Informazione

Ancora in merito al dibattito interno al PRC

da Liberazione, domenica 8 febbraio 2004:


Contrastare l'offensiva revisionista e anticomunista

di CLAUDIO GRASSI


Una domanda sorge spontanea pensando a questo dibattito sulla violenza
e la non-violenza. Una domanda che potrebbe apparire retorica o
provocatoria. Non lo è. Davvero si stenta ad afferrare il filo di una
discussione che ha coinvolto i temi più disparati, sviluppandosi lungo
linee polemiche che ben di rado ormai si incontrano in punti condivisi
e comprensibili. C'è di tutto: la non-violenza come filosofia e pratica
politica; il pacifismo come teoria e come forma della prassi; il
giudizio sulla Resistenza e sulle guerre imperialistiche di ieri e di
oggi; la critica dei poteri; l'analisi della repressione del dissenso e
del conflitto sociale: forse sarebbe il caso di semplificare e di
cercare di mettere un po' d'ordine.

Di che cosa discutiamo parlando di non-violenza?
Secondo alcuni, di un concetto e di una forma dell'agire politico
adeguati sempre e dovunque. Posto così, è un tema impraticabile in una
prospettiva politica. Se non si vogliono produrre discorsi fini a se
stessi, occorre contestualizzare, riferirsi a situazioni determinate.
Ma anche la posizione di chi ritiene che «oggi nel mondo globale in cui
siamo precipitati, la forma più estrema dell'antagonismo, quella
davvero irriducibile e non mediabile, è l'azione "non-violenta"» (Marco
Revelli su "Carta") appare a dir poco discutibile. Si argomenta, a suo
sostegno, che l'assunzione della non-violenza è necessaria perché vi è
la «guerra permanente» e «preventiva» e perché la superiorità militare
degli Stati Uniti non consentirebbe altre strade. Ma in questa materia
è opportuno evitare toni dogmatici e assumere l'onere
dell'argomentazione razionale. C'è una sola via per mantenersi su
questo terreno: spiegare come si pensa di fermare i bombardamenti, i
cingolati, i missili e la disseminazione dell'uranio impoverito.

Si ripete da più parti che oggi tutto è nuovo, che il mondo è cambiato
di sana pianta e impone concezioni nuove. È davvero così, o è la nostra
memoria che si accorcia e che si indebolisce? Se tornassimo con il
pensiero agli ultimi atti della Seconda guerra mondiale e all'immediato
dopoguerra, avremmo materia per riflettere su queste presunte cesure
radicali. Allora davvero la storia cambiò. Illuminato dai sinistri
bagliori di Hiroshima e Nagasaki, il mondo fu costretto a guardare in
faccia una novità assoluta e atroce. Per la prima volta nella storia la
distruzione del genere umano era divenuta concretamente possibile. Pian
piano la consapevolezza di questo salto di qualità si diffuse e vi fu
anche tra i comunisti italiani chi valutò attentamente le sue
conseguenze. A Bergamo, nel '53, Togliatti tenne un memorabile discorso
incentrato su questi temi: la bomba atomica, l'enorme divario di
potenza che essa istituiva nei rapporti internazionali, la impellente
necessità di una lotta dei popoli per il disarmo e la pace. Ma in quel
discorso non si commetteva l'errore di generalizzare. Nemmeno la bomba
riduceva a un minimo comune denominatore i diversi conflitti: né sul
piano della logica che li determinava, né in relazione al loro
dispiegarsi. Imponeva l'accumulazione di coscienza critica, non
consentiva il ricorso a rigidi schemi, a parole d'ordine unilaterali.

Ma forse c'è dell'altro, in questo dibattito. Si suggerisce, da parte
di qualcuno, che il tema è la forma della lotta politica adeguata qui e
ora: nel nostro paese, in Europa, nell'Occidente capitalistico. Se
davvero le cose stessero in questi termini, verrebbe da dire che ci si
sarebbe potuti risparmiare tanta fatica e tanta carta, talmente ovvio è
- almeno per noi - che oggi, in questa parte del mondo, la lotta
sociale e politica deve ricorrere esclusivamente agli strumenti
pacifici del confronto, pur aspro, delle idee; della libera
manifestazione delle proprie istanze; della mobilitazione di massa;
dello sciopero; della protesta e della disobbedienza civile. E talmente
ovvio è - per noi - che se il conflitto sociale e politico non è sempre
scevro da violenza, la responsabilità di ciò incombe in primo luogo a
chi controlla gli apparati coercitivi dello Stato. Proprio questa
evidenza legittima tuttavia una riflessione: che tutto questo dibattere
di non-violenza serva in realtà a parlar d'altro: che la non-violenza
sia soltanto una parte di un ragionamento più complesso. La sensazione
è che siamo - di nuovo - alle prese con la discussione sulla nostra
storia e sulla nostra identità di comunisti. Se è così, è bene essere
chiari, almeno tra di noi. Riflettere sulla nostra esperienza,
indagarne i limiti, cercare di comprendere le cause delle nostre
sconfitte: questo non è solo utile, è anche indispensabile. Purché si
abbia la consapevolezza che l'errore più grave che potremmo commettere
oggi - nella giusta ricerca di una rifondazione del pensiero e della
prassi comunista all'altezza dei tempi - sarebbe accodarci alla voga
liquidazionista oggi imperante. C'è un grande patrimonio alle nostre
spalle: di esperienze, di idee, di valore, di passioni. Un grande
patrimonio storico che dev'essere in primo luogo rivendicato e
riconosciuto per la straordinaria influenza che ha esercitato nel corso
degli ultimi 150 anni ai fini del riscatto di miliardi di essere umani.
Anche questa smania di trascinare «il Novecento» sul banco degli
imputati è pericolosa, oltre che poco comprensibile. Come si può
ridurre un secolo a un unico motivo? «Un'immane violenza», si dice. E
si getta tutto in un calderone che allontana la possibilità di capire.
Ma il Novecento è stato anche il secolo delle grandi rivoluzioni
operaie e contadine, queste sì «inizio» di una nuova storia! Oggi è di
moda la critica dell'«assalto al cielo», cioè dell'idea che una società
possa essere trasformata anche attraverso il comando politico.
Discuterne, naturalmente, non fa male. Ma certo non giovano le
semplificazioni caricaturali. Un nome dovrebbe bastare a sgombrare il
campo da ogni equivoco: non è stato Gramsci - il bolscevico, il
leninista - a insegnarci che la società è un campo di poteri diffusi e
che la distinzione tra società e Stato (quella che oggi agitano, come
fosse un dogma, i nuovi critici anarchici dell'idea comunista) è uno
strumento teorico - un modello - e non una realtà di fatto? Con ciò
non si tratta, naturalmente, di chiudere il discorso: semmai di aprirlo
in modo serio, una volta per tutte. Certo la storia nostra ha
conosciuto sconfitte e gravi errori. Che vanno analizzati, di cui
occorre cercare le cause, dai quali dobbiamo trarre insegnamento. Ma
anche in questo caso c'è una questione ineludibile che deve essere
posta: bisogna chiedersi se, senza quell'«assalto» di cui oggi tanti
compagni sembrano voler chiedere scusa, il mondo sarebbe stato migliore
o peggiore: sarebbero stati possibili - per fare solo pochi esempi - le
lotte anticoloniali, la rivoluzione cinese, lo stesso sistema di
welfare in Europa? Cercare ancora: certo. Altrimenti nessuna
rifondazione sarà mai possibile. Ma altro è una ricerca seria, severa,
rigorosa, tutt'altra cosa una sommaria liquidazione della nostra
storia. A questa ci siamo sempre opposti e sempre ci opporremo con
tutta la forza delle nostre convizioni e passioni, che sappiamo
radicate in questo partito e in tanti compagni che al nostro partito
guardano con rispetto e fiducia. Basta con le autocritiche a senso
unico, basta con i mea culpa! Perché piuttosto non chiediamo agli altri
di fare i conti con il loro passato? Di chi furono figli il fascismo,
il nazismo, la Shoah? A chi debbono la morte i milioni di vittime della
Corea, del Vietnam, dell'Algeria, dell'America Latina? E che dire
dell'indulgenza vaticana verso i fascismi? Mi chiedo come pensiamo di
attrarre verso le nostre idee i giovani se non facciamo altro che
denigrarle, cospargendoci il capo di cenere per ogni nostro atto, per
il fatto stesso di dirci ancora comunisti. E mi chiedo anche come
pensiamo di rispondere a Berlusconi che attacca a testa bassa persino
il comunismo «meno palese» di chi «rinnega il proprio passato, si lava
pilatescamente le mani per tutti gli orrori e i delitti di cui si è
macchiato, ma ancor oggi vuole l'eliminazione dell'avversario»: cosa
gli diremo, che è troppo severo, che siamo cambiati, che abbiamo
compreso quanto pessimi fossero i nostri padri e fratelli maggiori?
Qui nessuno intende «angelizzare» alcunché. Si tratta solo di
contrastare un'offensiva revisionista e anticomunista che punta a
demolire le ragioni stesse della nostra esistenza e delle nostre
battaglie. O ci siamo scordati del «chi sa parli» e delle «ragioni dei
ragazzi di Salò»? Abbiamo già dimenticato i continui attacchi alla
Resistenza, mossi da chi cercava una legittimazione a buon prezzo?
L'opportunismo servile di chi, pur di accedere al governo, ha preso
distanza da una storia di cui avrebbe dovuto andar fiero, perché è la
storia della liberazione di questo paese e della costruzione della sua
democrazia? Non c'è futuro per chi non serba memoria del proprio
passato, che non è «piombo», bensì radice e consistenza. Non è libertà
quella di chi si sbarazza della propria storia, bensì disorientamento
immemore. Questa smania di gettar via il peso della storia accecò
molti quindici anni fa. La fine della Guerra fredda e la scomparsa del
«campo socialista» furono scambiate per una «grande opportunità»: fu
invece l'inizio di una fase di grave arretramento del movimento di
classe in tutto il mondo, e della ripresa in grande stile del
colonialismo e delle guerre imperialistiche: ci sarà bene un nesso tra
quella fretta di disfarsi dell'eredità storica del «secolo breve» e la
sconvolgente incapacità di leggere le tendenze in atto che accomunò un
intero gruppo dirigente. E anche noi oggi, stiamo attenti, perché non
è affatto scontato che siamo in grado di interpretare correttamente
quanto sta avvenendo. Che cosa ci suggerisce, per esempio, la
discussione tra noi sul «terrorismo» e la resistenza irachena? Che ci
sono - se non altro - stili di analisi diversi, che si riflettono in
differenti idee delle cause e degli effetti. Chi dice che è sbagliato
parlare di una «spirale guerra-terrorismo» non ha esitazioni nel
condannare le azioni terroristiche dei kamikaze e gli attentati
dinamitardi che mietono vittime tra la popolazione civile. Ma il punto
è un altro. Sta nel collocare tutto questo discorso sullo sfondo di una
guerra coloniale e imperialistica, che ha a sua volta cause ben
precise: il profilarsi, dinanzi alla superpotenza Usa, di altri
avversari sulla scena del mondo; la necessità «preventiva» di
controllare le maggiori riserve energetiche del pianeta; l'enorme
influenza politica del «militare-industriale»; il disastroso deficit
del bilancio Usa; il peso di una cerchia politico-intellettuale vicina
al Likud e determinata nel sostenere ad ogni costo le mire colonialiste
della destra israeliana. Ma se questo è il quadro, occorre allora dire
con chiarezza che quella delle popolazioni occupate, saccheggiate,
schiacciate dal tallone militare è innanzi tutto resistenza contro
l'occupazione, sacrosanta lotta per la liberazione. E non solo. Quanto
sta avvenendo in Iraq oggi è importante per tutto il mondo, a
cominciare dal Sud del pianeta. La resistenza irachena parla ai popoli
che sono nel mirino degli Stati Uniti: dice loro che la superpotenza
non è invincibile, che non è così ovvio che dopo un Iraq venga una
Siria o un Iran, quasi si trattasse di passeggiate al sole. In questo
senso, proprio la resistenza contro le forze di occupazione è un aiuto
alla pace. Lo hanno capito bene, non per caso, i rappresentanti dei
popoli riunitisi a Bombay. Nel documento conclusivo del Forum sociale
mondiale la denuncia della guerra e del colonialismo è netta, senza
tentennamenti, così come è forte e univoca la solidarietà verso le
popolazioni oppresse, il loro anelito all'indipendenza, le loro lotte
di liberazione. Al di là di qualsiasi sottigliezza, l'esperienza
materiale della sopraffazione produce consapevolezza. E permette di non
scambiare le lucciole del nuovo imperialismo per le lanterne di un
presunto impero che non dovrebbe più incantare nessuno, fuorché -
ovviamente - Bush e chi condivide i suoi paranoici sogni di gloria.

(english / italiano)

William Walker, lo stragista di Racak

1. Un esperto della NATO dimostra che uno dei massacri serbi secondo i
mezzi di comunicazione ed il Tribunale dell'Aia, in realtà, fu un
montaggio (Michel Collon, Rebelión/resistenze.org)

2. Kosovo : Kosovo Bombing Prompted By Us Diplomat’s
“Deception” (Seeurope.net, January 26, 2004)
3. Covic: Trial of Walker will be long (Politika 4/2/2004)
4. Yugoslav pathologist on Racak: Faked reports (Politika 9/2/2004)

"Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi col favore della
notte, uscii..."

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Da "Liberazione" del 4/2/2004:

<< Le foibe oggi su Raitre.
La testimonianza dell'unico sopravvissuto alle Foibe, Graziano Udovisi,
parlerà della propria esperienza con Giovanni Minoli e lo storico
Giovanni Sabbatucci nella puntata de "La storia siamo noi" che Raitre
manda in onda oggi alle 08.05 e alle ore 00.20. Sulle foibe, nonostante
esistano studi storici accreditati, si è diffusa una pubblicistica di
destra. Su questo capitolo della storia italiano si abbatte di
frequente la scure del revisionismo storico. La vicenda è ricostruita
da Giovanni Minoli con due rari documenti. L'unico testimone di cui
finora si abbia notizia è Graziano Udovisi, che sarà chiamato a
raccontare gli eventi di cui è testimone. Tra i documenti, le immagini
esclusive girate da un operatore del luogo.>>

Qualcuno di noi ha avuto la malaugurata idea di guardare la
trasmissione di cui sopra. La ripresentazione acritica del documento di
Vitrotti, con le dissolvenze delle immagini dei partigiani che entrano
festosi nelle città e la mano che fa i mucchietti con le ossa degli
infoibati, e tutto il resto...
Propaganda di guerra, sostanzialmente. Fatta da chi la guerra l'ha
incominciata e l'ha persa, ma vorrebbe ancora capovolgerne gli esiti.
Certo, oggi senza la Jugoslavia ed in un clima di nuove guerre e nuovi
fascismi, si ha gioco facile.

Vediamo un esempio piu' specifico della propaganda di guerra contenuta
nel documentario di RaiTre:

---

In merito alla trasmissione di Raitre educational dedicata alla “foibe”
ed andata in onda il 4 febbraio scorso, parliamo di un episodio che è
entrato nel “mito”, e che viene riportato come oro colato anche da
Gianni Oliva e del quale nessuno pare averne ancora colto le
contraddizioni. Parliamo dei racconti dei due “sopravvissuti alla
foiba”. Il primo si chiama Graziano Udovisi, e racconta di essere stato
arrestato a Pola nel maggio ‘45 dai “partigiani slavi”. A questo punto
va inserito, nella biografia di Udovisi, quanto si legge nella sentenza
n. 165/46 della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste, che giudicò
Udovisi responsabile degli arresti di due partigiani nel 1944. “Udovisi
Graziano, appena ottenuto il diploma delle scuole magistrali di Pola,
all’età di 18 anni, si arruolò nella milizia per evitare di iscriversi
nelle organizzazioni tedesche. (…) Fatto il corso allievi ufficiali,
venne nell’ottobre 1944 inviato a Portole quale comandante del Presidio
e quivi rimase fino alla fine della guerra (…)”. Udovisi venne
riconosciuto colpevole di avere arrestato i partigiani Antonio Gorian e
Giusto Masserotto, nei pressi di Portole. Il teste Gorian dichiarò che
Udovisi legò lui e Masserotto con filo di ferro: ricordiamo questo
particolare, ed anche che risulta da varie testimonianze che i
prigionieri dei nazisti che venivano caricati nei vagoni per essere
deportati nei lager venivano legati col filo di ferro.
Torniamo al racconto di Udovisi (la versione che citiamo è quella
raccolta da Maria Paola Gianni e pubblicata ne “Il rumore del
silenzio”, dossier curato da Azione Giovani nel 1997, p. 153 e sgg.):
“Mi hanno imprigionato in una cella di quattro metri con altre trenta
persone, stretti come sardine, quasi senza aria e tutti con le mani
legate col fil di ferro dietro la schiena”.
Dopo essere stato torturato “tutta la notte” e “dopo mezz’ora non
sentivo più nulla (…) dovevo avere la testa rovinata completamente (…)
una donna ufficiale mi spaccò la mascella sinistra con il calcio della
pistola (…) ci legarono in fila indiana, l’ultimo di noi era svenuto e
gli fecero passare il fil di ferro intorno al collo. Lo abbiamo
inevitabilmente soffocato nel dirigerci verso la foiba. (…) durante il
tragitto sono scivolato e caduto. Immediatamente mi è arrivata una
botta con il calcio di una mitragliatrice al rene destro. Durante il
tragitto (…) mi hanno fatto mangiare della carta, dei sassi, mi hanno
sparato vicino alle orecchie (…) Poi la Foiba. (…) quando ho sentito
l’urlaccio di guerra mi sono buttato subito dentro come se questa Foiba
rappresentasse per me un’ancora di salvezza. Sono piombato dentro
l’acqua e mentre calavo a picco sono riuscito a liberarmi una mano con
la quale ho toccato quella che credevo essere una zolla con dell’erba
mentre in realtà era una testa con dei capelli. L’ho afferrata e tirata
in modo spasmodico verso di me e sono riuscito a risalire (…) ho
salvato un italiano”.
Udovisi avrebbe quindi salvato un italiano. Chi? C’è un’altra persona
che racconta più o meno la stessa storia, e torniamo a pag. 48 dello
stesso libro dal quale abbiamo tratto la storia di Udovisi, cioè
“Genocidio… “ di Marco Pirina .
Titolo: “La Foiba doveva essere la sua tomba”. Segue il racconto di
Giovanni Radeticchio di Sisano, che sarebbe stato arrestato il 2.5.45 a
casa sua. Fu condotto assieme ad altri 4 prigionieri a Pozzo Littorio,
dove videro altri prigionieri che venivano fatti “correre contro il
muro piegati e con la testa all’ingiù. Caduti a terra dallo stordimento
vennero presi a calci in tutte le parti del corpi finché rinvennero
(…)”. Seguono le descrizioni di altre sevizie ed alla fine “dopo tenta
ore di digiuno”, li fecero proseguire a piedi per Fianona dopo aver
dato loro “un piatto di minestra con pasta nera non condita”, e “per
giunta legati col filo di ferro ai polsi a due a due”. Altre torture
all’arrivo ed infine “prima dell’alba”, assieme ad altri cinque
prigionieri, e cioè: “Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da
Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Giuseppe Sabatti da Visinada
e Graziano Udovisi da Pola”, con le mani legati dietro la schiena e
picchiati per strada, lo condussero fino all’imboccatura della Foiba. E
qui viene la parte più interessante: “mi appesero un grosso sasso, del
peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi
già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo
dietro Udovisi, già sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi
spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo
di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della
Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto
arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e
dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima
gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non
reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i
polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi
cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio
di ore. Poi col favore della notte, uscii da quella che doveva essere
la mia tomba…”.
Dunque se crediamo al racconto di Udovisi, questi, che dice di avere
salvato un italiano, ma non ne fa il nome, dovrebbe avere salvato
Radeticchio, dato che Radeticchio dice di essere sopravvissuto alla
“Foiba”. Mentre a voler credere al racconto di Radeticchio, Udovisi non
solo non lo avrebbe salvato, ma non si sarebbe salvato neppure lui.
Curioso che i curatori del “Rumore del silenzio”, così inclini a
rilevare le piccole inesattezze di chi si occupa di storia in modo non
propagandistico, non abbiano rilevato questa contraddizione. Curioso
anche che Oliva riporti tutte e due le storie, una dopo l’altra, senza
rilevare che si tratta della stessa vicenda.
D’altra parte, sono ambedue le storie che non stanno in piedi. Intanto
non è credibile che uomini ridotti in condizioni fisiche così precarie
come vengono descritte, siano riusciti ad uscire da una “foiba” piena
d’acqua. Né, per quanto si accetti l’improbabile, ci sembra possibile
che il colpo di moschetto che ha colpito il filo di ferro che legava il
sasso di dieci chili ai polsi di Radeticchio legati dietro la schiena
sia riuscito a spezzare il filo di ferro e non colpire l’uomo. Che
oltretutto sarebbe rimasto illeso sotto i colpi di moschetto, di
mitragliatrice e dopo l’esplosione della bomba a mano, sarebbe riuscito
a “rompere il filo di ferro” e pur con le carni “completamente
straziate” sarebbe riuscito ad uscire dalla foiba dopo un paio d’ore
trascorse dentro l’acqua.
Verifichiamo inoltre i nominativi di coloro che sarebbero stati
infoibati assieme a Radeticchio. I dati sono tratti dall’“Albo d’oro”
di Luigi Papo, che riteniamo possa essere almeno su questo argomento
una fonte attendibile, dato che tutti gli arrestati risultano essere
stati in forza al 2° Reggimento “Istria”, cioè l’arma di Papo.
Radolovich e Mazzucca risultano infoibati il “13/14.5.1945 nei pressi
di Fianona”; Cossi risulta invece “deportato in Jugoslavia”; Sabatti
“catturato nei pressi di Sissano fu infoibato assieme ad altri sei
prigionieri nei pressi di Fiume”. Dunque neppure i dati di Papo
concordano assolutamente con la versione di Radeticchio.
Eppure, nonostante il fatto che Udovisi racconti questa storia sempre
in maniera diversa (pure nella trasmissione di Minoli, così come in
altre occasioni in cui abbiamo sentito il “sopravvissuto” raccontare
pubblicamente la vicenda, il racconto differisce in molti punti da
quello da noi riportato), nessuno si è mai posto il problema
dell’attendibilità del testimone: perché?

(testo a cura della redazione de La Nuova Alabarda, Trieste)

Da: ICDSM Italia
Data: Mar 10 Feb 2004 10:51:21 Europe/Rome
A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Cc: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Oggetto: [icdsm-italia] Appeal of Sloboda and Milosevic family to UN
and human rights organizations


[L'Associazione SLOBODA-Liberta' (sezione belgradese dell'ICDSM) e la
famiglia di Slobodan Milosevic hanno inviato all'ONU ed alle principali
istituzioni internazionali un Memorandum intitolato: “Misure dirette
contro il solo Slobodan Milosevic prese nella prigione di Scheveningen
e dal Tribunale dell'Aia, in contravvenzione delle loro stesse regole,
garanzie e diritti"...]


SLOBODA | FREEDOM
udruzenje | association
Member of the World Peace Council
YUGOSLAV COMMITTEE FOR THE LIBERATION OF
SLOBODAN MILOSEVIC
Belgrade, Rajiceva 16,tel./fax +381 11 630 549

---

Belgrade, 09 February 2004

TO THE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS – TO ALL ITS ORGANS, AGENCIES
AND BODIES;

TO THE GOVERNMENTS AND PARLIAMENTS

OF ALL UN MEMBER STATES;

TO ORGANIZATIONS FOR HUMAN RIGHTS, LAW AND PEACE;

TO POLITICAL PARTIES, MEDIA AND GENERAL PUBLIC

Freedom Association from Belgrade, acting as National Committee for the
Liberation of President Slobodan Milosevic has honour to submit to your
attention the document entitled “MEASURES TAKEN ONLY AGAINST SLOBODAN
MILOSEVIC IN THE SCHEVENINGEN PRISON AND AT THE HAGUE TRIBUNAL, IN
CONTRAVENTION OF THEIR OWN RULES, GUARANTEES AND RIGHTS” written by our
organization and by the family of President Milosevic.

For the sake of peace, human rights, legality and justice, in the name
of the International Law and democracy in the international relations,
respecting the UN Charter, the Universal Declaration of Human Rights
and other international instruments protecting human rights and
principles of judiciary and for the pure humanitarian reasons, we
expect your immediate reaction to the facts described in the document.

We call upon the UN Security Council to act now against the severe
violations of human rights performed by its subsidiary organ, ICTY. We
will welcome all reactions aiming to accelerate such a move of the
Security Council.

Please inform us about your reactions. Our contacts: phone: +381 63 88
62 301; fax: +381 11 630 549 and e-mail: slobodavk@... are 24
hours available also for obtaining additional information.

With due respect, on behalf of the Freedom Association Managing Board

Bogoljub Bjelica, President

www.wpc-in.org               
www.sloboda.org.yu              
www.icdsm.org

---

MEASURES TAKEN ONLY AGAINST SLOBODAN MILOSEVIC IN THE SCHEVENINGEN
PRISON AND AT THE HAGUE TRIBUNAL, IN CONTRAVENTION OF THEIR OWN RULES,
GUARANTEES AND RIGHTS


Obstructing and avoiding visits of physicians.

Banning the physicians from publishing their findings on his health
condition and on the causes of its deterioration.

Preventing the family from visiting in the duration allowed to all
other detainees (between 7 and 15 days a month) and reducing it to 3
days a month.

Refusing almost all visits of the world public figures, acquaintances,
friends, politicians etc.

Censoring and restricting visits from Yugoslavia – of friends, Party
colleagues, SLOBODA National Committee members engaged in defending
Slobodan Milosevic in Yugoslavia.

Preventing the members of ten different national committees for the
defence of Slobodan Milosevic that have been established in the world,
as well as the members and the leadership of the International
Committee for his defence from contacting and visiting

Preventing the family from being alone with him, which is not otherwise
a practice when other detainees are concerned.

Banning the family from visiting at the time of the Serbian elections.

Banning all telephone communications before, during and after the
Serbian elections, except with the family.

Obstructing contacts and the work with lawyers.

Listening in to conversations with the lawyer.

Deliberately keeping him for many hours within the court building with
the explanation that “the transportation was being late”.

Unannounced alterations in the sequence of witnesses.

Closing the proceedings for the public during the examination of
witnesses who might compromise NATO and the Tribunal.


For nearly two years the trial is being held day in and day out. Such a
practice has never been recorded in the history of the judiciary since
it came into existence. Only as of a month ago the trial was being held
for three days a week, after the physicians had emphasized that he
cannot withstand it, but he is hardly withstanding even that effort,
because his health has been severely damaged in prison.

On account of the whole-day sojourn at the court, he has no time at all
to rest during the trial days, nor to go out and have some fresh air
and walk (exercise), nor to have regular meals.

He has no conditions for work and trial preparations either. His cell
has been swamped with trial materials, often received in the evening,
on the eve of a trial day. This excludes the possibility of a timely
and proper preparation for the trial. At the same time, such practice
is in contravention of the Tribunal’s rules.

He has been often given materials in English, although according to
their own rules each detainee has to be given materials required for
his defence in his mother tongue.

The trial materials are of such volume that he would need another 50
years to make a full use of it.

Preventing the Defence from preparing, as compared to the preparation
of the Prosecution. The preparation of the Prosecution lasted at least
4 years, he was allotted 3 months to prepare! In addition to this, the
Prosecution was being prepared by several hundreds of people, and him
alone is to prepare the Defence.

Moreover, he has been brought to The Hague by force, illegally and in
contravention of the Constitution of the Federal Republic of
Yugoslavia. The materials had been handed over to him, requiring by its
volume a multi-year labour of a large expert team, as was the case with
the Prosecution, prepared for at least 4 years with the logistic,
financial, organizational and personnel support of the governments of
NATO member states. The Prosecution’s case has been prolonged several
times, and he was allotted three months to prepare his defence alone,
in prison, without personal and telephone contacts and with no time nor
conditions for medical treatment. A large number of witnesses were
employees of the Prosecution, which is in contravention of their own
rules. Even larger number of witnesses was bribed or blackmailed
people. Without adjudication, the Tribunal reached a decision to
prevent his Party from contacting him at the time of the elections,
which is a direct interference of an institution otherwise illegitimate
with the politics and the internal affairs of a sovereign state and in
this case with its citizens’ will. Visits and contacts assessed as
unsuitable by the Tribunal are banned with no explanation, again in
contravention of their own rules. Slobodan Milosevic has been brought
to The Hague with poor health condition, and in the Scheveningen prison
it has been ignored, inadequately treated and drastically deteriorated
under the inhuman treatment (for several months, cameras and spotlights
had been constantly on in his cell) and by the lack of medical
treatment during his stay there. Nothing has been done to improve his
health condition, quite the contrary. The Tribunal banned all the
physicians, the Yugoslav as well as the Dutch ones, from publishing
their reports on his condition. Only after the physicians’ warning that
his life has been directly threatened the workload at the Tribunal
itself was reduced. For what reason such savage and inhuman measures
were taken consciously and deliberately under the auspices and in the
name of the United Nations?

For what reason his defence has been prevented so obviously and
brutally? Why ONLY he has the right to visits for just three days a
month when all other detainees at The Hague have 15 days each
month? Why the Tribunal officials have to be present ONLY at his
visits? Has the United Nations given the mandate to the Tribunal and
entitled it to interfere also with the internal Yugoslav politics and
even with the election? If The Hague Tribunal is a UN institution, is
this organization aware of the treatment given in its name to a human
being, a sick man, a former head of state? As a founder of The Hague
Tribunal, the Organization of the United Nations is directly
responsible for the operations, operating procedures and methods
applied by its institution. Therefore, it bears responsibility also for
any wrong done and harm caused by its institution to any one man and
people in general. The Organization of the United Nation is obliged to
provide public answers to these questions.

The UN Commission for Human Rights in Geneva has not done much for the
protection of human rights over the past years, but while “protecting”
this heritage it has caused a lot of misfortune throughout the world.
We demand for this institution to speak out now in relation to the
illegal, inhuman treatment of Slobodan Milosevic in their own
institution. How is justice being defended by the United Nations with
publishing every word presented by the Prosecution and its
collaborators and at the same time hiding and censoring everything
coming from the Defence? Complete testimonies of the witnesses for the
Prosecution have been published, blackmailed and corrupt as a rule and
mainly untruthful individuals, and the public has been denied the
expounding of Slobodan Milosevic, a brilliant defence admired by anyone
who heard it. On this occasion we are not raising a question of the
rationale and legitimacy of The Hague Tribunal, because it has no
legitimacy, its rationale is nowadays already clear to everybody and it
will go into history as black as it is, together with all its
protagonists. We demand for the UN and the UN Commission for Human
Rights, as well as all international organizations for the protection
of human rights to react to a crime that was being perpetrated against
Slobodan Milosevic in its most brutal form, unknown to modern
civilization.

In Belgrade, 09 February 2004  

SLOBODA/Freedom Association
–                                                                
National Committee for the Liberation 
of President Slobodan Milosevic

and

the family of President Milosevic

---

STRUGGLE FOR FREEDOM AND TRUTH ABOUT THE SERBIAN PEOPLE AND YUGOSLAVIA
IS IN THE CRUCIAL PHASE. NATO AND ITS SERVICES IN BELGRADE AND THE
HAGUE HAVE NO INTEREST TO SUPPORT IT.

SO IT TOTALLY DEPENDS ON YOU!

A SMALL TEAM OF PRESIDENT MILOSEVIC'S ASSISTANTS, WHICH IS BECOMING
INTERNATIONAL, HAS TO HAVE CONDITIONS TO WORK AT THE HAGUE IN THE TIME
OF INTENSIVE PREPARATIONS FOR THE FINAL PRESENTATION OF TRUTH AND
DURING THAT PRESENTATION.

TO DONATE, PLEASE CONTACT SLOBODA OR THE NEAREST ICDSM BRANCH, OR

find the instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)


==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
email: icdsm-italia@...

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

...RIFERENDOSI ALLA MINORANZA ITALIANA
(QUELLA SERBA E' STATA ELIMINATA NEL FRATTEMPO)

http://www.repubblica.it/news/ired/ultimora/rep_nazionale_n_608148.html
Padova, 14:01

Fini alla Croazia: rispetti le minoranze

"La Slovenia è già in Europa, la Croazia si accinge a farlo. Io mi
auguro che il governo croato sia consapevole del fatto che in Europa
rispettare le minoranze è un obbligo". Lo ha dichiarato oggi il
vicepremier Gianfranco Fini riferendosi alla minoranza italiana.

(Repubblica online, 10/2/2004)

Why do Catherine Samary and the LCR hate Yugoslavia ?

http://www.wsws.org/articles/2004/feb2004/balk-f09.shtml

------------------------------------------------------------------

WSWS : News & Analysis : Europe : The Balkans

Correspondence on the failure of nationalism in Yugoslavia

9 February 2004

-------

Regarding your article, “Milosevic trial sets precedent: US granted
right to censor evidence”
[http://www.wsws.org/articles/2003/dec2003/cens-d31.shtml%5d (31 December
2003):

I would be very grateful to Paul Mitchell if he could list the human
rights abuses by Serbia that the USA exploited as a pretext for yet
another proxy war. I was born in 1949 and all my life the USA has been
at war. Do you [portray] Izetbegovic to be a perfect democrat, as does
Catherine Samary, an expert-ignorant and journalist-actionaire of le
monde-diplomatique?

What I cannot figure out is why do the Trotskyists hate Yugoslavia? We
stood against Stalin, didn’t we? All alone! And still all alone
Milosevic stands against American nazi imperialism!

Best regards

OD

------

The United States government and its allies in NATO claimed they bombed
Yugoslavia in 1999 to prevent human right abuses. Politicians and
officials exaggerated figures of Serbian atrocities against ethnic
Albanians and compared the Kosovo civil war to the Nazi Holocaust.

US Defence Secretary William Cohen told CBS News in May 1999 that
100,000 men were missing, and “may have been murdered” and David
Scheffer, US war crimes envoy claimed that more than 225,000 ethnic
Albanian men were missing.

No sooner had the war finished then these lies began to unravel. A
press spokesman at The Hague war crimes tribunal, Paul Risley, told
reporters, “The final number of bodies uncovered will be less than
10,000 and probably more accurately determined as between two and three
thousand.”

There are many articles on the World Socialist Web Site about the lies
put out by Western governments to justify their intervention in
Yugoslavia. You will not find one that suggests “Trotskyists hate
Yugoslavia,” as your email claims. The Marxist movement does not
analyse phenomenon in moralistic terms like hatred. It has always
addressed the terrible legacy of capitalism and Stalinism
scientifically and historically in order to provide the peoples of
Yugoslavia and the Balkans with a perspective to overcome it.

Yugoslavia broke with Stalin in 1948, but its leadership never broke
with the nationalist perspective of Stalinism.

Despite the conflicts between Tito and Stalin, the Communist Party of
Yugoslavia (CPY) still upheld the anti-Marxist and
anti-internationalist perspective of national socialism that
constituted Stalin’s theory of building “socialism in one country.”
This theory was in direct opposition to the perspective of a Socialist
Federation of the Balkans that was formulated by Marxists in the
nineteenth century and developed by Leon Trotsky.

Svetozar Markovic, the founder of the Serbian socialist movement,
developed the concept of a socialist federation of the Balkans in the
1870s. The first congress of Balkan Social Democratic parties in 1910
called for a Balkan federation “to free ourselves from particularism
and narrowness; to abolish frontiers that divide peoples who are in
part identical in language and culture, in part economically bound
together; finally to sweep away forms of foreign domination both direct
and indirect that deprive the people of their right to determine their
destiny for themselves.”

In his theory of Permanent Revolution, Trotsky insisted that in
countries with a belated bourgeois development only the working class
could bring about democracy and national emancipation. Trotsky
elaborated this perspective for the Balkans saying, “The only way out
of the national and state chaos and bloody confusion of Balkan life is
a union of all the peoples of the peninsula in a single economic and
political entity, on the basis of national autonomy of the constituent
parts. Only within the framework of a single Balkan state can the Serbs
of Macedonia, the Sandjak, Serbia and Montenegro be united in a single
national-cultural community, enjoying at the same time the advantages
of a Balkan common market. Only the united Balkan peoples can give a
real rebuff to the shameless pretensions of Tsarism and European
imperialism.”

Stalin and his faction attacked this perspective by claiming that
nationalism in the Balkans was inherently revolutionary because it
rested upon the peasantry. They shifted the CPY from its earlier
proletarian internationalist position towards one that encouraged
national and ethnic separatist movements and in the process deposed the
entire CPY leadership in 1928.

Tito rose to power in the CPY and came to lead the resistance to Nazi
occupation. However, he came into conflict with the proposals to
install a popular front government in Yugoslavia as part of the
redivision of the world agreed between Churchill, Roosevelt and Stalin
in 1944. With the CPY-led partisans enjoying mass support, the
bourgeois representatives resigned, and in November 1945 the Federal
People’s Republic of Yugoslavia was proclaimed.

Tito started negotiations on a Balkan Federation with Bulgaria and
supported a revolutionary uprising in Greece, but this perspective was
soon abandoned under pressure from Moscow in favour of pan-Yugoslav
nationalism. The prospect that backward Yugoslavia could pursue a
self-contained socialist development in a divided Balkan region was
impossible from the start, as the Trotskyist movement recognised. It
posed the question, “The alternatives facing Yugoslavia, let alone the
Tito regime, are to capitulate either to Washington or to the
Kremlin—or to strike out on an independent road. This road can be only
that of an Independent Workers and Peasant Socialist Yugoslavia, as the
first step towards a Socialist Federation of the Balkan Nations. It can
be achieved only through an appeal to and unity with the international
working class.”

This question and the analysis made by the Trotskyist movement can be
found in The Heritage We Defend—A Contribution to the History of the
Fourth International by David North.

Faced with growing economic problems and increasing threats from
Moscow, the Tito leadership at first tried to accommodate itself to
imperialism, and later to manoeuvre between the two superpowers. In
1950 Tito’s government supported US imperialism in the Korean War and
also supported Moscow’s suppression of the Hungarian Revolution in 1956.

When Tito died the bureaucracy increasingly turned to free market
policies with Slobodan Milosevic, a protégé of the West, setting up the
Milosevic Commission in 1987 to justify the introduction of IMF
“structural adjustment” programmes. The austerity measures sparked off
strikes and other mass protests by the Yugoslav working class. Seeking
to divert the class struggle, ex-Stalinist bureaucrats such as
Milosevic, Tudjman in Croatia and Izetbegovic in Bosnia promoted
nationalist sentiments, while seeking support from Western governments.
Despite his elevation to guarantor of the Dayton Accords that ended the
Bosnian conflict, Milosevic came into conflict with the US. Washington
had concluded that the dissolution of Yugoslavia could not proceed
whilst the Serbian ruling elite strove to preserve a unitary state in
which it played the dominant role.

This brings us to your criticism of Katharine Samary, a supporter and
election candidate for the French Ligue Communiste Revolutionnaire
(LCR, Revolutionary Communist League). The origins of the LCR lie in a
split in the Fourth International in 1953, a few years after Tito split
with Stalin. Michel Pablo was a leader of the Fourth International in
the late 1940s and early 1950s who, under the difficult circumstances
facing the Marxist movement at the time, developed the theory that
Trotskyism could never win the leadership of the working class and
could only act as advisers and “left” critics of the existing social
democratic, Stalinist and petty bourgeois nationalist organisations.
The dissolution of the Trotskyist movement was prevented by the
intervention of James P. Cannon and the American Socialist Workers
Party and the publication of the “Open Letter” opposing Pablo in
November 1953, which led to the establishment of the International
Committee that today publishes the World Socialist Web Site.

The LCR and its co-thinkers in the United Secretariat have followed
Pablo’s liquidationist and demoralised course for half a century and
Samary is no exception. In 1992, just as Yugoslavia descended into
civil war the United Secretariat magazine proclaimed, “The wretched
people of Bosnia await their relief from the troops of the United
Nations.”

In her book Yugoslavia Remembered published in 1995 Samary blamed the
dissolution of Yugoslavia on its ethnic differences saying, “The
creation of a Yugoslav state should have brought an end to the rivalry
between the communities but the religious, cultural and linguistic
differences were too great to maintain peace.”

Rather than identifying the failure to establish a socialist federation
as the main lesson to be learnt from the destruction of Yugoslavia
Samary concluded, “the main lesson here is that no serious alternative
politics in this region can avoid explicit support for the right of
self determination for all the peoples of former Yugoslavia.”

During the Kosovo civil war, Samary and other LCR members sent a letter
to Le Monde declaring, “Stop the bombings, self determination for
Kosova!” It complained that “not one of the governments which have
supported the NATO air strikes are willing to wage war against the Serb
regime to impose independence for Kosova” and argued for the creation
of “a multinational police force (including Serbs and Albanians) within
the framework of the Organisation for Security and Cooperation in
Europe, which would oversee the application of a transitional
agreement.”

In an interview during the Kosovo crisis with the International
Socialist Group in Britain led by Alan Thornett, Samary said, “It is
impossible to present any kind of coherent and progressive ‘solution’
at the moment. Every day brings fresh evidence of an uncontrolled
dynamic which is degrading the conditions for progressive struggles. So
we should busy ourselves with the urgent solidarity tasks, and maintain
our critical spirit in the face of all proposals for ‘action’ which
actually make the disaster worse. And, at the back of our minds, we
should continue working on a number of long-term questions which are
essential to a solution to the whole Yugoslav crisis.”

Since the civil war Bosnia and Kosovo, as the World Socialist Web Site
foresaw, have become ethnically pure statelets run as Western
protectorates and subject to local mafias. Learning nothing, Samary
merely complained to delegates at last year’s European Social Forum
that the Balkans were subject once again to the same “structural
adjustment programs” previously imposed by the IMF.

However one cannot counterpoise to Samary’s support for Bosnian and
Kosovar separatism the rosy picture you paint of little Yugoslavia
standing all alone against Stalin, still less Serbia (or even
Milosevic) standing against US imperialism. The future of the peoples
of what was Yugoslavia depends on the struggle for the socialist
federation of the Balkans in unity with the working class of Europe and
throughout the world.

Sincerely,

Paul Mitchell


See Also:

Why is NATO at war with Yugoslavia? World power, oil and gold
http://www.wsws.org/articles/1999/may1999/stat-m24.shtml
[24 May 1999]

How the WRP joined the NATO camp
Imperialist war in the Balkans and the decay of the petty-bourgeois left
http://www.wsws.org/polemics/1995/dec1995/balkan.shtml
[14 December 1995]

Marxism, Opportunism and the Balkan Crisis
http://www.wsws.org/articles/1999/apr1999/balk-m07.shtml
[7 May 1994]

The Balkans
http://www.wsws.org/sections/category/news/eu-balk.shtml
[WSWS Full Coverage]


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SER i MO

http://www.exju.org/images/uploads/exju_04feb03.JPG

"Serbia e Montenegro" - ma "serimo" in serbocroato significa
"caghiamo"...

Zwei Interviews von J. Elsaesser
ueber die innenpolitische Lage in Serbien

[ Juergen Elsaesser e' l'autore di
Menzogne di guerra
Le bugie della NATO e le loro vittime nel conflitto per il Kosovo
Napoli, La città del sole, 2002
190 p., 21 cm., ISBN 8882921832
Una sua tournee in Italia e' prevista per i primi di aprile, a cura del
CNJ. Nelle due interviste che seguono, Elsaesser si occupa della
evoluzione recente della situazione politica in Serbia... ]

1. Serbische Sozialisten von Radikalen überflügelt. Warum ist die
Linken so schwach? Interview mit Vlado Nadazdin (15/1/2004)

2. Kommt jetzt Serbiens Berlusconi? Interview mit Slobodan Reljic
(31/1/2004)

Beide Artikeln aus
http://www.jungewelt.de und
http://www.juergen-elsaesser.de/


=== 1 ===

Junge Welt (Berlin), 15/1/2004

Vlado Nadazdin

Serbische Sozialisten von Radikalen überflügelt
Warum ist die Linken so schwach?


BU: Vlado Nadazdin war bis zum Oktober 2000 jugoslawischer
Generalkonsul in Düsseldorf und Ratgeber von Präsident Milosevic u.a.
bei den Verhandlungen von Dayton. Letztes Wochenende sprach er auf der
Rosa-Luxemburg-Konferenz der jungen Welt.

JW: Bei den serbischen Parlamentswahlen Ende Dezember bekam die
Sozialistische Partei (SPS) über sieben, die Radikale Partei (SRS) über
27 Prozent. Wie bewerten Sie das?

VN: Die Wahl war in erster Linie eine Niederlage DOS-Parteien, die das
Land nach dem Sturz von Milosevic regiert und immer tiefer ins Elend
geführt haben.

JW: SPS und SRS, die unter Milosevic eine Koalitionsregierung gebildet
hatten, lagen dieses Mal zusammen bei etwa 35 Prozent. Bei den
Präsidentschaftswahlen im September 2000, die zu Milosevics Sturz
führten, hat dieser aber noch mehr als 40 Prozent bekommen.

VN: So kann man nicht rechnen. Damals stand ja Milosevic als Person zur
Wahl, diesmal die Parteien. Milosevic ist Gefangener des Haager
Tribunals.

JW: Aber Milosevic war auch dieses Mal Spitzenkandidat der SPS.

VN: Wäre er das nicht gewesen, hätte die SPS noch viel weniger Stimmen
bekommen. Aber die Parteiführung unterstützt die Linie ihres
inhaftierten Vorsitzenden nicht, und das haben die Wähler gespürt und
deswegen nur zu einem kleinen Teil SPS gewählt. Die PDS hat einen Gysi,
bei der SPS gibt es fünf davon. Alle wollen reformieren und
modernisieren nach westlichen Vorstellungen. Viele SPS-Wähler gingen
deshalb zu den Radikalen. Und nach der Wahl hat die SPS-Spitze die
gewonnenen Parlamentssitze ausschließlich an ihre Günstlinge verteilt
und keinen von den Leuten berücksichtigt, die Milosevic vorgeschlagen
hat. Auch er selbst – obwohl der Spitzenkandidat – soll keinen
Parlamentssitz bekommen.

JW: Sie meinen, die SPS hätte ihm einen der gewonnenen Parlamentssitz
zuweisen sollen, obwohl er ihn als Haager Häftling nicht hätte
einnehmen können?

VN: Natürlich. Das wäre ein symbolischer Akt gewesen, der im Lande
populär gewesen wäre. Nach einer Umfrage der DOS-Parteien vom Dezember
ist Milosevic derzeit im Land so beliebt wie zuletzt 1989/90.

JW: Sind die Radikalen rechtsextrem?

VN: Keineswegs. Sie sind patriotisch, vertreten die nationalen
Interessen. Die Serben erinnern sich an die große Tradition dieser
Partei: Ihr Gründer Nikola Pasic war Ende des 19. und Anfang des 20.
Jahrhunderts viele Jahre Premierminister zuerst des Königreiches
Serbiens, dann nach 1918 des Königreiches Jugoslawiens. Nach der
Neugründung 1990 hat die SRS an diese Tradition angeknüpft.

JW: Aber Vojislav Seselj, der die Partei in den 90er Jahren führte, war
im kroatischen und bosnischen Bürgerkrieg mit seinen Paramilitärs an
Kriegsverbrechen beteiligt.

VN: Das behauptet das Haager Tribunal, wo er seit letztem Februar in
Haft sitzt. Er hat sich übrigens freiwillig gestellt, um die gegen ihn
gerichteten Vorwürfe zu entkräften. Bisher ist ihm das ganz gut
gelungen. In einem Bürgerkrieg gibt es immer Verbrechen, von allen
Seiten. Es ist nicht objektiv, die Serben oder einen Milosevic oder
einen Seselj für alleinverantwortlich zu erklären.

JW: Im Jahre 2002, als Milosevic schon in Den Haag einsaß, hat er bei
der Präsidentschaftswahl zur Wahl von Seselj aufgerufen. Aber die
Kandidatur von dessen Nachfolger Tomislav Nikolic im November 2003 fand
nicht mehr seine Unterstützung. Warum?

VN: Die Radikalen waren ja in den Neunzigern lange Jahre zusammen mit
den Sozialisten in der Regierung, Milosevic hat mit Seselj trotz vieler
Meinungsverschiedenheiten immer wieder eng zusammengearbeitet. Warum er
Nikolic nicht unterstützt hat, könnte auch damit zusammenhängen, daß er
in der Zelle zu wenig Informationen über ihn hat. Für mich ist
interessant, daß die Radikalen unter Nikolics Führung das Sozial- und
Wirtschaftsprogramm der Sozialisten praktisch übernommen haben. Als der
im Wahlkampf in einer Talkshow darauf angesprochen wurde, antwortete er
ganz souverän: Warum sollten wir nicht das von der SPS übernehmen, was
gut ist?

Interview: Jürgen Elsässer


=== 2 ===

Junge Welt (Berlin), 31/1/2004

Regierungsbildung verzögert:

Kommt jetzt Serbiens Berlusconi?  

Interview mit Slobodan Reljic. Er ist Chefredakteur des serbischen
Nachrichtenmagazins NIN. Die Zeitschrift ist das balkanische Pendant
zum Spiegel und feierte vor kurzem ihren 100. Geburtstag  


F: Die deutschen Nachrichtenagenturen meldeten am Freitag, daß sich die
pro-westlichen Parteien Serbiens auf eine neue Regierung geeinigt
hätten.

Das ist noch nicht ganz klar. Eine Einigung ist viel wahrscheinlicher
als noch vor einigen Tagen, aber viele Details sind weiter umstritten.

F: Wie sieht die wahrscheinliche Regierungskoalition aus?

Es sollen folgende Parteien beteiligt sein: die Demokratische Partei
Serbiens des letzten jugoslawischen Präsidenten Vojislav Kostunica, die
Demokratische Partei des noch amtierenden Premiers Zoran Zivkovic und
die wirtschaftsliberale Partei der G-17 um Miroljub Labus. Alle diese
Gruppierungen sind aus dem zerfallenen Oppositions- und späteren
Regierungsbündnis DOS hervorgegangen. Vierter Partner in der Koalition
wäre das Bündnis aus der Serbischen Erneuerungsbewegung SPO des
Monarchisten Vuk Draskovic und der Partei Neues Serbien. Neuer
Ministerpräsident soll Kostunica werden.

F: Bis vor kurzem hat Kostunica ein Bündnis mit den Demokraten
ausgeschlossen – mit dieser Partei hatte er sich schon überworfen, als
sie noch vom später ermordeten Premier Zoran Djindjic geführt wurde.

Aber der Druck auf Kostunica war enorm. Es gab zum einen Pressionen aus
dem Ausland, von der Europäischen Union und aus den USA, eine stabile
Regierung unter Ausschluß der Radikalen Partei zu bilden. Obwohl diese
Partei mit über 27 Prozent als der eigentliche Sieger aus dem Urnengang
am 28. Dezember hervorgegangen war, ist sie für den Westen aufgrund
ihrer Kritik an der NATO und am Haager Tribunal nicht tragbar. Und es
gibt zum anderen einen gewaltigen Unmut in der Bevölkerung. Wenn die
Regierungsbildung scheitert, müssen Neuwahlen angesetzt werden, und
dabei könnten die Radikalen vielleicht weiter zulegen.

F: Die G-17 würde wohl in der neuen Koalition mit der
Wirtschaftspolitik betraut werden. Was kann ihr Frontmann Labus gegen
die ökonomische Misere unternehmen? Wie wird sich dieser neoliberale
Chicago-Boy mit dem sozialer eingestellten Kostunica einigen?

Labus hat gute Kontakte zur CDU und wollte eigentlich gerne selbst
Premier werden. Als Finanzminister der G-17 war Mladjan Dinkic
vorgesehen, bis letzten Sommer Chef der Nationalbank. Doch er hat einen
Fehler gemacht und sich mit einem der reichsten Männer Serbien
angelegt, Bogoljub Karic. Dessen Einfluß reicht so weit, daß sich die
noch amtierende Regierung am Donnerstag in diesem Streit auf seine
Seite gestellt hat. Damit dürften Dinkics Chancen auf ein Ministeramt
dahin sein.

F: Wie mächtig ist dieser Karic?

Den vier Karic-Brüdern gehören unter anderem der serbische
Mobilfunkbetreiber Mobtel, eine große TV-Kette und zahlreiche
Unternehmungen in Rußland. In Kroatien und in Mazedonien wurde Bogoljub
Karic von der Staatsspitze empfangen – das zeigt seinen Einfluß. Er ist
Vorsitzender der »Vereinigung der Industriellen und Arbeitgeber
Serbiens«. Aus dem Versagen der bisherigen Parteien hat er den Schluß
gezogen, künftig mit einer eigenen Formation bei den Wahlen anzutreten
– Napred Serbija (Vorwärts Serbien). Das Ganze ist dem Vorbild von
Silvio Berlusconi nachempfunden, dem es mit seiner Kapitalmacht
gelungen ist, die gesamte Parteienlandschaft Italiens aufzurollen und
selbst Ministerpräsident zu werden.

F: Karic soll früher Milosevic finanziert haben.

Er hat sowohl Milosevic als auch die Anti-Milosevic-Kräfte unterstützt.

F: Im Unterschied zu Berlusconi scheint er aber nicht so eindeutig
prowestlich orientiert zu sein – er hat sehr gute Kontakte nach Rußland.

Er ist ein Chamäleon und für alles offen. Er hat gute Kontakte nach
Rußland, aber auch in die EU und in die USA. In Belgrad geht er bei den
westlichen Botschaftern ein und aus.

F: Ihre Prognose?

Wenn es nicht schnell eine neue Regierung gibt und diese Regierung die
wirtschaftliche Lage nicht bessert, werden die Radikalen und die neue
Partei von Karic bei der nächsten Wahl profitieren.

Juergen Elsaesser, auteur allemand et rédacteur du quotidien « Junge
Welt » de Berlin, signe son œuvre des mensonges de la guèrre contra la
Jugoslavie
(« LA RFA DANS LA GUERRE AU KOSOVO »)

Samedi prochain, 14ième février, 16.30

à Paris

Librairie Les Alizés
74 avenue du Cardinal Lemoine
75005 Paris
Métro Monge oder Cardinal Lemoine

************************************************************

La critique du livre dans « Le Monde diplomatique »

LA RFA DANS LA GUERRE AU KOSOVO

Jürgen Elsässer; Traduit de l'allemand par Pauline Massey et Edouard
Reczeg.

L'Harmattan, Paris, 2002, 260 pages, 22 euros.

Lors d'une confiance tenue en février 2003 à Munich; M Joschka Fischer;
ministre allemand des affaires étrangères, avait rappelé la
détermination de l'engagement militaire de Berlin; il y a qutre ans,
lorsque' il s'était agi de "faire barrage à Milosevic au Kosovo". M
Fischer sétait alors addressé au ministre américain de la défense, M
Donald Rumsfeld; en ces termes; "Pourquoi cette soudaine priorité pour
l'Iraq? Je ne suis pas convaincu; et je ne peux pas convaincre le
peuple allemand si je ne suis pas moi-même convaincu. Vous promettez
une démocratie florissante en Irak, je n'y crois pas.". L'incrédulité -
justifiée - de M. Fischer ne saurait faire oublier qu'il fut lui-même;
en mars-avril 1999, au centre de la plus extraoridinaire opération de
désinformation qu'ait connue l'Allemand depuis 1945. C'est cette
"chronique d'une manipulation" que Jürgen Elsässer relate dans ses
moindres détails, dans un livre de référence enfin traduit en français."
(J.M. Coppo)

[Nota: Il documentario Fascist Legacy e' stato proposto in Italia in
una iniziativa pubblica per la prima volta a Torino il 4/5/2002 dal
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia e dalle RSU dell'Universita'.
Il resoconto di quella iniziativa ed una Scheda filmografica sul
documentario sono leggibili su:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1796%5d


L’EREDITA’ DEL FASCISMO

con la proiezione del documentario della BBC:

"FASCIST LEGACY"

...si debbono conoscere questi fatti e se ne deve comprendere la
gravità, perchè un popolo che non conosce la propria storia, e
costruisce la propria politica estera sulla falsa coscienza,
è destinato a commettere gli stessi errori e crimini, o a commetterne
di ancora più gravi.

QUANDO SI VA AD OCCUPARE UN PAESE, SI METTE NEL CONTO L'IMPOSIZIONE
VIOLENTA DELLA PROPRIA VISIONE DEL MONDO E  TERRORIZZARE LA POPOLAZIONE
È CONSIDERATO UN MEZZO NATURALE,  MENTRE LA RESISTENZA DIVENTA
DELINQUENZA E TERRORISMO CHE L'OCCUPANTE SI SENTE LEGITTIMATO A
STRONCARE IN OGNI MODO: ACHTUNG BANDITEN!

L'IMPORTANTE È VINCERE PER POTERSI SCRIVERE LA STORIA.


NE DISCUTIAMO CON: 

FILIPPO FOCARDI – Docente di storia presso l’Università di Roma

MASSIMO SANI – Autore della versione italiana di "Fascist Legacy"


Giovedì 12 febbraio 2004  alle ore 20,30

presso la sala dell'Angelo di via S. Mamolo 24 – Bologna


Partito della Rifondazione Comunista Federazione di Bologna
Tel 051311690  Fax 051381376   E-mail: prcbologna@...

Con la colaborazione di ALJ-Aiutamo la Jugoslavia
Tel. 051955069 E-Mail: aljug@...

Nazionalismo italiano, irredentismo italiano, espansionismo italiano


Il PCI "non avvertì le tragiche conseguenze dell'espansionismo slavo,
che nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in
comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e
nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree. Lo schema della
lotta fra fascismo e antifascismo si mostrò inadeguato..."

Chi lo ha detto?


1. «Il Pci con gli esuli istriani sbagliò» (da L'Unita', 06.02.2004)
2. Il commento di A. Kersevan


=== 1 ===

L'Unita', 06.02.2004

Fassino: «Il Pci con gli esuli istriani sbagliò»

di Gianni Marsilli

«Anche la sinistra deve assumersi le proprie responsabilità e dire con
chiarezza e definitivamente che il Pci, in quegli anni, al confine
orientale sbagliò»: sono venuti a dire anche questo, ieri, Piero
Fassino e Luciano Violante nella città giuliana. L'occasione sono i
cinquant'anni trascorsi dall'esodo dei profughi istriani, fiumani e
dalmati dalla Jugoslavia, anche se la dolorosa migrazione si compì in
verità in diverse ondate, a partire dal 1947.

In parlamento giacciono tre proposte di legge per istituire un "giorno
della memoria", presentate dai Ds, da Alleanza nazionale e dalla Lega.
I primi avrebbero voluto che si scegliesse il 20 marzo, come quel
giorno del '47 in cui il piroscafo "Toscana" fece il suo ultimo viaggio
con il suo carico di esuli, salpando da Pola verso le coste italiane.
Le associazioni degli esuli insistono invece perché la scelta cada sul
10 febbraio, data dell’anniversario del Trattato di Pace di Parigi.
Fassino e Violante hanno spiegato di non aver alcuna intenzione di
lanciarsi in una disputa di calendario. Ha detto il presidente dei
deputati ds: «Il parlamento deve votare in modo il più unitario
possibile, affinché non si ripetano antiche divisioni. La legge non
deve rispecchiare una visione di parte, dev'essere unitaria e
nazionale». E Fassino: «Il nostro vuol essere un contributo a
considerare la storia del Paese come patrimonio comune, perché ne siamo
tutti figli». In questo spirito ognuno deve assumersi le sue
responsabilità, ed è quanto sta facendo la sinistra, localmente e
nazionalmente. Bene quindi per la data del 10 febbraio, tanto che già
martedì prossimo delegazioni diessine parteciperanno alle cerimonie di
ricordo.

In che cosa sbagliò il Pci dell'epoca? Così ha scritto Fassino nella
lettera che ha indirizzato a Guido Brazzoduro, presidente delle
associazioni degli esuli: «Sbagliò perché pesarono sui suoi
orientamenti e sulle sue decisioni il condizionamento dell'Urss e della
Jugoslavia di Tito, in particolare negli anni della guerra fredda.
Sbagliò perché non avvertì le tragiche conseguenze dell'espansionismo
slavo, che nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in
comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e
nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree. Lo schema della
lotta fra fascismo e antifascismo si mostrò inadeguato...». Una
rielaborazione storica che a sinistra ha già un suo lungo percorso, che
oggi approda a questo contributo per "una memoria condivisa". Anche
perché oggi questo confine, per tanti anni simbolo di divisione e
sofferenza, ha l'occasione - con l'allargamento dell'Unione europea -
di diventare "crocevia strategico" tra due Europe che tornano ad
incontrarsi. L'Italia ha quindi l'opportunità non solo di riconoscere
un "debito di memoria", ma anche di promuovere il carattere plurale di
queste terre. Ma perché questo avvenga, il dramma di così tanti
istriani e dalmati non dev'esser più dimenticato né rimosso dalla
memoria nazionale.

C'è un ostacolo all'approvazione della legge, sollevato dall'on.
Roberto Menia, deputato triestino di Alleanza nazionale. Vorrebbe, con
un emendamento proposto all'ultimo momento, che la giornata da
celebrare non fosse solo dell'esodo, ma anche "delle foibe".

Due drammi diversi, per quanto scaturiti dalla stessa guerra. Luciano
Violante non erige barricate, ma ha fatto capire la sua contrarietà:
"Io credo che il dramma delle foibe vada piuttosto collegato all'intera
vicenda del confine orientale, e non solo all'esodo. Tant'è vero che in
parlamento nessuno ha mai parlato di accoppiare esodo e foibe". La
proposta di legge ha insomma una filosofia e un riferimento storico
precisi, difficili da stravolgere attraverso un emendamento
dell'ultim'ora. Se ne discuterà ancora, proprio per l'esigenza di non
piegare quella tragica vicenda ad una "visione di parte". Dice Fassino:
«Il nostro atteggiamento non è certo quello di chi sta cercando nuove
ragioni di divisione». Insiste Violante: «Il punto politico è questo:
dobbiamo riproporre una visione lacerante, oppure una lettura storica
in cui tutti possano riconoscersi? Connettere esodo e foibe è solo una
parte della verità, solo una parte». Aggiunge il deputato diessino
Sandro Maran: «Riteniamo di dover mantenere una distinzione. Ho visto
l'invito inviato da Francesco Storace, governatore del Lazio, per le
celebrazioni del 10 febbraio. E' già chiamata "giornata dei martiri
delle foibe”, l'esodo è scomparso».

Ma da queste parti, in particolare, Alleanza nazionale ha ancora
bisogno di mettere a punto la sua rielaborazione storica. La tendenza è
di assolvere il fascismo da ogni colpa, mettendo tutto sulle spalle di
nazismo e comunismo. Lo si può vedere dalle linee programmatiche
dell'assessorato alla cultura del Comune di Trieste, dove si parla di
Risorgimento per passare direttamente ai misfatti dei nazisti e degli
occupatori titini, saltando a piè pari il ventennio mussoliniano,
compreso il discorso che qui tenne Mussolini nel settembre del '38 per
annunciare le leggi razziali. Lo si può vedere anche nella cittadina di
Muggia, a ridosso del confine con l'Istria slovena, dove mani ignote
avevano sfasciato la targa che ricordava Libero Mauro, resistente
"assassinato dall'occupatore nazifascista".

L'amministrazione comunale di centrodestra ne aveva rimessa una nuova:
Libero Mauro "assassinato dall'occupatore nazista". Il fascismo, che
qui lavorò molto coscienziosamente con i nazisti, si era volatilizzato.
E si deve all'Anpi e alla sinistra se quella lapide ha finalmente
ritrovato la dizione originaria e corretta.


=== 2 ===

Un commento

Ho letto con sgomento il resoconto della conferenza stampa dell’on.
Fassino sulla proposta di Giornata dell’Esodo e la sua lettera al
presidente delle associazioni degli esuli.
Mi ha colpito il ribaltamento della storia e delle responsabilità delle
tragedie vissute in questa zona d'Europa e il tono oggettivamente
“revisionista”, incentrato sulle “tragiche conseguenze
dell’espansionismo slavo”, a imitazione in tutto e per tutto, nei
concetti e nel linguaggio, della propaganda fascista di sempre.

Penso che l’on. Fassino dovrebbe guardarsi un po’ di cartine storiche,
su qualche atlante, per capire quale sia stato il nazionalismo che ha
imperato in queste terre per decenni e quale espansionismo le abbia
sconvolte. Vedrebbe da che parte è avanzato il confine dello Stato
italiano, a più riprese, con la violenza della guerra, sempre più a est
fino ad inglobare nel 1918 oltre 500.000 sloveni e croati. Dopo il
1941, con l’occupazione e l’annessione di altri territori jugoslavi in
cui non abitava neppure un italiano, furono comprese entro i nuovi
confini altre centinaia di migliaia di jugoslavi, il cui trattamento da
parte dello Stato italiano fu la repressione più spietata, le
fucilazioni, gli incendi di villaggi, la deportazione in campi di
concentramento di decine di migliaia di donne, vecchi, bambini, e la
morte di parecchie migliaia di essi. Questi i risultati
dell’“espansionismo italiano”, argomento assolutamente rimosso, mai
diventato “memoria collettiva”.

L’on. Fassino dovrebbe anche guardarsi una cartina etnica di queste
terre, consiglio quella redatta nel 1915 da Cesare Battisti (un nome
che dovrebbe essere una garanzia) in “La Venezia Giulia. Cenni
geografico-statistici”, pubblicato nel 1920 dall’Istituto Geografico De
Agostini. Battisti attribuiva per il 1910 alla Venezia Giulia, nel suo
complesso, la seguente composizione nazionale, in percentuale:
Italiani: 43,09
Sloveni: 32,23
Croati: 20,64
Tedeschi: 3,30
Dunque gli “slavi” erano il 52,87 per cento.
Per quanto riguarda l’Istria in particolare:
Italiani: 35,15
Sloveni: 14,27
Croati: 43,52
Tedeschi: 3,51
Dunque gli “slavi” erano il 57,79 per cento.
Come si vede i territori rivendicati durante la seconda guerra mondiale
dall’“espansionismo slavo” era abitati in maggioranza da “slavi”. Sotto
la dominazione italiana, sotto il fascismo, vissero un periodo di
“lacrime e sangue” e dunque per essi liberarsi da quella dominazione
diventò un imperativo categorico. Sui modi anche molto drammatici in
cui questo è avvenuto si deve sicuramente discutere, ma dopo, non
prima, di aver chiarito finalmente a tutti gli italiani le
responsabilità primarie.

Il dramma degli Esuli, on. Fassino, è colpa della politica aggressiva
del fascismo e del nazionalismo italiano nei confronti dei popoli
slavi. L’on. Fini, che è così in vena di chiedere scusa per le colpe
del fascismo, dovrebbe venire qui a chiedere scusa quale rappresentante
dello Stato italiano, prima di tutto a Sloveni e Croati (potrebbe
andare ad Arbe o a Gonars...) e poi anche agli esuli.

Gravissimo, mi sembra, che l’on. Fassino abbia accettato come giornata
della memoria dell’esodo la data del 10 Febbraio, anniversario del
Trattato di Pace. Spero che ai militanti e simpatizzanti DS non sfugga
il significato revanscista intriso di revisionismo storico di una
simile scelta.

Gravissimo è ancor di più il neoirredentismo di cui Fassino si fa
portavoce, secondo il quale è ingiustificabile la “perdita di
territori” imposta dal trattato di pace. Immagino che il passo
successivo può essere solo la rivendicazione della restituzione delle
terre così ingiustamente perse. Mi vengono i brividi.

Io mi chiedo che senso abbia tutto questo, nel momento in cui, fra
l’altro, stiamo per superare i confini e ritornare finalmente a una
situazione in cui i popoli di questa parte d'Europa che si sono sempre
mescolati, torneranno a farlo, pacificamente, come fu per secoli. Come
fu per secoli, on. Fassino, prima che il nazionalismo italiano,
l'irredentismo italiano, l'espansionismo italiano sconvolgessero queste
terre.

Alessandra Kersevan

Da: ICDSM Italia
Data: Lun 9 Feb 2004 13:10:21 Europe/Rome
A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Oggetto: [icdsm-italia] SLOBODA Protest Warning to ICTY, UN, US and UK


[Una lettera di protesta della sezione belgradese dell'ICDSM al
presidente del "Tribunale ad hoc" dell'Aia, signor Theodor Meron... Si
noti che questo signore fu prima ambasciatore di Israele in Canada, poi
negoziatore (= boicottatore ufficiale) di Clinton a Roma alla
conferenza per la costituzione del Tribunale Penale Internazionale
(1998)... ]

SLOBODA | FREEDOM
udruzenje | association
Member of the World Peace Council
YUGOSLAV COMMITTEE FOR THE LIBERATION OF
SLOBODAN MILOSEVIC
Belgrade,Rajiceva 16,tel./fax +381 11 630 549

---

Belgrade, 22 January 2004                              

To: Mr. Theodor Meron, President,
ICTY, The Hague, The Netherlands

Cc: H.E. Kofi Annan,
Secretary General,
UN, New York, USA

H.E. George W. Bush,
President of the USA
Washington, USA

Her Majesty Queen Elizabeth II,
Queen of the United Kingdom
London, UK


           Mr. Meron,

           The ICTY Trial Chamber presided by Mr. Richard May adopted
on 5 February 2004 the Order Scheduling Hearings to the Close of the
Prosecution Case in the process of President Slobodan Milosevic. By the
Order, it was decided that the daily length of all the hearings in the
next two weeks shall be prolonged, so that hearings will be held also
in afternoon hours.

           It is apparent that by ordering the prolongation of the
hearings, the Chamber violates its own, earlier decisions and orders
determining that the hearings shall be held in morning hours only,
adjourning not later than 01:45 p.m. We remind that these earlier
orders were adopted after several specialist medical examinations of
President Milosevic as a consequence of the clear physicians’ warnings
about the serious character of his health condition and about the risks
for his health and life produced by the process itself. Moreover, the
physicians explicitly recommended that the length of the hearings shall
be shortened.

           You are certainly aware that during the whole this week
President Milosevic was ill from flu and that at the time when the
Order was adopted, he has not been recovered yet.

           The situation in which, in spite the several medical reports
and warnings and in spite the current deterioration of Mr. Milosevic’s
health (when it is uncertain whether and when he will be able to
participate in the hearings), without consulting the medical
specialists and severely violating its own decisions, the Chamber
arbitrarily prolongs the length of the hearings, one can characterize
no other way but as direct threat to President Milosevic’s life.

           Therefore we warn you that as the ICTY President you have a
duty to instruct the Chamber to review and abolish this inhumane Order
or to reverse it yourself.

 
On behalf of the Freedom Association Managing Board

Bogoljub Bjelica, President

 
---


STRUGGLE FOR FREEDOM AND TRUTH ABOUT THE SERBIAN PEOPLE AND YUGOSLAVIA
IS IN THE CRUCIAL PHASE. NATO AND ITS SERVICES IN BELGRADE AND THE
HAGUE HAVE NO INTEREST TO SUPPORT IT.

SO IT TOTALLY DEPENDS ON YOU!

A SMALL TEAM OF PRESIDENT MILOSEVIC'S ASSISTANTS, WHICH IS BECOMING
INTERNATIONAL, HAS TO HAVE CONDITIONS TO WORK AT THE HAGUE IN THE TIME
OF INTENSIVE PREPARATIONS FOR THE FINAL PRESENTATION OF TRUTH AND
DURING THAT PRESENTATION.

TO DONATE, PLEASE CONTACT SLOBODA OR THE NEAREST ICDSM BRANCH, OR

find the instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)



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