Informazione
http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/893-okrugli-sto-o-kosovu-i-metohiji.html
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Sve članove i simpatizere pozivamo na prosvjed
22. 2. 2018. u 17 sati
Trg Republike Hrvatske / Trg maršala Tita
Organizatorima prosvjeda dajemo punu podršku u nastojanju da demokratiziraju upravljanje institucijom na kojoj se obrazuju.
Sveučilištem u Zagrebu se posljednjih godina upravlja netransparentno, procesi upravljanja su obilježeni korupcijom i nepotizmom. Ne poštuje se ni statut ni autonomija sveučilišnih sastavnica, krše se radna prava i pravo na profesionalno napredovanje u skladu s postignutim rezultatima. Sveučilište vodstvu, pojedincima i interesno umreženim grupama, služi za ostvarenje privatne koristi. Zagrebačko je sveučilište, zbog načina na koji se njime upravlja, izgubilo na kvaliteti, ali je izgubilo i bilo kakav javni legitimitet.
Studenti i profesori Filozofskog fakulteta pokazali su da se organiziranom akcijom korištenje pozicije moći može spriječiti. Njihovo zajedništvo i solidarnost mogu poslužiti kao uzor djelovanja na sveučilišnoj razini.
Upravljanje Sveučilištem mora se demokratizirati, studenti i profesori moraju sudjelovati u donošenju odluka, od izbora novog čelnika do svih onih odluka koje se tiču studentskih prava, uvjeta studiranja ili znanstvenog rada.
Svojim prosvjedom „Sveučilišna platforma“ upozorava na štetnost netransparentnog i nedemokratskog upravljanja Sveučilištem. Podržavamo ovaj prosvjed, kao i sve akcije kojima se traži demokratizacija upravljanja svim javnim institucijama. Uz to, dajemo punu podršku i svim drugim zahtjevima za očuvanje visokog obrazovanja kao javnog dobra dostupnog svima.
Sveučilište mora bolje!
Socijalistička radnička partija Hrvatske
Tribina grada Zagreba, Kaptol 27
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Minniti come Facta nel 1922
Macerata. Le istituzioni, oggi come ieri, non garantiscono il rispetto della legalità costituzionale e aprono i varchi al neofascismo, ritirandosi dalla piazza di Macerata. I fatti di Reggio Calabria del 1972 videro la risposta coraggiosa dei sindacati metalmeccanici di Trentin, Carniti e Benvenuto in piazza contro le bombe nere
su Il Manifesto del 13.02.2018
«Il fascismo è morto per sempre» sostiene il ministro degli interni. Mercoledì scorso, per Marco Minniti, ci avrebbe pensato il suo ministero dell’interno a impedire che la manifestazione antifascista di Macerata si facesse. Per fortuna alla fine il governo Gentiloni ha autorizzato tale manifestazione.
Minniti avrebbe dovuto ricordare che il 22 ottobre 1972, un suo predecessore, Mariano Rumor, l’allora ministro democristiano degli interni, consentì la più grande manifestazione antifascista nella nera Reggio Calabria: Minniti è nato proprio a Reggio Calabria, allora aveva 16 anni e si sarebbe iscritto alla Fgci.
Purtroppo oggi non si è ispirato a Rumor. E tantomeno si è ispirato al Pci del 1972. Minniti sembra incorrere nell’errore del presidente del consiglio Luigi Facta nell’ottobre 1922.
Il neofascismo oggi si ripropone per due ragioni.
In primo luogo lo Stato non garantisce il pieno rispetto della legalità costituzionale; il governo Monti e i successivi governi del Pd varano politiche di austerità alle quali si oppongono solo le destre razziste. E così l’operaio impoverito, l’esodato, lo sfrattato o il disoccupato votano a destra perché considerano il centrosinistra complice dell’austerità.
La memoria del 1900 dovrebbe aiutare su tre nodi.
1) DOPO IL 1945, la determinazione antifascista di Pci, Psi e Pri e il rispetto della Costituzione da parte della Dc hanno fermato il neofascismo. Non l’ignavia, bensì il coraggio ha fermato il neofascismo.
Ecco un celebre esempio. Dopo le prime elezioni regionali del 1970 il governo nazionale avrebbe voluto nominare Catanzaro capoluogo della regione Calabria.. Al contrario i reggini volevano la loro città capoluogo.
Dall’agosto 1972 il sindacalista della Cisnal, Ciccio Franco, guidò a Reggio Calabria la rivolta neofascista del “boia chi molla”, rivolta che ambiva a rappresentare gli emarginati da destra. Squadristi fascisti assaltarono sezioni del Pci, del Psi e la Camera del Lavoro. Nel contempo il Fronte Nazionale, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale presero parte ai cosiddetti “moti di Reggio Calabria”: il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro una bomba fece deragliare il treno “Freccia del Sud” e morirono 6 persone.
Il 4 febbraio 1971 venne lanciata una bomba contro un corteo antifascista a Catanzaro. Malgrado le bombe e il terrore fascista fossero ben più pericolosi del nazista Luca Traini oggi, Claudio Truffi, leader degli edili Cgil, Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto, alla guida dei metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil, organizzarono due cose a Reggio Calabria: una Conferenza sul Mezzogiorno e una grande manifestazione di solidarietà al fianco dei lavoratori calabresi il 22 ottobre del 1972.
I neofascisti provarono ad impedire ai manifestanti di arrivare a Reggio Calabria: nella sola notte tra il 21 e il 22 ottobre 1972 otto bombe furono poste sui treni che portavano i metalmeccanici da tutta Italia a Reggio Calabria.
Cgil, Cisl e Uil non ebbero paura. Oltre 40000 manifestarono a Reggio Calabria. Giovanna Marini immortalò il coraggio degli operai e degli edili nella sua celebre canzone “I treni per Reggio Calabria”. Oggi cosa rimane di quel coraggio?
2) NEL 1922 UN’IGNAVIA analoga a quella attuale e la complicità della monarchia portarono il fascismo al potere. Di fronte a Mussolini che organizzava la marcia su Roma, il presidente del consiglio Luigi Facta molto tardivamente nella notte del 27-28 ottobre 1922 stilò e proclamò lo Stato d’assedio.
Secondo lo storico Aldo Mola, autore del saggio Mussolini a pieni voti? Da Facta al Duce, la mattina del 28 ottobre, Facta, a colloquio con il re Vittorio Emanuele III, esordì con le seguenti parole: «Mi creda, maestà, basterebbero quattro cannonate a farli scappare come lepri».
Il re si rifiutò di firmare lo Stato d’assedio e chiese al Generale Diaz, Capo di Stato Maggiore, se l’esercito sarebbe rimasto fedele alla corona in caso di repressione delle camicie nere. Diaz rispose al re così: «L’esercito farà il suo dovere, come sempre, ma è meglio non metterlo alla prova».
Al contrario, qualora l’esercito avesse bloccato la Marcia su Roma ci saremmo risparmiati vent’anni di dittatura.
3) IL CONSENSO AL NEOFASCISMO e alle destre razziste ha origine nel neoliberismo.
Oggi l’austerità europea è l’ostetrica di nuovi fascismi come il Trattato di Versailles del 1919: esso, vessando economicamente la Germania dopo la prima guerra mondiale, favorì l’ascesa di Hitler durante la Repubblica di Weimar.
I nazisti prevalsero non tanto per l’esplosione dell’inflazione bensì per l’alta disoccupazione.
Oggi l’austerità dei vincoli Ue di bilancio in Italia produce esodati (riforma Fornero) disoccupati e precari dei voucher: costoro, i colpiti dalla crisi, ritenendo il centrosinistra corresponsabile dell’austerità, voteranno Salvini e Meloni.
L’austerità morde anche in Germania.
Analogamente, chi guadagna 450 euro al mese con i minijobs non vota più la Spd di Schultz perché ricorda che i minijobs sono stati ideati dall’ex manager Wolkswagen Peter Hartz e varati dall’ex cancelliere socialdemocratico Schroeder.
Nel 2018 la situazione si incrudelirà per poche semplici ragioni.
L’addendum della Bce di ottobre impone indirettamente alle banche italiane la svendita dei loro crediti deteriorati ai fondi avvoltoio; essi compreranno aziende in crisi e faranno licenziamenti; rileveranno mutui non pagati, acquisiranno le case su cui insistevano i mutui e sfratteranno i morosi. Quindi aumenteranno sfratti e licenziamenti.
Nel contempo il Presidente della Bundesbank Weidmann chiede alle banche italiane di svendere i loro Btp, i titoli di Stato italiani, e comprare Bund, i titoli di Stato tedeschi..
Tale operazione farà aumentare lo spread Btp-Bund e i tassi di interesse sul nostro debito e imporrà nuovi tagli alla spesa pubblica. Infine i tedeschi vogliono trasformare il Meccanismo Europeo di Stabilità, l’ultimo strumento Salva-Stati, in Fondo monetario europeo affidandolo ad un teutone.
Non si fidano della Commissione europea considerata troppo flessibile.
Il Fondo monetario europeo sarà il definitivo cavallo di Troia della Troika in Italia.
Le manovre di finanza pubblica saranno risibili e l’intervento dello Stato azzerato. Se le classi dirigenti di sinistra accettano tutto ciò e lasciano la lotta contro l’austerità alle destre si candidano alla scomparsa.
E spalancano le porte al neofascismo.
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– 2004-2016: Piero Fassino tra i principali ispiratori della Legge che consente di onorare la memoria dei nazifascisti uccisi sul confine orientale
Torino 10/2/2018: Giorno del Ricordo, un bilancio
Si terrà il giorno sabato 10 febbraio 2018 a Torino, presso il caffé Basaglia, in via Mantova 34 dalle ore 10 alle 17.30, il convegno nazionale: GIORNO DEL RICORDO, UN BILANCIO
*** Come già successo in molti altri casi, su questi temi le istituzioni, imponendo per legge (proprio in virtù della Legge n.92 del 2004) una certa scrittura della Storia, hanno cercato di negare la parola agli studiosi non allineati. Attraverso la stampa siamo stati infatti informati che il Comune di Torino ed il Direttore del Museo delle ex Carceri \"Le Nuove\" hanno ceduto alle pressioni di quel gigante della politica italiana che risponde al nome di Maurizio Gasparri negando la sala conferenze già prenotata. È precisamente questo il tema del Convegno, la cui attualità e pregnanza è dunque così dimostrata per l\'ennesima volta. Perciò esso si tiene ugualmente, ma in una sala diversa, non istituzionale. ***
Obiettivo dell\'iniziativa, promossa dalla associazione Jugocoord Onlus e dalla rivista di storia critica Historia Magistra, è una analisi delle conseguenze della istituzione del \"Giorno del Ricordo\" (Legge n.92 del 2004) e delle sue celebrazioni sino ad oggi. Attraverso qualificate relazioni scientifiche saranno investigate le ricadute dell\'inserimento del \"Giorno del Ricordo\" nel calendario civile della Repubblica, che appaiono molto pesanti a livello politico, culturale e di autopercezione identitaria della Nazione, nonché a livello didattico-scientifico e financo per le casse dello Stato. Per converso, ad oggi il numero totale delle persone alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti previsti dalla Legge è di appena 341, di cui \"infoibati\" in senso stretto una minima frazione, mentre la gran parte di queste figure sono appartenenti alle forze armate o personale politico dell\'Italia fascista, senza contare gli episodi che non hanno niente a che fare con la narrazione ufficiale delle \"più complesse vicende del confine orientale\" cui si riferisce la Legge. Tutto ciò considerato, il 2 aprile 2015 la stessa Segreteria Nazionale dell\'ANPI chiese di interrompere quantomeno l\'attribuzione di onorificenze e medaglie della Repubblica, mentre nel 2017 numerose personalità antifasciste in una Lettera Aperta al MIUR hanno invocato un drastico cambiamento di rotta rispetto alla modalità revisionista e rovescista con cui l\'argomento è trattato nelle scuole.
Al convegno sono previsti gli interventi di Bruno Segre, Umberto \"Eros\" Lorenzoni, Angelo Del Boca, Angelo D\'Orsi, Alessandro \"Sandi\" Volk, Gabriella Manelli, Marco Barone, Nicola Lorenzin, Davide Conti, Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan. A seguire dibattito.
Promuovono:
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus
rivista Historia Magistra
Hanno aderito finora:
ANPPIA (Ass. Naz. Perseguitati Politici Italiani Antifascisti) nazionale e sezioni di Torino, Genova e Cuneo
comitati ANPI (Ass. Naz. Partigiani d\'Italia) Regione Piemonte e Province di Treviso e Brescia, sezioni ANPI di Grugliasco (TO), sez. Chivasso (TO), sez. Montebelluna A. Boschieri \"D\'Artagnan\"(TV), sez. Casale Monferrato (AL), sez. Avigliana (TO), sez. Bassi Viganò Milano, sez. Valle Elvo e Serra “Pietro Secchia” (BI)
AICVAS (Ass. Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna)
CIVG (Centro Iniziative Verità e Giustizia)
Centro Studi Italia-Cuba
Comitato di lotta antifascista antimperialista e per la memoria storica (Parma)
Redazione di Marx21.it
Casa Rossa Milano
Comitato contro la guerra Milano
Evento facebook: https://www.facebook.com/events/2130527923900021/
La locandina in formato PDF: https://www.cnj.it/home/images/INIZIATIVE/torino100218/torino100218_loc.pdf
Rassegna Stampa: https://www.cnj.it/home/it/iniziative/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html#rassegna
Il punto di vista moderato di Pupo, sostanzialmente equidistante tra la nostra impostazione critica e la impostazione entusiastica della \"lobby degli esuli\", non impedisce all\'autore di constatare le vere conseguenze della istituzione del \"Giorno del Ricordo\" ed anzi di rilevare come fosse << facile prevedere [che] qualcosa di grave sarebbe prima o poi accaduto >> ...
Pubblichiamo la lettera aperta del presidente dell’Istituto Provinciale di Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età Contemporanea di Pordenone (12 febbraio 2017):
Gentili consoci e amici,
mi pare intollerabilmente penoso (oltre che un pessimo esempio per i più giovani) lo spettacolo offerto in questi giorni da una politica tutta intenta a coltivare, con cura degna di miglior causa, la mala pianta dell’abuso pubblico della storia; mala pianta cresciuta nel brodo di coltura dell’ignoranza e della smemoratezza collettive (cause prime di gran parte delle nostre disgrazie nazionali).
“Negazionismo”? L’unico noto è quello di chi, su posizioni politiche di estrema destra, nega la Shoah. Nessuno, che si sappia, nega le drammatiche vicende delle foibe e del successivo esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia. Semmai, si mette in discussione l’entità delle vittime e delle persone coinvolte, il cui numero non è incontrovertibilmente accertato, ma che non può essere dilatato a dismisura, né ridotto oltre ogni evidenza, a seconda della convenienza “di bottega” politica.
Tali vicende sono state piuttosto troppo a lungo occultate dai governi del nostro Paese per convenienza di Stato e per evitare opportunisticamente di rispondere delle vessazioni e delle atrocità commesse dall’Italia fascista (e non solo) ai danni delle popolazioni slave di quest’area.
La lunga, complessa, misconosciuta, ma fin troppo dolorosa storia del confine orientale d’Italia dovrebbe suggerire a tutti, e ai politici in primis, di trattarla con la massima consapevolezza e prudenza, proprio per il doveroso rispetto delle vittime, che non sono soltanto quelle delle foibe e dell’esodo.
Cordialmente,
Angelo Masotti Cristofoli
Altre iniziative segnalate su questi stessi temi:
TRIESTE 8 febbraio 2018, dalle ore 17:00 presso il Bar Knulp, Via Madonna del Mare 7/a
QUANDO IL RICORDO DIVENTA APOLOGIA DEL FASCISMO
Le conseguenze politiche e di revisione storica dell\'istituzione del Giorno del Ricordo. Parliamone con i candidati di Potere al Popolo Marco Barone e Claudia Cernigoi
Organizza Potere Al Popolo Trieste – evento FB: https://www.facebook.com/events/338208096675876/
MILANO 9 febbraio 2018, alle ore 17:30 c/o SEDE ANPI CRESCENZAGO, PIAZZA COSTANTINO
INCONTRO SULLA L.92/2004 CHE ISTITUISCE IL “GIORNO DEL RICORDO”
https://www.facebook.com/anpi.crescenzago.milano/photos/a.1409283952711273.1073741859.1398096627163339/1774923016147363/?type=3&theater
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[Ricordiamo che a Torino si tiene anche, il giorno prima 10 febbraio 2018, l\'importante convegno sul \"Giorno del Ricordo\": https://www.cnj.it/home/it/iniziative/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html ]
A Torino e Bologna due iniziative sullo scoppio della Prima Guerra Mondiale
L’attentato di Sarajevo (28 giugno 1914) ad opera del giovanissimo patriota jugoslavo Gavrilo Princip è usato dall’Austria-Ungheria come pretesto per la aggressione alla Serbia e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Prima ancora che l’Italia entri in conflitto, nell’agosto dello stesso anno, sette italiani ispirati a ideali garibaldini e internazionalisti partono volontari per combattere al fianco dei Serbi: in cinque periranno al primo scontro...
\"1914. FRATELLANZA GARIBALDINA TRA ITALIA E SERBIA-JUGOSLAVIA\"
Ripercorriamo gli eventi attraverso le opere dei registi
Nikola Lorencin: I SETTE DELLA DRINA (Serbia 2016)
Eric Gobetti: SARAJEVO REWIND 1914-2014 (con Simone Malavolti, Italia 2014)
Presentazione da parte dei registi stessi, presenti in sala.
Introduzione di Andrea Martocchia (segretario, Jugocoord Onlus).
A TORINO, domenica 11 febbraio 2018
alle ore 21 presso la Associazione Piemonte-Grecia, Via Cibrario 30 bis
A BOLOGNA, martedì 13 febbraio 2018
alle ore 20:30 presso il centro culturale Costarena, Via Azzo Gardino 48
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Bassa Comasca, 26 gennaio 2018
La Digos della Questura di Milano e la Digos di Como hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione con finalità di terrorismo.
Terrorismo
L’operazione prende il nome di “Talis pater”. Il provvedimento è nei confronti di due egiziani di 51 e 23 anni, padre e figlio, residenti in Provincia di Como. Tramite un provvedimento del Ministro dell’Interno è stata rimpatriata, per motivi di sicurezza personale, la cittadina marocchina 45enne moglie e madre dei due.
Abitavano a Fenegrò
La famiglia viveva a Fenegrò. In manette è finito il padre, Sayed Fayek Shebl Ahmed, classe 1966, ex Mujahideen in Bosnia. Il figlio, Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed, è andato in Siria dal 2014 dove si trova tuttora. Rimpatriata in Marocco la moglie e madre dei due, Imrane Halima.
Il padre mandò il figlio in Siria
Il padre, 53 anni, in Italia, a Milano, dal 1996, l’anno successivo è arrivato a Como. L’uomo era partito dalla Bosnia dove era stato un Mujahideen. Il figlio maggiore, 23 anni, si trova in Siria, su di lui attualmente c’è un mandato di cattura internazionale. E’ stato proprio il padre ad indottrinarlo al fondamentalismo, quando nel 2014 aveva visto che i figli stavano diventato troppo occidentali. Ha quindi deciso di mandarlo in Siria, sotto l’ala protettrice di un suo ex commilitone della guerra in Bosnia. A quel punto Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed è entato a far parte di un gruppo filo Al Qaeda denominato Al Zenki, dove è diventato un foreign fighter.
Finse di collaborare con le Forze dell’ordine
Nel 2015 il padre è andato in Questura, fingendo di voler collaborare con le Forze dell’ordine e denunciando il figlio in Siria e sostenendo di essere preoccupato per la situazione. Il suo reale scopo era quello di provare a togliere i sospetti su di lui. Nel frattempo il giovane in Siria, per un periodo, ha cambiato gruppo, legandosi all’Isis con il gruppo Hajat Thair Ash Sham. Dopo questa esperienza è però tornato nel gruppo d’origine. Ora si trova in Siria dove si è sposato e ha un bambino di 3 anni. Le indagini delle Forze dell’ordine sono cominciate proprio nel 2015. Dopo aver messo sotto controllo padre e madre di Saged, hanno subito capito la verità. Attraverso alcune intercettazioni telefoniche si è scoperto che il ragazzo mandava alla famiglia dei video dove era protagonista di alcune esecuzioni. Il padre poi era solito mandare 200 euro mensili al figlio.
La madre e moglie
Classe 1972, di origine marocchina, verrà rimpatriata nel pomeriggio di oggi. Le indagini hanno fatto emergere che approvava il comportamento del marito e del figlio, per questo anche lei è stata considerata un pericolo per la sicurezza dello Stato. Non potrà tornare in Italia per i prossimi 10 anni.
Gli altri figli
Non sono stati considerati implicati nella vicenda gli altri due figli della coppia, un ragazzo di 20 e una ragazza di 18 anni (nata a Como e diventata cittadina italiana di recente). I due giovani hanno sempre discusso con la famiglia per il loro fondamentalismo.
13/06/2016
L\'episodio non è stato praticamente registrato dai media europei, ancora sotto choc per i fatti di Parigi. Rappresenta tuttavia l\'ennesimo attentato riconducibile al terrorismo islamista avvenuto nel paese balcanico a partire dal 2010.
Nel giugno di quell\'anno venne fatta esplodere una bomba fuori dalla stazione di polizia di Bugojno, in Bosnia centrale. Un poliziotto, Tarik Ljubuškić, morì, e sei suoi colleghi rimasero feriti.
L\'anno dopo, a Sarajevo, Mevlid Jašarević aprì il fuoco con un kalashnikov contro l\'Ambasciata degli Stati Uniti, ferendo un poliziotto. Infine l\'anno scorso, il 27 aprile, Nerdin Ibrić ha assalito con un fucile automatico i militari della stazione di polizia di Zvornik, nella parte del paese a maggioranza serba, gridando “Allah Akbar” e uccidendo l\'agente Dragan Đurić prima di venire ucciso a sua volta.
Balcani, serbatorio di foreign fighters
La tipologia degli attentati avvenuti in Bosnia è diversa dalle stragi perpetrate dall\'autoproclamatosi “stato islamico” nelle grandi capitali europee. Ad essere colpiti sono obiettivi stranieri, oppure rappresentanti delle locali forze di sicurezza, militari o poliziotti.
I civili non sono stati finora coinvolti, il che lascia presupporre una strategia diversa dei gruppi radicali nei Balcani. Sporadicamente, singoli individui escono allo scoperto. Il ruolo principale assegnato alla regione, però, sembrerebbe essere quello di base logistica, ad esempio per il trasferimento di uomini o armi, e di serbatoio di potenziali “foreign fighters”.
Secondo il professor Vlado Azinović, docente all\'Università di Sarajevo e recentemente co-autore, con Muhamed Jusić, della ricerca “Il richiamo della guerra in Siria: il contingente bosniaco dei combattenti stranieri”, sarebbero circa 250 i bosniaci che hanno lasciato il paese per andare a combattere nel Medio Oriente, tra il 2012 e la fine del 2015.
Non si tratta di una cifra rilevante in termini assoluti, se comparata ad esempio a quella dei “foreign fighters” provenienti dalla Francia, dal Belgio, dal Regno Unito o dalla Germania. In termini relativi però, cioè riportati alla grandezza della popolazione (circa 3.800.000), non si tratta di un dato insignificante.
Bosnia, dove è facile procurarsi armi
La Bosnia Erzegovina, inoltre, ha alcune specificità, sotto il profilo del rischio terrorismo che la distinguono dalla maggior parte degli altri paesi europei. La prima è la frammentazione delle diverse forze e agenzie di sicurezza, nel contesto della complicata struttura istituzionale definita dagli accordi di Dayton.
Uroš Pena, vice capo del Direttorato per il Coordinamento delle forze di polizia del paese, ha recentemente dichiarato ai media locali che “la condivisione delle informazioni è un grosso problema. Ogni agenzia si tiene strette le migliori informazioni di cui dispone [...] Non abbiamo neppure una chiara definizione delle giurisdizioni”.
Il secondo elemento di rischio, per la Bosnia Erzegovina, è la relativa facilità con cui, a vent\'anni dalla fine della guerra, è ancora facile procurarsi armi. Quando sono stati firmati gli accordi di pace, molti hanno preferito conservare le armi, ad ogni buon conto. Queste armi possono ora finire nelle mani sbagliate nei modi più diversi, vendute sul mercato nero anche solo per aggiustare temporaneamente il bilancio familiare.
Il fatto invece che poco meno della metà della popolazione della Bosnia Erzegovina sia di fede, cultura o tradizione musulmana, l\'aspetto in genere più sottolineato dai media europei che si sono occupati del fenomeno terrorista nel paese, non rappresenta di per sé un elemento di rischio.
La comunità islamica locale (Islamska Zajdenica, IZ) ha sempre denunciato con forza il terrorismo e la violenza, invitando i propri fedeli a tenersi distanti dai gruppi radicali che cercano di sovvertire le regole su cui da secoli si fonda l\'Islam in questa regione.
Alle origini dei mujaheddini in Bosnia
Questi gruppi, secondo il giornalista Esad Hećimović, autore di “Garibi - Mujaheddini in Bosnia Erzegovina tra il 1992 e il 1999”, hanno cominciato a manifestare la propria presenza nel paese a partire dal 1992, anno di inizio della guerra in Bosnia. Alcune centinaia di combattenti (un numero verisimile è quello di 800 combattenti, secondo Hećimović), provenienti da paesi arabi o dall\'Afghanistan, si unirono alla brigata “El mujahid” dell\'Armija BiH, Esercito della Bosnia Erzegovina, o a formazioni minori, combattendo dalla parte dei bosniaco musulmani.
Dopo la guerra, la loro influenza continuò in modi diversi, attraverso il lavoro di predicatori, l\'assistenza finanziaria o la creazione di un sistema alternativo di welfare.
Oggi, venti anni dopo la fine della guerra, è difficile valutare la diffusione e influenza dei gruppi radicali. Data la conformazione del paese, si tratta di una presenza localizzata soprattutto in villaggi isolati, in zone montuose o rurali, dove questi gruppi conducono una sorta di vita sociale e religiosa parallela. Non tutti sono naturalmente legati alle reti del terrorismo internazionale, né tutti credono nell\'uso della violenza per la lotta politica o religiosa.
La comunità islamica ha però cercato recentemente di ricondurre le 64 comunità ribelli censite all\'interno della propria giurisdizione. Il difficile percorso non ha però sortito grandi risultati. Al termine dei colloqui, solo 14, delle 38 che hanno partecipato al processo, hanno accettato di (ri)entrare a far parte della comunità ufficiale.
Andrea Oskari Rossini nel corso degli anni \'90 ha lavorato in diversi progetti di assistenza ai profughi dell\'ex Jugoslavia in Italia e poi in programmi di cooperazione comunitaria e decentrata nei Balcani. Giornalista professionista e documentarista, lavora con Osservatorio Balcani e Caucaso dal 2002.
Quest\'articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra l\'Istituto Affari Internazionali e Osservatorio Balcani e Caucaso.
ATLANTIC INITIATIVE: http://www.atlanticinitiative.org
Quatorze ans après sa mort, l’ancien Président bosniaque fait un retour en force sur les écrans. Plusieurs films et séries documentaires turques reviennent sur le parcours du « père de l’indépendance » de la Bosnie-Herzégovine, présenté comme le « dernier rempart de l’islam dans les Balkans ». Une approche hagiographique qui, bien sûr, provoque de vives réactions en Republika Sprska...
https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzegovine-Alija-Izetbegovic-dernier-rempart-de-l-islam
Les départs de combattants islamistes vers la Syrie ou l’Irak ont pris fin en 2016, affirment les autorités de Bosnie-Herzégovine. En revanche, les retours au pays ont augmenté....
https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzegovine-condamnations-Syrie-Irak
Recensione di La porta d’ingresso dell’Islam, di Jean Toschi Marazzani Visconti, Editore Zambon 2016
http://www.linterferenza.info/esteri/la-porta-dingresso-della-jihad-made-in-usa/
Plus de 80 enfants originaires de Bosnie-Herzégovine se trouveraient actuellement sur les territoires contrôlés par les forces de l’organisation de l’État islamique. Certains d’entre eux auraient même été intégrés à des unités combattantes. C’est ce que révèle une étude de l’ONG Atlantic Initiative...
En Bosnie-Herzégovine, de plus en plus de femmes acceptent de devenir la deuxième femme d’hommes originaires de pays arabes. Des unions « basées sur l’amour et le respect », disent-elles, mais qui sont illégaux, autant aux yeux de la communauté islamique locale, qu’à ceux de la loi bosnienne...
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\"Krivica, dragi Brute, nije u našim zvijezdama,
već u nama samima, zato što smo robovi.\"
W: Shakespeare: Julije Cezar
Historija i njeni svjedoci
U dane kad se širi ksenofobija, a glasovi nacionalističke i rasističke desnice su u porastu u svim zemljama, treba se sjetiti napisa Prima Levija, autora knjiga \"Zar je to čovjek?\" (“Se questo è un uomo”\"), \"Sommersi e salvati\" - \"Potonuli i spašeni\", jer je stara istina da tko zaboravi učenje historije, osuđen je da ga ponovi. Izražavamo iskrenu nadu, da taj udes više neće zadesiti Evropu.
Primo Levi
Potonuli i spašeni - Zaključci
Iskustvo što ga nosimo mi, preživjeli nacističkih logora, postaje sve više tuđe novim generacijama na Zapadu, i ono će im postajati još više više strano i daleko, kako prolaze godine. Za mlade pedesetih i šezdesetih godina, bile su to stvari, koje su se izravno ticale njihovih otaca: o tome se raspravljalo u porodicama, a sjećanja su još čuvala svježinu onog, što su oćevi doživjeli i vidjeli. Za generacije osamdesetih, to su već stvari njihovih djedova: daleke, zamagljene, \"povijesne\". Oni su zaokupljeni svojim današnjim problemima, različitim i žurnim: nuklearnom opasnošću, nezaposlenošću, iscrpljivanjem sirovina, demografskom eksplozijom, tehnologijama, čije inovacije nailaze frenetičnom brzinom i traže da im se brzo adaptiraju. Konfiguracija svijeta je stubokom izmijenjena, Evropa nije više centar planete. Kolonijalni imperiji popustili su pritiscima naroda Azije i Afrike, žarko željnim nezavisnosti, pa su se raspali, ne bez tragedija i bez borbe između novih nacija. Njemačka /.../ je postala \"uvaženom\" zemljom, i realno drži u vlastitim rukama budućnost Evrope/.../Ideologije, koje su bile temeljem djelovanja pobjednika posljednjeg svjetskog rata, izgubile su jako mnogo od vlastite vjerodostojnosti i vlastitog sjaja. Tako se sada približava odrasloj dobi nova generacija skeptika, lišena ne ideala, već sigurnosti, štoviše nepovjerljiva prema otkrivenim velikim istinama; spremna da prihvati sitne istine, koje se mijenjaju iz mjeseca u mjesec na uskomešanom valu kulturnih moda, bilo da su te mode odnekuda pilotirane, ili da nastaju divlje. Zato nama postaje sve teže razgovarati s novim generacijama. Imamo osjećaj da je to naša dužnost, ali istovremeno ona nosi i rizik. Riskiramo da zvučimo anahrono, da nas se ne sluša. A mora nas se čuti: mi se moramo uzdići iznad naših pojedinačnih iskustava i da ona ne smiju biti samo pojedinačna; bili smo svi mi kolektivno svjedoci fundamentalnog i neočekivanog događaja, fundamentalnog baš zato, što je bio neočekivan, jer ga nitko nije predvidio. Dogodio se u Evropi, odigrao se protiv svih predviđanja, nevjerojatno. Dogodilo se da jedan cijeli civilizirani narod, koji je tek izišao iz grozničavog procvata Weimara, slijedi jednog histriona (glumca ovdje pežorativno -prev.) čija figura danas izaziva smijeh. A ipak su se Adolfu Hitleru pokoravali i pjevali mu hosana sve do konačne katastrofe. Pošto se dogodilo jednom, znači da se može dogoditi opet; to je opasnost na koju smo dužni upozoriti.
Može se dogoditi i to svugdje. Ne podrazumijevam pod tim, niti to želim reći da će se neizostavno dogoditi, kako sam već rekao; malo je vjerojatno da se realiziraju iznova, simultano, svi oni činioci, koji su izazvali nacističko ludilo, ali već se šunjaju neki upozoravajući znaci. \"Korisno\" i \"nekorisno\" nasilje je tu, pred našim očima. Ono gmiže, u nepredvidivim ili izdvojenim epizodama, ili kao bezakonje, koje provodi sama država, u onim zemljama, koje se običavaju nazivati prvim i drugim svijetom, a to znači u parlamentarnim demokracijama kao i u zemljama komunističkog kruga. U tako zvanom trećem svijetu nasilje je endemsko i dobija oblik epidemije. Ono samo iščekuje novog histriona, (a kandidati svakako ne manjkaju) da organizira i legalizira nasilje, da ga proglasi neophodnim i da njime zarazi svijet. Za malo zemalja može se jamčiti da u budućnosti neće doživjeti plimu nasilja, plimu koju rađa želja za vlašću, netrpeljivost, slabost vlada, ekonomski razlozi, religiozni ili politički fanatizam, rasna netrpeljivost. Treba dakle da izoštrimo našu osjetljivost, da sumnjamo u proroke, i riječi političkih zavodnika, svih onih što govore i pišu \"lijepe riječi\", koje nisu zasnovane na poštenim razlozima.
Bilo je opsceno rečeno da je sukob nužan, da ljudski rod ne može bez rata. Kazali su također, da su lokalni sukobi, nasilje na cesti, nasilje u fabrici kao i nasilje na stadionima jednaki, općenito uzevši, ratu i da nas to nasilje čuva kao \"malo zlo\", neka vrsta epilepsije, od velikog zla. Netko je također primijetio, da nikad u Evropi nije prošlo više od četrdeset godina bez ratova te da bi jedan toliko dugi mir predstavljao historijsku anomaliju.
To su varljivi i sumnjivi argumenti. Sotona nije neophodan, nema potrebe za ratovima i za nasiljem ni u kom slučaju. To se mišljenje, ovisno o događajima, vremenom pojačava, umjesto da bude prigušeno. Doista, mnogi znaci potiču na razmišljanje o genealogiji današnjeg nasilja, koje se grana i izrasta upravo iz onog, što je dominiralo u Hitlerovoj Njemačkoj. Zacijelo, nasilja nije manjkalo ni u dalekoj, ni u bliskoj prošlosti, niti ga je nedostajalo ni u besmislenom masakru Prvog svjetskog rata, iako su nadživjeli, makar u obrisima, tragovi međusobnog uvažavanja zaraćenih strana, tragovi humanosti u odnosu na zarobljenike i na goloruke civile te bar namjera, da se uvažavaju dogovori: vjernik bi kazao, da je još postojao \"izvjestan strah božji\". Protivnik nije bio smatran niti za demona niti za crva. Nakon nacističkog Gott mit uns sve se promijenilo. Na Goeringovea teroristička bombardiranja saveznici su odgovorili \"tepih\" bombardiranjem. Razaranje cijelog jednnog naroda i čitave jedne kulture pokazalo se mogućim, čak poželjnim samim po sebi ili kao sredstvo vladanja. Iskorištavanje robovske radne snage Hitler je naučio u Staljinovoj školi. A u Sovjetski Savez se ta praksa vratila umnožena po završetku rata. Bijeg mozgova iz Njemačke i iz Italije, zajedno sa strahom da ih nacistički naučenjaci ne prestignu, rodio je nuklearne bombe.
Preživjeli i očajni Jevreji, bježeći iz Evrope, nakon golemog brodoloma, stvorili su u srcu arapskog svijeta otok zapadne civilizacije, jednu moćnu palingenezu (preporod prastarog -prev.) jevrejstva, a ova je postala povod za obnovljenu mržnju. Nakon poraza naoizgled šutljiva nacistička dijaspora podučila je umijeću progona i vještinu torture vlastodršce bar desetak zemalja, što izlaze na Sredozemno more, ili na Atlanski ocean ili Pacifik. Mnogi suvremeni tirani drže u ladici \"Mein Kampf\" Adolfa Hitlera, a ova bi pisanija, možda, uz poneku ispravku, ili uz poneku zamjenu imena, još mogla pristajati svojim krojem.
Primjer Hitlera je pokazao do koje je mjere razoran rat, koji se vodi u industrijskoj eri, budući da i bez upotrebe nuklearnog oružja posljednjih godina, zlosretni poduhvat vijetnamskog rata, rat za Falkland, rat između Irana i Iiraka, događaji u Kambođi kao i oni u Afganistanu to nesumnjivo potvrđuju. No ipak sam rigorozno nastojao dokazati (nažalost ne u matematskom smislu) da bar koji put, bar djelimično, historijske krivnje bivaju kažnjene: moćnici Trećeg Reicha su svršili na vješalima ili kao samoubojice, Njemačka je kao zemlja doživjela biblijski \"pokolj prvorođenih\", koji je desetkovao cijelu jednu generaciju, kao i podjelu na dva dijela i to je značilo svršetak vjekovne germanske nadmenosti. Nije nipošto apsurdno pretpostaviti, da se nacizam od samog početka nije pokazao nemilosrdno surov, da ne bi došlo do saveza njegovih protivnika ili da bi se taj savez raspao prije kraja rata. Svjetski rat, koji su željeli nacisti i Japanci bio je samoubilački rat: sve bi ratove trebalo držati za takve.
No stereotipima koje sam pregledao /.../ htio bih dodati još jedan. Mladi nas pitaju, tim češće i tim intenzivnije kako vrijeme odmiče, od kakvog su materijala bili napravljeni naši \"krvopije\". Izraz se odnosi na naše bivše čuvare, na esesovce, i po mom mišljenju, to nije umjesan izraz: on aludira na nakazne pojedince, loše rođene, sadiste, pogođene nekom urođenom greškom. Naprotiv, bili su od istog materijala kao i mi, prosječna ljudska stvorenja, prosječno inteligentni, prosječno opaki, osim izuzetaka, nisu bili čudovišta, imali su naša lica, no bili su zlu naučeni. Bili su najvećim dijelom članovi nacističke partije i njeni poslenici, grubi, ali revni, poneki fanatično uvjereni u nacistički nauk, drugi indiferentni ili u strahu od kazni,
ili su željeli napraviti karijeru ili su bili pretjerano poslušni. Svi su prošli kroz zastrašujuće opaki nauk, koji im je davala i nametala škola, kakvu je htio Hitler i njegovi suradnici, a taj je nauk još bio upotpunjen esesovskim Drillom. Tu specijalnu vojnu organizaciju mnogi su odabrali zbog prestiža, koji im je ona jamčila, zbog njene svemoći ili pak iz banalnih novčanih razloga, kako bi se izbavili od porodičnih poteškoća. Neki, ali istini za volju, vrlo mali broj njih, pokajali su se i zatražili su da ih premjeste na front, ili su vrlo oprezno pomogli zatvorenicima ili su izabrali samoubojstvo. No neka bude sasvim jasno, da su odgovorni u manjoj ili u većoj mjeri bili svi, ali mora biti isto tako jasno, da iza njihove odgovornosti stoji ogromna većina Nijemaca, koji su od samog početka prihvatili, iz mentalne lijenosti, iz kratkovidnog proračuna, iz gluposti, ili iz nacionalne bahatosti, \"lijepe riječi\" Hitlera, i da su ga slijedili sve dok ga je pratila sreća, dok je bio njen favorit zbog pomanjkanja ikakvih skrupula i da su zajedno s njim bili povučeni u propast. Teško su ih pogodile smrti bliskih, bijeda i grižnja savjesti, a ne treba smetnuti s uma, da su bili rehabilitirani malo godina poslije svega, zbog jedne bezočne političke igre.
Primo Levi
Walter Barberis
Ono što Levi dijeli sa svim drugim zatvorenicima logora, je neizlječivost tog iskustva. Nije bilo u tom pogledu polemike i neslaganja s drugim piscem i analizatorom logora, porjeklom iz Strasburga, Jeanom Ameryjem: s njiim će ga povezati i isti kraj. Riječi koji je njegov drug po robovanju kazao, odnose se i na Prima Levija:\"Ko je bio mučen, biti će zauvijek mučen...Tko je podnio te patnje, neće se više nikad snaći u svijetu, Sramna grozota uništenja ličnosti ne može se ukloniti\". Neprirodnost i nepristojnost te mjere prezira i ugnjetavanja, krivnja onog koji je u bilo kojem vremenu zamislio zločine protiv čovječnosti leži u tome, što za žrtve, čak i one koje su izbjegle smrt, nema više života, već ih čeka spora smrt, često beskonačna.. Neizlječiva tjeskoba zbog onog što je preživio bila je jako prisutna kod Levija. Ispod naslova knjige \"Potonuli i preživjeli\" on je stavio ovu baladu starog mornara iz Codridgea.
Since then, at an uncertain hour,
Thet agony returns:
And till my glasly tale is told,
This heart withinm me burns.
Biografija Prima Levija:
Primo Levi rođen je u centru Torina 1919, u kući u kojoj će živjeti sve do smrti. Otac mu je bio inženjer elektrotehnike, dok se on bavio kemijom i radio kao stručnjak u tvornici sve do 1975, kad odlazi u penziju i isključivo se posvećuje literaturi. Autor je nekoliko knjiga o boravku u Auschwitzu i o svemu što se odnosilo na mučenje i na uništenja čovječje duše. Nakon 8 septembra 1943 pridružio se partizanima u Val d\'Aosti. Potkazan, uhvaćen je od fašista iz Salòa na spavanju, sa još dvojicom drugova. Kao Jevrejin, upućen je u talijanski logor Campo Formio, koji preuzimaju nacisti i šalju ga u Auschwitz u februaru 1944. Ostaje sasvim slučajno živ: odolio je smrti od gladi iscrpljenosti, jer mu je na gradilištu kemijske tvornice u kojoj je radio, neki talijanski zidar potajno ostavljao hranu, a potom, kad su nacisti ostali gotovo bez kvalificirane radne snage, radi kao kemičar u laboratoriju iste tvornice. Upravo pred oslobođenje logora od Crvene Armije, u januaru 1945, kad su esesovci nastojali evakuirati i pobiti preživjele logoraše, Levi se razbolio te ga šalju u neku vrstu logorske bolnice.
Po povratku kući piše pjesme i objavljuje dvije knjige Zar je to čovjek? i Povratak. Cijelog života radi svoj posao, razmišlja i piše o preživljenom. Njegove knjige doživljavaju znatnu popularnost tek desetak godina nakon Drugog svjetskog rata. Nalazi se u bolnici upravo kad je njegova knjiga Periodički sistem bila prevedena na engleski i francuski jezik.
Početkom 1987 sudjeluje u polemici o tako zvanom \"historijskom revizionizmu\", koji nastoji dati drugačiju dimenziju nacističkoj krivici. Vrativši se kući iz bolnice završio je život samoubojstvom, kao i književnici, što su pisali o nacizmu, Amery i Zweig.
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A New York la rassegna su Jasenovac, il campo di concentramento del regime ustascia. Dura la Croazia: «Dati falsi, i fini sono propagandistici»
27 gennaio 2018
BELGRADO I rapporti tra i due Paesi sono da sempre nervosi e difficili. E può bastare anche una mostra - dedicata però a un tema molto delicato e doloroso - per eccitare gli animi.
È quanto sta accadendo tra Belgrado e Zagabria per una rassegna sul campo di concentramento di Jasenovac, all’interno del quale durante il regime ustascia furono uccise in maniera brutale decine di migliaia di persone, in particolare serbi, rom ed ebrei, ma anche antifascisti, croati compresi. Proprio il campo è il tema di “Jasenovac – Il diritto a non dimenticare”, esposizione sponsorizzata dalla Serbia nell’ambito della Giornata della Memoria, aperta l’altra sera nel quartier generale delle Nazioni Unite a New York.
La mostra, si legge in una nota del ministero degli Esteri serbo in cui vengono riportate le parole del suo titolare, Ivica Dačić, è pensata per portare «per la prima volta» all’Onu la storia di un genocidio di cui si rese colpevole lo Stato-fantoccio filonazista retto da Ante Pavelić. Ed è una mostra che racconta un capitolo terribile della Seconda guerra mondiale.
Ma l’idea ha trovato «una resistenza molto forte, in particolare da parte di uno Stato», ha disapprovato la nota. Stato che risponde al nome di Croazia. Lo ha confermato lo stesso ministero degli Esteri di Zagabria, con un comunicato diffuso attraverso l’agenzia Hina in cui si accusa la Serbia di «manipolazioni» e di avere diffuso «dati falsi» attraverso un’iniziativa che perseguirebbe nient’altro che «fini propagandistici». La mostra, ha continuato Zagabria - sottolineando anche il suo «profondo rispetto per tutte le vittime» del regime ustascia, in particolare quelle di Jasenovac - «non contribuisce alla riconciliazione, alla costruzione di rapporti di fiducia».
Ma cosa ha fatto indispettire la Croazia, negli anni passati al centro di polemiche, anche interne, per la presunta inazione delle autorità verso derive revisionistiche nel Paese? La nota non lo specifica nel dettaglio, lasciando spazio alle speculazioni più diverse. I media serbi hanno così suggerito che la Croazia potrebbe essersi risentita per non essere stata coinvolta nell’organizzazione dell’evento. Oppure per l’esposizione di una foto del controverso cardinale Stepinac; o per possibili esagerazioni sul numero delle vittime, contenute in vecchi film che sarebbero stati proiettati a New York. A inasprire le polemiche è stato anche un passo del discorso tenuto da Dačić all\'Onu. Il ministro ha infatti invitato il premier croato, Andrej Plenković, ad andare personalmente «a Jasenovac». E a «inchinarsi» lì, in memoria delle vittime. E lo stesso Plenković dovrebbe anche «chiaramente definire», ha rincarato Dačić, «chi sono le vittime e la loro entità, se sono 50mila, 100mila o 700mila».
Secondo quanto informa lo United States Holocaust Memorial Museum, le «stime attuali» dicono che a Jasenovac sono morti tra «i 77mila e i 99mila» prigionieri. Dati del memoriale di Jasenovac indicano invece la cifra di 83.145 vittime al momento identificate, tra cui 20mila bambini e minori; 47.600 furono i serbi, 16.200 i rom, 13.100 gli ebrei, 4.200 i croati. Ma in passato sono circolate, in Croazia e in Serbia, anche cifre di molto inferiori e superiori, a seconda degli schieramenti. Sorpreso dalle polemiche è il professor Gideon Greif, direttore della mostra, frutto del lavoro di esperti di sette Paesi. E apprezzato studioso dell’Olocausto. Greif al Piccolo assicura che nell’esposizione all’Onu «non siamo entrati sul punto controverso e così delicato» del numero delle vittime, né sul caso Stepinac. «Abbiamo cercato di evitare ogni discussione, di essere moderati», spiega, anticipando che la mostra, in una versione ampliata, farà presto tappa in Israele. E lì le cifre ci saranno, quelle che «pensiamo siano giuste».
«Intendo sottolineare – aggiunge lo studioso – che non vogliamo inventare o distorcere nulla. E non abbiamo niente contro la Croazia, i croati o il governo croato: questa è storia, non politica». E «riguardo al numero delle vittime, a Stepinac, non abbiamo cattive intenzioni, non vogliamo dare la colpa a nessuno, solo raccontare cosa è successo, la storia è la storia». E la mostra, chiosa, è stata organizzata solo «in memoria degli innocenti torturati, umiliati, uccisi. Non per il governo serbo o per quello croato».
Hrvati hteli da se zabrani izložba o Jasenovcu u UN!
Prema našim informacijama, zvanični Zagreb je diplomatskim kanalima tražio da UN zabrane izložbu u svojim prostorijama, pa su se sa takvim zahtevom obratili i Guteresu. Kako saznajemo, po njima je bila sporna fotografija Alojzija Stepinca i njegova strašna misija u pokatoličavanju Srba, kao i isticanje broja nastradalih o kojem se govori u filmu koji je deo postavke.
Posle ovog manevra Zagreba, kojem očigledno smeta da svet čuje istinu o zverstvima u Jasenovcu, usledila je brza reakcija našeg šefa diplomatije Ivice Dačića. On je od generalnog sekretara UN zatražio i dobio zvanično odobrenje da izložba može da se organizuje.
\"Jasenovac - pravo na nezaborav\" je najveća i najmonumentalnija izložba o Jasenovcu koja će prvi put biti postavljena u UN sa sedam tona opreme i eksponata koji će na multimedijalni način Srbiju predstaviti kroz srpsko-jevrejski projekat povodom obeležavanja međunarodnog dana Holokausta.
Pročitajte još - U Njujorku branimo istinu o Jasenovcu
Specijalni gosti na otvaranju izložbe biće preživeli - deca logoraši Jasenovca i Jastrebarskog - iz Srbije Jelena Buhač Radojčić, Smilja Tišma, Gojko Rončević Mraović, a iz Njujorka Eva Kostabel Dojč i David Alkalaj koji su preživeli Rab, Pag i Jasenovac i koji će se ovom prilikom videti prvi put.
Takođe, prvi put će biti predstavljeni novootkriveni dokumenti o ovom logoru i žrtvama najstrašnijeg stratišta u Nezavisnoj Državi Hrvatskoj.
Kako navode iz MSP, izložba predstavlja skroman doprinos očuvanju univerzalnih vrednosti čovečanstva i globalnih napora UN u cilju sprečavanja pojave revizije i rehabilitacije neonacističkih i neofašističkih ideologija isključivosti i svih oblika diskriminacije i fanatizma.
POČASNI GOST
POČASNI gost izložbe biće Rouzi Stivenson Gudnajt, potpredsednica Vikimedije i potomak čuvenog Davida Albale, koji je izdejstvovao prvo priznanje Balforove deklaracije. Prva vlada koja je odobrila Balforovu deklaraciju (podrška jevrejskim težnjama za stvaranje \"nacionalnog doma\" u Palestini) bila je Vlada Srbije u egzilu 1917, za vreme Prvog svetskog rata, a primerak tog dokumenta biće prikazan na izložbi.
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Partija “Komunisti Srbije” prenosi tekst članka koji je objavljen na portalu N1 22.01.2018.godine i u potpunosti podržava stavove koje je u njemu izneo selektor rukometne reprezentacije Srbije Jovica Cvetković.
Selektor rukometne reprezentacije Srbije Jovica Cvetković oglasio se povodom burnih reakcija javnosti na njegovu raniju izjavu da “očekuje punu podršku braće Hrvata u meču sa Francuskom” i objasnio zbog čega je to rekao.
Cvetković je u najavi meča sa Francuzima, između ostalog, rekao i da bi bio sretan ukoliko njegovi igrači dobiju svjetske šampione i pomognu Hrvatima da odu u polufinale.
“Vidim da je moja izjava izazvala burne reakcije, ali znam šta sam rekao bez trunke kajanja. Četrdeset godina smo živeli kao braća, pomešane krvi, zajednički slava, Božića i Bajrama. Bilo nam je lepo. Izrekao sam istinu koja ne sme da se kaže”, rekao je Cvetković, a potom nastavio u istom tonu:
“Hoćemo li ćutati i pokazati da smo mrtvi, samo toga nismo svesni, čekamo da nam jave? Hoćemo li našoj deci narednih 40 godina ostaviti pogrome, oluje, klanje ili pak pokazati da postojimo dajući im delić našeg srećnog detinjstva kada nismo znali za razlike među ljudima? Hoćemo li ih ostaviti u getima malih državica ili otvoriti širinu naše prošlosti kada su nam svi putevi u svetu bili otvoreni? Da li ćemo se zadovoljavati što ovakvi mali, ništavni, slepi, predstavljamo klozet Evrope?”.
Iskusni stručnjak je istakao i da bi najbolje za sve na ovim prostorima bilo ukoliko bi naučili da praštaju.
“Ne, ne bi trebalo zaboravljati, ali treba praštati zbog budućnosti koja za našu decu na ovim prostorima zavisi samo od naše svesti. Baš me briga za sve one politike koje nas dele, kao i za sve “velikosrbe”, “velikohrvate”, “velikobošnjake, “velikoalbance”, koji našoj i svojoj deci kopaju grobove”,zaključio je Cvetković.
Piše: Merima Čustović / Objavljeno: 11.03.2016.
Nismo imali nikakvu politiku nakon raspada Jugoslavije. Nastao je grabež. Ti bivši rukovodioci prebacili su se u nacionalističke stranke, bivši komunisti postali su nacionalisti. Gangsteri su došli na vlast i opljačkali su vlastite narode. Na vlasti je politička mafija, koja je organizirana po principu “ti meni, ja tebi”.
Na filmskoj sceni bivše Jugoslavije Lordan Zafranović (70) slovi za jedno od najboljih rediteljskih imena i najiskrenijih stvaralaca. Do sada je napravio osamdesetak ostvarenja, a u većini njih je reditelj i scenarist.. Teme bira po strahu, šta bi se moglo desiti, a što bi trebalo biti upozorenje za gledaoce. U vrijeme Jugoslavije stvarao je filmove koji su progovarali o zlu zbog čega je često imao problema. Zbog dokumentarnog filma “Krv i pepeo Jasenovca”, bivši hrvatski predsjednik Franjo Tuđman proglasio ga je neprijateljem hrvatskog naroda. O dolasku nacionalizma upozoravao je kroz “Okupaciju u 26 slika”, a zbog serijala o Titu i prijetnji HDZ-ove uprave na HRT-u, morao je bježati iz zemlje, što je rezultiralo s nekoliko godina “izbjeglištva” u Pragu i Parizu. U Pragu se Zafranović bavio pedagoškim radom na FAMU kao profesor režije. Trenutno u Češkoj u produkciji češke televizije priprema “Moć ljubavi”, novi film s ratnim backgroundom, koji će govoriti o dvojici braće Bosanaca.
– Film “Moć ljubavi” dug je prema vlastitoj sudbini, jer sam i ja jedna vrsta emigranta. Braću po kojoj snimam film, upoznao sam, bili su mesari. Film je iskušenje bratske ljubavi u odnosu na ljubav prema ženi. Sada tražimo pjevačicu i plesačicu čudesnog glasa, koja čudesno pleše, a u koju se zaljube ova dva brata – povjerio nam je reditelj.
U planu imate i film “Sarajevska princeza”, koji je potresna priča iz okupirane bh. prijestonice, ali i sasvim drugačiji film “Karuzo”?
– “Sarajevska princeza” je prioritet. Već sam napravio nacrt budućeg scenarija po istoimenoj knjizi Ediba Ede Jaganjca. Bit će vrlo emocionalan film o nesreći koja je zadesila Sarajevo, o dobroti ljudskog bića, doktora koji pokušava da spasi mali život, a s druge strane, istaknut ću tu bešćutnost međunarodnih činioca koji su u to vrijeme bili u Sarajevu. “Karuzo” je dosta velik film i rekonstrukcija je vremena u Splitu uoči Drugog svjetskog rata. Čekamo rezultate HAVC-a da bismo počeli realizaciju sa tri produkcije, dakle, pored hrvatske, još s češkom i francuskom.
Hoće li u “Karuzu”, kako ste najavljivali, igrati slavni Deni de Vito?
– Poznavao sam Karuza, bio sam dječak od 10-11 godina kada je on još bio živ i frapantno liči na De Vita. Našao sam producenta u Francuskoj koji je stupio u kontakt s njim. U principu, on je pristao. Čeka rezultate finansiranja, jer bi se finansirao vlastitom produkcijom koju ima u Njujorku. Dakle, dali bismo mu određene zemlje, Ameriku sigurno, gdje će distribuirati film da bi igrao u njemu. Naravno da bi to bila jedna od najboljih varijanti, jer bi distribucija filma bila u cijelom svijetu, a De Vito je veliki glumac, doprinio bi cijeloj priči.
Ratom ćete se baviti u dva nova filma. Činjenica je da je rat sve poremetio pa narodi bivše Jugoslavije nikako da se oporave i krenu naprijed. Imaju li danas svoje identitete narodi nekada združene zemlje?
– Pokušavam se vratiti u jednu od tih zemalja, u Hrvatsku, od 2000. godine, kada su došli na vlast socijalisti, misleći da su meni nekako bliski. No, nacionalizam i mržnja koja je pumpana devedesetih, i danas su prisutni. U to vrijeme tajno sam dolazio da posjetim majku i svoje i morao sam se skrivati, jer je bilo opasno, bio sam na određenim listama za likvidaciju. Danas ima elemenata neke demokratske situacije, po kojoj čovjek može po strani da živi, ali je nacionalizam izražen. Ukoliko nisi u nekoj partiji, klapi, krugu koji se već godinama vrti, onda nemaš šanse da uspiješ. Krug je tu zatvoren i, uvijek kada sam ja u pitanju, pojavi se sumnja na čijoj sam strani. Zaboravljaju da ima ljudi koji nemaju nikakvu stranu i da idu svojim nekim putem, da prave neke svoje vlastite svjetove. Ulazak u tu nacionalističku vrstu ludnice ponovo s ovim godinama i mojim iskustvom, skoro je nemoguć. Kada me pitate zašto sam u Pragu, zato što ne mogu tamo.
Nastao je grabež
Jeste li zadovoljni izborom nove predsjednice Kolinde Grabar-Kitarović i ulaskom Hrvatske u Evropsku uniju?
– Ma, kakvi! Prijem Hrvatske u EU svi smo pozdravili, ali je ta zemlja na periferiji Evrope i ostavljena je po strani. Sve skupa se odvija na nekom nacionalnom planu, dovoljno je da kažeš da si Hrvat i to je kraj svega i početak svega. Ne vjerujem da se bez nekih korjenitih promjena u toj strukturi, koje bi trebale da vode tu državu, može desiti nešto bolje u narednih dvadesetak godina.
Kako biste ocijenili političke garniture vlasti u zemljama bivše Jugoslavije? Mislite li da narodi tih zemalja imaju šansi za bolju budućnost?
– Nismo imali nikakvu politiku nakon raspada Jugoslavije. Nastao je grabež. Ti bivši rukovodioci prebacili su se u nacionalističke stranke, bivši komunisti postali su nacionalisti. Gangsteri su došli na vlast i opljačkali su vlastite narode. Na vlasti je politička mafija, koja je organizirana po principu “ti meni, ja tebi”. Ako pogledate samo Tuđmana, njegov mali unuk nije imao ni 20 godina kada je dobio banku da je vodi. Drugi sin mu je postao veliki producent, a kćerka je vodila dvije-tri velike firme. Kako preko noći stvoriti 100 bogatih familija ako one ne pljačkaju? Nemoguće je, bogatstva se stvaraju stoljećima. Nažalost, nemamo političke elite i dok se ne formiraju autoriteti koji svojim djelom garantiraju da će biti bolje za narod, da će se boriti za socijalno poboljšanje, do tada nema ništa. Do tada će sve plivati u nacionalnosti.
Titova Jugoslavija vrhunac civilizacije naših naroda
Napravili ste veoma zanimljiv serijal o Titu. Rekli ste da je historijska činjenica da je on napravio autentičnu zemlju i narode. Jeste li jugonostalgični?
– Za čovjeka koji je prošao ta dva sistema, dakle sistem u kojem je Tito svojim autoritetom držao državu na okupu i sistem kapitalističkog raspada Jugoslavije, ne može se kazati da je jugonostalgičan. Sve civilizacije, kada su na samom vrhuncu, padaju, pretvaraju se u prah i više ih nema, nasljeđuje ih nešto drugo.
Titova Jugoslavija bila je vrhunac civilizacije tih nesretnih naroda i smatram da nikada više u svojoj historiji neće biti na tom nivou, s tim ugledom, s takvom snagom, s tim socijalnim situacijama, u kojima su bili besplatni školovanje, bolnice, ljetovališta, kada je cvjetala umjetnost…
Kritični ste prema stanju umjetnosti, stanju duha. Kako stvari mijenjati?
– Nemam formulu za to. Jedina je formula da se u svojim djelima sami pokušate ustrajno boriti protiv zla i da ga na neki način prikazujete, da upozoravate stalno na njega, da to treba, jednostavno, iskorijeniti. Jučer smo slavili Aušvic.
To je poraz ljudskosti, tu se pokazuje da su ljudi, zapravo, najgore zvijeri. To je ponižavajući odnos prema nama. Taj užas se desio faktički jučer, a ponovio se faktički jutros u Srebrenici. Još vlada strah i jedan mali poticaj negdje sa strane i može ponovo da pukne na isti način.
(Avaz)
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Questa mattina, a Gorizia, un municipio di un Comune italiano, nella Repubblica nata dalla Resistenza, è stato violato dalla presenza delle bandiere fuorilegge e golpiste della RSI, sventolate in nome di un malinteso senso di \"amor patrio\" dai nostalgici di quella parte d\'Italia che, tradendo il legittimo governo in carica, scelsero di dare vita ad una repubblica golpista alleata con gli invasori nazisti; alleanza che contribuì a far proseguire ancora per quasi due anni la scellerata guerra scatenata dai nazifascisti, causando in tal modo la morte di altri milioni di persone: nei combattimenti, sotto le bombe, nei lager nazisti, ma non solo. I militi della Decima Mas (commemorata oggi a Gorizia da nostalgici, nazionalisti e fascisti) collaborarono nelle azioni di rappresaglia a fianco dei nazisti massacrando altri italiani, propri connazionali, \"colpevoli\" di volere un\'Italia libera e non fascista. Oggi ce li presentano come difensori della patria e dell\'italianità, ma noi sappiamo bene che gli italiani che combattevano nelle formazioni al fianco del Reich di Hitler combattevano contro la loro stessa patria.
Oggi abbiamo sentito dichiarare da più parti che è giusto commemorare chiunque abbia lottato ed è morto per le proprie idee: a quando una commemorazione solenne anche per Adolf Hitler? Oppure, per fare un paragone coi giorni nostri, dovremmo rendere onori anche ai kamikaze sedicenti dell\'Isis che in nome delle loro idee provocano stragi nel mondo?
Manifestazioni come quella di stamattina a Gorizia non solo sono inaccettabili politicamente ed umanamente, ma va aggiungo che l\'esposizione di vessilli e simboli fascisti costituisce violazione di legge.
Non dobbiamo permettere ai fascisti di tornare nelle piazze a seminare odio! L\'antifascismo oggi è necessario più che mai per fermare questa avanzata reazionaria che ci sta minacciando.
Claudia Cernigoi, 20 gennaio 2018
Scandaloso il servizio della Rai regionale del Friuli Venezia Giulia di ieri alle 14 (1).
Si parlava della manifestazione goriziana dell’associazione dei reduci della banda neofascista repubblichina “X Mas” e dei loro giovani eredi di Casa Pound. I quali sono stati ricevuti in pompa magna dall’amministrazione comunale, uno dei “fari” di quella riconquista progressiva dei municipi delle città friulgiuliane da parte di coalizioni di centrodestra. Infarcite, queste ultime – e talvolta guidate direttamente – di esponenti del neofascismo, che sta trasformando le nostre strade in luoghi di pattugliamento per polizie varie e per squadristi in divisa (oggi ribattezzati “stewards”). Mentre un pluriprocessato e condannato, risorto per meriti altrui, punta nuovamente al cuore dello Stato per ri-farsi i suoi affari, i suoi sostenitori si dedicano alla caccia ai sempre più numerosi poveri ed emarginati, indigeni ed immigrati.
Fantastica la descrizione dell’evento, dedicato a commemorare i tempi gloriosi in cui “la X Mas si oppose all’avanzata del X Korpus jugoslavo verso Gorizia” (2). Ciò secondo i giornalisti Rai, notoriamente sottopagati e troppo occupati a riciclare in fotocopia le stesse “notizie” per giorni e giorni – ove scarseggino le gradite libagioni per “Telesagra” – per documentarsi minimamente. O così almeno speriamo. Altrimenti, se fossero pure coscienti di quello che dicono, sarebbe pure peggio.
Così si finisce per trasformare i torti in ragione, e commemorare positivamente chi – tra l’altro – rastrellava gli ebrei per mandarli nei forni creamatori, in Germania, ma anche in Italia (nella Risiera di San Sabba a Trieste). Come dire: mentre il Presidente della Repubblica nomina Senatrice a Vita Liliana Segre, bambina sopravvissuta ad Auschwitz, a Gorizia ed a Trieste si commemorano i suoi cacciatori e gli sterminatori della sua famiglia. Congratulazioni!
Cosa fosse la X Mas (e cosa abbia continuato ad essere nel dopoguerra, tra partecipazione alle stragi mafioso-politiche come Portella della Ginestra ed i golpe del suo capo, il principe Junio Valerio Borghese) lo hanno già scritto in tanti, e qui ci limitiamo a rimandare alla più recente sintesi di L.M. Puppini (3).
Quello che ci interessa qui sottolineare è l’acritica, e temiamo ormai inconsapevole acquisizione dei temi della propaganda nazionalfascista nelle menti degli stessi giornalisti di un servizio pubblico radiotelevisivo, ormai scaduto ai più bassi livelli del Grande Fratello renzusconiano. Infarcito di tanta propaganda, di intrattenimento di basso livello e di infima capacità di informazione. Tanto da non chiedere neanche alla storica Anna Di Gianantonio, presente tra i contestatori alla contromanifestazione indetta dall’ANPI di Gorizia, di dare una versione corretta degli eventi.
In sintesi:
1) la X Mas era una banda di predoni, stupratori ed assassini seriali. Una delle tante tristi gangs che accompagnavano i nazisti tedeschi occupatori nelle loro scorrerie, volte a ritardare con ogni tipo di violenza la vittoria del fronte dei cosiddetti “alleati” di allora, ufficialmente designati “Nazioni Unite” (ed il nome era, non certo casualmente, quello che poi sarebbe diventata l’organizzazione mondiale dell’ONU);
2) il territorio goriziano, insieme con tutto il Sudtirolo (e lì, ammettiamolo, qualche ragione i tedeschi pure ce l’avevano…), il Trentino, il Bellunese, il Friuli e la Venezia Giulia, fino all’annessa nel 1941 “Provincia di Lubiana”, non era già più Italia, per i tedeschi ed i loro alleati della Repubblica di Salò, essendo stato annesso al Terzo Reich germanico. Per cui chi avesse voluto difendere l’italianità di quelle terre aveva una sola possibilità: entrare nella Resistenza antifascista, che era alleata delle Nazioni Unite;
3) la X Mas qui non stava quindi a difendere l’italianità di queste terre, ma faceva da truppa di complemento degli occupanti nazisti, in ben poco augusta compagnia: tra franchisti spagnoli della “Division Azul” e cetnici monarchici jugoslavi, collaborazionisti sloveni (domobranci), croati (ustaše) e russi (cosacchi e caucasici) ed ogni altra morchia del pianeta. Dedicandosi prevalentemente ad angariare le popolazioni locali ed a dare la caccia ai partigiani (cioè la Resistenza, cioè le Nazioni Unite);
4) quella della difesa dell’italianità al confine orientale – rivendicazione per altro anche della maggioranza della resistenza friulana: e non solo degli osovani – è diventata, durante la successiva Guerra Fredda, una falsificazione ideologica per riciclare i fascisti in funzione anticomunista. Con quali danni, in termini di infiltrazione degli apparati dello Stato e di successivo stragismo nero/di Stato lo sappiamo tutti. Fino a stravolgere la memoria storica, riducendo la Resistenza jugoslava attiva dal 1941 – anche nel territorio del Regno sabaudo, che aveva inglobato più di mezzo milione di sloveni e croati – nello stereotipo negativo del “titino”, volgarizzando le questioni nazionali in un territorio mistilingue e nascondendo i crimini del nazionalismo italiano e del fascismo;
5) in ogni caso, la allora Provincia di Gorizia aveva una popolazione per la stragrande maggiornanza di lingua e cultura slovena; fenomeno che nel territorio a nord-ovest della città si trasformava in una totale assenza di italiani, se si eccettuavano il maresciallo dei carabinieri e qualche maestro e dipendente pubblico che avevano sostituito i precedenti titolari, fuggiti in Jugoslavia o confinati in altre (lontane) regioni italiane al fine di snazionalizzare la popolazione occupata nel 1918;
6) dalla Selva di Tarnova/Trnovski Gozd (territorio etnicamente sloveno) non erano in arrivo orde barbariche pronte a calare su Gorizia – tra l’altro, nel gennaio 1945, la Resistenza era ancora debole, e le armate delle Nazioni Unite ancora congelate sull’Appennino Tosco-Emiliano, nei Balcani ed ai confini dei Reich – ma c’era una delle più grandi zone libere della Resistenza jugoslava. Cioè di uno dei più grandi eserciti delle Nazioni Unite, una delle poche forze armate partigiane capaci di liberare il proprio territorio praticamente da sole. Che dovessero avanzare, faceva parte del progetto comune per liberare il pianeta dalla peste nazifascista;
7) infine: di fronte ai fascisti della X Mas non c’era solamente il IX Corpus (che poi sembra una cosa così truce a citarlo: mentre era meramente il Nono Corpo d’Armata dell’Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia), ma c’era in prima fila la più grande divisione partigiana italiana allora in attività: la Divisione Garibaldi Natisone.
Ecco, i partigiani friulani della Natisone. L’Italia, per fortuna, furono e la difesero innanzitutto loro. Checché ne dica la Rai.
Gian Luigi Bettoli
NOTE:
(1) L’edizione del Tg Rai del Fvg, replicata alle 19.30, é consultabile a questo indirizzo: http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-4face55d-dac2-44da-bc83-f3df694e3f7b.html#p=0
(2) Citazione testuale.
(3) Laura Matelda Puppini, Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori,all’indirizzo: http://www.nonsolocarnia.info/storia-della-collaborazionista-x-mas-con-i-nazisti-occupanti-dopo-l8-settembre-1943-per-conoscere-e-non-ripetere-errori/
di Marco Barone, 9 aprile 2017
Un dibattito dove sono emerse delle dichiarazioni, come pubblicate dal Piccolo del 9 aprile 2017, di una gravità inaudita, di una interpretazione storica pazzesca.
«Noi non eravamo gli alleati degli alleati. Noi eravamo i perdenti». Il risultato? «La Costituzione italiana è nata senza il contributo delle province di Trieste e Gorizia. Non c’è stata nessuna Liberazione qui e quindi non c’è nessun 25 Aprile da festeggiare».
[FOTO: il ritaglio di giornale: https://4.bp.blogspot.com/-z-B_MaimahM/WOoNWd2TEtI/AAAAAAAATNk/ZwIrujrjyvwkad9ahgpPIeGIPksgvpzOACLcB/s1600/25%2Baprile.PNG ]
IL FRONTE VENETO SKINEADS E IL GRUPPO UNIONE DIFESA DI TRIESTE rendono omaggio ai loro \"eroi\" infoibati a Basovizza (25/4/17)
Di infoibati nello Šoht [\"foiba di Basovizza\"] ne risulta in realtà uno solo, il tranviere triestino Mario Fabian che lasciò l’impiego per arruolarsi volontario nell’Ispettorato Speciale di PS. Le persone che confessarono di avere arrestato Fabian e di averlo gettato nel pozzo della miniera furono processate e condannate nel 1949. Riassumiamo di seguito quanto emerge dal processo, come riferito dalla stampa (l\'Unità 28/6/50).
«Daniele Pettirosso ha raccontato come l’8 gennaio del 1945 in seguito ad un rastrellamento effettuato dai nazisti e da agenti della Collotti a S.. Antonio Moccò, egli venne arrestato e condotto all’Ispettorato di via Cologna. Quivi fu interrogato saltuariamente per ben diciassette giorni e fra i suoi aguzzini il Fabian fu quello la cui fisionomia gli restò impressa. Infatti fu proprio il Fabian che lo legò alla famosa “sedia elettrica” durante “l’interrogatorio” all’osteria di Moccò».
Ed ancora:
«L’imputata Hrvatič ha detto: -Avevo notato il Fabian fra gli agenti che parteciparono al rastrellamento del 10 gennaio 1945 nel paese di Moccò-, fatto confermato indirettamente dalle dichiarazioni della teste Vittoria Zerial, vicina di casa della famiglia Fabian: -Conoscevo il Fabian. Un giorno (…) mi disse di avere partecipato a un rastrellamento in quel di Moccò e se avesse comandato lui, avrebbe fatto arrestare anche il parroco del paese che aveva suonato le campane per dare l’allarme agli abitanti».
Del tutto coerenti, dunque, i neonazifascisti nostrani hanno reso onore al proprio eroe, il torturatore Mario Fabian.
Nella fossa infatti furono gettati i corpi dei militari germanici caduti nella battaglia di Opicina che durò dal 29 aprile al 3 maggio 1945 e nel corso della quale persero la vita da una parte 149 partigiani, 32 appartenenti al battaglione sovietico, 8 abitanti del paese e 119 non identificati; i tedeschi persero 780 uomini e 3.500 furono i prigionieri. Fu dunque necessario dare urgente sepoltura a tutti questi morti: dei tedeschi 220 trovarono posto nel cimitero militare di Opicina, mentre gli altri 560 vennero sepolti d’urgenza nell’abisso 149. Dai registri cimiteriali risulta che nell’estate ’45 questi ultimi furono traslati al cimitero triestino di S. Anna e poi, in seguito ad un accordo tra i governi tedesco ed italiano ratificato nel 1957, inumati nel cimitero militare germanico di Costermano (VR)
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http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58486
Curiosa coincidenza. Il nascente governo di destra austriaco lancia, tramite i suoi componenti più nazionalisti, una proposta che ci stupisce più che preoccuparci: la concessione del passaporto austriaco agli altoatesini che abbiano optato per il gruppo etnico tedesco.
Dovremmo allora sapere che una proposta analoga, trasformatasi in legge un anno fa in un altro angolo d’Europa, ha innescato una reazione a catena che, proprio in questi giorni, sembra aver gettato le basi di un nuovo fronte Nato contro Russia nell’est europeo.
Pochi si stanno infatti accorgendo che la Romania (governo filo Nato), si sta orientando a un assorbimento di fatto della vicina Moldavia (governo filo occidentale, ma Presidenza della Repubblica filo russa e alla Russia legata da forti rapporti economici).
Tutto iniziò, per l’appunto, un anno fa, con la concessione del passaporto rumeno ai moldavi di “parte” rumena.
La Moldavia, per la cronaca, è un paese con una forte minoranza di lingua russa e una maggioranza di lingua moldava. Sul fatto che il moldavo sia una lingua e non solamente una variante dialettale del rumeno i linguisti sono disposti a battersi a duello.
Venendo ai giorni nostri, per tagliare corto, su evidente pressione di Bucarest, il governo moldavo ha recentemente deciso che sia il rumeno, non il moldavo, a rappresentare la lingua di Stato.
Se si somma questo provvedimento a quello di un anno fa, relativo alla possibilità di un passaporto rumeno per i moldavi (modello Austria per i sudtirolesi/altoatesini, per intenderci) il gioco è fatto.
Ne esce un combinato disposto o se preferite un effetto cumulativo che cambia i connotati della povera Moldavia.
Da paese in miseria che cerca però di tutelare la distensione tra le sue due anime (rumena e russa) a paese strategicamente oggetto dei desideri della Nato a causa della sua collocazione strategica nei pressi del Mar Nero, che potrebbe perdere la sua identità multietnica e venire risucchiata, quanto meno militarmente, sul fronte occidentale. In omaggio a quella che Yurii Colombo, su il Manifesto, definisce un’iniziativa “neo-coloniale” del governo rumeno.
Spaccatura in Moldavia, tra il Presidente Dodon socialsta e filorusso e governo di centrodestra e filo Nato.
Possibile preludio a un nuovo fronte di guerra fredda da brividi, che andrebbe a sommarsi con la guerra calda nel Donbass e con le tregue mai definitive nei Balcani (è di poche settimane fa la denuncia del Ministro degli esteri serbo Dacic contro i tentativi Nato di inglobare la Serbia nell’Alleanza a dispetto delle sue scelte di equidistanza).
Ulteriore particolare inquietante: l’assorbimento della Moldavia nella Romania e la sua eventuale scomparsa determinerebbero il probabile riconoscimento da parte dei russi della autoproclamata repubblichetta secessionista della Transnistria, di cui le moltitudini del pianeta hanno ben scarsa conoscenza.
Solo una cosa è certa: la Transnistria risulta essere un vero e proprio arsenale di armi, nucleari probabilmente comprese.
Come si può ben vedere si comincia coi passaporti e si può finire con le bombe atomiche. La politica estera italiana è bene che ci rifletta sopra, anche se al momento a Vienna si balla un valzer che potrebbe apparire innocuo.
Il nord Italia è stato per moltissimi anni sotto al giogo dell\'Impero austro-ungarico, non solo il \"Tirolo Storico\", ma anche il resto della Lombardia e del Veneto, nonché tutto il Friuli Venezia-Giulia. Gli attuali confini sono stati perlopiù definiti in seguito alla Prima Guerra Mondiale, con la quale l\'Italia si riproponeva di raggiungere due obiettivi: annettere tutte le regioni a maggioranza popolate da italiani e contenere gli austriaci al nord delle Alpi. Sebbene questo secondo obiettivo avesse un chiaro senso strategico di legittima difesa, entrava tuttavia in contraddizione con il primo, sia perché alcuni luoghi a maggioranza italiana erano rimasti aldilà dei nuovi confini, sia perché non vi era reciprocità. Infatti, con il nuovo confine alpino, regioni a maggioranza tedesca si ritrovarono in Italia.
Nonostante la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e il crollo dell\'Impero austro-ungarico (il cui motto era \"indivisibilmente e inseparabilmente\"), l\'Austria non cessò mai di provare a estendere nuovamente il proprio dominio sui territori perduti.
Con la Seconda Guerra Mondiale si presentò l\'opportunità di riunire il Tirolo, ma Hitler per non far saltare l\'alleanza con Mussolini accantonò il progetto, limitandosi a siglare un\'intesa con cui si dava la possibilità di optare per la cittadinanza tedesca ai tirolesi del sud che ne avessero fatto richiesta (l\'idea era di usarli come coloni per il Reich). Questo sistema fu un vigore fino al 1943, quando con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, Mussolini di fatto cedette la provincia di Bolzano ai tedeschi. A quel punto moltissimi tirolesi del sud si arruolarono nell\'Esercito tedesco o nelle SS, di norma vennero impiegati in Italia per la repressione anti-partigiana.
Dopo esser stata sconfitta anche nella Seconda Guerra Mondiale, l\'Austria si separò dalla Germania e venne occupata dalle forze vincitrici fino al 1955, quando cioè venne siglato il Trattato di Stato Austriaco. Nonostante il patto sottoscritto, dall\'anno successivo nel Tirolo del sud iniziarono a operare dei gruppi secessionisti armati che godevano di sostegno e coperture in Austria. La lotta armata nel Tirolo del sud era un fenomeno variegato, c\'erano gruppi ultra-nazionalistici d\'estrema destra, ma anche movimenti (talvolta progressisti) che si battevano per temi pienamente condivisibili.
Negli ultimi tempi, in spregio allo spirito europeo, l\'Austria ha schierato le proprie forze armate lungo il confine italiano, di fatto disponendone a discrezione esclusiva.
Come se tutto ciò non bastasse, dall\'Austria ora arriva la proposta di dare la cittadinanza a italiani d\'etnia tedesca. Dopo il bagno di sangue dei Balcani, l\'imperialismo austriaco ancora spinge sulle contrapposizioni etniche: come allora, si vogliono espandere a sud e usano la strategia del \"dividi et impera\". Così facendo rischiano di accendere lo scontro etnico in Italia.
Le pulsioni imperialistiche austriache non sono mai cessate, vogliono rimpossessarsi di tutti i loro vecchi territori. D\'altronde, il nome ufficiale dell\'Austria è ancora Osterreich, che significa \"Impero orientale\".
Ormai l\'Austria ha calato la maschera, non cerca più di coprire le proprie mire, ma la prima vittima sarà proprio l\'indipendentismo del Tirolo del Sud, è ovvio che l\'Italia non può permettere un\'espansione imperialista a sud delle Alpi.
Si parla d\'indipendentismo quando una regione decide di essere indipendente e di andare da sola. Se invece un Paese attua delle ingerenze in un altro, al fine di staccarne una parte di cui poi intende appropriarsi, allora si tratta di \"espansionismo\" (che è una componente fondamentale dell\'imperialismo).
A prescindere dal concetto d\'integrità territoriale (a cui si può essere o meno interessati) e nella speranza che le mire di Vienna si limitino al Tirolo del sud, il problema più grave è che l\'imperialismo austriaco potrebbe portare la guerra in Italia. Alla luce del fatto che l\'Austria non ha mai accettato l\'esito della Prima Guerra Mondiale e che per un secolo ha cercato di stravolgerlo, non ci si può sentire per nulla tranquilli. L\'imperialismo austriaco è una minaccia alla pace, deve essere immediatamente fermato.
Alberto Fazolo
\"Eine eiserne ethnonationalistische Faust\"
Die Pläne der neuen Rechtsaußen-Regierung Österreichs, deutschsprachigen Italienern aus der italienischen Autonomen Provinz Bolzano-Alto Adige (\"Bozen-Südtirol\") die österreichische Staatsbürgerschaft zu verleihen, sind am heutigen Dienstag erstmals Gegenstand eines Gesprächs auf Regierungsebene. Wie berichtet wird, wird die österreichische Außenministerin Karin Kneissl (FPÖ) die Angelegenheit im Verlauf ihres Antrittsbesuchs bei ihrem italienischen Amtskollegen Angelino Alfano thematisieren. Rom hat bereits mit offener Ablehnung auf die entsprechende Passage im österreichischen Regierungsprogramm reagiert. \"Europa\" habe \"viele Mängel, aber es hat die Ära der Nationalismen hinter sich gelasssen\", erklärte etwa der italienische Präsident des Europaparlamentss, Antonio Tajani.[1] Das entspricht zwar nicht den Tatsachen, dafür aber der in der EU gängigen Ideologie. Benedetto della Vedova, Staatssekretär in Italiens Außenministerium, hat im Zusammenhang mit dem Wiener Vorstoß von einer \"eisernen ethnonationalistischen Faust\" gesprochen.[2] Heftige Auseinandersetzungen sind nicht auszuschließen.
Der Doppelpass
Tatsächlich hat die neue Regierung aus der Neuen Volkspartei und der völkisch-nationalistischen FPÖ sich in ihrem Programm nicht nur auf die \"aktive Wahrnehmung der Schutzfunktion für Südtirol\" geeinigt; eine Rolle als \"Schutzmacht\" für deutschsprachige Bürger Italiens macht Wien seit der Unterzeichnung des Pariser Abkommens im September 1946 durch die Außenminister Karl Gruber (Österreich) und Alcide De Gasperi (Italien) geltend. Der neue Koalitionsvertrag sieht darüber hinaus vor, \"den Angehörigen der Volksgruppen deutscher und ladinischer Muttersprache\" in der Provinz Bolzano-Alto Adige \"die Möglichkeit einzuräumen, zusätzlich zur italienischen Staatsbürgerschaft die österreichische Staatsbürgerschaft zu erwerben\".[3] Anspruch darauf hätten mutmaßlich alle Italiener, die sich in der sogenannten Sprachgruppenzugehörigkeitserklärung zur deutschen oder zur ladinischen Sprache bekannt haben; die Erklärung muss von allen erwachsenen Einwohnern der Provinz Bolzano-Alto Adige abgegeben werden, um den Proporzbestimmungen des Pariser Abkommens Rechnung tragen zu können. Aktuell ordnen sich 69,4 Prozent der gut 520.000 Provinzbewohner der deutschen, 4,5 Prozent der ladinischen Sprachgruppe zu.
Nord, Ost und Süd
Wien treibt den Vorstoß, der einer alten Forderung der FPÖ entspricht [4], systematisch voran. Am Sonntag haben führende Politiker aus Österreichs westlichen Bundesländern (Nord- und Osttirol, Vorarlberg, Salzburg) gemeinsam mit Vertretern der österreichischen Regierung und der Wirtschaft den Landeshauptmann der italienischen Provinz Bolzano-Alto Adige, Arno Kompatscher, zu umfangreichen Gesprächen in Wien empfangen. Kompatscher erklärte anschließend: \"Mit dem heutigen Treffen haben wir das starke Signal abgegeben, dass der Westen eng zusammenarbeitet und sich gemeinsam für große politische Agenden einsetzt\".[5] Südtirol ordnet sich damit verbal in das westliche Österreich ein. Parallel hat die Partei \"Süd-Tiroler Freiheit\" Ende der vergangenen Woche zahlreiche Gespräche in Wien geführt; unter anderem ist sie mit Infrastrukturminister Norbert Hofer (FPÖ) zusammengetroffen. Während es dabei offiziell - mit Blick auf Hofers Amt - vor allem um Verkehrsprojekte gehen sollte, nahm die Staatsbürgerschaftsfrage tatsächlich einen zentralen Platz in den Verhandlungen ein. Hofer habe der Süd-Tiroler Freiheit zugesichert, man sei entschlossen, die Südtirol-Vorgaben der Koalitionsvereinbarung nun auch zügig umzusetzen, hieß es nach der Zusammenkunft. Details werden bereits besprochen; so ist laut Hofer ein freiwilliger Wehrdienst italienischer Doppelstaatler in den österreichischen Streitkräften angedacht; eine Wehrpflicht soll allerdings ausgeschlossen sein.
Gesamttirol
Um Druck zu machen, hat die - italienische - Süd-Tiroler Freiheit nun einen ersten Entwurf für ein österreichisches Gesetz zur Verleihung der Staatsbürgerschaft an deutschsprachige Norditaliener vorgelegt. Das ist aus zweierlei Gründen bemerkenswert. Zum einen steht die Süd-Tiroler Freiheit, deren europaweite Dachorganisation \"European Free Alliance\" [6] im Europaparlament in einer Fraktion mit Bündnis 90/Die Grünen kooperiert, in direkter Tradition zu völkischen Attentätern, die mit Sprengstoffanschlägen sowie Schusswaffenüberfällen die Abspaltung Bolzano-Alto Adiges von Italien und seinen Anschluss an Österreich herbeizwingen wollten (german-foreign-policy.com berichtete [7]). Sie strebt ihrerseits die Sezession von Italien und die Angliederung Bolzano-Alto Adiges an Österreich an. Zum anderen steht einer der Autoren des Gesetzesentwurfs in derselben Tradition. Franz Watschinger, Rechtsanwalt einer bekannten Innsbrucker Kanzlei, war zumindest zeitweise Mitglied der Innsbrucker akademischen Burschenschaft Brixia. Die Brixia wiederum war tief in den Südtirol-Terrorismus der 1950er und 1960er Jahre involviert; ihr gehörte auch Franz\' Vater Rudolf Watschinger an, der wegen Anschlägen in Bolzano-Alto Adige verurteilt wurde und ein enger Mitarbeiter von Norbert Burger war, einem führenden Kopf der Südtiroler Terrorszene. Franz Watschinger zählte zu den Organisatoren des \"Gesamttiroler Freiheitskommerses\" von 1994, einer Veranstaltung, die maßgeblich von der Brixia getragen wurde und bei der Burschenschafter der äußersten Rechten forderten, das österreichische Bundesland Tirol mit \"Südtirol\" zu vereinigen.[8] Der von ihm mitverfasste Gesetzesentwurf ist laut Berichten der Süd-Tiroler Freiheit jetzt in Wien auf breite Zustimmung gestoßen. Laut dem Entwurf würden Einwohner Bolzano-Alto Adiges die österreichische Staatsbürgerschaft in Innsbruck beantragen - in der Hauptstadt des ersehnten \"Gesamttirol\".
Mit deutscher Unterstützung
Mit dem Vorstoß zur Verleihung der österreichischen Staatsbürgerschaft an bis zu 390.000 Italiener erreicht die einst von Bonn, heute von Berlin unterstützte Deutschtumspolitik in Norditalien einen neuen Höhepunkt. Völkische Vorfeldverbände der deutschen Außenpolitik haben deutschsprachige Organisationen in Bolzano-Alto Adige regelmäßig gefördert und sie politisch wie materiell unterstützt (german-foreign-policy.com berichtete [9]). Die bedeutendste Partei der Provinz, die Südtiroler Volkspartei, kooperiert seit je eng mit der deutschen CSU. Selbst die Südtirol-Attentäter der 1950er und 1960er Jahre unterhielten enge Beziehungen in die Bundesrepublik, ohne dass damals Bonn - ihren Straftaten entsprechend - repressiv gegen sie eingeschritten wäre. Recherchen von Experten zufolge waren zeitweise sogar hochrangige Politiker wie etwa Franz-Josef Strauß in Unterstützungsmaßnahmen zugunsten der Attentäter involviert.[10]
Warnungen
Die jüngste Südtirol-Offensive erfolgt zu einem Zeitpunkt, zu dem völkische Organisationen in weiten Teilen Europas in der Offensive sind - unter anderem in Spanien, Belgien und Rumänien. Befürworter einer österreichischen Staatsbürgerschaft für deutschsprachige Norditaliener weisen darauf hin, dass Italien seinerseits ein entsprechendes Gesetz verabschiedet hat und italienische Pässe etwa Bürgern Sloweniens und Kroatiens mit italienischer Abstammung ausstellt. Zugleich warnen Kritiker, verabschiede Österreich das von der ultrarechten Regierungskoalition geplante Gesetz, dann sei eine Lawine ähnlicher Schritte in diversen weiteren EU-Staaten nicht auszuschließen; die jeweiligen Konflikte könnten jederzeit gefährlich eskalieren. german-foreign-policy.com berichtet in Kürze.
[1] Austria, cittadinanza ai sudtirolesi: prima polemica del governo di centrodestra con l\'Europa. repubblica.it 17.12.2017.
[2] www.facebook.com/BenedettoDellaVedovaOfficial/posts/10155989376364600
[3] Zusammen. Für unser Österreich. Regierungsprogramm 2017-2022. Wien, Dezember 2017.
[4] S. dazu Das deutsche Blutsmodell (III).
[5] Österreichs Landeshauptleute treffen sich - Südtirol dabei. unsertirol24.com 14.01.2017.
[6] S. dazu Europa der Völker und Unter Separatisten.
[7] S. dazu Völker ohne Grenzen.
[8] Christoph Franceschini: Der Freiheitskrampf. salto.bz 27.05.2017.
[9] S. dazu Das deutsche Blutsmodell (III), Der Zentralstaat als Minusgeschäft und Wie es der Zufall will.
[10] S. dazu Doppelrezension: Südtirol-Terrorismus.
\"Im europäischen Geist\"
Österreichs Außenministerin Karin Kneissl (FPÖ) kündigt die Einrichtung einer interministeriellen Arbeitsgruppe an, die die Modalitäten zur Verleihung der österreichischen Staatsbürgerschaft an bis zu 390.000 Bürger Italiens regeln soll. Der Vorstoß zielt auf alle Einwohner der norditalienischen Provinz Bolzano-Alto Adige (Südtirol) ab, die Deutsch oder Ladinisch als Muttersprache sprechen (german-foreign-policy.com berichtete [1]). Wie Kneissl am Dienstag nach ihrem Antrittsbesuch bei ihrem italienischen Amtskollegen Angelino Alfano mitteilte, werden der Arbeitsgruppe Beamte des österreichischen Außen- wie des Innenministeriums sowie nichtbeamtete \"Experten\" angehören; man werde die Vorbereitungen \"immer im Austausch mit Italien\" vorantreiben - im \"europäischen Geist\".[2] Italiens Außenminister reagiert offiziell betont zurückhaltend. Man habe \"gegenseitig die Standpunkte dargelegt\", erklärte Alfano über das Gespräch mit Kneissl: Rom vertrete auch weiter \"die historische Position, wie sie immer war\". Dies bezieht sich darauf, dass die deutschsprachige Minderheit bereits jetzt weitreichende Sonderrechte genießt; Italien ist nicht bereit, drei Viertel der Einwohner Bolzano-Alto Adiges Österreich zu unterstellen. Er gehe davon aus, warnt Alfano, dass \"es keine unilateralen Schritte gibt\".[3]
Auslandsitaliener
Wiens aggressiver Vorstoß schließt an bestehende Vorbilder unter den großen Mitgliedsstaaten der EU an. Die Regierung Italiens etwa dürfe über den Vorstoß \"nicht beleidigt sein\" [4], äußerte Anfang Dezember der ehemalige Landeshauptmann von Bolzano-Alto Adige, Luis Durnwalder (Südtiroler Volkspartei): Rom verleihe zum Beispiel Bürgern Sloweniens und Kroatiens, wenn sie italienische Vorfahren hätten, ebenfalls den italienischen Pass. In der Tat schreibt das italienische Staatsbürgerschaftsrecht seinerseits ein ius sanguinis (\"Blutsrecht\") fest, dem zufolge Italiener ist, wer italienische Vorfahren hat, nicht jedoch - bzw. nur in Ausnahmefällen -, wer auf italienischem Territorium geboren worden ist.[5] Rom hat am 8. März 2006 ein Gesetz (\"Legge n. 124\") verabschiedet, das es ausdrücklich vorsieht, Menschen, die in Istrien, Fiume und Dalmatien - in Teilen Sloweniens und Kroatiens also - die italienische Staatsbürgerschaft zu geben, sofern ihre Vorfahren Italiener waren.[6] Das entspricht im Kern den aktuellen Plänen Österreichs.
Auslandsdeutsche
Vorreiter bei der Verleihung der eigenen Staatszugehörigkeit an Bürger der Nachbarstaaten ist allerdings Deutschland gewesen. Die Bundesrepublik hat bereits in den 1990er Jahren begonnen, Bürgern Polens, Tschechiens und anderer Staaten deutsche Papiere auszuhändigen, sofern sie eine deutsche Abstammung nachweisen können; Grundlage ist auch hier das völkische Blutsrecht (ius sanguinis). Zum Erlangen deutscher Papiere genügt in Polen ausweislich einschlägiger Unterlagen, die etwa auf der Website der deutschen Botschaft in Warschau abrufbar sind, ein sogenannter Volkslistenausweis, wie er von den NS-Okkupanten in der Zeit nach dem deutschen Überfall am 1. September 1939 an \"Blutsdeutsche\" ausgehändigt wurde. Die deutschen Behörden gehen bei der Verleihung der deutschen Staatsbürgerschaft an Bürger Polens ungewohnt großzügig vor. So erklärten bei der polnischen Volkszählung des Jahres 2011 gut 148.000 Menschen, \"deutsche Volkszugehörige\" zu sein. Zugleich bestätigten rund 239.300 Personen, neben der polnischen auch die deutsche Staatsangehörigkeit zu besitzen. Das Auswärtige Amt beziffert Polens \"deutsche Minderheit\" auf insgesamt 300.000 bis 350.000 Menschen - also auf weit mehr als das Doppelte derjenigen, die das für sich selbst in Anspruch nehmen.[7] Ähnlich verhält es sich in Tschechien. Während sich 2011 knapp 19.000 Bürger des Landes der deutschsprachigen Minderheit zurechneten, schätzte das Auswärtige Amt ihre Gesamtzahl auf rund 40.000. Damals hatten die deutschen Behörden bereits rund 20.780 Tschechen die deutsche Staatsangehörigkeit verliehen.[8]
Auslandsungarn
In noch größerem Stil nachgezogen hat mittlerweile Ungarn. Das Land gewährt auf Initiative von Ministerpräsident Viktor Orbán seit Anfang 2011 den Angehörigen der ungarischsprachigen Minderheiten in den Nachbarländern die ungarische Staatsbürgerschaft - wie im Fall Deutschlands und Italiens auf der Basis des völkischen ius sanguinis. Im Dezember 2017 wurde im Budapester Präsidentenpalast in Anwesenheit des ungarischen Staats- sowie des Ministerpräsidenten die millionste ungarische Staatsbürgerschaft an einen \"Auslandsungarn\" übertragen; es handelte sich um einen Bürger Serbiens. Die Budapester Praxis führt längst zu heftigen Auseinandersetzungen mit Rumänien, wo eine 1,5 Millionen Menschen starke ungarischsprachige Minderheit lebt; diese spitzt mittlerweile, verstärkt durch die Chance, die ungarische Staatsbürgerschaft zu erhalten und damit die Bindungen an den rumänischen Staat zu schwächen, ihre Autonomieforderungen zu.
Auslandsrumänen
Rumänien wiederum hat selbst begonnen, mit der Verleihung seiner Staatsbürgerschaft in einem seiner Nachbarstaaten zu wildern - in Moldawien. Laut offiziellen Angaben aus Bukarest haben von den rund 3,1 Millionen Moldawiern mittlerweile um die 300..000 die rumänische Staatsbürgerschaft erhalten - weil ihre Sprache als ein rumänischer Dialekt eingestuft und sie selbst von rumänischen Nationalisten als \"Rumänen\" bezeichnet werden.[9] In Rumänien ist die Forderung nach einem \"Anschluss\" Moldawiens populär; zu ihren bekanntesten Protagonisten gehört Ex-Staatspräsident Traian Băsescu.
Auslandskatalanen
Sogar katalanische Sezessionisten, die für die Abspaltung ihrer Region von Spanien und für die Gründung eines eigenen Staates kämpfen, haben bereits die katalanischsprachige Minderheit im Nachbarland Frankreich im Visier. Auf Demonstrationen in Barcelona hieß es im Herbst mit Blick auf die katalanischsprachige Minderheit in der Region um das südfranzösische Perpignan: \"Weder Frankreich noch Spanien, sondern ein Land Katalonien\".[10]
Territorialforderungen
In exemplarischer Weise hat Benedetto della Vedova, Staatssekretär in Italiens Außenministerium, nun vor der Vergabe der jeweiligen Staatsbürgerschaft an Sprachminderheiten eines Nachbarlandes gewarnt. Wie della Vedova schreibt, bedroht sie nicht nur \"das Zusammenleben in den Ländern\", die davon betroffen sind; sie droht zudem \"Territorialforderungen wiederauferstehen zu lassen\", auch in der EU. Della Vedova hat in diesem Kontext von einer \"eisernen ethnonationalistischen Faust\" gesprochen, mit der aktuell Österreich Italien bedrohe.[11] Seine Warnung wäre freilich glaubwürdiger, könnte Italien sich entschließen, selbst die entsprechenden Praktiken einzustellen. Am wirksamsten wäre es selbstverständlich, könnte die dominante Macht in der EU, Deutschland, sich dazu durchringen. Das allerdings kann als ausgeschlossen gelten: Berlin gibt seit je in Sachen völkischer Nationalismus den Ton an.
[1] S. dazu Die Ära der Nationalismen (I).
[2], [3] Kneissl: Keine Kritik aus Italien wegen Doppelpass-Plänen. kleinezeitung.at 16.01.2018.
[4] Durnwalder: \"Ich würde als Erster ansuchen\". unsertirol24.com 02.12.2017.
[5] Cittadinanza. interno.gov.it.
[6] Legge n. 124 del 0 Marzo 2006.
[7] Deutsche Minderheit in Polen. aussiedlerbeauftragter.de 02.05.2013.
[8] Deutsche Minderheit in anderen Staaten Mittelost- und Osteuropas. aussiedlerbeauftragter.de 02.05.2013.
[9] Karla Engelhard: Rumänische Pässe sind begehrt. deutschlandfunk.de 20.02.2014.
[10] S. dazu Die Macht in der Mitte.
[11] www.facebook.com/BenedettoDellaVedovaOfficial/posts/10155989376364600
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Torino 10/2/2018: Giorno del Ricordo, un bilancio
Si terrà il giorno sabato 10 febbraio 2018 a Torino, dalle ore 10 alle ore 17 presso la sala convegni del museo dell\'ex Carcere \"Le Nuove\", in Via Borsellino 3, il convegno nazionale: GIORNO DEL RICORDO, UN BILANCIO
Obiettivo dell\'iniziativa, organizzata dalla associazione Jugocoord Onlus e dalla rivista di storia critica Historia Magistra, è una analisi delle conseguenze della istituzione del \"Giorno del Ricordo\" (Legge n.92 del 2004) e delle sue celebrazioni sino ad oggi. Attraverso qualificate relazioni scientifiche saranno investigate le ricadute dell\'inserimento del \"Giorno del Ricordo\" nel calendario civile della Repubblica, che appaiono molto pesanti a livello politico, culturale e di autopercezione identitaria della Nazione, nonché a livello didattico-scientifico e financo per le casse dello Stato. Per converso, ad oggi il numero totale delle persone alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti previsti dalla Legge è di appena 323, di cui \"infoibati\" in senso stretto una minima frazione, mentre la gran parte di queste figure sono appartenenti alle forze armate o personale politico dell\'Italia fascista, senza contare gli episodi che non hanno niente a che fare con la narrazione ufficiale delle \"più complesse vicende del confine orientale\" cui si riferisce la Legge. Tutto ciò considerato, il 2 aprile 2015 la stessa Segreteria Nazionale dell\'ANPI chiese di interrompere quantomeno l\'attribuzione di onorificenze e medaglie della Repubblica, mentre nel 2017 numerose personalità antifasciste in una Lettera Aperta al MIUR hanno invocato un drastico cambiamento di rotta rispetto alla modalità revisionista e rovescista con cui l\'argomento è trattato nelle scuole.
Al convegno sono previsti gli interventi di Bruno Segre, Angelo Del Boca, Angelo D\'Orsi, Alessandro \"Sandi\" Volk, Gabriella Manelli, Marco Barone, Nicola Lorenzin, Davide Conti, Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan. A seguire dibattito.
Hanno aderito finora [AGG. 19/1 ore 16:00]:
sezioni ANPI (Ass. Naz. Partigiani d\'Italia) Grugliasco (TO), Chivasso (TO), Montebelluna (VI – sez. A. Boschieri \"D\'Artagnan\")
ANPPIA (Ass. Naz. Perseguitati Politici Italiani Antifascisti) nazionale e sezione di Torino
AICVAS (Ass. Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna)
CIVG (Centro Iniziative Verità e Giustizia)
Centro Studi Italia-Cuba
Comitato di lotta antifascista antimperialista e per la memoria storica (Parma)
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