della Repubblica di Slovenia, Marjan Šarec, su Twitter pochi minuti fa. Si riferiva ovviamente agli eventi di ieri a Basovizza e al discusso discorso della presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.
Anche altri sloveni e membri del Parlamento europeo hanno reagito duramente. Tanja Fajon (SD) ha annunciato che chiederà chiarimenti a Tajani alla prossima sessione parlamentare dell'UE. "Il presidente del Parlamento europeo è l'ultimo che può permettersi di parlare con il linguaggio del revisionismo storico", ha chiarito Fajon. Ha aggiunto che egli in Italia non ha rappresentato gli interessi dell'istituzione che presiede. 
 
I Italija Sedlara za utrku ima: Pogledali smo film bizarnog naziva "Rosso Istria"
 
Autor: Dragan Rubeša
Objavljeno: 3. prosinac 2018.
 

U filmu nema ni riječi o rasnim zakonima, masakrima i nasilnoj talijanizaciji koju su provodili Mussolinijevi fašisti. Svu krivnju autor pripisuje Titovim partizanima kao simbolima najbestijalnijeg zla

Ovih dana Trstu se dogodila prva prava zimska bura. Da bismo se zaštitili od njenih refula, sakrili smo se u popularnu oštariju »Siora Rosa« na porciju vruće jote, listajući lokalni dnevnik. U njegovoj info rubrici zamijetili smo da se u kinu Fellini prikazuje komad bizarnog naziva »Rosso Istria« u režiji nama posve anonimnog sineaste Maximiliana Hernanda Bruna, čija imena ali i fizionomija prizivaju ljepuškastu vedetu meksičke sapunice.

 
 

Ne, nije to bio još jedan komad s notornim predikatom »cinema a luci rosse«. Iako u njemu ima dovoljno (političkog) hardcore porna. Da bi paradoks bio veći, dotična oštarija smještena je nasuprot institucije poznatije kao »Civico Museo della Civilta Istriana, Fiumana e Dalmata«. Umjesto deserta, odlučili smo ignorirati njegove muzejske artefakte i pogledati Brunov komad. I bolje da nismo. Jer pojedini kadrovi »Crvene Istre«, ali i autorov odbojni revizonizam, skoro su nas natjerali da povratimo na crvenu fotelju kina kompletni sastav netom konzumirane slasne jote.

Apsolutno zlo 

Da bi paradoks bio veći, Bruno je dodijelio jednu od uloga i slavnoj Geraldine Chaplin. No programeri ovogodišnjeg ZFF-a koji su ugostili tu glumicu, očito nisu znali za njen opsukrni projekt. Ili su se pravili da ne znaju. Ostaje nepoznanica što je tu etabliranu glumicu natjeralo da se ukaže u »Crvenoj Istri«, iako je riječ o cameo ulozi. Jer, njen boravak u toj istoj »crvenoj Istri« (ovo je sada politička a ne filmska i geološka sintagma) dogodio se dolaskom na brijunski set komedije belgijskog tandema Brossens & Woodworth »The Barefoot Emperor« (Bosonogi car) koju je financirao i HAVC. Možda je sve to bio dio njena istarsko-frijulanskog itinerara, koji je uz Brijune uključio i tršćanski Magazzino 18. Na potonjoj lokaciji snimljena je sekvenca Brunova komada u kojoj ona kao odrasla Giuliana Visantrin vodi svog unuka na mjesto koje priziva esulske užase njene ratne prošlosti. Zato nam se na prvi pogled učinilo da je »Rosso Istria« nekakav lokalni remake Argentova »Profondo rosso«. Ubrzo smo shvatili da je njegov horor još jeziviji i morbidniji. Doduše, engleski naziv filma je »Red Land«, jer većina Amera očito nije u stanju na geografskoj karti locirati Croatiu, a kamoli Istriu.

Na sreću, HAVC ne stoji iza »Crvene Istre« kao akter u sferi manjinskih koprodukcija, iako nas sa obzirom na utjecaj koji u njemu trenutno imaju braniteljske udruge, ne bi čudilo da ih je napalila ta porno storija o talijanskom Bleiburgu. No Visantrin je u filmu samo jedna od žrtava »zločina« koje su »krvožedni« istarski partizani počinili u Brunovoj Vižinadi kao simboli apsolutnog zla. U fokusu je lik Giulianine prijateljice iz djetinjstva Norme Cossetto (glumi je Selene Gendini). A naziv filma odnosi se na njen diplomski rad koji se bavio istarskom crvenicom, dok je biciklom istraživala istarske arhive i crkve u potrazi za materijalom. Iako ta boja ima posve drukčije krvave konotacije. Nakon što su je Titovi partizani silovali u nepodnošljivo dugoj sekvenci, njeno će tijelo biti bačeno u fojbu blizu Ville Surani. Puno godina kasnije, sveučilište u Padovi koje je pohađala, uručit će joj počasnu titulu. A talijanski predsjednik Ciampi ju je 2005. odlikovao ordenom za građanske zasluge.

Fašist i revizionist 

Iako ju je predsjednik Federacije esula Antonio Ballarin prilično neumjesno i bez relevantnih dokaza opisao kao »talijansku Annu Frank«, svedenu na ultimativnu mučenicu, talijanski antifašisti su je prikazali kao fanatičnu sljedbenicu fašističkog režima. Kao što je i Bruno u njihovim reakcijama žigosan kao »fašist i revizionist«, neka vrsta talijanskog Sedlara, što je itekako blizu istini. U filmu naime nema ni riječi o rasnim zakonima, masakrima i nasilnoj talijanizaciji koju su provodili Mussolinijevi fašisti. Svu krivnju autor pripisuje Titovim partizanima kao simbolima najbestijalnijeg zla. U čitavom filmu, režiser je odvojio tek 10 minuta za njemačku okupaciju Vižinade. U toj okupaciji nisu ispalili nijedan metak, ne računjaući na egzekuciju manje grupe. »Fascisti? Comunisti? Siamo tutti noi«, kazat će u jednoj sceni lik profesora kojeg u filmu glumi Franco Nero, uz Chaplin još jedan poznati glumac kojem sve ovo nije trebalo. Jer, tragična sudbina mlade Cossetto postala je prvorazredna tema političkih prepucavanja i skupljanja predizbornih bodova.

Zato na partizanska »zlodjela« inkarnirana u liku komandanta i krvnika Mate (glumi ga Slovenac Romeo Grebenšek) otpada barem 130 minuta tog predugog filma. Paradoks je tim veći da ga je producirao talijanski RAI, koji se s obzirom na trenutnu talijansku političku klimu, u kojoj konce vuče ministar Salvini, sve više približava HTV-u (film je očito zamišljen kao mini TV serija od tri epizode). Zato nije ni čudo da je na tršćanskoj svečanoj projekciji Brunova filma bio nazočan i gradonačelnik Dipiazza, inače pripadnik notorne Lege Nord. Iako je redatelj »Crvene Istre« trebao biti stanoviti Antonello Belluco, sin riječkih esula i autor revizionističkog filma »Il segreto d'Italia« u kojem on tematizira »masakr« koji su partizani počinili 1945. u Codevigu blizu Chioggie.

Dobra je vijest da su na nedavnom tršćanskom maršu Case Pound, njihovi antifašistički protivnici bili brojniji. Što je u »Ružnoj našoj« nezamislivo. Kao što su u nas nezamislivi antifašistički filmovi poput Gianikianova »I diari di Angela – Noi due cineasti« ili Trevesova doksa »1938 Diversi« prikazani na lanjskoj venecijanskoj Mostri (potonji govori o rasnim zakonima fašističkog režima u Italiji). Na marginama te iste Mostre prikazan je na Lidu i Brunov komad, koji s razlogom nije bio uvršten u službeni festivalski program, na čijoj »ekskluzivnoj« projekciji nije bio dopušten ulaz akreditiranim novinarima. »Poznata mi je tragedija esula i fojbi jer mi je baka, porijeklom iz Dalmacije, bila u nemilosti Titovih partizana kad je na jednom zidu u Goriziji napisala Viva l'Italia«, kazala je patetična Gendini. Ali bila je to »ekskluzivna projekcija« strogo rezervirana za producente i lokalne glavešine Lege Nord. Zato ostaje pitanje dana kad će Brunov komad osvanuti na platnima riječkog Euroherca ili trsatskog svetišta, poslovično naklonjenim Sedlarovom recentnom opusu.

Nema sumnje da će iste rastvoriti crveni tepih za »Crvenu Istru«.

 
=== 3 ===
 
N.B. La dichiarazione di Carla Nespolo su Facebook ha scatenato un rigurgito fognario di botta-e-risposta con fascisti e revanscisti, ma nessun chiarimento nel merito:
https://www.facebook.com/anpinaz/posts/10156252596057903?__tn__=C-R

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10 FEBBRAIO 2019

Foibe e fascismo, Anpi Parma: "Dalle destre rincorsa grottesta e comica a spararla più grossa"

Dopo una settimana di dure polemiche, che hanno visto protagonista anche il ministro dell'Interno Matteo Salvini, si è svolta a Parma la 14esima edizione della manifestazione Foibe e fascismo a cui ha preso parte, come da programma, anche l'Anpi locale. Nel suo intervento, il presidente Aldo Montermini ha ribadito di non dover giustificare la presenza dell'Anpi all'appuntamento e ha ringraziato per gli attestati di solidarietà pervenuti all'associazione. Montermini ha inoltre criticato il consigliere regionale della Lega, Fabio Rainieri, che ha chiesto alla Regione di revocare i fondi all'Api: "Contributi che noi non riceviamo" ha sottolineato. L'incontro è stato introdotto da Pier Paolo Novari. Montermini, a margine del convegno, ha detto che ci sarà un incontro con la presidente nazionale Carla Nespolo che aveva parlato di iniziativa non condivisibile. Nel pomeriggio a Parma si è svolta una fiaccolata legata alla Giornata del Ricordo.
(Fra.Na)
 
 
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RIZZO (PC): «SU FOIBE CONTINUE FALSIFICAZIONI. L’ANPI SBAGLIA A DISSOCIARSI».
8 febbraio 2019
 
«Sulla vicenda delle foibe ormai è impossibile esprimere in Italia un giudizio legato alla verità storica e alla contestualizzazione degli eventi. Chiunque affermi il vero, e cioè che quello che è avvenuto non puo’ definirsi genocidio, nè pulizia etnica, e soprattutto che le vittime non erano nell’ordine nè delle centinaia di migliaia nè dei milioni come arrivano ad affermare settori di destra, viene tacciato di negazionismo. Sbaglia l’ANPI a dissociarsi da serie iniziative di storici che mirano a contrastare con il rigore della ricerca questo mare di propaganda» Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista. «Sulle vicende del confine orientale è stata costruita una narrazione che ha stravolto la realtà, che non fa i conti con le responsabilità dell’Italia fascista, alimenta il mito del “buon italiano”, utile alla propaganda nazionalista anche per l’oggi. Una cosa sono episodi di giustizia sommaria e rappresaglie, per quanto brutali, pero assai comuni durante la guerra, e nella maggior parte in risposta ai crimini perpetrati dalla colonizzazione fascista. Altro è quello che la propaganda revisionista afferma oggi a reti unificate. La costruzione della memoria collettiva è demandata a sceneggiati privi di reale riscontro storico come quello che andrà in onda sulla Rai questa sera. Si parla di ricerca della “memoria condivisa” ma in realtà si nobilita la falsificazione. La sinistra che ha appoggiato questa tendenza, è corresponsabile tanto quanto la destra, anzi forse di più. Al contrario – conclude Rizzo – difendere la verità storica significa evitare che narrazioni tossiche influenzino il senso comune, costruendo il terreno per nuove campagne belliciste che si profilano all’orizzonte e che nulla hanno a che fare con l’interesse dei popoli, a partire da quello italiano».
 
 
=== 4 ===
 
Bolzano: Sindaco PD Caramaschi equipara "Foibe" e Auschwitz... a braccetto con Benussi, esule istriano ed ex candidato sindaco di CasaPound
 
Fonte: pagina FB "ControInformazione Alto Adige - Südtirol", 11.2.2019
 
 
La saga sulla giornata del ricordo si arricchisce di un nuova perla del sindaco di Bolzano Caramaschi. In questa foto è ritratto insieme a Ivan Benussi, ex candidato sindaco di CasaPound nonchè esponente della comunità degli esuli istriani in Alto Adige. Arrivare a paragonare le vendette che portarono all'infoibamento di alcune centinaia di persone, in gran parte fasciste e con evidenti responsabilità nei crimini compiuti contro la popolazione slava, con la macchina industriale di morte che era Auschwitz...
 
 
 
=== 5 ===
 
*** DA BASOVIZZA:
 
Si veda anche: SALVINI ALLA FOIBA DI BASOVIZZA (10.02.19, pagina FB di Matteo Salvini)

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Foibe, il giorno del ricordo: Salvini e Tajani a Basovizza. Il ministro: “Non esistono martiri di serie A e di serie B”
 
Istituita nel 2004, la commemorazione celebra le vittime delle foibe, l’esodo giuliano-dalmata e le drammatiche vicende del confine orientale negli anni a cavallo del secondo dopoguerra. Il presidente del Parlamento europeo: "Non possiamo permettere che una dittatura efferata ripeta in Venezuela quello che è accaduto qui". Roberto Fico: "Solo mantenendo vivo il ricordo contribuiremo a costruire un futuro in cui simili tragedie non si ripetano mai più"

di F. Q. | 10 Febbraio 2019
 
 
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9004 ]] 
 
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Salvini a Basovizza: "Bimbi morti nelle foibe e ad Auschwitz sono uguali" 
Il vice premier nel Giorno del Ricordo a Trieste: "Non esistono martiri di serie A e vittime di serie B". Presenti anche il presidente del Parlamento europeo Tajani, la presidente FdI Meloni, il vicepresidente della Camera Rosato, il presidente della Regione Fedriga, il sindaco Dipiazza 

10 FEBBRAIO 2019
 
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9004 ]] 
 
 
*** DAL QUIRINALE:
 
 
 
 

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’

 

Palazzo del Quirinale, 09/02/2019

  Benvenuti al Quirinale. Rivolgo un saluto al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Corte costituzionale e al Vice Presidente del Senato.

  Un ringraziamento a quanti sono intervenuti, contribuendo in maniera efficace a illustrare, a far rivivere e a comprendere il senso di questa giornata del Ricordo.

  Celebrare il Giorno del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana, vissuta allo snodo del passaggio tra la II guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda. Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano, in larga parte, la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave.

  Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo: quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti. 

  Un destino crudele per gli italiani dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia, attestato dalla presenza, contemporanea, nello stesso territorio, di due simboli dell’orrore: la Risiera di San Sabba e le Foibe.

  La zona al confine orientale dell’Italia, già martoriata dai durissimi combattimenti della Prima Guerra mondiale, assoggettata alla brutalità del fascismo contro le minoranze slave e alla feroce occupazione tedesca, divenne, su iniziativa dei comunisti jugoslavi, un nuovo teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani, lì da sempre residenti. Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni.

  Tanti innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti conclusero tragicamente la loro esistenza nei durissimi campi di detenzione, uccisi in esecuzioni sommarie o addirittura gettati, vivi o morti, nelle profondità delle foibe. Il catalogo degli orrori del ‘900 si arricchiva così del termine, spaventoso, di “infoibato”.

  La tragedia delle popolazioni italiane non si esaurì in quei barbari eccidi, concentratisi, con eccezionale virulenza, nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945.

  Alla fine del conflitto, l’Italia si presentava nella doppia veste di Paese sconfitto nella sciagurata guerra voluta dal fascismo e, insieme, di cobelligerante. Mentre il Nord Italia era governato dalla Repubblica di Salò, i territori a est di Trieste erano stati formalmente annessi al Reich tedesco e, successivamente, vennero direttamente occupati dai partigiani delle formazioni comuniste jugoslave.

  Ma le mire territoriali di queste si estendevano anche su Trieste e Gorizia. Un progetto di annessione rispetto al quale gli Alleati mostravano una certa condiscendenza e che, per fortuna, venne sventato dall’impegno dei governi italiani.

  Certo, non tutto andò secondo gli auspici e quanto richiesto e desiderato. Molti italiani rimasero oltre la cortina di ferro. L’aggressività del nuovo regime comunista li costrinse, con il terrore e la persecuzione, ad abbandonare le proprie case, le proprie aziende, le proprie terre. Chi resisteva, chi si opponeva, chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla. Essere italiano, difendere le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria religione, la propria lingua era motivo di sospetto e di persecuzione. Cominciò il drammatico esodo verso l’Italia: uno stillicidio, durato un decennio. Paesi e città si spopolavano dalla secolare presenza italiana, sparivano lingua, dialetti e cultura millenaria, venivano smantellate reti familiari, sociali ed economiche.

  Il braccio violento del regime comunista si abbatteva furiosamente cancellando storia, diversità, pluralismo, convivenza, sotto una cupa cappa di omologazione e di terrore.

  Ma quei circa duecentocinquantamila italiani profughi, che tutto avevano perduto, e che guardavano alla madrepatria con speranza e fiducia non sempre trovarono in Italia la comprensione e il sostegno dovuti. Ci furono - è vero - grandi atti di solidarietà. Ma la macchina dell’accoglienza e dell’assistenza si mise in moto con lentezza, specialmente durante i primi anni, provocando agli esuli disagi e privazioni. Molti di loro presero la via dell’emigrazione, verso continenti lontani. E alle difficoltà materiali in Patria si univano, spesso, quelle morali: certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, come nemici del popolo che rifiutavano l’avvento del regime comunista, come una massa indistinta di fascisti in fuga. Non era così, erano semplicemente italiani.

  La guerra fredda, con le sue durissime contrapposizioni ideologiche e militari, fece prevalere, in quegli anni, la real-politik. L’Occidente finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito, considerato come un contenimento della aggressività della Russia sovietica. Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani, cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria.

  Solo dopo la caduta del muro di Berlino – il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea - una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione.

  L’istituzione, nel 2004, del Giorno del ricordo, votato a larghissima maggioranza dal Parlamento, dopo un dibattito approfondito e di alto livello, ha suggellato questa ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare.

  Ricomposizione che è avvenuta anche a livello internazionale, con i Paesi amici di Slovenia e Croazia, nel comune ripudio di ogni ideologia totalitaria, nella condivisa necessità di rispettare sempre i diritti della persona e di rifiutare l’estremismo nazionalista. Oggi, in quei territori, da sempre punto di incontro di etnie, lingue, culture, con secolari reciproche influenze, non ci sono più cortine, né frontiere, né guerre. Oggi la città di Gorizia non è più divisa in due dai reticolati.

  Al loro posto c’è l’Europa, spazio comune di integrazione, di dialogo, di promozione dei diritti, che ha eliminato al suo interno muri e guerre. Oggi popoli amici e fratelli collaborano insieme nell’Unione Europea per la pace, il progresso, la difesa della democrazia, la prosperità.

  Ringrazio gli ambasciatori di Slovenia, di Croazia e del Montenegro per la loro presenza qui, che attesta la grande amicizia che lega oggi i nostri popoli in un comune destino. Ringrazio l’on. Furio Radìn, Vice Presidente del Parlamento Croato, in cui è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Croazia; e l’on. Felice Ziza, deputato all’Assemblea Nazionale Slovena, ove è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Slovenia.

  Desidero ricordare qui le parole di una dichiarazione congiunta tra il mio predecessore, il Presidente Giorgio Napolitano, che tanto ha fatto per ristabilire verità su quei tragici avvenimenti, e l’allora Presidente della Repubblica di Croazia Ivo Josipović del settembre 2011:

“Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell'Europa unita, mai più. Condanniamo ancora una volta le ideologie totalitarie che hanno soppresso crudelmente la libertà e conculcato il diritto dell'individuo di essere diverso, per nascita o per scelta”.

  L’ideale di Europa è nata tra le tragiche macerie della guerra, tra le stragi e le persecuzioni, tra i fili spinati dei campi della morte. Si è sviluppata in un continente diviso in blocchi contrapposti, nel costante pericolo di conflitti armati: per dire mai più guerra, mai più fanatismi nazionalistici, mai più volontà di dominio e di sopraffazione. L’ideale europeo, e la sua realizzazione nell’Unione, è stato - ed è tuttora - per tutto il mondo, un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace. Un modo di vivere e di concepire la democrazia che va incoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee, che vanno dalle guerre commerciali, spesso causa di altri conflitti, alle negazioni dei diritti universali, al pericoloso processo di riarmo nucleare, al terrorismo fondamentalista di matrice islamista, alle tentazioni di risolvere la complessità dei problemi attraverso scorciatoie autoritarie.

  Molti tra i presenti, figli e discendenti di quegli italiani dolenti, perseguitati e fuggiaschi, portano nell’animo le cicatrici delle vicende storica che colpì i loro padri e le loro madri. Ma quella ferita, oggi, è ferita di tutto il popolo italiano, che guarda a quelle vicende con la sofferenza, il dolore, la solidarietà e il rispetto dovuti alle vittime innocenti di una tragedia nazionale, per troppo tempo accantonata.

 
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Mattarella: «L'istituzione del Giorno del Ricordo, votato a larghissima maggioranza in Parlamento, ha suggellato ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare»
 
Si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la celebrazione del "Giorno del Ricordo".
Nel corso della cerimonia, aperta dalla proiezione di un video di Rai Storia, sono intervenuti: il Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, Antonio Ballarin, lo Storico Giuseppe Parlato, il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi e il Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Marco Bussetti. 
Il Prof. Giuseppe De Vergottini, esule di prima generazione, ha portato la sua testimonianza ed è stato successivamente intervistato da due ragazzi.
Due studenti hanno letto una pagina di "Addio alla Città di Pola" di Monsignor Antonio Santin e un brano tratto dal romanzo "Verde Acqua" di Marisa Madieri. Successivamente il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso.
Al termine il Capo dello Stato, coadiuvato dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, ha consegnato i premi alle scuole vincitrici del concorso nazionale "Fiume e l'Adriatico orientale. Identità, culture, autonomia e nuovi confini nel panorama europeo alla fine della Prima guerra mondiale".
Erano presenti alla cerimonia il Presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, il Presidente della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, il Vice Presidente del Senato della Repubblica, Ignazio La Russa, rappresentanti del Governo, del Parlamento, autorità civili ed esponenti delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
In precedenza il Presidente del Consiglio dei Ministri, coadiuvato dal Capo del Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Paola Paduano e dal Presidente della Federesuli, aveva consegnato le medaglie commemorative del "Giorno del Ricordo".

Roma, 09/02/2019
 
 
(english / italiano)
 
Skoplje-Caracas-Washington, la NATO dispone
 
1) Washington, la ragione della forza (di Manlio Dinucci, 05.02.2019)
2) Macedonia signs key NATO membership text as ratification process begins (RT, 6 Feb, 2019)
3) Il mosaico etnico macedone verso la Nato (S. Cantone / EuroNews, 08/02/2019)
4) Macedonia: il cambio del nome apre le porte della NATO (M. Siragusa, 11.2.2019)
 
 
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Washington, la ragione della forza

L’escalation Usa, dall’incoronazione di Guaidò alla sospensione del Trattato Inf
 
di Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 05.02..2019
 

Due settimane fa Washington ha incoronato presidente del Venezuela Juan Guaidò, pur non avendo questi neppure partecipato alle elezioni presidenziali, e ha dichiarato illegittimo il presidente Maduro, regolarmente eletto, preannunciando la sua deportazione a Guantanamo. La scorsa settimana ha annunciato la sospensione Usa del Trattato Inf, attribuendone la responsabilità alla Russia, e ha in tal modo aperto una ancora più pericolosa fase della corsa agli armamenti nucleari. Questa settimana Washington compie un altro passo: domani 6 febbraio, la Nato sotto comando Usa si allarga ulteriormente, con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord quale 30° membro.

Non sappiamo quale altro passo farà Washington la settimana prossima, ma sappiamo qual è la direzione: una sempre più rapida successione di atti di forza con cui gli Usa e le altre potenze dell’Occidente cercano di mantenere il predominio unipolare in un mondo che sta divenendo multipolare. Tale strategia – espressione non di forza ma di debolezza, tuttavia non meno pericolosa – calpesta le più elementari norme di diritto internazionale. Caso emblematico è il varo di nuove sanzioni Usa contro il Venezuela, con il «congelamento» di beni per 7 miliardi di dollari appartenenti alla compagnia petrolifera di Stato, allo scopo dichiarato di impedire al Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo, di esportare petrolio.

Il Venezuela, oltre a essere uno dei sette paesi del mondo con riserve di coltan, è ricco anche di oro, con riserve stimate in oltre 15 mila tonnellate, usato dallo Stato per procurarsi valuta pregiata e acquistare farmaci, prodotti alimentari e altri generi di prima necessità. Per questo il Dipartimento del Tesoro Usa, di concerto con i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche Centrali di Unione europea e Giappone, ha condotto una operazione segreta di «esproprio internazionale» (documentata da Il Sole 24 Ore). Ha sequestrato 31 tonnellate di lingotti d’oro appartenenti allo Stato venezuelano: 14 tonnellate depositate presso la Banca d’Inghilterra, più altre 17 tonnellate trasferite a questa banca dalla tedesca Deutsche Bank che li aveva avuti in pegno a garanzia di un prestito, totalmente rimborsato dal Venezuela in valuta pregiata. Una vera e propria rapina, sullo stile di quella che nel 2011 ha portato al «congelamento» di 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici (ormai in gran parte spariti), con la differenza che quella contro l’oro venezuelano è stata condotta segretamente. Lo scopo è lo stesso: strangolare economicamente lo Stato-bersaglio per accelerarne il collasso, fomentando l’opposizione interna, e, se ciò non basta, attaccarlo militarmente dall’esterno.

Con lo stesso dispregio delle più elementari norme di condotta nei rapporti internazionali, gli Stati uniti e i loro alleati accusano la Russia di violare il Trattato Inf, senza portare alcuna prova, mentre ignorano le foto satellitari diffuse da Mosca le quali provano che gli Stati uniti avevano cominciato a preparare la produzione di missili nucleari proibiti dal Trattato, in un impianto della Raytheon, due anni prima che accusassero la Russia di violare il Trattato. Riguardo infine all’ulteriore allargamento della Nato, che sarà sancito domani, va ricordato che nel 1990, alla vigilia dello scioglimento del Patto di Varsavia, il Segretario di stato Usa James Baker assicurava il Presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov che «la Nato non si estenderà di un solo pollice ad Est». In vent’anni, dopo aver demolito con la guerra la Federazione Jugoslava, la Nato si è estesa da 16 a 30 paesi, espandendosi sempre più ad Est verso la Russia.

 
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Macedonia signs key NATO membership text as ratification process begins 
 
RT, 6 Feb, 2019 – NATO Secretary-General Jens Stoltenberg and Macedonian Foreign Minister Nikola Dimitrov signed accession papers in Brussels on Wednesday. The move is seen as a big step for the small Balkan country toward becoming the 30th member of NATO and it also marks the end of a long dispute with Greece over Macedonia’s name. The country is expected to join the alliance under the name of North Macedonia, possibly later this year or in early 2020, AP said. US President Donald Trump and his NATO counterparts are due to hold a summit in London in December. The meeting, to mark NATO’s 70th anniversary, could formally welcome North Macedonia should the ratification process be completed.
 
 
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Il mosaico etnico macedone verso la Nato
Sergio Cantone, 08/02/2019
 
La complessità multietnica della Macedonia del Nord alla prova dei primi passi verso la Nato. Il paese balcanico dovrà infatti ratificare il protocollo di adesione all'Alleanza atlantica. Voto delicato, considerando le sensibilità filo russe e filo serbe esistenti del paese.
Dice la ministra della difesa, Radmila Shekerinska:
"Non c'è un'Europa stabile, senza dei Balcani stabili e orientati verso la prosperità. Crediamo che diventare membri della Nato, mostrerà che i paesi balcanici fanno progressi. E che la regione dell'Europa sudorientale si sta pacificando e sta diventando più prospera".
L'esercito Macedone deve svolgere un delicato ruolo di integrazione delle componenti, nella storia a tratti antagoniste, di un paese dalla struttura multietnica variegata. Questa repubblica della ex Jugoslavia sfuggì per poco ai sanguinosi conflitti Balcanici degli anni '90, e questo, nonostante la sua complessità. È anche il risultato della cooperazione delle sue forze armate con la Nato, non appena divenne indipendente, ormai più che ventennale.
"La Macedonia è stata una partner della Nato per molti anni. E anche senza averne fatto parte abbiamo contribuito con oltre 4000 effettivi a diverse missioni guidate dalla Nato, queste unità rappresentano la metà del totale del nostro esercito. Anche i piccoli paesi possono dare il loro contributo" aggiunge la ministra. 
Soldati macedoni hanno ad esempio partecipato alla missione Nato in Afghanistan, spiega il maggiore dell'esercito macedone Vlatko Shteriovski, che precisa: 
"I membri dell'esercito della Macedonia del Nord, sono professionisti integri e responsabili, hanno dimostrato standard simili a quelli degli eserciti Nato e di altre forze armate". 
Ora si attendono le ratifiche di tutti gli altri membri della Nato.
 
 
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MACEDONIA: IL CAMBIO DEL NOME APRE LE PORTE DELLA NATO
 
di Marco Siragusa, 10.2.2019
 

Ventotto anni dopo la dichiarazione di indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia, sembra finalmente giunta a conclusione la questione relativa al nome del paese. Il nome provvisorio di Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM), adottato nel 1993 a causa dell’opposizione della Grecia all’utilizzo del nome Macedonia, considerato esclusivo della propria regione settentrionale, cesserà a breve di esistere. I due paesi hanno difatti raggiunto un compromesso che mette d’accordo (quasi) tutti: il nome ufficiale sarà Repubblica di Macedonia del Nord. Il raggiungimento dell’intesa ha aperto per Skopje le porte della NATO con la firma, mercoledì 6 febbraio, del protocollo di adesione.

I recenti sviluppi

Il 17 giugno 2018 il governo macedone e quello greco firmarono un accordo storico che apriva le porte alla risoluzione della lunga controversia legata al nome dell’ex repubblica jugoslava. L’intesa, conosciuta come Accordo di Prespa dal nome della località dove è stata firmata, prevedeva l’utilizzo del nome Repubblica di Macedonia del Nord. Nonostante il mancato raggiungimento del quorum nel referendum svoltosi a settembre in Macedonia, lo scorso 11 gennaio il governo socialdemocratico di Zoran Zaev ha ottenuto il voto favorevole del parlamento per la riforma della Costituzione necessaria a recepire il cambio di nome.

Il 25 gennaio il parlamento greco ha a sua volta approvato quanto previsto dall’Accordo di Prespa con il sostegno di 153 deputati su 300. I voti necessari alla ratifica sono arrivati dal partito di governo SYRIZA guidato dal premier Alexis Tsipras e da alcuni membri dell’opposizione appartenenti, o appena espulsi, al partito nazionalista ANEL e a quello centrista To Potami. In occasione del lungo dibattito parlamentare, durato ben tre giorni, non sono mancate le proteste, come quella che domenica 20 gennaio ha visto migliaia di manifestanti radunarsi a Piazza Syntagma, dove si sono verificati duri scontri con la polizia, seguita quattro giorni dopo da numerose manifestazioni in tutto il paese e al valico di Evzones al confine con la Macedonia, il cui passaggio è stato bloccato per diverse ore. Nonostante le proteste, con questo voto la Grecia si è impegnata a ritirare il veto che impediva alla Macedonia di dare avvio al processo di adesione all’Unione europea e alla NATO.

L’adesione alla NATO e all’UE

Superato lo scoglio relativo alla ratifica dell’Accordo di Prespa, la Macedonia del Nord può dare il via definitivo ai processi di adesione all’UE e alla NATO. Per l’accoglimento di nuovi membri nell’Alleanza atlantica è previsto l’accordo unanime di tutti gli Stati membri. Il primo passo è stato compiuto il 6 febbraio a Bruxelles dal Segretario generale Jens Stoltenberg e dal ministro degli Esteri Nikola Dimitrov con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord. Per il definitivo riconoscimento del paese come trentesimo membro della NATO è necessaria la ratifica del protocollo da parte di tutti gli altri paesi. A conferma dell’impegno preso, la prima ad approvarlo è stata la Grecia che venerdì 8 febbraio ha dato il proprio via libera con 153 voti favorevoli. In attesa che anche gli altri membri compiano questo passo, Skopje può partecipare ai lavori dell’Alleanza come paese invitato. Per Stoltenberg la firma ha segnato “una giornata storica che porterà stabilità e prosperità all’intera regione”.

Più lungo e complicato il percorso che dovrebbe portare all’adesione all’UE. Al prossimo summit dei ministri che si svolgerà a giugno dovrebbero essere avviate le trattative sui capitoli negoziali, i cosiddetti criteri di Copenaghen, necessari ad armonizzare la legislazione nazionale a quella europea. Questa rappresenta la fase più lunga e complicata di tutto il processo. La Croazia, ad esempio, ha impiegato ben otto anni prima di aderire ufficialmente mentre la Serbia, dopo cinque anni, si trova ancora a metà del percorso.

I prossimi passi

Per l’esordio del nuovo nome sullo scenario interno ed internazionale, al governo macedone spettano adesso solo alcuni adempimenti formali. Il primo e più importante è legato all’attuazione degli emendamenti costituzionali per rendere ufficiale il cambio di nome. Dopo il definitivo inserimento in Costituzione, il governo è tenuto a modificare le targhe delle auto governative, i nomi delle proprie istituzioni e ad utilizzare il nuovo nome in tutti i documenti ufficiali del paese, compresi quelli prodotti fino ad oggi. A livello internazionale, la nuova denominazione non richiede particolari procedure, spettando ai singoli Stati l’utilizzo o meno del nuovo nome. Dato il generale sostegno alla risoluzione della questione, appare scontato l’utilizzo del nuovo nome da parte della comunità internazionale.

Risolto definitivamente il problema del nome, per la Macedonia del Nord il successo del processo di adesione dipenderà ora dalla capacità di portare avanti le riforme in grado di adeguare il proprio sistema a quello europeo ma anche, e forse soprattutto, dallo stato di salute e dalle future evoluzioni dell’Unione stessa.

 

 

Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102

 

RESISTENZA JUGOSLAVA: FOIBE O FRATELLANZA?

 

Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista


ore 16:30 Conferenza
– Andrea Martocchia: "Giorno del ricordo", dove sta il problema?
– Sandi Volk: "Giorno del ricordo", un bilancio 
ore 17:45 Discussione 
ore 18:30 Teatro
DRUG GOJKO di e con Pietro Benedetti
Monologo ispirato alle vicende di Nello Marignoli, partigiano nell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo


Promuove: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
ENTRATA A SOTTOSCRIZIONE LIBERA


LE REALTA' ANTIFASCISTE INTERESSATE AD ADERIRE E INTERVENIRE POSSONO CONTATTARCI FINO AL 20 FEBBRAIO: jugocoord@...

 

 

 

Evento facebook

Eventuali aggiornamenti saranno riportati anche sulla pagina della iniziativa

 

Sullo spettacolo DRUG GOJKO si veda anche la nostra pagina dedicata

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9002 ]]

 
Le iniziative del 10 Febbraio
 
1) Trieste, tre iniziative controcorrente
2) Porano (TR): DRUG GOJKO
3) A Montebelluna e in Veneto per Norma Cossetto
4) Brugherio (MB), cronache della dissidenza
 
 
Ricordiamo anche:
Parma, domenica 10 febbraio 2019
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
FOIBE E FASCISMO 2019
Conferenza di Sandi Volk, testimonianze e video
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA
evento FB: https://www.facebook.com/events/227663108112168/
manifesto della iniziativa: https://www.cnj.it/home/images/INIZIATIVE/parma100219.jpg
Sulle polemiche in merito si vedano:
 
 
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Nel frattempo, sempre a Trieste... Dalla pagina FB di David Danev, 6 febbraio 2018:

Nič novega v Trstu. Oziroma je vedno slabše!
Niente de novo a Trieste.. Anzi pezo del pezo con discriminazioni raziali a go-go.
Siamo in Italia e si parla Italiano! Detta da un poliziotto nel centro de Trieste il 6 febbraio 2019 no nel 1919.. Dove xe la legalità, dove il rispetto delle leggi che regola gli accordi post-bellici firmati dall'Italia? Me porte a Bazovica a fucilarme perchè domando che veni rispetado un DIRITTO UMANO?
 
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Da: Detg Tik <detonitito  @gmail.com>
Oggetto: 10 febbraio a Basovizza (Trieste) per i caduti antifascisti
Data: 7 febbraio 2019 22:42:09 CET
 
In opposizione alla marea reazionaria e fascista del 10 febbraio, alcune compagne e compagni antifasciste triestine hanno deciso di condurre una minima iniziativa di mobilitazione, in difesa della memoria della lotta di liberazione.
In data 10 febbraio dalle 10.00 alle 12.00 saremo perciò a Basovizza (Trieste) presso il monumento ai caduti della guerra di liberazione in via Gruden (di fianco alla chiesa, difronte alla gelateria) per un presidio-volantinaggio.
Chiediamo il contributo di tutti e tutte, anche solo con un fiore per i nostri caduti.
Ci vediamo il 10
saluti antifascisti
 
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Trieste,  domenica 10 febbraio 2019
alle ore 12:00 in San Giusto, via Capitolina alla base della grande Alabarda floreale
 
Riprendiamoci il 10 Febbraio
Ritrovo pubblico per ridare il giusto significato per Trieste a questa data. Nell'occasione verrà letto un breve discorso nelle lingue del Territorio Libero e pianteremo fiori. Seguirà rinfresco.

10 febbraio 2019: celebrazione della firma del Trattato di pace di Parigi determinante l'esistenza del Territorio Libero di Trieste e la sua internazionalità.
10 febbraio 1947: le Potenze "alleate ed associate" vincitrici della seconda guerra mondiale imposero il Trattato di pace di Parigi all'Italia (ex) fascista, riconosciuta responsabile assieme a Germania e Giappone dello scatenamento della seconda guerra mondiale.
Il 30 marzo 2004 l'Italia, caso unico in Europa, stravolgendo il chiaro significato di questa data, ha istituito per il 10 febbraio il "giorno del ricordo", in rievocazione "delle vittime delle foibe", sovrapponendo così dolore nazionale revanscistico al senso della sconfitta subita negli anni '40. 
Per Trieste, quindi è giusto ricordare che il Trattato di pace di Parigi ha determinato invece, la Fine della Guerra, la Pace tra i Popoli e la costituzione ed il riconoscimento da parte dei 21 firmatari e di tutta la comunità internazionale, Italia compresa, del Territorio Libero di Trieste e del nostro Porto libero internazionale. Quanto di più lontano possa idealmente esserci dal nazionalismo italiano e dalla propaganda politica, con-cause della seconda guerra mondiale e della profonda crisi in cui dal 1954 ad oggi è sprofondata Trieste.
 
Organizzano: Territorio Libero di Trieste - Svobodno ozemlje - Free Territory of Trieste e TRIEST NGO
 
 
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NON SOLO SALVINI E TAJANI A TRIESTE

10 FEBBRAIO: GIORNATA DEL RICORDO, MA DI TUTTE LE VITTIME E NELLA VERITÀ E NON SOLO FOIBE

Per non dimenticare, affinché i giovani sappiano!

Testimoniate con la vostra presenza

invito-vabilo  

Il 10 febbraio alle 12 invitiamo la cittadinanza in piazza Oberdan accanto al “Cantico dei Cantici”, il celebre monumento di Marcello Mascherini le cui figure affusolate si allungano a toccare il cielo sovrastando le acque della fontana.

La gente chiama quest'opera il “monumento ai fidanzatini”, per un fatto accaduto durante la seconda guerra mondiale rimasto a ricordo e simbolo degli innumerevoli torturati e uccisi a Trieste dai fascisti e dai nazisti.

Il 19 marzo 1945 su quella piazza il giovane triestino Pino Robusti, che attende la sua fidanzata, viene fermato ed arrestato dalle SS e condotto alla Risiera di San Sabba, dove verrà assassinato. Verranno lette sotto il monumento le lettere che scrisse ai genitori ed alla fidanzata poco prima di morire.

Quanto alla vicenda delle foibe, cavità naturali delle regioni carsiche di queste terre, vennero usate come fosse comuni prima dai nazionalisti e dai fascisti italiani tra le due guerre mondiali, e poi durante la seconda guerra mondiale che contrappose qui a fascisti e nazisti le forze di liberazione slovene, croate e italiane.

Molti, in questi giorni, restano gli interrogativi: ma è giusto parlare solamente di foibe di un determinato periodo? quando si è iniziato a usare le foibe? Ancora oggi si discute su quante siano le vittime finite nelle foibe in un'area molto vasta che comprende Venezia giulia, Slovenia, Istria e Croazia

Come mai non c’è spazio per una documentazione o una volontà di ricerca credibile sull’effettivo numero di persone scomparse? La tecnologia odierna inoltre probabilmente consentirebbe un 'identificazione certa delle salme.

Come mai nonostante i mezzi a disposizione negli apparati civili e militari, non si prova giungere a una definitiva e riconosciuta conta su numeri e persone?

Perché la politica impegnata a trovare le verità storiche, non fa chiarezza e non insiste nel far richieste di questo tipo? E come mai a quasi 75 anni di distanza non l’ha attuata?

La repubblica nasce dalla resistenza antifascista e si basa su una costituzione fondata sul rispetto della dignità dell’uomo. Una vita vale il mondo, quindi il numero di vittime potrebbe essere relativo, ma non in questo caso data l’importanza e valenza politica e storica che questi numeri hanno avuto.

Apriamo le tombe! Il periodo buio che ha portato il fascismo in Italia con particolari caratteristiche ed eccessi in queste terre, ha istigato l'odio etnico e promulgato leggi razziali che assieme ad altri fattori ed intrecci di carattere internazionale hanno reso quest’area geografica la più esposta ai tragici eventi che qui si sono verificati, risiera compresa.

Ai piedi del monumento “cantico dei cantici”, verrà collocata una composizione floreale a simboleggiare il grande cuore di Trieste, città che nella sua storia è sempre stata d’accoglienza di genti di diversa provenienza.

Nel corso dell’evento verranno osservati tre motivati minuti di silenzio al suono della tromba fuori ordinanza.

In caso di maltempo l’evento si terrà sotto il porticato del palazzo al n. 4 della piazza, ex sede della Polizia SS che vi compiva interrogatori e torture.

p.s. verranno inoltre trattati argomenti d’attualità inerenti al decreto sicurezza.

 

Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci

comitatodanilodolci@...

fb: Comitato Pace Danilo Dolci – Trieste

 
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"Lettera dello studente Pino Robusti ai genitori, dalle carceri del Coroneo di Trieste, pochi giorni prima di essere ucciso."

Pasqua 1945

Carissimi
Questa giornata è stata come una sorpresa per tutti noi "politici".
Ogni ceto, classe, età, accomunati in una sola vera fede, in una sofferenza unica e distinta per ognuno di noi eppure per tutti uguale. Ci siamo ritrovati tutti, stamane in chiesa, italiani, slavi, americani, russi tutti uguali dinanzi al cappellano, uomini e donne. Il discorso del prete è stato grandioso come grandioso il "grazioso" sorriso che da qualche giorno infiora la fetida bocca dei carcerieri. Si scusano di tenerci qui, ma come si fa… il dovere…!

Fifa, miei cari, fifa bella e buona! Poi in cortile, tutti insieme abbiamo cantato l’inno partigiano e gli slavi sono maestri del canto. Bisognava vedere la faccia del maresciallo tedesco che osservava la scena. Nulla ci è mancato, né vino, né sigarette e neppure fiori e che eleganza stamattina. Insomma la miglior dimostrazione di strafottenza più schietta e manifesta. Spero che anche voi avrete passato questo giorno con quella letizia che permettono le circostanze attuali (illeggibile) meglio non pensarci (illeggibile). State in pace e ricordatevi come io ricordo che l’ora del (illeggibile) è sempre più vicina per qualcuno che io conosco. Baci a tutti.

Pino

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"Lettera dello studente Pino Robusti alla fidanzata dalle carceri del Coroneo di Trieste il 5 aprile 1945. Il giorno dopo egli veniva ucciso e bruciato nel forno della Risiera."

Trieste, 5 aprile 1945

Laura mia,

mi decido di scrivere queste pagine in previsione di un epilogo fatale e impreveduto. Da due giorni partono a decine uomini e donne per ignota destinazione. Può anche essere la mia ora. In tale eventualità io trovo il dovere di lasciarti come mio unico ricordo queste righe.

Tu sai, Laura mia, se mi è stato doloroso il distaccarmi, sia pure forzatamente da te, tu mi conosci e mi puoi con i miei genitori, voi soli, giustamente giudicare. Se quanto temo dovrà accadere sarò una delle centinaia di migliaia di vittime che con sommaria giustizia in un campo e nell’altro sono state mietute. Per voi sarà cosa tremenda, per la massa sarà il nulla, un’unità in più in una cifra seguita da molti zeri. Ormai l’umanità si è abituata a vivere nel sangue. Io credo che tutto ciò che tra noi v’è stato, non sia altro che normale e conseguente alla nostra età, e son certo che con me non avrai imparato nulla che possa nuocerti né dal lato morale, né dal lato fisico. Ti raccomando perciò, come mio ultimo desiderio, che tu non voglia o per debolezza o per dolore sbandarti e uscire da quella via che con tanto amore, cura e passione ti ho modestamente insegnato.

Mi pare strano, mentre ti scrivo, che tra poche ore una scarica potrebbe stendermi per sempre, mi sento calmo, direi quasi sereno, solo l’animo mi duole di non aver potuto cogliere degnamente, come avrei voluto, il fiore della tua giovinezza, l’unico e più ambito premio di questa mia esistenza.

Credimi, Laura mia, anche se io non dovessi esserci più, ti seguirò sempre e quando andrai a trovare i tuoi genitori, io sarò là, presso la loro tomba ad aiutarti e consigliarti.

L’esperienza che sto provando, credimi, è terribile. Sapere che da un’ora all’altra tutto può finire, essere salvo e vedermi purtroppo avvinghiato senza scampo dall’immane polipo che cala nel baratro.

E’ come divenir ciechi poco per volta. Ora, con te sono stato in dovere di mandarti un ultimo saluto, ma con i miei me ne manca l’animo, quello che dovrei dire a loro è troppo atroce perché io possa avere la forza di dar loro un dolore di tale misura. Comprenderanno, è l’unica cosa che spero. Comprenderanno.

Addio, Laura adorata, io vado verso l’ignoto, la gloria o l’oblio, sii forte, onesta, generosa, inflessibile, Laura santa. Il mio ultimo bacio a te che comprende tutti gli affetti miei, la famiglia, la casa, la patria, i figli.

Addio

Pino
 
 
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Porano (TR), domenica 10 febbraio 2019
alle ore 17 nella Sala Malerba

DRUG GOJKO 
 
di e con Pietro Benedetti
organizza: Alternativa per Porano
prenotazione obbligatoria – si veda la locandina:
 
 
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10 FEBBRAIO, NORMA COSSETTO IN VENETO E A MONTEBELLUNA
 
di Francesco Cecchini – 7 Febbraio 2019
 
NORMA COSSETTO IN VENETO
In occasione del Giorno del Ricordo, il 10 febbraio, la Regione Veneto, in collaborazione con lUfficio scolastico regionale, lassociazione Venezia Giulia e Dalmazia e la federazione delle associazioni degli esuli, distribuirà nelle scuole medie il fumetto Foiba Rossa, la storia a fumetti di Norma Cossetto, e un opuscolo di Guido Rumici. Liniziativa è finanziata con 15 mila euro dalla Giunta regionale. Responsabile e promotrice è Elena Donazzan, Assessore all’ Istruzione, Formazione, Lavoro, Trasporti nella Giunta Zaia.
 
ELENA DONAZZAN, CUORE NERO
[FOTO: Elena Donazzan con la t-shirt "Cuore Nero"
http://www.ancorafischiailvento.org/wp-content/uploads/2019/02/CUORE-NERO.jpg ]
Elena Donazzan figlia di repubblichini e nostalgica di anni neri, non è nuova ad iniziative del genere. Nel novembre del 2010 quando la Regione Veneto approvò la legge sulla valorizzazione dell’antifascismo e della Resistenza votò contro con motivazioni assurde. Nel settembre 2015 partecipò a Valdobbiadene a una cerimonia di inaugurazione di una lapide in onore della Decima Mas. Giacomo Vendrame segretario della CGIL commentò così: Credo che questa cerimonia si possa configurare come apologia del fascismo. Commemorare la Decima flottiglia Mas, in una sorta di bieco revisionismo storico, è vergognoso, una grave mancanza di rispetto per i nostri caduti della resistenza, coloro che si sono battuti contro la dittatura per la libertà e per la democrazia.” Ora Elena Donazzan ha chiesto al Presidente della Repubblica Mattarella di sciogliere l’ANPI, per la sua posizione su confine orientale, foibe ed esodo dalmata istriano, che l’ Assessore alla cutura falsifica. Il fumetto Foiba Rossa che la Donazzan distribuirà agli studenti veneti di scuola media distorce la drammatica vicenda di Norma Cossetto.
 
NORMA COSSETTO NON FU ASSASSINATA PER ESSERSI RIFIUTATA DI ESSERE JUGOSLAVA E COMUNISTA. I SUOI ASSASSINI NON FURONO SOLDATI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE JUGOSLAVO
Norma Cossetto a 24 anni fu uccisa e infoibata ad Antignana, il 4 o 5 ottobre 1943. Qualsiasi tragica morte suscita orrore, e Norma Cossetto, per la sua orrenda morte, merita onore e ricordo. Concetto Marchesi, comunista e rettore dell’Università di Padova, conferendogli nel 1947 una laurea honoris causa e Azeglio Ciampi decorandola con una medaglia doro hanno onorato la sua memoria. 

ANCHE LA VERITA’, PERO’, MERITA RISPETTO
Norma Cossetto era iscritta alla Gioventù Universitaria Fascista in Istria e figlia di Giuseppe Cossetto un ricco possidente fascista, che fu anche Commissario governativo delle Casse Rurali della Provincia dIstria, che espropiò centinaia contadini slavi dellIstria delle loro terre. Ad assassinarla non furono partigiani slavi, ma degli italiani. Il Circolo Norma Cossetto, qualche anno fa, pubblicò un documento nel quale si afferma che Norma fu invitata a presentarsi al Comando partigiano del luogo, fu interrogata e rilasciata. In seguito però cadde nelle mani di alcuni italiani, tre o quattro, dei cani sciolti, che la condussero a Parenzo, da dove fu portata ad Antignana, violentata, uccisa e infoibata. Costoro furono presi da fascisti italiani alla fine dellottobre 1943 e, insieme con altri, per lo più innocenti e tutti italiani, in tutto diciassette, furono massacrati a raffiche di mitra, senza alcun processo e furono gettati nella stessa foiba di Norma Cossetto. Il corpo di Norma Cossetto, stando al verbale dei Vigili del Fuoco di Pola che lo estrassero, si presentava intatto, senza segni di sevizie. Inoltre vi è la testimonianza di Arnaldo Harzarich Vigili del fuoco di Pola, che si trova in Foibe di Papo, ed è citata anche nel Bollettino dellUnione degli Istriani n. 28, sett. dic. 1998, pag. 5, che conferma il verbale dei Vigili del Fuoco di Pola. Soltanto dopo, in una serie infinita di ricostruzioni, peraltro contraddittorie, si cominciò a parlare di torture, di seni ed organi genitali straziati, etc., etc. Anche lo storico triestino Roberto Spazzali, nel suo lavoro Foibe, un dibattito ancora aperto edito nel 1996 dalla Lega Nazionale di Trieste, dunque da unassociazione non partigiana, ha scritto: Lampia letteratura di quegli anni e del dopoguerra dedicherà un consistente spazio alla morte e al rinvenimento di Norma Cossetto, intrecciando incontrollate fantasie e presunte testimonianze.

NORMA COSSETTO A MONTEBELLUNA
In occasione del 10 febbraio a Montebelluna verrà inaugurata ufficialmente una via dedicata a Norma Cossetto. La storia del 10 febbraio a Montebelluna non brilla per verità storica e democrazia. Il 10 febbraio 2012 l’amministrazione comunale sponorizzò un evento organizzato dal Comitato Provinciale di Treviso dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia che parlava di genocidio (sic!)di istriani, giuliani e dalmati. Presentò l’avv. Maria Bortoletto. Il 10 febbraio 2013 l’amministrazione comunale impedì ,togliendo l’ Auditorium della Biblioteca Comunale precedentemente concesso, un convegno organizzato dallAnpi di Montebelluna su fascismo, confine orientale e foibe con la partecipazione delle storiche Monica Emmanuelli ed Alessandra Kersevan. Decisivo fu allora Claudio Borgia, collega politico di Elena Donazzan simpatizzante di Mussolini, che lo appoggia ed ora assessore all’istruzione e alle politiche familiari.
 
Claudio Borgia davanti alla sede ANPI a Montebelluna nel 2013
Oratori ufficiali saranno il sindaco Marzio Favero e Alma Brussi dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmati.
Il sindaco, obiettore di coscienza e antifascista, ha chiarito tempo fa in un’intervista dell’ aprile 2018 alla telvisione Antenna 3 la sua posizione su via Norma Cossetto. Vedere il video dell’intervista. 

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_0l4rPZpFys
 
Le sue parole sono contro speculazioni politiche e quindi non proprio coincidenti con quanto scritto da Treviso today dell’ 8 maggio 2017: La nuova via della frazione sarà infatti dedicata a Norma Cossetto, studentessa italiana, istriana, vittima dellesercito popolare di liberazione della Iugoslavia del maresciallo Tito. Venne torturata, violentata e gettata in una foiba nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943.”
Alma Brussi, nata a Pola, di solito presenta un documentario Pola una città che muore e parla di esodo forzato. Pola, città cantata anche dalla canzone 1947 di Sergio Endrigo, non è morta, anzi, ed esodo forzato in ogni caso non è il genocidio di cui ha parlato l’avvocato Maria Bortoletto.
All’inaugurazione ufficiale è stata invitata l’ANPI di Montebelluna. Se l’ ANPI accetterà di essere presente sarà un’accasione per affermare qual’è la sua reale posizione sulle drammatiche vicende del confine orientale. Vedere dichiarazioni recenti ad Antenna 3 del presidente dell’ANPI provinciale di Treviso, Giuliano Varnier. 

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uhrkjxvfbuQ
 
 
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Sulla iniziativa di Brugherio (spostata da Cologno Monzese a causa della censura istituzionale) si veda:
e le fotografie:
 
 
Introduzione della Rete per Foibe e confine orientale 1920-1947
8 febbraio 2019
Rete Antifascista Cologno
 

Riportiamo di seguito la traccia scritta della nostra introduzione all’incontro Le foibe nelle complesse vicende del confine orientale (1920-1947), svoltasi presso la Casa del Popolo di Brugherio il 7 febbraio 2019.

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Questa è la prima assemblea pubblica della Rete antifascista Cologno. Siamo una rete composta da singoli cittadini, organizzazioni partitiche, sindacali, associazioni, liste civiche e singoli cittadine e cittadini. Ci siamo aggregati nell’aprile 2018 per dare una risposta popolare, di piazza, pacifica ma determinata alla cosiddetta “rievocazione storica” di un campo dell’esercito della Germania nazista voluta dall’amministrazione comunale della nostra città e svoltasi a giugno scorso (prevista inizialmente a ridosso del 25 aprile e con esplicito riferimento alla Liberazione).

Pensiamo che oggi, in Italia e in Europa ci sia bisogno di antifascismo.
Intendiamoci, non pensiamo che il fascismo storico, inteso come regime (1922-1945), possa facilmente tornare. Intendiamo il fascismo come il “fascismo perenne” di cui parlava Umberto Eco, un fascismo come visione del mondo, discorso pubblico e pratiche politiche conseguenti. Elementi oggi vivi e vegeti anche in leader e formazioni politiche che vanno oltre il perimetro della galassia della destra neo-fascista (che comunque è aggressiva, pericolosa e va contrastata).
L’Amministrazione Comunale di Cologno ha dato prova di essere infetta da questo “virus” attraverso una serie di atti concreti tra cui la concessione di spazi pubblici a formazioni neofasciste e l’adozione di provvedimenti a sfondo razzista come la chiusura della Scuola di Italiano per Stranieri e l’ordinanza discriminatoria sull’ospitalità ai migranti per cui il Comune di Cologno è stato recentemente condannato dal Tribunale di Milano.
Per fermare il “fascismo perenne” occorre andare oltre un antifascismo ingessato e rituale, quello dei discorsi e delle cerimonie. Serve sporcarsi le mani con iniziative di piazza e se occorre di protesta; serve anche fare battaglia di idee. Ed è per questo che siamo qui.

Negli ultimi tre anni e mezzo, l’amministrazione comunale di Cologno ha enfatizzato il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe. Spettacoli teatrali, conferenze, persino un monumento davanti al municipio. A cui si aggiunge l’attivismo del consigliere comunale di Casapound (ex capogruppo della Lega), che ha preso parola due-tre volte in consiglio comunale, di cui una per chiedere di intitolare una via ai “martiri delle foibe” e un’altra per stigmatizzare la presenza dell’ANPI nelle scuole colognesi (in cui la giunta ha incoraggiato nell’anno scolastico 2018-19 conferenze solo dell’ANVGD-Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia). Quest’anno, in più, la giunta ha deciso di proiettare al cineteatro comunale “Red Land/Rosso Istria”, un film assurto all’onore delle critiche per le evidenti falsità storiche . Ci sembra
significativo che nel 2019 ci siano state tre iniziative istituzionali per il Giorno della Memoria per le vittime degli stermini nazifascisti e quattro per il Giorno del Ricordo.

Perché questa enfasi? La nostra idea è che, da circa 15 anni (2004, legge che istituisce il Giorno del ricordo), le vicende del confine orientale tra il 1943 e il 1945 (assassinii e sepolture di fortuna nelle cavità carsiche) siano state strumentalizzate per ragioni politiche.. Per cancellare la responsabilità storica e i crimini compiuti dal regime fascista italiano e dai suoi sostenitori. Nulla nasce nel vuoto. Le reazioni alla repressione di circoli, scuole, organizzazioni (spesso di lavoratori) di lingua slava, le reazioni all’italianizzazione forzata (cambio nomi e toponimi) e allo squadrismo, non nascono nel vuoto, ma sono appunto una risposta al razzismo e alle violenze dei fascisti (dagli anni ’20) e dei nazisti (dal 1943).
Intorno al tema foibe si sono scatenate una gran quantità di narrazioni tossiche che confondono volutamente le acque: diluiscono la categoria di fascisti e collaborazionisti in quella generica di “italiani”, solleticando un vittimismo irrazionale e il vecchio stereotipo (storicamente falso) degli “italiani brava gente” durante occupazioni e regimi coloniali. I crimini del fascismo, nelle terre del confine orientale così come in Africa orientale, Jugoslavia, Grecia, Albania sono un gigantesco rimosso di cui si deve tornare a parlare.
A che scopo? Secondo noi per una sorta di vendetta storica che parli al presente: attaccare la Resistenza e la lotta antifascista di Liberazione, dipingere i partigiani (soprattutto se jugoslavi e/o comunisti) come belve assetate di sangue, ritagliare spazi di agibilità politica e presunta autorevolezza storico-morale per organizzazioni post/para/neo fasciste.

Questa strategia di confusione e riscrittura della storia, però, ha un punto debole: la ricerca storiografica fatta come si deve. Quella che non gonfia i numeri delle vittime, quella che usa i documenti processuali e le testimonianze dell’epoca (e non di figli e nipoti che raccontano storie filtrate dai decenni, dai racconti, dal vissuto emotivo familiare), quella che inquadra i singoli episodi in cornici storiche più ampie, quella che non
mescola eventi storici diversi e complessi. Non si inventa nulla e non si guarda solo a quel che si vuole vedere, insomma. Non si nega, non si giustifica ma si contestualizza.

Per questo siamo qui stasera. Per dare alla nostra cassetta degli attrezzi una serie di strumenti per la battaglia di idee che vogliamo portare avanti. Con l’orizzonte contribuire a costruire città accoglienti, senza razzismo, fascismo, sessismo né alcuna forma di ingiustizie e oppressione.